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Dall'Emilia all'Elba
500 avanti Cristo
Che ci faceva la regina etrusca di KAINUA* a ΛΙΜΉΝ ΑΡΓΟΟ** nel 500 a. C.?
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Nel 1872 fu scoperta una tomba etrusca a Portoferraio (Casa del Duca) consistente in una
fossa profonda più di un metro evidentemente scavata per la morte improvvisa di una
nobile etrusca in viaggio. Se infatti la signora fosse stata "elbana"*** avrebbe meritato una
tomba a camera e non a fossa interrata. Lo status era altissimo a giudicare dal corredo
funebre. Nella tomba stretti allo scheletro sono stati trovati molti oggetti preziosi tra i quali
una collana d'oro in lamina a 20 globi e uno specchio di bronzo "ornato altresì del
medesimo graffito di rami d’ellera che vedesi in quelli di Marzabotto" dicono G. CHIERICI e
P. MANTOVANI 1873, p. 30, - come ricorda M. Zecchini, - essi accostano anche la collana a
KAINUA, essendo in tutto simile a un monile, formato da 16 globetti lisci e ornati, rinvenuto
a Marzabotto (cfr. CATALOGO del 1958, pagg. 110 e segg.).
** LIMÊN ARGOO è il nome che Apollonio Rodio dà alla mitica Portoferraio dopo lo sbarco
degli Argonauti. Il viaggio degli Argonauti, nel suo possibile fondo storico sotto all'epica del
mito, sarebbe avvenuto circa nel 1235 avanti Cristo, anno più anno meno. Portoferraio
sarebbe esistita come città greca (pre-ellenica) oppure come città ligure già esistente prima
dello sbarco dei navigatori egei. Ho scelto non per nulla il suo più antico nome, anche
perché non ne conosciamo un eventuale etrusco dell'epoca della nobildonna di Casa del
Duca.
*** Ci ricorda L. Pagliantini (pag. 248 Tesi Dottorato) a proposito di "alcune tombe di epoca
arcaica della necropoli di Casa del Duca [che] : degna di nota appare la notizia, riportata da
Zecchini, <<Queste informazioni sono contenute nel manoscritto di Chierici e Mantovani
(CHIERICI, MANTOVANI 1873, pp. 28-29), che riportarono testualmente le notizie date loro
dal dottor Bagnoli, in possesso degli oggetti emersi dalle sepolture>> che le fosse in cui
erano deposti i cadaveri, erano state ricolmate con molta ghiaia e ciottoli di mare, secondo
una consuetudine sepolcrale tipicamente elbana, attestata nelle grotte sepolcrali di Monte
Moncione a partire dal Bronzo finale.
La nostra "regina" di KAINUA sarebbe stata sepolta alla maniera ELBANA. All'inizio di questo
post ho asserito qualcosa in proposito che al lettore più attento non è certamente sfuggito.
Ho detto infatti che se fosse stata una nobile etrusca che viveva in pianta stabile all'Elba ci
sarebbero stati i margini per darle una degna sepoltura secondo il rito etrusco con tutto
quello che comporta. Avremmo avuto una tomba all'etrusca e non una all'elbana. Questo
dato fa pensare che la signora di KAINUA sia stata sepolta non da etruschi, né di KAINUA né
di Populonia, ma da "Elbani". Chi erano questi elbani? Sarebbero semplicemente quelli che
vivevano sull'isola stabilmente e che, fossero liguri di Corsica, corsi, sardi, fenici, greci o
etruschi, una volta sull'isola diventavano "elbani". Questo potrebbe far pensare per assurdo
che all'Elba si parlasse tra l'età del bronzo e quella del ferro una lingua propria, dato che la
cultura locale doveva essere radicata e imponente, se persino una nobilissima etrusca veniva
sepolta con il tipico rito elbano. Le ipotesi possono essere ancora molte e portare ciascuna a
conclusioni diametralmente opposte, certo che non possiamo stare qui a pensarle tutte a
fondo ed elencarle una ad una.
In questo contesto a noi credo che debba interessare soprattutto raccogliere tutti i dati
possibili e disporli in un puzzle in modo da eliminare i contrasti e salvare la figura che ne
esce con tutte le sue sfaccettature e le potenziali ipotesi con essa coerenti.
Dice Servio che l'Elba alcuni vogliono chiamarsi ILVA ITHACA. Questa la butto lí cosí com'è,
poi ne riparleremo, che va scomodato Ulisse, e poi Circe, Omero e compagnia cantante.
Poi dice anche Servio che Populonia fu città fondata da POPULI EX INSULA CORSICA, che per
vostra fortuna mi risulterebbe troppo arduo arrampicarmi su scivolosi specchi fino ad
identificare quei POPULI con quelli che mettevano le ghiaie di mare nelle tombe.
Vi lascio cosí, come in una serie americana studiata a tavolino, con l'acquolina in bocca per
sapere come continua la storia.
Uno dei luoghi più importanti per quanto riguarda i ritrovamenti di VIII secolo a. C. all'isola
d'Elba è il Colle di Santa Lucia (D'ACHIARDI 1927, PAGLIANTINI 2020, SQUARZINA 1964,
ZECCHINI 1978).
Per inciso Santa Lucia (la mappa 1) è la collina alla cui pendice orientale si trova la località di
Casa del Duca, quella del mio post di ieri sulla "regina" di Kainua.
Qui sono state trovate sepolture di quasi 300 anni prima rispetto a quella "di Kainua". Molte
fusaiole* e un ditale per il settore tessile, vari bronzi, e le fibulae (in foto 2).
Il colle di Santa Lucia e il suo versante orientale sono un luogo assai riparato e da dove si
gode di un'ottima vista sulla rada di Portoferraio.
All'epoca quindi non si dovrebbe sbagliare a pensare che tutta la rada e le colline soprastanti
fossero popolate. Si puó immaginare (cfr. anche F. CAMBI) che la costa dal Viticcio/Enfola
fino a Nisporto/Nisportino fosse antropizzata. Probabilmente la Portoferraio di allora era un
enorme insediamento fatto di capanne in pietra prima, poi palazzi etruschi (dette Fortezze
d'Altura) e quindi ville romane.
Basti pensare che fino alla Villa Demidoff di San Martino e forse anche sulla collina in zona
Club 64, sono attestate tracce e resti di altri castelli. Questi coprivano ogni zona dell'Elba,
cosí come i porti funzionali dovevano essere molti, per garantire posizioni vantaggiose a
secondo della destinazione successiva delle navi e al riparo che i venti di giornata
richiedevano (cfr. P. ARNAUD).
Tra questi - la Portoferraio dalla letteratura greca - Porto Argo, grazie al fatto che è protetta
da tutti i venti e centrale rispetto alla morfologia dell'isola, doveva avere un ruolo centrale.
Tutte queste zone, a parte il Castiglione di San Martino (cfr. O. PANCRAZZI e A. MAGGIANI),
non sono mai state oggetto di uno scavo sistematico da parte di alcuna università. L'auspicio
rinnovato è che si divida l'isola in diverse decine di settori e che li si affidino ai numerosi
atenei italiani e stranieri che correranno a frotte quando gli verranno offerte condizioni di
lavoro impareggiabili; come quelle che i paesaggi, le escursioni nel parco, e i giorni di riposo
passati in spiagge meravigliose, all'Elba possono offrire.
* Sulle fusaiole non sono ancora ben chiare le loro funzioni ed utilizzi. Treccani dice che
"dapprima si suppose che esse servissero per l'arte tessile, come pesi e volanti; quindi si
accomunavano alle rotelle di bronzo, di corno cervino, di osso, presenti in gran numero nelle
terramare italiane e anche negli strati della prima età del ferro; e il ritrovamento fatto nella
necropoli di Terni di una rotella infilata nel mezzo di un'asticella legittimava quella
supposizione. Ma il Pigorini, per primo, dimostrò che molte di queste cosiddette fusaiole
dovevano servire come capocchie di spilloni e di aghi crinali (in tal caso hanno forma
speciale, e, se d'argilla, sono ornate e lucidate alla superficie); oggi, pur non escludendosi la
destinazione di molte di esse all'arte tessile, sia come pesi di telai, sia come volanti di fuso,
tenuto conto delle forme e degli ornati, si pensa che siano state adoperate anche come
oggetti d'ornamento, a esempio come grani di collana.
UN BRONZETTO DELL'ELBA AL MANN di Angelo Mazzei Tutti gli studiosi sono concordi sulla
manifattura da Populonia di questo bronzetto elbano scoperto nel '700 e donato all' allora
titolare di quella parte d'isola, il Re di Napoli. Si arriva persino a scrivere a proposito di un
bronzetto molto simile rinvenuto a Gonfienti (Prato), conservato al British Museum di
Londra, che il manufatto o il suo artefice dovrebbero essere giunti a Gonfienti da Populonia
lungo la famosa via del ferro. A questo proposito bisogna invitare tutti a riflettere su tre
aspetti della questione: 1)Latrani e Grotta dell'Oro erano probabilmente terre di Volterra; 2)
portare ferro dall'Elba a Populonia, sbarcarlo dalle navi e caricarlo su dei carri per percorrere
un centinaio di chilometri via terra, invece che risalire la costa e poi l'Arno con le stesse navi
e scaricarlo in prossimità di Firenze, sembra un'operazione logisticamente assurda, se non
per il fatto che in alcune fasi storiche il legname sull'Elba doveva essere scarso e il ferro
poteva essere portato a Populonia per una prima lavorazione di sgrezzatura, ma questa
dovrebbe essere l'eccezione e non la regola, soprattutto per mercati agevolmente
raggiungibili per vie d'acqua, come lo erano i pressi di Gonfienti in rapporto all'Elba; 3) le
tracce di bronzetti certamente prodotti a Populonia non sono maggiori di quelle sull'Elba
(cfr. Asce della Valle Gneccarina presso Marciana e Bronzetti di S. Mamiliano a Campo
nell'Elba). Catalogato da un compianto importante etruscologo, Giovannangelo Camporeale,
con numero d'inventario 5534, da allora si trova al Museo di Napoli. ::::::::::Punto 1 La notizia
del ritrovamento nel 1764 da parte del Signor Agarini, viticoltore nei pressi di Latrani o della
Grotta dell'Oro ci è riportata da uno storico locale dell'800, Giuseppe Ninci. Le località sono
comunque entrambe a una distanza minima dal Castello del Volterraio, giurisdizione dello
stato di Velathri, al di là dell'evocativo toponimo, avendo restituito reperti etruschi
chiaramente volterrani. Latrani è il nome antico di questo borgo elbano abbandonato
probabilmente a seguito della peste del 1348 o andato distrutto ad opera di pirati1, nome
dal sapore molto antico, giunto a noi da documenti medievali di Pisa riguardanti il comune,
del quale oggi resta solo la chiesa di Santo Stefano alle Trane. Basandosi sulla
provenienza il bronzo andrebbe attribuito o a officine locali (volterrane) oppure a
officine volterrane (a Volterra o nello stato di Volterra). Un presupposto però si è
affermato indiscusso fino ad oggi, presupposto che con metodo decostruzionistico
tento di rendere cosciente agli studiosi che inconsapevolmente lo mettono in gioco. Il
presupposto è che all'epoca in cui la statuetta è stata datata Populonia fosse a) città
stato delle dodici e b) che l'Elba fosse tutta inclusa nei suoi presunti confini.
L'attribuzione a una presunta officina populoniese, come conferma l'assenza di
spiegazioni delle ragioni che portano a tale attribuzione, sarebbe il frutto di un
momento di superficialità metodologica conclamatasi nella mancata autoanalisi di ciò
che si dava per scontato senza scardinarne il presupposto. Non vi è alcuna prova
concreta del fatto che Populonia avesse come stato maggiore importanza sulle terre
elbane di quanta non ne avessero Vulci, Cerveteri, Tarquinia, Volterra e certamente
Vetulonia – che era anch'essa dotata di un porto e più vicina al mare di quanto non lo
siano oggi i suoi siti archeologici. :::::::::Punto 2 La lavorazione del metallo elbano
avveniva in due fasi, una prima in loco a più basse temperature per depurare la
pietra dal grosso delle scorie allogene, una seconda dopo il trasporto alle fabricae,
dove si raggiungevano temperature più elevate e si rendeva il metallo puro
abbastanza da prestarsi alla realizzazione dei vari prodotti. Non possiamo stabilire
con certezza di dati la percentuale rappresentata dal ferro elbano sul totale del
mercato etrusco ed occidentale in genere, né possiamo con esattezza stabilire in che
percentuale il mercato del ferro contribuisse alla ricchezza economica degli etruschi, -
quanto di tutte le città e quanto della sola Populonia e dei porti elbani Argus
(Portoferraio), Longus (Longone) e gli altri. Quello che possiamo intuire, da un punto
di vista filosofico della storia, è che - date l'importanza del ferro nell'economia etrusca
e l'importanza della posizione dell'Elba come piattaforma sulle rotte marittime di
questo popolo tra nord e sud del Mediterraneo, considerato anche il fatto che le vie
d'acqua erano largamente predilette rispetto a quelle di terra e che tra tutti gli Italici gli
Etruschi erano senz'altro i più confidenti con il mare, - si deve ipotizzare che l'isola
d'Elba fosse sfruttata e controllata dall'intera confederazione di stati e non da una
singola città. ::::::::::Punto 3 Sempre curioso oltremisura, mi sono andato a rileggere un
po' di cosette, alcuni saggi accademici sui bronzi di o da Populonia, le fabbriche di
lavorazione del bronzo, l'effettiva giurisdizione sulla zona di Elba scena del ritrovamento. Le
mie conclusioni non hanno importanza qui, volevo condividere con voi la bellezza di questo
manufatto e alcune informazioni interessanti. Se vi capita di avere tempo per studiare la
questione sarete in grado di farvi un'idea vostra. Segnalo come imprescindibili il volume
"L'Etruria Mineraria" a cura di G. Camporeale, edito da Electa nel 1985 (nelle foto qui sotto la
pagina del bronzetto elbano), e il volume "De Re Metallica" a cura di M. Cavallini, edito da
L'Erma di Bretschneider nel 2007 (segue un estratto dal saggio sulla produzione
metallurgica a Populonia scritto da Chiarantini, Guideri e Benvenuti) Dicono i tre autori
nell'INTRODUZIONE: "A Populonia, nonostante la prolungata ed intensa attività metallurgica
qui espletata in epoca etrusca e successiva, rimangono scarsissime testimonianze delle
strutture utilizzate per i processi metallurgici. Non è un caso, infatti, che la storia della
scoperta dell'antica città di Populonia sia legata in modo significativo al recupero delle scorie
di ferro di epoca etrusca e romana accumulatesi nel corso dei secoli lungo la piana del
sottostante golfo di Baratti, seppellendo le necropoli etrusche. L'attività di sfruttamento
delle antiche scorie metallurgiche ha profondamente modificato I'originale distribuzione
stratigrafica dei reperti, rendendone assai problematica la caratterizzazione tipologica e
cronologica. Se oggi è nota alla stragrande maggioranza degli studiosi l'importanza di
questa città, questo lo si deve esclusivamente alla approfondita conoscenza di tali necropoli,
frutto di decenni di ricerca archeologica. La vita e in particolar modo l'economia prevalente
del territorio di Populonia, da sempre indissolubilmente legata alle risorse minerarie, è
invece conosciuta solo dalle fonti scritte e indicata dalla presenza di imponenti cumuli dei
resti di lavorazione, che, nonostante l'attività di sfruttamento effettuata nella prima metà del
secolo scorso, possono ancora fornire interessanti informazioni sulle antiche tecniche di
lavorazione, sulla cronologia e sull'entità di tale produzione, soprattutto se collocati
all'interno di una indagine stratigrafica. Gli studi effettuati negli ultimi dieci anni dal
Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze in collaborazione con la
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, e la Società Parchi Val di Cornia S.p.A
sono stati finalizzati alla caratterizzazione della produzione di metalli (ferro, rame, stagno) e
leghe metalliche (bronzo) in epoca etrusca ed etrusco-romana. Lo studio dettagliato della
distribuzione e delle caratteristiche mineralogiche, chimiche e strutturali dei prodotti
metallurgici populoniesi (scorie, resti di carica mineraria, manufatti, ecc.) ha sin qui portato
alla caratterizzazione di alcune tecniche di produzione impiegate, oltre che della probabile
provenienza dei minerali metalliferi impiegati." Il saggio continua con deliziose
considerazioni sui vari metalli e le scorie di minerale offrendo puntuali riferimenti
bibliografici, poi si chiude con un paragrafo dedicato alla: METALLURGIA DEL BRONZO "Se
sono molto scarse le testimonianze della lavorazione del rame, ancora più esigue
sono quelle relative alla produzione e/o lavorazione del bronzo a Populonia. Nonostante
sia attestata a livello archeologico una fiorente attività bronzistica (FEDELI 1993) si
trovano scarsissime tracce sul territorio di questa attività. Durante le ricognizioni sul
territorio populoniese, nella canaletta del Campo Sei prima descritta sono stati trovati
due resti della lavorazione del bronzo, che sono stati analizzati in dettaglio
(CHIARANTINI 2005). In un primo caso si tratta semplicemente di un frammento di
bronzo con tessitura dendritica e con tenori in Stagno intorno al 13 %. Su base
strettamente geochimica, non possiamo stabilire se ii bronzo sia o no di produzione
locale. L'assenza infatti di altri elementi in tracce di Zinco non ci consente di ottenere
nessun tipo di informazione riguardo la possibile provenienza dei metalli impiegati.
L'altro frammento è costituito da una lega rame-stagno (con Stagno fino al 2% in
peso) in cui sono stati individuati numerosi cristalli di Stagno. Si tratta, con ogni
probabilità, di una piccola scheggia di bronzo solidificatasi forse al di fuori o sui bordi
del crogiuolo durante le operazioni di fusione o colatura del metallo, e quindi ad alte
temperature ed in condizioni fortemente ossidanti. Trattandosi quindi di un prodotto
metallurgico di scarto è del tutto plausibile che rappresenti un residuo di produzione
locale piuttosto che di materiale di importazione. La composizione isotopica del
piombo misurata in questo frammento non consente di assegnare in modo univoco e
sufficientemente preciso la provenienza della materia prima: a parte l'ovvia
considerazione che, trattandosi di lega perlomeno binaria, in teoria potremmo avere
diverse aree sorgente per i diversi metalli, va considerata l'eventualità che, per la
preparazione e lavorazione della lega bronzea, siano stati riciclati degli oggetti usurati
o in disuso. In conclusione, benché i materiali ritrovati al Campo Sei non siano
chiaramente inquadrabili in un contesto archeo-stratigrafico hen preciso, l'abbondanza
di reperti metallurgici all'intemo della canaletta (scorie, resti di forni etc... ) con
particolare incidenza di oggetti metallici, sembrerebbe confessare la vocazione
produttiva/lavorativa (lavorazione del rame e/o del bronzo) di questa zona di Baratti,
in accordo con altre evidenze archeologiche relative all'antico impianto urbanistico di
Populonia. La zona si trovava infatti subito al di fuori della cerchia muraria che
circondava l'acropoli e sembra costituire, insieme con la zona del Poggio della
Porcareccia, un' "area industriale" ben strutturata e di elevato valore architettonico
rispetto ad altre aree produttive etrusche finora investigate (cfr. CORRETTI 2001). II
futuro prosieguo delle indagini consentirà auspicabilmente di chiarire I'entità e
I'organizzazione delle attivita produttive svolte in questa zona." Trovo interessante
questo brano, e continuare a studiare tutta la bibliografia per capire meglio come
tutti siano più o meno arrivati alla conclusione che il Bronzetto d'Offerente sia stato
prodotto non all'Elba o in un altra città etrusca, ma a Populonia. Concludo ricordando ai
meno esperti quali sono gli elementi che stimolano questa mia ricerca. Che Vetulonia, Vulci e
Volterra avevano una ricca tradizione di lavorazione del bronzo; che all'Elba sono stati trovati
reperti e testimonianze di molte città d'Etruria, ivi comprese le tre appena citate; che all'Elba
sono stati trovati oggetti in bronzo databili già almeno dal IX secolo in poi, anche in aree
con ceramiche da Tuscania, Tarquinia, Cerveteri, Marzabotto ed Etruria Campana. Infine, che
dal saggio appena citato non v'è certezza matematica che a Populonia si sia mai prodotto il
Bronzo.