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NAVIGIUM ISIDIS

Abstracts

CONVEGNO DI ARCHEOLOGIA

NAVIGIUM ISIDIS

I CULTI ORIENTALI A TURRIS LIBISONIS


TRA PORTUALITÀ E SCAMBI CULTURALI
5-6 Marzo 2024

ABSTRACTS

Pubblicazione a cura del Comune di Porto Torres – Centro Studi Champollion©


Marzo 2024

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Convegno di Archeologia “Navigium Isidis” – Porto Torres 5-6 marzo 2024

Pietro Alfonso
Analisi e riflessioni su un frammento di statua di tipo demetriaco dal museo di Alghero
Questa presentazione propone l’analisi di una statua frammentaria di età romana e la sua possibile
identificazione con la figura di Demetra. Il culto di Demetra era strettamente legato alla fertilità
della terra e alla prosperità agricola, ma anche alla venerazione delle acque come fonte primordiale
di vita. Esamineremo il contesto storico e culturale del santuario di Alghero, luogo di ritrovamento
del reperto in argomento, per comprendere meglio il significato e l’importanza della presenza di
questa statua nel contesto del culto delle acque. La provenienza di questa statua frammentaria dal
santuario della Purissima di Alghero suggerisce infatti una profonda connessione tra il culto di
Demetra e il sacro elemento dell’acqua, la cui associazione cultuale può fornire spunti interessanti
per meglio comprendere un importante aspetto delle antiche pratiche religiose in questa parte della
Sardegna romana.

Pascal Arnaud
Tra fiume e mare: appunti sui porti fluvio-marittimi

Dieci anni or sono, dedicavo un primo articolo all’argomento complesso dei porti fluvio-marittimi.
Dove finisce il fiume, dove inizia il mare? Uno sguardo alla mappa dei porti del Mediterraneo
mostra che gran numero – addirittura la maggioranza – dei porti antichi del Mediterraneo e del mar
Nero sono ubicati allo sbocco di un fiume, o nelle vicinanze di esso. Non è solo il caso di porti
molti antichi, risalenti ad età arcaica, ma anche quello di porti di creazione più recente (si pensi per
esempio ad Aquileia o a Seleucia Pieria). Il motivo va cercato nei costi molto più bassi del trasporto
per via d’acqua rispetto alle vie terrestri. In base ai dati dell’editto di Diocleziano, il trasporto per
via fluviale, risalendo contro la corrente, costava sei volte meno del trasporto in carri e cinque volte
meno che con asini. Scendendo il fiume, il costo era due volte inferiore a queste figure. Il trasporto
marittimo costerebbe 4 e 8 volte meno del trasporto fluviale, stando sulla media tra queste figure e il
trasporto lagunare. La relazione si concentrerà sulla relazione tra mare e fiume a seconda del tipo,
della capacità nonché delle qualità nautiche delle barche utilizzate, e sull’impatto della continuità o
discontinuità tra mare e fiume su una varietà di modelli di porti che tutti possono essere chiamati
«fluvio-marittimi»: risalita del fiume dal mare da barche capaci di risalire contro la corrente per
mezzo di remi e vele, di pertiche, di alaggio o di rimorchio, o rottura di carica per tutte le barche o
parte di esse, allo sbocco del fiume, in un punto ad esso vicino, o più a monte. Ogni fiume è un caso
a sé e ha specifici vantaggi, rischi e difficoltà, e ha la sua stagionalità, che non è sempre quella del
mare. Combinare le regole del fiume e quelle del mare è il cuore del porto fluvio-marittimo. La
relazione si appoggerà alla documentazione archeologica, iconografica e scritta relativa
principalmente a Pisa, al Tevere, a Minturnae, Aquileia, Narbo, Arelate, Dertona, Andriake e,
sopratutto, al Nilo. In questo contesto verrà rivalutata la galera da commercio, presente sotto varie
forme in tutti i periodi dall’età arcaica fino all’età moderna e verrà sottolineata la rottura creata tra
l’80 e il 50 a.C. dalla scomparsa delle grosse galere da commercio, il cui impatto sulla portualità fu
notevole, con probabile tendenza a rimandare alla costa le zone di rottura di carico.

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Abstracts

Nadia Canu, Antonio Ibba


Il foro della Colonia Iulia Turris Libisonis: status quaestionis,
suggestioni, prospettive della ricerca
Da decenni gli studiosi si interrogano sulla localizzazione ed organizzazione del foro della Colonia
Iulia Turris Libisonis, con ipotesi plausibili ma fra loro inconciliabili. Il presente contributo
ripercorre la storia degli studi riordinando le indicazioni provenienti da discipline non sempre fra
loro dialoganti. Attraverso il riesame della documentazione bibliografica e d’archivio e con il
supporto di recenti acquisizioni, cerca di fare il punto della situazione e di evidenziare punti di forza
e di debolezza delle singole proposte, suggerendo nuove prospettive di ricerca che potranno
confermare o confutare quanto presentato in questa sede.

Nadia Canu, Luca Sanna


Nuove acquisizioni sul fronte del Riu Mannu: gli scavi preventivi del PIT fluviale
al Ponte Romano di Porto Torres
A Porto Torres, sulla sponda orientale del Rio Mannu e in corrispondenza dell’area del Ponte
Romano si è svolto nell’estate 2022 lo scavo di archeologia preventiva finalizzato alla realizzazione
del PIT fluviale. Il progetto mira a ridisegnare e mettere in sicurezza le sponde del fiume,
contribuendo alla valorizzazione della più imponente opera architettonica dell’epoca romana in
Sardegna, il Ponte Romano. I lavori hanno previsto l’apertura di un saggio all’imboccatura del
ponte. Altri saggi sono stati effettuati nell’area circostante, ripulita per l’occasione dal canneto che
occludeva la vista del ponte, in corrispondenza di una serie di anomalie del terreno individuate con
georadar, ma tutti questi saggi si sono rivelati infruttuosi.
Seguendo le indicazioni della Soprintendenza le indagini si sono quindi spostate a sud delle prime
arcate del ponte, dove risultava un cumulo di blocchi e indizi della presenza di una possibile
struttura; in corrispondenza di questo saggio è effettivamente emersa una struttura poderosa,
estremamente regolare e realizzata su più livelli con grandi blocchi lavorati. I ritrovamenti finora
effettuati rivestono grande importanza anche in rapporto all’approdo fluviale e sono meritevoli di
più approfondita indagine non solo sotto il profilo archeologico. Infatti il ripristino dei livelli
definiti in epoca romana sembra la chiave per la risoluzione delle problematiche idrogeologiche che
attualmente affliggono l’area e fornisce importanti indicazioni per la progettazione della
rimodulazione delle sponde fluviali nelle fasi esecutive.

Alessandra D.T. Carrieri


Dal recupero alla musealizzazione: problemi conservativi dei legni imbibiti

Il caso di Olbia.
In Sardegna è presente uno dei ritrovamenti di relitti romani più significativi del Mediterraneo. Dal
rinvenimento, dal recupero, allo studio approfondito e all'esposizione di una selezione di scafi e
manufatti all'interno del museo archeologico di Olbia, effettuato all'inizio del XXI secolo dai
colleghi, oggi ci si trova ad affrontare le problematiche conservative insorte nel corso dei decenni
successivi. Il legno è un materiale che non perde memoria e continua a modificarsi in relazione alle
condizioni termo igrometriche alle quali si trova sottoposto. Si affronteranno le condizioni
conservative di questi reperti oggi, valutando le prospettive attualmente conosciute che sarà
possibile impiegare per permettere a queste maestose strutture lignee di sopravvivere ancora per i
secoli a venire.

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Convegno di Archeologia “Navigium Isidis” – Porto Torres 5-6 marzo 2024

Si esamineranno le differenze tra il legno non ancora trattato all'interno di vasche per un primo
recupero in urgenza a quello trattato ed esposto. I materiali, le metodologie di conservazione di ogni
possibile dato scientifico ed il restauro hanno comportato in passato e continuano oggi con la
progettazione in sinergia di un'equipe composta da archeologi, restauratori e tecnici specializzati
uniti dallo stesso fine.

Giacomo Cavillier, Rosanna Volpe


Il “Progetto Iside” in Sardegna e le origini del culto nell’Egitto faraonico e tolemaico

In occasione del convegno turritano è parso utile analizzare e porre in evidenza le origini del culto
isiaco nell’Egitto faraonico e tolemaico per comprendere le modalità e tempi di sviluppo dei vari
sincretismi nelle province romane di epoca imperiale, con particolare riguardo alla Sardegna e alla
Colonia Iulia Turris Libisonis. È noto che la diffusione delle effigi e dell’uso dell’ἀρεταλογία isiaca
in tutto il Mediterraneo in epoca tolemaica ha innescato fenomeni di “frammistione” cultuale e
culturale legati alla politica e al commercio e che tale modus operandi è poi confluito agevolmente
nella Roma tardo repubblicana e imperiale.
Al centro del fenomeno è, mutatis mutandis, la navigazione d’altura e i mercatores, veri diffusori
del culto isiaco tra i principali porti dell’impero come Portus, Ostia, Pozzuoli, Alessandria, Atene,
Delo, Corinto, Rodi, Cesarea, solo per citarne i principali; in questi centri sono attestati isei e
strutture cultuali dedicati alla divinità la cui peculiarità è la loro posizione ai fini della loro
accessibilità ai mercanti adepti in arrivo e partenza dagli scali. È un fenomeno che pare affondare le
proprie radici nell’Alessandria tolemaica e che si protrae in epoca imperiale in cui i santuari di Iside
Pharia e Pelagia costituivano gli idonei siti dove invocare la protezione della dea prima della
navigazione o dove effettuare “proskynema” per l’approdo in sicurezza. Ora, se si considera
l’attività dei mercatores dei principali centri portuali della Sardegna romana (Karales, Sulci, Olbia
e Turris Libisonis) e la presenza di reperti “isiaci” rinvenuti in situ, pare lecito ipotizzare la
presenza di isei in tali contesti, fra cui quello turritano; il “Progetto Iside” si propone dunque di
analizzare questo interessante fenomeno.

Rossella Colombi
Trent’anni di indagini nel territorio di Turris: un bilancio

Il contributo prende in esame un arco di tempo di circa trent'anni di indagini archeologiche condotte
nell'area della Colonia Iulia Turris Libisonis (1996-2024), coordinate in parte dall'Autrice del testo.
Gli interventi a cui si fa riferimento riguardano zone diverse della città: il quartiere residenziale in
prossimità del peristilio delle Terme Centrali, la necropoli orientale, l'area della basilica di S.
Gavino e piazza Martiri Turritani, il settore occidentale del bacino portuale. Nel tempo è accaduto
che i dati raccolti siano stati condivisi in modo parziale o selettivo: da un lato, infatti, solo alcuni
reperti scelti sono stati oggetto di pubblicazione, mentre, dall'altro, l'analisi dello scavo è rimasta in
alcuni casi alla fase di inquadramento preliminare del contesto. Nonostante l'attenzione continua e
l'impegno profuso da studiosi e ricercatori, si può affermare che per Turris Libisonis esiste un
patrimonio di informazioni che attende ancora di essere analizzato in modo organico e sistematico.
In questa sede viene proposta una lettura d'insieme delle aree indagate specialmente dal punto di
vista dell'assetto urbanistico, con particolare riferimento all'estensione delle aree di necropoli
rispetto al centro abitato. In questo quadro trovano spazio aspetti cronologici, tipologici e culturali.

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Abstracts

Antonio Cosseddu
Comunicare l’archeologia. Linguaggi e strumenti nei musei sardi

I report sull’impatto della pandemia del Covid-19 nel mondo dei musei hanno mostrato un diffuso
clima d’incertezza, ma anche la capacità di queste istituzioni di creare un senso di fiducia e di
comunità. Tali evidenze hanno dato forza alla voce di chi spinge per ripensare il sistema museale,
andando oltre il dato numerico degli ingressi e considerando nuovi misuratori, come la capacità di
essere un punto di riferimento per il territorio e di invitare i visitatori ad essere parte attiva nel
processo di creazione della conoscenza.
In Sardegna i musei archeologici occupano una fetta rilevante, con almeno 57 strutture i cui
obiettivi comunicativi dipendono quasi esclusivamente dalle scelte dei responsabili scientifici e dei
professionisti museali, ponendo in secondo piano gli interessi dei visitatori. Questa storica
mancanza contribuisce a creare un senso di distacco dal mondo archeologico scientifico che induce
alcuni pubblici a cercare altrove risposte per i loro quesiti, privilegiando la popolarità a discapito
della scientificità e dell’informazione di qualità. Quelli qui presentati sono gli esiti di una expertise
condotta su scala regionale, un lavoro ancora in fieri cui seguiranno indagini qualitative e
quantitative finalizzate alla creazione di strumenti di ascolto.

Vincenzo di Giovanni
Un Adriano portatore di pace da Turris Libisonis?

Durante indagini archeologiche preventive a Porto Torres (2006-2009), tra Via delle Terme e Via
Petronia, nell’area adiacente a sud-est delle cosiddette Terme Maetzke, fu individuato e
documentato un gruppo di materiali marmorei tra i quali erano frammenti di statue ed elementi
architettonici, a valle di una imponente opera di sostruzione in opera quadrata, la cui funzione non è
del tutto chiara. I materiali probabilmente furono depositati nell’area; non si sono evidenziati segni
di collasso architettonico o altro evento traumatico.
Tra le sculture documentate ci sono due frammenti di statue loricate di cui uno - meglio conservato
- potrebbe essere ascritto all’imperatore Adriano. La statua, realizzata in marmo bianco italico,
ancora in fase di restauro e ricomposizione, è acefala, tranne una piccola parte del mento che
conserva tracce di una corta barba. Pur essendo il tipo vicino a prototipi orientali, nella sintassi degli
elementi che costituiscono la corazza e il corredo questa statua possiede una sua peculiarità, non
comune in questa classe: ha la spada coperta e poggiata sotto il braccio destro della figura. Il gesto
allude chiaramente ad una funzione, seppur in ambito militare, di pacator, cioè portatore di pace. E
questa raffigurazione è in perfetta consonanza con quello che conosciamo della politica estera di
Adriano, volta al consolidamento dei confini, allargati di molto da Traiano, il suo predecessore.
Sullo stesso braccio, che tiene la spada inguainata nel suo fodero, ricade il mantello posto sulle
spalle, con un ricco panneggio plastico reso in larghe pieghe. La corazza, cinta da cingulum con il
tradizionale nodo dalle estremità rimboccate sotto la cintura, segue canoni propri del classicismo
con una sola fila nelle pteryges piatte e decorate - per quanto è possibile vedere dallo stato di
conservazione del reperto - con elementi tratti dal repertorio decorativo di matrice militare. Anche il
panneggio conserva la resa plastica classicista tipica del rilievo e della statuaria antonina. La
decorazione primaria della lorica con due grifi alati sovrastanti l’aquila legionaria riporta al
simbolismo della lotta della civiltà contro la barbarie. La rappresentazione in abito militare non
appare in contraddizione con il gesto conciliatorio dell’arma coperta, a causa dell'importanza
dell’esercito nell’amministrazione dello stato e delle province nella visione politica imperiale.

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Convegno di Archeologia “Navigium Isidis” – Porto Torres 5-6 marzo 2024

Enrico Dirminti
L’iconografia di Iside sui sigilli egiziani ed egittizzanti dai contesti fenici e punici di Sardegna

Tra i sigilli rinvenuti nelle necropoli di età fenicio-punica in Sardegna sicuramente un posto di
rilievo è occupato dallo scarabeo. Questo oggetto, dal precipuo valore amuletico e molto apprezzato
nell’Egitto faraonico, conosce un particolare apprezzamento anche nell’area levantina. Scarabei
sono infatti presenti nelle tombe di età fenicia nella madrepatria, ma anche nelle sepolture di età
punica nel Mediterraneo centro-occidentale, come parte del corredo che accompagnava il defunto.
In ambito fenicio e punico essi sono realizzati in steatite, fayence, pasta vitrea e pietra dura (diaspro
verde o corniola) e dimostrano una particolare maestria dell’artigianato punico, con la proposizione
di combinazioni di elementi iconografici di varia ascendenza dal Vicino Oriente.
Questo contributo vuole esaminare in particolar modo le iconografie in cui compare la figura di
Iside, una delle principali divinità del pantheon egiziano e apprezzata anche in ambito fenicio prima
e punico poi. La dea compare da sola o in coppie o triadi con altri personaggi antropomorfi o figure
divine, secondo diverse soluzioni. L’analisi degli schemi iconografici mette in evidenza il notevole
apporto culturale egiziano nella produzione di determinate categorie artigianali e la piena
comprensione degli elementi rappresentativi tipici dell’Egitto, che vengono rielaborati nel
repertorio iconografico fenicio e punico talvolta secondo nuove e innovative soluzioni.

Federica Doria, Manuela Puddu


Le rappresentazioni di Bes ai Musei Nazionali di Cagliari

I Musei Nazionali di Cagliari espongono e conservano un numero non esiguo di raffigurazioni del
dio Bes. Dio di origine egizia, di natura benefica, protettore della musica e del sonno, Bes godette di
una grande popolarità anche nel mondo fenicio-punico e in particolare in Sardegna. Il presente
contributo intende illustrare le rappresentazioni di questa divinità presenti nei Musei Nazionali di
Cagliari, nelle diverse categorie della statuaria, della glittica, della coroplastica e degli amuleti,
ponendole in relazione alla distribuzione geografica e cronologica dei loro contesti di ritrovamento.

Rubens D’Oriano
Sincretismo e tolleranza religiosa nell’antichità mediterranea:
una lezione di saggezza dal passato

Qualsiasi studioso di specialismi come l'archeologia o l'astrofisica o la paleontologia ecc., cioè i


rami del sapere che a prima vista non parrebbero di alcuna immediata utilità sociale a differenza
della medicina, della biologia, della chimica ecc., prima o poi nel corso della sua vita professionale
si pone la domanda ultima: ciò a cui dedico i miei migliori sforzi a cosa serve, ovvero è di qualche
utilità ai miei simili e alla società nella quale vivo?
Circa l'archeologia e le altre discipline che concorrono allo studio delle comunità antiche, la risposta
positiva non risiede, come ancora troppi ritengono, nella pedissequa ripetitività della storia, dalla
quale quindi trarre ricette à la carte, chiavi in mano, per i problemi del presente, perché le vicende
umane non si ripetono mai esattamente uguali a sé stesse. L'oggetto d'indagine dell'antichistica in
ultima istanza è il “funzionamento” degli esseri umani del passato sia come singoli sia, soprattutto,
in aggregati sociali, ed è da ciò che invece è possibile trarre certo non risposte precise ma comunque
spunti di riflessione utili anche per noi. Perché? Perché se è vero che, appunto, la storia non concede

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Abstracts

mai il bis, è altrettanto vero però che alcune dinamiche di fondo sono, nella loro ultima essenza,
pressoché eterne, quali, per fare un esempio centrale per l'argomento di questa relazione, quelle del
contatto e della convivenza tra esseri umani di differente estrazione etnico-culturale e religione,
problematiche che erano letteralmente all'ordine del giorno nel mondo euro-afro-mediterraneo a
partire almeno dall'Età del Bronzo così come ancora oggi per noi. Ad esserci potenzialmente utile in
questo caso è quindi considerare le strategie di gestione di queste dinamiche messe in campo dagli
antichi. Sono centrali in questo ambito fenomeni come la tolleranza religiosa e il sincretismo, dei
quali la storia del culto della dea alla quale è dedicato questo convegno è esempio paradigmatico.
Sul piano del sincretismo Iside, come molte altre divinità mediterranee, è stata abbracciata da popoli
diversi da quello presso il quale è nata, assimilandola a quelle delle loro dee che mostravano
maggiori affinità con essa (Astarte fenicio-punica, Afrodite greca, Venere romana, ecc.), quindi,
come in molti altri casi di sincretismo, trattenendo le similarità e sorvolando sulle differenze,
valorizzando ciò che accomuna e non curando ciò che divide, gettando ponti invece che scavando
fossati, aprendo porte e non erigendo muri.
Sul piano della tolleranza religiosa parlano chiaro l'immediato accoglimento e diffusione del culto e
dei templi di Iside, così come di altre divinità sempre orientali (Cibele. Mitra, ecc.), in tutto il
mondo romano a partire dalla stessa capitale e fino ai più remoti confini dell'Impero, iniziando, nel
caso della dea egizia, immediatamente dopo la “scoperta” del fascinoso Egitto da parte dei Quiriti
col viaggio di Cleopatra a Roma del 46 a. C., e sempre con la piena e pacifica accettazione del
fenomeno da parte del potere politico dell'Urbe, che si direbbe che lo abbia accolto addirittura con
favore. Forse quindi, per chiudere tornando al titolo di questa relazione, possono effettivamente
giungere fino a noi dal passato preziose lezioni di saggezza sulle quali riflettere circa il problema
dell'accoglienza di genti di diversa religione e della convivenza con esse, una sfida che nel dibattito
nostrano si nutre invece di risorgenti rigurgiti di contrapposizioni religiose, in realtà cinicamente
strumentali ad altro, e di conseguenti stolti slogan quali “il pericolo dell'islamizzazione dell'Europa”
e “la difesa della civiltà cristiana”.

Gabriella Gasperetti
Tracce della navigazione antica nel Golfo dell’Asinara

L’Asinara e il suo Golfo rappresentano da sempre un riferimento di fondamentale importanza per la


loro posizione geografica, seppure non privo di rischi, in quanto erano l'unico baluardo a protezione
dai venti di nord-ovest, come ricorda il “Compasso de Navigare” del 1296, il più antico portolano
pervenuto. Prima di raggiungere il Mar Tirreno, le navi, una volta superate le Insulae Baliares,
giungevano in prossimità delle coste sarde, dove dovevano affrontare due stretti particolarmente
insidiosi, il Gorditanum Promontorium, Capo Falcone di Stintino, e l’Herculis Insula (l'Asinara),
superati i quali, attraverso il Golfo, si raggiungeva il Fretum Gallicum, le odierne Bocche di
Bonifacio, anch'esse dense di pericoli, come è testimoniato dai ritrovamenti subacquei e dai relitti.
Nella tradizione scritta la navigazione verso occidente ha origini mitiche ed epiche, con particolare
riferimento al mito di Eracle/Melqart/Ercole, eroe che ha dato il nome a varie isole del
Mediterraneo, testimonianza del passaggio di popoli e culture in questo avamposto all’estremità
nord-occidentale della Sardegna. Le più antiche tracce di navigazione nel Golfo dell'Asinara sono
date da ritrovamenti sommersi di epoca arcaica, mentre con l’età romana le testimonianze si
intensificano in maniera esponenziale e attestano traffici che interessano soprattutto il Mediterraneo
occidentale, seppure non manchino materiali di produzione orientale. Turris Libisonis col suo porto,
dapprima incentrato sulla foce del rio Mannu, poi riorganizzato nell'area della Darsena vecchia (ora

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Convegno di Archeologia “Navigium Isidis” – Porto Torres 5-6 marzo 2024

Piazza Colombo) costituiva quindi un polo di vitale importanza per le rotte che interessano le coste
occidentali della Sardegna e i ritrovamenti archeologici ne attestano i collegamenti con i porti del
Tirreno, ma anche con quelli delle province, principalmente della Gallia Narbonense, in area iberica
della Tarraconense e della Betica, e del Nord Africa. Grazie ai trasporti marittimi, i prodotti
raggiungevano Ostia, il porto di Roma, e le diverse province dell’Impero. L'eccezionale
ritrovamento della tabella immunitatis che attesta l'esenzione dai dazi portuali della Vestale
Massima Flavia Publicia, concessa secondo Paola Ruggeri dall'imperatore Filippo l’Arabo,
testimonia l'importanza del porto turritano e della pertica della colonia negli approvvigionamenti di
grano e cerali per le celebrazioni del millenario di Roma alla metà del III secolo.

Gabriella Gasperetti, Alessandra La Fragola, Patrizia Tomassetti


Le scoperte e i nuovi progetti nel settore occidentale di Turris Libisonis

L’impegno della Soprintendenza e del Segretariato Regionale del MiC nel settore occidentale della
Colonia Iulia Turris Libisonis ha riguardato negli anni recenti un'area di particolare importanza per
il rapporto tra l'assetto topografico urbano e il ponte sul Rio Mannu, il principale asse viario verso il
territorio della colonia. L'intero settore rientra nell'area archeologica espropriata negli anni ’90 del
ventesimo secolo dal Comune di Porto Torres per essere destinata a diventare uno dei parchi
archeologici di maggiore prestigio della Sardegna. In quest'area le strutture antiche sono coperte da
spessi strati di terreno, delimitati da terrazzamenti e muri a secco, segno dell'uso agricolo recente,
che non conserva in superficie alcuna traccia della città di età romana.
Dopo un importante intervento condotto tra il 2003 e il 2004, che ha rivelato il complesso
archeologico noto come “Domus dei mosaici marini”, sviluppato su più piani e che sfrutta il fianco
della collina rivolto verso il Rio Mannu, nel 2022 una nuova campagna di scavo e restauro ha
notevolmente ampliato la conoscenza del complesso, che conta ad oggi più di dodici ambienti, in
parte conservati fino alle coperture voltate e ricchi di decorazioni parietali e pavimentali, con un
proprio quartiere termale. Gli accessi dalla viabilità principale non si sono ancora rivelati, così come
la completa estensione del complesso, realizzato nella media età imperiale e con più fasi di riuso,
fino all'abbandono nella tarda antichità. Queste circostanze, la monumentalità del complesso, la
ricchezza delle sue decorazioni, uniti alla presenza di un ambiente dedicato al culto cristiano,
ritrovamento eccezionale in questo settore urbano, hanno portato alla redazione di un nuovo
progetto di intervento che si avvarrà di un importante finanziamento interamente in capo al
Ministero della Cultura e che, oltre a proseguire nello scavo e nei restauri, prevede anche un
concorso di idee per la progettazione della copertura del monumento, in modo da poterne assicurare
la conservazione e la fruizione.

Alberto Gavini
Culti orientali a Porto Torres

Il contributo è dedicato alla presentazione delle testimonianze rinvenute nel territorio della città di
Porto Torres relative a quelli che nella storia degli studi sono stati definiti “culti orientali”. Si parte
dalla definizione e dall’origine del concetto di culti orientali per poi presentare le attestazioni
epigrafiche e archeologiche riguardanti tali culti rinvenute a Porto Torres ed ivi conservate.
Vengono inoltre trattati anche i reperti conservati ed esposti al di fuori del centro turritano e quelli

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Abstracts

che pur non essendo stati rinvenuti a Porto Torres possono essere considerati pertinenti a un
territorio che doveva far parte dell’antica pertica di Turris Libisonis. La conclusione è dedicata alla
contestualizzazione della situazione turritana nel più ampio ambito sardo e mediterraneo.

Stefano Giuliani
Il pantheon di Turris Libisonis

Le ricerche archeologiche a Porto Torres, unitamente alla consistente mole di dati derivanti
dall’epigrafia, con l’integrazione dei dati delle fonti storico-letterarie e di quelli desumibili da
ragionamenti di tipo storico, consentono di conoscere una serie di divinità il cui culto era attestato
nella colonia romana. Molti dei reperti che forniscono questi dati sono ora esposti all’Antiquarium
Turritano di Porto Torres e al Museo Sanna di Sassari. Il contributo intende offrire una
presentazione del pantheon di Turris Libisonis, quale strumento per la contestualizzazione degli
altri interventi inseriti nella sezione specificamente dedicata a Iside e ai culti orientali.

Elisabetta Grassi
Verso un museo per tutti. Esperienze di accessibilità al Museo Sanna di Sassari

Il contributo si propone di illustrare le pratiche museali e le soluzioni museografiche recentemente


adottate dal Museo Nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari,
al fine di consentire una più ampia accessibilità fisica, cognitiva e sensoriale da parte dei diversi
pubblici. Nello specifico, verranno descritte e analizzate le scelte e le soluzioni espositive inserite
nell’allestimento temporaneo del Museo, tra cui la riproduzione in scala dell’Ara di Iside, realizzata
grazie alla collaborazione con l’Università di Sassari e con l’Unione Italiana Ciechi, sezione
territoriale di Sassari.

Alessandra La Fragola
Iside e ‘gli altri’ in età romana: nuove riflessioni su vecchi ritrovamenti
nelle acque del nord Sardegna

Si propongono in questa sede alcune considerazioni su tre reperti, di cui due attualmente inediti: un
frammento coroplastico proveniente dal relitto romano del Mariposa di Alghero (I sec. a.C. - I sec.
d.C.) e una statuina fittile (I sec. d.C. circa) da un pozzo di Turris Libisonis (entrambi in provincia
di Sassari). Le considerazioni che ne seguiranno hanno l’intento di proporre un percorso
interpretativo che indirizza verso il culto ad Iside. Il terzo reperto, una testina marmorea già
brevemente edita nel 1998, fu individuato sul finire degli anni Cinquanta del secolo scorso tra gli
oggetti del relitto di Spargi (prima metà I sec. a.C., ancora provincia di Sassari, Sardegna di nord-
est). Questo elemento servirà da raccordo tra il culto della dea pelagia e la devozione verso altri
numi, la cui valenza protettiva anche nei confronti dei naviganti risulta ben attestata per tutta
l’antichità. In questo caso, la sua presenza come elemento di larario o di carico non influisce sul
significato.

Gianluigi Marras
Regina Coeli: Iside e Maria

La caratterizzazione di Iside come Dea Madre è presente fin dalle origini del suo culto, sia come
genitrice del Dio Horus che come “madre dei faraoni” e perciò essa è spesso rappresentata mentre
porge il seno per allattare Horus. A partire dal periodo ellenistico il suo culto si diffuse in tutto il

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Convegno di Archeologia “Navigium Isidis” – Porto Torres 5-6 marzo 2024

mediterraneo e dal II a.C. anche nella Res Publica romana. Con la diffusione la divinità assume
anche il ruolo di protettrice della maternità e verginità, simbolo di sposa e madre. Per tali ragioni è
oggetto di discussione la possibile influenza della figura e dell'iconografia isiache su quella della
cristiana Maria, che è possibile ravvisare nelle raffigurazioni sacre e nell’iconografia. Tale rapporto
è al centro del presente intervento.

Gianluigi Marras
Turris Libisonis e il suo territorio: nuove acquisizioni e prospettive

Nell’ultimo biennio Porto Torres è stata interessata da numerosi progetti che hanno consentito di
acquisire nuove informazioni sulla città e sul territorio di Turris Libisonis. Lo scavo 2023 della
domus mosaicata di Via Ponte Romano ha messo in luce ulteriori ambienti, dalla funzione ancora
incerta, che restituiscono l'immagine di un corpo di fabbrica strutturato e probabilmente
appartenente ad una ricca abitazione privata. Le indagini hanno inoltre permesso di dettagliare le
fasi di abbandono e spoglio, da contestualizzare nel contesto delle trasformazioni della città
tardoantica. Le indagini connesse alla procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico ci
donano invece nuovi dati relativi al territonio immediatamente circostante la città romana, noto
finora in maniera puntiforme, con la scoperta di sepolture, insediamenti e tracciati viari, che
evidenzia una pertica ricca di persone e attività produttive.
Il quadro delle conoscenze sarà inoltre incrementato nei prossimi anni da progetti di catalogazione
scavo e restauro, oltre che da percorsi di ricerca in via di formalizzazione e concentrati per esempio
sullo studio degli intonaci dipinti e delle fasi di trasformazione della città romana in periodo
tardoantico, altomedievale e medievale.

Giovanni Meloni, Alessandro Porqueddu


Archeologia subacquea nelle Bocche di Bonifacio:
le prospettive di ricerca nell’Arcipelago di La Maddalena

In campo archeologico l’Arcipelago di La Maddalena è noto principalmente per lo scavo del relitto
di Spargi, tappa fondamentale per la nascita della moderna Archeologia subacquea italiana: nel
1958, il Centro Internazionale di Studi Liguri e il Centro sperimentale di Archeologia sottomarina
di Albenga, sotto la guida dell’Archeologo Nino Lamboglia, nel corso delle indagini sul relitto della
nave romana di Spargi - databile al primo al I sec. a.C.- applicarono per la prima volta in Italia i
principi metodologici della moderna Archeologia ad un contesto in ambiente sommerso.
Lo scavo del relitto di Spargi, oggi conservato al Museo Navale Nino Lamboglia di La Maddalena,
segnò l’avvio di una stagione di ricerche sull’Arcipelago (incentrate principalmente sulle
testimonianze delle frequentazioni neolitiche e dei relativi ripari sotto roccia) ma, allo stesso tempo,
fu seguito da una lunga pausa nelle ricerche subacquee, limitate ad interventi di verifica puntuale
per esigenze di tutela.
Nel 2010 l’avvio del corso di Scuola di Specializzazione in Archeologia subacquea dell’Università
di Sassari, sede di Oristano, ha rappresentato un’occasione per promuovere una convergenza di
intenti tra gli Enti Locali e tentare di riavviare le ricerche (sotto la direzione del prof. Pier Giorgio
Spanu e la direzione scientifica della Soprintendenza competente per territorio) partendo da una
campagna di ricognizioni sistematiche mirate a documentare lo stato di conservazione dei siti noti e
verificare le numerose segnalazioni raccolte tra appassionati di pesca e subacquei professionisti.

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Abstracts

Nel corso delle ricerche sono stati documentati quattro relitti inediti di età romana, due aree di sosta
e approdo e numerosi reperti isolati, comunque indicativi della continuità e dell’intensità dei
passaggi. A 10 anni da quell’esperienza, sebbene incompiuta, è possibile tracciare un primo parziale
bilancio: nel maggio 2023 La Maddalena ha ospitato il VII Convegno Nazionale di Archeologia
Subacquea e, proprio in questi mesi, il Comune di La Maddalena sta perfezionando la progettazione
per il restauro e l’ampliamento del Museo Archeologico Navale Nino Lamboglia. Dal punto di vista
strettamente archeologico, la quantità e la qualità di dati raccolti, contestualizzati nel più ampio
quadro storico ed economico, ha suggerito alcune riflessioni su tematiche legate alla frequentazione
dell’Arcipelago maddalenino e alla navigazione nelle Bocche di Bonifacio.

Enrico Petruzzi
Porto Torres. Archeologia urbana, digitalizzazione dei dati e pianificazione urbanistica

Esito ultimo dell’evoluzione della città avviata con la fondazione della Colonia Iulia Turris
Libisonis, Porto Torres costituisce uno degli ambiti di più intensa sperimentazione dell’archeologia
urbana in Sardegna. L’eterogeneo bacino di informazioni scaturite dallo studio delle fonti letterarie
ed epigrafiche, dall’analisi degli edifici monumentali che segnano il paesaggio urbano e soprattutto
dalla rilettura degli elementi emersi a partire dagli sterri ottocenteschi fino ai più recenti interventi
di archeologia preventiva, ha portato a delineare un articolato sistema di ipotesi sulla storia e
l’evoluzione topografica della città. Si tratta di un potenziale informativo da rielaborare e strutturare
in forme accessibili e realmente utilizzabili per una pianificazione volta ad armonizzare le
necessarie trasformazioni dell’abitato con la tutela del patrimonio archeologico. Problema
fondamentale rimane il rapporto tra documentazione, comunicazione, condivisione ed utilizzo dei
dati di interesse culturale. L’elevato numero di indagini di scavo ed il conseguente straordinario
apparato d’informazioni in costante aumento impongono lo sviluppo di specifici strumenti in grado
di archiviare, elaborare e trasmettere le conoscenze. L’articolo ripercorre i differenti progetti che
hanno consentito di strutturare strumenti digitali funzionali alla tutela ed alla pianificazione.

Paola Ruggeri
Un Navigium Isidis nel mare di Tibula, nel golfo dell’Isola di Ercole?
Lu Romasinu e la Cencrea del Golfo di Salamina, con un’incursione a Sabratha

Si riprende la preziosa testimonianza epigrafica proveniente da “Lu Romasinu”, una località presso
Castelsardo, detta del “Tempio di Iside”, con riferimento all’espressione fecerunt aedem a solo che
attestava l’offerta di due Quinti Fufii, Proculus e Celsus (CIL X, 7948 = ILSard 307 = EDR
152987). Il paesaggio costiero di “Lu Romasinu” e di Punta Tramontana, poco prima di Lu Bagnu
(Castelsardo), è caratterizzato da due punti di approdo; questo tratto di costa in antico poteva
prestarsi, considerata la presenza di un’aedes Isidis, al navigium in onore della dea con il quale il 5
marzo si festeggiava la riapertura della navigazione dopo il mare clausum. In occasione del
navigium doveva svolgersi una processione lungo la spiaggia che partiva dal tempio di Iside,
organizzata dai sacerdoti della dea. Lo scenario di “Lu Romasinu”-Punta Tramontana, con la
spiaggia e il tempio forse collocato sulla punta o promontorio a chiudere un golfo sembra essere
simile a quello di Cencre, descritto da Apuleio o a quello del tempio di Iside e della spiaggia di
Sabratha in Libia.

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Convegno di Archeologia “Navigium Isidis” – Porto Torres 5-6 marzo 2024

Alessandro Teatini
I sarcofagi decorati di Turris Libisonis

Degli oltre ottanta esemplari di sarcofagi romani decorati ritrovati in Sardegna, la colonia di Turris
Libisonis ne ha restituito undici, provenienti tutti dalla necropoli nell’area della basilica di San
Gavino: dopo Cagliari si tratta del lotto più consistente, insieme a quello proveniente da Olbia.
Rispetto a questi due centri la documentazione turritana appare tuttavia decisamente meno
diversificata sul piano iconografico e concentrata in un arco temporale più ristretto, che per quanto
riguarda l’importazione dei prodotti urbani si restringe alla seconda metà del III secolo e all’inizio
del IV, mentre la classe di riferimento è quasi sempre quella dei sarcofagi strigilati. Invero
l’apparato iconografico posto ad integrare i pannelli strigilati presenta alcune scelte interessanti, per
quanto nell’ambito di una netta prevalenza dei temi stagionali: ne sono evidenza il gruppo del
filosofo e Musa o la porta dell’Ade, insieme ai pilastrini ermaici del sarcofago di Aurelia
Concordia. In questa sostanziale uniformità spicca per originalità la cassa con grifoni divoranti di
Iulia Severa, uno degli esemplari più antichi della Sardegna, prodotta localmente alla metà del II
secolo in marmo proconnesio, quando forse la colonia non è ancora toccata dai circuiti commerciali
che veicolano nella provincia i sarcofagi della Hauptproduktion di Roma.

Patrizia Tomassetti, Gabriella Gasperetti, Antonella Pandolfi, Daniela Deriu


Porto Torres. Ponte romano: gli scavi della carreggiata, i materiali ritrovati e
il progetto di restauro

Il completamento dello scavo della carreggiata del ponte sul Rio Mannu, propedeutico alla
realizzazione del progetto di restauro, ha consentito di apprezzare per intero il basolato stradale e le
sue diverse fasi di utilizzo, dalla primissima età imperiale ad età contemporanea, evidenziate grazie
ai rilievi fotogrammetrici e all’analisi stratigrafica del piano pavimentale. Nel tratto finale verso
ovest sono visibili anche i segni delle diramazioni che dal ponte si dipartivano verso il territorio
della colonia, incisi sul banco naturale. Dagli scavi del 2008 e 2020-21 sono emersi numerosi
reperti archeologici mobili (ceramica, metalli, vetri). Sebbene in giacitura secondaria, i ritrovamenti
hanno permesso di inquadrare la cronologia di formazione del deposito di origine di questi potenti
interri, ovvero la seconda metà del II secolo-inizi del III secolo d.C., e di accertarne la provenienza
da un contesto urbano poco lontano dal ponte. Le produzioni maggiormente rappresentate sono le
forme da mensa in Sigillata Africana A e il coevo vasellame in Ceramica Africana da Cucina. Da
rimarcare, seppur sporadica, è la presenza di frammenti di ceramica invetriata di età romana,
prodotta nel Lazio tra il II e il III secolo. L’eccezionale monumento ha la necessità, acclarata da
tempo, di un intervento organico di consolidamento e restauro, al quale si è dato finalmente corso
con la consegna dei lavori effettuata questo inverno. L’intervento è interamente finanziato dal
Ministero della Cultura e, al termine di un’approfondita fase di conoscenza sulla forma, sugli
elementi strutturali e sui materiali di costruzione, è volto al consolidamento strutturale delle spalle,
delle pile e delle arcate, alla conservazione delle superfici lapidee del ponte e del suo basolato e alla
realizzazione di un percorso pedonale attrezzato, sopraelevato e illuminato lungo tutto lo sviluppo
del ponte, in grado di renderlo fruibile e consentendo nel contempo di godere del panorama offerto
dal tratto finale del Rio Mannu e dal Golfo dell’Asinara.

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