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STORIA DELLA

CULTURA
RUSSA
• La Rus’ di Kiev, il giogo tartaro e la Moscovia
• La fase moscovita - Ivan III - ideologia di Mosca Terza Roma - Ivan IV il primo
zar
• Pietro il Grande e le sue riforme
• Profonda spaccatura tra i vertici e la base della popolazione - Radiščev - Caterina
II La Grande - il 1812 - La Danza di Nataša
• I soldati russi a Parigi - i Decabristi - Čaadaev e la prima lettera filosofica
• La dottrina ufficiale della narodnost’ - gli Slavofili - il mondo dei contadini e
delle obščiny
• L’intelligencija russa - Herzen e Belinskij
• Černyševskij - “Che fare?” e i modelli di Vera e Rachmetov - il populismo -
Alessandro II, le riforme e il duello con l’intelligencija
• Il panslavismo - Danilevskij, Leont’ev e Ukhtomsky
• Il marxismo e il confronto con il populismo - Georgi Plekhanov - Lenin
• Le rivoluzioni russe
• L’eurasismo e il suo fondatore: Nikolaj Trubeckoj - Il neo-eurasismo
• La Russia contemporanea

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12/09 - I LEZIONE

STORIA DELLA CULTURA RUSSA


La Russia è un paese orientale o occidentale? Quali sono i movimenti più intellettuali che hanno segnato fino ad oggi la
cultura russa?

Il problema della cultura russa, e in generale della Russia, consiste nel fatto che sia molto più vicina all’Europa (religione,
cultura, architettura…) rispetto ad altri paesi come la Cina. Dalla Russia ci si aspetterebbe dunque un comportamento
politico culturale sostanzialmente simile a quello europeo o occidentale; sistematicamente, però, la Russia fa qualcosa di
diverso. La Russia è infatti un paese diverso dall’Europa e dall’Occidente, quindi non bisogna interpretarla secondo il
metro occidentale/europeo, piuttosto, dovremmo accostarci a questo paese cercando di capirlo per quello che è, e non per
quello che secondo noi dovrebbe essere. Dobbiamo ammetterne la diversità. La Russia per molti aspetti è un paese non
europeo e non occidentale, per alcuni altri invece lo è.
Questa dinamica di lontananza e vicinanza, di partecipazione ma anche di straniamento rispetto l’Europa e
l’occidente, è dunque da tener bene presente quando si parla della Russia, a livello storico, politico e culturale.

La Rus’ di Kiev
(1862-1240)

Da millenni gli europei sono abituati a pensare di essere diversi dagli orientali (gli Urali dividono simbolicamente il
continente europeo da quello asiatico). Dove si trova la Russia? In mezzo, così come la Turchia. Sta sia in Europa che in
Asia, sinonimi geografici per 2Occidente e Oriente. Ma esiste davvero un Occidente e un Oriente? Sia fisicamente che
culturalmente esiste una differenza sostanziale tra Occidente e Oriente, per esempio facciamo fatica a classificare il
Marocco come paese occidentale o come paese orientale. Noi occidentali siamo abituati a chiamare orientale tutto ciò che
non è orientale (India, Giappone, Marocco…). E la Russia allora è Orientale o Occidentale? Geograficamente la parte
orientale della Russia fa parte dell’Oriente, culturalmente “lo sa il diavolo”. Non esiste una risposta univoca, perché
esistono problemi storico-culturali circa l’identità della Russia (intellettuale/culturalmente ci sono stati influssi sia
dall’Europa che dall’Asia).

Quando nasce la Russia? È un paese antico o moderno? Quando ci poniamo questo quesito ci deve sempre essere un
termine di paragone (qualcosa che definiamo come antico). Antico e moderno sono concetti convenzionali dunque perché
condizionati dalla cultura che li usa.
Convenzionalmente, la prima Russia, chiamata Rus’, nasce nell’862, con capitale Kiev. La Rus’ (prima Russia) stava su
un’area che corrisponde grossomodo all’attuale Bielorussia e Ucraina (quindi molto più a Occidente delle successive
Rus); inoltre si distingue molto rispetto alle Rus successive. L’anno tradizionale in cui crolla la prima Rus’ è il 1240, in
seguito all’invasione mongola.
Perché la Rus’ di Kiev si distingue dalle successive Rus? Era molto più piccola, più occidentale, era una federazione di
libere città stato, la principale delle quali era Kiev, il cui predominio, però, era solo teorico.
Esse avevano ognuna un principe della famiglia del fondatore della Rus’ a loro capo (dinastia Rjurik), inoltre esisteva un
autogoverno cittadino “democratico”, il veče (consiglio cittadino) che decideva gli affari della città e a cui partecipavano
solo i ricchi (sistema non dispotico/monarchico). Queste città, tutte costruite su fiumi che andavano dal Mar Baltico al
Mar Nero, vivevano soprattutto di commercio, di quello dell’ambra, del miele, del legname, di pellicce …

Mentre l’Europa medievale in quei secoli era feudale con la servitù della gleba, la Rus’ di Kiev era cittadina, priva di servi
della gleba e politicamente aveva elementi di autogoverno. In un certo senso, era più avanzata e democratica la Rus’ di
Kiev rispetto l’Europa feudale dell’epoca. Per certi aspetti, la Rus’ di Kiev, è vista dalla successiva cultura russa (anche
quella di oggi) come ad una Russia fiabesca, in cui c’erano già tutti gli elementi culturali della Russia successiva ma in cui
mancava l’autoritarismo politico, l’autocrazia.
In quell’epoca la Russia aveva stretti rapporti con l’Europa occidentale a livello di politiche di matrimoni, scambi
commerciali…

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Anni che si identificano con il medioevo europeo, per convenzione.
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Oriente e Occidente sono dati culturali, non geografici.
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Nel 988 la Russia si converte al cristianesimo ortodosso (riceve la fede cristiana da Costantinopoli rispetto che da
Roma. Lo scisma avverrà successivamente). Questo è un momento chiave, tenendo anche in considerazione l’importanza
della religione in quel momento storico. Appartenere alla Chiesa di Costantinopoli, infatti, aveva delle ricadute
importantissime. Čaadaev individuò proprio nella scelta di preferire la via di Costantinopoli, rispetto a quella di Roma,
per la cristianizzazione, l’origine di tutti i mali, chiamandolo addirittura “peccato originale” della Russia.
La conversione del principe Vladimir è raccontata in una cronaca medievale russa, la “Cronaca dei tempi passati”
(Póvest' vremenných ljet) in maniera straordinariamente suggestiva.
Il principe valuta le varie religioni: l’ebraismo viene scartato perché gli ebrei girano raminghi per il mondo, l’islam
(sebbene ne apprezzi alcuni elementi come il carattere bellicoso o la poligamia) ugualmente non sembrava appropriata
(per il rigorismo), alla fine sceglie il cristianesimo (dopo aver mandato ambasciatori a Roma e poi a Costantinopoli). Si
racconta di come gli ambasciatori russi siano rimasti colpiti dalla liturgia ortodossa a Costantinopoli e dunque
consigliarono questa via. In realtà, la conversione al cristianesimo ortodosso era quasi obbligata: Roma era poco più che
un borgo, mentre Costantinopoli era un paese più vicino, ricco e con maggiore cultura. La conversione della Russia al
cristianesimo di Costantinopoli era quindi assolutamente logica.
Tuttora la Russia è di religione ortodossa, giusto per capire quanto essere protestanti/cattolici/ortodossi abbia ricadute
sociali e culturali molto importanti.

Altro aspetto da tenere presente per capire la specificità della cultura russa rispetto quella europea, sin dall’antichità, è
che, benché la prima Rus’ fosse più occidentale delle Russie successive, era al tempo stesso la parte più orientale
dell’Europa. Oltre la Rus’ vivevano le popolazioni ugro finniche (gradualmente assoggettate dai russi) e nelle steppe
euroasiatiche varie popolazioni nomadi (alani, calmucchi, unni, mongoli…) dalla varia lingua, poco conosciute da noi
occidentali.
I nomadi mongoli distruggeranno poi lo stato di Kiev nel 1240 (gli unici nomadi a essersi stabilmente insediati in Europa
sono gli ungheresi), perché riuscirono a colpire il nemico da cavallo, usando l’arco e le frecce, senza venire colpiti. I
mongoli non erano più numerosi, ma erano invincibili. Intorno al 1500, i popoli delle steppe cesseranno di far paura, con
l’introduzione delle armi da fuoco (cannoni e fucili) e verranno sottomessi progressivamente proprio dai Russi.
La divisione della Rus’ di Kiev facilitò la sottomissione ai nomadi e rimase dunque saldo l’intento di non frammentare
mai più il territorio e non dividere il potere tra più persone (si tratta di una vera e propria lezione politica).

Giogo mongolo/tartaro
(1240-1480)

Nel 1240 dunque cade la Rus’, ma i mongoli decidono di vivere nei territori boscosi e gelidi settentrionali. Pur non
occupandola, richiedono ingenti tributi alla Russia, che diventa vassalla e tributaria dell’impero nomade.
Dal 1240-1480 abbiamo dunque il periodo di soggezione ai mongoli, denominato giogo tartaro.
I Russi percepiscono questo periodo come una vergogna nazionale, una tragedia secolare, essendo stati assoggettati da
una popolazione nomade, orientale, straniera e musulmana.
Questo lungo periodo di predominio mongolo spiega il carattere non europeo della Russia (“gratta il russo ed esce il
tartaro”, famoso detto).
In realtà questo giogo mongolo non è stato così terribile come ci è stato raccontato; non c’è stato contatto diretto, i
mongoli si limitavano a pretendere fedeltà politica e una riscossione dei tributi (affidata agli stessi principi di Mosca).

La Moscovia

Progressivamente i russi rimangono a vivere dove oggi abbiamo Bielorussia e Ucraina, poi si estendono nei territori
limitrofi (verso il nord-est). Così la Russia tornerà ad essere indipendente sotto Mosca (che in epoca kieviana
praticamente non esisteva), cominciando un processo di incredibile espansione territoriale.
La Russia rinasce attorno a Mosca soprattutto perché i principi di Mosca divengono gli esattori delle tasse per i mongoli,
venendo quindi incaricati dal gran Khan di riscuotere i tributi. Pian piano Mosca è cresciuta d’importanza e i suoi principi
sono diventati “gran principi”, cioè i primi principi all’interno del mondo.
Sino al 1480, il gran principe era ancora vassallo, tributario dei mongoli. Solo dopo questa data, Mosca e la Russia
diventano indipendenti dai mongoli. Nel 1480 nasce ufficialmente la terza Russia sotto Mosca. Questa sarà la Russia
autocratica in cui comanderà un uomo solo, lo zar, in contrapposizione con la Rus’ kieviana.

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19/09 - II LEZIONE

L’espansione dell’impero russo

Oggi parleremo di quella fase della storia, e della cultura russa, che si è consolidata dopo la fine del giogo tartaro, 1480, e
prima di Pietro “Il Grande”; fase comunemente denominata MOSCOVITA (perché incentrata intorno alla città Mosca).
Da Mosca la Russia si espande fino a conquistare il territorio della cartina.
La Russia di Mosca, in russo Rossija, - e non più Rus' - perché questo termine fa riferimento soltanto al periodo kieviano,
è un paese molto diverso da la Rus’ di Kiev, la quale era policentrica.
Sebbene infatti Kiev fosse la città più importante, era una federazione di città semi-indipendenti e, in un certo senso, semi-
democratiche, autogovernate ma con uno stato politicamente debole, diviso, con una norma di successione al potere
inefficace e problematica.
Dopo la liberazione dalla dominazione mongola, la nuova Russia vuole, in parte, essere in continuità con la Rus’ di
Kiev. Questo è il motivo per il quale porta avanti una politica di riconquista delle terre russe, riuscendo, nel corso di
alcuni secoli, ad essere in grado di riconquistare tutti i territori occidentali che avevano fatto parte della Rus’ kieviana,
sostanzialmente finiti sotto la Polonia o la Lituania.
Al contempo però, la nuova Russia di Mosca non guarda soltanto al passato kieviano, ma introduce importantissime
novità; prima fra tutte, si richiama all’eredità bizantina. La Russia aveva preso il cristianesimo da Bisanzio, era
diventata un paese cristiano ortodosso, ma nel momento in cui nel 1453 Costantinopoli viene conquistata dagli Ottomani,
la Russia è l’unico stato cristiano ortodosso indipendente.
Ivan III (1440-1505, regnando dal 1462), Gran Principe di Mosca, sposa Zoev, figlia dell’ultimo imperatore bizantino;
questo matrimonio dinastico gli da il diritto di considerarsi erede di Bisanzio.
(L’impero ottomano allora era fortissimo, più potente della Russia.)
Da questo matrimonio in poi, quindi a partire dalla fine del ‘400, la Russia si proclama erede spirituale e politica di
Costantinopoli.
Nell’ideologia politica russa, comincia a circolare nei primi anni del ‘500 la cosiddetta ideologia di Mosca “terza
Roma”.
Questa ideologia viene proclamata in una lettera, in russo poslánie, scritta dal monaco Filofej e indirizzata al Gran
Principe di Mosca.
Tale testo diventerà centrale nell’autocoscienza russa, a livello politico e culturale.
Nella missiva, il monaco sosteneva che vi erano state due Rome (la nostra italiana e Costantinopoli).
Dopo la caduta dell’ultima, Mosca è diventata la terza Roma, erede delle prime due e capitale del mondo cristiano
ortodosso. Inoltre, vi era scritto che quella di Mosca sarebbe stata l’ultima; una quarta Roma non sarebbe esistita.
Questa visione di Mosca, come erede dell’impero bizantino, conferisce ai gran principi di Mosca un’altissima dignità. Il
Gran Principe, ancor prima di diventare zar, ritiene di avere una missione imperiale, quella di seguire le prime due rome
come guida del mondo cristiano, ortodosso in particolare. Questa enorme ambizione politica viene sostanziata anche da
quella straordinaria espansione politica che si può notare nella cartina; la Russia, sotto Mosca, cresce enormemente e
anche in modo abbastanza rapido (i territori della cartina sono conquistati entro la fine del Seicento).
Al di la dello spazio conquistato, in questa fase conta soprattutto la percezione che la Russia di Mosca ha di sé; si tratta di
una percezione molto alta, non sempre accettata in Occidente. Essa impone alla Russia di Mosca degli obiettivi, sia verso
l’interno che esterno, molto elevati.
In questa fase, la Russia di Mosca progetta il futuro di questo paese per secoli e secoli, come quello di un paese grande e
forte con la precisa volontà di non ripetere l’errore della Russia di Kiev che, a causa della sua divisione, era
politicamente e mentalmente debole.
La nuova Russia rinasce con l’idea dello stato forte, della potenza, in russo deržáva.
I sovrani di Mosca seguono questa politica, conducendo guerre vittoriose in tutte le direzioni (principalmente verso
occidente, ma anche nelle altre direzioni), ma anche con una serie di gesti politici estremamente importanti; in particolare
quando nel 1547, dopo aver raggiunto la maggiore età, sale al potere Ivan IV (1530-1584), chiamato “Il Terribile”, e
viene incoronato zar, (tsar’). IVAN IV È IL PRIMO ZAR.
La parola zar, deriva da Caesar, che vuol dire Cesare, cioè sovrano assoluto, sopra al quale non ci può essere nessuno se
non Dio.
La parola russa che indica potere assoluto è samoderžávnaja vlast’
L’impero russo nel momento in cui Ivan IV diventa zar si chiamerà tsarctvo.
Samoderžets traduce invece il termine autocrate.
Da ricordare che i gran principi di Kiev non erano né zar, né autocrati.

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Avevano una visione del potere completamente diversa, più debole e infatti lo stato di Kiev era debole, al contrario della
Russia di Mosca.

Ivan IV si è guadagnato l’appellativo di “Il terribile” perché ha sterminato l’alta nobiltà e ha represso definitivamente
le autonomie di alcune città che ancora conservavano forme di autogoverno, in particolare Novgorod, attualmente una
piccola cittadina a sud di Pietroburgo. Novgorod aveva conservato, più a lungo rispetto le altre città, la veče, cioè
l’autogoverno, il consiglio cittadino, ma queste libertà agli occhi di Ivan IV erano inammissibili, relitti di un passato anche
se glorioso ma nel quale la Russia era debole.
Ivan IV è stato terribile perché ha sostanzialmente massacrato l’alta nobiltà russa, che era abituata ad avere privilegi e
poteri che quindi limitavano il potere dell’autocrate.
Quella di Ivan fu una crudeltà finalizzata che aderiva al disegno politico di rendere forte la Russia; tutto il potere doveva
essere nelle mani dell’autocrate e non potevano esserci oppositori.
La parola che in russo corrisponde a “terribile” è strášnyj che letteralmente vuol dire “colui che fa paura”; in russo però
Ivan non è chiamato strášnyj ma groznyj che invece vuol dire “colui che minaccia”.
Inoltre, in russo, tale aggettivo, in senso politico, ha una connotazione positiva; la violenza politica se serve a rafforzare lo
Stato è giustificata. Non tutti i russi condividevano, e condividono, questa visione, ma, nel complesso, si può dire che essa
sia stata e, sia ancora oggi nel 2018, la visione predominante in Russia.
Nel corso dei secoli, ci sono stati sovrani in Russia particolarmente “minacciosi” (oltre a Ivan IV, Pietro il Grande e
Nicola I per esempio): cambia la forma di potere ma rimane la stessa visione politica secondo la quale il potere deve
essere autocratico, nelle mani di una sola persona che regna con forza lo Stato.
Si può dire, ma attenzione a non esasperare quest’idea, che si tratti di una visione politica che metta al centro la forza
dello Stato, dalla quale dipenda la sicurezza della popolazione.
In Europa, in concomitanza, abbiamo processi di progressiva liberalizzazione e democratizzazione, al contrario della
Russia, India o Cina, in cui il potere è rimasto autocratico per secoli.
All’epoca di Ivan IV nasce l’idea del potere autocratico e da allora non viene mai meno in Russia, sino ad ogni,
nonostante cambiamenti di circostanze e strutture politiche.
Un altro aspetto fondamentale della Russia moscovita è la proclamazione del patriarcato nel 1589. In precedenza, la
chiesa ortodossa russa era governata da un metropolita, carica altissima ma che dipendeva dal patriarca di Costantinopoli.
La Russia era diventata un paese autocratico, che si governava da sé ma la sua Chiesa, così importante all’interno della
vita politica, culturale, spirituale e sociale dipendeva ancora da Costantinopoli; ostacolo che andava quindi superato.
Nel 1589 viene perciò eletto un patriarca di Mosca, rendendo indipendente la Chiesa di Russia. In termine religioso,
la Chiesa diventa autocefala, cioè la sua testa è autonoma, indipendente dalle altre chiese, in particolare rispetto a
Costantinopoli.
Così facendo, diventa la chiesa più importante nel mondo cristiano ortodosso.
È dunque questa un’epoca di rafforzamento politico della Russia: la Russia si estende in maniera straordinaria in tutte
le direzioni, in particolare grazie a Ivan IV che vince delle guerre importantissime; tra il 1551-1556 sconfigge i Tartari.
Tale evento costituisce qualcosa di estremamente importante in quanto, in precedenza, tutte le conquiste russe erano
dirette verso ovest per recuperare l’eredità di Kiev, con queste vittorie sui Tartari, la Russia acquisisce la libertà di
muoversi vero sud e verso est.
Ivan IV prova anche a conquistare lo sbocco sul Baltico, ma viene sconfitto. Ci riuscirà poi Pietro il Grande,
centocinquanta anni dopo.
Questo periodo della Russia di Mosca è importante anche per altre ragioni culturali.

-------------------- digressione arte russa --------------------


Per provare a descrivere l’arte russa pre-moderna, si può immaginare un mondo in cui il sovrano è autocratico, la religione
è il cristianesimo nella variante ortodossa, un mondo estetico artistico architettonico diverso dal nostro. Le chiese, diverse
dalle nostre, sono intrise dall’arte e dalla spiritualità bizantina, piene di icone; c’è un’arte sacra che è assolutamente
diversa da quella che si è sviluppata nel periodo dell’Umanesimo e il Rinascimento europeo. L’arte esclusivamente
religiosa nella quale non c’è ricerca della somiglianza, non ci sono ritratti, né paesaggi, è un’arte simbolica, qualcosa di
concretamente diverso rispetto alla storia dell’arte europea come la conosciamo.
Le chiese russe sono molto belle ma diversissime a quelle romaniche, gotiche, rinascimentali e barocche; hanno una linea,
uno sviluppo, una spazialità e una decorazione completamente diversa.
Se pensiamo a questa chiesa di san Basilio a Mosca, è evidente che siamo in un mondo artistico diverso da quello
occidentale. San Basilio non ha nulla di paragonabile alle chiese cristiane cattoliche ma è un’arte stupenda, coloratissima,

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fantasiosa, originale che merita ampiamente di essere studiata. San Basilio rappresenta un’eccezione, non è la più famosa
né la più tipica.
Più tipica dell’arte russa, è una chiesa dall’architettura semplice, luminosa, molto incentrata sulle cupole, in particolare
quelle chiamate “a cipolla”.
Nella famosa isola di Kiži, nel nord della Russia, esiste una meravigliosa architettura in pietra che non ha eguali in
Europa.
Quando noi pensiamo alla Russia moscovita dobbiamo pensare a forme artistiche completamente diverse dalle nostre.
È un’arte sacra diversissima da quella a cui siamo abituati in Occidente, è più legata al modello bizantino; non c’è ricerca
della prospettiva, del paesaggio. Le figure sono assolutamente stilizzate e simboliche, c’è fedeltà ad un modello senza
prospettiva ripetuto all’infinito.
La Russia di Mosca era un paese che aveva una propria civiltà artistica, culturale e politica distinta da quella europea
occidentale. Quando i viaggiatori europei andavano in Russia avevano la sensazione di non essere in Europa, le città erano
diverse, così come la mentalità politica.
I viaggiatori europei del ‘500 e del ‘600 erano normalmente sbarbati e avevano abiti più leggeri rispetto alla gente russa,
caratterizzata invece da lunghi capelli e lunghe barbe, con abiti pesanti, li scambiavano spesso per Turchi o Persiani. Ad
un europeo del ‘500 o del ‘600, i Russi sembravano più simili agli Ottomani e ai Persiani barbuti con lunghe vesti che non
a sé stessi.
------------------ fine ----------------

È da tenere presente l’importanza che ha avuto la riconquista, o la conquista, da parte di Mosca dei territori occidentali
che avevano costituito la Rus’ di Kiev.
Dopo la fine di Kiev nel 1240, ad opera dei Mongoli, la Russia occidentale era entrata nell’orbita di monarchie europee
occidentali (il re di Ungheria, i principi di Lituania e poi il re di Polonia).
Per alcuni secoli, sino alla conquista, o alla riconquista, di queste regioni da parte di Mosca, questi territori hanno fatto
parte di regni europei occidentali o centro occidentali, cattolici. (Sia gli ungheresi, che i lituani che i polacchi erano
cattolici).
Una questione di grande interesse ma anche di difficoltà storica politica e culturale riguarda il fatto che all’epoca ci fosse
una Rus’ kieviana abitata da un solo popolo che parlava una sola lingua, oggi abbiamo tre diverse popolazioni (bielorussi,
ucraini e russi) che fanno riferimento all’eredità kieviana.
Soprattutto di recente, la questione è entrata nel campo politico/militare, dato lo scontro tra Ucraina e Russia odierna (che
coinvolge anche l’Europa). La questione è difficilmente risolvibile: sono due visione radicalmente diverse e difficilmente
compatibili dell’eredità kieviana.
La visione russa è che l’eredità di Kiev sia passata a Mosca, dopo la caduta di Kiev nel 1240, dopo due secoli di
dominazione tartara, Mosca diventa un principato indipendente e riconquista tutti i territori kieviani, ed è quindi legittima
erede di Kiev. Nell’ottica russa esisteva un popolo russo, o al limite tre popoli molto vicini tra di loro, derivanti dalla
comune eredità kieviana. Questa visione è stata dominante per secoli, durante l’impero russo e nel periodo sovietico.
Dato che il territorio dell’attuale Bielorussia e Ucraina sono più occidentali e sono stati per secoli all’interno di stati
dell’Europa centrale hanno inevitabilmente avuto contatti culturali con l’Europa, molto più forti rispetto a quelli della
Russia con Mosca (per mere questioni geografiche).

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26/09 - III LEZIONE

Pietro il Grande

La scorsa volta abbiamo terminato parlando della fase nella quale, attraverso gli odierni territori ucraini e bielorussi,
passarono in Russia (o nelle terre slavo orientali) elementi di cultura europea - occidentale, soprattutto attraverso la
mediazione di questi territori, che allora facevano parte dello stato polacco lituano - che essendo cattolico - più orientato
verso Occidente e l’Europa - aveva recepito elementi artistici culturali di tipo europeo. Proprio attraverso questi territori,
che la Russia di Mosca conquistò nel corso del Seicento, cominciarono a passare nella cultura russa generale, elementi
europei, tra i quali il barocco o l’uso del Latino nell’accademia biologica di Kiev.
Attraverso la mediazione delle terre russo-occidentali o ucraino-bielorusse, già nel corso del Seicento, arrivano nella
Russia moscovita, elementi innovativi di cultura europea-occidentale.

Colui che rese l’influsso culturale europeo più intenso, organizzato e infinitamente più profondo fu Pietro il Grande
(1672-1725). Qual è stato il peso di Pietro il Grande e delle sue riforme nella storia?
Pietro il Grande, non è grande solo per la Russia, ma ha avuto un ruolo storico gigantesco a livello globale, di storia
universale.
La sua opera è stata ampiamente discussa, per alcuni ha rappresentato un eroe, per altri, soprattutto per i contemporanei,
l’anticristo - colui che ha sovvertito violentemente le tradizioni del paese.
Pietro va al potere nel 1695 e rimane zar sino all’anno della sua morte, 1725. Regna quindi per trent’anni, duranti i quali,
compie un’opera colossale di riforma della Russia in senso europeo, nonostante alcuni elementi moderni europei
fossero già presenti nel paese.
Dopo la fine del giogo tartaro, quando la Russia torna indipendente attorno alla città di Mosca, lo fa sulla base di
un’ideologia orientata verso il recupero dell’eredità bizantina e proiettata anche all’occupazione progressiva dei territori
che avevano fatto parte dell’Orda d’Oro, cioè dell’impero mongolo.
I viaggiatori diplomatici europei che si trovavano in Russia in quest’epoca, non si sentivano a casa, all’interno di un paese
europeo; la mentalità, l’aspetto fisico, la religione, l’assenza di riferimenti classici greco latini erano tutti elementi che
facevano si che l’Europa guardasse alla Russia come ad una entità essenzialmente straniera e barbara.
In Russia al tempo stesso, i sovrani precedenti di Mosca, quando avevano bisogno, chiamavano architetti o ingegneri
europei (per esempio il Cremlino di Mosca è stato costruito soprattutto da architetti italiani) ma li chiamavano come
tecnici, senza minimamente pensare che la Russia fosse inferiore all’Europa - senza pensare di essere obbligati a imitare
l’Europa.
I sovrani di Mosca erano molti curiosi dell’eredità bizantina, che di essere gli eredi di Costantinopoli, si fregiavano il
titolo di zar, di autocrate, governavano territori grandissimi e in continua espansione. Essendo ortodossi, guardavano come
scismatici sia i cattolici che i protestanti, credevano di possedere la vera variante del cristianesimo, quella ortodossa.
Per molto tempo, circa due secoli, fino a Pietro il Grande, pur accettando specialisti europei e cambiamenti culturali
(come il Barocco), sostanzialmente in Russia rimasero fermi sulle linee culturali di origine bizantina.
Pietro il Grande volle cambiare completamente direzione. Sin da piccolo, lo zar amava frequentare il quartiere tedesco, in
russo chiamato nemetskaya sloboda, dove vivevano reclusi quegli specialisti, tecnici, ingegneri, militari di cui aveva
bisogno lo stato russo, più tecnologicamente arretrato rispetto gli stati europei. Questi ultimi erano “tenuti” in un quartiere
perché non si voleva che si mescolassero con la popolazione, con i loro costumi corrotti e la loro mentalità non
tradizionale. Il quartiere tedesco era piuttosto malfamato, abitato da soli uomini. Pietro si trovava molto a suo agio in
questo ambiente e con questo tipo di persone; a lui apparivano dinamiche, simpatiche, allegre e privi di tutte le regole e le
remore religiose che invece gli stavano molto strette. Sin da ragazzo quindi respirò l’aria culturale e psicologica europea.
Dopo vicende dinastiche abbastanza complicate, salì al trono molto giovane. Fece viaggi d’istruzione in Europa,
interessandosi particolarmente alla parte svedese, olandese o inglese, che nello stesso periodo, grazie a nuove tecnologie
come cannoni o navi, stavano costruendo imperi coloniali in Africa e in Asia.
Quello che volle fare Pietro fu trasformare il suo paese semi asiatico - arretrato - dominato dai precetti morali e culturali
della chiesa ortodossa - in uno stato forte, moderno, ispirato essenzialmente a quei paesi europei che gli sembravano più
moderni.
Pietro fu un rivoluzionario, ma di un tipo particolare. Non gli interessava particolarmente la sorte dei suoi sudditi, la
servitù della gleba fu addirittura rafforzata sotto Pietro; quello che lui voleva creare era uno stato forte, in primo luogo
militarmente.
Pietro capì che l’Europa, culturalmente e tecnologicamente, era molto più avanti della Russia. Capì che il punto
importante, non era se avesse ragione la Chiesa di Roma o quella di Mosca o quelle protestanti, era completamente

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disinteressato a questo tipo di questioni; per lui era fondamentale che la Russia recuperasse il terreno perduto rispetto ai
paesi europei.
Ma perché questi ultimi, alla fine del Seicento, dal punto di visto tecnologico e culturale, erano più avanti della Russia?
Cosa ha permesso all’Europa di diventare così forte da dominare per secoli tutto il mondo?
L’Europa, tra il ‘400 e il ‘500, vive il periodo del Rinascimento, momento decisivo in cui, da un lato ci si ispira alle civiltà
greco romano, dall’altro i paesi europei si autonomizzano dall’egemonia del potere della Chiesa; questo libera delle
energie culturali intellettuali come figure del tempo quali Copernico, Galileo, Newton.
A questa fase segue poi Rivoluzione tecnologica, scientifica. Grazie alla quale, assieme alla Rivoluzione industriale,
l’Europa crea una superiorità che è, in primo luogo, tecnologica.
Il mondo moderno nasce, o con la caduta di Costantinopoli, o con la scoperta dell’America e nasce in Europa. Il mondo
moderno nasce perché l’Europa percorre quel cammino di sviluppo che riassumiamo con le parole di UMANESIMO,
RINASCIMENTO, RIVOLUZIONE SCIENTIFICA E INDUSTRIALE.
Tutto questo percorso rende l’Europa più forte, moderna e avanzata, politicamente e militarmente, rispetto il resto del
mondo.
Pietro ha capito che, per la Russia, era necessario imitare l’Europa.

Europeizzazione forzata della Russia

Pietro il Grande era un autocrate e impose con la forza al suo paese un percorso di modernizzazione in senso europeo.
Per non essere conquistata dall’Europa, la Russia doveva europeizzarsi, doveva recepire quegli elementi culturali,
tecnologici europei che gli avrebbero permesso di “tenere il passo” con l’Europa stessa; non subire l’europeizzazione, ma
partecipare ad essa.
Questo disegno fu posto attraverso una seria di riforme, per la maggioranza detestate dalla massa della popolazione e
quindi imposte con la forza.

Le riforme di Pietro

- Costruzione di porti e fabbriche;


La Russia non aveva porti, per averceli doveva conquistare degli sbocchi sul mare e quindi fare guerra. Per tale
necessità, migliorò l’esercito con cannoni e fucili migliori. Creò quindi scuole e università che formassero specialisti e
ingegneri.

- Riforma dei costumi;


Impose alla nobiltà e alla burocrazia di tagliarsi la barba e cambiare gli abiti;
Su questi aspetti incontrò opposizione, in quando costituivano una rottura con la traduzione e una laicizzazione della
mentalità russa, poiché in ottica religiosa, tagliarsi la barba voleva dire far venir meno la somiglianza tra Dio e la
creatura umana. Imporre il taglio della barba è una violenza simbolica dirompente, indicava la volontà del sovrano di
laicizzare la società russa. Il taglio dei vestiti, si può affermare, fosse meno simbolico.

- Semplificazione dell’alfabeto;

- Calendario adeguato a quello europeo;

- Esercito riorganizzato all’europea;


Uniformi, ordini, tecnologie importate da Svezia, Germania, Francia.
Tutti i nobili vennero obbligati a radersi la barba, a vestire all’europea e a dedicare completamente la loro vita allo
Stato. Si lasciò ai nobili i contadini ma i nobili erano servi dello stato; la loro intera esistenza era dedicata allo
stato; potevano servire o nell’esercito o nella flotta oppure come funzionari o burocrati e vennero organizzati con
la famosa tabella dei ranghi, che prevedeva 14 gradi di servizio. La società russa, soprattutto quella medio-alta,
funzionari e militari, vennero gerarchizzati, organizzata come un esercito. Anche i civili avevano i gradi.

Tutto il paese venne sottoposto ad un’accelerazione violenta sia per la forza che per l’intensità con la quale Pietro impose
queste riforme verso la modernizzazione. Se prima di Pietro gli elementi culturali europei arrivavano piano piano,
naturalmente, lui li impone con la forza.

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Attraverso queste rapide riforme, ottiene importanti vittorie, come la conquista dello sbocco sul Baltico, fondamentale per
i commerci e dove realizzò il suo capolavoro, simbolico e pratico, la città di San Pietroburgo, fondata nel 1703 e divenuta
poi nuova capitale dell’impero russo.
La città nasce come simbolo e incarnazione della volontà modernizzatrice e europeizzatrice di Pietro il Grande; venne
definita “gran finestrone aperto sull’Europa”.
Pietro impose anche una riforma dei costumi, voleva che i russi diventassero europei.
Siccome in Europa le donne andavano in pubblico, Pietro decise che anche in Russia dovesse essere così e quindi
cominciarono ad andare in pubblico, a teatro, “nude e scollate” come si diceva allora, secondo la moda europea.
Si cominciò a costruire con gli stili europei, ad ascoltare musica europea, le classi alte cominciavano a parlare il tedesco e
il francese.
Si cominciò a fare letteratura, musica e dipinti secondo i modelli europei. In Russia hanno impiegato un intero secolo per
arrivare a Puskin. Per un secolo hanno imitato l’architettura, la letteratura, la pittura, la musica occidentale importando un
numero enorme di specialisti italiani, francesi, tedeschi. Dopo un secolo, la Russia è diventata autonoma; il 1812
costituisce l’anno simbolico.

Pietro compie anche un’altra riforma importante; nel 1709, muore il patriarca Adriano, capo della chiesa ortodossa e
Pietro non ne fa eleggere un altro, ma pone a capo il santo sinodo, un organo costituito sia da ecclesiastici che da laici
ma diretto da un laico.
Trattò la Chiesa come un ministero dello stato russo.
Tutti questi cambiamenti furono rapidissimi, violenti e traumatici per il popolo russo, il quale però dovette piegarsi, a
partire dalla nobiltà e dalla burocrazia; nel giro di pochi decenni furono costretti a europeizzarsi completamente.
Con Pietro il Grande, la Russia volle diventare un paese europeo. Questa europeizzazione ha dato alla Russia la forza e
l’energia per rimanere al passo con l’Europa, la quale non ha potuto sconfiggere militarmente la Russia (quando ci ha
provato nel 1812 con Napoleone, non ci è riuscita).

Quando noi parliamo della cultura russa, distinguiamo alcune fasi:


• La Rus’ di Kiev fino al 1240;
• La Russia del giogo mongolo 1240 - 1480
• La Russia di Mosca 1480 - 1695 (sino a che Pietro diventa imperatore) o 1703 (fondazione di
Pietroburgo)
• Da allora sino alla rivoluzione 1907 epoca pietroburghese o pietrina; epoca nella quale la Russia è
stata particolarmente vicina all’Europa.

Il regno di Pietro il grande (1695-1725) segna una fase nuova della storia e della cultura russa; nasce proprio un mondo
nuovo che naturalmente ha elementi di continuità con ciò che veniva prima.
Oltre all’importanza fondamentale che le riforme di Pietro hanno avuto per la storia della Russia, la sua figura ha una
straordinaria importanza anche a livello globale, a livello di storia universale.
Questo perché Pietro ha fornito un modello di comportamento che dopo di lui è stato imitato tanto volte. È stato cioè il
primo sovrano a decidere autonomamente, liberamente di europeizzare il proprio paese, il primo esempio di un sovrano a
decidere di mettere da parte, di rifiutare, almeno in parte, la propria tradizione culturale, nazionale, a vantaggio di un
modello straniero, quello europeo.
Pietro il Grande è il prototipo del sovrano che decide di europeizzare il proprio paese.
Altri esempi storici, caratterizzati dallo stesso percorso, si ritrovano in Turchia, Iran e Giappone.
Ci sono stati anche altri casi, per esempio, nel 1911 scoppia in Cina una rivoluzione repubblicana che dopo circa 40 anni
di feroci interni si conclude con l’avvento del comunismo.
In tuti questi combinazioni, sia pure in maniera diversificata, Pietro il Grande può essere considerato l’ispiratore. Colui
che ha dettato il modello di europeizzazione - colui, che accorgendosi della superiorità tecnologica di navi e cannoni
dell’Europa, decide di portare il proprio paese a imitare questo modello.
È per queste ragioni che si può affermare che Pietro merita davvero l’epiteto di “Grande”; i cambiamenti da lui apportati
hanno avuto un impatto immenso sia sulla Russia, che sulla storia universale, determinando il primo caso di
un’europeizzazione del paese.
Il successo nei processi di europeizzazione è stato, nei secoli successivi, ma ancora oggi, la formula magica, il segreto
dello sviluppo o meno dei diversi paesi. Se il Giappone ha conosciuto uno straordinario sviluppo politico, militare,
economico, è dovuto al successo della sua europeizzazione.
I paesi che non hanno voluto europeizzarsi sono andati in declino, come è successo per l’impero Ottomano.
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Nel ‘500, l’impero ottomano era lo stato più potente del mondo. Tutta l’Europa non riusciva a contenerlo. I sovrani,
sultani ottomani, dopo Vienna nel 1683, hanno cercato di modernizzare e europeizzare il loro paese ma non ci sono
riusciti perché non hanno voluto agire con la brutalità di Pietro il Grande nei confronti della tradizione, in primo luogo
religiosa. Per modernizzare l’impero, i sultani avrebbero dovuto rinunciare ad una parte sostanziale della tradizione
religiosa. L’impero ottomano è progressivamente declinato, sino a diventare nell’800 “il malato d’Europa”.
Più in generale, tutto il mondo islamico non riesce a modernizzarsi; è in ritardo nei confronti dell’occidente e ormai anche
della Cina.
Il segreto per una vera modernizzazione è quello di costruire scuole e mentalità moderne, cioè europee. La semplice
ricchezza non basta.
Si tenga quindi presente, che Pietro il Grande è stato fondamentale per la storia della Russia ma anche per quella mondale,
proprio per l’esportabilità del suo progetto.

03/10 - IV LEZIONE

Pietro muore nel 1725, dopo aver intrapreso un percorso straordinario di riforme, la valutazione delle quali è molto
controversa, ma la cui dimensione e impatto sono indubbie; la Russia è stata profondamente modificata.
Un aspetto cruciale da tener presente è che queste riforme coinvolsero prevalentemente (se non esclusivamente) le classi
alte della popolazione, quindi la nobiltà, la burocrazia, l’esercito e chiunque avesse a che fare con l’amministrazione
statale, mentre il resto della popolazione, che costituiva il 90% (composto da contadini, mercanti, minoranze etniche…)
ne rimase al di fuori. Il discorso riguardò soprattutto i contadini, in larga misura servi della gleba, i quali non vennero
affatto liberati ma rimasero costretti, da un sistema legale, ad essere sostanzialmente privi di diritti e di libertà, anche solo
di movimento.
Ciò come conseguenza del fatto che giustizia sociale e libertà erano idee estranee alla concezione di Pietro, il quale voleva
concentrarsi al rafforzamento da tutti i punti di vista della Russia (e non è neanche giusto colpevolizzarlo per questo).
Ai contadini non venne chiesto di occidentalizzarsi (non venne chiesto loro di tagliarsi la barba, di vestirti all’occidentale,
di studiare, di andare in società), non vennero proprio presi in considerazione. Quello che interessava a Pietro era la classe
alta, quella funzionale alle sue riforme, in campo politico, militare ed economico.
Anche la Chiesa non venne toccata dalle riforme di Pietro, se non nel venire privata del patriarca; alla morte del patriarca
Adriano nel 1700, Pietro ritenne opportuno governare la Chiesa attraverso il santo sinodo, un collegio costituito per metà
da laici e per metà da religiosi. La Chiesa veniva quindi guidata dalla Stato come se si trattasse di un ministero.
Ad ogni modo, la Chiesa continuava a vivere come prima, senza risentire profondamente dei cambiamenti che avvenivano
all’interno del paese.
Abbastanza sorprendentemente, anche il ceto mercantile, allora abbastanza forte, rimase estraneo alle riforme di Pietro;
non venne costretto ad adeguarsi al nuovo corso (se un mercante desiderava simbolicamente tagliarsi la barba,
modernizzarsi, cominciare a parlare tedesco e francese, nessuno glielo impediva ma non era costretto a farlo).
I mercanti non dovevano prestare servizio statale a differenza dei militari o dei funzionari, e quindi erano relativamente
liberi di vivere come volevano, a rispetto ovviamente delle leggi.
Idem per quanto riguarda le varie minoranze nazionali, quali i tartari della Volga, le tribù siberiane, le tribù euro finniche
del nord Russia e le popolazioni contadine del Baltico (quelle che oggi sono gli Estoni e i Lettoni) che non vennero
occidentalizzate.
Il fatto che fu coinvolta solo la parte alta della popolazione dalle riforme, ha creato una situazione molto particolare nella
società russa: una sorta di profonda spaccatura tra i vertici e la base (in realtà questa si può riscontrare in tutte le
società del mondo, però non in una misura così elevata come nella Russia di Pietroburgo).
Gli stessi Russi si accorgevano di questo abisso, che non era solo economico, ma anche culturale e psicologico.
Questa spaccatura venne poi chiaramente percepita, dalla fine del ‘700 e per buona parte dell’800, dai principali esponenti
della cultura russa, i quali la consideravano come una situazione anomala e dannosa, un qualcosa che pregiudicava l’unità
della nazione russa, il comune sentire.
Nella Russia del Settecento, la massa popolare dell’80-90% guardava il restante 10% europeizzato quasi come a degli
stranieri in patria. Non si trattava solo di un divario economico, ma proprio di una differenza in termini culturali e
psicologici (case, vestiti, lingue diverse…).
Si creò dunque un forte senso di straniamento, di estraneità. I nobili russi, dopo la venuta europeizzazione, guardavano
con una certa preoccupazione questa massa contadina, così completamente lontana dagli ideali innovativi europeizzanti
introdotti da Pietro. Vedevano in essa una sorta di materiale umano pre moderno, una sorta di peso della storia,

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completamente estraneo alle nuove idee e ai nuovi gusti. Era come se ci fossero due mondi che comunicavano molto poco
all’interno dello stesso paese.
Per tutto il Settecento, la Russia, e soprattutto la sua cultura, ha conosciuto un processo intenso di ricezione dei modelli
culturali provenienti dall’Europa (la letteratura si modella sul classicismo europeo, così come l’architettura).
La capitale Pietroburgo è una città completamente europea, non c’è nulla di russo precedente alla costruzione, è tutto
nuovo, costruito all’europeo, prevalentemente da architetti francesi e italiani.
Stesso discorso vale per la musica, che venne importata dai grandi musicisti europei (ancora soprattutto francesi e italiani)
o per la pittura (per tutto il Settecento abbiamo opere che imitano modelli europei senza particolare interesse).
La cultura e la società russa, pian piano, con un percorso inizialmente meramente imitativo comincerà poi a produrre
qualcosa di altissimo livello e che è al contempo russo ed europeo. Si ricordi che questo processo di europeizzazione che
coinvolse la cultura, la letteratura, la pittura, la musica, riguardò solo le classi alti della società; la vita del resto della
popolazione rimase indietro, senza affrontare particolari cambiamenti.
Si crearono così due mondi separati all’interno di un unico paese.
Nella storia della cultura russa ci sono tante opere che trattano di questi due mondi, tra le quali citiamo quella
dell’3illuminista Radiščev (1749-1802), autore di Viaggio da Pietroburgo a Mosca (1792).
Tra i modelli letterali che si poneva Radiščev abbiamo Montesquieu con Le lettere persiane.
Non si tratta di un viaggio tanto realista, ma quanto didascalico; il viaggio diede descrizioni realiste della situazione dei
villaggi che incontrava, ma, al tempo stesso, non era ancora quella letteratura realista di metà ‘800. Era piuttosto
letteratura sentimentale (la prima fase del Romanticismo, in Europa e anche in Russia, è chiamata normalmente
sentimentalismo). Radiščev voleva rappresentare l’angoscia che una persona come lui, quindi nobile, istruita
all’occidentale, secondo i più alti parametri europei, impregnata di idee illuministe, provava in un viaggio che lo poneva a
contatto con il popolo russo dei villaggi tra Pietroburgo e Mosca (viaggio che allora durava settimane e per cui bisognava
affrontare condizioni terribili).
Questa immersione nella condizione contadina, tradizionale, popolare doveva essere traumatica, nessuno prima di
Radiščev ne aveva descritto la situazione economica, giuridica, l’aspetto, il byt’ (l’aspetto della vita quotidiana) e lo fa con
un intento polemico e politico: vuole rappresentare la vita grava dei poverissimi, privi di libertà in quanto servi della
gleba, completamente al di fuori da tutti i benefici e gli ideali della società moderna.
Il discorso di fondo di Radiščev era questo: a cosa serve la modernizzazione di Pietro, se i benefici riguardano soltanto
una piccola parte della popolazione, mentre il resto, la gran parte, è in condizioni economiche terribili e si trova privata di
libertà elementari?
Il libro venne scritto dopo la rivoluzione francese e l’autore passò un sacco di guai (fu arrestato e deportato).
Sul trono all’epoca c’era Caterina II La Grande (1729-1796), principessa tedesca (da Pietro il Grande in poi, i sovrani
russi hanno sempre sposato principesse tedesche, in qualche caso, danesi). Quando salì al trono, il marito venne ucciso in
una congiura. Lei rimase sul trono, non si risposò più e governò per più di trent’anni da sovrana russa di origine tedesca e
ampiamente impregnata di idee illuministe (aveva una corrispondenza con Leibniz, Voltaire...).
Caterina II era una donna colta e compì importanti riforme. Per alcuni decenni, gli illuministi europei la guardarono
addirittura con grande speranza, come a colei che avrebbe potuto mettere in pratica le idee illuministe che nascevano negli
altri paesi, in Russia. Purtroppo, però, Caterina “civettava” con le idee dell’illuminismo europeo, senza metterle mai
realmente in pratica. Finanziava scienziati, scrittori, scriveva lei stessa riviste, ma non volle mai applicare le idee
essenziali dell’Illuminismo, come quella di giustizia sociale (perché avrebbero significato una riduzione del suo potere).
Scoppiata la rivoluzione francese, ne rimase scandalizzata.
Caterina cessò immediatamente di “civettare” con le idee illuministe e inviò l’esercito a combattere contro i rivoluzionari
francesi. In questo contesto, il povero Radiščev che scriveva quest’opera, passò dei guai, in quanto la sua opera sembrava
politicamente scorretta (e lo è!), dal momento che chiedeva apertamente un cambiamento politico, economico, sociale per
i contadini, a discapito degli aristocratici. Per queste ragioni, Radiščev è normalmente considerato il capostipite
dell’opposizione politica in Russia.

Anni fa, quando ancora esisteva l’Unione Sovietica, Radiščev veniva considerato come una sorte di eroe culturale, il
primo a levare la sua voce contro l’ingiustizia politico-sociale della Russia. In epoca sovietica, soprattutto in URSS,
veniva costruita una genealogia dei rivoluzionari, composta da autori, pensatori, da nuovi politici che, a partire da

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Anche l’Illuminismo, assieme a Classicismo, arriva in Russia ma qui le idee illuministe di progresso, giustizia, ovvero quelle che poi
porteranno alla Rivoluzione francese, nel contesto della Russia settecentesca costituiscono delle idee improponibili. La Russia era un
paese in cui il 70% della popolazione era servo della gleba, in cui l’autocrate era onnipotente e la nobiltà era insignificante rispetto a
lui.
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Radiščev, e sino a Lenin, combattevano per abbattere il sistema imperiale. Questo tipo di genealogia rivoluzionaria ora
non c’è più e, per certi aspetti, questo costituisce un peccato, in quanto costituiva una chiave importante di lettura.
Per quasi tutto l’800, anzi, a partire dal 1792, data della pubblicazione dell’opera di Radiščev, la cultura russa fu
ampiamente di opposizione al sistema politico.
Con Radiščev nasce una tradizione di impegno politico - culturale, destinato in Russia a rimanere fortissimo sino alla
Rivoluzione. Ha una formidabile importanza storico-culturale.
Questo processo di europeizzazione culturale in Russia è proseguito per tutta l’epoca petrina, a prescindere dal fatto che i
vari artisti, scrittori, pittori o musicisti, fossero sostenitori o oppositori del sistema zarista. Il modello culturale europeo ha
continuato a penetrare all’interno della Russia fino alla rivoluzione del 1917.
Come vedremo, alcuni autori, pensatori ne erano scontenti e si opponevano, ma il processò continuò.

Allo stesso tempo, la società russa rimaneva in larga misura ancora tradizionale, impostata su una situazione politico-
sociale che vedeva il dominio dell’autocrate, il cui sostegno principale, dal punto di vista politico sociale e militare, era la
nobiltà e con la Chiesa ortodossa, che pure essendo trattata come un ministero, era comunque fedelissima al potere dello
zar. Al di sotto, vi era l’immenso elemento popolare rappresentato principalmente da contadini, analfabeti e soggetti alla
servitù della gleba, vi era una situazione sociale grave, quasi “medievale”, assolutamente anacronistica. Mentre l’Europa
andava in una direzione completamente diversa, in particolare dopo la Rivoluzione francese, la Russia manteneva questo
suo assetto politico sociale, assolutamente in contro tendenza con le linee di evoluzione della società europea. Al tempo
stesso, però, la penetrazione della cultura europea all’interno di quella russa continua. Si ricordi che la servitù della gleba
in Europa fu abolita massimo al 600, mentre in Russia perdura fino al 1861. Si è creata in seguito all’opera di Pietro il
Grande una Russia molto particolare, divisa, lacerata e per certi aspetti “schizofrenica”, in cui la cultura conosceva uno
sviluppo molto rapido e molto forte in senso europeo mentre la società, soprattutto nella sfera politica, non seguiva gli
stessi cambiamenti.
Dopo la Rivoluzione Francese, dopo Napoleone, la Russia divenne baluardo europeo della conservazione della reazione
politica difronte ai cambiamenti che avvenivano n Europa Occidentale.

Episodio successivo, ma assolutamente collegato alla Rivoluzione Francese, e il suo significato per la Russia

Napoleone è, da un lato, il prosecutore della Rivoluzione francese, colui che ne esportò alcune idee, in particolare
attraverso il suo approccio napoleonico che metteva davvero in uso buona parte delle idee illuministe, ma al tempo stesso
le usava per acquisire un potere personale, e questo è ciò che l’ha portato per due decenni a essere il padrone d’Europa,
quasi incontrastato. Il potere di Napoleone era quasi incontrastato perché aveva due oppositori, l’Inghilterra e la Russia.
Napoleone non riuscì a sconfiggere né l’Inghilterra - difesa dal mare e da un sistema politico capace di autoriformarsi (a
differenza di quello monarchico francese o quello russo) - né dalla Russia che si oppose a Napoleone, contrastandone
l’egemonia europea sicché Napoleone invase la Russia nel 1812.
L’invasione della Russia da parte di Napoleone è un momento storico culturale di straordinaria importanza, sia per la
Russia che per l’Europa.
La ritirata di Napoleone segnò l’inizio della fine del suo potere e fu la Russia essenzialmente a sconfiggere Napoleone,
insieme all’Inghilterra (ma l’Inghilterra si difese aldilà dei mari, la Russia combatté).

La Russia, storicamente, è stata un paese aggressivo e minaccioso nei confronti dell’Europa?


Teniamo presente che noi viviamo in Unione Europea che la percepisce e che ha fatto sanzioni contro la Russia. Viviamo
all’interno di un’alleanza militare, la NATO, che scrive esplicitamente che la Russia è il principale nemico dei paesi che
fanno parte dell’alleanza. Europa e NATO percepiscono la Russia come una minaccia, è un dato di fatto, almeno a livello
di istituzioni europee.
Nella percezione russa dei rapporti tra Europa e Russia, i russi, non solo non accettano l’idea di aver costituito una
minaccia per l’Europa ma vi snocciolano tutte le invasioni europee che hanno dovuto subire (quella Napoleonica, di
Hitler, dei Polacchi, dei cavalieri teutonici…).
Esiste, nella percezione storico culturale della Russia, l’idea che sia l’Europa a minacciare e a invadere periodicamente la
Russia e non il contrario.
Effettivamente nel 1812, l’esercito di Napoleone, che contava 500mila uomini (uno dei più grandi eserciti visti nella storia
dell’umanità, sino a quell’epoca), compie proprio un’invasione europea della Russia, guidata dell’imperatore francese,
con un esercito immenso, prevalentemente composto da italiani, tedeschi, polacchi. Si trattò di una vera e proprio
invasione della Russia da parte dell’Europa, di quella post-rivoluzionaria, che diffondeva, attraverso il potere di
Napoleone, un modello politico e culturale diverso da quello zarista. Questa invasione del 1812 è stato un evento politico

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e culturale fondamentale; da una parte, per l’Europa, perché ha segnato l’inizio del declino dell’ascesa napoleonica,
dall’altra, per la Russia, per il ruolo della popolazione civile nel conflitto.
Napoleone viene sconfitto dal freddo, dal grande inverno russo. Non erano impreparati i francesi, ma le temperature erano
realmente ingestibili per chi non è abituato.
Nel momento in cui si è disperso l’esercito data l’estensione della Russia, la forza numerica di questi si indebolisce. I
Russi fanno passare l’esercito e dietro le linee cominciano a organizzare una resistenza partigiana, facendo operazione di
guerriglia ai danni dell’esercito francese. Chi resiste all’esercito napoleonico? La popolazione civile.
In Guerra e Pace 20/30 pagine sono in francese perché dopo un secolo di riforme petrine, i russi si erano europeizzati.
Verso metà libro non si parla più francese, simbolicamente i Russi cessano di parlare la lingua del nemico: i russi sono
traumatizzati dall’invasione francese. È la Francia, il paese europeo più importante di quell’Europa che per un secolo,
imitano sistematicamente la cultura. La Russia deve opporsi al paese, ma in generale al continente europeo, di cui imita i
modelli da un secolo. I vertici della società russa, che parlano, scrivono, ballano da europei devono difendersi dai loro
modelli.
Per la cultura russa e per la sua storia è un momento importantissimo.
L’invasione napoleonica costringe le Russia a ripensare il proprio rapporto con l’Europa.
In Guerra e Pace c’è una scena di straordinaria importanza, normalmente la si chiama la La danza di Nataša.
Natasha è la protagonista femminile di Guerra e Pace. È una nobile, educata all’europea, veste europeo, parla francese e
non sa nulla del popolo. Ad un certo punto durante l’invasione, fa una gita con alcuni parenti in campagna, in visita da
uno zio, e avviene una scena simbolica, estremamente interessante; sente una musica popolare russa.
La contessina Nataša, sentendo questa musica, si fa dare un fazzoletto e si mette a ballare, per la prima volta in vita sua,
una danza popolare russa, che apparentemente non conosceva.
La danza di Nataša vuol dire simbolicamente che, se una contessina, educata all’europea, che non ha mai fatto nulla di
russo e che per l’elemento popolare nutre una sorta di sentimento misto tra il disprezzo e al paura, al solo sentire una
musica popolare, scopre inaspettatamente, per se e per gli altri che la guardano, la capacità e il desiderio di ballare alla
russa, vuol dire, dice Tolstoj, che la spaccatura tra i vertici europeizzati della società russa e le classi bassi popolari, non è
così profonda e può (e deve), essere superata.
Tutto il 1812, nella storia della cultura russa, è “l’anno della danza di Nataša”, cioè il momento in cui il popolo russo,
dopo un secolo di spaccatura tra i vertici e la base, deve ricompattarsi per combattere contro un invasore in una guerra che
vede insieme tanto i nobili europeizzati, quanto i contadini nello spirito unitario che è rappresentato simbolicamente dalla
danza di Nataša.
Il 1812 dunque, da questo punto di vista è uno spartiacque fortissimo. È nel 1812 che la cultura russa moderna entra nella
sua fase più importante, cessa di essere puramente imitativa nei confronti dell’Europa e si avvia molto rapidamente a
produrre il secolo d’oro (1812-1917).

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10/10 - V LEZIONE

Pëtr Čaadaev e Nikolaj Trubeckoj


Tra loro due figure antitetiche e antinomiche, ma entrambi fondamentali per la comprensione della visione russa della
storia.

Le riforme europeizzatrici di Pietro il Grande cambiano la Russia in profondità (ma non completamente) e costringono,
almeno le classi alte, a modellarsi sulla civiltà europea.
Questo processo di modernizzazione non ha coinvolto tutta la Russia, tutti i ceti, ma soltanto le classi alte, in particolare la
nobiltà, la borghesia e l’esercito.
Nonostante ciò, tale processo ha avuto un’importanza notevole e ha portato la Russia a rimodellarsi, nel corso del
Settecento, secondo le indicazioni di Pietro.
Nel 1763, l’altra grande sovrana di quest’epoca, Caterina II (che di nascita era tedesca) scrive, in francese, in una legge
“la Russia è una potenza europea”.
Ciò stava a significare che, dopo Pietro il Grande, la Russia diventava, per legge, per volontà degli autocrati, una potenza
europea.
Questo era il collocamento obbligatorio della Russia per volontà di chi la governava.
Il 1812, l’anno dell’invasione di Napoleone, è un anno fondamentale nella storia e nella cultura della Russia; dopo un
secolo e più di imitazione dell’Europa, la Russia è costretta a difendersi militarmente da essa.
In Russia si sviluppa con sempre maggior forza un sentimento nazionale e, pur rimanendo nella linea modernizzatrice
impostata da Pietro il Grande, deve porsi il problema di quale sia il suo rapporto con l’Europa (che la sta invadendo).
Sono questi anni cruciali, nei quali si prepara quello che viene considerato il secolo d’oro della Russia.
Per un secolo intero dopo Pietro il Grande, ci fu una lunga fase, essenzialmente imitativa della cultura russa, in cui
vennero riprodotti i modelli europei ma senza che diventassero veramente produttivi.
La cultura russa europea moderna diventerà grande proprio negli anni successivi all’invasione napoleonica. La Russia
riesce a respingere l’invasione e inseguendo l’esercito francese in fuga, arriva sino a Parigi; è questo per la Russia un
momento di grande affermazione politica.
Grazie a questa vittoria su Napoleone, la Russia diventa la più importante potenza politica e militare d’Europa.
Mentre l’Inghilterra domina i mari e l’economia mondiale grazie alle sue industrie, la Russia domina il continente europeo
con il suo esercito formidabile. Tuttavia, economicamente è molto arretrata, politicamente non è una democrazia
parlamentare come la Gran Bretagna, ma è uno stato autocratico, nel quale comanda l’imperatore e in cui una parte molto
consistente della popolazione è addirittura serve della gleba, come avveniva nel medioevo europeo.
La Russia si trovava quindi in una situazione particolarissima perché da un lato era la grande potenza militare ma
dall’altro, viveva un’ampia arretratezza economica e sociale.
Uno dei momenti cruciali della cultura russa è proprio l’arrivo in Europa, in particolare a Parigi, dei russi seguendo
Napoleone. Quando gli ufficiali russi, per la maggior parte nobili ed educati all’europea, arrivano a Parigi, si sentono
sopraffatti dalla ricchezza, dallo sviluppo sociale, economico del paese, nonostante fossero essi i vincitori.
Le memorie degli ufficiali russi sono piene di un complesso di inferiorità nei confronti dell’Europa. La Russia
potentissima, tolta Pietroburgo, era un paese di legno e di paglia - di villaggi - povero - abitato per lo più da servi della
gleba.
Gli ufficiali russi, che costituiscono l’élite militare, culturale, economica del paese si sentono a disagio. Molti di loro
sentono con chiarezza che, nonostante un secolo di europeizzazione, il divario con l’Europa è ancora enorme.
Molti di questi, quando tornano in patria, ormai al termine della guerra napoleonica, colpiti dall’arretratezza della Russia
rispetto l’Europa, cominciano a porsi il problema di cosa fare per risolvere questa situazione.
Molti di questi creano gruppi culturali, politici, più o meno clandestini, molti entrano nella 4massoneria per lavorare a una
riforma della Russia.
Tra i protagonisti di Guerra e Pace, Pierre Bezukhov, è proprio un massone.
Molti di questi ufficiali, che sono tutti nobili, lavorano, dopo il 1815, per vedere come si possa cambiare la Russia, al fine
di renderla più vicina al modello europeo.

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La massoneria è stata, per alcuni secoli, soprattutto nel Settecento e nell’Ottocento, un’associazione molto ramificata, al cui interno
persone, normalmente più ricche e colte della media della società, lavoravano per trasformare la società europea e russa in un senso
più avanzato, meno autoritario. La massoneria ha anche prodotto esperienze politiche molto negative. Nel complesso, quando si parla
di “loggia massonica” nella Russia dei primi dell’Ottocento, bisogna tenere presente che di queste associazioni semi clandestine
faceva parte l’élite economica, politica, culturale della società.
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È, da questi gruppi di ufficiali, che hanno visto Parigi, che nasce il primo movimento organizzato di opposizione
politica della storia russa moderna, i Decabristi.
Si trattava prevalentemente di nobili ufficiali; nel momento in cui morì lo zar Alessandro I tentarono un colpo di stato, una
rivolta, per cercare di imporre alla Russia una costituzione, ovvero una limitazione dell’impegno autocratico che, sul
modello europeo, consentisse maggiore libertà politica, culturale e sociale. La rivolta fallì e portò all’impiccagione cinque
dei suoi promotori e la deportazione in Siberia a molti altri. Tra i deportati vi erano i nomi migliori della società della
cultura russa dell’epoca, in particolare, i principi Trubeckoj e Volkonskij; nomi che ritornano continuamente anche in
Guerra e Pace.
Nel Settecento e per più di cinquant’anni dell’800, il governo della Russia, la creazione culturale della Russia, è nelle
mani di una ventina di famiglie, tutte imparentate tra di loro e vicinissime al trono; è la grande nobiltà russa, i cui i nomi si
ritrovano sempre nell’esercito, nella diplomazia, nella letteratura...
Anche il grande poeta Puškin, in gioventù, era vicinissimo alle idee decabriste anche se poi non partecipò alla rivolta.
Inoltre, per alcuni suoi amici decabristi, scrisse anche delle poesie, in cui raccontava della loro triste sorte al lavoro
forzato nelle miniere siberiane.
È da tenere presente che i Decabristi costituiscono anche un mito morale russo, in quanto persone che abbandonarono
ricchezze, onori, carriere, per cercare di rendere la Russia più moderna e più giusta.
Parte del mito decabrista è poi costituito anche dalle loro mogli, le quali, giovanissime, seguirono i mariti in Siberia,
fornendo un esempio, da un lato, di amore romantico coniugale e dall’altro, di coraggio civico e politico, in senso lato.
Diventarono così cruciali nella storia culturale russa.
All’interno della cultura russa, i Decabristi hanno fornito un modello di resistenza al potere, di coraggio civico. Hanno
creato un modello umano, politico, culturale di sacrificio che sarebbe poi diventato simbolico, paradigmatico nella
storia politica e culturale russa.
La persona, di cui parleremo oggi, era, anche lui, amico dei decabristi: Pëtr Čaadaev.
Era un nobile ufficiale che arrivò a Parigi con lo zar Alessandro I. Era un massone, nonché amico strettissimo di tutti i
principali decabristi. Odiando la violenza e le rivolte, non partecipò a quella decabrista; nonostante credesse nella giustizia
delle idee su cui era fondata, non riteneva altrettanto giusto applicarle con una rivolta armata, la quale poteva dimostrare
solo che l’immaturità della Russia. Un percorso di cambiamento politico, economico, culturale sarebbe dovuto avvenire
spontaneamente, non con un colpo di stato.
Alessandro I, che morì nel 1825 e che sconfisse Napoleone, fu, all’interno degli zar e degli imperatori russi, uno dei più
liberali. Soprattutto nei primi anni di governo, si circondò di ministri liberali, molti dei quali erano suoi amici e talvolta
anche non nobili. Per un po’ di tempo si pensò anche che lui stesso potesse applicare delle riforme liberali all’interno del
paese. L’uomo non era però molto coraggioso e probabilmente anche l’invasione napoleonica gli fece cambiare idea,
convincendolo del fatto che il potere dovesse rimanere forte e che cambiare avrebbe potuto indebolire la Russia.
Come conseguenza, sotto il regno di questo sovrano liberale, non ci furono riforme liberali profonde e durature.
Nel 1825 salì invece al trono, Nicola I, che tra i sovrani russi è stato probabilmente il più duro, conservatore e reazionario,
opponendosi con energia a qualsiasi forma di riforma liberale, non solo in Russia ma anche in Europa.
Dopo le guerre di Napoleone, il Congresso di Vienna, nel 1815, ricreò un sistema politico europeo di orientamento
legittimista conservatore, al cui interno, ovunque un sovrano venisse minacciato, sarebbe stato aiutato da gli altri sovrani,
disposti ad intervenire per riportarlo sul trono.
Nicola I fu il più entusiasta nel seguire questa politica restauratrice e, diverse volte, mandò i suoi soldati a riportare
l’ordine legittimo, sancito dal congresso.
In Russia, fu particolarmente repressivo e autoritario, ma bisogna tener presente che andò al potere dopo la rivolta
decabrista, quindi dopo uno scampato pericolo per cui l’autocrazia aveva rischiato di cadere.
Il primo sovrano a salire al trono dopo la rivolta era chiaramente molto preoccupato ma anche molto indignato; dal suo
punto di vista, i Decabristi erano dei traditori, essendo loro dei militari che avevano fatto un colpo di stato.
Nei decenni a seguire, dal 1825 sino al 1855, i trent’anni in cui Nicola I governò, sono gli anni più autoritari, reazionari
della storia russa moderna.
Dal punto di vista culturale, sono anche però gli anni in cui la Russia comincia a produrre figure, persone, artiste,
musicisti, scrittori di livello straordinario.
L’Ottocento russo, a partire dagli anni di Nicola, è straordinario in tutte le sfere della creatività culturale artistica.
In questo contesto, troviamo Čaadaev.
Si congedò abbastanza presto dall’esercito e passò tutto il suo tempo a fare la vita del nobile russo di quell’epoca, ovvero,
passando le giornate al teatro inglese di Mosca, a bere tea, a giocare a carte e a parlare.
Divenne probabilmente la figura di maggior spicco intellettuale della Russia di quegli anni, pur non pubblicando quasi
nulla; era molto noto nei circoli intellettuali aristocratici di Mosca.

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Nel 1836 fece pubblicare su una rivista, chiamata Telescopio, un testo che normalmente viene ricordato come “Prima
lettera filosofica di Čaadaev” che ha un’importanza enorme nella storia russa e che, come scrisse Herzen (altro grande
autore della metà dell’Ottocento) fu come uno sparo nella notte.
Čaadaev nella vita parlava in francese e nella stessa lingua scrisse le sue opere.
Lui scrive otto lettere, ma l’unica pubblicata fu la prima. In essa, espone ad una dama fittizia, la sua filosofia della storia,
della Russia, le sue idee sul rapporto tra la Russia e l’umanità.
Dopo la pubblicazione della sua lettera, la rivista venne chiusa, il giornalista deportato in Siberia e Čaadaev ufficialmente
dichiarato pazzo dallo zar, Nicola I.
In questa opera, Čaadaev parla essenzialmente della Russia, dicendo su di essa delle cose importantissime che fecero
un’impressione enorme sulla società colta russa dell’epoca, oltre che sullo zar.
Čaadaev contesta, in maniera molto eloquente, la visione della Russia, che si era imposta tra le classi colte del paese, dopo
le riforme di Pietro il Grande.
Ciò che sostanzialmente fa nella lettera è negare quello che aveva detto Caterina II, ovvero sostiene che non è vero che la
Russia è una potenza europea.
Nel farlo però è anche dispiaciuto, infatti Čaadaev era completamente europeizzato culturalmente, conosceva tutte le
lingue europee, quelle principali e quelle antiche; era nutrito completamente di cultura occidentale, tra l’altro era anche
molto vicino al cattolicesimo (pur non convertendosi mai).
Čaadaev avrebbe voluto che la Russia fosse un paese europeo come desiderato da Pietro il Grande e da Caterina II, ma
nella sua analisi non lo è.
Nell’analisi di Čaadaev, la Russia non è un paese europeo, ma peggio ancora, è un paese indistinto.

“Il punto è che noi non abbiamo mai camminato con gli altri popoli, non apparteniamo a nessuna delle grandi famiglie
del genere umano. Non siamo né dell’Occidente, né dell’Oriente e non abbiamo le tradizioni né dell’uno né dell’altro.
Situati come siamo al di fuori del tempo, l’educazione universale del genere umano non ci ha mai toccati.”

A giudizio di Čaadaev, il problema della Russia è, in primo luogo, una collocazione geografica periferica marginale e
assurdamente settentrionale.
Al di la di questo, fa però un discorso storico culturale molto preciso e importante.
Secondo lui, la Russia paga e pagherà per sempre, una specie di peccato originale, commesso all’inizio del suo percorso
storico dai sovrani di allora.
Ciò di cui parla è il fatto di aver deciso di far diventare la Russia cristiana, seguendo Bisanzio anziché Roma.
Secondo Čaadaev, questa scelta bizantina orientale avrebbe estraniato la Russia dal percorso storico culturale politico
dell’Europa occidentale.
Čaadaev non è soltanto un russo europeizzato, ma un vero e proprio europeo che soffre di essere russo, che ama l’antichità
greca e latina, così come anche il medioevo europeo con il suo autogoverno cittadino, l’umanesimo, il rinascimento …
Čaadaev non vede nulla di tutto questo in Russia, e da’ la colpa di ciò al peccato originario, alla scelta bizantina di
Vladimir, alla fine del decimo secolo.
Da questo punto di partenza della critica spietata, che Čaadaev fa alla Russia, tutto nella storia russa appare barbarico,
rozzo, marginale, insignificante.

La Russia ha confini vaghi, è un territorio brutto, pianeggiante.


La Russia non conosce il diritto romano. In Russia la legge è del sovrano che fa quello che vuole. Non c’è il culto della
legge che esiste in Europa, la quale si è formata sul diritto umano. In Russia non c’è l’eredità greca, non c’è Aristotele,
non c’è Platone. Manca la dimensione classica. La Russia per di più ha conosciuto il terribile giogo tartaro, si è fatta
dominare per secoli da una potenza barbarica, asiatica, nomade. E se la conversione al cristianesimo attraverso Bisanzio è
stata un peccato originale, il dominio tartaro è stato una specie di castigo divino.

Čaadaev vede tutto negativamente, anche dopo le riforme di Pietro il Grande, del quale dice:

“Una volta un grande uomo volle civilizzarci e, per farci pregustare i lumi della ragione, ci gettò sulle spalle il mantello
della civiltà. Raccogliemmo il mantello, lo indossammo ma non ci accostammo alla civiltà.”

In sostanza, ciò che dice, è che pur indossando abiti europei, barbari erano e barbari rimarranno. In queste trenta pagine ci
sono affermazioni terribili sui russi, come quando sostiene che essi non abbiano un volto bello come quello dei popoli
meridionali che invece hanno una fisionomia parlante. A confronto i russi vengono da lui definiti mossi e scialbi.

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Čaadaev è una specie di straniero in patria; accusa la Russia delle cose peggiori, di tutte quelle di cui è solita venire
accusata dall’Occidente, mentre sta volte è dall’interno.
Čaadaev non ama nulla della Russia; non gli piacciono le icone russe, né l’architettura e neppure le poesie di Puškin, il
quale era peraltro suo amico.
Vive negli anni di Puskin, Lermontov, Gogol’ e non apprezza nulla. La Russia gli appare vuota, barbarica, inutile e i russi
una popolazione senza talento.
Čaadaev, quando scrisse queste parole, demolì il mito condiviso da tutta la classe colta russa, che, almeno dopo Pietro il
Grande, la Russia si europeizzata.
La sua è un’analisi disperata, terribile, corrosiva.
Si pensi al fatto che quest’uomo fosse una contraddizione vivente. L’Europa che piaceva lui non era quella liberale
dell’800. Lui era un conservatore filocattolico. Gli piaceva il papato. Non gli piacevano i Parlamenti, abborriva la
Rivoluzione francese. Con le sue parole, tutte le certezze, che la Russia petrina sembrava aver immagazzinato prima di
Čaadaev, vennero demolite, prese d’assalto.
In effetti la maggioranza dei russi colti pensava che fosse così, che prima di Pietro il Grande la Russia fosse un paese
barbarico, marginale, periferico, arretrato, e che grazie a lui poterono entrare nella famiglia europea.
Il fatto che Čaadaev venne dichiarato pazzo, dichiarava l’inammissibilità da parte del potere di queste tesi, che minavano
il fondamento stesso del paese.
La società colta russa, costituita allora da circa due-tremila persone, fu costretta a riflettere e a prendere una posizione.
Normalmente, la Prima lettera filosofica, è posta all’inizio del pensiero russo moderno.
Possiamo affermare che con Čaadaev, la cultura russa è arrivata ad una fase nuova ed importantissima della sua storia, ha
portato la cultura a riflettere su sé stessa.
Prima di lui, non esisteva un’autoriflessione sull’identità nazionale del paese. I soldati costruivano un impero sempre più
grande, gli artisti imitavano gli europei, cominciava a nascere una grande letteratura ma nessuno rifletteva su cosa fosse la
cultura russa.
Il dato dell’europeizzazione sembrava acquisito del tutto e totalmente positivo.
Čaadaev crea crisi. Dopo di lui, nasce una linea di pensiero interna alla cultura russa, che arriva sino ad oggi,
letteralmente.

Che cos’è la Russia? Dove sta nella storia? Qual è la sua collocazione? È la Russia un paese europeo oppure no? E se
non è europea, cos’è?

Il tema della riflessione russa sulla Russia è entrato nella cultura russa, a partire da Čaadaev, con una forza enorme e non
l’ha più abbandonato.
La riflessione russa sull’identità della Russia è probabilmente il motivo dominante nel pensiero russo da Čaadaev ai
nostri giorni.
Questo tema ha percorso con forza tutto l’ottocento e tutti i primi decenni del Novecento, sebbene parzialmente soffocato
con la violenza in epoca sovietica, la stessa riflessione identitaria ritornerà quando la Russia diventa indipendente, nel
1991.
Nella Russia di oggi c’è questo effetto particolarissimo per cui i temi agitati, così violentemente da Čaadaev nel 1836, a
distanza di quasi duecento anni, sono ancora vitali e fondamentali.
Dopo Čaadaev la necessità di rispondere alla sua sfida, alla sua provocazione intellettuale, ha dato vita ad una serie di
movimenti intellettuali, che hanno fatto la storia della cultura russa; le due risposte principali furono quelle dei slavofili e
degli occidentalisti.
La provocazione intellettuale di Čaadaev costrinse i russi a non dare più per scontato il dato dell’avvenuto inserimento
della Russia nel sistema culturale europeo. I russi sono stati costretti a rispondergli, quasi nessuno ha accettato le sue tesi,
così estreme, radicali, e persino ingiuste.
Quasi nessuno ha accettato le tesi di Čaadaev così distruttive nel passato politico e culturale della Russia, così
entusiastiche nei confronti del passato dell’Europa. Inoltre, Čaadaev aveva la particolarità estrema di essere occidentalista
ma destando lo sviluppo più recente dell’Europa, quello post-rivoluzionario, detestava la rivoluzione francese, il
liberalismo ateo.
Quelli che vengono chiamati occidentalisti non erano veri e propri suoi discepoli; essi sorridevano alla sua esaltazione del
medioevo europeo e del papato, e guardando pure loro all’Europa, lo facevano in una direzione diversa, prevalentemente
all’Europa del dopo rivoluzione, dei movimenti liberali e socialisti. Accettavano da Čaadaev che la Russia fosse un paese
disgraziato e che dovesse europeizzarsi e modernizzarsi ma non volevano queste sulla base del papato o dei comuni
medievali, ma sulla base dell’idea liberale e socialista. Non bisogna quindi pensare agli occidentalisti come a dei seguaci

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delle idee di Čaadaev, ma piuttosto come a coloro che, di fronte alla sfida intellettuale da lui lanciata, hanno dato delle
risposte in senso progressista, laddove gli altri invece, quelli che normalmente vengono chiamati (troppo genericamente!)
“slavofili”, hanno contestato il giudizio negativo sulla Russia e hanno quindi fatto un lavoro importante di costruzione di
un’immagine della Russia passata e presenta dell’800 positiva, in modo da reagire alle critiche di Čaadaev.
Occidentalisti e slavofili vanno pensati come grandi aree di riferimento culturale che hanno delle idee in comune e non.
Come vedremo la prossima volta, gli slavofili era persone impegnate a costruire un’idea positiva della storia, della cultura,
della mentalità e persino della fisionomia russa.

17/10 - VI LEZIONE

Gli slavofili

Čaadaev una lettera scritta per stroncare la Russia. La reazione politica fu molto forte, venne dichiarato pazzo ma non
subì altre sanzioni.
Tutti cominciarono a riflettere sulle sue parole, soprattutto coloro che non condividevano le sue idee.
Dopo di lui, alla sua tesi distruttiva, furono date molte risposte. In realtà, praticamente nessuno in Russia accettò
integralmente le sue tesi, ma tutti furono costretti a prendere posizione. Le risposte furono date da un gruppo di persone,
tra di loro anche molto diverse, che non accettavano per nulla le tesi di Čaadaev. Si tratta di coloro che all’ingrosso
vengono chiamati Slavofili, ma che in realtà non possono essere ricondotti soltanto a questa definizione.
A non accettare le tesi di Čaadaev furono in primo luogo, non gli slavofili, ma tutti coloro che, pur restando
completamente nella legalità politica culturale, rimanendo vicinissimi alla politica zarista, lo fecero ribadendo che la
Russia era un paese grande, importante e degno di lode e di stima, ma anche che l’europeizzazione voluta da Pietro il
Grande aveva prodotto risultati importanti e che quindi fosse necessario rigettare le tesi di Čaadaev, sostanzialmente
sbagliate. Questa posizione può essere considerata “ufficiale” delle autorità russe. Questa posizione è normalmente
chiamata narodnost’ (народность) = elemento popolare. Dottrina attribuita a Sergey Uvarov, che diceva che lo stato russo
si fondava su tre principi:

- ORTODOSSIA, la fede cristiana nella variante ortodossa;


- AUTOCRAZIA, il potere monarchico non limitato da nulla;
- NARODNOST’ (non vuol dire popolo o populismo, ma “ciò che connota un popolo” - “elemento popolo” -
“caratteristica del popolo” - “ciò che fa del popolo russo un popolo diverso dagli altri”)

L’ideologia di Uvarov ebbe il consenso dell’imperatore.


Questa ideologia era un’ideologia conservatrice; accettava le riforme di Pietro e l’europeizzazione del paese ma di questa
europeizzazione dava una versione autoritaria, autocratica, rifiutando il liberalismo che si stava diffondendo in Europa in
quegli anni e insisteva molto sull’elemento popolare.
Epoca culturale degli anni trenta Romanticismo (che insisteva sull’idea di popolo a differenza dell’Illuminismo
settecentesco.)
Ogni popolo il proprio destino, proprio specificità, proprio spirito popolare.
L’elemento della narodnost’ era una creazione dell’epoca romantica.
I sostenitori della narodnost’ ufficiale non possono essere considerati slavofili, questo termine va ristretto ad altre persone.
Lo stato zarista non è mai stato slavofilo. Questa ideologia ufficiale può essere considerata sicuramente conservatrice, era
però europeizzante perché accettava le riforme di Pietro il Grande.
Tra i più grandi esponenti della ideologia nazionale, oltre a Uvarov, può essere considerato lo storico Nikolaj Karamzin
(autore di un’imponente opera storica, “Storia dello stato russo” in tre volumi).
Il più grande scrittore russo, Puškin, può essere considerato, negli ultimi anni di vita, vicino all’ideologia nazionale. Era
uno strettissimo amico di Čaadaev, e quando nel ’36 uscì la lettera, Puškin rispose dicendo che non era d’accordo.
Puskin non era uno slavofilo, così come non lo erano Karamzin o gli zar russi.
Gli slavofili veri e propri erano orientati in maniera diversa.
Gli slavofili erano poche persone.
I due fondatori dell’ideologia slavofila sono i due fratelli Ivan e Pëtr Kireevskij.
Altre persone influenti sono Aleksej Chomjakov, Konstantin Aksakov, Jurij Samarin; tutti nobili che si conoscevano tra
loro.

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Questi signori, i cosiddetti slavofili, a differenza dei sostenitori della dottrina della narodnost’ ufficiale, possono essere
chiamati slavofili.
Cosa dicevano queste persone?
Tutti amici personali di Čaadaev, si incontravano al club, ai balli e a teatro. A Čaadaev risposero con affetto e con stima,
ma dicendo che aveva completamente torto; la Russia è un paese grande, fisicamente e storicamente, che non deve
assolutamente sentirsi schiacciato dall’Europa, non deve sentire nei suoi confronti alcun complesso di inferiorità.
Gli slavofili, senza rifiutare o negare completamente le riforme di Pietro il Grande, affermavano che la Russia era un
paese culturalmente ammirevole, anche prima delle riforme di Pietro.
Gli slavofili, in varie opere, affermavano che la grandezza della Russia, a prescindere da Pietro il grande, poggiava
essenzialmente su due pilastri; uno di questi era fondamentale, il più importante di tutti, l’ortodossia (il quale era anche
uno dei tre pilastri della dottrina ufficiale).
A differenza dei sostenitori dell’ideologia ufficiale, gli slavofili mettevano l’aspetto religioso al centro della loro
riflessione. Da un lato erano tutti intensamente credenti, almeno un paio di loro erano anche teologi, ma soprattutto
vedevano nell’ortodossia la forma più alta del cristianesimo.
Si ricordi invece che Čaadaev sosteneva che l’inizio delle disgrazie russe fosse derivato proprio dall’aver assunto il
cristianesimo da Costantinopoli, dalla variante ortodossa invece che da quella cattolica.
Gli slavofili ribaltavano il giudizio di Čaadaev; secondo loro, il cattolicesimo è una forma di cristianesimo negativamente
influenzata dal passato pagano, dallo spirito giuridico ereditato dai Latini; nella Chiesa cattolica tutto è regola giuridica,
non c’è libertà perché tutto era minuziosamente prescritto secondo una mentalità giuridica riferibile ai romani.
Al tempo stesso, gli slavofili rifiutavano anche il protestantesimo europeo (nato come rivolta contro il cattolicesimo) che
secondo loro aveva libertà ma non unità.
Quindi la forma più alta, più pura, più tradizionale di cristianesimo, sarebbe secondo gli slavofili, quella ortodossa,
composta da sia unità che libertà.
Inoltre, aggiungevano che nella chiesa ortodossa, soprattutto in quella russa, c’è qualcosa di specifico che non c’è nelle
atre chiese, la sobornost’ (собо́рность), ovvero, secondo gli slavofili, la caratteristica psicologia principale della chiesa
ortodossa, la sua capacità di vivere e sentire tutti assieme.
Il termine non viene generalmente tradotto, se provassimo a farlo si potrebbe usare la parola “comunarietà” (nel senso di
fare tutto in maniera comune, solidale).
Secondo gli slavofili, nella chiesa cattolica comanda il papa e non c’è libertà, nelle chiese protestanti ognuno è padrone di
sé e crede di poter leggere da solo la Bibbia e crearsi una propria chiesa, mentre nella chiesa ortodossa c’è la sobornost’: i
fedeli tutti assieme vivono, leggono e interpretano.
Questa è la lettura che gli slavofili davano della chiesa ortodossa, in confronto alle altre due.
Secondo gli slavofili, questa sobornost’, era il risultato di una mentalità diffusa nel popolo russo, e in generale tra i popoli
slavi.
Secondo le ricostruzioni degli slavofili, i popoli quelli romano-germanici 5 sono individualisti, le società europee sono
basate cioè sul primato dell’individuo.
Secondo questa loro analisi, i popoli slavi sarebbero comunitari, ovvero, tra i popoli slavi, l’elemento comunitario
prevarrebbe su quello individuale.
Le analisi degli slavofili furono, e in una certa misura, sono, ancora oggi, importanti, perché individuano una forte
differenza tra la Russia e l’Europa, una differenza basata, in primo luogo, sul principio religioso (meglio l’ortodossia che
il cattolicesimo e il protestantesimo) ma, al tempo stesso, questo specificità della chiesa ortodossa deriva proprio dalle
caratteristiche dei popoli slavi, da quello russo in particolare.
Anche per gli slavofili era di particolare importanza l’elemento popolare, la narodnost’. Anche loro, come i sostenitori
dell’ideologia ufficiale, insistevano sull’elemento popolare ma con una sostanziale differenza.
Gli slavofili, a differenza dei rappresentanti dell’ideologia ufficiale, il popolo lo amavano davvero. Benchè fossero nobili,
cercavano di mettere in pratica quel processo di riavvicinamento al popolo, di cui abbiamo già parlato con La danza di
Nataša. Percepivano molto negativamente la spaccatura tra le classi alte e quelle basse e volevano riavvicinarle, volevano
che l’élite, di cui loro stessi facevano parte, si riavvicinasse all’elemento popolare. Particolarmente importanti furono i
due fratelli Kerenskij che passavano tutto il loro tempo nei villaggi a raccogliere canti popolari, che poi pubblicavano.
Esito di questi viaggi e di loro riflessioni, individuarono un’altra specificità dei popoli slavi, in particolare del popolo
russo, e la trovarono specialmente nei contadini, i quali costituivano la maggioranza della popolazione ed erano
soprattutto servi della gleba.

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I russi, sino al Novecento, hanno considerato l’Europa come una creazione romano-germanica.
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Ciò nonostante, secondo gli slavofili, era assolutamente vivo, nel popolo russo, quello spirito di comunarietà che invece le
classi alte occidentalizzate avevano perduto.
Gli slavofili rivelarono alla Russia una cosa che i russi sapevano benissimo ma a cui non avevano prestato alcuna
attenzione, vale a dire, che i contadini russi, servi della gleba, vivevano organizzati in una obščina, traducibile con
“comune-contadina”.
I contadini russi erano servi della gleba, non potevano spostarsi liberamente, appartenevano ai padroni, dovevano
chiedere loro anche il permesso per sposarsi, potevano essere venduti, non possedevano la terra che lavoravano, ma ciò
nonostante, secondo gli slavofili, avevano qualcosa di straordinario; vivevano nello spirito comunitario antico, erano
cioè organizzati socialmente in comunità di villaggio, le obščiny, al cui interno le decisioni venivano prese
collettivamente. I contadini russi, nei limiti di quel sistema sociale che li vedeva servi e privi di diritti, decidevano insieme
su ogni aspetto importante della vita, sociale comunitario, in particolare su due, assolutamente vitali.
I contadini russi non erano proprietari della terra ma avevano il diritto, attraverso queste comunità di villaggio, di stabilire
quanta terra toccasse da lavorare a ogni famiglia. Per stabilirlo, si riuniva la comunità contadina, si verificava quante
bocche da sfamare avesse una famiglia e si attribuiva terra in proporzione al numero dei componenti delle famiglie. La
decisione veniva presa comunitariamente, così che non ci fossero contestazioni. I nobili erano i proprietari fisici dei
contadini ma non si immischiavano su queste questioni, lasciavano che le comunità contadine si autogovernassero.
Un altro aspetto molto importante, presente in Russia, nell’800, è che il servizio militare non era obbligatorio6. Erano le
comunità contadine a scegliere, al loro interno, chi avrebbe prestato servizio militare, il quale durava peraltro venticinque
anni. Chi partiva, normalmente, veniva considerato un condannato a morte. A fare questa scelta molto triste era la
comunità di villaggio. Essa sceglieva all’interno dei giovani, diciottenni/ventenni, coloro che sarebbero partiti per non fare
più ritorno. La scelta cadeva normalmente su giovani maschi, non sposati, appartenenti a famiglie particolarmente
numerose.
In alcuni casi, i proprietari terrieri approfittavano del loro potere, imponendo delle decisioni, come nel caso di una delle
scelte più importanti, quella dei militari. Molto spesse queste scelte erano, non solo arbitrarie perché contraddicevano
l’usanza, ma spesso venivano scelte delle persone che non corrispondevano a quelle caratteristiche. Ciò era percepito
come una violenza inammissibile, perché ad esempio venivano mandati a combattere militari, che avevano già una
famiglia. Molti proprietari terrieri vennero uccisi proprio per questo.
Si tenga presente che gli slavofili tendevano ad idealizzare la società russa. Se Čaadaev tendeva a descriverla in maniera
fortemente negativa, gli slavofili tendevano ad idealizzarla, ad idealizzare i rapporti umani, sociali, culturali esistenti
all’interno del popolo russo. Davano quindi alle tesi di Čaadaev una risposta opposta e idealista.
Un altro aspetto estremamente importante, che differenzia gli slavofili dai sostenitori dell’ideologia ufficiale, e che
mancava tra i pilastri che gli slavofili attribuivano alla Russia, è l’elemento più importante dell’ideologia nazionale, vale a
dire, l’autocrazia.
Gli slavofili non erano rivoluzionari; erano religiosissimi, conservatori, ma non credevano che l’autocrazia fosse una
struttura così importante e caratteristica della Russia. Non amavano il carattere dispotico dell’autocrazia.
Gli slavofili, non a caso, facevano riferimento ideale al cosiddetto 7zemskij sobor (зе́мский собо́р), traducibile con
“assemblea popolare”.
Nella storia antico russa, prima di Pietro il Grande, si chiamava zemskij sobor una riunione spontanea di popolo che
decideva di questioni d’importanza vitale.
Lo zemskij sobor più importante fu quello del 1613, al termine del periodo dei torbidi, che scelse la nuova dinastia
imperiale, i Romanov, che durò circa tre secoli.
Tutti intervennero; nobili, mercanti, ecclesiastici.
Gli slavofili sognavano una Russia che tornasse a questo modello, il quale non era un modello parlamentare (gli slavofili
detestavano le elezioni, i parlamenti, le leggi) ma nel senso che secondo loro tutto doveva avvenire per consenso popolare,
per decisioni scelte collettivamente dal popolo.
Gli slavofili non erano oppositori politici, non hanno mai fatto la fronda, non si sono mai opposti, si può affermare però
che come non affrontavano il potere, non lo sostenevano nemmeno. Infatti, non erano popolari presso gli zar e presso le
autorità.
Lo zar poteva anche andare bene dal loro punto di vista se governava secondo lo spirito popolare, esprimendo in maniera
quasi mistica la narodnost’, il sentimento popolare.
Dal punto di vista degli zar questa era una sciocchezza assoluta.

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Non era obbligatoria nel senso che non tutti i giovani erano costretti a fare il servizio militare. La leva obbligatoria si diffonde, in
Russia, e in Europa, soltanto alla fine dell’800. Prima non riguardava tutti.

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Gli zar non amavano affatto questi slavofili che sembravano, dal punto di vista del potere, non solo degli idealisti, ma
anche pericolosi. Secondo gli zar, il potere veniva direttamente da Dio e non certo dalla sanzione popolare. Gli zar non
volevano prendere decisioni ascoltando il popolo, per l’autocrazia era un’idea inammissibile.
Gli slavofili non vedevano nell’autocrazia l’elemento centrale della Russia, lo vedevano piuttosto nella religione.
Gli slavofili furono degli importanti intellettuali ma la loro posizione non deve essere sopravvalutata. Il termine slavofilo
ha probabilmente avuto una diffusione eccessiva.
Moltissimi conservatori russi, che amavano la Russia per quello che era, non avevano idee slavofile. Così come molti
intellettuali slavofili amavano la Russia ma non condividevano la struttura autocratica del paese e insistevano invece su
valori comunitari religiosi che, senza poter essere rifiutati da chi era al potere, al tempo stesso, sembravano non privare
alle autorità zariste.
Quando si parla di Russia slavofila, bisogna fare molta attenzione, vi è una tendenza ad una troppa genericità.
Di fronte alla lettera di Čaadaev ci furono diverse risposte, quella più radicale fu degli slavofili che però non esaltavano
tutta la Russia, ma in particolare erano molto tiepidi nei confronti dell’autocrazia.
Molto più importante politicamente fu l’ideologia della narodnost’ ufficiale, che rappresentava come il potere vedeva sé
stesso.

DOPO LA LETTERA FILOSOFICA DI CAADAEV COME RISPOSERO I CONSERVATORI RUSSI?

24/10 - VII LEZIONE

Intelligencija

Sinora, a prescindere dalle idee delle persone che abbiamo incontrato, tali persone erano unificate da qualcosa che le
rendeva estremamente comprensive le une con le altre, ovvero appartenevano tutte alla nobiltà.
La Russia non era solo un paese autocratico, ma la classe dominante era la nobiltà, alla quale appartenevano praticamente
tutti gli esponenti del governo, dell’esercito e anche della cultura. Essenzialmente tutti i personaggi incontrati finora erano
nobili proprietari terrieri (e di servi fino al 1861, anno in cui fu abolita la servitù della gleba). La nobiltà, dunque, era la
classe dominante dell’impero russo ed essendo privilegiati si trattava normalmente di conservatori e sostenitori dello
status quo (più o meno critici). Ci sono però eccezioni importanti, tra quali i decabristi che, pur appartenendo a questo
ceto, avevano visioni molto critiche e si ribellarono nel dicembre del 1825 tentando, con un colpo di stato, di imporre la
costituzione alla Russia (avvicinandola politicamente dunque ai paesi occidentali).

Cosa si intende con il termine Intelligencija? Un gruppo di intellettuali fuori dallo stato. Deriva dal latino, ma si è diffusa
soprattutto nella forma russa intelligencija ed è legata alla capacita di apprendimento.
Com’è nata l’intelligencija russa? Con questo termine, a partire dalla metà dell’800, in Russia (e in lingua russa) ha
cominciato ad essere chiamata una parte specifica della società, altamente istruita (però bisogna ricordare che non tutte le
persone colte e istruite si consideravano ed erano considerate membri dell’intelligencija. Per esempio, Tolstoj non ne
faceva parte). Quello che avviene nei decenni successivi alla rivolta decabrista (che viene repressa) e in quelli in cui la
Russia di Nicola I si struttura come lo stato conservatore/reazionario più forte d’Europa, si diffonde, all’interno della parte
più istruita della Russia, un atteggiamento critico negativo nei confronti delle strutture politiche-culturali-economiche
del paese. Quali sono queste strutture? Proprio quelle che venivano esaltate dall’ideologia conservatrice analizzata la
scorsa volta (autocrazia, ortodossia, elemento popolare). Questi pilastri dell’ideologia imperiale russa vengono
progressivamente rifiutati radicalmente da una parte crescente della società russa, costituita da persone istruite, ma unite
da un atteggiamento negativo nei confronti del potere statale autocratico. Per far parte dell’intelligencija in Russia, ma
anche nei paesi europei dove il termine e questo tipo di atteggiamento culturale-politico si diffonde, non era sufficiente
l’istruzione; era necessario un atteggiamento critico negativo nei confronti dello stato. Pur essendo coltissimo, Puškin, nel
momento in cui diventa conservatore, non è più intelligente. La parola intelligencija si applica soltanto quando vi è un
atteggiamento di opposizione. Nelle lingue europee, normalmente intelligencija non si traduce. In italiano “intelligente”
viene tradotto come “intellettuale”. Ma in Italia chi è l’intellettuale? È colui che non solo è colto e possiede titoli di studi,
ma colui che ha un ruolo culturale attivo, colui che può produrre intellettualmente qualcosa che contribuisce alla vita
sociale del proprio paese. In Russia, più che in altri paesi, un intellettuale è definito intelligente solo se esplicitamente si
poneva in conflitto con le strutture politiche culturali del paese. Un intelligente cioè doveva lottare contro la servitù della
gleba, l’ortodossia, l’autocrazia, vale a dire contro le strutture portanti dell’impero russo. Chi invece era solidale rispetto a
queste strutture, normalmente, non era considerato un intelligente.

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Quindi in russo che definizione acquisisce il termine? Con intelligencija si intende una parte della società, un gruppo
sociale di elevata cultura, connotato da un atteggiamento politico di opposizione nei confronti delle strutture portanti
dell’impero russo.
Chi ha fatto la rivoluzione russa è stata la intelligencija, non il popolo, non gli operai, non i contadini.
Dunque, la comprensione del termine è fondamentale per comprendere la storia della Russia e dell’URSS.

Quando nasce l’intelligencija?


Ci sono diverse linee interpretative: c’è chi considera Radiščev capostipite dell’intelligencija russa (fine 700), altri fanno
riferimento ai Decabristi, in quanto persone, sicuramente di elevatissima cultura, che hanno cercato di modificare in
maniera sensibile lo stato russo.
Normalmente si comincia a parlare di intelligencija, quando, negli anni 30/40, emergono figure intellettuali che
esplicitamente combattono con armi culturali (non con un colpo di stato come i Decabristi) e si pongono in chiara
contrapposizione con le istituzioni dell’impero russo (cosa che non aveva fatto neanche Čaadaev che non costituiva
nessun problema, al contrario di tutti coloro che son definiti intelligenti).
Cominciamo a parlare delle due figure che normalmente sono considerate alle origini dell’intelligencija russa. Una di
queste due, in realtà, non rientra perfettamente nei canoni dell’intelligencija, ma ha avuto un ruolo importantissimo e,
secondo il professore, deve essere inserito in questa linea.

1) Aleksandr Herzen (1812-1870) era figlio illegittimo di un nobile russo e della sua governante tedesca. Lui e il fratello
non hanno preso il cognome del padre, ma hanno ricevuto il cognome simbolico Herzen (dal tedesco cuore) perché figli
del cuore, cioè non di un matrimonio legittimo ma d’amore. Herzen è stato, nel corso della sua vita, una figura di
straordinario fascino, importanza e simpatia. Pur essendo figlio illegittimo, ricevette l’educazione tipica dei nobili russi
dell’epoca. Egli conosceva varie lingue, l’arte, la filosofia (sia quella illuminista francese che quella romantica tedesca)
era cioè della stessa istruzione di Čaadaev o degli slavofili. Pur essendo nobile, almeno da parte di padre, fece una scelta
politica di opposizione. Pur essendo troppo giovane per far parte dei Decabristi (aveva 13 anni all’epoca della rivolta),
sostanzialmente si mosse nella loro scia: ciò che voleva era la fine dell’autocrazia e del dominio assoluto dell’imperatore.
Dal punto di vista religioso ebbe una crisi, diventò agnostico e rifiutò il luogo politico e culturale che la chiesa russa
esercitava nel paese. Fu presto costretto a lasciare la Russia, le sue idee lo portarono in prigione e in Siberia. Herzen era
un sincero nemico dell’autocrazia e dell’ortodossia, ma al tempo stesso, non era un martire, non aveva nessuna voglia di
finire in prigione e in Siberia.
Emigrò in Europa, dove poi trascorse tutto il resto della sua vita, e riuscì a farlo portandosi l’eredità del padre. Lo zar non
gli confiscò le proprietà (non era molto efficiente il sistema di confisca) e grazie a quei soldi Herzen, oltre che continuare
la bella vita, per tutti gli anni dell’emigrazione finanziò i rivoluzionari europei e riviste rivoluzionarie.
Vivendo la maggior parte della sua vita in esilio, si staccò progressivamente dall’evoluzione culturale delle Russia ed
entrò sempre più a far parte del grande ambiente rivoluzionario europeo. Herzen è stato una figura di congiunzione tra il
vecchio mondo aristocratico russo e i nuovi rivoluzionari, quasi tutti non nobili.
Egli partecipò alla Comune di Parigi nel 1848, fu amico di tutti i rivoluzionari europei e condusse dunque una vita molto
interessante.

2) Vissarion Belinskij (1811-1848). È considerato da tutti il fondatore dell’intelligencija russa.


È il primo protagonista della cultura russa a non essere nobile, ma un Raznočinec. Pietro il Grande aveva gerarchizzato la
popolazione in 14 ranghi: chi non apparteneva a quelli superiori era raznočinec, ovvero “di diverso rango”, non nobile.
Non erano contadini, perché avere un rango significava avere un livello culturale abbastanza alto da poter essere
funzionario civile o militare, ma non erano nobili.
Normalmente si dice che Belinskij fu il primo dei Raznočincy veramente importante. Egli trasformò lo studio della
letteratura russa, proponendo negli anni ’30-‘40 il superamento della fase romantica e l’avvento di una letteratura realista
(era un processo che stava comunque avvenendo). Belinskij voleva che la Russia cambiasse culturalmente e politicamente
a partire dalla mentalità della classe colta, ritenendo che, vista l’importanza della letteratura in Russia, il passaggio da una
fase romantica a una realista fosse un passo assolutamente indispensabile. La letteratura russa, soprattutto in epoca zarista,
ma anche sovietica, ha avuto un ruolo non solo culturale, ma anche politico importantissimo. Questo perché nell’impero
russo (e in epoca sovietica), data la pressoché totale assenza di libertà politica, la letteratura diventava un veicolo di
espressione di idee e sentimenti estremamente importanti. Se all’interno di un paese non c’è un Parlamento (come non
c’era nella Russia dell’800), chi denuncia le disumane condizioni di vita dei servi della gleba? Gli scrittori e poi i pittori.

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Si parla di letteratura e arte realiste e impegnate. Il dibattito sull’arte engagé è centrale ancora oggi. 8Anime morte di
Gogol’ è un romanzo satirico molto divertente basato una truffa di un furfante che compra le anime morte (quindi queste
persone, essendo soggetti si commercio, erano merce). Gogol’ non era uno scrittore impegnato o realista, ma è servito a
discutere su una vergogna nazionale (quella circa i servi della gleba), almeno letterariamente.
La letteratura serviva dunque come banco di discussione politico culturale. Belinskij sosteneva la necessità di una
letteratura realista che descriva la società russa, i suoi problemi e attraverso la discussione nata all’interno
dell’intelligencija, conduca ad un cambiamento politico/economico/sociale del paese.

Belinskij era occidentalista o slavofilo? Era chiaramente un occidentalista in costante polemica con gli slavofili (tra i quali
non c’era simpatia, come invece avveniva per Herzen, perché non era nobile, era un piccolo borghese. C’era proprio un
divario di ricchezza e classe troppo grande; è praticamente morto di fame). Egli non proponeva una rivoluzione, quanto
piuttosto voleva far cambiare mentalità. Nelle sue opere riprende appieno la condanna di Čaadaev circa il fatto che essersi
convertiti attraverso Bisanzio fosse stato un male, perché ha tenuto la Russia lontana dall’Europa più evoluta e dinamica.
Parla del giogo tartaro, riportandone le conseguenze: reclusione delle donne, abitudine di seppellire il denaro nel terreno,
la corruzione nella giustizia, l’asiatismo nello stile di vita, la pigrizia mentale… Con Pietro il Grande ci si libera da tutto
quello che è stato portato dai Tartari: è vero che la Russia prima di Pietro era asiatica, pigra, violenta, barbara, e tutto ciò
era stato dato dai Tartari, asiatici. Bisognava dunque liberarsi dell’eredità tartara per costruire una Russia europea,
moderna.

Qual è la grande differenza tra Čaadaev e Belinskij? Entrambi sono occidentalisti. Entrambi apprezzano l’opera di Pietro
il Grande. Belinskij pensa che si possano risolvere i problemi esistenti e riconosce a Pietro il Grande il fatto di aver
liberato la Russia dall’asiatismo (un connotato non russo, ma tartaro). Bisogna, secondo il progressista Belinskij,
continuare il progetto pietrino e eliminare tutte le parti riconducibili all’asiatismo oltre all’autocrazia, alla servitù della
gleba e l’oscurantismo religioso (in “Lettera a Gogol” critica Gogol di oscurantismo). Dopo Belinskij, un numero sempre
più crescente di non nobili diventano intelligenti (non solo istruiti, ma criticamente pensanti rispetto alle strutture
fondamentali dell’impero russo). Di qui la sua insistenza per una letteratura realista, intesa come strumento politico
(critica all’ “art for art’s sake”).

31/10 - VIII LEZIONE

Con l’intelligencija nasce un tipo umano, culturale e sociale completamente nuovo nella società russa che sino a Belinskij,
era egemonizzato dall’elemento nobiliare. Con Belinskij nasce un gruppo umano non formalizzato.
L’intelligencija non era un ceto, non era strutturata su basi giuridiche, infatti di essa si faceva parte se lo si voleva, se ci si
sentiva parte di questa corrente, condividendone le idee principali, le quali possono essere riassunte in un’ostilità forte nei
confronti delle principali strutture politiche, culturali e sociali dell’impero russo: 9l’autocrazia, l’ortodossia e la servitù
della gleba.
Intorno agli anni 40/50 assistiamo alla nascita di un gruppo umano denominato intelligencija in rottura con il sistema
politico/sociale/culturale russo.

Su alcuni aspetti potevano esserci differenze anche notevoli tra i membri dell’intelligencija: alcuni, per esempio, erano
liberali e ritenevano necessarie riforme progressive (introduzione di un Parlamento, cambiamento del sistema penale, la
riduzione e la scomparsa della censura per esempio) per rendere la Russia una nazione europea moderna; la maggior parte
dei membri dell’intelligencija aveva invece un orientamento radicale/rivoluzionario, ossia consideravano illusorie le
speranze dei liberali di trasformare, tramite riforme, l’impero russo, ma ritenevano piuttosto che la Russia fosse solo da
abbattere con una rivoluzione (come poi in effetti è avvenuto).

8
Venivano chiamati anime i servi della gleba che potevano essere venduti ad un altro proprietario.
9
Gli intelligenti (che possiamo anche chiamare “intellettuali”) potevano avere idee diverse su molti argomenti ma su alcuni tendevano
a pensarla nella stessa maniera; nessuno accettava che la Russia fosse un’autocrazia, cioè uno stato governato da un’unica persona;
nessuno accettava la servitù della gleba (che coinvolgeva metà della popolazione russa) ritenuta umiliante, disumana, inadatta al
diciannovesimo secolo. Di solito, i membri di questa corrente intellettuale non apprezzavano neanche l’ortodossia; tendevano ad
essere atei, materialisti, e vedevano nella chiesa essenzialmente una classe oscurantista alleata con il potere statale e la nobiltà.
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INTELLIGENTE RIVOLUZIONARIO: ČERNYŠEVSKIJ

Nel corso dell’Ottocento, sulla scia di Belinskij (più un liberale che un rivoluzionario) e Herzen, appaiono persone di
orientamento rivoluzionario, le cui idee fecero presa molto fortemente sulla società colta russa.
Se figure come Belinskij o Herzen potevano essere “ben volute” praticamente da tutti dagli intellettuali (tutti si
riconoscevano nel loro pensiero), la figura centrale dell’intelligencija rivoluzionaria era tale che solo una parte, seppur
maggioritaria, degli intellettuali poté riconoscersi nella sua opera.

Parliamo di Nikolaj Černyševskij (1828-1889). Egli nasce nel 1828 a Saratov, era figlio di un 10prete, dunque era istruito.
Il fatto che abbia abbracciato idee radicali rivoluzionarie, lo aveva portato a rompere con la chiesa e la famiglia: è la
pecora nera della famiglia. Nikolaj iniziò ad andare in seminario, ma si rese conto che quella non era la sua strada. Dopo
Černyševskij diventò abbastanza comune che alcuni figli di prete, non solo non diventassero preti, ma avessero anche
atteggiamenti rivoluzionari, anti zaristi e anti religiosi. Muore nel 1889, dopo aver avuto una vita piuttosto lunga e
travagliata per l’epoca.
Benchè oggi pochi lo ricordino, è stato per molto tempo, e sicuramente in epoca sovietica, una figura popolarissima, quasi
venerata (più ancora di Belinskij, il prototipo del rivoluzionario russo, ossia colui che dedica tutta la vita alla
trasformazione politica della Russia).

Che cosa fece Černyševskij? Scrisse tante opere, (la maggior parte delle quali vennero censurate) e molti articoli pseudo-
letterari (vista la quasi totale mancanza di libertà politica in Russia, molta della discussione “politica” avveniva attraverso
la letteratura che assumeva dunque una finalità socio-politica.)
Già Belinskij aveva chiesto agli scrittori una svolta realista per trasformare il paese in senso progressista.
Černyševskij è ancora più radicale rispetto a Belinskij; nei suoi numerosi articoli, dà per scontato che la letteratura debba
essere realista e che debba impegnarsi nella diffusione di governi democratici, e oltre a scrivere articoli letterario politici
di questo tipo, produsse un’opera letteraria che ebbe preso un’immensa popolarità.
È autore del romanzo “Che fare?” che ebbe un successo immenso in generazioni di lettori russi di orientamento radicale.
È un romanzo che ha cambiato la storia della Russia: chi lo leggeva ed era orientato in senso radicale, aveva dei modelli di
comportamento, essendo una sorta di manuale del rivoluzionario russo per generazioni, così anche per Lenin che nel
1905, 40 anni dopo, scrisse un tributo verso Černyševskij.
Che fare? dal punto di vista storico e culturale è un libro molto interessante. È la storia di alcuni uomini nuovi, intelligenti
che vengono descritti, presentati nella loro personalità, nei loro rapporti, sogni e progetti.
I due personaggi più importanti e famosi del romanzo son diventati leggendari all’interno della letteratura e società russa,
in particolare la protagonista femminile, Vera, personaggio interessante per la carica eversiva che l’autore mise in questa
figura. Vera non è nobile, per sottrarsi alle regole sociali/morali fa un matrimonio di comodo (solo per uscire di casa) con
il “primo che capita”, ma nel volume è descritto che in questi circoli di uomini nuovi, il matrimonio non è un sacramento,
ma un accordo tra persone libere. Nel momento in cui cessa l’amore o la convenienza, il matrimonio si mette da parte
tranquillamente. Nel libro si vede come, ad un certo punto, il marito vede che era innamorata di un altro e non contesta
questa cosa, non essendo legati a ideali superati di una religione che non conta. Vera andrà per la sua strada
sentimentalmente e intellettualmente; metterà su una cooperativa di lavoro femminile. È un romanzo didascalico, di idee.
Vera ha anche un sogno (il famoso sogno di Vera) in cui sogna una nuova Russia, rivoluzionata, libera (dalla chiesa, dalla
nobiltà, dalla servitù della gleba), di uomini nuovi, che si sarebbe potuto realizzare solo con la completa scomparsa del
mondo dell’autocrazia russa. È il sogno dunque di una Russia dopo la rivoluzione.
Altrettanto interessante è l’eroe maschile del romanzo, Rachmetov, un personaggio persino ridicolo per certi aspetti,
ascetico (dorme per terra o su chiodi, fa sempre sport, mangia solo carne per rendersi forte per la rivoluzione. È sobrio,
non pensa alle donne…). Nonostante sia quasi una caricatura, diede un modello umano maschile (così come Vera era un
modello rivoluzionario femminile perché svincolato dalle tradizioni morali/religiose) all’intelligencija. Rachmetov
esplicitamente è dentro la rivoluzione: crea circoli rivoluzionari, si occupa di propaganda, sacrificando tutta la sua vita
(famiglia, lavoro, società…) all’ideale della rivoluzione.
“Che fare?” costò la prigione e l’esilio all’autore, perché era effettivamente un libro sovversivo. Il libro era così esplicito
che la censura colpì razionalmente; era un’opera pericolosa dal punto di vista dell’autocrazia perché contestava

10
Nella chiesa ortodossa i preti si sposano e hanno figli. Molti degli intellettuali erano figli di un prete, e così anche Černyševskij, il
quale apparteneva ad una famiglia di preti da generazioni. Normalmente infatti, almeno un figlio di un prete faceva il prete, e di solito,
sposava la figlia di un altro prete. La chiesa ortodossa era perciò costituita da un vero ceto ecclesiastico; era piuttosto raro che un prete
sposasse una donna che non era figlia di un prete. Moltissimi dei radicali rivoluzionari russi dell’Ottocento provenivano da famiglie
ecclesiastiche.
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completamente i modelli umani tradizionali. Si può affermare che Černyševskij era una persona molto più pericolosa dei
Decabristi; loro volevano una rivoluzione politica, mentre Černyševskij, oltre alla rivoluzione politica, proponeva una
rivoluzione antropologica, voleva uomini nuovi, completamente distaccati dalla religione, dal patriottismo nazionale,
dall’amore per lo zar, dai canoni morali tradizionali….
Anni di prigione e esilio fecero di Černyševskij un martire, così come i suoi personaggi divennero veri e propri modelli da
imitare nella vita quotidiana. Generazioni di russi dopo “Che fare?” hanno modellato la propria vita sugli eroi di questo
romanzo, in particolare su Vera e Rachmetov.
I grandi scrittori russi dell’epoca (Turgenev, Tolstoj, Dostoevskij…) lo disprezzavano perché era uno scrittore mediocre,
non nobile, scriveva male, era rozzo nell’aspetto, nei suoi personaggi, nelle sue idee…Quest’ostilità era ripagata da
Černyševskij con articoli taglienti verso questi scrittori di origine aristocratica che non scrivevano opere almeno
criticamente realiste. Dunque, la cultura, così come la società russa, intorno alla metà dell’Ottocento si spacca in due parti:
da un lato, coloro che volevano riforme e cambiamenti (non però rivoluzioni), dall’altro canto, la parte consistente
dell’intelligencija, che voleva cambiamenti radicali, rivoluzionari, che voleva una vera e propria rivoluzione. In un certo
senso, la prima figura di vero e proprio rivoluzionario scrittore è proprio quella di Černyševskij che, nella sua opera, fornì,
a questa componente rivoluzionaria dell’intelligencija russa, dei modelli ai quali conformarsi.

Il populismo in Russia

Dal punto di vista ideologico, la corrente più importante, all’interno dell’intelligencija, è riconducibile ad un movimento
politico ed intellettuale che si chiamava narodničestvo (narod = popolo), ossia populismo. Il populista era il narodnik. Il
termine populismo oggi è molto in voga, ma è meglio chiarire. Non pensiamo a quello che oggi è chiamato populismo. In
Russia il termine populismo ha un significato specifico e connota un movimento intellettuale e politico, il cui fondatore
può essere considerato Černyševskij. Intorno a lui, e alle sue opere soprattutto, si creò infatti questo movimento che dagli
anni 60 fino alla rivoluzione del ’17, è stato il più importante movimento intellettuale della Russia.

Perché si chiamava populismo? Si chiamava così perché voleva che il popolo, in particolare gli strati bassi della
popolazione, uscissero dalla condizione infelice nella quale vivevano. In particolare, si batteva per i contadini ancora servi
della gleba. All’interno del pensiero populista c’era anche un aspetto che stranamente ricordava molto quello degli
slavofili (i quali vanno considerati politicamente dei conservatori); essi infatti esaltavano il popolo russo per la sua
mitezza e per la sua sobornost’, ovvero per la capacità di vivere in maniera comunitaria, in particolare all’interno delle
obščiny, le comunità di villaggio, nelle quali, secondo gli slavofili, il popolo russo viveva in armonia.
Quest’idea della comunità contadina affascinava anche i populisti (politicamente progressisti, rivoluzionari): essi
pensavano che, il fatto che all’interno del popolo russo esistesse una comunità rurale, nella quale i problemi venivano
affrontati collettivamente, fosse altamente positivo e vedevano nell’esistenza delle comunità contadine, una carta
importante per lo sviluppo socialista della Russia. L’Ottocento è il secolo nel quale si diffonde l’ideologia socialista. I
populisti russi ritenevano che la Russia fosse avvantaggiata, perché la mentalità e la struttura sociale del popolo, in
particolare dell’elemento contadino, fosse già orientata in senso socialista.
L’idea centrale del populismo era dunque quella che la Russia avrebbe dovuto attuare una rivoluzione (abbattendo
l’autocrazia, il dominio della proprietà terriera, l’egemonia della chiesa ortodossa e ricostruendo la Russia in maniera
egualitaria e socialista) e utilizzare le comunità contadine con la loro abitudine alla discussione democratica
paritaria come punto di partenza per la nuova Russia socialista.
Quest’idea populista è diventata dominante, per alcuni decenni, nella società colta russa. Si badi al fatto che queste idee
non provenivano dal popolo, il quale era analfabeta. Gli intellettuali, gli intelligenti populisti, i narodniki, non erano
membri del popolo, contadini (se non in qualche rarissimo caso) ma erano normalmente Raznočincy, quindi intellettuali
non nobili (in qualche caso anche nobili), spessissimo figli di preti (come Černyševskij) ma i populisti non appartenevano
al popolo, volevano salvarlo.
I populisti volevano organizzare politicamente i contadini e per far ciò dovevano andare al popolo (termine di successo
perché alcuni intellettuali populisti in estate andarono a predicare le idee nuove ai contadini che li accoglievano però con
titubanza).

Anni di riforme: 1861-1865

Negli anni 1861-1865, la Russia cambiò profondamente: in seguito all’inaspettata e traumatica sconfitta della Guerra di
Crimea, 1853-1856, il nuovo imperatore Alessandro II (“Il liberatore”) decise di riformare in profondità la Russia.
Queste riforme trasformarono radicalmente, ma non in maniera rivoluzionaria (perché provenivano dall’alto) la Russia.

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La più attesa e imprescindibile moralmente, fu la riforma della liberazione dei contadini nel 1861: da allora i contadini
cessarono di appartenere alla Chiesa/Nobili/Stato, diventando cittadini liberi (di sposarsi, spostarsi, cambiare lavoro,
crescere socialmente…). Le riforme di Alessandro II hanno avuto un’importanza decisiva per la successiva storia della
Russia, rendendo liberi i contadini (più della metà della popolazione), pur mantenendo ancora sotto possesso dello stato o
della nobiltà, la terra (i contadini dunque erano liberi, ma non erano meno poveri di prima. Per certi aspetti anzi furono
anche più poveri quindi potenzialmente rivoluzionari). Questa estrema insoddisfazione e povertà sono dunque necessarie
per capire come si preparò la rivoluzione e perché proprio in Russia.
Altre riforme sono state l’abolizione quasi totale della censura e una riforma profonda e molto buona del sistema
giudiziario La Russia diventa uno stato di diritto, con un codice di leggi sul modello europeo, non migliori né peggiori
di quelle che c’erano in Francia o in Italia all’epoca.
Nei decenni successivi la Russia cambiò tantissimo. Non era più la Russia studiata in Puškin, Gogol’ o Tolstoj - la Russia
dei contadini servi della gleba - immobile - del dominio totale della nobiltà sullo stato e sui contadini.
Da allora infatti il paese si sviluppò enormemente, anche in senso economico (si sono create tante industrie nelle grandi
città e i contadini hanno cominciato ad andare a vivere nelle città, trasformandosi in operai).
Prima delle riforme, la Russia era un paese molto arretrato, autocratico, con una massa di contadini servi della gleba.
Liberati i contadini dal “Liberatore”, la Russia esce da questa arretratezza.

Quale fu la reazione verso questa nuova Russia che nasce dalle riforme di Alessandro II?
Quello che è successo in Russia (ed è questa la tragedia della Russia) è che tra gli intellettuali, soprattutto tra i populisti
che erano i più numerosi, e il potere, per secoli si è parlato tramite colpi di cannone. Si è creata una situazione culturale e
politica di radicale contrapposizione, nella quale i populisti, che dominavano l’intelligencija rivoluzionaria, non si
accontentavano delle riforme liberali di Alessandro II, ma volevano avverare il sogno di Vera, ovvero quello di avere una
Russia egualitaria, atea, socialista, nella quale non ci fossero zar, preti …e per farlo erano disposti a ricorrere alla violenza
(e lo fecero!). Crearono dunque 11organizzazioni e partiti popolari che disposero attentati verso gli esponenti di spicco
dello stato zarista e verso lo stesso zar (che rispose a questi episodi con esecuzioni in particolare dopo la morte di
Alessandro II). Alessandro III, figlio di Alessandro II, giurò che avrebbe vendicato il padre, letteralmente fatto a pezzi da
una bomba, mentre passava in carrozza.
Questo lunghissimo e terribile duello, durato cinquant’anni, tra una monarchia incapace di riforme soddisfacenti e una
intelligencija astratta, violenta e bombarola, ha massacrato la Russia. Nonostante le numerose riforme, i rivoluzionari
volevano la rivoluzione socialista ed erano pronti a sacrificare la loro vita individuale con estremo coraggio per dedicarsi
alla causa. Fu dunque questo duello una vera e propria tragedia, sia in termini di vittime (le bombe durarono fino alla
rivoluzione del 1917) e sia perché si preparò terreno fertile per la rivoluzione (attuata poi dai socialisti).

Il problema politico e culturale è che la Russia zarista, per propri limiti, non fu capace di riformarsi completamente (non
abbiamo una redistribuzione della terra per esempio). Le masse popolari, ora libere di organizzarsi politicamente,
cominciarono a creare, insieme ai rivoluzionari intellettuali, dei partiti politici che alla fine fecero la rivoluzione,
abbattendo la Russia zarista. Tra il 1861 e il 1917 abbiamo cinque decenni di duello politico, ideologico, sociale,
culturale, tra lo stato zarista e l’intelligencija rivoluzionaria. Tra uno stato ottuso che pensava principalmente a mantenere
il più possibile i privilegi delle classi alte, e un’intelligencija rivoluzionaria massimalista, che non voleva compromessi,
ma arrivare a realizzare una società socialista, a tutti i costi.
L’Ottocento è stato un secolo di forti contrapposizioni politiche ed economiche, un po’ ovunque, ma non a caso la
rivoluzione scoppiò proprio in Russia. Dunque, il populismo può essere considerato la principale corrente politica e
intellettuale di orientamento rivoluzionario nella Russia zarista. Anche quando verranno sconfitti dai marxisti, erano
ancora i più numerosi e influenti, dal punto di vista culturale e psicologico.

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La prima organizzazione di particolare importanza fu Narodnaja Volja (= volontà del popolo); molti membri della quale
organizzarono tantissimi attentati ai danni di membri della famiglia imperiale, di governatori, di generali, di esponenti di spicco dello
stato zarista (che continuava a esistere pur riformato in senso liberale).
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07/11 - IX LEZIONE
Il panslavismo

Una delle caratteristiche più singolari della cultura russa è una forte continuità: ci sono temi dibattuti a metà Ottocento
che si ripropongono ancora oggi (almeno in parte), cosa piuttosto rara. Oggi parliamo di una linea di pensiero di alcuni
importanti pensatori russi della seconda metà dell’Ottocento, spesso definiti con la parola riassuntiva e potenzialmente
fuorviante, PANSLAVISMO.

La Russia è un paese slavo. Il termine slavo ha una connotazione essenzialmente linguistica: slavi sono i popoli che
parlano una lingua slava. Le lingue slave si dividono in tre gruppi principali: slave orientali (russo, ucraino, bielorusso…),
slave meridionali (bulgaro, serbo, macedone, croato, sloveno…) e slave occidentali (polacco, ceco slovacco…). I popoli
slavi occupano la gran parte dell’Europa orientale.
Nella seconda metà dell’Ottocento, molti di questi paesi slavi esprimono una tendenza intellettuale, ma con forte ricaduta
politica, all’unione culturale politica. Queste popolazioni vivevano quasi tutte sottomesse ad altri paesi (a parte la Russia
che era indipendente) ed emerge una volontà tra le élite intellettuale di tendere ad un’unità politica.
Questo complesso politico e culturale è normalmente chiamato panslavismo. Emerge in un po’ tutti i paesi slavi, in
maniera anche molto diversa; esisteva un panslavismo democratico, forte soprattutto tra i Cechi e i Polacchi, ne esisteva
uno che portò, ad esempio, dopo molti passaggi, all’unificazione dei popoli jugoslavi. Oggi parliamo dei panslavisti russi.
Essi sono, in qualche maniera, un’emanazione dello slavofilismo, dei pensatori slavofili, ma, mentre questi erano persone
colte, pacifiche, con un orientamento politico sì conservatore, ma molto prudente, i panslavisti, che partono da alcune idee
slavofile, sono invece tendenzialmente aggressivi. La loro idea era quella di unire i popoli slavi sotto il controllo russo.
Ragionamento anche abbastanza logico, considerando che la Russia era l’unico paese slavo indipendente.
Molto spesso, il termine panslavista è usato impropriamente: il panslavismo è una delle idee che venivano dibattute in
Russia, nella seconda metà dell’Ottocento. Talvolta, soprattutto negli anni settanta dell’Ottocento, durante una guerra
contro l’Impero Ottomano che portò l’indipendenza della Bulgaria, divenne un tema caldo (si dice che questo,
politicamente, sia stato il successo più grande del panslavismo anche se, dopo essere diventata indipendente, la Bulgaria
non si aggrega alla Russia). Questo ideale panslavo è stato piuttosto forte, diffuso, nella seconda metà dell’Ottocento, ma
non è mai diventato ideologia ufficiale dell’impero russo.

Nikolaj Danilevskij (1822-1885)

Ci sono nella storia dei legami piuttosto forti tra la Russia e alcuni vari paesi slavi; la Bulgaria in primo luogo, e la Serbia.
Il sentimento di vicinanza panslavo tra russi e serbi è esistito ed è stato particolarmente grave quando è scoppiata la Prima
Guerra mondiale. Tutt’ora in Serbia ci sono sentimenti forti filo-russi.
All’interno del movimento panslavista o in collegamento con esso, sono apparsi alcuni pensatori che hanno scritto cose
davvero importanti nella storia del pensiero russo e non solo.
Uno di questi è Nikolaj Danilevskij, che nel 1870 pubblicò “La Russia e l’Europa”. Egli era sicuramente un pensatore
panslavista che desiderava l’unione di tutti gli slavi, egemonizzati da parte della Russia. È il tipico panslavista russo:
conservatore, monarchico. È divenuto importante soprattutto per due idee, una geografica e l’altra storico-filosofica:

1. Danilevskij nega che geograficamente l’Europa sia un continente a sé stante. Dice che sia solo una penisola del
continente asiatico. Non c’è nulla che separa l’Europa dall’Asia.

2. Egli nega il presupposto culturale, diffusissimo tra gli europei ottocenteschi, ma anche oggi, che la civiltà
umana sia antica, ma che a partire da un certo punto, la civiltà europea abbia iniziato a coincidere con la civiltà
mondiale. Siamo abituati a pensare che modernità e Occidente coincidano e che tutto il mondo prima o poi farà
parte della modernità occidentale.

Quello che Danilevskij fa è estremamente radicale e innovativo: egli nega che esista una sola civiltà, un’evoluzione
storica lineare della civiltà, l’idea che la storia universale sia unidirezionale (che esista un solo processo storico dagli egizi
all’America). Se vogliono competere con noi, devono diventare come noi. Nega la concezione della storia come processo
di sviluppo convergente con la società occidentale e descrive invece la storia umana come un percorso plurale. Non esiste,
secondo lui, un’unica civiltà umana, ma ne esistono diverse. Egli parla di diversi tipi storico-culturali, civiltà autonome
l’una dall’altra. Ne individua dieci: India, Cina, Grecia, Europa, mondo islamico, mondo slavo, ecc…

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Il mondo slavo è un tipo storico culturale autonomo dall’Europa.

Perché è importante Danilevskij? Le sue idee si ritrovano alla base della politica estera della Russia contemporanea.
Bisogna considerare che è davvero una caratteristica della Russia la continuità ideologia; queste idee forti ottocentesche
sono ancora vive, non solo in circoli di intellettuali d’opposizioni, ma vive come nucleo del pensiero politico russo
odierno.

La contestazione della linearità del processo storico implicava concretamente negare che l’Europa avesse diritto a
considerarsi l’unica civiltà del mondo moderno. Cioè, negava la superiorità della civiltà europea su tutte le altre. Negava
l’identificazione della civiltà europea moderna con la civiltà in assoluto. Ciò rappresentava quando di più
antioccidentalista fosse mai stato detto in Russia necessità di smettere di imitare l’Europa.
Danilevskij sosteneva che la Russia è un altro mondo, è il nucleo del tipo storico culturale slavo, e deve dunque smettere
di imitare l’Europa e piuttosto rafforzare la propria specificità, mettendosi a capo del mondo slavo e sviluppando la
propria civiltà, distinta da quella europea. Si tratta di una vera e propria rivoluzione intellettuale: non è stato il primo
russo a dire di smettere di seguire l’Europa (l’avevano già detto gli slavofili), ma lui è il primo ad individuare nel mondo
slavo, guidato dalla Russia, una civiltà nuova, diversa da quella europea. Contesta, con grande forza intellettuale, l’idea
che la civiltà europea coincida con la civiltà moderna. Non esiste dunque un’unica storia, un unico processo di sviluppo,
al quale tutti debbono aderire, ma esiste una pluralità di civiltà, ognuna delle quali marcia per la propria strada. Non esiste
alcun primato di quella europea sulle altre; in particolare, su quella russa.
È un dato di fatto che, da Pietro il Grande, la cultura russa si sia europeizzata, così come il suo paese (almeno
parzialmente), ma al tempo stesso, la Russia, rispetto all’Europa, si è sempre posta, e lo fa ancora oggi, in maniera
contradditoria. Alcuni, da una prospettiva occidentalista, parlano del rapporto Russia-Europa come di un rapporto
speculare in un vetro di cattiva qualità: la Russia si specchia nell’Europa, ma in maniera distorta, non precisa, non
conforme all’originale.
In un’altra visione, invece, la Russia ha una difficoltà a ragionare negli stessi termini intellettuali/politici dell’Europa. Ad
oggi, la Russia ha idee politiche più vicine a quelle cinesi, per esempio. (Ma nessun russo dirà mai di essere di cultura
cinese, dirà di essere di cultura europea). C’è dunque una vicinanza geografica/culturale con l’Europa, ma non si
identificano. Danilevskij dunque presuppone l’idea che si possa studiare la storia in maniera diversa e questo ha ricadute
importanti dal punto di vista politico. Per esempio, perché la Russia non è entrata nella Nato, né nell’Unione Europea,
anzi ne è quasi considerata una nemica? Questi sono problemi geopolitici contemporanei davvero importanti, seppur
talvolta scomodi per noi occidentali. Ogni paese dunque non può che essere il risultato della sua storia, della sua
geografia, della sua specificità culturale.

Konstantin Leont'ev (1831-1891)

Un altro pensatore che deve essere visto in stretto contatto con Danilevskij, ma che a differenza sua, non deve essere
considerato panslavista, è Konstantin Leont'ev. Prima medico e poi diplomatico, Leont’ev ebbe una vita estremamente
interessante e pittoresca. Stava per morire di colera e promette alla Madonna che, se fosse sopravvissuto, si sarebbe fatto
monaco. Sopravvive e al che, seppur sposato, entra in monastero, mentendo sulla sua vita privata. Vive quindi da monaco
illegittimo fino alla fine, tra l’altro con idee politiche molto forti (nel momento del panslavismo lui tifava per l’impero
ottomano contro i bulgari) riuscendo a farsi espellere dal servizio diplomatico. Scrive una quantità notevole di bellissimi
racconti, saggi politici e in particolare un testo che si chiama “Bizantinismo e Mondo slavo” (1875), molto vicino a
Danilevskij. Anche Leont’ev nega che esista una storia universale, riprende i dieci tipi storico/culturale di Danilevskij,
aggiungendone un undicesimo, il mondo bizantino, al quale era molto affezionato.
Nella storia culturale russa, Leont’ev è importante soprattutto perché è il primo intellettuale russo a valutare positivamente
i rapporti con il mondo asiatico e ad esaltare il fatto che l’impero russo sia un grande stato multietnico, multi culturale,
all’interno del quale l’elemento slavo è importante, ma non esclusivo. Politicamente, Leont’ev era ultra-reazionario
(assolutamente refrattario ad ogni riforma politico istituzionale), ma non razzista. Egli sosteneva che un popolo
etnicamente puro è culturalmente sterile, amava insomma il “meticciato”. A suo giudizio, un popolo è grande
intellettualmente quando la sua popolazione è mista; è la mescolanza che produce grandezza intellettuale. Non può essere
considerato un panslavista perché disprezzava gli slavi, dicendo che uno slavo allo stato puro è poco intelligente, poco
sviluppato, ha lo sguardo spento, e assolutamente cede, rispetto alla bellezza e alla vivacità dei meridionali o degli asiatici.
Nella cultura russa, è il primo ad aver introdotto l’elemento asiatico come positivo, prima infatti la dominazione mongola

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era una sorta di vergogna nazionale, una tragedia (si pensi a Čaadaev). Per Leont’ev, la conquista mongola è
estremamente positiva, ha fatto benissimo ai russi e alla Russia, arricchendola.

Le idee di Leont’ev rimasero piuttosto isolate, ma furono molto influenti nelle successive linee di pensiero. È un
precursore della corrente intellettuale più in voga oggi in Russia, l’euroasismo, caratterizzata da una valutazione positiva
dei rapporti secolari che la Russia ha avuto con l’Asia e con l’Oriente, inclusi quelli di dominazione tatara. La lettura di
Leont’ev della storia russa è dunque assolutamente radicale e in controtendenza rispetto a quella occidentalista.

In Russia alcuni pensatori hanno elaborato una visione della storia, non solo russa, ma universale assolutamente
diversa da quella europea occidentale. Hanno fatto ciò però servendosi dell’educazione europea che avevano ricevuto;
erano nutriti della cultura europea, ne hanno una conoscenza altissima. Essi contestano dunque dall’interno i meccanismi
della cultura europea occidentale e ciò risulta molto interessante.

Esper Ukhtomsky (1861-1921)

Principe, stretto amico dell’ultimo zar Nicola II e massimo specialista di studi buddhisti in Russia nella seconda metà
dell’Ottocento. Convinse, prima ancora che diventasse zar, Nicola II, a fare un lungo viaggio come una sorta di manifesto
dell’espansione russa verso l’Asia (erano gli anni in cui si costruiva la transiberiana. La Russia si stava espandendo
sempre più verso Est). Ukhtomsky riuscì a convincere l’erede al trono a seguirlo in questo viaggio, che, anziché portarlo
in giro per l’Europa, lo fece andare in Russia. Il suo intento era quello di far notare a Nicola che le culture asiatiche, in
particolare quelle buddhiste, erano di assoluto valore, di assoluta bellezza estetica, ma, ancor più, voleva convincere lo zar
in termini di influenzarlo nelle sue future scelte politiche. Voleva mostrargli come le culture asiatiche fossero di assoluto
valore, bellezza estetica, ma ancor più, ciò di cui Ukhtomsky era assolutamente convinto, vale a dire, che la Russia fosse
un paese culturalmente, psicologicamente, più affine all’Asia che all’Europa. Nei suoi tanti libri, Ukhtomsky scrisse che
la psicologia nazionale russa era molto più simile a quella degli indiani o a dei cinesi, che a quella europea. Questa
vicinanza era assolutamente reale, e non bisognava affatto vergognarsene. Si portò con sé l’erede al trono per dimostrargli
queste tesi. In particolare, Ukhtomsky sosteneva che la Russia, così come la Cina o l’India, fossero paesi pacifici, agricoli,
difensivi. Laddove, invece, l’Europa sarebbe piena di paesi aggressivi, coloniali, violenti e arroganti. Di qui, il confronto
sistematico tra l’espansione pacifica dell’impero russo e quella coloniale dei paesi europei, in particolare quella della Gran
Bretagna. I russi si mescolano fisicamente, con matrimoni, ai popoli conquistati, mentre gli inglesi sono razzisti e snob.
Tutte testi assolutamente discutibili.
Ukhtomsky, asserendo una vicinanza ideologica e culturale tra la Russia e l’Asia, andava in assoluta controtendenza con
l’opera di Pietro, e così facendo, compì un passo ulteriore a Danilevskij e Leont’ev nell’individuare la specificità della
Russia in una dimensione assolutamente distinta da quella europea.
Si tenga presente che i pensatori di cui abbiamo parlato oggi hanno avuto un peso importante nella storia e nella cultura
russa, ma, sostanzialmente, come vedremo nelle prossime lezioni, a prescindere dal fatto che le loro analisi fossero giuste
o no, la loro riflessione venne in sostanza superata, messa da parte, dal fatto che l’impero russo stava attraversando una
fase di fortissimo sviluppo economico, di profonde trasformazioni politiche che avrebbero impegnato il paese in due
rivoluzioni, quella del 1905 e quella del 1917, una guerra perduta contro il Giappone 1904-1905, una guerra mondiale
perduta e quindi in cambiamenti politico economici di tutt’altro genere. Cosicché, se oggi le idee di Danilevskij, Leont’ev
e Ukhtomsky non fossero tornate prepotentemente in auge (e lo sono) sembrerebbero pensatori, sognatori persi in un
passato ottocentesco e sostanzialmente inutile. Negli anni successivi, i problemi politico economici della Russia
diventarono così forti che la linea dominante del pensiero culturale politico fu quella della trasformazione totale della
società.

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14/11 - X LEZIONE

Oggi parliamo di qualcosa molto diverso dal tema dei pensatori filosofico-politici, considerabili conservatori, della scorsa
lezione, affrontiamo infatti la corrente del pensiero progressista e rivoluzionario russo, il marxismo. Per parlare del
marxismo in Russia bisogna però fare alcune considerazioni preliminari:

Populismo - marxismo

Il marxismo in Russia arriva e trionfa: è questo un dato di fondamentale importanza storica, anche se, prima
considerazione, cora che in Russia non c’è più il comunismo, la faccenda è molto meno interessante e importante di
quanto fosse decenni fa, quando ancora vi era il regime marxista in Russia.
Un’altra considerazione preliminare è che non si può parlare di marxismo russo o in Russia (non è esattamente la stessa
cosa), se non si guarda al rapporto complicato, ma fondamentale, che è esistito in Russia tra il marxismo e il movimento
rivoluzionario più importante che l’aveva preceduto, vale a dire il populismo russo (il movimento di opposizione
rivoluzionario più importante, più numeroso e più diffuso nell’intelligencija russa).
Sebbene fosse un movimento di estrema importanza, non fu quello che vinse: sono stati i marxisti a fare la rivoluzione,
non i populisti. Tra i due movimenti politici di opposizione esiste un rapporto molto stretto e importante.
Il populismo è un movimento intellettuale e politico, alla cui origine possiamo considerare Herzen e in particolare
Černyševskij. Esso si pone in dichiarata opposizione al regime zarista; volevano abbatterlo. Ne contestavano il principio
monarchico, l’ordinamento sociale (in particolare la servitù della gleba) l’egemonia politica ed economica della nobiltà, il
ruolo fondamentale della Chiesa ortodossa... e sognavano invece un nuovo sistema politico economico, fondato
sull’elemento contadino, in particolare sulla comune agricola, obščina.
I populisti esaltavano lo spirito socialista presente nel popolo russo, in particolare tra i contadini, soprattutto grazie
all’obščina. Singolarmente, quest’esaltazione dello spirito comunitario era apprezzata, sia dagli slavofili conservatori, che
dai populisti progressisti e rivoluzionari. Secondo loro infatti l’elemento contadino possedeva caratteristiche sociali,
psicologiche, culturali positive. I populisti, dunque, volevano una rivoluzione che fosse basata essenzialmente
sull’elemento contadino, anche dopo che i contadini fossero liberati dalla servitù della gleba (rimasero poveri, dunque
erano, nell’ottica populista, il fondamentale elemento rivoluzionario della Russia).
I populisti volevano “andare al popolo”, predicare le loro idee tra le masse contadine. Per giunta, non disdegnavano l’uso
del terrore politico; infatti, colpirono, svariate volte, con atti terroristici - chiamati terakty - e arrivarono ad uccidere
persino lo zar liberatore Alessandro II, oltre che a tanti altri generali e figure di spicco in Russia. L’uso del terrorismo
veniva legittimato da loro dalla radicale ingiustizia politico/sociale della Russia, ma soprattutto, serviva a suscitare,
ravvivare, il sentimento rivoluzionario dell’intelligencija del popolo. Tutti questi attentati hanno determinato un clima di
opposizione politica con gli zar, rispetto al quale, la Russia non ha guadagnato nulla.

Che cos’è stato il marxismo? Che rapporto c’è stato tra il populismo e il marxismo?
È una vicenda molto complicata e importante. Per parlare di questo rapporto parliamo del fondatore del marxismo russo,
che prima di diventare marxista, è stata populista. Spiegando il suo percorso, in qualche maniera, riusciamo a seguire
anche il rapporto tra marxismo e populista.

Georgi Plekhanov

Il fondatore del marxismo russo fu Georgi Plekhanov (1856-1918). I populisti erano anti monarchici e anti nobiliari, ma
capitava spesso che fossero nobili. Plekhanov, come diversi altri, nacque nobile. Rifiutò poi la propria origine e si unì al
movimento rivoluzionario (esiste nella cultura russa la figura del nobile penitente che per tutto la vita faceva penitenza per
la sua origine aristocratica) sin da ragazzo. Il populismo precede in Russia il marxismo, il quale viene dall’esterno,
sostanzialmente dalla Germania, dall’Inghilterra, da Marx ed Hegel. Il movimento rivoluzionario russo indigeno è il
populismo. Fece molta attività politica, partecipò ad azioni di diversi gruppi e scrisse numerose opere. Alla fine, fu
costretto all’esilio, vivendo, quasi tutta la sua vita, in questa condizione. Nel 1905, tornò brevemente in Russia per la
prima rivoluzione russa e, dopo la repressione che ne seguì, scappò nuovamente all’estero, per poi tornarvici nel 1917, ma
morì un anno dopo.
Perché Plekhanov passa dal populismo al marxismo? Bisogna considerare che il populismo russo voleva la rivoluzione,
abbattendo l’autocrazia, ma questa doveva essere attuata dai contadini. Il motivo risiede nel fatto che si riteneva che
l’industrializzazione, che si stava diffondendo rapidamente nei paesi europei, portava alla proletarizzazione (i contadini
andavano a vivere nelle città, diventando operai, ma continuando a vivere in terribili condizioni di vita); non volendo che

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la proletarizzazione arrivasse anche in Russia, si riteneva fosse necessario fare la rivoluzione prima
dell’industrializzazione capitalista. L’idea dei populisti era che, se si fosse riusciti a fare una rivoluzione socialista,
utilizzando come elemento rivoluzionario i contadini, prima che l’industria capitalista diventasse diffusa e decisiva, come
in Francia, UK, USA (etc.), sarebbe stato risparmiato alla Russia l’orrore, che gli operai degli altri paesi avevano già
conosciuto. Eventualmente, ci sarebbe stata un’industrializzazione nella nuova Russia populista, fatta, non da capitalisti
interessati solo al profitto, ma da socialisti (cooperative di operai che avrebbero diviso il profitto), un po’ a modello del
Sogno di Vera, in cui si disegna un’azienda, dove i profitti sono ripartiti tra i lavoratori.

Plekhanov concordava su quest’idea da giovane, ma in esilio, scopre il manifesto di Marx, l’ultimo grido del movimento
rivoluzionario socialista, vale a dire il marxismo. Il marxismo è una complessa filosofia della storia, dell’economia, della
sociologia. È una concezione del mondo atea - materialista - e rivoluzionaria. Il marxismo, adesso, invece, è già preistoria
del pensiero; Marx è poco più che uno dei tanti filosofi come Bergson, Hegel, Cartesio, Spinoza. Fino a pochi decenni fa,
era invece l’ispiratore politico di mezzo mondo. Le sue idee, per molto tempo, hanno cambiato il mondo, oggi la spinta
rivoluzionaria si è invece frenata. Il fascino delle idee di Marx, esercitate sull’intelligencija di tutto il mondo, è stato
straordinario. Le sue idee erano moneta corrente del pensiero intellettuale quotidiano, hanno stregato generazioni e
generazioni di persone di ordinamento rivoluzionario.
Marx dava per scontati alcuni presupposti degli Illuministi e dei socialisti precedenti a lui, dunque era ateo, anti
monarchico, anti aristocratico e rivoluzionario.

Che cos’è che Marx è riuscito a individuare e a proporre affasciando generazioni di rivoluzionari? Egli proponeva una
via rivoluzionaria scientifica. Essenzialmente era un filosofo dell’economia. Riteneva che le strutture economiche
determinassero le strutture politiche nella storia umana. I cambiamenti politici, dunque, erano strettamente collegati con i
cambiamenti economici. Si trattava di una forma di determinismo storico, fondato sulle realtà economiche: un paese è
ciò che le sue strutture economiche determinano. Egli individua poi una successione di strutture economiche, delle quali
ricordiamo soprattutto il feudalesimo (inteso come dominio della nobiltà) e il capitalismo (l’epoca a lui contemporanea;
dominio dei capitalisti, dei ricchi borghesi o aristocratici). Come il mondo capitalista era seguito al mondo feudale, Marx
voleva che il mondo capitalista venisse sostituito dal mondo socialista, attraverso una rivoluzione. Le rivoluzioni però
scoppiano quando la situazione sociale economica è matura, quando le strutture di un paese sono tali da determinare una
situazione rivoluzionaria. A giudizio di Marx, questa situazione rivoluzionaria si crea nel mondo a lui contemporaneo (il
Manifesto del Partito comunista è del 1848), quando il capitalismo produce un’industrializzazione (da un lato positiva
perché aumenta la produzione economica, ma dall’altro opprime i lavoratori).
A giudizio di Marx, una situazione rivoluzionaria si può creare solo nei paesi capitalisti, maturi, laddove
l’industrializzazione sia così avanzata da aver creato un proletariato operaio, oppresso, numeroso e desideroso di
fare la rivoluzione.
Mentre quindi i populisti volevano una rivoluzione in maniera volontaristica, i marxisti la volevano scientifica (che si
producesse quindi allorché ci fossero tutte le condizioni politiche economiche e sociali). Plekhanov, da populista che era,
diventa marxista, perché, quando legge Marx, gli sembra che la sua precedente visione politica ed economica fosse
infantile. I marxisti sono sempre stati convinti di avere in mano il mondo, in quanto ritenevano di aver capito il senso
dell’evoluzione storica, un senso essenzialmente economico. La storia procede attraverso le diverse fasi economiche, dalle
quali derivano le sovrastrutture, tutte derivanti dalle strutture economiche. Quest’argomentazione impressionò molto
Plekhanov che abbandonò il populismo, ritenendolo poco scientifico, volontaristico, infantile.
La conseguenza qual è? Se i populisti volevano fare la rivoluzione sotto, i marxisti russi, questa rivoluzione, non la
potevano più fare perché la Russia non era un paese industriale, o non lo era ancora nella misura sufficiente alla nascita di
un proletariato industriale, numeroso, arrabbiato e rivoluzionario. I marxisti ritenevano che la Russia non fosse matura per
la rivoluzione perché “marxianamente” non aveva ancora conosciuto un’industrializzazione tale da consentire la nascita di
un proletariato numeroso, arrabbiato e rivoluzionario. Si tenga presente che Marx disprezzava profondamente la Russia,
considerandola un paese arretrato e più asiatico che europeo. A Marx, la Russia degli anni ’50, sembrava più vicina alla
Cina che all’Europa moderna e progredita dei suoi tempi.

• I populisti insistevano sull’elemento contadino e sognavano una rivoluzione socialista, basata sulla
comune agricola. Non volevano l’affermazione del capitalismo in Russia, perchè capitalismo e
industrializzazione, in sé, sono fenomeni negativi, causa di sofferenza umana. I populisti, inoltre, usavano
l’arma terroristica per indurre l’intelligencija e popolo a nutrire entusiasmo rivoluzionario. Volevano la
rivoluzione subito.

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• I marxisti non volevano la rivoluzione subito; volevano che la Russia, marxianamente, conoscesse prima un
processo di forte crescita industriale, volevano quindi che la Russia entrasse in un “capitalismo maturo”
che avrebbe creato, proprio attraverso le sofferenze sociali ed economiche, una situazione rivoluzionaria.
Secondo il marxismo ortodosso, la rivoluzione scoppia quando scientificamente ci sono le condizioni
politiche, sociali ed economiche. Sino ad allora, l’uso della violenza è inutile, persino controproducente. I
marxisti russi erano disponibili ad attendere anche decenni o comunque tutto il tempo necessario affinché
la Russia diventi matura per la rivoluzione.

La maggioranza degli intellettuali, degli intelligenti russi, alla fine dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, era di
orientamento rivoluzionario, quindi erano o populisti (la maggior parte) o marxisti.
I populisti rimanevano più numerosi perché c’erano più contadini che proletari, inoltre era più facile essere populisti che
marxisti; il marxismo era una filosofia politica complessa. I marxisti erano assolutamente certi di possedere una verità
scientifica sull’evoluzione della storia, dell’economia, della politica (ma erano una loro idea). I marxisti erano convinti di
essere scientifici e che dunque fosse necessario, scientificamente, seguire il percorso storico. I populisti invece erano dei
volontaristi, ritenevano che fosse necessaria una rivoluzione immediata. ostilità notevole tra i due gruppi.

Perché la rivoluzione è stata fatta dai marxisti anziché dai populisti?


Per diverse ragioni, la principale delle quali è che, negli ultimi decenni dell’Ottocento, la Russia ha conosciuto un
processo di formidabile sviluppo economico, inclusa l’industrializzazione. Nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra
Mondiale, la Russia era ormai la quinta potenza economica del mondo (dopo Usa, Germania, Gran Bretagna e Francia).
Dal 1890 al 1915 ha infatti avuto una crescita del PIL tra il 10 e il 15 % annuo (perché era particolarmente sotto
sviluppata, è normale cresca così all’inizio). Il simbolo di questo balzo in avanti dell’economia russa è rappresentato da
un’opera ingegneristica famosa tuttora, ossia la transiberiana (la ferrovia più lunga e difficile del mondo, da Mosca a
Vladivostok), costruita tra il 1891 e il 1908.
Si tenga presenta che la Russia che entra nella prima guerra mondiale, che conosce le rivoluzioni del 1917, non è la Russia
della servitù della gleba, non è la Russia arretrata e patriarcale della prima metà dell’Ottocento. È un paese in rapida
crescita economica, in rapida modernizzazione economica. Un paese nel quale sta avvenendo un formidabile sviluppo
capitalistico ma come correttamente dicevano Marx e gli altri socialisti, il capitalismo - l’industrializzazione - produce
disastri umani: i contadini cercano lavoro nelle città industriali e vivono in condizioni terribili. Com’era avvenuto prima in
Inghilterra, Germania e in Francia, anche in Russia, l’industrializzazione capitalista determina queste mostruosità umane,
crea un proletariato in rapida crescita numerica, e tendenzialmente rivoluzionario. Gli operai sono più facilmente
rivoluzionari di quanto siano i contadini perché sono strappati ai riti del villaggio, alle loro tradizioni e sono catapultati in
un nuovo mondo.

Per spiegare perché la rivoluzione avvenga in Russia ad opera dei marxisti invece che dei populisti, uno dei fattori dunque
è quello dell’industrializzazione. Si crea in questi anni ciò che, quando i populisti cominciarono a scrivere e ad operare,
mancava ancora: un proletariato industriale - tendenzialmente rivoluzionario. I marxisti si diffondono soprattutto tra gli
operai, mentre i populisti rimangono radicati tra i contadini. Infatti, i populisti saranno sempre più numerosi dei marxisti,
perché fanno riferimento all’elemento contadino che è più numeroso di quello operaio, il quale però è in rapida crescita.
Inoltre, l’elemento operaio è più disciplinato e organizzato di quello contadino. Si crea quindi tra la fine dell’Ottocento e i
primi quindici anni del Novecento, un proletariato pronto a diventare elemento rivoluzionario - anche la Russia si avvicina
a quelle condizioni che, secondo Marx, erano indispensabili per l’evento rivoluzionario, vale a dire - l’affermazione di un
capitalismo sufficientemente maturo.
L’altra ragione invece che spiega perché la rivoluzione scoppia in Russia e non altrove, non nei paesi laddove Marx
diceva che sarebbe dovuta scoppiare (non scoppiò in Gran Bretagna - Germania - Stati Uniti), quindi nei paesi di
capitalismo più avanzato, è che, probabilmente, Marx aveva torto. Il capitalismo è sicuramente ingiusto e aggressivo, ma
all’interno di paesi con istituzioni politiche rappresentative e democratiche, è in grado di non nuocere troppo. Gli stati
liberali, anche se basati sul capitalismo, possono, grazie alla tolleranza politica, avere partiti socialisti capaci di lottare per
il miglioramento delle condizioni di lavoro degli operai, attenuandone quindi la capacità rivoluzionaria. La rivoluzione è
scoppiata in un paese sulla via del capitalismo da un lato, per la presenza di categorie oggettive di persone favorevoli allo
scoppio di una rivoluzione, ma anche per l’intelligencija politica e culturale dei capi del marxismo russo. Non tanto
Plekhanov, che per tutta la vita, è rimasto un marxista classico, tradizionale, per il quale la Russia non era ancora pronta
per la rivoluzione, ma da colui che nei primi anni del ventesimo secolo, l’ha sostituito alla guida dei marxisti russi, Lenin.

Il marxismo creativo

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Colui che ha fatto la rivoluzione è Lenin (1870-1924). Inizialmente obbediva a Plekhanov e ne riconosceva il prestigio,
ma il dissidio tra i due nacque nei primi anni del Novecento, perché Plekhanov voleva perpetuamente essere il marxista
classico, ovvero aspettare la maturità capitalista, quindi rivoluzionaria della Russia. Lenin invece era un marxista
eterodosso, creativo. Secondo Stalin, assumendo anche che Marx avesse ragione ai suoi tempi, da un lato la Russia è sulla
via del capitalismo e quindi verso la prospettiva rivoluzionaria, e dall’altro, se ne fregava abbastanza di quello che
pensava Marx. Lenin e Stalin portarono avanti una svolta fondamentale che fu dovuta a due circostanze; l’obbiettivo
impetuosa crescita del capitalismo russo e un’industrializzazione che rende le strutture russe più adatte alla rivoluzione,
dall’altra parte, fu che tra il 1906-1911 ci furono tre rivoluzioni (Persia nel 1906 - Impero ottomano nel 1908 - Cina nel
1911).
Lenin, Stalin ed altri marxisti affermarono che è vero che per molto tempo l’Asia è stata arretrata e non ha conosciuto la
modernità europea, ma è anche vero che queste tre rivoluzioni in paesi asiatici (Iran, Turchia, Cina) dimostrano che c’era
una prospettiva rivoluzionaria, di cambiamento rivoluzionaria (non socialista, non comunista) anche in questi paesi.
Questo significa che, rispetto al giudizio sprezzante di Marx sui paesi asiatici come fissi, incapaci di cambiamenti, quindi
non in grado di attuare una rivoluzione, la realtà era diversa. La Russia, secondo loro, era infatti pronta per la rivoluzione
perché esisteva un proletariato pronto ad attuarla. I capi della rivoluzione sarebbero stati i capi del partito
socialdemocratico perché politicamente maturi, non i proletari (carne da macello). In seguito allo scoppio della prima
guerra mondiale, quando la Russia entra nel 1915, essa combatte per tre anni accanto a democrazie come Francia, Gran
Bretagna e Inghilterra. A seguito della prima guerra mondiale, si attuò la rivoluzione (una nel febbraio, una nel 1917).

28/11 - XI LEZIONE

La rivoluzione russa

È stato un evento cruciale della storia universale, il momento più importante del XX secolo, la cui importanza, dopo il
crollo dell’URSS, è parzialmente diminuita, perdendo la sua valenza politica e ad oggi rimane solo la valenza storica.
Altre importanti rivoluzioni comuniste si sono verificate in Cina o in Cambogia, ma non raggiunsero mai l’importanza che
quella russa assunse.

Quando parliamo di rivoluzione russa commettiamo già una imprecisione di carattere numerico; in realtà ci sono state tre
rivoluzioni (una nel 1905 e due nel 1917, a febbraio e ottobre).

La prima è scoppiata perché gli operai chiedevano maggiori salari, più giustizia, mentre gli intellettuali chiedevano più
libertà d’espressione; questa sarà repressa, ma lo zar Nicola II fu costretto a concedere anche riforme politiche tra le quali
la Duma, il primo parlamento russo. La Russia dopo la prima rivoluzione conobbe dunque un parziale processo di
liberalizzazione e riforme politiche/economiche di grande rilievo, soprattutto quelle del settore agricole impostate dal
primo ministro P. Stolypin, uno dei migliori ministri che l’impero russo abbia mai avuto. Egli cercò di risolvere la
questione agraria creando una classe di contadini benestanti e leali nei confronti del governo. Egli chiese 20 anni di
tranquillità per la Russia per portare modernizzare definitivamente il paese e portare a termine le riforme, ma fu
assassinato nel 1911 da un populista e la Russia non conobbe questo periodo. A posteriori, l’assassino del ministro fu una
sorta di “campana a morte” per l’impero russo.
Bisogna sottolineare che la Russia di quegli anni non era la Russia della servitù della gleba, non era la Russia immobile di
cui si legge nelle opere di Tolstoj, Turgenev o Gogol’, ma era in rapido sviluppo economico in senso capitalista, era un
paese caotico con tremendi problemi politico/sociali (proletarizzazione, urbanizzazione dei contadini, situazione difficile
della classe operaia, problemi con le minoranze nazionali che chiedevano l’indipendenza, una classe dirigente inadeguata
alle complessità socio-politiche del paese, opposizione politicale radicale, massimalista, bombarola, terrorista…).
Le valutazioni su questi anni sono molto contrastanti: si può insistere sugli aspetti positivi, sulla capacità di sviluppo della
Russia, ma anche su quelli negativi come l’incapacità da parte della classe dirigente di risolvere gli enormi problemi del
paese, i quali, così gravi e complessi, resero forse inevitabile una rivoluzione.
L’ingresso della Russia nella prima guerra mondiale, nel 1914, ha acuito, aggravato, tutto questo genere di problemi
(sociali, politici e nazionali) dell’impero.
Durante la prima guerra mondiale, la Russia ha subito gravi perdite a livello umano, soprattutto nei conflitti contro i
tedeschi. Dopo alcuni anni di guerra la Russia era prostrata economicamente, psicologicamente e politicamente. Furono
anni tremendi non solo per la Russia e causò milioni di morti, oltre a sentimenti nazionalistici e di disorientamento. Le

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conseguenze della prima guerra mondiale furono terribili. Ci fu il crollo di tre imperi multinazionali: l’impero ottomano,
asburgico e russo.
I primi due sono scomparsi per sempre dalle carte geografiche, mentre l’impero russo ha conosciuto una metamorfosi
socio-politico-culturale, diventando, in seguito alla rivoluzione, l’Unione Sovietica.

La seconda rivoluzione scoppiò nel febbraio del ’17, in seguito a rivolte operai nelle varie città, ma soprattutto per
diserzioni in massa nell’esercito russo, poiché i soldati non capivano perché continuare a farsi massacrare. A quel punto,
lo zar Nicola II abdica, si instaura un governo provvisorio di orientamento liberale che inizia riforme importanti, ma
commette un errore fatale: dichiara di voler proseguire la guerra per onorare gli impegni con gli alleati. Questo fa sì che la
maggior parte della popolazione russa, soprattutto le classi basse che pagavano il prezzo più alto della guerra e non
capivano il motivo di combattere, aderissero assai poco al nuovo governo, sostenuto quindi dalle classi alte.

La prima rivoluzione di febbraio viene sommersa, sostituita da quella di ottobre che è quella in realtà che studiamo sui
libri di scuola.
A fare la rivoluzione sono i bolscevichi: essi, da rivoluzionari comunisti, non accettavano il nuovo governo
liberale/borghese e volevano creare, secondo la dottrina marxiana, un governo degli operai e dei contadini.
Riusciranno a compiere la rivoluzione per due ragioni: essi dichiarano di voler mettere fine al conflitto, riuscendo a far
leva sui cittadini. La promessa di procedere all’armistizio ebbe l’appoggio della stragrande maggioranza della
popolazione, del tutto comprensibile. Questa è stata la ragione principale per cui la rivoluzione d’ottobre (avvenuta in
realtà il 7 novembre per la differenza di calendario tra quello giuliano e gregoriano) trionfò.
Altro motivo per cui la rivoluzione d’ottobre funzionò è perché i bolscevichi riuscirono a sconfiggere ogni tipo di
opposizione, sia quelle monarchiche e di destra che quelle rivoluzionarie e democratiche di sinistra), usando un livello di
violenza tale che gli oppositori non vollero/seppero controbattere adeguatamente.
I bolscevichi erano relativamente pochi. L’assemblea costituente che venne votata a metà del 1917, diede loro circa il
15% dei voti; molto meno di quanto ricevettero i social rivoluzionari che erano il partito dei populisti. I bolscevichi, pur
essendo quindi una minoranza all’interno del paese, erano molto ben organizzati e disciplinati, capeggiati da leader che
per tutta la vita aveva studiato per mettere in atto una rivoluzione. Quando ebbero l’occasione, la colsero molto abilmente,
soffocando, eliminando, reprimendo, tutte le opposizioni.
Se la prima rivoluzione di febbraio fu liberale, la seconda, quella che trionfò, fu in-liberale. Portò, nel giro di pochi anni,
all’instaurazione di un regime politico/sociale/culturale totalitario.
Per alcuni anni, fra l’ottobre del 1917 e la fine del 1920, nei territori immensi dell’ex impero russo, ci furono molte guerre
degli uni contro gli altri. La principale fu quella tra i rossi e i bianchi. Ci furono guerre locali; gli Ucraini cercavano
l’indipendenza, lo stesso i Caucasici e i musulmani dell’Asia centrale.
I bolscevichi riuscirono ad emergere come vincitori assoluti. Nel 1920 in sostanza essi avevano il pieno controllo del
paese.
Le riflessioni sulla rivoluzione russa sono polarizzate: era inevitabile la rivoluzione russa? Le idee dei bianchi e dei rossi
erano giuste o sbagliate? Le politiche messe in pratica dai bolscevichi erano buone o cattive?

Possiamo però discutere sui dati storici e condividere almeno gli snodi del periodo, ma la valutazione della rivoluzione
possono essere molto diversi. Ad oggi, a livello storico, c’è un accordo sostanziale su cos’è successo, sui fatti storici ma le
interpretazioni rimangono abbastanza divergenti.
Qualunque sia il giudizio sulla rivoluzione russa e sull’unione sovietica, non dobbiamo commettere l’errore di considerare
l’Unione Sovietica la Russia con un altro nome.
La rottura rivoluzionaria, cioè il cambiamento prodotto dalla rivoluzione e dal sistema sovietico, è stata eccezionalmente
profonda, molto di più di quella che hanno prodotto per esempio il fascismo in Italia o il nazismo in Germania.
La Russia non è l’Unione Sovietica e viceversa.
La rivoluzione russa (in russo “La grande rivoluzione d’Ottobre”) non ha generato una Russia sovietica, ma un’unione
delle repubbliche sovietiche. Se uno stato ha un nome anziché un altro, ha la sua importanza. La Russia muore con la
rivoluzione d’Ottobre. Quello che nasce, soprattutto nel 1922 quando viene formalizzata la nascita dell’Unione
Sovietica, è uno stato completamente diverso.
Partiamo dal termine rivoluzione (dal latino rivolgere, ribaltare): si parla di un capovolgimento della struttura
economica/sociale/culturale/politica del paese. Questo vale soprattutto per la rivoluzione dell’ottobre del 1917. Se noi
prendiamo l’impero russo nel 1914, in precedenza allo scoppio della prima guerra mondiale, e lo compariamo con
l’Unione Sovietica del 1935, le uniche cose stabili, permanenti che noteremo sono esteriori: il territorio (persi pochi
territori), la stessa lingua ufficiale (il russo).

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Si tratta di due indicatori di grande importanza; tuttavia queste forme di continuità tra la Russia imperiale e l’unione
sovietica non possono annullare il fatto che ciò che cambiò furono assai numerosi e, nel complesso, molto più importanti.
Tutto l’ordine politico/sociale/culturale/economico pre-rivoluzione venne spazzato via dalla rivoluzione:

- l’impero russo era una monarchia dove dominava la nobiltà, con un’importante crescita dell’elemento
borghese, un regime semi-parlamentare dove vigeva la proprietà privata e libertà di impresa economica.
Era uno stato centralizzato, al cui interno, le minoranze etniche non avevano alcuna autonomia territoriale.
Nel luglio 1918 la famiglia imperiale viene sterminata. La nobiltà e le classi alte borghesi vengono
sterminate o cacciate. I Cosacchi, maggior parte dei quali combatterono con i bianchi, vennero scacciati o
sterminati.

- Chiesa ortodossa russa Venne ferocemente repressa. Il 90% delle chiese vennero chiuse e l’alto clero
sterminato o cacciato. In realtà la repressione antireligiosa coinvolse tutte le religioni, quella cattolica,
protestante, le moschee musulmane, i tempi buddhisti e le sinagoghe ebraiche. Venne imposto l’ateismo di
stato.

- Vigeva la libertà privata La libertà d’impresa venne completamente eliminata, a vantaggio della
proprietà statale e di un’economia comandata dallo stato stesso. Nessuno poteva più avere un negozio, una
terra, una miniera o un’impresa propria. Tutto era statale. La terra venne confiscata agli antichi proprietari,
alla nobiltà, alla Chiesa, allo stato ma non venne data ai contadini che in larga misura combattevano con i
bolscevichi per avere la proprietà della terra ma venne statalizzata e i contadini diventarono operai agricoli
della terra di stato. Le fabbriche, non furono date in gestione agli operai, che avevano fatto la rivoluzione
per questo, ma vennero poste sotto il controllo statale.

- Capitale Leningrado capitale Mosca.

- L’Unione sovietica era in forma federale Nella sua fase centrale, matura, era una federazione di 15
repubbliche socialiste, sovietiche (Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, tre Caucasiche, 5 centro
asiatiche).

Alla guida di tutto questo impero c’erano solo i bolscevichi capeggiati da Lenin, poi Stalin (segretari generali del partito
comunista). Questi cambiamenti avvennero nel corso degli anni e furono radicali.
La rottura tra l’impero russo e l’Unione sovietica, dal punto di vista ideologico, politico, sociale, economico è stato
radicale, violentissimo.
Dal 1922 in poi, alla nascita dell’Unione Sovietica, fino al 1991 la Russia non c’è stata più.
Cosa accade nel 1968? I sovietici occupano la Cecoslovacchia per riportarla all’interno del campo comunista. Non sono
stati i russi, attenzione. Insomma, l’identificazione tra Unione Sovietica e Russia è sbagliata e fa intendere che non si è
ben compresa la rottura rivoluzionaria (ossia i cambiamenti post-rivoluzione).
L’Unione Sovietica nasce come uno stato ideologico, basato sul marxismo-leninismo, che ha una struttura interna e
obbiettivi esterni, completamente diversi da quelli dell’impero russo. Nella cultura russa la rivoluzione ha portato dei
cambiamenti, ma fondamentalmente è rimasta la stessa. Dal punto di vista culturale c’è una continuità tra l’epoca zarista e
quella sovietica, assai maggiore che nella sfera politica/economica/sociale.

Perché l’Unione Sovietica si struttura in maniera federale? I rivoluzionari bolscevichi avrebbero potuto abbattere la
monarchia, la nobiltà, la chiesa e creare uno stato socialista unitario, invece è stato creato su base confederale. È stata una
scelta di fondamentale importanza, fatta così che l’unione sovietica fosse socialista nella sostanza ma nazionale nella
forma. Si riconobbe ai popoli il diritto ad avere un’autonomia territoriale e culturale all’interno del nuovo stato. Questa
scelta, rispetto ad altre decisioni sovietiche che furono repressive e distruttive, ha prodotti risultati per molti aspetti
positivi.
In Unione Sovietica esisteva una gerarchia di autonomia: le 15 popolazioni ritenute più importanti avevano diritto ad una
repubblica federale, avevano diritto teorico alla secessione. Al di sotto di queste, esistevano alcune decine di repubbliche
autonome, non federali. È il caso della Crimea o della Calmucchia. Al di sotto delle repubbliche autonome esistono le
regioni autonome, e poi i territori autonomi. Abbiamo quattro diversi livelli di autonomia, tutti creati dai sovietici negli

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anni ‘20. Mentre la quasi totalità dei mutamenti politici ed economici, introdotti dalla rivoluzione, scomparvero, la
strutturazione statale rimase.

Per alcuni decenni, il modello ideologico realizzatosi in unione sovietica, è stato per moltissimi stati e persone, il
riferimento ideologico alternativo al mondo occidentale capitalista. La rivoluzione russa ha rappresentato, non solo l’esito
di attività rivoluzionarie socialiste dell’Ottocento e del primo Novecento, ma anche un modello politico e di identità
culturale per buona parte del mondo.
Per decenni, in particolare dopo la seconda guerra mondiale, l’URSS era l’anti-occidente, era cioè un paese strutturato
politicamente, economicamente, socialmente, sculturalmente in una maniera completamente diversa dalle democrazie
capitaliste occidentali. Il modello sovietico veniva imitato da tanti altri paesi, tra i quali la Cina, l’Angola, l’Etiopia,
Cambogia. Nel giro di pochi decenni questa alternativa al modello occidentale ha cessato di esistere, presumibilmente per
sempre. Per tutto il Novecento questa alternativa è stata fondamentale. Chi governava a mosca ha avuto per molti decenni
un ‘arma ideologica per influire sulle sorti del mondo. In epoca sovietica, Mosca poteva contare su decine e decine di
paesi comunisti in giro per il mondo, ma anche su part6iti non comunisti. Non era la Russia che influenzava i partiti
comunisti, ma l’Unione Sovietica, che ha preso il posto dell’Impero russo.
Un altro aspetto controverso è il fatto che la maggior parte dei rivoluzionari bolscevichi non appartenesse all’etnia russa,
mentre quelli di febbraio erano russo. Dopo la morte di Lenin avvenuta nel ‘24, quasi tutti i principali esponenti
dell’Unione Sovietica non erano russi. I bolscevichi erano prevalentemente di etnia non russa, appartenevano a etnie
minoritarie. L’unione sovietica è stato uno stato profondamente diverso dall’Impero russo. DISCONTINUITA FORTE E
PROFONDA TRA L’IMPERO E L’UNIONE SOVIETICA.

05/12 - XII LEZIONE

L’eurasismo e il suo fondatore, Nikolaj Trubeckoj

L’Eurasismo è un movimento di estrema importanza sia in sé, sia perché, a partire dagli ultimissimi anni sovietici, stava
tornando in auge e, oggigiorno, costituisce, non l’ideologia al potere o quella dominante all’interno della società russa, ma
ha una grossa importanza, tanto nella cultura russa, quanto nella visione che la Russia ha di sé e nei suoi rapporti
geopolitici con il resto del mondo.
Che cos’è l’eurasismo? È un movimento intellettuale che si sviluppa tra intellettuali russi emigrati (cioè persone che
avevano combattuto tra i bianchi contro i rossi nella guerra civile o che, se anche non avevano combattuto, non
accettavano l’idea di vivere in una Russia comunista), persone tendenzialmente conservatrici e anti rivoluzionarie, che
hanno sviluppato questa corrente, visione della storia e della cultura russa, in esilio, durante l’emigrazione.
Al di là della violenza della guerra civile, la Russia ha visto l’emigrazione di circa tre milioni di persone,
prevalentemente di alto livello sociale e culturale (nobili, mercanti, industriali, giornalisti, professori universitari, una
parte del clero, una parte di cosacchi...).
Un grosso impoverimento per la Russia Sovietica. In particolare, impressiona il fatto che, nel 1922, venissero caricati
sulla cosiddetta “nave dei filosofi” alcune centinaia di intellettuali, tra cui i maggiori filosofi russi dell’epoca, tutti espulsi
dalla Russia. Buona parte delle classi alte lasciò il territorio dell’ex impero russo in quegli anni. Non si trattò solo di russi.
Quasi tutti gli eurasisti erano, quindi, di origine sociale e culturale nobile, o almeno di alto livello.

Il fondatore dell’eurasismo può essere considerato il principe Nikolaj Trubeckoj (1890-1938). I Trubeckoj erano una
delle famiglie più importanti della Russia. Lui è famoso per due ragioni: è stato tra i più famosi linguisti del Novecento;
dopodiché, perché, con il suo libro, “L’Europa e l’umanità”, fondò l’eurasismo.

Il libro porta, nella traduzione italiana, un sottotitolo che non è presente nell’originale russo, ma che è molto esplicativo e
che denota l’importanza di questo movimento, ovvero “La prima critica all’eurocentrismo”.
In realtà, non è molto preciso, in quanto non costituisce la prima critica; già Danilevskij e Leont’ev avevano affermato che
gli europei, nella loro visione della storia, come percorso dall'antichità alla civiltà europea, commettevano un errore, in
quanto la storia è plurale.
Le idee di questi due vengono riprese e sviluppate in maniera molto intelligente e acuta da Trubeckoj, in questo libro, il
quale apparve a Sofia nel 1920 (Sofia fu la prima tappa della sua emigrazione, poi si traferì a Vienna).
In questo libro sono presenti tre testi: l’Europa e l’umanità - Vero e falso nazionalismo - Il vertice e la base della cultura
russa.

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Cosa sostiene Trubeckoj? Innanzitutto, dice di aver riflettuto a lungo prima di pubblicare il suo libro; nell’introduzione
racconta infatti che concepì la sua opera, addirittura nove anni prima della sua pubblicazione. Prima di allora, non ebbe il
coraggio di pubblicarla, perchè gli sembrava che le sue idee fossero troppo dirompenti e cariche di polemica. Troverà il
coraggio di renderla pubblica solo dopo la rivoluzione, solo quando, ovvero, quest’ultima permise la dimostrazione della
fondatezza delle sue idee.

In sostanza, Trubeckoj sosteneva che la Russia avesse compiuto un errore gravissimo quando,con Pietro si era
occidentalizzata (ma questo lo dicevano già gli slavofili) perché, in questa maniera, era uscita dal suo naturale percorso
storico-culturale e aveva imitato, senza particolare successo, una civiltà estranea, quella europea, che lui però chiama
romano-germanica. A suo giudizio, questa imitazione “scimmiesca” aveva creato una spaccatura tra il vertice e la base del
popolo russo, non aveva portato ad una vera e propria occidentalizzazione della Russia ma ne aveva deformato la natura
psicologica, politica, culturale.
Secondo Trubeckoj, il grande errore è stato quello di ritenere che la civiltà occidentale fosse superiore a quella russa e a
tutte le altre. Nessuno discute che quella europea sia una grande civiltà, ma non è vero che sia superiore a tutte le altre,
non esiste nessuna ragione scientifica o morale per affermarlo. L'asserzione che dovrebbe dimostrare la superiorità della
civiltà europea, secondo Trubeckoj, è che si è diffusa in tutto il mondo, ma, in larga misura, questo dipese dal fatto che gli
europei hanno brutalmente utilizzato la loro tecnologia superiore per colonizzare, sottomettere gran parte del mondo. Non
hanno una superiorità morale, si comportano come tutti i conquistatori usando la propria superiorità tecnologica (quindi
militare) per opprimere tutto il mondo. Gli europei e gli occidentali hanno sicuramente una superiorità tecnologica ma non
una superiorità morale, quindi culturale, perché si comportano come tutti i conquistatori di questo mondo e della storia.
Usano la propria superiorità tecnologica per avere una superiorità militare, e quindi per reprimere tutto il mondo. Le
parole di Trubeckoj sono piene di spirito anti coloniale.
Dice Trubeckoj che non esiste alcuna riprova scientifica sulla superiorità morale e culturale dell’Occidente. L’Europa ha
conosciuto una straordinaria espansione grazia alla superiorità tecnologica militare, ma l’idea della superiorità morale e
culturale è falsa. Non è stata solo la brutalità della conquista coloniale a far diffondere la cultura occidentale e europea, e a
farle apparire come culture universali, è stato anche l’atteggiamento di persone come Pietro e di paesi come la Russia che
hanno accettato l’idea della superiorità europea ed occidentale, tradendo la propria cultura, storia, paese.
Introduce due parole per parlare del rapporto culturale tra la Russia e il mondo:
(egocentrismo) gli europei sono egocentrici, vedono soltanto se stessi e credono di avere sempre ragione, ma tutto
sommato, un po’ tutti i popoli lo sono. La cosa strana è che gli europei sono riusciti a convincere molti che la loro civiltà, i
loro valori, siano universali. Sosteneva che non esistono valori universali ma esistono valori di una determinata civiltà.
Molte popolazioni, a partire dai russi prima di Pietro il Grande, erano anch’essi egocentrici perché pensavano che la
Russia fosse il miglior mondo, in quanto ortodossa e Terza Roma.
(eccentrismo) In base a questo egocentrismo moscovita, la Russia aveva di sé l’opinione più alta possibile. Con Pietro
il Grande, non è più egocentrica, ma la Russia diventa eccentrica, ovvero che sta fuori dal centro. I russi dopo Pietro e le
altre popolazioni che hanno imitato l’Occidente sono eccentrici, hanno posto il centro al di fuori di sé.
Hanno cominciato a pensare, non più secondo le proprie categorie storiche, filosofiche, morali ecc, ma secondo le
modalità di un’altra civiltà, hanno posto il centro fuori da sé stessi.
Trubeckoj chiama questo atteggiamento, che la Russia ed altre popolazioni hanno avuto, eccentrico, e sostiene che è un
atteggiamento sbagliato; non bisogna essere eccentrici, tutti devono tornare al proprio centro. Il suo discorso è universale
ma ovviamente pensa primariamente alla Russia. A suo giudizio, e tutti i successivi eurasisti condivideranno questa
analisi, una delle ragioni della rivoluzione russa è stata proprio questa: due secoli di europeizzazione forzata, imposta
dall’alto, sono stati rigettati attraverso la rivoluzione russa, che viene quindi interpretata proprio come una crisi di rigetto.
Dopo due secoli, l’europeismo è stato rigettato. È questa un’interpretazione molto discutibile.
Se la Russia vuole superare la rivoluzione, che è da condannare in sé, ma va compresa perché è stata una crisi di rigetto di
un’europeizzazione sbagliata e forzata. La Russia deve ripensare sé stessa al di fuori dell’europeizzazione forzata. Deve
ritrovare sé stessa tornando alle proprie radici. (Si può affermare che sia l’opposto di ciò che affermava Čaadaev, il quale
vedeva il problema essenziale della Russia nel non aver camminato insieme all’Europa. Trubeckoj diceva proprio il
contrario; il problema della Russia era che voleva camminare come l’Europa).
La Russia deve ritrovare la propria specificità, che - afferma Trubeckoj ma anche molti suoi colleghi eurasisti - è nella
riscoperta della specificità russa. La Russia non è un paese europeo, è stato sbagliato costringerla ad esserlo ma non è
nemmeno un paese asiatico. Quindi se non è europeo e asiatico, cos'è? È euroasiatico, cioè un terzo mondo specifico,
distinto tanto dalla civiltà occidentali quanto da quelle orientali ed asiatiche.
Bisognava riscoprire le proprie radici, ma quali sono le radici autentiche della Russia? Trubeckoj risponde a questa
domanda, soprattutto nel terzo testo. Per lui, sono due: la forma religiosa cristiana ortodossa, proveniente da Bisanzio, e

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una dimensione etno-culturale, che non è esclusivamente slava, ma, nella quale, la collocazione geografica della Russia
tra Europa e Asia e il secolare contatto con popolazioni asiatiche, ha fatto sì che il popolo russo diventasse, non più
soltanto slavo, ma addirittura tataro-slavo, 12turco-slavo, una popolazione slava-euroasiatica. Per capire la Russia bisogna
tenerne presente la specificità storico culturale, la sua dimensione euroasiatica. Ridurre la Russia esclusivamente alla
dimensione europea vuol dire portarla su una strada sbagliata. Questa è l’idea alla base dell’eurasismo.
I principali eurasisti furono una trentina di persone, tutte emigrate (i centri principali dell’emigrazione russa erano
Berlino, Parigi e successivamente Praga). Particolarmente famosi sono lo storico Georgij Vernadskij, Dimitrij Mirskij, il
fondatore delle geo-politica russa Pëtr Savickij, uno tra i massimi teologi del Novecento russo Georgij Florovskij e
Roman Jakobson, geniale linguista che lavorava con Trubeckoj. Questi pensatori brillanti e originali, per circa due
decenni (generalmente si considera la morte di Trubeckoj nel ’38, la fine dell’eurasismo nell’emigrazione), in condizioni
spesso piuttosto difficili, economicamente e socialmente, cercano di delineare una visione della Russia eurasiatica. Non
più vederla come parte mal riuscita dell’Europa, come avveniva nella cultura post-petrina, ma come una civiltà assestante,
eurasiatica, da studiare secondo i suoi propri principi. Per gli eurasisti, se si guardava la Russia con il giusto metro di
giudizio, quindi non con quello europeo, la si sarebbe potuta vedere come un grande paese euroasiatico, come un paese
che per secoli e secoli ha creato una civiltà originale, che ha saputo accogliere al suo interno tante popolazioni in maniera
pacifica ecc.
Gli eurasisti erano tutte persone molto note nell’ambiente dell’emigrazione russa. Riuscirono ad avere un flusso
importante sulla cultura dell’emigrazione bianca, ma non erano molto amati. Non erano amati perché gli emigrati, circa
tre milioni di persone, si dividevano in due gruppi principali; uno rappresentato dai monarchici puri e semplici
conservatori passatisti, ma sostanzialmente occidentalisti, discendenti di quella ideologia ufficiale, per cui erano rimasti
attaccati all’idea monarchica tradizionale. Non erano comunque amati dai monarchici conservatori e nemmeno da quei
bianchi di orientamento socialista moderato liberale, che li consideravano degli strampalati, che esaltavano un’idea
asiatica orientale della Russia. Erano quindi abbastanza isolati.
Essendo emigrati bianchi, in Unione Sovietica, erano inesistenti, taboo puro e semplice. C’era una spaccatura assoluta nel
mondo dell’emigrazione bianca e l’Unione Sovietica, che si stava creando. In URSS, le loro idee sono rimaste proibite e
sostanzialmente sconosciute sino agli anni ‘80.
Il problema era che, benché tutti gli eurasisti fossero nemici del comunismo e della rivoluzione e che l’avessero
combattuto, e poi fuggiti dall’Urss, per le loro idee eurasiste, erano a disagio, non solo nell’emigrazione bianca, ma anche
in occidente. Trubeckoj aveva parlato di questo colonialismo occidentale, di questa Europa con le sue pretese di
universalismo assolutamente ingiustificato, desideravano tornare in Russia, ma la loro Russia non esisteva più. È avvenuto
un processo molto particolare che riguarda tanto gli eurasisti, quanto l’Unione Sovietica.
Da un lato, tutti gli eurasisti erano nostalgici di casa e avrebbero voluto tornarci, per qualche anno hanno sperato che
l’esperimento comunista crollasse rapidamente. Sono avvenute due cose: una in Unione Sovietica, e una nelle menti degli
eurasisti. L’Unione Sovietica è stata fondata sulle idee di Marx e Lenin, non certo su quelle degli eurasisti, i quali erano
completamente sconosciuti, e non avevano nulla a che fare con l’ideologia comunista.
Se riflettiamo però, il mondo sovietico è stato un momento nel quale la Russia ha effettivamente voltato le spalle
all’Europa e all’occidente, sia pure sulla base di un’ideologia marxista di origine europea. L’Unione Sovietica è stata per
decenni un’alternativa ideologica all’Europa e all’Occidente. Ha dato a ciò che prima era stato l’Impero russo, una
struttura politica economica sociale culturale psicologica, non europea, se vogliamo, anti-occidentale.
Per alcuni aspetti, ad esempio per la strutturazione sovietica su basi nazionali, riconosceva, a differenza dell’impero russo,
le tante minoranze nazionali del territorio eurasiatico e le faceva vivere al suo interno in maniera plurale, riconoscendone
la specificità. Questo vuol dire che se non è possibile chiamare l’Urss e considerarla un paese eurasista, cioè basato
sull’ideologia degli eurasisti, è però possibile, e persino necessario, considerarlo un paese eurasiatico, fondato su
presupposti politici, economici, culturali, non occidentali. Per decenni, l’Urss è stata l’anti-Europa, l’anti-occidente, un
modello politico e geopolitico, non occidentale e anti-occidentale, che, entro certi limiti, dava ragione agli eurasisti.
Cosa avviene tra gli eurasisti visto che l’Urss non crollava? Alcuni cominciarono a pensare che fosse proprio l’Urss
l’Eurasia che loro avevano previsto e desiderato, cioè cominciarono a pensare che l’Urss fosse diventato proprio quel
paese euroasiatico, o eurasista, che si desiderava. Tra quelli che avevano questo pensiero, vi era soprattutto il principe
Mirskij e un altro eurasista meno importante, Sergej Efron, abbastanza noto perché era il marito della grandissima
poetessa russa novecentesca, Marina Cvetaeva, la quale rimase in Russia. Sergej riuscì invece a scappare in Occidente, e
assieme a Mirskij creò una corrente filo-comunista, filo-sovietica dell’eurasismo. Gli eurasisti, in questa maniera, si
spaccarono, perché la maggioranza non voleva sentir parlare di avvicinamento all’Urss e al Comunismo. Mirskij e Efron
tornarono in Unione Sovietica, e vennero, poco dopo, fucilati.

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Trubeckoj parla di “invisibili fili di simpatia razziale” che scorrono tra i russi e i turchi.
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L’eurasismo muore con la morte del leader-fondatore Trubeckoj, i membri rimangono in vita anche molto a lungo, con
eventi vari. Considerando che in Urss fosse un movimento sconosciuto, possiamo pensare che l’eurasismo sia stato una
corrente intellettuale simpatica, interessante e originale, ma sostanzialmente inutile. Il giudizio sarebbe corretto se non
fosse successo qualcosa.

Il neo-eurasismo: Lev Gumilëv

Già negli ultimi anni ‘80, quando l’Urss ancora esisteva ma quando nessuno ormai credeva più nel marxismo, le idee
eurasiste si affermano, per la prima volta, in Unione Sovietica. A fondare il cosiddetto neo-eurasismo è stato Lev
Gumilëv (1912-1992), figlio di Nikolaj Gumilëv, altro grande poeta russo, nonché marito della celeberrima poetessa,
Anna Achmatova. Il figlio di due poeti non è stato un poeta anche lui, ma uno storico.
Ha trascorso venticinque anni della sua vita in campi di concentramento, cominciando ad imparare a memoria le sue
prime opere: le “scrisse” nei campi tenendole a mente, quando poi lo liberarono, cominciò a scriverle.
Negli anni ‘80 divenne incredibilmente famoso scrivendo una serie di libri storici, di media di 500 pagine, che avevano
tirature milionarie, milioni di copie. In Unione Sovietica si leggeva tantissimo, molti dicevano perché non c’era altro da
fare, ma perchè leggere dei mattoni di storia dei mongoli di cinquecento pagine? Perché Gumilëv era un grandissimo
scrittore, che riuscì a rendere immensamente popolare l’idea eurasista, che la Russia non fosse un paese occidentale, ma
un paese eurasiatico, la cui specificità era la capacità di far convivere, al suo interno, tante popolazioni. I libri di Gumilëv
hanno fondato il neo-eurasismo, che è diventato immensamente popolare a partire dagli ultimi anni sovietici e nei primi
anni post-sovietici. Attualmente, il più famoso tra i neo-eurasisti è Aleksandr Dugin (1962 - ancora in vita); il quale, è
inoltre considerato il leader del neo-eurasismo.

Il punto è che la Russia post sovietica, per ragioni abbastanza comprensibili, ha dovuto, da un alto, cercare di risolvere i
terribili problemi politici, economici e sociali, creati dalla fine dell’Urss. In Unione Sovietica, soprattutto dopo la morte di
Stalin, nel paese c’era un livello di vita abbastanza buono, molto più basso di quello occidentale ma molto più alto di
quello africano o asiatico. Quando crolla l’Urss, crolla tutto un sistema politico, economico, sociale e per una decina
d’anni è un vero disastro. Si immagini un paese in cui dall’oggi al domani non si pagano più gli stipendi, dove non c’è più
sanità gratuita o istruzione gratuita; dove c’è tutto da rifare; un paese in cui vanno al potere persone mai viste prima che si
arricchiscono, il più delle volte, in maniera illegale. Nella memoria di tutti, gli anni novanta sono ricordati come un
incubo, momenti spaventosi.
Oltre a questo, c’era anche il problema culturale: per alcuni decenni, l’Urss era stato un paese non occidentale e anti-
occidentale, era vissuto sulla base di principi ideologici opposti a quelli occidentali.
Quando tutto ciò crolla, si dissolve l’Unione Sovietica e rinasce la Russia (nel ‘91), accanto a problemi più pressanti e
urgenti, come quelli del come sopravvivere, come mangiare, come arrivare alla fine del mese, chi poteva permetterselo, il
problema era anche quello culturale. Dove va la Russia? Nei primi anni ’90, si era tornati esattamente alla situazione post
Čaadaev; cos’e la Russia? Un paese occidentale? Se no, cos’è?
Per alcuni anni, il paese ha oscillato in maniera molto interessante ma terribile per i russi. Nei primi anni novanta, dopo la
caduta dell’Urss, va al potere El’cin come primo presidente della Russia post-sovietica. Egli divenne, tra la fine degli ‘80
inizio ’90, un sincero democratico anticomunista. Ha avuto un ruolo importante nel far crollare l’Urss e far superare la
fase comunista. Nei primi anni della sua presidenza, fino al ’95, è sembrato in Russia e in Occidente che ci fosse la
possibilità che la Russia diventasse un paese “normale”, ovvero occidentale, una normale democrazia parlamentare, con
un’economia di mercato, che entrasse nell’Unione Europea e nella Nato ecc...
El’cin e il suo entourage, nei primi anni novanta, erano sinceri occidentalisti, volevano che la Russia, superata la fase
sovietica, diventasse un paese normale, progredito, occidentale. Questa possibilità di far diventare la società dei russi
europei, forse c’era stata, ma non si è del tutto concretizzata; piano piano ha sviluppato una sua specificità che ormai dopo
27 anni dalla fine dell’Urss possiamo dire essersi ormai costituita; la Russia non è un paese occidentale e pare non poter, o
non volere, andare in questa direzione. Che cos’è? Non si sa, non è né europeo né asiatico, è diventato un paese non
eurasista ma eurasiatico. Sta riscoprendo o impostando una propria specificità politico-culturale in senso eurasiatico.
Teniamo presente la distinzione tra i due aggettivi: eurasista indica gli aderenti all’ideologia eurasista o degli anni ‘20-’30
o di quella contemporanea. Eurasiatico indica un dato non ideologico, ma storico-geografico (sta sia in Europa che in
Asia).

13/12 - XIII LEZIONE - lezione del giovedì con persona esterna. No materiale esame.

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19/12 - XIV LEZIONE

LA RUSSIA CONTEMPORANEA

Come le tematiche affrontate durante il corso si sono presentate nuovamente nel corso degli anni? Un aspetto della cultura
russa contemporanea interessante è che è ancora legata a temi ed idee vecchie di secoli. L’ URSS e il sistema comunista,
al di là di un giudizio positivo o negativo che possiamo darne, hanno rappresentato oggettivamente delle alternative al
modello occidentale liberal democratico e capitalista. L’URSS per sette decenni è stata qualcos’altro. Con il crollo
dell’URSS nel 1991 crolla anche l’alternativa comunista e fallisce a livello mondiale l’idea che esista un’alternativa
praticabile e migliore al mondo capitalista/occidentale. Tutti i partiti comunisti, praticamente, cessano di esistere con il
crollo dell’URSS, quando fino a pochi anni prima il partito comunista raccoglieva un enorme consenso. La Russia che
emerge dalla fine dell’URSS non è l’URSS con un altro nome, ma è un paese diverso dall’Unione Sovietica:
-perdendo 14 repubbliche è più piccola (perde quasi tutte le conquiste imperiali dal Settecento in poi)
-la sua leadership non è più quella comunista

Negli anni di Gorbačëv (1985-1991) c’è stato un tentativo di riforme fallimentare per rendere l’URSS più umana ed
efficiente. È stato un progetto fallimentare sotto ogni punto di vista che ha portato, per esempio, a crolli dei salari,
problemi alle infrastrutture, aspettative di vita più basse…

Al di là di questi aspetti politici, economici, oggi affronteremo gli aspetti culturali e sociali dopo il crollo dell’URSS.
Dopo il ‘91, tutti cercano nuove vie ideologiche, vie non comuniste. Tutti i russi con cui si parlava negli anni ‘90 si
chiedevano: ora che il comunismo sta finendo, cosa sarà della Russia? Diventerà un paese occidentale o percorrerà un
percorso diverso? e nel caso, che strada prenderà la Russia?
Per rispondere a queste domande si usavano gli stessi argomenti dell’Ottocento. Si discute circa il futuro della Russia
utilizzando categorie ottocentesche e novecentesche. È come se noi parlassimo dell’Italia del futuro citando Mazzini. Si
ritorna al periodo pre-rivoluzione comunista, tornando indietro storicamente.
→ Soprattutto nei primi anni post-sovietici c’è stato dunque un grande dibattito circa il futuro della Russia. Il modello
comunista si stava sgretolando velocissimamente e allora si sono create delle risposte intellettuali e delle politiche che
hanno reso gli anni 90 culturalmente interessanti, tanto quanto tragici dal punto di vista socio/economico.

Bisognava re-inventarsi. Da una parte c’è stato un processo di democratizzazione, ma economicamente era un paese
disastrato. Finita l’eccezionalità della Russia, l’obiettivo era rendere un paese normale, come l’Europa, come l’Occidente.
Nei primi anni Novanta sembrava possibile e quasi desiderabile che la Russia diventasse una democrazia occidentale e
che addirittura entrasse nella NATO e nell’Unione Europea. Molti si chiedono se questa occidentalizzazione della Russia
fosse davvero praticabile, ma i fatti hanno dimostrato che politicamente/militarmente/culturalmente la Russia non può far
parte dell’Occidente (non fa parte dell’Unione Europea, non fa parte del G8, è in conflitto con i paesi occidentali…) → la
Russia non ha seguito la strada di democrazia occidentale.

Sono emersi alcuni gruppi/tendenze intellettuali che possono essere riassunte schematicamente in questo modo:
nei primi anni di El’cin era forte l’opzione neo occidentalista, neo liberale: la Russia si può europeizzare, occidentalizzare.
Bisogna tornare all’Europa, dopo un infausto periodo comunista. è un’idea forte sostenuta dai vertici politici, si dice che
sia stata dominante fino alla fine del 93 o 95. Nel 95, si capisce che l’opzione filo occidentale è fallimentare.

riproposte di idee passate: neo panslavismo e neo eurasismo. Si riprendono temi, autori e idee che nell’Ottocento avevano
detto che la Russia deve seguire un suo cammino specifico, non può essere assimilata al modello europeo.

In realtà nessuna di queste idee si è imposta nella nuova Russia, nella Russia post sovietica. Il dibattito vede una serie di
oligarchi che si scontrano tra loro nella Russia degli anni novanta, in un clima di discussione politica intellettuale accesa.
Che cosa è diventata dunque la Russia di oggi? Con chi si identifica alla Russia di oggi?

Putin è un neo occidentalista, neo eurasista o neo slavofilo? Non è nulla di tutto questo. Che cos’è la Russia di Putin, al
potere dal 1999 in diverse posizioni dello stato? Sicuramente non è un paese occidentale, non è un paese democratico: non
siamo in un sistemo totalitario di assoluto controllo dei cittadini, ma non è neanche liberale e democratico. Non abbiamo
risposte univoche, ma si parla di ‘ democrazia guidata’ o ‘pseudo democrazia’

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-> tutto il potere è nelle mani di una ristretta classe politica di cui Putin è espressione. Bisogna considerare che Putin è
stato scelto nel 1999 prima come primo ministro da un gruppo di potere costituito principalmente dai vertici delle forze
armate, dei servizi segreti, (FSB), dai leader dei colossi industriali che hanno riconosciuto in Putin caratteristiche
estremamente positive.

Dopo vent'anni di potere, è lui il potere. Ma cos’è la Russia di Putin ideologicamente? Non è più comunista, né è tornata
alla proprietà statale dei beni (= c’è proprietà privata), l’economia è capitalista, anche se è forte l’intervento dello Stato. Il
sistema politico culturale creato soprattutto sotto Putin si è sicuramente allontanato dal sistema democratico liberale, non
per l’aspetto economico (= sono entrambe economie capitaliste, anche se l’economia russa è carente dato che non produce
nulla e vive di rendita sull’esportazione di gas e petrolio).

La Russia post sovietica è un paese che dopo un decennio di sperimentazioni sotto El’cin non ha seguito il percorso
occidentale, ma sta intraprendendo una via propria. La Russia ha una élite politica che, dopo El’cin, ha progressivamente
costruito uno stato e una cultura politica che non possono essere considerati delle alternative globali all’Occidente come
era in epoca sovietica. Non ci sono partiti che abbiano come modello ideologico, politico, economico la Russia, né la
Russia si pone come tale. Andare per la propria strada significa rifiutare non solo l’idea di essere un paese occidentale,
anche se riconosce di essere di cultura occidentale (si guardano film americani, vanno all’opera, leggono letteratura
occidentale e la loro letteratura è a nostro modello), ma anche quella di rifiutare l’idea che l’Occidente, guidato dagli
USA, abbia il diritto di dominare il mondo intero politicamente, ideologicamente e militarmente. La Russia afferma che
dopo la fine del mondo bipolare (URSS e USA si scontrano per l’egemonia mondiale) non si debba andare verso un
mondo unipolare guidato dagli Stati Uniti, ma verso un mondo multipolare nel quale i vari paesi di comune accordo
gestiscono la politica internazionale. Questa visione multipolare delle relazioni internazionali entra in conflitto con la
nostra idea dominante in Occidente: dato che abbiamo sconfitto l’ideologia comunista, abbiam fatto crollare l’URSS,
crediamo che la nostra civiltà occidentale coincida con la civiltà universale. La Russia contesta questo assunto. Non è
detto l’Europa sia il metro di tutto, è un tipo storico culturale, non oggettivamente superiore agli altri. Non è detto che
bisogna imitarlo.
Esiste un discorso ufficiale di Putin che riprende molti aspetti della storia politica intellettuale della storia della Russia: la
Russia è un composito sistema che mette insieme tanti aspetti del suo passato politico e intellettuale. Da una parte si
conserva l’elemento socialista (ex: c’è una statua di Lenin), dall’altra la componente zarista (ex: si beatifica la famiglia
imperiale, si stabilisce ancora il rapporto con la chiesa ortodossa…).
→ vi è una continuità storica del paese.
Lo scorso anno c’è stato il centenario della Grande Rivoluzione d’Ottobre: Putin ha ricordato l’evento, non
demonizzando, né celebrando l’evento storico. Putin ha imposto una via mediana: tanti rossi, quanti bianchi combattevano
per la grandezza della Russia. Ciò che è successo, però, non deve mai più succedere: non può sussistere ancora una
rivoluzione dal basso. La Russia deve essere unita. Putin ha recuperato molti simboli dell’impero imperiale (più vicino ai
bianchi che ai rossi) perché odia l’idea di una frattura che metta i russi gli uni contro gli altri e che porti alla rivoluzione
(anche perché un’eventuale rivoluzione lo metterebbe K.O.).
→ Egli dunque propone l’idea di una Russia unica, unita, continua che eviti con ogni mezzo una rottura violenta che per
anni determina una contrapposizione armata tra i russi e distrugge la società e l’economia del paese. Putin privilegia e con
lui la classe dominante la continuità, la stabilità.
→ La Russia tende a configurarsi come un paese conservatore religiosamente parlando. I discorsi pubblici/ufficiali di
Putin sono dunque interessanti perchè mostrano l’intenzione di porre la Russia come paese conservatore dei valori
tradizionali non solo russi, ma generalmente di tutta l’Europa e di tutto il mondo cristiano. La Russia sarebbe dunque
baluardo dei valori cristiani, laddove l’Europa invece sta ripudiando questi valori. Si pensi alla questione
sull’omosessualità (l'omosessualità in Russia è problematica, ostile. La sua propaganda infatti è stata vietata. ) o
all’ateismo.

→ contemporaneamente, in reazione alla crisi con l’Occidente, sta facendo una svolta verso l’Oriente. I russi sono di
cultura occidentale, non sono filo asiatici. Il discorso che più prevale è questo: la cosa più importante negli ultimi
vent’anni è la crescita esponenziale della Cina. L’asse economico sta andando ad Est. L’Occidente sta perdendo la sua
supremazia in termini di egemonia politica ed economica. Ci sono tanti altri paesi emergenti (India, Vietnam, Corea) che
fan capire che l’asse del mondo si sta spostando ad Est (pensa al progetto ‘Le vie della seta’ che vede la costruzione di
autostrade che porteranno ad una crisi delle industrie occidentali per un abbassamento del costo dei prezzi di esportazione
dei prodotti asiatici e dunque un’offerta sul mercato difficile da controbattere). Questo rompe la convinzione occidentale

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che esista una superiorità economica data da valori democratici: ci può essere uno sviluppo economico, senza un processo
di liberalizzazione (=diritti umani). Il modello.
l’Europa e l’Occidente ci respingono, noi seguiremo l’Est
sono secoli che cerchiamo di copiare il modello europeo
l’egemonia del mondo occidentale sta tramontando (come valori, politicamente ed economicamente). Non esistono valori
universali, ma occidentali, orientali, slavi etc.
l’Asia sta marciando verso il trionfo. Ha senso stabilire un rapporto propositivo verso queste potenze emergenti

→ MULTIPOLARITÀ e RIFIUTO DEL PREDOMINIO DELL’OCCIDENTE.

Ogni potenza deve creare un proprio tipo culturale, politico ed economico. Non è legittima un’egemonia globale (ad oggi
attuabile solo dall’America).
Dopo la fine dell’URSS, si pensò che ci sarebbe stata una europeizzazione globale, ma così non è avvenuto. Paesi come
l’India o la Cina hanno insistito sulle proprie tradizioni culturali/politiche nazionali, seguendo in una via totalitaria, non
liberaldemocratica.

-> si sta creando un nuovo ordine mondiale in cui l’Occidente sta perdendo la propria centralità e si sta ristrutturando su
una pluralità di grandi stati che non accettano il predominio dell’Occidente e insistono, invece, sulle peculiarità nazionali

→ i nostri valori liberal democratici non sono universali.

→ probabilmente la Cina supererà gli USA entro le prossime decine degli anni. sarà la fine di un mondo dove l’Occidente
e l’Europa hanno il predominio, sono il centro del mondo

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