Sei sulla pagina 1di 21

La crisi economica e politica argentina

di Riccardo Campa

https://www.treccani.it/enciclopedia/argentina_%28Il-Libro-dell%27Anno%29/

1° gennaio

Il Parlamento argentino elegge presidente Eduardo Duhalde, esponente del partito peronista. In dieci
giorni, da quando imponenti manifestazioni di piazza hanno costretto alle dimissioni Fernando de la Rúa,
alla Casa Rosada si sono alternati cinque presidenti. A Duhalde, il cui mandato durerà due anni, è affidato
l'arduo compito di far uscire il paese dal caos economico e politico in cui è precipitato.

Dal governo de la Rúa a quello Duhalde

Alle 23 del 19 dicembre 2001, il presidente della Repubblica Argentina, Fernando de la Rúa, in un breve
discorso alla nazione, proclama lo stato d'emergenza nell'intento di proteggere le persone e le cose dai
saccheggi, sempre più generalizzati. Egli riafferma comunque il proposito di portare a compimento il suo
non ben precisato programma socio-economico. Alcuni istanti dopo, contrassegnati da un silenzio irreale,
irrompono nelle strade di Buenos Aires - e di altre città argentine - i rumori metallici destinati a convertirsi
nel cacerolazo, la protesta al suono delle casseruole. Nelle ore immediatamente successive, fiumane di
persone si riversano spontaneamente in Plaza de Mayo, nota alle cronache internazionali come l'emiciclo
della pacifica contestazione delle madri dei desaparecidos dell'infausto periodo della dittatura militare
(1976-83), stigmatizzata dal documento redatto da un comitato di salute pubblica, presieduto dallo
scrittore Ernesto Sábato, dal titolo Nunca más ("Mai più").

L'empito popolare, al grido ¡Que se vayan! ("andatevene!"), si trasforma in un autentico, autoconvocato,


congresso costituzionale, che a somiglianza di quanto si manifestò nel 1810 ai primi moti dell'indipendenza
dell'America Latina dalla Spagna, si esplica di fronte all'antico municipio, il Cabildo, nell'intento di
riappropriarsi di un potere decisionale finora delegato alle rappresentanze politiche. Il popolo - si sostiene -
esige la restituzione del mandato istituzionale, per essere in grado di rispondere adeguatamente alle sfide
dell'emergenza economica e amministrativa.

Le autorità, affermando di dover proteggere dagli assalti degli emarginati e degli affamati la maggior parte
della popolazione pacificamente riunitasi per protestare, richiamata dall'impellenza vitale e dal residuato
senso di solidarietà civile, inducono gli apparati della polizia ad agire con particolare violenza, nel proposito
di ristabilire un minimo di ordine sociale. La polizia - malpagata e al servizio di un sistema che funziona
come un simulacro della democrazia in un presunto ordine postindustriale - reagisce in modo
spregiudicato, infierendo anche contro vecchi e bambini.
Il giorno seguente, Plaza de Mayo si riempie di giovani, che affrontano gli attacchi della polizia con
determinazione, anche per rendere sempre meno credibile un apparato di sostegno di uno Stato privo di
legittimazione consensuale. Gli scontri provocano cinque morti e un numero imprecisato di feriti. Il discorso
del 20 dicembre 2001 del presidente della Repubblica, volto ad attutire le tensioni e a guadagnare tempo
alla ricerca di un'improbabile soluzione, suscita un'ancora più acuta ripulsa popolare. La gente invade come
una marea montante, oltre che Plaza de Mayo, Plaza del Congreso e Plaza del Obelisco e s'irradia per tutte
le vie della capitale rioplatense.

All'infiltrazione di masnade vandaliche nelle file dei manifestanti fa riscontro un soprassalto di violenza
poliziesca, che si conclude con la morte di 30 persone e il ferimento di un numero altissimo di dimostranti.

In questo scenario, si sospetta si siano inseriti, nella conurbazione di Buenos Aires, alcuni membri del
partito officialista (del peronismo-menemista), indotti dalle circostanze a trarre profitti personali in termini
di ambizioni politiche. I sequestri di persona, i furti e il riesplodere di contrasti affievoliti nel recente passato
riaccendono i conflitti non soltanto fra gli oppositori, ma anche all'interno della compagine governativa, di
ispirazione radical-conservatrice. Alle 21 del 20 dicembre il presidente de la Rúa è costretto a dare le
dimissioni e a congedarsi da quei consiglieri che accrescono, agli occhi degli osservatori, le sue
responsabilità. La sua uscita di scena è considerata una necessaria condanna per l'incapacità del governo da
lui presieduto di affrontare una situazione economica e sociale così inquietante da mettere a rischio la
stessa identità culturale del paese.

La popolazione, nel suo compendio di classe media, classe operaia, disoccupati ed emarginati, affronta una
situazione politica priva di leader di ricambio.

Il modello neoliberale, applicato in Argentina, si risolve in beneficio esclusivo del potentato finanziario, che
opera con spregiudicatezza in tutte le piazze del pianeta. La cultura dell'evocazione, propria delle comunità
immigrate fra la seconda metà del 19° e la seconda metà del 20° secolo, si interconnette con quella della
modernità, che comporta la trasformazione dell'economia agraria nell'economia industriale e un'adeguata
ristrutturazione di questa nell'economia dei servizi. L'Argentina si trova impegnata in un'economia dei
servizi senza aver completato e perfezionato l'economia industriale. Essa ha ricevuto dall'Europa dell'epoca
del totalitarismo le suggestioni necessarie per attuare, sia pure rapsodicamente, una concezione autoritaria
della vicenda politica e sociale, nel proposito di mobilitare le comunità contadine e trasformarle nelle
masse operaie.

La recente rivolta popolare magnifica paradossalmente le velleitarie istanze dei singoli individui e dei gruppi
che rivendicano un loro protagonismo senza essere in grado, nell'epoca mediatica, di indicare una strategia
e un'organizzazione capace di realizzarla. La richiesta della gente automobilitata di tenere un Cabildo
abierto, un organo costituente permeato dalla volontà di quanti si considerano direttamente impegnati a
risolvere le contraddizioni del loro paese, ripropone un percorso storico già tentato negli anni Trenta del
20° secolo con esiti non certo edificanti. La sovranità popolare, che non sia depositaria, oltre che di vis
polemica, di un programma che contemperi le esigenze comunitarie con la dinamica economica mondiale,
si esaurisce nella protesta. Tant'è vero che, nel giro di dieci giorni, l'Argentina assiste stupefatta all'elezione
di cinque presidenti (la cui permanenza alla Casa Rosada è, in media, di due giorni), fino alla nomina
parlamentare dell'attuale presidente Eduardo Duhalde.

La crisi politica

La tentazione populistica, nell'America Latina, è un male radicato. In Argentina essa si manifesta con
peculiarità proprie delle classi inferiori urbane, dominate dalla suggestione carismatica e dall'emotività
come forma di partecipazione comunitaria e decisionale. Juan Domingo Perón, "il primo fra i lavoratori", è il
leader di una componente sociale nella quale il prestigio, sia pure artificioso, prevale sull'effettiva
consistenza del sistema economico e produttivo. La rielezione di Perón, nel 1973 (la prima presidenza
comprende gli anni 1943-55), conferma la caduta di tono dell'Argentina. Il paese si illude di ritornare alle
grandezze passate quando, facendosi garante durante i due conflitti mondiali del rifornimento delle derrate
alimentari (del grano e della carne) alle potenze belligeranti, aveva tesaurizzato notevoli risorse monetarie,
tali da consentire l'ammodernamento e l'estrema urbanizzazione del paese, sottraendol»o alle
drammatiche esperienze della tecnologizzazione del lavoro mediante la militarizzazione della manodopera
e l'esaltazione, congiuntamente, della fabbrica e della guerra. L'apostolato misticheggiante di Evita Perón
conferisce al populismo argentino un'ambientazione da telenovela e il correttivo orgiastico del
provvidenzialismo. L'arte dell'infedeltà razionale si vendica nel luddismo boulevardier, nell'esaltazione
nazionalistica. Il tango - definito da Enrique S. Discepolo 'un pensiero triste che si balla' - finisce con il
racchiudere nel suo diametro rappresentativo l'epopea dell'emigrante, la vicenda del perlustratore degli
spazi inesplorati della sensibilità multietnica e plurilinguistica, interiorizzati nell'amalgama dell'eros.

Il populismo rivendica una sorta di volontà generale indifferenziata ed emotiva, che nel passato prorompe
nel capataz e nel presente si manifesta nei personaggi spesso imprevedibili e neghittosi della storia. «In
Argentina, al di là dell'identificazione congiunturale o fondamentale con il 'nazifascismo' - sostiene Alain
Rouquié (Amérique latine. Introduction à l'Extrême-Occident, Parigi, Éditions du Seuil, 1998; trad. it.
Milano, Paravia-Mondadori, 2000, p. 221) - il peronismo, dal punto di vista dei rapporti con la classe
operaia, è stato oggetto di due interpretazioni: una polemica, in cui si manifesta la contrarietà dei leader
del socialismo democratico di fronte al 'lassismo' delle masse, l'altra sociologica, basata su una ricerca
storica. Secondo la prima, la classe operaia argentina ha venduto la propria libertà per un piatto di
lenticchie, accettando di sostenere la tirannide. Secondo gli autori che sostengono la seconda
interpretazione, il successo del peronismo deriverebbe dall'esistenza di una 'nuova classe operaia', emersa
dall'esodo rurale, priva di tradizioni sindacali o politiche, catturata dalla politica paternalistica del colonnello
Perón. Si può facilmente constatare che, a eccezione dei princìpi, si tratta di due presentazioni diverse di
una stessa opinione. Ed è ciò che esprime con consumata eleganza il partito comunista argentino,
nell'ingessato linguaggio leninista, quando afferma che bisogna "ricondurre il proletariato argentino alle
organizzazioni della classe operaia"».

La politica della ridistribuzione dei redditi non costituisce una preoccupazione del populismo. Nel suo
programma politico, l'assistenzialismo è a carico dello Stato, finché può attingere alle riserve monetarie
accumulate negli anni di maggior splendore produttivo delle derrate alimentari, fermo restando il
beneplacito dei terratenientes e degli estancieros abituati a convivere con il potere costituito,
condizionandone le deliberazioni o disattendendole. Ma non si è mai determinata un'aperta discrasia fra i
settori per così dire produttivi e i settori per così dire parassitari: la loro complementarità ha dato vita a
un'ibrida cultura, insieme localistica e universale. Alle esortazioni di Domingo Faustino Sarmiento,
preoccupato di alfabetizzare le masse, fa riscontro il ricorso ecumenico degli intellettuali accorsi nella
redazione della rivista Sur di Victoria Ocampo, un'aristocratica universalizzante, capace di raccogliere
intorno alla propria persona personaggi della letteratura mondiale come Pedro Henríquez Ureña, José
Ortega y Gasset, Enrique Anderson Imbert, Fernando Rosemberg e altri. Intemperante e autoritaria per
natura, la fondatrice di questo sodalizio letterario d'ispirazione modernizzante si è astenuta dall'intravedere
nella filigrana della cultura del 20° secolo quel nodo scorsoio che ha modificato perfino l'aspetto
antropologico del mondo: la tecnica, la funzione mediatica dell'immaginazione e dell'impresa umane. La
mancata saldatura con l'universo tecnologico e tecnocratico costringe l'Argentina a gravitare in un circuito
culturale, il cui sedimento antico, archeologico è, peraltro, nel vecchio continente. Il paese, continuamente
combattuto fra l'America e l'Europa, non è riuscito a sottrarsi alle insidiose retrovie del potere e a
inaugurare le tumultuose traiettorie delle masse della contemporaneità. Emporio delle avventure estetiche
di architetti e urbanisti inglesi, francesi e italiani, Buenos Aires gareggia con le più rinomate metropoli del
mondo, ma la modernità che la contraddistingue ha già le rughe dell'obsolescenza perché invischiata nei
miti e nelle allegorie di un passato illusoriamente leggendario e di un drammatico e increscioso presente
per l'estemporaneità e la gratuità del male manifesto e denunziato con l'acredine dell'estraneazione.

La cultura di élite e di dimensioni universalizzanti non contrasta con il regime populista, considerato di
transizione e rivolto all'acquisizione di prerogative progressiste in favore di un numero crescente
d'individui. Tale regime ha avuto l'effetto del 'vaccino contro la rivoluzione' mediante l'adozione di politiche
sociali che, con l'ausilio della retorica (prima radiofonica, come osserva Aldous Huxley, e poi televisiva),
riconosce un ruolo di sostegno, anziché di contrapposizione o di critica, ai sindacati e alle organizzazioni
contadine. «Questa è, senza dubbio, l'origine dell'aspetto di psicodramma chiassoso e a volte
incomprensibilmente caotico che caratterizza l'ideologia populista, al cui interno la violenza verbale riveste
un ruolo pregnante. La 'condanna a morte simbolica' delle oligarchie, o dei capitalisti o delle società
straniere, è invocata frequentemente. È il 'caos in nome dell'ordine'. Di fatto, gli interessi dei gruppi presi di
mira non vengono toccati. Le riforme di struttura, anche quando, raramente, vengono realizzate, non vanno
al di là dello stadio embrionale» (Alain Rouquié, cit., p. 223).

Le trasformazioni sociali, che normalmente generano, se non conflitti, naturali dissidi fra i comparti umani e
strutturali chiamati a realizzarle, sono spesso contrastate dall'azione svolta dal potere tutorio nei riguardi
dell'istituzione ecclesiale, la cui compromissione è richiesta allo scopo di evitare lacerazioni fra i ceti
imprenditoriali e la manodopera. L'integrazione nel sistema produttivo della forza-lavoro si realizza con
quella particolare gradualità che ne vanifica l'incidenza per non compromettere i consolidati benefici delle
oligarchie locali. La burocrazia e il connesso clientelismo rafforzano l'ingannevole identità dello Stato, che
spossessa la società civile delle prerogative proprie dei sodalizi istituzionali d'ispirazione liberale. «La
coscienza di classe è occultata dalla 'coscienza di massa'. Il nazionalismo solidaristico contribuisce
all'integrazione politica dei ceti subordinati e delle masse urbane» (Alain Rouquié, cit., p. 224). La coscienza
di classe delle masse urbane è un antidoto del populismo; ed è per questa ragione che, a ritmi ricorrenti,
esso è denunziato come inadeguato o addirittura controproducente. Il contrasto fra l'ideologia populista -
anche nelle sue forme per così dire progressiste del desarrollismo - e i presupposti democratici appare
insanabile proprio nei paesi, come l'Argentina, dove l'interazione con i paesi europei (primo fra tutti, l'Italia)
è consolidata e iperattiva. Il nominalismo e il formalismo giuridico simulano un richiamo ideale ai
movimenti ideali europei, ai quali si devono le correnti dottrinarie liberali e socialiste nelle loro diverse
estrinsecazioni.
Il privatismo è una deformazione protezionistica ed elitaria del liberalismo. In Argentina si converte
tradizionalmente nell'interesse dei ceti privilegiati, che contrastano lo Stato quando non si sclerotizzi, come
avviene nei governi populisti, in un apparato assistenzialista. L'avversione per la riforma agraria e per la
riforma fiscale da parte dei gruppi economicamente egemoni tiene ancora in scacco una notevole
percentuale di popolazione attiva, soprattutto nelle province del Nord-Est, prevalentemente agricole e con
un livello appena apprezzabile di adeguamento tecnologico. Secondo una corrente teologica, l'ingiustizia
sociale ha come contropartita la violenza strutturale.

Il rapporto fra ceti, gruppi e classi sociali si estrinseca in una contesa avente come obiettivo una più equa
ripartizione del benessere (per lo meno di quello che viene amministrato pubblicamente, mediante gli
apparati dello Stato e delle strutture a esso corrispondenti).

La debolezza delle strutture di mediazione provoca l'incomprensione fra i diversi gruppi economici e
scatena la violenza. Il divario esistente nel livello di vita fra le diverse fasce sociali non può esonerare il
potere tutorio dalla responsabilità di non attenuarlo. Il monopolio istituzionale, spesso esercitato da un
gruppo regionale, rende precari il funzionamento amministrativo e l'intesa fra organi centrali e periferici,
soprattutto nelle dimensioni dell'Argentina (che è circa otto volte più estesa dell'Italia). La sovversione e la
resistenza nei riguardi del potere centrale è una caratteristica endemica: tutte le sollevazioni sono
scoppiate dalla periferia, da un insediamento militare in guarnigione provinciale, alla mercé dei capi locali,
privi non soltanto di contatti diretti ma di confronto e di prove di forza con i loro omologhi. La dissociazione
interna alle forze armate dipende dalla diversa estrazione logistica dei loro comandanti.

L'indifferenza dei ceti privilegiati per le sorti dei gruppi emarginati dalla logica economica e dal mercato si
esplica, non soltanto in forme criptiche, ma anche esplicitamente, mediante i condizionamenti pubblicitari
e propagandistici. L'accesso alla conoscenza è frustrato anche dall'anchilosamento dell'opinione. Le
trasmissioni radiotelevisive privilegiano l'intrattenimento rispetto alla riflessione e al dibattito, più o meno
come avviene in altri paesi del mondo, con una peculiare differenza: che l'ineluttabilità del bisogno è
soffocata dall'inattingibilità della colpa. In effetti, la cultura popolare imperante è quella del destino cinico e
baro, che addensa sul capo dei governanti tutta la responsabilità di quanto accade, scagionando
pietisticamente gli elettori. Questa tendenza alla persecuzione - nella finzione e nella realtà -
deresponsabilizza l'elettorato e lo rende perciò stesso inefficace o insolvente.

La crisi economica

La mancanza o la debolezza delle infrastrutture implica una discriminazione congiunturale. Le classi


egemoni non concordano con l'idea che lo Stato debba farsi carico delle infrastrutture, perché in questo
caso dovrebbero contestualmente consentirgli di adottare una politica fiscale riformista in grado di
affrontare le relative spese di gestione. In effetti, la diatriba sulla debolezza dello Stato e l'arroganza dei
suoi tutori trova una conferma nella politica economica imposta dai ceti privilegiati (terratenientes e
operatori finanziari) nei riguardi delle strutture istituzionali ad alto regime di inefficienza. Lo Stato è
prevalentemente il luogo delle transazioni, delle contrattazioni fra i gruppi economicamente agguerriti, che
condizionano le scelte del governo e perfino le alleanze privilegiate fra paesi aventi comuni interessi
economici. La politica interna si esplica in ragione di quella estera, che ha prevalentemente il compito di
istituzionalizzare le condotte ispirate dai ceti egemoni.

Anche in Argentina, come negli altri paesi a industrializzazione tardiva, paradossalmente l'industria richiede
allo Stato di farsi carico delle infrastrutture, dei finanziamenti e della protezione doganale senza esercitare
efficacemente ed equamente il prelievo fiscale. Lo Stato pertanto finanzia, nel 19° e nel 20° secolo,
l'aristocrazia latifondista e le borghesie rurali. Le politiche del lavoro e le leggi sindacali assicurano dei diritti
che l'economia di mercato non è in grado di soddisfare. Sul retaggio dell'anarchismo e del
repubblicanesimo, introdotti in Argentina dagli esuli e dagli immigrati italiani (per es. l'anarchico Severino Di
Giovanni, giustiziato nel 1931), la classe operaia ha raggiunto un grado di consapevolezza sociale che il
moltiplicarsi dei pubblici impieghi e il rafforzamento dei ceti medi hanno in parte sacrificato al principio -
alquanto parassitario - introdotto dal peronismo, della stabilità, della continuità e del basso rendimento.
L'economia del pieno impiego contrasta con le leggi della competitività e della concorrenza, che impongono
fra l'altro un continuo aggiornamento conoscitivo e tecnologico. Il risultato positivo che l'ampliamento della
cosiddetta democrazia di mercato determina (con la creazione del Mercosur, del quale fanno parte
l'Argentina, il Brasile, l'Uruguay e il Paraguay) è rappresentato dall'indebolimento del pretorianismo. La
struttura castrense, a lungo protagonista della vicenda politica, dimostra un'atonia partitica e tentacolare
inedita. Il disincanto per i regimi autoritari è dovuto anche all'imponderabilità delle misure di protezione
che ogni paese dell'area può efficacemente assumere per ridurre il malcontento popolare e l'isolamento
istituzionale (soprattutto dagli organismi economici internazionali).

L'inflazione galoppante e il malessere generalizzato costituiscono un permanente pericolo implosivo


difficilmente controllabile con azioni di forza. A questa infausta congiuntura si connette anche un più
insistente sistema di comunicazioni, che rende partecipe degli avvenimenti interni il pubblico mondiale,
ideologicamente attestato in difesa dei diritti civili e del rispetto delle regole di partecipazione democratica.
Il crepuscolo delle dittature coincide con la crisi del debito pubblico, con l'iperinflazione, nonché con la
pauperizzazione.

Il ricorso al mercato implica una ricognizione delle risorse infrastrutturali, create prevalentemente dalla
Gran Bretagna e dalla Francia nel periodo dell'economia argentina di esportazione (ai primi decenni del 20°
secolo) dei prodotti agricoli e dell'artigianato.

Le ferrovie, gli impianti portuali, i tracciati della produzione elettrica e di gas sono opere delle compagnie
inglesi, rispondenti a un disegno economico difficilmente omologabile nell'economia di mercato
contemporanea, che fra l'altro registra una diversa catalogazione delle merci inserite nei vari condotti
commerciali. Il condizionamento delle industrie interne da parte del mercato mondiale determina una sorta
di progressiva emarginazione dei prodotti argentini, in condizioni fortemente antindustriali. Il mercato
contemporaneo esige che i paesi esportatori di prodotti (primari o manufatti) non si adeguino a un regime
di continuità senza paventare la loro ulteriore dipendenza dal credito esterno e dal regime di interventi
finanziari sempre meno sensibili alla logica della solidarietà.

La sostituzione dei prodotti importati con i prodotti interni è lenta e non garantisce la sintonizzazione con il
mutamento del costume sempre più ispirato ai cosiddetti modelli globali. L'incentivazione del consumo
interno favorisce la crescita dell'apparato industriale, che soggiace, nei regimi populisti, alla politica del
credito e alle spietate leggi della dinamica finanziaria. Alla produzione dei beni di consumo non durevoli,
che utilizza le risorse naturali esistenti, si aggregano la produzione dei semilavorati e successivamente
l'industria chimica e quella tecnologicamente sofisticata. Quest'ultimo settore tecnologico comporta la
creazione di società finanziarie così complesse da sfuggire alla competenza censoria delle autorità locali,
che finiscono, anche per ragioni di scarsa competenza, per compromettersi in operazioni illegali.

Gli immensi scenari dell'Argentina, come la Patagonia, ricca di riserve di gas naturale, avrebbero bisogno,
per decollare economicamente, anche di una politica petrolifera in grado di soddisfare le esigenze dell'area
e di negoziare le componenti esterne del settore, utilizzandole per lo sviluppo interno. La bassa
competitività del sistema economico è la causa della voragine del debito pubblico. Le sfide della
mondializzazione incidono relativamente sulla ristrutturazione dell'apparato tecnologico argentino.

Da un rapporto degli anni Ottanta del CEPAL (Commissione economica per l'America Latina) si evince,
infatti, che il settore industriale argentino relativamente più avanzato è quello tradizionale dei beni di
consumo non durevoli. Il 50% delle imprese argentine è di piccole e medie dimensioni (rispettivamente, con
cinque e venti addetti, al massimo). Il mercato nazionale, sviluppatosi con il favore delle barriere doganali,
si trasforma spesso in monopolio per l'assenza di una concorrenza in grado di elevare l'omogeneità dei
prodotti. Le grandi imprese o i comparti moderni sono spesso filiali di società straniere, che beneficiano
dell'ondata di privatizzazione degli anni Novanta.

La drammaticità del debito pubblico, che colpisce l'area latinoamericana nel suo insieme e l'Argentina in
particolare, si acuisce negli anni Ottanta, in seguito alla seconda crisi petrolifera, che induce i paesi
industrializzati a ridurre le importazioni e a elevare i tassi d'interesse ai livelli mai raggiunti dal 1930. A
fronte dell'inflazione continentale di oltre il 1000%, nel 1989, l'aumento dei prezzi in Argentina raggiunge il
4923%. Il 51% delle esportazioni argentine va a coprire il pagamento degli interessi del debito contratto sul
mercato finanziario. Le condizioni di rifinanziamento imposte ai paesi debitori, come l'Argentina, dalle
banche commerciali e dagli enti finanziari internazionali sono di tale entità da provocare una grave
recessione.

La contrazione delle importazioni da parte dell'economia argentina comporta il contenimento dei posti di
lavoro che, nell'ambito della mondializzazione, influisce negativamente nei sistemi propulsivi europei e
statunitensi. La deriva nazionalistica, che rifiuti di onorare i debiti contratti dai governi formalmente
legittimati dal voto popolare, rappresenta una minaccia e costituisce un ulteriore processo di
disaggregazione politica della regione latinoamericana che, per converso, tende a promuovere e a
realizzare aree economiche comuni, in grado di agevolare il flusso di manodopera e di capitali. Tale
prospettiva prevede anche una più equilibrata distribuzione della popolazione attiva, per la maggior parte
insediatasi nelle città, la cui ipertrofia è spiegata, alternativamente, dall'insostenibilità della richiesta
lavorativa da parte della campagna e dall'attrattiva esercitata dalle metropoli moderne. Queste, tuttavia,
sono quasi sempre inadeguate ad assicurare un dignitoso livello di vita alle generazioni che si assiepano ai
margini della modernità.
La precarietà e l'emarginazione insidiano il tessuto connettivo delle grandi città argentine dall'aspetto
elegantemente europeo, come Buenos Aires, Córdoba, Rosario, nelle quali la presenza italiana a livello
imprenditoriale è consolidata da oltre un secolo. Le città del Nord - come Salta e S. Maria de Tucumán, fra
l'altro legate all'emigrazione intellettuale italiana fra le due guerre (Rodolfo Mondolfo, Beppo Levi, Renato
Treves, Benvenuto Terracini) e prima ancora ad altre personalità della cultura italiana del 19° secolo (Paolo
Mantegazza, Edmondo De Amicis) - sono meno affette da gigantismo demografico e quindi immunizzate
almeno in parte dai connessi fenomeni di grave trasgressione sociale. In entrambe le aree, sebbene si
assista alla crescita delle villas miserias, il paragone è a favore delle città argentine rispetto ad alcune altre
metropoli latinoamericane. L'urbanesimo della miseria è meno pervasivo nelle province argentine, nelle
quali l'agricoltura e l'allevamento del bestiame assicurano un livello seppure insoddisfacente di
sopravvivenza. L'indigenza conserva quasi ovunque quel minimo di dignità che le impedisce di sfociare in
aperta rivolta. Tuttavia, i conati d'insofferenza delle fasce meno abbienti e più sacrificate dallo squilibrio
economico (un quarto della popolazione detiene quasi l'80% del totale delle risorse del paese) si
estrinsecano quando l'atonia del potere tutorio si configura come moralmente, oltre che giuridicamente,
inqualificabile.

Le bidonvilles si prestano malauguratamente al maneggio partitico. Esse sono i laboratori politici degli
incettatori di consensi, che si esercitano inevitabilmente nella compromissione e quindi a danno degli stessi
emarginati. «I nuovi 'dannati della terra' non hanno nulla da invidiare ai loro predecessori europei del 19°
secolo. L'insicurezza delle loro condizioni di vita rende particolarmente sensibili questi olvidados della
società urbana a qualsiasi manifestazione esteriore di interesse. Si comprende allora il beneficio che ne
hanno tratto uomini politici accorti o organizzazioni a caccia di una base sociale. Benché assai spesso i
regimi autoritari vedano nell'habitat irregolare soltanto una fonte di nocività, spazio urbano disordinato, se
non addirittura violazione del diritto di proprietà e pericolo sociale causato dall'assommarsi delle povertà,
alcune forze politiche percepiscono le bidonvilles come una massa manovrabile pronta a vendersi al
migliore offerente. Preferiscono cooptare uomini invece di sradicare l'habitat. A tale scopo, si propongono
benefici selettivi ai più deprivati e li si organizza in modo da intrecciare legami di patrocinio duraturi» (Alain
Rouquié, cit., p. 322).

L'emarginazione e l'indigenza possono sfociare pertanto nella rivolta, nell'apatia e nel conformismo. Un
particolare significativo è dato dalla ferocia con la quale alcuni agenti dell'ordine pubblico si scagliano
contro i manifestanti, che rappresentano, nella maggior parte dei casi, il loro stesso ceto di estrazione o di
provenienza. Senza contare - come sostengono alcuni intellettuali latinoamericani- che il livello di
corruzione delle città è più grave e pericoloso della delinquenza (quale strategia della sopravvivenza) che
vige nelle bidonvilles.

Paradossalmente, la consapevolezza di un deterrente latinoamericano, rispetto alle spinte disgregatrici


operanti all'interno dell'area a opera dei beneficiari delle rendite costituite sulla base della commistione
degli interessi politici con gli interessi economici (tanto da far asserire a Henry Kissinger che l'America
Latina è un'astrazione), diventa sempre più evidente, come succede nei primi mesi del 2002 nelle piazze e
nelle strade dell'Argentina. La coscienza infelice di una comunità, non più soggiogata dalle esoteriche
suggestioni dello spazio aperto e incontaminato, si arrovella intorno alle modalità più adeguate per porre
fine all'irresolutezza e all'inconsistenza conoscitiva degli strateghi di una politica arcaica, maldestra e
soprattutto ormai priva di un pur minimo segno di legittimità.
Il centro della protesta è Plaza de Mayo, che è il risultato dell'unificazione delle piazze Victoria e Venticinco
de Mayo, voluta, nel 1883, dal sindaco di Buenos Aires, Torcuato de Alvear. «Si proponeva - scrive Adrian
Gorelik (La bellezza della patria, in 900, 4, p. 136) - un cambiamento spaziale in scala monumentale per il
cuore della città e un cambiamento di abitudini: sebbene la piazza fosse sempre stata il luogo preferito
delle feste civiche, delle sfilate cerimoniali o della protesta pubblica, la presenza della Recova non soltanto
circoscriveva le visuali, ma, per la sua funzione di mercato, creava anche una sensazione di quotidianità e di
molteplicità di funzioni che allontanava la piazza dal cerimoniale».

Il primo appuntamento sindacale, quale effetto della riunione del Mercosur a Buenos Aires, il 17 febbraio
2002, è proprio nelle piazze che testimoniano il ripristino di una volontà popolare organizzata, propensa a
reagire con immediatezza alle risoluzioni del governo Duhalde. Il segretario della Federación Sindical del
Petróleo y Gas Privado (FASPYGP), Alberto Roberti, indice lo sciopero contro i gravami governativi
sull'esportazione del greggio (20%) e dei suoi sottoprodotti (5%), per timore che le compagnie petrolifere
(Reposol Y PF, ExxonMobil, Shell, Chevron, BP e TotalFinaElf) licenzino più di 10.000 impiegati. Roberti non
condivide le assicurazioni del ministro del Lavoro, Alberto Atanasof, secondo il quale nessun lavoratore
contribuirà a elevare l'indice di disoccupazione, che attualmente supera il 22%. Il sindacato confuta la
risoluzione governativa, che trova applicazione dal marzo 2002, intesa a ridurre il deficit fiscale attingendo a
uno dei settori più beneficiati dalla recente svalutazione del peso.

Dopo quasi dodici anni di parità fissa uno a uno fra il peso e il dollaro, nella prima quindicina di febbraio
2002, l'Argentina dà libero corso alla fluttuazione cambiaria: nel periodo più infausto, il cambio del peso
rispetto al dollaro arriva a 2,3, per risalire fino a 1,95. Nel mese di gennaio 2002, l'indice dei prezzi al
consumo (IPC) sale del 2,3%. Il governo Duhalde reputa pertanto che, per tutto il 2002, l'inflazione potrà
raggiungere la quota del 32%. Secondo le previsioni delle banche d'investimento, però, l'inflazione arriverà
a toccare l'80%. José Ramón Díez, del Servizio Studi della Cassa di Madrid afferma che, se il governo
argentino non riuscirà a frenare l'inflazione, il valore del peso rispetto al dollaro è destinato a crollare. Nelle
ultime settimane del mese di febbraio 2002, l'Associazione argentina per la difesa dei consumatori (Adelco)
rileva che il prezzo di molti prodotti, in particolar modo di quelli alimentari, sale in modo disordinato,
oscillando fra il 20 e il 25%. Per questa ragione, è prevista la costituzione di un organismo governativo,
incaricato di monitorare i prezzi al consumo, soprattutto dei generi alimentari, farmaceutici e dei servizi.

Il contenimento dell'inflazione, conseguente alla scarsità del denaro circolante, a causa del cosiddetto
corralito (restrizioni all'accesso ai depositi bancari), ha per finalità l'incremento - del resto virtuale - degli
investimenti internazionali. Questa risoluzione dimostra l'incompatibilità di un'economia in recessione con
una moneta forte: "una combinazione impossibile", secondo David Cano, membro degli Analisti finanziari
internazionali (AFI).

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI), considerando irrealistica la riduzione del debito argentino nel
2002 a 3000 milioni di dollari (pari a un terzo di quello registratosi nel 2001) quale effetto delle entrate
previste per lo stesso periodo, raccomanda una drastica riduzione delle spese e un rigido controllo
sull'emissione di moneta circolante.
L'inevitabilità di provvedimenti di particolare gravità per l'intero contesto sociale provoca soprattutto le
reazioni dei piccoli risparmiatori e dei pensionati; e genera un diffuso senso di smarrimento anche nelle
giovani generazioni. Secondo il giornale bonaerense Pagina 12, nel biennio 2000-01, 140.000 cittadini
hanno abbandonato l'Argentina, e, nel solo mese di gennaio 2002, 23.200 persone sono riparate all'estero
(6000 delle quali in Italia).

Secondo Sergio Ciancaglini (El País, 23 marzo 2002), la 'miseria pianificata' è dovuta all'assenza di una
gestione politica che promuova la fiducia nelle risorse del paese e che faccia salve, con le regole della
concorrenza, quelle della civile convivenza.

repertorio

Profilo storico dell'Argentina

Dall'età coloniale all'indipendenza

Dal confine settentrionale fino all'estremo sud, l'Argentina precolombiana era abitata da tribù nomadi di
indios di diverse culture, che vivevano in modo autonomo e separato in gruppi a densità demografica
difforme da regione e regione. Molte tribù erano a uno stadio di civiltà corrispondente al neolitico europeo;
soltanto i bordi nordoccidentali degli attuali confini del paese rientravano nell'impero incaico e ricadevano
quindi nell'ambito di un'organizzazione statale relativamente progredita, con popolazioni sedentarie a un
livello più evoluto.

Gli spagnoli giunsero in territorio argentino nella prima metà del 16° secolo, quando avevano già
consolidato la loro presenza nei Caraibi e in altre parti del Nuovo Mondo. La storia della penetrazione
europea inizia nel 1516, anno in cui Juan Díaz de Solís toccò il comune estuario sull'Atlantico dei tre fiumi
navigabili Paraguay, Paraná e Uruguay, alla ricerca di un passaggio dall'Atlantico all'Asia orientale. Con il
medesimo intento nel 1520 Ferdinando Magellano esplorò l'estuario e le coste limitrofe. Nel 1526
Sebastiano Caboto risalì per un tratto i fiumi fino alla confluenza del Pilcomayo, ritenendo sulla base degli
ornamenti d'argento degli indigeni che nell'interno della regione si trovassero vasti giacimenti di quel
materiale. Fu per questa supposta ricchezza che all'estuario fu dato il nome di Río de la Plata ("fiume
dell'argento"), mentre la forma latina 'Argentina' venne poi a indicare l'intero paese.

La strada aperta da Caboto fu percorsa da Pedro de Mendoza, alla guida di una spedizione diretta a
colonizzare le rive dell'estuario. Nominato adelantado ('governatore') dei territori che avrebbe occupato,
Mendoza sbarcò nel 1535 sulla destra del Río de la Plata, dove fondò la città di Santa María de Buenos Aires
(1536), che tuttavia non poté prosperare e fu abbandonata per l'ostilità degli indigeni. Nella seconda metà
del 16° secolo le conoscenze geografiche procedettero di pari passo con la colonizzazione e le varie
piazzeforti o città fondate segnarono le tappe della conquista (Santiago del Estero, Mendoza, Tucumán,
Córdoba, Corrientes, Buenos Aires riedificata nel 1580 da Juan de Garay). Le popolazioni originarie furono
decimate o ridotte a gruppi esigui; le terre vennero quasi tutte occupate.
I possedimenti del Río de la Plata (nome ufficiale sotto cui fino al 1617 fu compreso anche l'odierno
Paraguay), occupati definitivamente dagli spagnoli dal 1536, furono retti con il sistema degli adelantados.
L'organizzazione politico-amministrativa ricalcava quella applicata alle altre colonie spagnole, con
rappresentanze dei vari poteri, giudiziario, politico, militare e religioso, mentre l'ossatura economica si
basava sulla proprietà terriera (encomienda), che conferiva al titolare prerogative di natura quasi feudale.
L'allevamento del bestiame e la produzione di cereali costituirono rapidamente le basi di una solida
ricchezza agricola. Il permesso di esportazione ottenuto dalla Spagna (1602) favorì lo sviluppo della colonia,
che nel 1776 fu elevata a vicereame del Río de la Plata, e poi suddivisa in otto intendenze, retta ciascuna da
un governatore.

Con lo sviluppo della colonia si andarono delineando le prime aspirazioni all'indipendenza, che maturarono
in età napoleonica. Manuel Belgrano e Mariano Moreno, fautori di idee liberali e democratiche mutuate
dall'Europa, rivendicarono riforme politiche in grado di allentare i condizionamenti del regime coloniale. A
Buenos Aires, come del resto in altre città sudamericane, si formarono circoli nazionalistici che sostenevano
il riscatto dell'Argentina e di tutto il Sudamerica dalla dominazione spagnola. Il processo fu accelerato, negli
anni 1806-07, dallo sbarco a Buenos Aires di un contingente inglese, in un'operazione rivolta alla conquista
di nuove basi sul continente americano da trasformare, dopo la perdita delle colonie del Nord in seguito
alla proclamazione d'indipendenza degli Stati Uniti, in grandi centri di rifornimento e di sbocco per
l'economia britannica, messa in crisi dalla guerra con Napoleone. Buenos Aires fu proclamata possedimento
della Corona britannica, e fu decretato il libero commercio solo con l'Inghilterra. La resistenza fu condotta,
con successo, non dalle forze del viceré, ma da milizie locali e dagli indipendentisti - guidati da Jacques de
Liniers e dalla Legión de patricios - già ostili alle pratiche monopolistiche spagnole e ora ai vincoli di Londra.

Nel maggio 1810 i patrioti sostituirono l'ultimo viceré, Baltazar de Cisneros, con una 'Giunta governativa
provvisoria del Río de la Plata', in nome di Ferdinando VII, legittimo sovrano. Ma di fatto, ciò decise il
distacco definitivo dalla Spagna che non riuscì più a controllare il territorio argentino.

L'organizzazione nazionale

Il 9 luglio 1816, al congresso di Tucumán, l'Argentina fu proclamata ufficialmente indipendente con il nome
di Province Unite del Sud America. Nel 1819 si dotò di una Costituzione repubblicana e moderatamente
liberale. Tuttavia i contrasti tra conservatori e democratici e soprattutto tra la tendenza unitaria di Buenos
Aires e quella federalista delle province, sostenuta quest'ultima dai grandi proprietari terrieri contrari a
disegni di centralismo politico e monopolio economico-commerciale, sfociarono in un periodo di anarchia,
fomentata dai caudillos delle province, detentori di poteri illimitati. All'anarchia pose fine B. Rivadavia, di
tendenze unitarie, divenuto presidente nel 1826. La lotta tra provincianos e unitarios rimase, però, accesa,
al limite della guerra civile, e si interruppe soltanto durante la lunga dittatura di J.M. de Rosas (1829-52),
promotore di un rigoroso centralismo.

Artefice della scomparsa dalla scena politica di Rosas fu il governatore della provincia di Entre Ríos, J.J. de
Urquiza, il quale decretò misure economiche a favore delle aziende dell'interno, messe in crisi dalle
continue discordie intestine, nazionalizzò gli introiti doganali del porto di Buenos Aires, aprì al libero
transito i fiumi Paraná e Uruguay, sviluppò le infrastrutture portuali di Rosario per farne un centro vitale di
traffico, agevolato da tariffe molto concorrenziali. Negoziò poi accordi commerciali con Stati Uniti, Gran
Bretagna e Francia. Per il riordinamento dello Stato, affidò a un'Assemblea costituente la stesura di una
Costituzione con cui garantire all'Argentina prospettive di stabilità interna e di progresso. Promulgata nel
1853, la nuova Costituzione istituiva la Repubblica federale (federazione di province fornite ciascuna di un
governatore e di legislature locali) con un presidente e un vicepresidente eletti per sei anni, e demandava il
potere legislativo a un Congresso bicamerale. Riprendevano tuttavia le rivalità tra unitari e caudillos
provinciali, mentre l'ostilità dei portenos di Buenos Aires, che vedevano crollare i proficui monopoli da essi
stabiliti sui proventi dei traffici, portava dapprima alla secessione della città (1853-59) e in seguito a una
serie di conflitti durati fino al 1861, quando Buenos Aires accettò di rientrare nella Repubblica, ripristinando
l'unità nazionale.

Sotto la presidenza di B. Mitre (1862), D.F. Sarmiento (1868), N. Avellaneda (1874), J.A. Roca (primo
mandato 1880) l'Argentina consolidò il suo sviluppo economico, migliorando le tecniche agricole,
moltiplicando le esportazioni, riordinando le finanze e l'esazione fiscale, mentre il crescente bisogno di
manodopera richiamava masse sempre più numerose di immigrati europei. L'amministrazione fu
caratterizzata da un rafforzamento dell'oligarchia latifondista, favorita prima da un vantaggioso patto con
Mitre e poi da una legge agraria di Avellaneda che consentiva l'acquisto di enormi distese di terra
appartenenti allo Stato, in particolare nel sud patagonico. Da Buenos Aires, confermata nel 1880 capitale
della Repubblica con status di distretto federale (mentre capitale della provincia fu proclamata la
neofondata città di La Plata), l'oligarchia terriera dettò le linee maestre della politica nazionale fino al 1916.
Con la presidenza di J. Celman (1886) e di C. Pellegrini (1890) l'Argentina continuò a espandere le iniziative
economico-finanziarie e i ricchi allevatori e produttori di cereali divennero i fornitori più importanti dei
mercati internazionali.

A una divisione delle ricchezze quanto mai squilibrata cominciavano a contrapporsi le categorie sociali
meno abbienti e il nucleo di proletariato operaio che si era andato costituendo per effetto del dinamismo
infrastrutturale connesso ai traffici portuali. Le proteste popolari contro l'affarismo speculativo si saldavano
a spinte nazionaliste contrarie ai cospicui investimenti di capitali europei e nordamericani in Argentina e
alla collusione di interessi tra oligarchia locale e imprenditori esteri. Si costituirono le prime organizzazioni
di categoria, presto trasformatesi in sindacati e, sulla medesima linea, nuove formazioni politiche. Fra
queste primeggiò il partito radicale riformista, l'Unión Cívica Radical di H. Irigoyen, che ottenne la
maggioranza nelle prime elezioni legislative indette dopo l'introduzione del suffragio diretto e segreto per
tutti i cittadini maschi maggiorenni (governo di R.S. Pena, 1912). Subito il partito radicale avviò un vasto
piano di riforme sociali.

Lo scoppio della Prima guerra mondiale, che colse l'Argentina in questa fase di rinnovamento, ebbe gravi
ripercussioni economiche. L'interruzione delle comunicazioni con l'Europa provocò la chiusura di fabbriche,
la paralisi delle attività portuali, il blocco delle esportazioni agricole e zootecniche, e conseguentemente la
perdita di quota della moneta e disoccupazione. In questo quadro si situa l'elezione alla presidenza di
Irigoyen (1916) che sancì per la prima volta l'ingresso dei ceti medi e dei sindacati nell'organismo di
governo. Il rifornimento di notevoli quantità di derrate alimentari agli Alleati, pur nella posizione di
neutralità, portò nelle casse dello Stato valuta con cui riassestare l'economia e proseguire nel piano di
riforme sociali e assistenziali, e ciò valse ai radicali la possibilità di mantenere il potere fino al 1930,
malgrado alcune crisi interne, come quella determinata dalla spaccatura del partito in due correnti (la più
moderata di Irigoyen e la più avanzata di M. Alvear) e nonostante una nuova congiuntura sfavorevole
dovuta al calo delle esportazioni alla fine del conflitto. Il paese sembrava comunque avviato sulla strada di
una moderna democrazia.

Il governo radicale non riuscì però a far fronte alle conseguenze della grande crisi economica del 1929, che
coinvolse l'Argentina al pari di altre nazioni, con fabbriche chiuse, disoccupazione e tumulti nelle piazze.
Irigoyen fu deposto da un colpo di Stato, il potere passò ai conservatori, prima con la Giunta provvisoria di
J.E. Uriburu e poi con la presidenza del generale A. Justo (1932). In questo scenario, i radicali e i socialisti
spostarono il terreno dell'azione dal piano politico a quello sindacale e si impegnarono nel consolidamento
delle organizzazioni dei lavoratori facendone confluire le forze all'interno della Confederación general de
trabajo. Le spinte reazionarie si stemperarono durante la presidenza di R. Ortiz (1938), conservatore
legalitario, restio a forme antiliberali.

Scoppiata la Seconda guerra mondiale, l'Argentina accentuò la politica di autonomia dagli Stati Uniti. Pur
accettando il principio della 'solidarietà continentale' e pur conservando buoni rapporti con la Gran
Bretagna, rimase neutrale (di fatto benevolmente) verso le potenze dell'Asse, specie da quando il potere fu
assunto, a causa della malattia di Ortiz, dal vicepresidente R. Castillo (1940). I golpe militari del 1943 misero
il potere nelle mani del Grupo de Oficiales Unidos guidato dai generali P. Ramírez ed E. Farrel, entrambi
favorevoli all'Asse. La conseguente tensione nei rapporti con gli Stati Uniti e con altre nazioni americane,
che accusavano l'Argentina di cospirare contro le democrazie dell'intero continente, cessò soltanto quando
Buenos Aires si allineò agli altri paesi latinoamericani, con la dichiarazione di guerra alla Germania e al
Giappone (27 marzo 1945), ottenendo l'ammissione alla conferenza di San Francisco (firma del Patto delle
Nazioni Unite, 8 settembre 1945). Era incominciata intanto l'ascesa politica del colonnello J.D. Perón, già
ministro della Guerra e del Lavoro e vicepresidente.

Sotto il profilo economico, la Seconda guerra mondiale privò l'Argentina di uno dei suoi migliori mercati, la
Germania, ma ne incrementò i traffici con la Gran Bretagna, i cui acquisti di derrate alimentari
determinarono un aumento della produzione agricola, mentre gli Stati Uniti accrescevano l'interscambio
commerciale attraverso un trattato commerciale che accordava facilitazioni molto vantaggiose. Il
miglioramento nella situazione finanziaria interna e internazionale consentì all'Argentina di utilizzare il forte
saldo attivo della bilancia dei pagamenti per il rimborso del debito estero, per il trasferimento in mani locali
di una cospicua parte degli investimenti stranieri (soprattutto inglesi), per l'acquisto delle materie prime e
delle attrezzature necessarie all'industrializzazione del paese, per la concessione di crediti e prestiti
all'estero. La situazione favorevole richiamava dall'Europa masse di immigranti e manodopera specializzata.

Il justicialismo di Perón

Perón assunse ufficialmente il potere il 4 giugno 1946, sostenuto dalle forze sindacali e da masse proletarie
e piccolo-borghesi che auspicavano l'avvento di un regime democratico, nazional-popolare, in grado di
abbattere in via definitiva il predominio dell'oligarchia terriera al potere dal 1930. Alla popolarità del nuovo
presidente contribuì notevolmente quella della moglie Eva Duarte, 'Evita', divenuta grazie a un'intensa
attività propagandistica e sociale oggetto di un'ammirazione al limite del fanatismo.
Come prime misure adottate, Perón fece porre tutti i depositi bancari, garantiti dal governo, sotto il
controllo del nazionalizzato Banco Central de la República Argentina, mise sotto la direzione statale le
borse, le assicurazioni e il commercio d'esportazione, impose la fusione in un unico partito dei gruppi a lui
favorevoli. Procedette poi all'impostazione di un ambizioso programma di sviluppo sociale ed economico,
che si esplicitò nel 'piano Perón', presentato al Congresso nello stesso 1946. Il piano constava di una legge
per la concessione di poteri straordinari al governo e di leggi speciali per l'avvio di un disegno di
riorganizzazione totale: politico-amministrativa, con l'estensione del voto alle donne e ai gradi inferiori
delle forze armate; giudiziaria, con il potenziamento dei tribunali del lavoro; militare, con interventi per
l'istruzione preliminare e la permanenza nella riserva; sociale, con misure assistenziali e assicurative a
favore dei lavoratori e dei meno abbienti; industriale, con la costruzione di grandi opere pubbliche e
l'adozione di una politica protezionistica.

Riguardo alla difesa nazionale, il progetto tendeva al raggiungimento dell'autarchia nella produzione di
armamenti e aeroplani. Secondo la concezione di Perón, si trattava di delineare non un'economia
programmatica in senso stretto, ma un'economia 'ordinata' da parte di uno Stato che non tollerava il
predominio delle grandi imprese capitalistiche e si faceva 'concorrente', non 'dirigente'.

Il nuovo corso peronista si espresse soprattutto nel forte impulso dato all'industrializzazione e nel
protezionismo verso le imprese e il commercio nazionali contro le grandi compagnie straniere agenti sul
territorio argentino, al fine di espandere le capacità produttive del paese. Il programma poté essere avviato
nelle migliori condizioni finanziarie perché lo Stato si era notevolmente arricchito durante la guerra con le
forniture agricole ai belligeranti. Dopo aver in larga misura riscattato gli investimenti europei, l'Argentina
cominciò a investire a sua volta capitali in altri Stati americani e a concedere prestiti per favorirne lo
sviluppo (Cile, Bolivia), contrapponendo il suo prestigio a quello degli Stati Uniti, con cui i rapporti furono
sempre improntati a reciproca sfiducia.

Tuttavia, la tendenza inflazionistica insita nell'espansione del credito, l'aumento della circolazione totale dei
mezzi di pagamento, la ripercussione nel bilancio delle ingenti e sempre crescenti spese militari portarono a
un incremento del costo della vita del 40% già dal luglio 1946 allo stesso mese del 1947. Le spinte
inflazionistiche non decrebbero nel 1948, quando la scarsità di valuta provocò la svalutazione del peso nel
mercato libero.

Le elezioni parziali del 1948, malgrado alcuni primi sintomi di malcontento, confermarono la popolarità del
peronismo e permisero l'approvazione della nuova Costituzione (1949) che sostituì quella del 1853. Le
nuove norme, ispirate a ideali nazionalistici, rinsaldarono ancor più l'autorità presidenziale (rivendicazione
delle isole Malvine o Falkland, garanzia delle riforme intraprese nel campo dell'autarchia economica specie
per quanto riguardava la nazionalizzazione delle imprese straniere, riconoscimento di diritti fondamentali ai
lavoratori con esclusione del diritto di sciopero, possibilità di rielezione del presidente della Repubblica),
mentre aumentava l'intolleranza nei confronti dell'opposizione e venivano adottate forme di censura della
stampa (esproprio del quotidiano La Prensa). Nel novembre 1951 Perón ottenne il secondo mandato
presidenziale.
Nel 1953 la situazione economica cominciò a precipitare, nonostante i tentativi effettuati attraverso un
nuovo piano quinquennale e importanti accordi stipulati con Cile, Brasile, Unione Sovietica ed Ecuador. La
moneta subì un'ulteriore svalutazione e il costo della vita aumentò del 200%, mentre la scarsità dei raccolti
agricoli aggiungeva nuove cause di precarietà. L'anno seguente ebbe inizio una campagna contro la Chiesa
cattolica, sospettata di voler costituire un movimento politico vero e proprio in alleanza con i proprietari
terrieri e con gli industriali considerati nemici del governo. L'adozione di una serie di provvedimenti
antiecclesiastici (approvazione della legge sul divorzio, abolizione del dipartimento per l'insegnamento
religioso, sospensione delle sovvenzioni ad alcune chiese, eliminazione di feste religiose) determinò
un'opposizione crescente tra i ceti sia cattolici sia conservatori, tradizionalmente presenti nella marina
militare. Un primo tentativo di rivolta dell'aviazione navale (giugno 1955) fallì per una reazione dei
peronisti, ma poco dopo una nuova sollevazione della marina, appoggiata da reparti dell'esercito e
dell'aviazione, e la costituzione in milizia dei più estremi difensori di Perón, i descamisados (i "senza
camicia", le fasce più povere della popolazione) fecero precipitare gli eventi e Perón dovette lasciare
definitivamente il potere (19 settembre).

In poco meno di dieci anni l'incapacità di commisurare i mezzi alle possibilità e la non gradualità degli
interventi avevano portato un paese considerato in precedenza tra i più floridi al caos economico e al
prosciugamento delle casse dell'erario. La dottrina peronista del justicialismo, pur avendo sicuramente
migliorato le condizioni della classe operaia, aveva favorito un sistema assistenziale e clientelare
insostenibile. Il processo di intensa industrializzazione era avvenuto a detrimento dell'agricoltura, base
tradizionale della ricchezza argentina, le nazionalizzazioni si erano risolte in un indebolimento
dell'economia del paese, a causa della disorganizzazione interna e dell'impropria gestione aziendale. Dal
punto di vista della politica estera, l'aperto contrasto con l'economia liberistica del mondo occidentale e il
tentativo di sradicare i capitali stranieri avevano allontanato sempre più il paese dalle democrazie europee
e americane, mentre si erano risolte in un nulla di fatto la politica della 'terza posizione', volta a creare nel
mondo una terza forza interposta fra capitalismo e comunismo, e l'idea di costituire sotto l'egida argentina
un blocco sudamericano di netto significato antistatunitense.

Il dopo Perón

Dopo la fuga di Perón, che si ritirò a Madrid, e la presidenza provvisoria di E. Lonardi, uno dei capi della
rivolta antiperonista, nel novembre 1955 un colpo di Stato portò al potere P.E. Aramburu, che emise
disposizioni per il ritorno alla normalità democratica e ripristinò la costituzione del 1853, cancellando quella
promulgata nel 1949. Nonostante fossero state rese di pubblico dominio le notizie relative alle
defraudazioni e al saccheggio dell'erario, le masse operaie, che sotto la presidenza di Perón avevano visto
migliorare il loro tenore di vita senza conflitti o lotta di classe, restavano fanaticamente legate al deposto
dittatore, creando difficoltà al nuovo governo e a quelli che gli succedettero. Le elezioni del marzo 1958
portarono alla presidenza della Repubblica A. Frondizi, esponente dell'Unión cívica radical intransigente,
uno dei due rami nei quali si era scisso il partito radicale. Frondizi si rivelò abile nel destreggiarsi tra
difficoltà provenienti da vari fronti: dai militari, divisi fra golpisti e legalisti favorevoli alla costituzionalità
governativa; dai peronisti e dai comunisti, che attaccavano la sua politica economica, in particolare
l'assenza di riforme sociali e la reintegrazione di molti privilegi tolti alla Chiesa da Perón; dagli imprenditori,
scontenti per la restrizione dei crediti; dal suo stesso partito, che lo accusava di venir meno alla piattaforma
elettorale basata sull'economia di Stato pianificata. Il suo tentativo di contenere l'inflazione e di risanare
l'economia mediante una politica di severa austerità e la ricerca di equilibri incontrò invece consensi
all'estero, specie negli Stati Uniti, da cui vennero prestiti e investimenti di capitali destinati soprattutto
all'incremento della produzione petrolifera, che nel 1959 aumentò del 30%. Nel 1960 la 'dichiarazione di
Bariloche', firmata da Frondizi e dal presidente americano D.D. Eisenhower, riaffermava il principio della
solidarietà continentale e segnava il ritorno alla normalità dei rapporti fra Argentina e Stati Uniti.

Tuttavia la crisi economica non si risolveva e il deficit commerciale rimaneva pesante. Quando nelle elezioni
regionali del marzo 1962 il partito peronista Frente Justicialista, riammesso nella legalità dopo sette anni di
vita clandestina, ottenne un'imprevista vittoria, i militari imposero a Frondizi l'annullamento delle elezioni e
le dimissioni. Essendosi piegato solo alla prima delle due richieste, il presidente venne arrestato e
confinato. Gli succedette J.M. Guido, che governò per un anno sostenuto dai militari golpisti. Nelle elezioni
del luglio 1963, alle quali al partito peronista fu nuovamente impedito di partecipare, fu eletto Arturo Illía,
candidato dell'Unión cívica radical del pueblo. Il nuovo presidente annullò i contratti con le società
petrolifere e rifiutò i crediti della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Tuttavia il
peggioramento della situazione economica, nonostante due eccezionali raccolti di grano nel 1964-65, e il
tentativo di conciliazione verso i peronisti, ai quali Illía concesse di prendere parte alle elezioni congressuali
del 1965, indussero i militari a un nuovo colpo di Stato (1966) che portò all'instaurazione della dittatura del
generale J.C. Onganía. Lo scioglimento del Parlamento, l'abolizione dei partiti politici, lo stile autoritario del
governo alienarono al nuovo regime i consensi della Chiesa, degli intellettuali e dei sindacati, ma non quelli
dell'alta finanza e dei finanziatori esteri. L'opposizione dilagò e si costituirono gruppi armati dediti alla
guerriglia urbana e al terrorismo, il più attivo dei quali fu l'Ejército revolucionario del pueblo. Intanto forti
tensioni nel movimento peronista portavano alla scissione, all'interno del Confederación general del
trabajo, tra peronisti ortodossi e neoperonisti, schierati più a sinistra. Nel giugno 1970 un nuovo golpe
militare sostituì a Onganía il generale R.M. Levingston. Ma questi, incapace di fronteggiare la situazione,
divenuta caotica anche per gli scioperi continui, presto si dimise.

Nel corso dello stesso anno il costo della vita era cresciuto del 20%. Il piano di stabilizzazione lanciato nel
1966, imperniato sul controllo di breve periodo della politica monetaria, creditizia e salariale, inizialmente
aveva portato a una riduzione dell'inflazione, incrementando il tasso di sviluppo e riducendo il disavanzo
statale. In seguito però l'abbattimento degli incentivi per gli allevatori e l'introduzione di forti tasse
sull'esportazione della carne - misure adottate con lo scopo di indirizzare l'offerta di bestiame verso il
mercato nazionale - comportarono un peggioramento della bilancia dei pagamenti. Ne derivarono un forte
restringimento dell'offerta interna e un sensibile rialzo dei prezzi. In questo quadro di deficit economico e di
disordine sociale il generale A. Lanusse (1971), succeduto a Levingston, intese avviare un'opera di
pacificazione nazionale. Liberò i prigionieri politici e annunciò il ritorno del paese alla normalità
costituzionale. Ma le elezioni indette per il marzo 1973 segnarono il successo del peronismo che aveva
presentato come candidato H. Cámpora, fedele luogotenente di Perón .

Il nuovo mandato di Perón e il regime militare

Le speranze di una pacificazione nazionale, che ponesse termine, da una parte, al vero e proprio stato di
guerra instauratosi tra gruppi terroristici e forze dell'ordine, dall'altra, al disorientamento delle masse,
sempre più provate dall'accentuarsi della crisi economica, tornarono a incentrarsi sull'ex dittatore, che
peraltro durante il suo esilio di Madrid non aveva mai smesso di intrattenere rapporti con gli esponenti
politici argentini. Il 13 luglio 1973 Cámpora presentò le dimissioni, lasciando il posto a Perón che fu
confermato alla presidenza da una trionfale consultazione popolare. Alla vicepresidenza fu designata la
giovane moglie, María Estela Martínez, detta 'Isabelita', che, in caso d'impedimento del marito avrebbe
garantito la permanenza al potere del peronismo. Si trattò di 'colpo di Stato consensuale', che di fatto ebbe
l'approvazione dei militari e dell'opposizione politica. Quando dopo neanche un anno, il 1° luglio 1974,
Perón morì improvvisamente, gli succedette Isabelita. Ma la preferenza accordata dalla neopresidente
all'ala conservatrice del partito determinò all'interno di questo una scissione, che fece precipitare il paese
nel caos. Alle azioni di guerriglia dell'Ejército revolucionario del pueblo, si aggiunsero quelle dei
Montoneros, organizzazione della sinistra peronista che aveva contribuito al ritorno di Perón. Sull'altro
fronte, le squadre di estrema destra (Alianza anticomunista argentina) operavano violente rappresaglie. Il
diffuso clima di terrore rese necessaria la proclamazione nel novembre 1974 dello stato d'assedio. La
situazione economica intanto si deteriorava ulteriormente. Nell'arco del solo 1975 si avvicendarono quattro
ministri dell'Economia, adottando politiche contrastanti, ma nessuna di esse riuscì a conseguire i risultati
auspicati. L'inflazione raggiunse il 300% e la paralisi dell'economia, su cui pesava anche un fortissimo deficit
pubblico, si rese sempre più evidente. Le pressanti richieste di nuove elezioni presidenziali e di dimissioni
della Perón, oggetto anche di accuse di corruzione, e il rafforzamento della posizione dei militari portarono
al colpo di Stato del 1976, con il quale si impadronì del potere il generale G. Videla. Sospesa la Costituzione,
organo supremo dello Stato, con funzioni anche di Corte suprema e di Procura generale, divenne una
Giunta militare, presieduta dallo stesso Videla. La Giunta si propose di dar vita a un processo di
riorganizzazione nazionale che avrebbe dovuto trasformare radicalmente la morfologia sociale e politica del
paese. Tra i primi atti si registrò la presentazione di un piano economico caratterizzato da un rovesciamento
delle posizioni dei peronisti, con misure quali diminuzione dei dazi, rivalutazione artificiale della moneta,
rallentamento della velocità di deprezzamento del cambio, liberalizzazione del mercato dei capitali e di
investimenti dall'estero, blocco dell'inflazione in un quadro generale di recupero dell'economia tradizionale
basata sui grandi allevamenti e sulla grande proprietà terriera. A questa reimpostazione della politica
economica, si accompagnò un tentativo senza precedenti di soffocare ogni forma di contestazione, che
colpì tutte le componenti dell'opposizione, dai radicali ai peronisti, ai comunisti, alle formazioni di
guerriglia, come Ejército revolucionario del pueblo e Montoneros. Furono circa 20.000 i desaparecidos, le
persone 'scomparse' ovvero arrestate e giustiziate senza un regolare processo durante il regime militare. La
brutale repressione - oggetto di reiterate denunce da parte della Chiesa cattolica, di Amnesty International
e di altre organizzazioni per la salvaguardia dei diritti umani, affiancate all'interno del paese da movimenti
quali le Madri di Plaza de Mayo e il Servizio Pace e Giustizia del premio Nobel A. Pérez Esquivel - causava un
raffreddamento nei rapporti internazionali. Dopo che gli Stati Uniti presero le distanze dalla Giunta militare
contraendo drasticamente gli investimenti americani in Argentina, Videla, riconfermato presidente nel
1978, fu costretto a cercare nuovi sbocchi commerciali, pure nei paesi socialisti. Il sostanziale fallimento
della sua politica economica portò nel 1981 alla sostituzione di Videla con il generale R.E. Viola, cui
subentrò, a distanza di alcuni mesi, il generale L. Galtieri. Di fronte all'aggravarsi della situazione e al
crescere della protesta contro il regime, Galtieri tentò il diversivo della mobilitazione nazionalista e decise
l'invasione delle isole Falkland, oggetto di un'annosa controversia con la Gran Bretagna. Il conflitto che ne
seguì, tra l'aprile e il giugno 1982 vide la netta sconfitta argentina. Il regime militare ne ebbe il colpo di
grazia. Galtieri fu costretto alle dimissioni e venne sostituito dal generale R. Bignone che, spinto dalla
crescente pressione popolare, annunciò di voler indire democratiche elezioni.

Il ritorno della democrazia

Il dato politico più significativo e inatteso delle elezioni presidenziali del 1983, che segnarono il ritorno della
democrazia, fu la vittoria di R. Alfonsín, dell'Unión Cívica Radical, che superò, per la prima volta dal 1946, il
tradizionale avversario peronista in consultazioni senza proscrizioni. Alfonsín aveva condotto una campagna
dai contenuti democratico-liberali, incentrata su una tematica che gli avversari avevano considerato
ininfluente per le sorti della consultazione: il ripristino dello stato di diritto e la necessità di perseguire le
responsabilità dei militari durante la dittatura. Divenuto presidente, Alfonsín avviò la transizione alla
democrazia sulla base di un 'patto nazionale' con i maggiori partiti. L'apertura dei processi contro alcuni
componenti delle giunte al potere dal 1976 al 1983 portò, fra le altre sentenze, alla condanna all'ergastolo
di Videla. Successivamente, robuste pressioni, sfociate in rivolte delle forze armate, imposero un indirizzo
più conciliatorio al governo che nel maggio 1987, con la legge dell''obbedienza dovuta', scagionò di fatto i
quadri intermedi dell'esercito, provocando le proteste dei movimenti per la difesa dei diritti umani. Le
difficoltà economiche (forte aumento dell'inflazione, che nel 1988 raggiunse il 5000%, e del deficit pubblico)
e la conseguente adozione di misure di austerità con il Plan Austral innescavano intanto violente ondate di
contestazione e di richieste salariali, promosse anche dalla peronista Confederación general de trabajo. Il
piano si rivelò comunque inefficace nell'arrestare l'inflazione e nell'evitare la ripresa della speculazione nel
mercato dei cambi.

Scaduto il mandato di Alfonsín, le elezioni del 1989 assegnarono la vittoria a C.S. Ménem, leader del Partido
Justicialista. Ménem impostò un'efficace politica antinflazionistica riuscendo a conseguire in breve termine
il risultato di rendere l'Argentina affidabile per gli investimenti stranieri. Al contempo, tuttavia, la
disoccupazione crescente e la grande sperequazione delle ricchezze finivano per incrinare, in ampi settori
della società civile, la fiducia negli interventi del nuovo peronismo. Infatti, smentendo la promessa fatta in
campagna elettorale di una rivoluzione produttiva basata sull'aumento dei salari e sul rilancio delle attività
industriali, Ménem promosse, a partire dal 1990, una serie di misure di ispirazione liberista, del tutto
distanti dal tradizionale interventismo peronista. Interprete della politica del governo fu il ministro
dell'Economia, D. Cavallo, che proseguì l'opera di privatizzazione delle imprese pubbliche e di riforma
fiscale e combatté l'iperinflazione imponendo un regime di cambio fisso fra il peso e il dollaro statunitense.
Nei confronti delle Giunte militari, Ménem mostrò da subito un atteggiamento conciliatorio che gli valse le
critiche dei suoi stessi sostenitori: con due successivi provvedimenti di amnistia vennero liberati numerosi
alti ufficiali, fra cui gli ex presidenti Videla e Viola e l'ammiraglio E. Massera, già condannati all'ergastolo.

La drastica riduzione del tasso di inflazione e del debito estero permise la rinnovata concessione di prestiti
internazionali e l'afflusso di capitali in un paese ormai completamente aperto all'economia di mercato.
Parallelamente, e grazie al sostegno degli Stati Uniti, l'Argentina guadagnava un ruolo nel 'nuovo ordine
mondiale' emerso con la fine del bipolarismo, attraverso la partecipazione a iniziative delle Nazioni Unite
(invio di una squadra navale nel Golfo Arabico, partecipazione alle missioni per il mantenimento della pace
nei Balcani) e riallacciava le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna, interrotte dal 1982 (benché la
questione della sovranità sulle isole Falkland-Malvine non avesse ancora trovato una soluzione definitiva),
che aprirono la strada ad accordi commerciali con l'Unione Europea. I successi in campo finanziario, le
nuove vittorie del Partido Justicialista nelle elezioni amministrative e in quelle per il rinnovo parziale della
Camera dei deputati spinsero Ménem a sostenere un disegno di riforma costituzionale in modo da
rimuovere il veto alla rielezione del presidente. Al nuovo testo fondamentale le forze congiunte di Partido
Justicialista e Unión Cívica Radical approdarono nel 1994. Così nel maggio 1995 Ménem poté essere rieletto
presidente, prevalendo sul candidato della coalizione di centrosinistra Frente del País Solidario, la quale
tuttavia otteneva una buona affermazione, superando nettamente nel numero di voti l'Unión Cívica Radical.
L'emergere di una nuova forza di opposizione mostrava come la stabilizzazione monetaria ottenuta dal
governo peronista non fosse più sufficiente, per varie ragioni, a garantire il consenso dell'elettorato.
Anzitutto, alla grave crisi valutaria che aveva colpito il Messico nel 1994 e della quale l'Argentina aveva
risentito come tutti i paesi dell'America Latina, il governo aveva reagito accelerando le privatizzazioni,
rafforzando le banche private e tagliando ulteriormente la spesa pubblica. Ma tali misure da una parte non
avevano impedito una riduzione nell'afflusso di capitali stranieri, dall'altra avevano aggravato i costi sociali
delle riforme: nel 1995 il tasso di disoccupazione aveva superato il 15%, mentre il 46% della popolazione
viveva al di sotto della soglia di povertà e il 40% del reddito nazionale era concentrato nelle mani del 10%.
In secondo luogo, al rapido processo di deregolamentazione dell'economia imposto dal governo non aveva
fatto seguito un nuovo orientamento della spesa pubblica verso l'istruzione di base, la sanità e le comunità
rurali fortemente impoverite dal nuovo corso economico. Al tempo stesso, la sopravvalutazione della
moneta pregiudicava l'esportazione di prodotti industriali, determinando la perdita dei tradizionali sbocchi
di mercato, come il Brasile, e alimentando il deficit commerciale. L'approvazione, nel 1996, di una legge di
riforma della pubblica amministrazione che autorizzava la privatizzazione di altre imprese di Stato,
l'ulteriore riduzione della spesa pubblica e l'aumento della pressione fiscale contribuirono a minare ancor
più profondamente la popolarità del governo, pregiudicata anche dal coinvolgimento di alcuni ministri in
scandali finanziari. La crisi si manifestò con chiarezza alle elezioni legislative parziali dell'ottobre 1997, che
segnarono la netta vittoria dell'Alleanza di centrosinistra, composta dal Frente del País Solidario e
dall'Unión Cívica Radical, e la perdita della maggioranza assoluta nella camera bassa per il Partido
Justicialista. Tornava intanto d'attualità la questione della mancata punizione dei responsabili della
dittatura militare in seguito ad alcune iniziative della magistratura spagnola, che spiccò mandati di cattura
internazionale nei confronti di Galtieri e Massera per il loro coinvolgimento nella sparizione di centinaia di
cittadini iberici. Sollecitato da questi eventi, nel 1998 il Parlamento revocò la legge di amnistia
dell''obbedienza dovuta' (la revoca era in realtà puramente simbolica, perché priva di effetti retroattivi e
quindi di conseguenze pratiche per i militari che avevano beneficiato del provvedimento), mentre Videla,
Massera e Bignone furono arrestati con l'accusa di sottrazione di minore (nel periodo della dittatura
militare molti figli di desaparecidos nati in prigionia erano stati ceduti o dati in adozione a famiglie di
militari), reato non coperto dai provvedimenti di amnistia e per il quale la legge argentina non prevede
prescrizione. Nelle elezioni presidenziali dell'ottobre 1999 l'Alleanza di centrosinistra ottenne la
maggioranza dei voti, e divenne presidente il radicale Fernando de la Rúa. Ma i tentativi della nuova giunta
di portare l'Argentina fuori dalla crisi economica, culminati nell'affidamento del Ministero dell'Economia
con poteri speciali a D. Cavallo e nel varo di un pesantissimo piano di austerità, non hanno sortito effetto
alcuno. Il paese è arrivato ad accumulare 132 miliardi di dollari di debito pubblico, la disoccupazione ha
toccato il 20% riguardando oltre 2,5 milioni di persone; mentre secondo le stime si sarebbero trovati in
stato di povertà 36 milioni di argentini, un terzo della popolazione.

repertorio

L'Argentina meta di immigrazione

In epoca precoloniale l'Argentina ebbe una popolazione molto scarsa, dato anche il modesto livello
tecnologico delle tribù indigene, che non consentiva di sfruttare le potenzialità agricole del territorio. Anche
gli europei, in un primo tempo, non mostrarono particolare interesse per quest'area, di difficile
penetrazione (salvo lungo la direttrice del Paraná), cosicché si può dire che, nonostante la creazione di
piazzeforti e la duplice fondazio-ne di Buenos Aires già nel 16° secolo, il popolamento dell'Argentina abbia
avuto inizio solo nella seconda metà del 19° secolo, quando la rivoluzione industriale creò in Europa sempre
maggiori necessità di approvvigionamento alimentare dall'esterno. Accompagnata dalla progressiva
estensione della rete ferroviaria, la colonizzazione del paese assunse allora ritmi sostenuti, richiamando
flussi crescenti di immigrati che andavano a popolare le immense pianure delle pampas. Il numero degli
abitanti, che all'inizio del 19° secolo superava appena le 300.000 unità e che ancora al primo censimento
ufficiale, nel 1869, era lontano dai 2 milioni, raggiungeva gli 8 milioni nel 1914, per crescere poi fino a 16
milioni nel 1947. In generale i vari governi incoraggiarono l'immigrazione con leggi molto favorevoli, come
quella contenuta nell'art. 20 della Costituzione: "gli stranieri godono nel territorio della nazione di tutti i
diritti civili del cittadino; possono esercitare la loro industria, il loro commercio e la loro professione;
possedere beni stabili, comperarli e alienarli; navigare i fiumi e le coste; professare liberamente il loro
culto; testare e sposarsi in conformità alle leggi". L'andamento immigratorio tuttavia non fu sempre
costante, sia per le ripetute crisi politiche ed economiche interne, sia per le misure restrittive adottate da
alcuni degli Stati che ne costituivano i maggiori 'serbatoi'. Così, negli anni 1890-1903, i rimpatri superarono
addirittura i nuovi arrivi, a causa del difficile momento nel settore primario. Subito dopo, però, e fino al
nuovo rallentamento dovuto al Primo conflitto mondiale, il ritmo aumentò vertiginosamente, raggiungendo
nel decennio 1904-13 una media di 240.000 immigrati l'anno. In questo periodo si manifestò per la prima
volta il fenomeno della emigración golongrina, "emigrazione rondinella", limitata ai mesi invernali, epoca di
raccolto sudamericano e di stasi agricola nel paese d'origine europeo, e favorita dal modesto prezzo del
passaggio sui vapori delle compagnie allora in concorrenza. Nel decennio 1921-30 il numero degli immigrati
salì a 300.000 unità l'anno. Con la Seconda guerra mondiale approdarono in Argentina, per l'inattività di
molte industrie europee, tecnici ed esperti in diversi settori, mentre la manodopera veniva fornita dalle
correnti immigratorie che il governo argentino incoraggiò in vari modi. Arrivarono operai in buona parte
specializzati e agricoltori che trovarono lavoro soprattutto nelle province più lontane dalla capitale, in
particolare in Patagonia, per la cui valorizzazione fu elaborato un piano (1947), anche in relazione
all'importanza strategica della regione e alla possibilità di rafforzare la sovranità argentina nelle zone
australi. Nel 1958 si registrava un'immigrazione di 60.000 individui l'anno. Nei decenni successivi, la
struttura demografica argentina si andò progressivamente assestando e l'afflusso dall'estero calò
nettamente, sia per la mancanza di rinnovati incentivi economici, sia per la sempre più precaria situazione
politica, con tutte le sue gravi ripercussioni sul piano economico. La popolazione complessiva si attestava
sui 27,9 milioni nel 1980 per raggiungere alla fine del 20° secolo i 35 milioni, con un indice di crescita
inferiore alla media dei paesi dell'America Latina.

L'immigrazione italiana

Il flusso di immigrati portò alla formazione di ampie comunità spagnole, francesi, tedesche, polacche, russe,
ma gli apporti migratori più consistenti vennero dall'Italia, che nel solo periodo 1857-1929 inviò in
Argentina quasi 3 milioni di persone. Già in età coloniale molti marinai italiani giunsero al Río de la Plata, al
seguito dei conquistadores, e si stabilirono poi nel territorio, insieme ad ampi gruppi che operavano nella
Compagnia di Gesù. Nel periodo dell'indipendenza, il censimento della popolazione del 1810 (uno dei primi
atti amministrativi del governo provvisorio sorto dalla rivoluzione) registrò una presenza italiana irrilevante
rispetto alla componente spagnola, certamente inferiore a quella effettiva. Oltre a mestieri umili, gli italiani
esercitavano professioni, commercio, attività imprenditoriali, ed erano in molti casi proprietari di beni
urbani e rurali. Ma tra di essi non vi era un vincolo che potesse dare rilievo, anche idealmente, alla loro
nazionalità, che in Europa non aveva base né potere politico. Se in questo ambiente sociale gli italiani
ebbero influenza, questa fu solo d'ordine individuale. Dati più concreti risalgono al periodo di B. Rivadavia,
che inviato in Europa per ottenere il riconoscimento dell'indipendenza delle Province Unite del Río de la
Plata, entrò in contatto a Londra e Parigi con esuli politici italiani, uomini di scienza e di lettere, che chiamò
a Buenos Aires a svolgere la loro attività. Al tempo in cui l'Italia era una mera 'espressione geografica', il
pensiero scientifico italiano penetrava nell'università di Buenos Aires, attraverso l'opera, per es., dello
scienziato P.C. Molina, che occupò la cattedra di fisica sperimentale, o di C. Ferraris. Durante la dittatura di
Rosas, quando furono proibite l'immigrazione e la libera navigazione dei fiumi, numerosi italiani si
stabilirono egualmente a Buenos Aires, mentre molti altri si rifugiarono a Montevideo, dove fu costituita,
insieme a emigrati politici guidati da Garibaldi, la legione italiana contro Rosas. Successivamente, nel
periodo dell'organizzazione nazionale, l'immigrazione dall'Italia si fece sempre più intensa, includendo tutta
la gamma delle forze sociali. L'attività degli italiani, dal commercio e dall'agricoltura si estese alle industrie,
assumendo forma collettiva con la fondazione di importanti imprese commerciali, società di mutuo
soccorso, banche, gruppi editoriali, associazioni culturali.

Potrebbero piacerti anche