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Perché Hitler voleva conquistare lo spazio vitale a Est

Il 22 giugno del 1941 la Germania nazista invase l’Unione sovietica. Le ragioni


di questo attacco non furono politiche, ma economiche. Il dittatore pensava che i
mercati tedeschi di sbocco avrebbero continuato a ridursi a causa della
industrializzazione dei paesi ex agrari. Pertanto, concentrarsi sulle esportazioni
avrebbe portato a un vicolo cieco. Solo la conquista di nuovi territori a oriente
avrebbe potuto risolvere i problemi di Berlino
Il 22 giugno segna l’ottantesimo anniversario dell’invasione dell’Unione
Sovietica da parte della Germania nazista. L’attacco fu dettato in larga
misura da considerazioni economiche che furono un fattore decisivo nel
pensiero di Hitler, come ho dimostrato nel mio libro Hitler. La politica
della seduzione. L’obiettivo di Hitler era quello di conquistare nuovo
“spazio vitale” (Lebensraum) a Est, ovvero in Russia. Non aveva mai
tenuto segreta questa ambizione e aveva persino delineato apertamente il
suo obiettivo nel Mein Kampf e in numerosi suoi discorsi.   
Hitler aveva fatto sua una teoria che era sostenuta da pensatori marxisti
come Luxemburg e Bucharin, la teoria del “restringimento dei mercati”.
Hitler considerava il percorso adottato dalle aziende tedesche come un
grave errore, perché le aveva rese dipendenti dalle esportazioni. Secondo
Hitler, i mercati di sbocco avrebbero continuato a ridursi a causa
dell’industrializzazione dei paesi ex agrari. Pertanto, concentrarsi sulle
esportazioni avrebbe portato a un vicolo cieco; solo la conquista di “spazio
vitale” a Est avrebbe potuto risolvere i problemi della Germania. Non è
questa allora la prova che la Seconda guerra mondiale è stata condotta
nell’interesse del capitalismo? Al contrario. Hitler rifiutava con fermezza
quella che chiamava la strategia della “conquista economicamente pacifica
del mondo”. Secondo lui, la forte dipendenza dell’economia tedesca dalle
esportazioni era un pericoloso errore di valutazione. Hitler voleva rendere
la Germania autarchica e indipendente dall’economia mondiale
conquistando nuovi mercati.
Non si preoccupava affatto di trovare nuove fonti di materie prime e
mercati di vendita per le imprese capitaliste private, perché aveva in mente
un’economia pianificata per il periodo post-bellico e da applicare nei
territori conquistati. Poco dopo aver lanciato l’attacco all’URSS, il 28
luglio 1941, Hitler dichiarò: «Un utilizzo efficiente delle potenzialità di
una nazione può essere raggiunto solo con un’economia pianificata
dall’alto». E circa due settimane dopo disse: «Per quanto riguarda la
pianificazione dell’economia, siamo ancora agli inizi…». Questo concetto
lo ripeté un anno dopo: «Anche dopo la guerra, non rinunceremo
all’obiettivo del controllo statale dell’economia», perché, proseguiva,
altrimenti ogni gruppo di interesse penserebbe esclusivamente alla
realizzazione dei propri interessi.
L’ammirazione di Hitler per il sistema economico sovietico crebbe col
tempo. Egli confessò di considerarlo di gran lunga superiore a quello
capitalista. Rivolgendosi a una piccola cerchia di suoi collaboratori
nell’agosto 1942, Hitler osservò: «Se Stalin potesse continuare il proprio
lavoro per altri dieci o quindici anni, la Russia sovietica diventerebbe la
nazione più potente della Terra, potrebbe durare 150, 200, 300 anni, tanto
è unico nel suo genere questo fenomeno! Che il tenore di vita generale sia
aumentato, non c’è dubbio. Il popolo non soffre più la fame. In generale
dobbiamo riconoscere che hanno costruito fabbriche dove due anni fa non
c’erano che villaggi dimenticati; fabbriche che sono grandi come il
conglomerato industriale Reichswerke Hermann Göring».
In un’altra occasione, sempre a un piccolo gruppo di collaboratori, Hitler
disse che Stalin era «un vero genio», per il quale «si deve avere un rispetto
incondizionato», specialmente per la sua pianificazione economica totale.
Non c’era dubbio, aggiunse Hitler, che in URSS la disoccupazione fosse
assente, al contrario dei paesi capitalisti come gli USA. In diverse
occasioni, il dittatore affermò che sarebbe stato necessario nazionalizzare
le grandi società per azioni tedesche, l’industria energetica e tutti gli altri
rami dell’industria che producevano “materie prime essenziali”, come
l’industria siderurgica. 
Con la guerra, naturalmente, non era il momento giusto per attuare concetti
così radicali di nazionalizzazione. Hitler e i nazionalsocialisti erano
consapevoli di questo, e in ogni caso dovevano fare ogni sforzo per
dissipare i timori degli industriali del paese. In un documento di Himmler
del 21 ottobre 1942, compare scritta questa frase: «durante la guerra non è
possibile un cambiamento delle basi della nostra economia». 
In un rapporto preparato nel luglio 1944 da un generale dell’esercito
tedesco, alla domanda «Perché le SS si impegnano in attività
commerciali?», compariva questa risposta: «Questa domanda è stata
sollevata specificatamente da gruppi che pensano in termini puramente
capitalistici e a cui non piace vedere lo sviluppo di aziende pubbliche, o di
carattere pubblico. L’epoca del sistema liberale degli affari richiedeva il
primato degli affari, in altre parole gli affari vengono prima di ogni cosa,
anche dello Stato. Il nazionalismo si oppone a tale concezione: lo Stato
deve dirigere l’economia, lo Stato non è al servizio del mondo degli affari,
è il mondo degli affari a essere al servizio dello Stato».
Durante una conversazione con Mussolini tenutasi il 22 aprile 1944, Hitler
disse di essersi convinto che il capitalismo aveva fatto il suo corso e che le
nazioni non erano più disposte a sostenerlo. Solo «il fascismo e il
nazionalsocialismo» sarebbero sopravvissuti alla guerra, affermò, e «forse
il bolscevismo a Est». 

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