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CAROLINA CARRIERO
(ACCADEMIA DI SCIENZE UMANE E SOCIALI)
CAROLINA_CARRIERO@LIBERO.IT
Atena, esclusa dal nascere e dal cum-vivere (dei filosofi) ma che pure presiede
a quello dei sapienti, da tale distanza destruttura il flusso vociante del logos
1
Cfr. Zambrano (1999).
inaugurando, nel suo intervallo muto, la soggettività quale identità in relazione.
Atena, che ritma il silenzio danzando la pirrica attorno al primato autoreferenziale
del logos, è infatti un silenzio-assente ovvero una parola altra non funzionale alla
violenza patita. Nel suo grido, che è logos e non lalein, si inaugura un modo altro
dalla violenza della guerra per “dire” la forza propulsiva del nuovo quale
categoria della nascita o dissonanza radicale, femminile, che procede da altrove.
Altrove dalla caparbia ostinazione di obliare una colpa a noi estranea che pure,
misteriosamente, ci appartiene (nessun uomo può dirsi immune da colpa). Atena
che procede da dolore è guerriera perché distante, e dunque destabilizzante, anche
nella scelta di aver cura del vivente (di quel figlio concepito nella violenza, ma
accolto nella cura, cui darà nome Erittonio ovvero eris = “lotta” o érion = “lana”:
“tessere” come “lottare” nelle crepe del quotidiano). È così che la dea della
sapienza e della guerra ordinata, altra dalla violenza di Ares, nel proteggere le arti
e i lavori femminili farà della creatività la modalità del combattere propria delle
donne. Anche la sua verginità non è per noi a favore del padre Zeus-Polemos ma
di quella estraneità all’ordine (violentemente) dato che rinveniamo, con Angela
Putino, nel nesso fanciulla-guerriero:
La fanciulla rimane distante: nulla della libera invenzione di sé troverà ascolto nel
mondo sociale. Lei è il nuovo perché non si è ancora pronunciata; è una riserva
nascosta e sconosciuta […] È l’invenzione femminile, il divenire, che circola
attraverso il guerriero: l’uomo di guerra assorbe non la naturalità della giovinezza
della donna, ma la combinazione di intensità e di segni, in questa presenti, asimmetrici
rispetto al sociale e che non si intendono con le significazioni date (1994:187).
3
Cfr. Del Corno, 2001:12-20.
4
Tra i vari frammenti e riferimenti a Teano ricordiamo Clemente Alessandrino (1979); Diodoro
Siculo (1890); Diogene Laerzio (1983); Luciano (1991); Mullachius (1982); Stobaeo (1840); Suda
(1933); Mènages (1690).
atto di assunzione, ritraduce l’ordine pitagorico dell’arithmos in esperienza
oblativa e riscatto d’amore. In tale “categoria dell’amore” non vi è sguardo
oggettivante che respinga nell’Ade l’altro da sé (come per Orfeo/Euridice),
piuttosto l’incontro di chi accoglie lasciandosi incontrare, con Hélène Cixous,
nelle “transfigure della differenza”:
È la storia dell’amore ad avvincermi, cioè la storia dell’altro e del suo altro. Non
Rinaldo e Armida, la Coppia-Stessa. Ma gli altri, gli straripanti […] capaci l’uno e
l’altra di andare, a costo della vita, per amore della verità, per l’amore, al di là delle
proprie forze, fino all’Altro – il più lontano, il più vicino. I due sempre-altri che osano
compiere l’Uscita (2000: 57-58; 77).
.
Esiste una sola possibilità di esprimere indirettamente il rispetto verso l’essere umano:
essa è data dai bisogni degli uomini che vivono in questo mondo […] Non vi è
concorso di circostanze che possa mai sottrarre nessuno a quest’obbligo universale
(2013:23-24).
5
Tra i vari studi rinvio soprattutto a Thesleff, (1965) e a Waithe (1987).
proporzione appropriata sovrasta qui ogni principio di natura legislativa o sociale
in quanto corrispondente alla parte forte dell’animo a sua volta connessa sia con
quella affettiva (da cui legge e giustizia compassionevoli e secondo “pietà”) sia
con quella intellettiva (il coraggio inteso come forza che guida l’azione secondo
ragione). Conoscenza di sé, auto-dominio ed esercizio delle proprie funzioni si
oppongono all’ordine precostituito se questo non corrisponde al meta-principio
della concordia: è infatti l’amore che, inaspettato, depotenzia la polis per una
politeia fondata sul perdono quale amore unilaterale (senza aspettativa di ritorno),
compassione per l’altro e stima di sé procedente dal ri-conoscimento del valore
della propria natura. Il punto esterno così guadagnato possiede una forza
propulsiva sia perché inaugura un nuovo modo di intendere il conflitto entro il
quotidiano (lo status quo socio-politico) sia perché, liberamente, assume il male
(la discordia che fa guerra agli uomini e al mondo) per rigenerarlo in bene. Il
desiderio è dunque un principio vitale che sovrasta l’anelito distruttivo di
polemos: sentimento, piacere e amore sono così il punto esterno che sovverte il
disordine dell’uomo(filosofo) autoreferenziale riflesso, narcisisticamente, nel suo
disordine socio-politico.
Anche Perictione I (vissuta tra il IV e II secolo a.C.) nel suo scritto L’armonia
delle donne, pur non volendo esplicitamente sovvertire l’ordine dato, nell’incitare
proprio le donne a dedicarsi alla vita filosofica provoca uno slittamento del
concetto di giustizia verso quello di pietas quale onore e rispetto per sé e per
l’altro. Il mondo femminile, per aver generato le relazioni sociali nella cura
domestica e religiosa, ne conoscerebbe l’intima natura: la vita filosofica diviene
così una pratica esercitata nella comprensione e nel controllo di sé in virtù di
“coraggio” e “giustizia”. Il riconoscimento apparente dei ruoli sociali subisce,
attraverso lo studio filosofico quale attenzione e discernimento proprio delle
donne, un ribaltamento politico entro un diverso – femminile – statuto morale e
sociale. Poiché la donna è il soggetto che fonda le relazioni interpersonali, in
quanto perno della famiglia, è suo il compito di comprenderne la natura a partire
dalla soggettività in relazione: a lei spetta la responsabilità etica di fondare un
modo altro dal potere della polis di intendere la politica a partire dalla pietas,
ovvero secondo sacri vincoli intimamente vissuti. È infatti la passione del
pensiero che intende l’ascolto come urgenza a ob-audire: essere in ascolto
dell’altro perché preliminarmente coinvolti e sconvolti (decentrati) dalla sua
prossimità che è presenza e distanza nell’asimmetria della relazione. E così la
sacralità dei genitori, in Perictione, si esprime nella cura divina a loro dovuta
quale abito (decoro e ornamento) di una pietà più bella della stessa “visione del
sole e di tutte le stelle che il cielo indossa e fa roteare” (fr. 1). Pietà e mistero del
divino sono la prima radice della mousikè pitagorica tra etica ed estetica (a
ricordarci il nesso mantica-pitagorismo sono già Diogene Laerzio e Porfirio) e più
profondamente tra filosofia e mistica. La pietas quale sorgente e via per l’incontro
con l’altro da noi, las entrañas di ogni sentimento e bellezza per la Zambrano, è
infatti per Perictione intima esigenza di intessere relazioni armoniose (o
corrispondenze armoniche) ordinate da amore. Si inaugura così un nuovo ieròs
lógos nella rivelazione che la più nobile via catartica sia il rispettoso, amorevole e
compassionevole, essere-accanto dei viventi. Tale purificazione quale sapienza
d’amore, atto di libertà e non di “vuotezza” che, per Edith Stein6, sarà
l’implosione dell’infinità interiore nella dispersione della mera possibilità, tornerà
per María Zambrano come storia di una coscienza immemore di sé: “Man mano
che l’uomo ha creduto che il suo essere consistesse in null’altro che nella
coscienza, l’amore si è andato trovando senza spazio vitale” (1992: 13-14). O
ancora, sempre con le sue parole, sarà la storia che incrocia il “delirio” di
Antigone nella disobbedienza a una hybris quale violazione della vita.
L’unica tragedia è l’essere nati. Poiché nascere è pretendere di rendere reale il sogno
[…] forse l’universo ci sogna come suo compimento […] nel fiore e nell’albero che si
erge, nella stessa materia estesa, sognata a sua volta, che aspira alla realtà e si mette a
servizio per raggiungerla; e che serve instancabilmente come fa l’universo, questa
domestica: serva, madre che serve fino a vedere ergersi sopra di sé l’uomo che la
calpesta, di lei dimentico. Perché l’estensione […] ombra dell’essere, deve
progressivamente divenire reale. E tutto ciò che la supera, la viola (1998: 17).
6
Stein (1997: 53).
dell’altro non perché il soggetto si ri-conosca nella parola detta e/o ascoltata,
piuttosto perché fa proprio il bisogno dell’altro di ricevere un “luogo”
(generativo) in cui raccogliersi. La ferita di Atena è dunque riscattata nella loro
mousikè (filosofia prima) a partire da una corporeità intesa come significante del
ritorno al corpo materno: principio fondativo del kosmos nel “mettere al mondo il
mondo” (Diotima: 1990) entro un ordine di senso strappato al chaos. Possiamo
pensare che da loro ebbero inizio le prime relazioni autorevoli femminili che
forgiarono, seppure in forma embrionale, quell’ordine simbolico di autorevolezza
che nel Novecento sarà la pratica del ripensamento della soggettività nella
differenza, decostruzione dell’Identico imposto da arcaica e violenta rimozione
della nascita materna. Il loro testamento ci consegna una corporeità del logos
quale pensiero che “si dà pensiero per il vivente” e che per questo lo genera: dal
chaos della lacerazione in noi al kosmos d’amore per noi.
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ABSTRACT (CURRICULUM VITAE)
ABSTRACTS (ARTICOLI)
Inside the logic of inclusion and recognition (different from polemos and its
will of power) women’s contribution was crucial starting from pythagorean