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Dike, dea della giustizia cosmica che si incarica di guidare gli individui irretiti nella propria
ubris, e trova voce nelle parole del Coro, non soltanto spettatore interno, quanto
soprattutto sguardo contemplante e carico di sophrosyne.
Orfica e dionisiaca matrice di pensiero che gravita attorno alla figura di un dio che
simultaneamente, in sé, rende radicali le opposizioni e ne coglie l’unità profonda (Dike
contro Dike).
(medicina dell’anima) tragedia strumento di interrogazione sul destino, sugli dei, sulla
responsabilità dell’azione umana, sul potere, sulla morte, sull’amore. Sophrosyne –
capacità di riflessione che crea uno spazio di libertà interiore, evitando la dominazione
da parte del magma spesso distruttivo delle passioni – eusebeia – pietas, devozione,
rispetto per la volontà degli dei, capacità di accettazione incondizionata del loro
enigmatico volere, ottenuta attraverso un percorso che attraversa il dubbio e la
bestemmia, ben al di là di una acquiescenza conformistica alla religione ufficiale. Aiace
contro Atena, Edipo e Giocasta scherniscono sapienza oracolare (motore fondamentale
dell’azione umana), Illo (Trachinie) contro indifferenza degli dei.
a) La voce degli dei è ambigua e crudele: Atena gioca con l’orgoglio di Aiace e lo
trascina in una follia che ne umilia il kleos; la volontà della Moira più che la
maledizione sul genos dei Labdacidi è la vera causa delle peripezie di Edipo; gli dei
non soffrono la legge inesorabile del Tempo che condanna a morte tutti i viventi.
b) Ai mortali non è lecito sottrarsi al loro decreto imperscrutabile, pena
l’annientamento. Nell’atto del suicidio che lo riscatta dall’ atimia, Aiace si
sottomette alla legge della Morte, che segna il trionfo implacabile del divino
sull’umano e annienta la sua potenza nel momento stesso in cui la fa culminare.
Antigone, che si immola battendosi contro il cinismo del potere nel nome delle leggi
non scritte degli dei, non viene salvata da essi, ignara del pegno d’amore di Emone.
Ostinazione: incapacità di ascoltare ciò che viene dal mondo esterno, dedizione suicida a
una vocazione che non consente loro alcuno spazio di mediazione (metabolè), e si rivela
amore per la bella morte. Edipo non si lascia dissuadere dal ricercare l’assassino del
padre, né dalle profezie di Tiresia, né dall’estremo appello di Giocasta, ma corre incontro
alla distruzione. Eletta, votata al dolore, si isola in una interminabile compianto del padre
ucciso, a sfidare i nuovi padroni della reggia. Filottete, arroccato nel proprio odio nei
confronti di Odisseo, si lascerà persuadere ad andare a Troia soltanto da Eracle.
Ostinazione e rigidità dell’ego che si fa dominare da una passione unica sono fonte di
sofferenza, mancanza di soprosyne perché l’orgoglio umano si scontra con la legge
misteriosa degli dei. Data la sequenza di eventi stabilita dalla Moira, al mortale
resterebbe soltanto la sophrosyne congiunta all’eusebeia nei confronti della volontà
divina, che consente di accettare la disfatta della volontà personale e di accogliere
duttilmente il volgere degli eventi, come effettualità consacrata dalla legge
imperscrutabile che vi è sottesa.
Nel Sofocle più maturo, destino dei viventi che lottano per affermare il proprio punto di
vista sulla vita non è inesorabilmente segnato dalla morsa di una Necessità devastante:
spiragli di fiducia nella mano imperscrutabile degli dei e del Mistero che guidano gli
umani in un processo di possibile riscatto. Conclamato pessimismo sofocleo non fine a
sé, ma diagnosi lucidissima sulla realtà della condizione umana, forma di verità e
conoscenza radicale. Strada apollodionisiaca della rappresentazione artistica di un
tragitto di conoscenza che si salda con un senso di accettazione della vita e di
commozione per la fragilità che accomuna tutti gli esseri viventi (Odisseo ad Aiace.
Metanoia di Neottolemo di fronte al destino di Filottete. Accenni di pietà del coro di
tebani di fronte ad Antigone. Creonte accecamento di Edipo. Teseo offre ospitalità ad
Edipo). Non in Elettra: rispetto della teodicea.
Contraddittorio rapporto con il divino: dei collaborano con umani (Elettra), dei li
schiacciano (Aiace). Filo della teodicea colpendo la tracotanza. Deianira assassina
inconsapevole, Edipo assassino ed incestuoso senza saperlo, Filottete condannato
all’abbandono e ad una ferita infetta perché morso da un serpente, Antigone colpevole
di rispettare leggi non scritte. Possibile teodicea parziale. Non Euridice ed Emone.
Destino inviato dagli dei non riconducibile ipso facto alla rettitudine o nequizia
dell’azione umana. Forze che governano la vita sono misteriose, e non dipendono né
dalla volontà né dall’azione umana. Esiste una trama insondabile degli aventi che agisce
gli umani. E essi, pur agiti dagli eventi, in qualche modo li agiscono. Ma il sigillo finale è
nelle mani degli dei, del Fato.
Edipo è immagine limpida di un tragitto che percorre le vie del dolore più tremendo e
perturbante, figura in cui si saldano dolore e sapienza, luce e tenebra, apparenza e
verità. Edipo ha conosciuto, in un percorso dall’incoscienza alla consapevolezza, la
vertigine del male e del dolore, ma è stato ricompensato dalla grazia, perché è passato
dalla dimensione della doxa a quella dell’aletheia. Iniziato ai misteri supremi, dall’abisso
dell’abnegazione giunge il vertice della deificazione, e diventa guida e iniziatore di
eccellenti.
Istinto all’espansione della coscienza: colui che risolse l’enigma della Sfinge e la fece
morire deve rintracciare in sé una dualità di nature, cosciente ed inconscia, deve
scoprirsi come sfinge, ricondurre a sé l’ambiguità radicale del divino; solo quando avrà
portato a termine questo processo di unificazione, attraverso una katabasis estrema,
con la propria ombra potrà essere accolto nel regno degli dei consapevole della propria
fragilità. Tutta la vita è processo ininterrotto di autenticazione, di riconoscimento della
propria natura nascosta e di purificazione. Il mathos di Edipo comprende aletheia e doxa,
mascheramento e disvelamento, e nasce da un pathos di altrettanta vastità, che
sperimenta le possibilità dell’anima, che ha natura infinita.
Poiché l’iniziazione tragica si fonda sulla presa di coscienza della totalità psichica, Edipo
nell’atto in cui si avvia alla deificazione può agire anche la propria rabbia, e maledire
Polinice, come Eracle malediceva Deianira. Edipo diveniva paradigma incarnato della
tensione, contemplabile dal theomenos con partecipazione e distacco.
Dramma sacro euripideo celebra la potenza degli dei, ministri di iniziazione alla
soprosyne eusebeia, anche quando la loro volontà possa sembrare arbitrio agli occhi
degli umani e ne evochi la bestemmia e il disprezzo (non prodromi dell’intellettualismo);
teodicea non sempre esplicita, né mai scontata ma sovente dichiarata. (chiusura del Coro
in Andromaca, Alcesti, Medea, Elena e Baccanti). Coro dell’Elena: cosa è dio, cosa non
dio, cosa in mezzo; eventi inattesi si contraddicono. Ione rasenta la bestemmia verso
Apollo, come Creusa. Ecuba perde ogni fiducia negli dei e giunge al sarcasmo o nega
l’esistenza di qualsiasi teodicea. Ippolito, condannato a morte dalla sua eccessiva
devozione ad Artemide, grida il proprio sconforto per essere stato tradito dai divini, e li
maledice.
Relazione con gli dei agitata da una tensione estrema e da contraddizioni, ambivalenze,
dubbi: l’uomo convoca il dio a un rapporto personale, diretto, spesso lacerante perché è
intollerabile il mistero del dolore e della morte.
Limpide dichiarazioni di fiducia in una teodicea: Dioscuri ad Oreste (Elettra). Teseo
teodicea eudaimonistica, fondamento della civiltà umana. Ione insulti agli dei /
riconoscimento della provvidenza di Apollo che guida al lieto fine, sentenza di Atena.
Ecuba riconosce nella trama degli eventi la mano di Zeus, che guida le vicende umane
secondo giustizia. Nelle teodicee dei ministri di Ananke, Necessità cosmica.
Ogni possibile teodicea urta contro il senso della sofferenza inevitabilmente connessa
alla condizione umana: gli dei non possono garantire la gioia, spesso si fanno ministri del
dolore perché così vuole la Necessità (segno di elezione, Dioscuri nell’Elena). Lamento
sulla fragilità umana: Ecuba, coro in Oreste, Agamennone in Ifigenia in Aulide, nutrice in
Ippolito. Esito non nichilistico: saggezza che sa gioire dell’esistenza come si presenta
giorno per giorno, quando l’onda della sventura non si abbatte sugli umani fragili. Eracle
invita a godere dei piaceri di Afrodite; coro dell’Elettra: beatitudine coincidente con
assenza di sventura.
Spirito iniziatico: Oreste itinerario catartico e anabatico, dalle regioni del conflitto più
cupo alla epifania finale di Apollo che celebra il trionfo di Eirene, in cui si acquietano
tutte le tensioni. Ippolito mancante di sophrosyne paga con la vita la incapacità di
bilanciarsi fra gli opposti della castità e della vita afroditica, ma in limine mortis e post
mortem vede premiata la propria dedizione ad Artemide e ai misteri ascetici. Elena
attraversa peripezie i occultamento, morte e rinascita alla propria identità, e raggiunge la
pace dopo essersi purificata dal culto eccessivo dell’esteriorità, contrastante con i misteri
orfeodionisiaci e demetriaci di Eleusi. Alcesti (come Kore) discende nell’Ade da cui fa
ritorno grazie ad Eracle che premia l’abnegazione della donna in nome dell’amore.
Eracle, iniziato ai misteri e trionfato sulla morte, approda al senso della solidarietà
attraverso l’iniziazione del dolore. Generosità di Polissena, Ifigenia, Macaria e Alcesti.
Baccanti: tragedia inscena la vittoria della sapienza dionisiaca, che è insieme vitalismo e
contemplazione, sul potere degli ottenebrati, rappresentando l’iniziazione simbolica di
Penteo, l’ottuso re di Tebe, evocando la fiducia nella possibile instaurazione di una civiltà
democratica e egualitaria, fondata sulla comunità degli iniziati all’estasi e ai Misteri. I
Misteri dionisiaci suscitano un’etica dell’equilibrio fondata sulla sophrosyne in grado di
garantire i valori positivi che stanno alla base di una vita civile armoniosa. Fondata su
questi valori, sull’amor di patria e sul senso della giustizia garantita dagli dei e dalle
istituzioni umane, può nascere la civiltà della sophrosyne.