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Facoltà Teologica Pugliese

Istituto Superiore

di Scienze Religiose Metropolitano

“San Michele Arcangelo”

Foggia

Il dolore dell’uomo:

apertura trascendentale della anima spirituale

Elaborato per il Seminario

“L’umano soffrire:

un percorso teologico

per rileggere il dolore e la sofferenza”

Prof. Sac. Antonio Di Domenico

della studentessa Laura Di Miscio (matr. SMA2113T)

Foggia, 16.05.2022
INTRODUZIONE

Oggi più che mai termini come dolore, morte, paura, sofferenza si

sovrappongono e drammaticamente rincorrono in una spirale che fra il virus da

Sar-2-Cov e la guerra russo-ùcraina sta tragicamente riscrivendo i codici

interiori dell’uomo del primo ventennio del secondo anno mille: mentre infatti

la spirale della struttura del DNA si avvolge tra memoria genetica ed

evoluzione in un processo creativo, sembra che la storia dell’uomo del nuovo

millennio si avviluppi in spire inumanamente distruttive.

Gli eventi dolorosi della vita dell’uomo rappresentano i momenti di crisi (dal

greco krinein, separare ma anche discernere) attraverso cui la vita stessa vive

in una nuova opportunità, in una scelta: dunque si dà ad un cambiamento e ad

una crescita in un’assunzione di valore, sempre implicita nella scelta1.

Ma quando la scelta dell’uomo precorre l’evento doloroso e lo provoca, si crea

una catena genetica del male: si ha un cambiamento in perdita, una negazione

di valore e si sceglie il dolore fino alla morte stessa, senza lasciare che dolore e

morte accadano alla vita come parte e ‘finalmente’ possibilità di essa: «(…) la

1
Cfr.. L. MANICARDI, L’umano soffrire, Qiqajon, Magnano (BI) 2006, 89-90.

1
morte è parte integrante e momento culminante dell’esistenza (…) pone fine

alla vita, ma (…) la porta a compimento»2.

La fuga dal dolore e dalla morte, come dalla sofferenza e dalla paura che ne

discendono, rompe la catena sociale creata dagli uomini per proteggersene,

perché è inevitabile che la solidarietà e la vicinanza soccombano all’egoismo e

alla prevaricazione finché esse poggiano sul mito (di potere, successo, denaro,

salute) e sul timore (di povertà, malattia, fallimento, morte) anziché sulla

verità della debolezza e fragilità dell’uomo: soltanto quando l’umanità si

calerà nelle profondità di una autentica autoconsapevolezza antropologica

potrà afferrarsi alle ancore trascendentali dell’Uno, del Vero, del Bene e del

Bello («ornamento di tutte le virtù»)3 ed «allora una nuova società,

contrassegnata da onestà, rettitudine, dialogo, giustizia, pietà potrà

affermarsi»4come Leopardi nella sua Ginestra fideisticamente auspica.

Solo valori che, in una spirale di verità, bontà, integrità e bellezza, dentro

l’uomo trascrivano i codici dell’appartenenza trascendentale all’Assoluto,

possono salvare l’uomo, che fugge la morte, dall’inferno: Leopardi, innanzi

citato, intrecciando quei valori alla forza e alla fragilità di un fiore selvatico

come la ginestra, canta che «Se gli uomini convivessero sempre con la loro

2
Ivi, 57.
3
Cfr. N. ABBAGNANO, Dizionario di Filosofia, a cura di G.FORNERO, Utet, Torino
2008, 1117-1119; B. MONDIN, Storia della metafisica II, ESD, Bologna 1998, 574; T.S.
CENTI, Note a: TOMMASO D’AQUINO, La Somma Teologica, EDS, Bologna 1984, vol.
XXI, 32.Secondo la dottrina dei Trascendentali, che trova compiuta elaborazione con San
Tommaso D’Aquino, le caratteristiche dell’ente (esistente) emanano dagli attributi
trascendenti dell’Essere Assoluto, realizzando la possibilità stessa dell’ente
nell’integrità(Unum), bontà (Bonum), verità (Verum) e bellezza (Pulchrum), ed allo stesso
tempo consentendo all’ente di trascendere se stesso nella tensione all’Assoluto
Trascendente.
4
P.CASCAVILLA – M. ILLICETO, Dialogo sulla morte, Messaggero, Padova 2009, 143.

2
fragilità, con l’idea della morte, avvertirebbero l’insensatezza delle guerre, dei

conflitti dei soprusi».5

Da una parte la morte è rimossa dalla scena sociale, si ha paura, dice

Manicardi ne l’Umano soffrire, della parola stessa ‘morte’ che si camuffa ed

esorcizza con eufemismi (scomparire, mancare, passare a miglior vita)6;

dall’altro lato, la morte irrompe crudamente e crudelmente nelle nostre case,

sulla tavola delle nostre cene e sul divano delle nostre serate, spettacolarizzata

ed ancora esorcizzata attraverso la distanza dell’etere, disincarnata dalla

trasmissione catodica: un triste ed angoscioso spettacolo che subiamo

impotenti, violentati dall’orrore mentre mastichiamo un pasto o ci riscaldiamo

sotto un plaid.

Parafrasando Levi, è questo un uomo che in questo ‘secondo anno mille’ a

cento anni quasi dall’incubo nazista, si affaccia ancora sullo stesso abisso e

anziché arretrare vi spinge l’altro uomo? è questo un uomo, che al culmine

dello sviluppo tecnologico e scientifico, ormai capace di navigare in gite nello

spazio e di muoversi con la medicina nelle proprie immense complessità

psicofisiche, ancora non ha compreso che la paura e la debolezza scompaiono

abbracciando l’altro, che ha paura ed è debole quanto lui stesso? è questo un

uomo che cerca sicurezza in territori, ricchezze e potere dimenticando che da

questi possessi non gli arriverà mai una mano tesa per trarlo dalla solitudine,

5
Ivi, 144.
6
L. MANICARDI, L’umano soffrire, 56-57.

3
né una carezza per asciugargli le lacrime, non una risposta al perché arriverà la

morte e soprattutto non l’amore per annientarne l’inesorabilità7?

Non a caso si è usata la locuzione ‘secondo anno mille’, con l’intento di

suggerire un parallelo fra l’anno mille - che per gli storici ha segnato già nel

medioevo, la rinascita dell’umanesimo su basi spirituali e religiose – e il 2000

che era atteso come il millennio dello spirito: alla fine del diciannovesimo

secolo le neuroscienze e l’epigenetica in particolare avevano preconizzato

l’avvento di un nuovo tempo dello spirito, arricchendo laicamente e

scientificamente la risposta a quella «diffusa esigenza di spiritualità» che

Giovanni Paolo II indicava agli albori del 21° secolo come un segno dei tempi

nuovi8.

Ora, dunque, che il mondo si affaccia su un nuovo scenario di

disumanizzazione, perché scegliere il male e provocarlo significa recidere le

radici spirituali dell’anima umana, e dunque privare l’uomo di ciò che è

l’essenza della sua umanità, occorre più che mai che questo uomo rifondi le

sue coordinate genetiche sullo spirito che lo Spirito di Dio ha alitato in lui e

non smette di alitare donando a lui la vita per difendere e salvare la quale l’ha

assunta su di sé con ogni dolore, paura e sofferenza fino alla morte.

7
P. LEVI, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1959.
8
GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Nuovo Millennio Ineunte (06 gennaio 2001),
n. 33: AAS 93, 289; sull’accresciuta riflessione intorno allo spirito: B. LIPTON, La
biologia delle credenze. Come il pensiero influenza il DNA ed ogni cellula, Macro, Cesena
2020; D. AMEN, Memoria in forma ad ogni età, Punto d’Incontro, Vicenza 2010; D.
GOLEMAN, Intelligenza emotiva. Cos’è e perché può renderci felici, Rizzoli, Milano
2011; D. ZOHAR - I. MARSHALL, L’Intelligenza spirituale, Sperling & Kupfer, Segrate
(MI) 2001.

4
Questo piccolo lavoro intende mostrare, da un lato, come solo se e quando

l’uomo poggia il suo essere e la sua esistenza sulle fondamenta spirituali della

sua anima, egli può contrastare il male, sopportare ogni dolore, riscoprirne il

senso e crescere in quella dignità che lo rende poco meno degli angeli e al di

sopra di tutto il creato, come celebra il salmista (Sal 8); e dall’altro come solo

se e quando affronta e accetta l’ineluttabilità della lotta contro il male e del

dolore (che ne consegue) egli preserva la sua umanità, fatta di spirito anima e

corpo, per la quale è stato «coronato di gloria ed onore» e a questa gloria ed

onore conduce il creato e le creature che gli sono state affidati.

5
6
CAPITOLO I

Alle origini di ogni dolore

1.1 Dal problema del male …

«Il problema del dolore e della malattia è sempre stato uno dei più angosciosi

per la coscienza umana»9.

Da un punto di vista filosofico il male è una mancanza di bene, il male è il

risultato di qualcosa che ha intaccato l’integrità dell’esistenza: se l’Essere

Assoluto è Unum, Verum, Bonun et Pulchrum, là dove c’è mancanza di

bellezza, di bene, di verità, di integrità è il male che si fa strada nell’esistenza a

spese di qualcosa di buono, vero, integro e bello.

In senso teologico, il male non smette di strisciare subdolo e astuto come il

serpente del racconto biblico del capitolo 3 di Genesi, corrompendo l’amicizia

dell’uomo con il suo Creatore, violando l’armonia fra gli esseri creati,

gettando paura, vergogna e colpa nel mondo10.

9
RITUALE ROMANO, Sacramento dell’unzione e cura degli infermi, CEI, Roma 1974,1.
10
Cfr.. T.IVANČIĆ, Diagnosing the soul and Hagioteraphy, Grafocommerce, Salzburg
2006, 159-160. Mons. Tomislav Ivančić ha insegnato filosofia teoretica e teologia
fondamentale all'Università di Zagabria, della quale nel 2001 è divenuto rettore.Nominato
per due quinquenni membro della Commissione Teologica Internazionale da papa
Giovanni Paolo II (su proposta dell’allora prefetto della Congregazione per la dottrina
della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, poi papa Benedetto XVI), poi Cappellano del S.
Padre ed anche Canonico della Cattedrale di Zagabria. Ha scritto molto ed è conosciuto in
Croazia ed in Europa per il suo carisma di evangelizzazione e la sua ricerca sulla
dimensione spirituale dell'uomo e la medicina antropologica ispirata dalla Costituzione
apostolica, Salvifici Doloris e tesa perciò a trovare una terapia, un trattamento per quel
«dolore dell’anima», quella «vastità e multiformità della sofferenza morale (…) meno
identificata e meno raggiunta dalla terapia»: GIOVANNI PAOLO II, Cost. Apostolica,
Salvifici Doloris (11 febbraio 1984), 5: AAS 76 (1984), 204.

7
Il male nel senso più ampio della parola è qualcosa di negativo che infligge

dolore, che porta sofferenza, minaccia la vita e in definitiva affligge l’uomo:

gli incidenti, le difficoltà, i fallimenti, le delusioni, i conflitti e certamente le

malattie sono allora mali in quanto arrecano tristezza e dolore11.

Il male dunque è alla base di quelle situazioni di profondo limite della

condizione umana che sembra «nessuno riuscirà mai a superare (…)

sofferenza, lotta, colpa, morte»12.

Fra i miti antichi, precedenti o coevi, che tentano di offrire una spiegazione del

mondo e di rispondere ai perché dell’esistenza, il racconto biblico del peccato

d’origine è l’unico che pone in rilievo la libertà e la responsabilità dell’uomo

in relazione alla storia dell’umanità condizionata dal male ed allo stesso tempo

affrancata nell’orizzonte della salvezza su cui si staglia l’Albero della Vita, per

il quale lo stesso Jahvé «pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la

fiamma della spada folgorante, per custodir[lo]» (Gn 3,24)13.

Vale a dire, l’uomo ha scelto di decidere da sé qual è il bene (e il male),

‘mangiando dell’Albero della Conoscenza’, ma Dio fa sì che «Ora egli non

stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva

per sempre» (Gn 3,22) nella schiavitù del male: l’albero della vita avrebbe

reso eterna la condizione dell’uomo, e con essa le condizioni limite che

provocano le sue sofferenze in questo mondo; ma l’amore di Dio rende il

mondo per l’uomo l’occasione di rinunciare al male, al peccato con cui l’uomo

11
Cfr. Ibid., 272.
12
J. GEVAERT, Il problema dell’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, Elledici,
Torino 1992, 212.
13
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale (10 dicembre 1986), n.9, in
https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1986/documents/hf_jp-
ii_aud_19861210.html (consultato il 5 aprile 2022).

8
lo sceglie e il luogo per tornare (con-vertirsi) finalmente al suo Creatore: allora

soltanto potrà «mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio»

(Ap 2, 7).

9
1.2 … al mistero del male

L’uomo che ha incontrato Dio, non fatica a riconoscere quale causa prima del

dolore che l’uomo patisce in conseguenza del male che aggredisce e corrode

l’integrità dell’esistenza - ogni volta che l’uomo cede al dubbio, alle

suggestioni di false verità, alla manipolazione della coscienza, alla distruzione

delle relazioni, si lascia allettare da ingannevoli bellezze e promesse di

grandezza -lo strisciare perverso e viscido della prima inimicizia, della prima

divisione, della prima paura che si ripetono.

L’uomo che ha incontrato la fede, comprende che solo ristabilendo l’amicizia,

la condivisione e la fiducia in Dio, può colmare i vuoti che lo dividono

interiormente e dagli altri, può riuscire ad annullare le distanze che lo separano

da sé stesso e dall’altro, può trovare conforto e coraggio nella e contro la

paura.

L’uomo che si è abbandonato alla grazia del suo Creatore sa che ogni perché

sulla vita (e sulla morte)- dopo averne cercato invano risposte nell’acqua

(Talete), nell’aria (Anassimene), nell’atomo (Democrito) -non può fermarsi al

motto socratico inciso all’entrata del tempio di Delfi, perché finalmente Colui

che è venuto a dirgli «ama il prossimo tuo come te stesso»(Mc 12,31)ha

riempito di significato questo cammino dell’uomo dal (e nel mondo) a se

stesso: Gesù ha mostrato come solo donandosi per l’altro – fino all’estremo

sacrificio della vita stessa - l’uomo realizza il senso della sua vita, Gesù ha

testimoniato che l’uomo non conosce ed incontra autenticamente se stesso se

non per amore, con l’amore e nell’amore: in definitiva la croce è la risposta

per l’Amore, con l’Amore e nell’Amore ai fondamentali interrogativi

10
esistenziali dei quali il mors quid est? (del filosofo che non crede in un Dio da

interpellare e che lo interpelli)14 diventa «Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Dov'è, o morte il tuo pungiglione?» (1Cor 15,55).

In altre parole, l’interrogativo sull’evento più spaventoso e terribile

dell’esistenza non può arrestarsi al dilemma filosofico, ma deve immergersi

nel mistero dell’uomo in dialogo con il suo Dio, che si fa uomo per incontrarlo

fino a quell’evento spaventoso e terribile che sulla croce di Gesù trova la sua

fine aprendosi al fine: «Gesù porta la gloria nella morte per trasfigurarla ed

oltrepassarla (…) restituisce alla morte quel suo limite che la caratterizza»15.

La croce di Cristo, si può affermare, libera dalla categoria enigmatica ed

ambigua del “problema” il male, restituendolo a quello del mistero, nel senso

etimologico del greco mysterion inteso da San Paolo nella seconda lettera ai

Tessalonicesi, quando denuncia il dramma del mystierium iniquitatis(2Ts 2,7)

e lo disvela come «azione drammatica che è in corso in ogni istante e in cui si

giocano incessantemente le sorti dell’umanità»16, nel mondo che è come

appunto ci dice il Vaticano II «teatro della storia del genere umano, (…) degli

sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie, certamente posto sotto la

schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del

Maligno, liberato»17.

14
Cfr. P.CASCAVILLA – M. ILLICETO, Dialogo sulla morte, 13-21
15
Ivi, 174.
16
G. AGAMBEN, Il mistero del male: Benedetto XIV e la fine dei tempi, Laterza, Bari
2013, 191.
17
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et spes (07
dicembre 1965), n. 2: AAS 58 (1966), 1026.

11
12
CAPITOLO II

La sofferenza dell’uomo, ‘luogo’ di trascendenza

2.1 L’anima spirituale

Riprendendo le fila del discorso, nel teatro del mondo come ce lo rappresenta

il Vaticano II nella riflessione citata di Giovanni Paolo II, con il dono di Cristo

sulla croce fa irruzione quell’alterità nell’identità dell’uomo che è garanzia

della sua autentica identità18;l’alterità gratuita iscritta nel dono della creazione

ritorna nel dono gratuito della croce che spalanca il sepolcro della morte, del

peccato e del male all’irruzione della Vita vera già qui ed ora: allo spirito

soffiato su Adamo viene data la forza dello Spirito esalato sul Golgota (cfr. Lc

23,46).

«Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue

narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gn 2,7): i caratteri

psicofisici dell’uomo vengono dalla terra, ma la «polvere del suolo« non è più

solo materia inerte perché lo spirito increato riversato da Dio nell’uomo lo

pone al disopra degli animali e di tutta natura, Dio ha soffiato in lui l’alito

18
Cfr. P.CASCAVILLA – M. ILLICETO, Dialogo sulla morte, 174.

13
della vita e la Bibbia dice che in questo modo l’uomo divenne un’anima

vivente: come vita alitata, lo Spirito di Dio è perciò la sorgente della vita19.

Giovanni Paolo II, auspicava di «ritrovarci sul terreno di un’adeguata

antropologia, che cer[chi] di comprendere e di interpretare l’uomo in ciò che è

essenzialmente umano»20 e null’altro distingue essenzialmente l’uomo dalle

creature e dal creato che la sua anima spirituale: già la Scolastica con S.

Tommaso aveva chiaramente distinto l’anima come il principio della vita, che

distanzia gli esseri viventi dalla materia, ed in essa un’anima vegetativa,

appartenente al mondo vegetale, un’anima psichica caratterizzante il mondo

animale ed un’anima spirituale che nell’uomo unifica ed identifica il corporeo

e lo psichico in quell’essere relazionale che è la persona umana, fatta ad

immagine di Dio21.

Se l’anima è principio della vita, per cui le piante e gli animali hanno

un’anima (psico-vegetativa) come l’uomo, lo spirito è ciò che – si ripete -

distanzia (e paradossalmente lo avvicina nella relazione che rende possibile)

l’uomo dagli altri esseri viventi: lo spirito è la sorgente della vita, è ciò che

nell’anima dell’uomo è collegato al Creatore, è ciò per cui l’uomo può

riscoprirsi creatura, può stupirsi e interrogarsi sul senso dell’esistenza e della

sofferenza ed entrare in dialogo con Dio.

Per il Cristianesimo Dio è lo spirito Assoluto e lo spirito è la parte immortale

dell’uomo donata da Dio: è l’alito divino della vita che imprime e garantisce

19
T. IVANČIĆ, Diagnosing the soul and Hagioteraphy,157-158.
20
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale (02 gennaio 1980), in
https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1980/documents/hf_jp-
ii_aud_19800109.html (consultato il 5 aprile 2022).
21
Cfr.. F. OLGIATI, L’anima di S. Tommaso D’Aquino, Vita e pensiero, Milano 1923.

14
nell’essere dell’uomo l’immagine di Dio e che nelle tre grandi lingue

dell’antichità era espresso dai vocaboli ruah (ebreo), pneuma (greco), spiritus

(latino), evidentemente distinti da quelli indicanti l’anima – nefesh, psiche,

anima– ed il corpo (basar, soma, corpus).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega che il concetto di spirito non

introduce una dualità nell’anima dell’uomo, bensì significa il suo essere aperta

fin dalla creazione al soprannaturale: in virtù dello spirito «la sua anima è

capace di essere elevata gratuitamente alla comunione con Dio», significa il

suo essere formata ad immagine di Dio22.

L’uomo è dunque come ricorda Paolo nelle raccomandazioni finali della prima

lettera ai Tessalonicesi - unione di «spirito, anima e corpo» (1Ts 5,23) ove lo

spirito è la forma dell’anima, nell’accezione aristotelico-tomista, il principio

interiore che plasma e modella l’anima e il corpo in una persona unica e

irriducibile; è il principio invisibile e sostanziale che rende l’uomo un tutto, un

essere vivente, un corpo senza l’anima sarebbe un cadavere23: lo spirito è il

principio dell’esistenza e nell’evento cruciale della storia dell’uomo con Gesù

crocifisso nell’alito della creazione ha spirato il soffio della salvezza eterna.

Lo spirito non è qualcosa che si oppone al fisico e allo psichico ma ne implica

il superamento: garantisce l’uomo come essere totale, organismo fisico,

22
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 1993, 367.
23
Cfr. T.IVANČIĆ, Diagnosing the soul and Hagioteraphy,192-193: «Il corpo di una
persona è considerato vivo nella Sacra Scrittura. Solo i resti, materia in decomposizione,
sono sepolti. Il corpo non si decompone. Il corpo è ciò che anima l'anima; il corpo è
l'uomo. Non possiamo parlare solo della materia nei nostri corpi, perché non siamo fatti
solo di materia, ma materia che ha preso vita. Il materiale è ciò che seppelliamo (…)
L'anima vegetativa, psichica e sensitiva è respirata dallo spirito e dopo la morte
accompagna una persona, mentre i resti corporei o mortali rimangono nella tomba».

15
psichico e spirituale, per cui è la più alta realizzazione dell’intera persona che

«in quest’unificazione si rivela come soggetto capace di (…) relazione perché

essa stessa è relazione»24: nella sua essenza relazionale la persona si dà e si

compie nell’Altro/altro e per l’Altro/altro.

24
M. ILLICETO, La persona: dalla relazione alla responsabilità. Lineamenti di ontologia
relazionale, Città Aperta, Toina (EN) 2008, 88-89: Illiceto mette in rilievo come la
concezione di persona di Rosmini «riallacciandosi, da un lato, alla tradizione greco-
romana e, dall’altro, a quella teologico-cristiana tipica della scolastica medievale (…) ebbe
a definire la persona come principio supremo dell’unità del sentimento fondamentale e
dell’intuizione dell’idea».

16
2.2 Lo spirito dell’uomo: dono e possibilità di trascendenza

Per tutto quanto detto nel capitolo precedente la persona è il centro spirituale

esistenziale attorno a cui ogni altra cosa trova integrazione, attraverso la

relazione che dà senso e significato all’esistenza dell’uomo, perché la fonda

ontologicamente.

La mancanza di autocoscienza spirituale significa mancanza di relazione con

sé stessi, con gli altri e con a Dio.

Una tale mancanza si ritrova spesso descritta in romanzi e opere filosofiche: lo

scarafaggio di Kafka, la nausea di Sartre, la malattia mortale di Kierkegaard,

la caduta di Heidegger, lo straniero di Camus e la falsa coscienza della

borghesia di Marx rappresentano condizioni umane di disagio, alienazione e

infine di sofferenza corrispondendo a quanto Frankl definisce vuoto

esistenziale25: Viktor Frankl, fondatore della terapia del significato o

logoterapia (dal greco logos) sopravvisse ai campi di concentramento

(r)esistendo nella prospettiva dei valori e dei significati.

Dandosi un compito esiguo, come radersi ogni mattina con una lametta

gelosamente custodita, riusciva a mantenere la relazione con se stesso e

quell’altro da sé concretantesi nella ripetizione dei gesti, nella cura della

persona, persino nell’attenzione alla lametta che gli hanno permesso di

mantenere viva la coscienza di un valore esistenziale Altro con la a maiuscola.

Egli scrive:

25
Cfr. V. FRANKL, Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, Morcelliana, Brescia
1990.

17
Finché esisto, esisto nella prospettiva dei valori e dei significati; finché esisto nella

prospettiva dei significati e dei valori esisto per qualcosa che necessariamente mi

supera in valore, per qualcosa che essenzialmente è di rango superiore al mio

proprio essere- in altre parole: io esisto rivolto verso qualcosa, che non può essere

un ‘Qualcosa’, ma deve essere un ‘Qualcuno’ (…). In una parola: finché esisto,

esisto sempre per Dio.26

Essere un uomo, dunque, indica Qualcuno “Oltre ed Altro” che dà all’uomo

significato. Un uomo realizza se stesso nella misura in cui trascende se stesso.

Frankl richiama la necessità di sottolineare la grandezza dell’auto-

trascendenza dell’esistenza umana nei confronti, per esempio, per stare ai

nomi illustri sopra citati, dell’ateismo ideologico e dell’esistenzialismo ateo di

Sartre.

Va detto che il Dio dell’ebraismo di Frankl si è rivelato nel mistero

dell’Incarnazione-Passione-Morte e Risurrezione del Figlio quale mistero

d’Amore che guarisce e salva dinanzi al mistero del dolore che opprime

l’uomo, di cui il vuoto esistenziale e l’incapacità di relazionarsi a Dio sono la

drammatica conseguenza causa di ulteriori sofferenze.27

Gesù è venuto a mostrare all’uomo che l’amore è la forma più alta di

trascendenza ed il senso primo ed ultimo dell’umanità: esso porta a qualcuno

cui l’uomo può affidare se stesso ed in cui egli trova la pienezza di significato

e se questo non accade, si verifica un vuoto esistenziale, un sentimento di

mancanza e di assenza di significato: in questo senso Sant’Agostino scrive

26
V. FRANKL, Logoterapia ed analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia 1977, 268.
27
Cfr. A.M. CANOPI, Fammi sapere perché. Il tema del dolore. Lectio divina, Piemme,
Casale Monferrato (AL) 1989, 6.

18
nelle Confessioni «Signore tu ci hai creati per te, e il nostro cuore è inquieto

fin quando non riposa in te» che va letto in relazione con quest’altra sua

riflessione «Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita

la verità: e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso»28.

E’ nell’interiorità spirituale la via d’accesso privilegiata alla realtà propria

dell’anima ed ogni volta che l’uomo percorre questa via torna all’origine e

riconosce il fine (d’amore incondizionato) che toglie potere a la fine.29

28
N. ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, 51.
29
Cfr. P.CASCAVILLA – M. ILLICETO, Dialogo sulla morte,175.

19
2.3 Accettare e superare il dolore nello spirito

Quando una persona dirige se stessa verso Colui che è al disopra di lei e che

trascende la sua morte fa entrare la luce in ogni buio sepolcrale, il calore che lo

rende capace di sopportare il gelo di ogni la morte, in definitiva vince la

miseria e la paura della sua esistenza.

Le parole di Giobbe esprimono questo sguardo fisso su Colui che trascende la

morte e diviene egli stesso capace di trascendenza:

Dopo che questa mia pelle sarà distrutta,

senza la mia carne, vedrò Dio.

Io lo vedrò, io stesso,

e i miei occhi lo contempleranno

non da straniero (Gb 19,26-27).

Il grido, il lamento e persino la bestemmia dell’uomo che soffre e si ribella

all’inesorabilità del dolore e a Dio, sono già segno di trascendenza, perché l’uomo

reagisce e lo fa mentre tutto il suo essere interiore si muove verso l’alto, per entrare in

dialogo con Colui il quale soltanto può accogliere rabbia, impotenza, disperazione30.

Anche la filosofia e la scienza a partire dalla fine dello scorso millennio

assicurano che solo l’assoluto, la verità, i valori eterni, le abitudini buone, ci

salvano anche biologicamente (Lipton), che nella memoria abbiamo la

possibilità di guarire comportamenti e agire sul funzionamento del cervello

(Amen), che il cervello e la mente non sono separabili, che uno spirito sano è

necessario per una vita sana fisicamente e psicologicamente (Goleman), che

ritrovare il meglio di sé significa ricercare il proprio centro, contro ogni

30
Cfr. A.M. CANOPI, Fammi sapere perché. Il tema del dolore. Lectio divina, 76-77.

20
dispersione e divisione, che le visioni negative portano con sé malattie (Zohar

e Marshall), che ritrovare il senso significa superare ogni ostacolo (Frankl)31.

Il 60% - 70% della popolazione dei paesi in via di sviluppo soffre di

disorientamento schizofrenico di depressione, anoressia, stress o dipendenze,

tutte patologie del senso: il che significa che le ragioni di tali malattie sono di

natura spirituale, causate dall’allontanamento o separazione dal centro, dalla

dissociazione dal senso, dai valori, dalle aspirazioni e visioni, dalla radice e

dalla ragione dell’esistenza umana.

Ed in relazione a questa sofferenza che Giovanni Paolo II nella Salvifici

doloris chiama «dolore dell’anima», gli scienziati più sensibili denunciano da

tempo la necessità di un’umanizzazione della medicina: occorre superare il

limite delle scienze naturali avvalendosi del contributo delle scienze umane,

per le quali l’oggetto di studio è l’essere vivente, la persona, nella sua

inalienabile qualità umana. Questa è la via praticata dall’antropologia medica

il cui rappresentante di spicco fu Victor von Weizsäker che per primo utilizzò

la locuzione nella sua ricerca volta a determinare una svolta in chiave

filosofico - antropologica della medicina, che mettendo a frutto i risultati della

fenomenologia e dell’esistenzialismo francese e tedesco, focalizzasse

l’attenzione e la riflessione sull’uomo sofferente più sull’assenza di salute, che

sulla malattia.32

Curare l’uomo in quanto tale, nella sua inalienabile umanità significa riportare

l’integrità nella sua struttura esistenziale, quella che quando ferita, colpita,

31
Per gli scienziati citati, v. supra nota 8.
32
Cfr. C. CASALONE, Medicina, macchine e uomini. La malattia al crocevia delle
interpretazioni. Morcelliana, Brescia 1999, p.44; S. SPINSANTI, Guarire tutto l’uomo. La
medicina antropologica di Viktor von Weizsäker, Edizioni Paoline, Milano 1988.

21
umiliata non consente all’uomo di essere come è chiamato ad essere, ed allo

stesso tempo non consente all’uomo di attingere alle sue fondamenta

esistenziali per ergersi dinanzi ad ogni sventura e dolore senza perdere la

dignità e la fiducia di figlio di Dio.

22
CONCLUSIONI

Sant’Agostino dice che solo Dio può guarire il dolore dell’anima, la sofferenza

morale, l’angoscia profonda che provoca nell’uomo l’urlo del cuore che non

può essere udito da alcun uomo e che da 15 secoli continua a urlare con la sua

sorda potenza nell’opera che Munch ha dipinto così realisticamente.

La ricerca di forme di spiritualità alternativa mutuate dalle filosofie orientali -

o da un diffuso panteismo religioso - è segno di quest’urlo dell’anima ferita

che dentro l’uomo cerca di rialzarsi al livello spirituale, al suo livello

ontologico: l’anima è fatta per vivere lo spirito e farsi vivere da esso ma è

ferita, danneggiata da secoli di razionalismo, materialismo, ateismo,

tecnologismo e da ciò che ne è seguito in termini di reazione: sentimentalismo,

spiritualismo, irrazionalismo, psicologismo, devozionismo, frammentarismo.

Senso e significato sono l’unico orizzonte dirigendosi verso il quale l’uomo

può riscoprire e sviluppare la sua umanità.

Se li ha persi vuol dire che sta diventando come le macchine che costruisce,

vegetando come una pianta o peggio vivendo come un animale: ma egli non è

materia, come le cose o le macchine, non ha un’anima vegetativa come le

piante, non ha un’anima solo psichica, come gli animali.

Egli non ha un’anima: egli è uomo perché egli è l’anima spirituale.

Lo spirito che soffia in essa dall’alito stesso del Creatore è ciò che rende

l’essere umano la corona dell’universo, superiore ad ogni altro essere vivente,

animale e vegetale e ciò che lo rende poco meno degli angeli, come si è detto

nell’introduzione citando il salmista.

23
Nella sua infinità spirituale l’uomo trascende se stesso e il mondo che lo

circonda, e allo stesso tempo si radica sempre più saldamente nella sua

interiorità spirituale, non si ritrova perso in un indefinito nirvana o nel vuoto

equilibrio dell’energia cosmica, bensì nelle mani onnipotenti del suo Creatore

e del Creatore del mondo.

Un’antropologia autenticamente umana non può prescindere da Colui che ci

ha creati per sé e nel cui cuore soltanto il nostro cuore inquieto può trovare

riposo33: diversamente, l’uomo, che continua a credere di possedere se stesso e

governare tutto quello che lo riguarda e lo circonda con i suoi propri mezzi,

non fa altro che assecondare l’antica menzogna.

Tutta la storia, drammaticamente vissuta in questo teatro del mondo, ha

mostrato che l’uomo, sulla moralità, la giustizia, l’onesta, la felicità, la colpa,

non ha alcun potere, tanto meno di fronte al male, alla sofferenza e alla morte.

Finché persegue il potere, continua ad afferrare il frutto antico e a rendersi

schiavo di brama di possesso, orgoglio, infedeltà, intemperanza, paura

vergogna e colpa e dunque continua a far soffrire e soffrire.

Qualcuno però è venuto a liberare con il suo Spirito la forza dello spirito

donato all’uomo con la vita: l’uomo nel suo viaggio esistenziale fuori dal

Paradiso, dalle colonne del tempio di Delfi era arrivato finalmente laddove

coloro che avevano visto e udito annunciavano (1Gv 1,3) di un evento unico

ed inaudito, testimoniavano le radici spirituali della sua domanda di verità e

sapienza: annunciavano che nessun conosci te stesso, fuori dall’incontro con il

33
AGOSTINO, Confessioni, San Paolo, Torino 1987, I, 1, pag. 33.

24
Creatore e Salvatore della sua esistenza, raggiungeva profondità tali da

condurlo alle altezze cui adesso poteva innalzarsi.

L’uomo in ricerca, l’uomo che ama la conoscenza ha incontrato Gesù di

Nazareth, gli ha creduto, ha accettato la sua proposta: le ali della ragione

(guidata dall’intelletto) e della fede sono spiegate verso l’alto come sulla

croce, e l’uomo ha imparato a spiccare dalla croce e oltre essa il suo volo

integro verso il vero, in un cielo bello spinto da fine.

Quando è accaduto che l’uomo del cogito cartesiano, ha iniziato a fidarsi

troppo del suo pensiero, della ratio e delle altezze da cui, poggiando su di essa,

poteva ergersi sulla natura e sugli altri uomini ha creduto di poter finanche

giungere a scrutare in Dio, come in uno dei tanti dati offerti alla sua

conoscenza e dunque al suo possesso.

Ha smesso di guardare verso l’alto, il suo sguardo è andato verso il basso su

ciò che andava dominato: è stata la prima negazione dell’anima spirituale a

favore della ragione e il volo ha iniziato a precipitare.

Quando produce e accumula l’uomo è solo un prodotto della sua stessa

tecnica, quando mangia e beve e si applica solo per queste cose è poco più di

un albero, quando aggredisce, scappa e si rintana è soltanto un animale (ma a

differenza dell’animale è interpellato dalla paura, dalla rabbia, della

sofferenza).

Conoscendo tanto, disperde il significato e l’identità in conoscenze sempre più

specialistiche e frammentarie; potendo fare tanto, dissemina il senso negli

stessi prodotti che realizza e si perde nell’accumulo delle possibilità e

potenzialità di sfruttamento che lo sviluppo della tecnica gli consente: invece

25
di aprirsi alla grandezza della natura e dell’altro accanto a sé per essere,

governa, gode, accumula per avere e disporre34.

L’uomo non ha se stesso, non possiede se stesso, l’uomo è e se vive la vita

attraverso l’avere è un uomo che vive sedotto dal primo l’inganno e da allora

separato dalla vera immagine di sé, dalla sua identità profonda.

Non può asciugare le lacrime e trovare una parola di conforto per l’uomo che

soffre perché non lo conosce, non sa come avvicinarlo, non sa trovare le parole

per comunicare con lui, ne ha paura come di uno sconosciuto, prova fastidio e

rabbia per quello sconosciuto che gli ricorda l’umanità perduta, parafrasando

Milton.

Ecco perché una via per ritornare – nel significato di ὑποστρέφειν come usato

da Luca (Lc 2,43) - all’uomo è nella riscoperta di quel sentimento,

propriamente umano, di compassione per la sofferenza dell’altro che è il cum

– pati, ossia soffrire – con, soffrire-insieme, che è la condizione esistenziale

dell’uomo, che condivide con il resto dell’umanità la sua vulnerabilità ed il

suo essere esposto alla malattia e alla morte: in questa metànoia l’uomo può

riappropriarsi del dono, della relazione e della trascendenza che si è mostrato

essere categorie ontologiche della persona autenticamente umana, categorie

ontologiche della sua essenza spirituale.

Quando si ha cura di quest’uomo che giace lacerato, stremato e dimentico di

sé, e del suo essere grandioso; quando ci si impegna per aiutare l’uomo a

ricordare chi è, a riportarlo all’altezza e alla vastità degli spazi che sono in lui,

34
U. GALIMBERTI, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano
1999, 353: «l’uomo non è più in grado di percepire se stesso al di fuori del mondo disposto
dalla tecnica. Come suo ambiente, la tecnica è ciò rispetto a cui l’uomo di oggi giunge ad
una conoscenza di sé».

26
alla santità del suo essere profondo, si entra nello spazio aperto da Gesù con i

verbi θεραπεύω e διακονέω e si agisce da uomini consapevoli della propria

natura spirituale che riconoscono in tale grandezza la dignità del prossimo e la

restituiscono a se stessi e all’altro, sollevando lo stesso spazio terreno del

mondo ad un livello superiore.

Quando l’uomo è consapevole delle radici spirituali della sua esistenza egli

collabora con il Creatore della vita, ama il dono della vita, crede nel progetto

che gli è donato e non smette mai di andare oltre perché spera: si nutre

dell’amore, della fede e della speranza che non distoglie gli occhi dall’Albero

della Vita, con la certezza che Colui che lo custodisce non desidera altro che

l’uomo vi faccia ritorno.

27
28
FONTI

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, Libreria Editrice Vaticana,


Città del Vaticano 1993.
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium
et spes (07 dicembre 1965).
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29
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von Weizsäker, Edizioni Paoline, Milano 1988.

SITOGRAFIA

https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/ (consultato il 5 aprile

2022).

30
INDICE

Introduzione…………………………………………………….……………………..1

CAPITOLO I
Alle origini del dolore
1.1 Dal problema del male…………………………………………………7
1.2 … al mistero del male……………………………………………………….10

CAPITOLO II
La sofferenza dell’uomo, luogo di trascendenza
2.1 L’anima spirituale ………………………………………………………......13
2.2 Lo spirito dell’uomo: dono e possibilità di trascendenza…………………...17
2.3 Accettare e superare il dolore nello spirito………………………………… 20

CONCLUSIONI…………………………………………………………………….23

FONTI……………………………………………………………………………….29

BIBLIOGRAFIA.........................................................................................................29

SITOGRAFIA.............................................................................................................30

INDICE………………………………………………………………………………31

31

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