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Analogie e differenze tra Eschilo- Sofocle- Euripide.

Dal punto di vista storico, si deve ricordare che Eschilo visse nel periodo che va dal 525 al 456 a.C.,
caratterizzato dalle guerre Persiane, espressione della politica espansionistica del Gran Re. A seguito della
vittoria dei Greci, di cui Salamina segnò il definitivo successo 480 a.C, la Grecia afferma il suo potere, la sua
libertà, la sua civiltà.

Dal punto di vista della produzione tragica ricordiamo le tragedie I Persiani, le Supplici, I sette contro Tebe,
Orestea, in cui sono presenti elementi importanti sia dal punto di vista formale che contenutistico:

Eschilo introduce il secondo e poi il terzo attore, il che risponde all’ esigenza di promuovere una opposizione
sia di individui che di idee; aumentano così le parti dialogate rispetto a quelle destinate al Coro. L’azione
diventa un dialogo, il che consente di sviluppare le ragioni di entrambi, ed al tempo stesso evidenzia
l’importanza che assume la parola. Un altro elemento innovativo è l’ introduzione della maschera e delle
macchine con grande effetto sulla scenografia né va dimenticata l’invenzione della trilogia.

Lo stile è complesso, austero e solenne; frequente l’uso della metafora e di epiteti composti, di impronta
omerica, Il tutto strettamente legato ai contenuti . Uno stile lontano dal parlato sia per il lessico che per la
sintassi.

Per quanto riguarda le tematiche, protagonista è la famiglia, il diritto della polis, il rapporto tra potere e
libertà, il rapporto tra l’uomo e la divinità che è in Eschilo garante della giustizia.

I personaggi sono fortemente stilizzati perché non conoscono il dubbio né il tormento interiore; essi si
scontrano con forze invisibili, che ne limitano l’ autonomia, come le Erinni , che puniscono gli assassini di
familiari e quanti violano i valori morali. Altre forze invisibili sono la hubris e l’ ate : l’una è un atteggiamento
tracotante di chi non riconosce i propri limiti che oltrepassa, e l’altra l’accecamento della mente come
dimostra Agamennone, che sacrifica Ifigenia, dietro la parola profetica di Calcante, per poter ritornare in
patria. La hubris la troviamo ne I Persiani dove Serse dall’alto vede la distruzione della sua flotta, dopo aver
tentato di unire le due sponde del mare con un ponte di barche; un atto , questo, che aveva mostrato la
violenza dell’uomo sulla natura e per questo era stato punito dagli dei con la sconfitta militare. Anche gli dei
sono protagonisti nella vita dell’uomo nel senso che , attraverso la punizione che infliggono all’uomo che
sbaglia, per ripristinare l’ordine e la stabilità, danno all’essere umano la opportunità di conoscere per poter
tenersi lontano dall’errore: PATHEI MATHOS

Altro personaggio è Serse, vittima di se stesso, ebbro di potere, privo di moderazione, che porta alla rovina il
proprio esercito, senza averne mai avuto presentimento. Egli perde la sua regalità nel momento in cui
assiste impotente alla strage dei suoi, versa lacrime che lo rendono umano ;lo stesso Eschilo rappresenta
questa tragedia dal punto di vista dei vinti, soffermandosi non sull’ entusiasmo di parte ma sullo stupore
paideutico della volubilità della sorte umana.

Clitemnestra nell’Orestea appare una vittima di Agamennone, che l’ha privata dell’ unica figlia femmina, a
dispetto del suo amore materno; ma al tempo stesso, con il delitto che porta a termine insieme all’amante,
Egisto, cugino di Agamennone, acquista il ruolo anche del carnefice a dimostrazione, da parte di Eschilo di
come sia impenetrabile ed oscuro l’animo umano, dilaniato da sentimenti estremi.

Ci troviamo di fronte ad un’ epoca di cambiamenti in cui si scontrano una etica arcaica ed una della polis
democratica ,in cui l’individuo inizia ad emergere come protagonista della sua esistenza, attraverso la libertà
di scegliere, a cui segue il senso della propria responsabilità. La vita della polis, che si basa sulla
partecipazione e condivisione, richiede moderazione di pensiero, di linguaggio, di sentimenti. Un altro
elemento della civiltà arcaica è il sentimento della vendetta, soprattutto nell’ambito del ghenos familiare,
che nella polis democratica sarà giudicata dai tribunali della città.

Eschilo cerca di conciliare il determinismo teologico con il libero arbitrio dell’uomo. Un esempio del
determinismo lo abbiamo nel principio della ereditarietà della colpa che incombe sul ghenos dei Labdacidi,
sovrani di Tebe: Laio, padre di Edipo, Edipo, padre di Eteocle, Polinice, Ismene, Antigone.

Contesto storico di Sofocle

Sofocle attraversa tutto il periodo dell’ Atene classica, lo splendore culturale ed artistico della Grecia, dal
497 al 406 a.C. Conosce e frequenta Pericle, vive l’ esperienza della guerra del Peloponneso (434-404 a. C )
di cui non fa in tempo a vederne la fine. Introdusse per primo il terzo attore nella tragedia e il coro diventa
meno attivo rispetto a Eschilo .Aumenta il numero dei coreuti da 12 a 15 per accentuare la funzione del
coreuta. Egli introduce la rhesis, una sorta di monologo , in cui l’attore poteva esprimere i propri pensieri ed
approfondisce la psicologia dei personaggi, che contribuisce ad intensificare la loro drammaticità, in un
mondo pieno di contraddizioni insanabili. Sofocle accentua l’ umanità dei personaggi, racchiusi nella loro
solitudine contro cui cercano di combattere ma invano.

Per quanto riguarda l’ Aiace, Sofocle mette in scena l’impotenza dell’uomo di fronte ai cambiamenti del
mondo, fino ad uccidersi. La sua sofferenza nasce dal fatto che le armi di Achille sono state donate ad Ulisse,
che incarna la nuova figura dell’eroe, l’eroe della mente, della methis dove l’intelligenza si sposa alla
furbizia; mentre Aiace è l’eroe della forza fisica, l’emblema dell’ aretè, appannaggio degli eroi arcaici. In
preda allo sdegno, Aiace esce dal campo per compiere una strage di uomini ma la dea Atena gli fa
commettere una strage di buoi, incorrendo nella derisione dei soldati greci. Cosi, vedendo la sua aretè
derisa, decide di suicidarsi e, dopo aver salutato il figlioletto, si getta sulla sua spada, dono di Ettore, davanti
ai flutti del mare, metafora dei sentimenti contrastanti del suo animo, che lo hanno portato a togliersi la
vita. Dopo un dibattito tra chi vorrebbe dargli sepoltura con tutti gli onori e chi darlo invece in pasto ai cani,
viene sepolto da eroe( ed è lo stesso Odisseo, il nemico giurato di Aiace ad essere commosso e a dichiarare
il proprio rispetto verso l’eroe) sia per evitare che diventasse oggetto di aikia( violenza, deturpazione del
corpo ) sia perché la sua psukè non vagasse nell’ Ade. Il saluto è un motivo caro alla letteratura greca:
nell’Iliade Ettore nel suo saluto ad Astianatte gli augura di essere “ più forte del padre”, mentre Aiace augura
ad Eurisace, il figlioletto avuto dalla sua concubina Tecmessa, di essere “ più fortunato” del padre. Dagli
aggettivi si comprende la trasformazione della mentalità greca che, nel periodo arcaico, dava rilievo alla
forza, al coraggio, alla prestanza fisica ( La calocagathia) mentre nel periodo classico, anche per l’influenza
della sofistica, la felicità e la fama dell’eroe non è più qualcosa di scontato perché non è il braccio che ne
garantisce il successo ma una forza oscura e volubile come il destino.

La struttura di questa tragedia è a dittico: la I parte è occupata dalle vicende del protagonista, la II dagli esiti
della vicenda, come il dibattito sulla sepoltura o no. In tal senso ci troviamo di fronte alla “ Civiltà della
vergogna” in cui l’individuo deve essere accettato dalla società in base ai modelli che la società impone e
l’individuo fa suoi; pertanto deve essere come la società detta. L’ individuo deve superare i suoi antenati ed
essere degno dei suoi predecessori.

L’ Antigone di Sofocle mette in scena le problematiche e le difficoltà del periodo storico: l’ Atene del V sec.
dove si era affermata la sofistica, dove gli uomini liberi partecipavano attivamente alla vita democratica
della polis, escludendo donne e schiavi. Sofocle illustra qui il contrato tra Antigone e Creonte che si riferisce
alla disputa tra leggi divine e leggi umane: le prime non sono state scritte, appartengono al ghenos e sono
difese da Antigone. Creonte invece si affida al nomos cioè alle leggi della polis. Antigone ritiene che un
decreto umano non possa impedire di far rispettare una legge divina. Al contrario, il divieto di Creonte è
l’espressione di una volontà tirannica basata

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