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Il mistero del Natale – Edith Stein

Lo scritto che porta il titolo “Il mistero del Natale”è molto breve. Verranno qui citati degli stralci, con l’invito
però ad accostare direttamente il testo completo per gustarne la bellezza e la profondità.

Lo scritto così si apre:

“Quando i giorni si fanno sempre più corti, quando in un normale inverno incominciano a cadere i primi
fiocchi di neve, allora, timidi e lievi, fanno capolino anche i primi pensieri di Natale. La sola parola sa di
incanto, un incanto a cui, si può dire, nessun cuore può sottrarsi. Anche gli uomini di altra fede e quelli che
non ne hanno affatto, per i quali la vecchia storia del Bambino di Betlemme non significa niente, fanno
preparativi per la festa e pensano come poter accendere qua e là un raggio di gioia. Da settimane e mesi
scende su tutta la terra come una calda corrente d’amore. Una festa di amore e di gioia: ecco la stella, alla
quale tutti mirano nei primi mesi dell’inverno”.

Qui Edith parla per esperienza personale. Ella per prima, in seno alla sua famiglia ebrea prima e nei suoi
anni di studio da atea poi, si è trovata a fare esperienza di questa atmosfera un po’ magica che avvolge il
Natale, pur senza comprendere interiormente il vero senso di questa festa: ne parla ripetutamente proprio
nella sua autobiografia, “Storia di una famiglia ebrea”. 

Il tempo di cui Edith parla è peraltro assai doloroso: sta scrivendo la sua tesi, non senza grande fatica
intellettuale, è sola, in piena prima guerra mondiale, con colleghi di studio al fronte, alcuni dei quali già
caduti. Ebbene, in questo contesto di fatica e dolore la sua anima atea non resta insensibile a quel   mistero
che il Natale porta con sé e che raggiunge ogni persona. Questo a testimonianza della potenza
dell’Incarnazione, che permane nonostante tutti i possibili svuotamenti di significato, o le banalizzazioni, o
le distorsioni che nelle varie epoche e società sono accadute e continuano ad accadere. 

Se da un lato questa potenza dell’Incarnazione consola e rassicura, dall’altro non esonera chi invece il
mistero del Natale lo comprende a focalizzarsi in maniera puntuale su di esso, sul suo vero contenuto. 

Scrive Edith: “Ma per il cristiano, e specialmente per il cristiano cattolico, si tratta anche di ben altro”. 

Edith indica con chiarezza in cosa consista questo “ben altro”: è Gesù, Dio fatto carne e ci addita gli
strumenti per prepararsi a vivere il vero Natale; uno di questi è la preghiera, personale e soprattutto
liturgica. Edith ricorda il “Rorate…”, lo “Stillate o cieli dall’alto…”, le antifone in O al magnificat (O Sapienza,
O Adonai, O Radice di Iesse, O chiave di Davide, O Aurora, O Re dei popoli), la ripetuta invocazione
“Vieni…”.

Alla mezzanotte del 24 dicembre l’attesa si compie, “Il Verbo si fa carne”. 

Cosa significa questo compimento? Edith individua tre aspetti.

Il primo è “Il segreto del Figlio di Dio fatto uomo”. Se l’atmosfera natalizia, proprio in quanto tale, mette
istintiva gioia, la concretezza dimostra che “il cielo e la terra non sono ancora divenuti una cosa sola”. La
liturgia ne è così consapevole che, dopo il Natale, celebra subito lo spargimento di sangue: di Stefano
prima, dei bambini innocenti poi. Gli angeli avevano annunciato la pace sulla terra la notte santa, ma per gli
uomini di buona volontà. Il fatto è che non tutti sono tali. Ecco il perché dell’incarnazione: Gesù scende
sulla terra come luce per squarciare le tenebre che la avvolgono. Questo permette a chi comprende di
diventare figli della luce, figli del Padre, sperimentando una autentica pace del cuore, che però non mette al
riparo dallo scontro con chi sceglie di restare nella tenebra. Ancor più, la sua vita rinata diventa pietra di
scandalo: ecco il perché della spada. Scrive Edith: “Questa è un’autentica severa realtà, che non possiamo
permettere venga nascosta dall’incanto poetico del Bambino nel presepe. Il mistero dell’incarnazione e il
mistero del male sono strettamente congiunti. Contro la luce scesa dal cielo spicca, più sinistra e più nera, la
notte del peccato”. Il Bambino Gesù da subito chiede una scelta: o con Lui o contro di Lui, o la luce o le
tenebre.

Il secondo aspetto è “Il corpo mistico del Cristo”. Sappiamo bene che il Natale viene definito dalla liturgia
“meraviglioso scambio”: il Creatore si fa uomo e dona all’uomo la Sua divinità. Ma perché esso si compia è
necessario che il ricevente sia disposto ad accogliere. Dio ci offre il supremo dei doni, ma ci lascia liberi.
Come scrive Edith: “Mettiamo le nostre mani nelle mani del Bambino divino, pronunciamo il nostro ‘Sì’ in
risposta al suo ‘Seguimi’, e allora saremo cosa sua e la sua vita divina potrà traboccare liberamente in noi ”.
Questa non è certamente ancora la visione beatifica di Dio, si è ancora nella oscurità della fede, ma è già
vita eterna in noi, è già Regno di Dio sulla terra. Accogliere la luce ci fa figli di Dio, ma non ciascuno come
fosse una monade a sé stante. Al contrario, il Regno di Dio è caratterizzato dalla fraternità: si è infatti
famiglia di Dio. Per questo, come scrive Edith, “per il cristiano nessun uomo è estraneo”, perché l’amore di
Gesù non conosce limiti, dunque non lo può conoscere nemmeno quello di colui che nel meraviglioso
scambio ha accolto la Sua divinità, compresa la sua misura e la sua modalità di amare. Edith considera poi
quale sia la legge vigente nel Regno di Dio: è la Sua volontà. Se Egli è Amore, la volontà di Dio non può che
essere amore. Quanto liberante è questo! Solleva ogni essere umano che sceglie di accogliere Gesù da tutte
le ansie e da tutti i timori. Come scrive Edith: “Figlio di Dio significa mettersi nelle mani di Dio, fare la
volontà di Dio e non la propria, deporre nella mano di Dio tutte le preoccupazioni e le speranze, non stare
più in pena per il proprio avvenire. Qui è il fondamento della libertà e della gioia dei figli di Dio ”. La
conseguenza è meravigliosa: come scrive Edith, si tratta di “vivere del presente, senza il peso dell’avvenire”.
Il che non significa mancare di previdenza, o essere superficiali, ma piuttosto essere fiduciosi che, fatta
ragionevolmente la parte umana che spetta a noi, ci si abbandona fiduciosi nelle mani di Dio, certi che Egli
permetterà solo ciò che è di maggior bene per noi. Fare la volontà di Dio alcune volte ci è chiaro in cosa
consista, ma in altre il discernimento è assai arduo. Non solo è normale che sia così, ma è anche segno che
si sta camminando verso l’età adulta, spiritualmente parlando. Come scrive Edith: "Nell’infanzia della vita
spirituale, quando si comincia ad affidarsi alla guida di Dio, sentiamo ben sicura e forte la sua mano: ciò che
dobbiamo fare e ciò che dobbiamo tralasciare ci sta davanti chiaro come il sole. Ma non continua così. Chi
appartiene al Cristo, deve vivere l’intera vita del Cristo; deve raggiungere la maturità del Cristo, deve
finalmente incamminarsi sulla via della Croce, verso il Getsemani e il Golgota. E tutte le sofferenze che
provengono dall’esterno non sono nulla in confronto all’oscura notte dell’anima, quando la sua luce divina
non splende più e più non si ode la voce del Signore”.  Gesù ha assunto la natura umana completamente;
della natura umana sono proprie l’esperienza della sofferenza e della morte; assumendolo, Gesù ha dato a
esse valore redentivo. Ecco il senso del patire di chi accoglie Gesù nella sua vita, di chi è diventato Figlio di
Dio: il suo soffrire e il suo morire, poiché membro della famiglia di Dio, del corpo mistico di Cristo, ha valore
redentivo, per sé e per gli altri. Ecco perché è importante non venir meno al “Sì” pronunciato quando si è
nella sofferenza: essa infatti resta, ma se non viene vissuta in Cristo e con Cristo rischia di essere sterile.

Terzo e ultimo aspetto preso in considerazione da Edith riguarda “I mezzi di salvezza”. Se il Natale opera,
come si è già più volte detto, il meraviglioso scambio e ci dona la vita divina, come scrive Edith “Per
compenetrare di vita divina un’intera vita umana, non basta inginocchiarsi una volta l’anno davanti al
presepe e lasciarsi commuovere dal fascino della Notte Santa. Bisogna vivere l’intera vita in quotidiana
comunicazione con Dio, ascoltare le parole che Dio ha pronunciato e che ci sono state tramandate, e seguire
queste parole”. La Parola di Dio, la preghiera, il dono dello Spirito Santo, la Chiesa, sono i mezzi che
abbiamo a nostra disposizione per restare nella volontà di Dio, anche quando attraversiamo la notte
dell’anima. Vi è poi un dono tutto speciale: l’Eucaristia. Al riguardo Edith ha parole commuoventi. Scrive: “ E
in chi la fa diventare suo pane quotidiano, ogni giorno si compie il mistero del Natale, l’incarnazione del
Verbo”. Ecco cos’è il Natale e quando è Natale! Ogni giorno, nell’Eucaristia celebrata e ricevuta! Il che
comporta orientare la propria esistenza non più verso l’esteriorità ma bensì verso l’interiorità, levare del
tempo alle cose banali o inutili per dedicarsi all’incontro e al dialogo quotidiano con il Salvatore. In questo
modo si impara a conoscere sempre di più Lui e noi stessi, la nostra miseria e la nostra piccolezza, la miglior
scuola per diventare poi pazienti e misericordiosi con gli altri. Come scrive Edith: “S’impara a sopportare
anche se stessi nella inesorabile luce della presenza divina e ad affidarsi completamente alla divina
misericordia, che può avere ragione di tutto ciò che si prende gioco della nostra forza”. E’ un passaggio
molto importante questo, perché in genere è molto difficile riconciliarci con il nostro limite e con la nostra
fragilità, ma non vi è altra via autentica che quella della “semplicità del bambino e l’umiltà del pubblicano”,
come scrive Edith. In questo sta il contemporaneo diventare piccoli e diventare grandi. Frutto maturo del
quotidiano Natale eucaristico è la decentrazione da se stessi per far posto, nella propria interiorità, agli
interessi di Gesù. Scrive Edith: “Vivere eucaristicamente significa uscir fuori dalla limitazione della propria
vita e trapiantarsi nell’immensità della vita del Cristo”. Che incredibile mutamento! Dal meschino
all’infinito! E questo grazie a un semplice gesto: l’immersione della propria piccola vita in quella grande di
Gesù, Salvatore e Redentore. 

Natale dunque è ben più di un fascino infantile e di generici buoni sentimenti: è esperienza quotidiana
dell’Incarnazione del Figlio di Dio che si fa uomo, in tutto e per tutto, per donare a noi la Sua vita divina, che
è per noi vita risorta. Da Betlemme, al Golgota, al giardino della Risurrezione.

Credo si possa concludere citando la lettera pastorale (2019-2020) dell’ Arcivescovo, Mario Delpini ove
scrive: “L’Avvento è tempo di grazia non per preparare la commemorazione di un evento del passato, ma
per orientare tutta la vita nella direzione della speranza cristiana, sempre lieti e insieme sempre
insoddisfatti”.

Sì, lieti perché il Verbo si è fatto carne, insoddisfatti perché ancora in terra non è come in cielo. In questo
divario, la nostra vita, sì incondizionato all’invito di Gesù ad accoglierLo e a seguirLo. 

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