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La transizione: l’America dopo Trump

Un anno dopo l’‘assalto’ a Capitol Hill

di Guerino D’Ignazio – 15 Gennaio 2022..

“America is back”, aveva esordito il 46° Presidente degli Stati Uniti, Joe
Biden, nel suo discorso inaugurale dopo il giuramento del 20 gennaio dello scorso
anno.
Aveva aggiunto in quel discorso che “questo è il giorno dell’America, questo
è il giorno della democrazia”, ribadendo subito che la democrazia in America, dopo
il declino degli ultimi quattro anni, sarebbe di nuovo ricominciata a essere la
‘bussola’ della sua Presidenza. Si sarebbe ristabilita una forte unità della società
americana attraverso il ripristino delle regole democratiche che i Padri fondatori
hanno inserito nella Costituzione americana.
Mentre Amanda Gorman, la giovane poetessa afro-americana, recitava “The
Hill We Climb”, il nuovo Presidente ribadiva che la democrazia doveva essere
considerata potenzialmente fragile. L’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio lo aveva
dimostrato, ma andava difesa soprattutto perché aveva garantito l’affermazione
degli ideali di uguaglianza, di libertà e di giustizia presenti, anche se con luci e
ombre, nel corso di tutta la storia americana. 1
Queste le immagini un po’ sbiadite del gennaio 2021, che aveva come spazio
scenico Capitol Hill. Il 6 gennaio dello scorso anno abbiamo assistito
all’insurrezione dei seguaci di Trump, che hanno scritto una delle pagine più buie
della democrazia americana provocando un ‘cumulo di macerie’ istituzionali e
macchiando in modo indelebile la sacralità di quello che veniva considerato il
tempio della democrazia americana. Qualche giorno dopo il fallito assalto al
Congresso, il 20 gennaio l’insediamento del nuovo Presidente, alla presenza di
tutte le più alte cariche istituzionali ad eccezione del Presidente uscente,
riproduceva, invece, uno scenario profondamente diverso nell’ottica di una
rigenerazione della democrazia.
E oggi, a un anno di distanza, quelle immagini sono un lontano ricordo, una
‘brutta’ pagina della storia americana da dimenticare, o ‘presagio’ di un sentimento
che è destinato a trasformarsi in qualcosa di più concreto nella scena politica
futura?
Ci aspettavamo l’uscita di scena di Trump, dopo l’indignazione suscitata non
solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo per l’irruzione e la devastazione del
Congresso per mano di una folla istigata dal loro leader, al momento ancora
Presidente in carica, e rivolta a ribaltare i risultati di un’elezione considerata
‘rubata’. The Big Lie, la grande bugia continua, sorprendentemente, ad attecchire
in gran parte degli elettori repubblicani, che ritengono ancora Trump il vero
vincitore delle elezioni del 2020 e Biden un Presidente delegittimato perché eletto
soltanto grazie agli imbrogli nel conteggio dei voti. Molti sondaggi indicano che,
La transizione: l’America dopo Trump

se si votasse oggi, Trump sarebbe addirittura davanti a Biden, che è in caduta


libera nel gradimento degli elettori.
Il partito Repubblicano si trova in una fase molto problematica e piena di
incognite. Si riteneva che sarebbe prevalsa all’interno del partito la tendenza di
alcuni rappresentanti repubblicani per un ritorno al modello di partito
conservatore, con leadership equilibrate, richiamandosi a Presidenti come Reagan
e Bush, ma, invece, sembra prevalere la linea più estremista e radicale espressa dai
seguaci di Trump. Non si prospetta più la possibile scissione dello stesso partito
Repubblicano, dal momento che i pochi oppositori che avevano votato a favore del
secondo impeachment nei confronti di Trump, come Liz Cheney, figlia dell’ex
vicepresidente di Bush, sono stati marginalizzati all’interno del partito. Non si è
utilizzato l’impeachment come un’opportunità per ‘detrumpizzare’ lo stesso partito
Repubblicano, ma è prevalsa la linea di chi temeva che, senza l’appoggio
dell’elettorato vicino al tycoon, non sarebbe stato rieletto alle prossime elezioni di
midterm del prossimo novembre.
Il partito Democratico, invece, ha dimostrato in questo anno profonde
divisioni tra moderati e sinistra e la riottosità di alcuni senatori ha fatto venire
meno anche la maggioranza molto ridotta al Senato. In un Senato spaccato in due
(50 e 50), in cui prevalgono i Democratici soltanto per il voto della Vice-presidente
Kamala Harris, è stato sufficiente il voto contrario di un Senatore centrista, Joe
Manchin, al ‘Build Back Better’, la manovra che destinava 2.200 miliardi di dollari
all’assistenza sociale, all’istruzione e alla riconversione energetica, per bloccare le
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politiche riguardanti il welfare e l’ambiente, su cui il Presidente aveva puntato
molto. Lo stesso Biden ha sottolineato che quando ci sono 50 Senatori democratici,
ognuno di loro è come se fosse il Presidente, con un enorme potere di veto.
Anche in una situazione così problematica a causa del riacutizzarsi
dell’emergenza sanitaria pandemica, Biden non è riuscito a unire il partito
Democratico per far approvare le riforme che avrebbero non solo permesso di
affrontare in modo meno traumatico la risalita dei contagi da Covid-19, ma anche
a cambiare radicalmente le politiche sociali ridimensionate notevolmente dal
precedente Presidente. In questo primo anno di presidenza la polarizzazione della
società e della politica americana ha continuato a essere una costante e il partito
Democratico si appresta ad affrontare la campagna elettorale per le elezioni di
midterm del prossimo novembre, dove si rinnova completamente la Camera dei
rappresentanti e un terzo del Senato, in condizioni di svantaggio.
Altri Presidenti hanno affrontato la seconda parte del mandato senza avere
la maggioranza in una Camera o nell’intero Congresso, ma in questa situazione
sarebbe realmente problematico per il partito Democratico presentarsi alle elezioni
presidenziali del 2024 senza aver realizzato le riforme annunciate e, soprattutto,
con Trump pronto a ritornare in gioco.
La ricomparsa di Trump alla Casa bianca aprirebbe scenari allarmanti e
imprevedibili per la democrazia in America, ma anche per le democrazie di tutto il
mondo. L’‘anniversario’ di quello che a ragione può essere considerato, negli ultimi
anni, uno dei punti di maggiore inflessione nella storia delle democrazie occidentali
La transizione: l’America dopo Trump

stabilizzate, ci ricorda quanto fragili e delicati siano gli ‘ingranaggi’ della


democrazia e del pluralismo. L’assalto al cuore della stessa democrazia americana
in tempi di populismi e rivolte sociali ci mostra quanto sia necessario presidiare e
monitorare costantemente il funzionamento dei sistemi democratici.

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