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Edictum de Adtemptata Pudicitia
Edictum de Adtemptata Pudicitia
I vari aspetti del delitto di iniuria 1, come è noto, hanno formato oggetto di
l’interpretazione del testo delle XII Tavole2, così come vi sono divergenze di opinioni
intorno ai successivi sviluppi, che videro l’abbandono della pena del taglione3,
1
Il significato più risalente di iniuria indicava ogni atto contra ius, cioè non conforme al diritto, ed
una delle prime testimonianze del termine è contenuta nel formulario, antichissimo, della legis actio
sacramento in rem: Gai. 4.16. Per l’identificazione dell’iniuria con “ciò che è contrario al diritto”
vedi TH. MOMMSEN, Römisches Strafrecht, Leipzig, 1899, trad. fr. in Le droit pénal romain, Paris
1907, seguito da D.V. SIMON, Begriff und tatbestand der iniuria im altromischen recht, in
«Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», LII (1965) 132-187 e M. KASER, Die
Beziehung von lex und ius die XII Tafeln, in Studi in memoria di Guido Donatuti, Milano 1973, 523-
546. Vedi anche: E. POLAY, Iniuria dicitur quod non iure fit, in «Bullettino dell'Istituto di Diritto
romano», LVIII (1985) 73-81.
2
Tab. 8.2-4. Per l’iniuria nelle XII Tavole vedi: V.L. DA NOBREGA, L’”iniuria” dans la loi des XII
Tables, in Romanitas 8 (1967) 250-279; A.WATSON, Personal injuries in the XII Tables, in «Revue
d'histoire du droit», XLIII (1975) 213-221; R.H. HALPIN, The Usage of “iniuria” in the Twelve
Tables, in Irish Jurist 11 (1976) ; J. PLESCIA, The development of “iniuria”, in «LABEO», XXIII
(1977) 279; A. ALBANESE, Una congettura sul significato di “iniuria” in XII tab. 8.4, in «IURA»,
XXXI (1980) 21-36; C. GIOFFREDI, In tema di iniuria, in Nuovi studi di diritto greco e romano,
Roma 1980, 147-172; A. DI FRANCESCO, Autodifesa privata e “iniuria” nelle XII Tavole, in Le XII
Tavole. Dai decemviri agli umanisti, Pavia 2005. In particolare, per il senso di iniuria in Tab 8.4 si
vedano: G. CORNIL, Ancien Droit Romani, Paris 1930, 80-81; B. SCHMIDLIN, Das
rekuperatorenverfahren. Eine studie zum römischen Prozess, Freiburg 1963, 29; U. VON LÜBTOW,
Zum Römischen injurienrecht, in «LABEO», V (1969) 131-167; E. POLAY, Iniuria types in Roman
Law, Budapest 1986, 16-77; secondo questi studiosi l’iniuria comprenderebbe tutte le lesioni
fisiche lievi, non rientranti nelle fattispecie di os fractum e mebrum ruptum. Da ciò essi deducono
un concetto unitario di iniuria derivante dalle XII Tavole, comprensivo delle tre figure. Tuttavia a
tale opinione si contrappone G. PUGLIESE, Studi sull’“iniuria”, Milano 1941, 5, il quale sostiene che
che, dal momento che l’uso del termine iniuria compare solo in Tab. 8.4, le tre figure non davano
luogo a tre diverse forme di iniuria, ma a tre figure indipendenti tra loro.
3
L. FRANCHINI, La desuetudine nelle XII Tavole, Milano 2005, 45-53.
4
La letteratura sul tema è molto ampia: vedi da ultimo B. BISCOTTI, Dal ‘pacere’ ai ‘pacta
conventa’. Aspetti sostanziali e tutela del fenomeno pattizio dall’epoca arcaica all’editto giulianeo,
Milano 2002, 17 ss. (lett. ivi), le cui tesi generalmente non hanno trovato pieno consenso: si veda la
recensione di A. BURDESE, in «Studia et documenta historiae et iuris», LXX (2004) 515 ss.
2
pecuniaria, determinata caso per caso dal giudice5, ed in connessione con ciò
propria inizialmente del caso del membrum rutpum, a tutte le altre fattispecie.
parte del pretore, di un’actio iniuriarum formulare per ogni ipotesi di iniuria, volta ad
ottenere dai recuperatores o dal iudex la fissazione di una condanna “in quantum
bonum et aequum videbitur”6, una condanna commisurata alla lesione prodotta e alle
fece rientrare nel concetto di iniuria le offese morali, arrecate all’onore e al decoro
5
L’evoluzione è descritta da Gellio, Noc. Att. 20.1.37-38: Quod edictum autem praetorum de
aestimandis iniuriis probabilius esse existimas, nolo hoc ignores, hanc quoque ipsam talionem ad
aestimationem iudicis redigi necessario solitam. Nam si reus qui depecisci noluerat iudici talionem
imperanti non parebat, aestimata lite iudex hominem pecuniae damnabat, atque ita, si reo et pactio
gravis at acerba talio visa fuerat, severitas legis ad pecuniae multam redibat.
6
Vedi sul punto D. MANTOVANI, Le formule del processo privato romano, Padova 19992, 76: il
giudizio davanti ad un iudex era quello a cui si arrivava con l’esperimento dell’actio iniuriarum
noxalis, in tutti gli altri casi si aveva, invece, il giudizio davanti ad un collegio di recuperatores. Cfr.
anche P.F. GIRARD, Les jurés de l’action d’injures, in Melanges Gérardin, Paris 1907, 493;
SCHMIDLIN, Das rekuperatorenverfahren. Eine studie zum römischen Prozess cit., 29-44; J. PARICIO,
Estudio sobre las “actiones in aequum conceptae”, Milano 1986.
7
Secondo PUGLIESE, Studi sull’“iniuria” cit., 63-65, l’unificazione dei delitti privati contro la
persona si produsse nel corso dei secoli che precedettero la legalizzazione della procedura
formulare, e fu un’unificazione concettuale, a cui seguì un’unificazione di disciplina. A.D.
MANFREDINI, Contributi allo studio dell’”iniuria” in età Repubblicana, Milano 1977, 65-66, 73-75,
sostiene, invece, che l’unificazione di disciplina, concretizzata con l’estensione della pena variabile
a tutte le ipotesi di lesioni fisiche, sarebbe stata già opera dei pontefici: dal momento che sia l’os
fractum, sia l’iniuria, ponevano una difficoltà di accertamento diagnostico, è probabile che i
3
emanazione della lex Cornelia de iniuriis9 dell’81 a.C., che sottopose a pena pubblica
quali si individuava ingiuria: si creò, così, un’unica categoria nella quale furono
ricomprese tanto le lesioni corporali, quanto le offese morali. In tutti questi casi il
pretore offrì tutela agli offesi, riconoscendo l’operatività dell’actio iniuriarum, cioè
pudicizia delle donne perbene e dei giovani che indossavano la toga praetexta;
l’editto ne quid infamandi causa fiat, che reprimeva qualunque attività, parole o atti,
posta in essere con lo scopo di infamare un’altra persona; l’editto de iniuriis quae
servis fiunt, che reprimeva l’offesa subita da un dominus attraverso l’iniuria inferta al
servus; l’editto de noxali iniuriarum actione, operante nell’ipotesi in cui fosse stato
11
Ulp. D. 47.10.15.26 (57 ad ed.). La maggior parte degli studiosi è d’accordo con O. LENEL,
Edictum Perpetuum, Leipzig, 1927, § 190, riguardo all’esistenza del generale edictum: P. DE
FRANCISCI, “Iudicia bonae fidei”, Editti e ”formulae in factum”, in «Studi senesi» XXIV, Siena
1907, 366; D. DAUBE, “Ne quid infamandi causa fiat”, in Atti Congr. Internaz. Dir. Rom. e Stor. Dir.
III, Verona 1948, 411-450; A. WATSON, The law of obligations in the later roman Republic, Oxford,
1962, 248; M. BRETONE, Ricerche labeoniane.”Iniuria” e “hybris”, in «Rivista di filologia e di
istruzione classica», CIII (1975) 414; M. MIGLIETTA, Elaborazione di Ulpiano e di Paolo intorno al
«certum dicere» nell’«edictum ‘generale’ de iniuriis», Lecce 2002; non lo sono, invece, altri autori
quali: V. ARANGIO-RUIZ, Le formule con “demonstratio” e la loro origine, Cagliari 1912, 30-37;
PUGLIESE, Studi sull’“iniuria” cit.; MANFREDINI, Contributi allo studio dell’”iniuria” in età
Repubblicana cit, Id. Quod edictum autem praetorum de aestimandis iniuriia, in Illecito e pena
privata in età repubblicana, Napoli, 1992, 192.
5
potestate erit, iniuria facta esse dicetur, per i casi di offesa subita dal pater familas
attraverso l’iniuria patita dal filius; l’editto de contrario iniuriarum iudicio12, che
aperti numerosi problemi, e primo fra tutti quello della loro datazione e, quindi, del
Per quest’ultimo la dottrina è orientata ad indicare la fine del III sec. a.C.14,
mentre per la datazione degli altri editti la dottrina concorda sul fatto che l’editto de
convicio sarebbe stato emanato dal pretore attorno alla fine del II sec. a.C., poiché in
12
Vedi LENEL, EP. cit., §§ 191-197
13
Diversi autori hanno affrontato lo studio dello sviluppo storico-dogmatico dell’iniuria, trattando
con particolare attenzione gli editti speciali de iniuriis: M. MARRONE, Considerazioni in tema di
iniuria, in Synteleia Arangio-Ruiz, Napoli 1964, 475-485; T. SPAGNUOLO VIGORITA, Actio
iniuriarum noxalis, in «LABEO», XV (1969) 33-76; P.B.H. BIRKS, The early History of iniuria, in
«Revue d'histoire du droit », XXXVII (1969) 163-208; S. DI PAOLA, La genesi storica del delitto di
iniuria, in Annali Catania, Seminario giuridico I, Catania 1947, 268; P. HUVELIN, La notion de
“l’iniuria” dans le tres ancien droit romain, Roma 1971, 93-107; PLESCIA, The development of
“iniuria” cit. 271-289; A.D. MANFREDINI, La diffamazione verbale nel diritto romano, Milano
1979; J. SANTA CRUZ TEIJEIRO - A. D’ORS, A proposito de los edictos especiales “ de iniuriis”, in
«Anuario de Historia del Derecho Español», XLIX (1979) 653-659; BALZARINI, “De iniuria extra
ordinem statui” cit., 61, 209-217; POLAY, Iniuria types in Roman Law cit., 94-115; M. S. DEL
CASTILLO SANTANA, Estudio sobre la casuistica de las lesiones en la jurisprudencia romana,
Madrid 1994, 52-100; E. RUIZ FERNANDEZ, Sancion de las “iniuriae” en el derecho romano
clasico, in Derecho romano de obligacione. Homenaje al Profesor J.L. Murga Gener, Madrid, 1994
, 819-823; J. SANTA CRUZ TEIJEIRO, La iniuria en derecho romano, in Studi Sanfilippo II, Milano
1982, 523-538; M. GUERRERO LEBRON, La injuria indirecta en derecho romano, Madrid 2005, 101-
116.
14
Collocano l’editto generale alla fine del III sec. a.C.: BIRKS, The early History of iniuria, cit.,
195; R. WITTMANN, Die köperverletzung an frein im klassischen römischen Recht, München 1972,
26; A. WATSON, The development of the Praetor’s edict, in «Journal of Roman Studies», LX (1970),
133. Sostengono, invece, una datazione intorno alla prima metà del II sec. a.C.: F. SCHULZ,
Classical roman law, Oxford, 1951, 567; RUIZ FERNANDEZ, Sancion de las “iniuriae” en el derecho
romano clasico, cit., 819-823.
6
quale fattispecie di iniuria 16, accanto alle pulsationes, e che tutti gli altri sarebbero a
questo successivi17.
Puerta Montoya18, vi è un unico dato certo in proposito: tale editto doveva essere
posteriore alla lex Scatinia, databile approssimativamente attorno al 220 a.C., giacché
il comportamento punito dal pretore era meno grave di quello contemplato dalla lex.
Eva Cantarella19, invece, lo colloca prima del 193 a.C. sulla base di Plaut.
Curc., 35-38, in cui si parla di nuptae, viduae e virgines, in un modo che pare
rimandare alla tripartizione dei soggetti protetti dall’editto de adtemptata pudicitia 20.
2. La pudicitia.
Nell’ambito del delitto di iniuria, così come esso fu ampliato dagli interventi
del pretore cui abbiamo accennato, l’editto de adtemptata pudicitia tutela l’integrità
morale della persona dal punto di vista della sua onorabilità sessuale; protegge, cioè,
15
Rhet. ad Her. 1.15.25. Il problema della datazione della Rhet. Her. è stato riproposto da A.E.
DOUGLAS, Clausulae in the Rhetorica ad Herennium as Evidence of Its Date, in «Classical
Quarterly», LIV (1960) 65 ss., il quale formula una soluzione diversa da quella tradizionale,
indicando gli anni 50 come la data più probabile di composizione dell’opera.
16
Rhet. ad Her. 2.26.41. Cfr. anche Rhet. ad Her. 1.14.24, 2.13.19.
17
HUVELIN, La notion de “l’iniuria” dans le tres ancien droit romain, cit., 32-35, MANFREDINI, La
diffamazione verbale nel diritto romano cit., 76, R. WITTMANN, Die Entwicklungslinien der
klassischen Injurienklage, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», XCI (1974)
312; WATSON, The development of the Praetor’s edict cit., 38.
18
D. DE LA PUERTA MONTOYA, Estudio sobre el “Edictum de adtemptata pudicitia”, Madrid 1992,
52.
19
E. CANTARELLA, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Milano, 1995, 141-154.
20
Plaut, Curc., 35-38: Nemo ire quemquam publica prohibet via; dum ne per fundum saeptum
facias semitam, dum ted abstineas nupta, vidua, virgine, iuventute et pueris liberis, ama quid
lubet.
7
La pudicitia, sin dalla fase più antica della storia di Roma, rappresenta uno dei
valori su cui si fonda il modello perfetto ed ideale di donna, ed emerge per la prima
volta in àmbito religioso21. Le fonti ricordano il culto dedicato alla dea Pudicitia, ed
un celebre racconto liviano descrive l'istituzione, nel 296 a.C., del culto della
Pudicitia plebea, distinto da quello della Pudicitia patrizia22 . Dal racconto risulta che
il culto era pienamente integrato nei riti ufficiali della vita civica romana 23: la
momento in cui, essendo Roma in guerra con le città vicine, è richiesto dal popolo il
di particolare pericolo per la civitas, lascia intendere che tale virtù era così importante
connessi con la sessualità. Ed in effetti la pudicitia non rimase mai relegata alla sfera
rinvia immediatamente al singolare aspetto di questa virtù che doveva essere visibile,
notevole pudicitia, ma, andando al significato originario del verbo specto24, da cui
Un’altra fonte importante è Valerio Massimo, il quale antepone alla serie degli
aneddoti illustrativi della virtù, a cui dedica il VI libro della sua opera 25,
un’invocazione alla dea, sentita come una presenza forte e reale, attraverso il
linguaggio formale della preghiera26. I vocaboli chiave del passo sono praesidium e
sotto il suo presidio l’età puerile e custodisce la pudicitia delle matrone, e non solo,
dato che qui la pudicitia appare un elemento non più limitato al mondo femminile:
non si parla di sole matronae, come nel racconto liviano, ma anche di giovani e di
bambini, e si inizia a parlare delle categorie protette dalla dea usando termini
24
A. ERNOUT – A. MEILLET, s.v. Specto, -as, -avi, -atum, -are, da Specio, -is, -spexi, - spectum, -ĕre,
in Dictionnaire ètymologique de la langue latine, Parigi 1979, 639-641.
25
Dicta e facta memorabilia, Lib. VI, de pudicitia.
26
Val. Max., Dicta e fact. 6.1.1: Unde te virorum pariter ac feminarum praecipuum firmamentum,
Pudicitia, invocem? Tu enim prisca religione consecratos Vestae focos incolis, tu Capitolinae
Iunonis pulvinaribus incubas, tu Palatii columen augustos penates sanctissimumque Iuliae
genialem torum adsidua statione celebras, tuo praesidio puerilis aetatis insignia munita sunt, tui
numinis respectu sincerus iuventae flos permanet, te custode matronalis stola censetur: ades igitur
et < re> cognosce quae fieri ipsa voluisti.
27
Anche in Plauto, Amph. 925-934, la dea Pudicitia è vista in termini di custode della pudicitia
matronale: ALC. Ego istaec feci verba virtute irrita; nunc, quando factis me impudicis abstini, ab
impudicis dictis avorti volo. Valeas, tibi habeas res tuas, reddas meas. Iuben mi ire comites? IVPP.
Sanan es? ALC. Si non iubes, ibo egomet; comitem mihi Pudicitiam duxero. IVPP. Mane. Arbitratu
tuo ius iurandum dabo, me meam pudicam esse uxorem arbitrarier. Id ego si fallo, tum te, summe
Iuppiter, quaeso, Amphitruoni ut semper iratus sies.
9
categorie di persone28.
corruzione dei costumi sessuali del loro tempo, riagganciandosi in qualche modo
Pudicitiae quid opus statuisse puellis, si cuivis nuptae quidlibet esse licet?
tempo: il che serve al poeta quale sfondo della descrizione di Cynthia, la donna
amata, ritratta come una cortigiana dalla vita depravata, immersa nella promiscuità
dell’epoca.
abbandonato da tempo il mondo reale, lasciandolo nella totale immoralità sessuale 29.
ma viene addirittura profanato. Si ripropone qui il consueto legame tra culto religioso
essere sacrilegi nel tempio e contro la statua della dea, rappresentando, con il loro
28
N. LORAUX, Che cos’è una dea?, in Storia delle donne in Occidente cit., 15-55.
29
(vv. 1-8): I nunc et dubita qua sorbeat aera sanna / Tullia, quid dicat: notae collactea Maurae /
Maura, / Pudicitiae veterem cum praeterit aram / noctibus hic ponunt lecticas, micturiunt hic /
effigiemque deae longis siphonibus implent / inque vices equitant ac Luna teste moventur, / inde
domos abeunt: tu calcas luce reversa / coniugis urinam magnos visurus amicos.
10
Per quanto non numerose, le notizie sul culto della dea Pudicitia consentono di
percepirne il rilievo nel corso dei secoli: lo statuto etico delle donne ne è stato
30
E’ necessario tenere distinto il concetto di pudicizia da quello di pudore. In italiano i due termini
hanno significati vicini, tanto che sovente, nel linguaggio comune, vengono sentiti come
intercambiabili. E tuttavia una sfumatura di differenza esiste: nel Lessico Universale Italiano (vol.
XVIII, Roma 1977, 101) la pudicizia viene definita come “La virtù di chi preserva coscientemente i
suoi pensieri e le sue azioni da ogni impurità sessuale, ispirando la sua condotta a modestia e
verecondia”, mentre il pudore consiste nel “Senso di riserbo o d’avversione per quanto riguarda il
sesso, che provoca istintive reazioni di disagio o di difesa”. Questo è indicato come significato
primo del termine, che per estensione assume anche il senso di “Ritegno, vergogna, anche in
relazione a cose che non riguardano il sesso”. Infine viene considerato sinonimo di pudicizia, in
particolare “Con rifermento alle norme di pudicizia esteriore che devono essere osservate in
pubblico: pubblico p.; offesa al p.” La differenza fra i due termini è più accentuata nella lingua
latina, avendo la pudicitia riguardo all’atteggiamento esteriore, il pudor al sentimento interiore, e
tale è la differenza che, come esiste una dea Pudicitia, così esiste un dio Pudor: su tutto ciò vedi G.
RADKE, in «Realencyclopädie der Classischen Altertumswissenschaft», XII (1980), col. 1942-1947,
s.v. Pudicitia, e dello stesso A., ibid., col. 1947-1948, s.v. Pudor.
31
LENEL, EP, cit., § 192.
32
Uguale a Paul. Sent. 5.4.14.
11
sive quis eum eamve adversus bonos mores37 appellasse adsectatusve38 esse dicetur.
questo specifico editto, ma solamente nella sua rubrica39, la cui citazione, nella
diverse azioni, che configuravano tre distinte fattispecie: la prima, secondo l’ordine
33
D. 47.10.15.15 (Ulp. 57 ad ed.).
34
Gai. 3.220; D. 47.10.9.4 (Ulp. 57 ad ed.).
35
D. 47.10.15.16 (Ulp. 57 ad ed.).
36
D. 47.10.15.17- 18 (Ulp. 57 ad ed); Coll. 2.5.4.
37
D. 47.10.15.23 (Ulp. 57 ad ed.).
38
D. 47.10.15.19- 22 (Ulp. 57 ad ed.).
39
LENEL, EP cit., 400, sostiene questo sulla base di D. 47.10.15.23 (Ulp. 57 ad ed.) e D. 47.10.10
(Paul. 55 ad ed.). In senso contrario si veda A. GUARINO, Le matrone e pappagalli, in Inezie di
giureconsulti, Napoli, 1978, 171-172, secondo il quale il fatto che i commentatori usassero, al fine
di abbreviare, la dizione adtemptata puditicia come unificante le varie fattispecie previste
dall’editto, non significa che questa fosse la rubrica edittale. Sul punto si veda, infine, POLAY,
Iniuria types in Roman Law, cit., 113-114, che, pur essendo in accordo con LENEL relativamente
alla rubrica edittale, ritiene che il testo dell’editto fosse generico, e che furono i giuristi ad
individuare le fattispecie illustrate da Ulpiano, fissando modi tipici di offesa alla buona reputazione
delle persone protette dallo stesso editto.
12
luogo l’ipotesi più grave, quella del comitem abducere, che configurava di per sé il
dato che il giurista tratta in primo luogo dell’appellare, poi del comitem abducere e
trattando dell’appellare, affronta il tema dell’abito dei soggetti offesi, tema che, come
veste vestitas, minus peccare videtur, multo minus si meretricia veste feminae, non
Nella prima parte del passo ulpianeo, prezioso per la ricostruzione dell’editto,
si considera l’appellare rivolto alle virgines41 vestite da schiave, sostenendo che chi
che, con l’uso del comparativo minus, Ulpiano non inauguri un nuovo discorso, ma
ne continui uno già iniziato in precedenza, il cui punto di partenza sarebbe stato,
loro condizione.
40
LENEL, Palingenesia iuris civilis II, Liepzig 1889, 766-778. Va osservato che Gaio tratta solo
dell’adsectari (Gai 3.220: vedi infra p. 28, nt. 82; p. 41, nt. 105), e altrettanto avviene nelle
Istituzioni di Giustiniano (I 4.4.1: vedi infra p. 28, nt. 83; p. 41, nt. 106).
41
Si intendono con questo termine le donne giovani. Virgo era una nozione molto ampia, come è
confermato dal fatto che nelle frasi successive Ulpiano usa il termine feminae come sinonimo di
virgines. Cio è confermato anche dalla lettura di ERNOUT - MEILLET, s.v. virgo- inis, in Dictionnaire
ètymologique de la langue latine, cit., 739-740.
13
confronti di una donna vestita da prostituta: in tal caso l’offensore avrebbe posto in
Nella terza parte, infine, il giurista sostiene che l’actio iniuriarum viene
concessa anche contro chi ha fatto oggetto di appellatio una donna non vestita da
igitur) delle ipotesi in cui l’offensore delinque meno. Da una parte, egli pare offrirci
In generale, la maggior parte degli studiosi propende per la non genuinità del
42
F. RABER, Frauentracht und “iniuria“ durch “appellare“, in Studi in onore di Edoardo Volterra,
III, Milano 1971, 633-646.
43
C. VAN BYNKERSHOEK, Observationum iuris romani libri quattor, lib. VI, cap. 25, Lugduni
Batavorum, 1710, 444; J. VOET, Commentarius ad Pandectas, sub. tit. de iniuriis et fam. libellis, §
13, Coloniae Allobrogorum 1778, 827; R. J. POTHIER, Pandectae, III4, Parisiis 1821, 345. In
particolare, il primo studioso propone alternativamente l’inserimento del non tra la parola
iniuriarum e la parola tenetur, come sostenevano gli umanisiti HALOANDER e H. BRENKMANN, o
14
inoltre, su che cosa si fondi, in generale, la legittimazione passiva, per l’appellare, del
presunto offensore.
(ma in parallelo con D. 47.10.15.6 che affronta il tema del convicium46), nel quale si
legge che sarebbe stata necessaria una violazione dei buoni costumi.
l’eliminazione del non precedente alle parole matronali habitu. Sostiene, infine, che Ulpiano avesse
semplicemente posto il discorso in forma interrogativa e che il punto di domanda fosse, poi,
scomparso. Secondo VOET, invece, la ratio della legge suggerisce di leggere iniuriarum vix tenetur,
poiché una donna in abiti da schiava o meretrice non avrebbe potuto vedere attentato il suo onore
con l’appellare. Infine POTHIER, rifacendosi alla ratio contextus, sostiene che la cosa più logica
fosse negare l’actio iniuriarum, e quindi aggiunge un non che appunto la escludesse. Segue tale
linea J.G. FUCHS, Stellung und Aufgabe des Richters im modernen Strafrecht, in «Schweizerische
Zeitschrift für Strafrecht», LXXV (Mélanges A. German) 1959, 33, secondo cui senza l’inclusione
del non l’argomentazione ulpianea sarebbe senza conclusione. A sostegno della ricostruzione di
iniuriarum non tenetur si veda anche G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen,
in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», LXVI (1948) 346-347, secondo il quale
va eliminata dal testo la parte iniziale, da si quis a fuissent, sulla base della irrilevanza giuridica del
verbo peccare, usato esclusivamente in riferimento a comportamenti riprovevoli dal punto di vista
morale. Secondo lo studioso il discorso di Ulpiano sarebbe stato: Si non matronali habitu femina
fuerit, qui eam appellavit vel ei comitem abduxit iniuriarum non tenetur. L’inserimento del non
trova, infine, d’accordo G. L. FALCHI, Diritto penale romano (I singoli reati), Padova 1932, 62-96.
44
Appellare est blanda oratione alterius pudicitiam adtemptare: hoc enim non est convicium, sed
adversus bonos mores adtemptare.
45
Meminisse autem oportebit, non omnem, qui assectatus est, nec omnem, qui appellavit, hoc edicto
conveniri posse; neque enim si quis colludendi, si quis officii honeste faciendi gratia id facit, statim
in edictum incidit, sed qui contra bonos mores hoc facit.
46
Idem ait: “adversus bonos mores” sic accipiendum, non eius, qui fecit, sed generaliter
accipiendum adversus bonos mores huius civitatis.
15
schiava, rientri o non nell’appellare, ritenendo fondamentale capire se l’abito che trae
classi sociali.
un certo periodo in poi le differenze si sarebbero molto attenuate, sì che, per tal
punibile l’offesa nei confronti della schiava, sebbene il suo onore fosse tutelato in
47
Tert., Apolog. 6.3: Video et inter matronas atque prostibulas nullum de habitu discrimen relictum;
De pallio 4.9: Converte et ad feminas. Habes spectare, quod Caecina Severus graviter senatui
impressit, matronas sine stola in publico. Denique, Lentuli auguris consultis, quae ita sese
exauctorasset, pro stupro erat poena; quoniam quidem indices custodesque dignitatis habitus, ut
lenocinii factitandi impedimenta, sedulo quaedam desuefecerant. At nunc in semetipsas
lenocinando, quo planius adeantur, et stolam et supparum et crepidulum et caliendrum, ipsas
quoque iam lecticas et sellas, quis in publico quoque domestice ac secrete habebantur, eieravere.
Sed alius extinguit sua lumina, alius non sua accendit. Aspice lupas, popularium libidinum
nundinas, ipsas quoque frictrices, et si praestat oculos abducere ab eiusmodi propudiis occisae in
publico castitatis, aspice tamen vel sublimis, iam matronas videbis.
16
siano perse alcune linee nelle quali Ulpiano parlava della non conformità al loro
con un ait praetor a cui, probabilmente, seguiva il testo letterale dell’editto con il
erano punite non in quanto lesive della moralità soggettiva dei soggetti offesi, ma in
Quel che rilevava, infatti, era la dignità sociale dei soggetti tutelati dall’editto,
distinguibile dalla matrona, avrebbe “peccato di meno” non perché fosse concessa
maggior licenza con le schiave, ma perché, in tal caso, l’iniuria recata ad una familia,
nella persona di una schiava, aveva un peso minore rispetto all’iniuria fatta a danno
Il Guarino ritiene che in tal caso avrebbe operato un altro editto speciale de
l’actio iniuriarum derivante dall’editto de iniuriis quae servis fiunt50. Tale actio era
concessa, nei casi di iniuria servi non grave, solo previa causae cognitio del pretore:
48
Sottolineano queste conclusioni di RABER: L. DE SARLO, Recensione a F. Raber, Grundlagen
klassischer Injurienanspruche, in «Studia et documenta historiae et iuris», XXXVI (1970) 486-491,
486; M. MARRONE, Recensione a F. Raber, Grundlagen klassischer Injurienanspruche, in «IURA»,
XXII (1971) 154-161, 156.
49
GUARINO, Le matrone e pappagalli, in Inezie di giureconsulti cit., 165- 188.
50
LENEL, EP cit., §194.
17
il minus peccat, di cui si parla nel passo, sarebbe, dunque, un elemento che il
Alla luce di tutto questo anche in difesa di una donna non matronali habitu
pudicitia, risolvendo così la tanto discussa questione sul termine igitur del
frammento.
meretrice; dato che è meretrice colei che eccita impudicamente i passanti e si veste in
modo da attirare clienti per il suo lavoro, chi le rivolge attenzioni e richiami non la
matrone, per quanto audaci e provocanti volessero apparire, andassero vestite come
prostitute: perciò egli sostiene che Ulpiano non potrebbe aver scritto: multo minus si
oltre51.
51
S(enatus) c(onsultum) [...|...] in Palatio, in porticu quae est ad Apollinis. Scr(ibundo) adf(uerunt)
C(aius) Ateius L(ucii) f(ilius) Ani(ensi tribu) Capito, Sex(tus) Pom[eius Sex(ti) f(ilius)? ...|...]
Octavius C(aii) f(ilius) Ste(llatina tribu) Fronto, M(arcus) Asinius Curti f(ilius) Arn(ensi tribu)
Mamilianus, C(aius) Gaius C(aii) f(ilius) Pob(lilia tribu) Macer q(uaestor), Aulus)
Did[ius...q(uaestor)? | Quod M(arcus) Silan]us, L(ucius) Norbanus Balbo con()s(ules) v(erba)
f(ecerunt) commentarium ipsos composuisse sic uti negotium iis [datum de rebus ad libidinem |
18
Tiberio, ci è stato restituito da una tavola di bronzo rinvenuta a Larino 52, ma esso è
senatorio, emanato nel 19 d.C., si proponeva l’obiettivo di reprimere alcune frodi alla
femina]rum pertinentibus aut ad eos qui contra dignitatem ordinis sui in scaenam ludumu[e
prodirent operasve suas loca|rent u(ti) s(ancitur) s(enatus) c(onsultis) quae d(e) e(a) r(e) facta
essent superioribus annis adhibita fraude qua maiestatem senat[us minuerent q(uid) d(e) e(a) r(e)
f(ieri) p(laceret), d(e) e(a) r(e) i(ta) c(ensuere) | pla]cere ne quis senatoris filium filiam nepotem
neptem pronepotem proneptem neve que[m cuius parti aut avo |v]el paterno vel materno aut fratri
neve quam cuius viro aut patri aut avo paterno v[el materno aut fratri ius] | fuisset unquam
spectandi in equestribus locis in scaenam produceret auctoramentove ro[garet ut cum bestiis
depugna] | ret aut ut pinnas gladiatorum raperet aut ut rudem tolleret aliove quod eius rei simile
min[istraret; neve, si quis se] | praeberet, conduceret; neve quis eorum se locaret, idque ea de
causa diligentius caveri dum[ne d(olo) m(alo) perseverent qui] | eludendae auctoritatis eius ordinis
gratia quibus sedendi in equestribus locis ius erat aut p[ublicam ignominiam] | ut acciperent aut ut
famoso iudicio condemnaretur dederant operam et postea quam ei des[civerant sua sponte ex |
equ]estribus, auctoraverant se aut in scaenam prodierant; neve quis eorum de quibus [s(upra)
s(criptum) e(st) si id contra dignitatem ordi|nis su]i faceret libitinam haberet, praeterquam si quis
iam prodesset (sic) in scaenam operave [suas ad harenam locasset si|ve na]tus natave esset ex
histrione aut gladiatore aut lanista aut lenone. | [Utique s(enatus)] c(onsulto) quod M(anio)
Lepido, T(ito) Statilio Tauro co(n)s(ulibus) referentibus factum esset scriptum compen[.....: ne cui
ingenuae quae | minor qua] m an(norum) XX neve cui ingenuo qui minor quam an(norum) XXV
esse auctorare se operaesve suas ad harenam scaenamve spurcos|ve quaestu]s locare permitteretur,
nisi qui eorum a divo Augusto aut ab Ti(berio) Caesare Aug(usto) in ludum scaenam spurcosve |
quaestus co]niectus esset; < qui eorum> is qui ita coniecisset auctorare se operasve suas [locare, si
eum divus Augustus aut Ti(berius) | Caesar Aug(ustus) ad l[arem redducendum esse statuissent, id
servari placere praeterquam [.....]. M. MALAVOLTA, A proposito del nuovo S.C. da Larino, in Sesta
Miscellanea Greca e Romana, Studi pubblicati dall’Istituto Italiano per la Storia Antica 27 (1978),
347-382; V. GIUFFRÉ, Un Senato senatoconsulto ritrovato: il “S.C. de matronarum lenocinio
coercendo”, in Atti dell’accademia di scienze Morali e politiche della Società nazionale di Scienze,
Lettere ed Arti di Napoli 91 (1980) 7-40; B. BIONDO, “Tagliacarte”, in «LABEO», XXVI (1980)
277-278; B. LEVICK, Il senatus consultum di Larinum, in «Journal of Roman Studies», LXXIII
(1983) 97-115; V. GIUFFRÉ, Altre notazioni esegetiche sul senatoconsulto c.d. di Larino, in «Studia
et documenta historiae et iuris», LXI (1995) 795-801. Contro l’ipotesi della rubrica de lenocinio
matronarum coercendo si veda: M.A. LEVI, Un senatoconsulto del 19 d.C., in Studi in onore di
Arnaldo Biscardi I (1982) 69-74. Per una diversa ricostruzione del senatoconsulto della tavola di
Larino vedi: T.A.J. MC GINN, Il senatus consultum di Larinum e la repressione dell’adulterio a
Roma, in «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik», XCIII (1992) 273-295. Vd. anche C. RICCI,
Gladiatori e attori nella Roma giulio-claudia, Milano 2006.
52
N. STELLUTI, Il Senatus Consultum di Larino “La storia infinita”, in V Settimana Beni culturali,
Tutela, Matrice 1989, 14.
53
Tac., Ann. 2.85.1-3.
54
Svet., Tib. 35.2.
55
D. 48.5.11 (10) 2 (Pap. 2 de adult.).
19
reputazione nei cui confronti non si commetteva stupro, in quas stuprum non
relazioni extramatrimoniali senza subire le pene previste dalla legge: bastava, infatti,
normative volte a limitare questa fraus legis e a frenare la rilassatezza dei costumi
l’austerità di un tempo, gli aspetti che in publicis moribus desidia aut mala
consuetudine labarent58 .
56
Per una discussione sulla categoria di persone in quas stuprum non committitur si veda: C. FAYER,
La familia romana. Aspetti giuridici ed antiquari, Roma 1994, 130-135; G. RIZZELLI, Lex Iulia de
adulteriis, Studi sulla disciplina di adulterium, lenocinium, stuprum, in «Bullettino dell'Istituto di
Diritto romano», XXIX (1987), 196-197; 235-237; R. ASTOLFI, Lex Iulia et Papia, Padova 1996,
49-57.
57
E’ il testo di Tacito che riporta questa notizia, la quale concorda con il fatto che gli edili curuli
esercitavano il controllo sui lupanaria.
58
Svet., Tib. 35.2.
59
La genuinità del passo è sostenuta, tra gli studiosi più risalenti, da: A. D. WEBER, Über Injurien
und Schmähschriften I, Schwerin-Wisma 1797, 86 1797) 86 ss.; A. PERNICE, Labeo II, Halle 1895,
31.
20
sarebbe stato responsabile in forza del primo editto: tuttavia se la passante si fosse
rivelata una matrona, costui sarebbe stato tenuto in base al generale edictum. In
era tenuto in base al primo editto, ma se poi la passante si fosse rivelata realmente
una matrona, sarebbe stato considerato responsabile sulla base del generale edictum.
nostro editto.
ritiene che, sebbene l’editto non stabilisse che la matrona dovesse vestire un certo
abito, per Ulpiano il concetto di habitus matronalis fosse inerente alla materfamilias.
In questo modo non solo l’igitur troverebbe una sua ragione logica, ma apparirebbe
necessario, perché l’editto de adtemptata pudicitia non avrebbe avuto luogo in quel
caso.
Anche Jose Santa Cruz e Alvaro D’Ors61 ritengono che, per commettere il
delitto di attentato alla pudicizia tramite appellatio, l’abito fosse elemento obiettivo
60
Die Entwicklungslinien der klassischen Injurienklage, cit., 258-302.
61
SANTA CRUZ TEIJEIRO - D’ORS, A proposito de los edictos especiales “de iniuriis”, cit., 653-659;
SANTA CRUZ TEIJEIRO, La iniuria en derecho romano, cit., 525-538.
21
della onorabilità della persona che lo indossava. Nel caso in cui, invece, la matrona
non indossasse l’abito da donna onesta, veniva garantita una forma minore di tutela in
forza dell’azione concessa per il delitto di iniuria generale, e non di iniuria speciale,
degli altri inconvenienti di questo triste lavoro. Non ponevano in essere, pertanto,
Giustiniano in cui si parla, appunto, delle meretrici e della foedissima earum nequitia
guadagno del suo corpo, palam quaestum facere, non solo nei lupanari o nelle
taverne, ma anche in ogni altro posto in cui pudori suo non parcit.
essa è, in principio, priva di pudicizia. Tuttavia colei che indossi l’abito proprio di
una meretrice non concede, per ciò stesso, piena libertà, a chiunque la veda, di
rivolgerle una appellatio. Infatti, se non è realmente una prostituta, ella è tutelata
62
C. 9.9.20 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Didymo): Foedissimam earum nequitiam, quae
pudorem suum alienis libidinibus prosternunt, non etiam earum, quae per vim stupro comprehensae
sunt, inreprehensam voluntatem leges ulciscuntur, quando etiam inviolatae existimationis esse nec
nuptiis earum aliis interdici merito placuit.
22
riconoscimento di una certa sua dignità, che consente l’esercizio dell’actio iniuriarum
nel caso di attentato alla sua pudicitia, in riferimento a D. 47.10.9.4 (Ulp. 57 ad ed.)63.
si risolva la contraddizione che emerge dal passo ulpianeo, nel quale si contemplano
le ipotesi di una donna non vestita da donna onesta. Costei, non potendo essere
tutelata in forza dell’azione di ingiuria per attentato alla pudicizia, che presuppone
proprio rango, può tuttavia giovarsi dell’azione generale, che comportava, per
l’offensore, una condanna inferiore a quella che sarebbe stata comminata per l’ipotesi
più grave.
all’azione generale di ingiurie per una serie di casi nei quali non era possibile
63
D. 47.10.9.4 (Ulp. 57 ad ed.): Si quis tam feminam quam masculum, sive ingenuos sive libertinos,
impudicos facere adtemptavit, iniuriarum tenebitur. sed et si servi pudicitia adtemptata sit,
iniuriarum locum habet.
DE LA PUERTA MONTOYA, Estudio sobre el “Edictum de adtemptata pudicitia”, cit., 77-111.
64
23
47.10.15.2165, chi usa un linguaggio turpe non offende la pudicitia, ma è tenuto con
adtemptata pudicitia e l’actio iniuriarum generale; ella sostiene che Ulpiano opta per
una interpretazione restrittiva dell’editto, sulla base della quale se i soggetti protetti,
emergono due punti chiave: il primo riguarda l’incidenza dell’abito matronale nella
considerato nella società e nella cultura romana un segno distintivo di una certa
altro67.
Per le donne tutto ciò era ancora più vero: molto forte appariva la
infatti, una serie di usi e costumi che imponevano o vietavano, a seconda del tipo di
65
Qui turpibus verbis utitur, non tentat pudicitia, sed iniuriarum tenetur.
66
Hor., Sat. 1.2.29; 1.2.93-94; 1.2.99; 1.2.101-103; Mart. Epig., 1.35.8; 6.66; 3.93; Ter., Eun.,
2.3.22; Apul., Met., 8.9; Tib., El., 1.6.68, solo per citarne alcune. Di Ovidio, i cui passi dell’Ars
amatoria si vedranno più avanti, si veda anche: Am., 3.1.51; Ep. ex Pont., 3.3.52.
67
Riferiscono dell’identità sociale rappresentata dall’habitus: R. ASTOLFI, Abiti maschili e
femminili, in «LABEO», XVII (1971), 33-39; J. MARQUARDT, Das privatleben der Romer,
Darmstad 1980, 572-606; J. ANDERSON BLACK, M. GARLAND, Storia della moda, Novara 1988, 60-
69; KIEFER, La vita sessuale nell’antica Roma, cit., 150-158; A. ROUSSELLE, La politica dei corpi,
in Storia delle donne in occidente, cit., 341; R. PISTOLESE, La moda nella storia del costume,
Bologna 1991, 61-69.
24
secondo la tripartizione che emerge dal nostro editto: la tunica era il vestito base di
uomini e donne. Quella femminile, tuttavia, era più ampia e più larga: in tempi più
antichi essa non aveva maniche, ma successivamente si affermò l’uso delle maniche
fino al gomito e, in seguito, fino alle mani. In alcune occasioni si indossavano due
tuniche, sovrapposte.
lunghezza rispetto alla tunica, essa arrivava fino a terra formando pieghe, e si
bloccava sul fianco con una cintura. Quando uscivano, sulla stola le matrone
pubblico, cosa abbastanza rara, esse erano totalmente coperte: anche il loro viso,
infatti, era nascosto dalla stessa stola o dal velo che scendeva dal capo.
L’abito della donna rispettabile tendeva, quindi, come anche gli scrittori satirici
68
D. 34.2.23.2. (Ulp. 44 ad Sab.): Vestimenta omnia aut virilia sunt, aut puerilia, aut muliebria, aut
communia, aut familiarica. Virilia sunt, quae ipsius patrisfamiliae causa parata sunt, veluti togae,
tunicae, palliola, vestimenta, stragula, amphitapa, et saga, reliquaque similia. Puerilia sunt, quae
ad nullum alium usum pertinent, nisi puerilem, veluti togae praetextae, aliculae, chlamydes, pallia,
quae filiis nostris comparamus. Muliebria sunt, quae matrisfamiliae causa sunt comparata, quibus
vir non facile uti potest sine vituperatione, veluti stolae, pallia, tunicae, capitia, zonae, mitrae, quae
magis capitis tegendi, quam ornandi causa sunt comparata, plagulae, penulae. Communia sunt,
quibus promiscue utitur mulier cum viro, veluti si eiusmodi penula palliumve est, et reliqua
huiusmodi, quibus sine reprehensione vel vir, vel uxor utatur. Familiarica sunt, quae ad familiam
vestiendam parata sunt, sicuti saga, tunicae, penulae, lintea, vestimenta stragula, et consimilia.
Inoltre si veda Festo, p. 122 L., s.v. materfamiliae, appelabant eas fere, quibus stolas habendi ius
erat.
69
Ov., Am. 3.13.26: et tegit auratos palla superba pedes; Tib. 3.4.35-36, Iam videbatur talis
inludere palla: namque haec in nitido corpore vestis erat.
25
Orazio ironizza sull’ansia di colui che avesse ricercato le donne per bene, il
quale non solo sarebbe incorso nelle leggi di Augusto contro l’adulterio, ma anche nel
possibile inganno sulla “mercanzia” che si nascondeva sotto il manto e le lunghe vesti
di una donna coperta da capo a piedi; al contrario, le cortigiane non lasciavano spazio
matrone erano chiamate stolatae72; per le prostitute, viceversa, almeno in certi casi si
impiegava il termine togatae73. Esse, infatti, indossavano - sopra una corta tunica, di
70
ROUSSELLE, La politica dei corpi, in Storia delle donne in occidente, cit., 340-341. La studiosa
mette in evidenza (ricordando che in età repubblicana gli uomini potessero divorziare dalla moglie
che fosse uscita a capo scoperto, in base a Plaut., Merc., 817 ss. e Val. Max., Dicta e fact., 6.3.10-
12) la funzione di avvertimento adempiuta dal velo o dal mantello che copriva le matrone. Questo,
infatti, le identificava come donne rispettabili alle quali non bisognava avvicinarsi: per tale ragione,
secondo la studiosa, gli uomini avrebbero potuto, prestando attenzione all’abito che proteggeva le
matrone, evitare di esporsi alle pene previste per l’adulterio e alle sanzioni previste dal nostro
editto. Confermano la sostanziale funzione protettiva dell’abbigliamento matronale: E. FANTHAM, F.
P. HOLEY, Women in the Classical World, New York- Oxford, 1994, 122. Vedi ancora sul punto Ov.,
Epist. ex Pont. 3.3.51: Scripsimus heac illis quarum nec vitta pudicos contingit crines nec stola
longa pedes; Mart., Epigr. 1.35.6-9: Quid si me iubeas thalassionem verbis dicere non thalassionis?
Quis Floralia vestiti et stolatum permittit meretricibus pudorem.
71
Hor., Sat. 1.2.80-81, 93, 131; 2.7.46-71. Si veda, inoltre: KIEFER, La vita sessuale nell’antica
Roma, cit., 154; A. LA PENNA, Saggi e studi su Orazio, Firenze 1993, 65; 243.
72
CIL, X, N.5918; Petr., Satyr., 44.23. Sul punto anche: L. CICU, Donne petroniane: personaggi
femminili e tecniche di racconto nel Satyricon di Petronio, Sassari 1992, 163-175; Id., Cynthia
Properti, Sassari 2003, 21-35.
73
In proposito si veda: T.A.J. MCGINN, Prostitution, Sexuality, and the Law in Ancient Rome, New
York- Oxford 1998, 165-171. In generale: Iuv. Sat. 4.121-125: Belua sic pugnas Cilicis laudabat et
26
manto di lino, detto amiculum74, imposto, in séguito, anche alle donne colpevoli di
adulterio.
una determinata categoria di donne: in alcuni passi la matrona è definita instita 75,
dall’ornamento della stola, un volante o una frangia color porpora applicati sul suo
orlo inferiore76.
ictus et pegma et pueros inde ad velaria raptos. Non cedit Veiiento, sed ut fanaticus oestro
percussus, Bellona, tuo divinat et ingens omen habes “inquit” magni clarique triumphi; Hor., Sat.
1.2.62-63: Quid inter est in matrona, ancilla, peccesne togata?; Tib. 4.10.3-4: Sed tibi cuta togae
potior pressumque quasillo, Scortum quam Servi filia Suplicia; Iuv., Sat. 2.69-76: damnetur, si vis,
etiam Carfinia: talem non sumet damnata togam. Sed Iulius ardet, aestuo. Nudus agas: minus et
insania turpis. En habitum quo te leges ac iura ferentem vulneribus crudis populus modo victor et
illud quid non proclames, in corpore iudicis ista si videas? Quaero an deceant multicia testem; Ov.,
Fast. 4.134-135: Rite deam colitis, Latiae matresque nurusque et vos, quis vittae longaque vestis
abest; Sen. Phil., Nat. Quaest. 7.31: Quando ergo ista in notitiam nostram perducentur? Tarde
magna proveniunt, utique si labor cessat. Id quod unum toto agimus animo, nondum perfecimus, ut
pessimi essemus: adhuc in processu vitia sunt; invenit luxuria aliquid novi, in quod insaniat,
invertit impudicitia novam contumeliam sibi, invertit deliciarum dissolutio et tabes aliquid adhuc
tenerius molliusque, quo pereat. Nondum satis robur omne proiecimus: adhuc quicquid est boni
moris extinguimus. Levitate et politura corporum muliebres munditias antecessimus, colores
meretricios matronis quidem non induendos viri sumimus, tenero et molli ingressu suspendimus
gradum (non ambulamus sed incedimus, exornamus anulis digitos, in omni articulo gemma
disponitur, cotidie comminiscimur per quae virilitati fiat iniuria, ut traducatur, quia non potest exui:
alius genitalia excidit, alius in obscenam ludi partem fugit et locatus ad mortem infame armaturae
genus, in quo morbum suum exerceat, legit; Mart., Epigr. 1.96.4-9: Amator ille tristium lacernarum
et baeticatus atque leucophaeatus, qui coccinatos non putata viros esse amethystinasque mulierum
vocat vestes, nativa laudet, habeat et licet semper fuscos colores, galbinos habet mores; Hor., Sat.
1.2.101-103: Cois tibi paene videre est, ut nudam, ne crure malo, ne sit pede turpi; metiri posses
oculos latus; Mart., Epigr. 1.35.8-9: quis Floralia vestit et stolatum permittit meretricibus
pudorem?; Tib. 1.6.67-68: Quicquid agit, sanguis est tamen illa tuos. Sit modo casta, doce, quamvis
non vitta ligatos impediat crines nec stola longa pedes.
74
Isid., Etymol. 19.25.5: Amiculum est meretricum pallium lineum. Hunc apud veteres matronae in
adulterio deprehensae induebantur, ut in tali amiculo potius quam in stola polluerunt pudicitiam.
75
Vedi anche Ov. Trist., 2.248: quaeque tegis medios instita longa pedes!; Hor., Sat., 1.2.28-29: Nil
medium est. Sunt qui nolint tetigisse nisi illas, quarum subsuta talos tegat instita veste.
76
Ov. Ars Am. I, 31-34: Este procul, vittae tenues, insigne pudoris, / quaeque tegis medios instita
longa pedes: / non Venerem tutam concessaque furta canemus / inque meo nullum carmine crimen
27
Ciò che si può dire, allo stato attuale delle fonti, è che l’idea che la prima
manifestazione esterna della pudicitia fosse l’abbigliamento era radicata nel contesto
sociale in cui l’editto operava, tuttavia non si può affermare che l’editto facesse
pudicizia delle donne onorate, appartenenti alle classi sociali elevate, il concetto di
Il fatto che l’editto assuma dal contesto sociale l’identificazione tra abito e
appartenenza ad una classe sociale è confermato dal riferimento agli altri soggetti da
perchè orlata di rosso77. Pare che questo capo di vestiario fosse stato adottato dai
Romani a imitazione di usanze etrusche78. La toga praetexta era usata dai magistrati
curuli, dai senatori, dai sacerdoti e dai giovani e dalle giovani appartenenti alle
famiglie aristocratiche. I giovani dei ceti inferiori indossavano la semplice toga non
orlata di rosso. Nel contesto del nostro editto i praetextati sono, appunto, i giovani
erit. In questi versi si parla espressamente di precisi elementi dell’abbigliamento, definiti dal poeta
simboli della pudicizia: le bende che circondavano la fronte (vittae) e la balza (instita) che scendeva
fino ai piedi, rifinendo la stola.
77
R. HUNZIKER, s.v. Toga, in Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines 5 (1875-1912),
352, A. BERGER, s.v. toga, in Encyclopedic Dictionary of Roman Law, Philadelphia 1953, 738;
MARQUARDT, Das Privatleben der Römer, cit., 124.
78
Liv., 1.8.3; Plin., Nat. hist. 9.39.63; Macr., Saturn. 1.6.
79
Liv., 34.7.2.
28
riassume la formula dicendo “si quis eorum quem appellavisset adsectatusve est”,
lascia intendere che si possa riferirlo anche a persone di sesso maschile, cosa
80
Macr., Saturn. 1.6: Libertinis vero nullo iure uti praetextis licebat ac multo minus peregrinis,
quibus nulla esset cum Romanis necessitudo. Sed postea libertinorum quoque filiis praetexta
concessa est ex causa tali, quam M. Laelius augur refert; qui bello punico secundo duumviros dicit
ex senatus consulto propter multa prodigia libros Sibyllinos adisse et inspectis his nuntiasse in
Capitolio supplicandum lectisterniumque ex collata stipe faciendum, ita ut libertinae quoque, quae
longa veste uterentur, in eam rem pecuniam subministrarent. Acta igitur obsecratio est pueris
ingenuis itemque libertinis, sed et virginibus patrimis matrimisque pronuntiantibus carmen: ex quo
concessum ut libertinorum quoque filii, qui ex iusta dumtaxat matre familias nati fuissent, togam
praetextam et lorum in collo pro bullae decore gestarent; Liv., 22.57.9: Dilectu edicto iuniores ab
annis septedecim et quosdam praetextatos scribunt; Tac., Ann. 12.41: Ti. Claudio quintum Servio
Cornelio Orfito consulibus virilis toga Neroni maturata quo capessendae rei publicae habilis
videretur; Britannicus in praetexta, Nero triumphali veste travecti sunt: spectare populus hunc
decore imperatorio, illum puerili habitu; 13.15: Turbatus his Nero et propinquo die quo quartum
decimum aetatis annum Britannicus explebat. Vedi anche: J. GUILLEN CABANERO, Vida y
costumbres de los romanos I. Vida provada, Salamanca 1988, 275.
81
In tal senso Iuv., 10.306-309: tanta in muneribus fiducia. Nullus ephebum deformem saeva
castravit in arce tyrannus, nec praetextatum rapuit Nero loripedem nec strumosum atque utero
pariter gibboque tumentem; Sen. Phil., Contr. 4.10: hoc exempto nemo erat scholasticis nec aptior
nec similior, sed, dum nihil vult nisi culte, nisi splendide dicere, saepe incidebat in ea, quae derisum
effugere non possent. Memini illum, cum libertinum reum defenderet, cui obiciebatur, quod patroni
concubinus fuisset, dixisse: 'impudicitia in ingenuo crimen est, in servo necessitas, in liberto
officium.' Res in iocos abiit: 'non facis mihi officium' et 'multum ille huic in officiis versatur'. Ex eo
impudici et obsceni aliquamdiu officiosi vocitati sunt. E’, tuttavia, necessario precisare che la
concezione e la visione dei rapporti omosessuali cambia a seconda del periodo storico a cui ci si
riferisce, in particolare, nel periodo repubblicano antecedente alla conquista della Grecia i rapporti
omosessuali erano visti con ostilità ed osteggiati, mentre, solo dopo la conquista della Grecia, anche
i Romani iniziarono a praticare l’omosessualità solamente con gli schiavi e i liberti. In ogni caso,
era deprecabile che un cittadino romano assumesse un ruolo passivo in un rapporto omosessuale,
poiché sarebbe stato in conflitto con l’ideologia del dominio e della virilità caratterizzante la società
romana. Si vedano: M. FOUCAULT, L'uso dei piaceri. Storia della sessualità, vol. 2), Milano 1984;
D. DALLA, “Ubi venus mutatur”. Omosessualità e diritto nel mondo romano, Milano 1987; C.
WILLIAMS: Roman Homosexuality, Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity, Oxford 1999;
T.K. HUBBARD: Homosexuality in Greece and Rome, a Sourcebook of Basic Documents. Los
Angeles, London 2003; CANTARELLA, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Milano
1995.
29
mater familias aut praetextatus aut praetextata; Coll. 2.5.484 si riferisce, invece, a
habitus e soggetto protetto, l’ipotesi più probabile, in relazione al nostro passo85, è che
il problema dell’abito sia stato sollevato da Ulpiano86 sulla base di una casistica che
prendeva forma in una realtà in cui le differenziazioni nel modo di vestire non erano
sempre così nette, in cui la categoria delle matresfamilias risultava piuttosto ampia87 e
82
Gai. 3.220: Iniuria autem committitur non solum, cum quis pugno puta aut fuste percussus vel
etiam verberatus erit, sed etiam si cui convicium factum fuerit, sive quis bona alicuius quasi
debitoris sciens eum nihil sibi debere proscripserit sive quis ad infamiam alicuius libellum aut
carmen scripserit sive quis matrem familias aut praetextatum adsectatus fuerit et denique aliis
pluribus modis.
83
I. 4.4.1: Iniuria autem committitur non solum cum quis pugno puta aut fustibus caesus vel etiam
verberatus erit, sed etiam si cui convicium factum fuerit, sive cuius bona, quasi debitoris, possessa
fuerint ab eo qui intellegebat nihil eum sibi debere, vel si quis ad infamiam alicuius libellum aut
carmen scripserit, composuerit, ediderit, dolove malo fecerit quo quid eorum fieret; sive quis
matremfamilias aut praetextatum praetextatamve adsectatus fuerit, sive cuius pudicitia attentata
esse dicetur: et denique aliis pluribus modis admitti iniuriam manifestum est.
84
Coll. 2.5.4: Fit autem iniuria vel in corpore, dum caedimur, vel verbis, dum convicium patimur,
vel cum dignitas laeditur, ut cum matronae vel praetextatae comites abducuntur. Iniuriarum actio
aut legitima est aut honoraria.
85
D. 47.10.15.15 (Ulp. 57 ad ed.), supra, p. 12: Si quis virgines appellasset, si tamen ancillari veste
vestitas, minus peccare videtur, multo minus si meretricia veste feminae, non matrumfamiliarum
vestitae fuissent; si igitur non matronali habitu femina fuerit, et quis eam appellavit, vel ei comitem
abduxit, iniuriarum tenetur.
86
Dato che non si ha un riferimento esplicito alla formula derivante dal nostro editto e considerando
che all’actio iniuriarum mancava l’intentio, VON LÜBTOW, Zum römischen Injurienrecht, cit., 154-
155, ha ricostruito la prima parte della formula nell’ipotesi del comitem abducere, applicabile anche
alle altre due fattispecie, in questo modo: Titius iudex esto, quod Ns. Ns. Aae. Aae. comitem abduxit,
qua de re agitur, quantum pecunia iudici bonum aequum videbitur ob eam rem Nm. Nm. Ao. Ao.
condemnari, dumtaxat sestertium tot. Questa ricostruzione, pur lasciando qualche perplessità a
causa del richiamo al iudex invece che ai recuperatores, giustificato peraltro dallo studioso sulla
base dell’esitenza di un significato generico di iudex comprensivo anche della figura del collegio
dei recuperatores, pone in evidenza - sia pure in via ipotetica - il fatto che la demonstratio era qui
limitata alla descrizione dei verba edicti, rafforzando l’idea che nel testo edittale non vi fossero i
riferimenti all’abbigliamento, ma che queste riflessioni appertenessero ad Ulpiano.
87
Come si vede in D. 50.16.46.1 (Ulp. 59 ad ed.: Matremfamilias accipere debemus eam, quae non
30
inhoneste vixit; matrem enim familias a ceteris feminis mores discernunt, atque separant; proinde
nihil intererit, nupta sit, an vidua, ingenua sit, an libertina; nam neque nuptiae, neque natales
faciunt matremfamilias, sed boni mores) e in altri testi non giuridici (Naev. Danae Fragm. 6; Sen.
Rhet., Contr. 2.7.3), la categoria comprendeva non solo le donne non sottomesse alla patria
potestas, ma anche le figlie di famiglia unite in matrimonio. Quello che rileva è, in effetti, il
significato consuetudinario del “vivere onestamente” come caratteristica della donna modello. A
proposito dell’ampiezza della nozione di materfamilias si veda. R. FIORI, Materfamilias, in
«Bullettino dell'Istituto di Diritto romano», XCVI-XCVII (1993-1994), 455-498, il quale individua
diverse accezioni del termine: donna in manu, donna sui iuris, donna che vive non inhoneste, ossia
secondo i boni mores, uxor. Questi diversi significati secondo la dottrina più risalente sono
spiegabili nel senso di una evoluzione storica del concetto. W. KUNKEL, s.v. Mater familias, in
«Realencyclopädie der Classischen Altertumswissenschaft», XIV/2 (1930), col. 2183-2184, vede il
passaggio dal primo al secondo significato in età classica, mentre il terzo e il quarto avrebbero
attraversato l’intera storia di Roma, trovandosi tanto nelle commedie di Terenzio quanto negli editti
di Adriano. A. CARCATERRA, Mater familias, in Archivio giuridico “Filippo Serafini” CXXIII
(1940), 3-54, ritiene il concetto di donna sui iuris post classico, mentre fino al IV sec. avrebbe
conservato il senso di uxor in manu. W. WOLODKIEWICZ, Attorno al significato della nozione di
materfamilias, in Studi in onore di C. Sanfilippo III, Milano 1983, 734-756, parla di donna sui iuris
per il periodo classico, quando scompare la conventio in manu e e si afferma l’idea della mater
familias come donna honesta, estesa a tutte le donne. Il significato che il termine ha nel nostro
editto coincide molto probabilmente con il significato più ampio di vivere honeste, esteso a tutte le
donne, indicando più un modo di essere che uno preciso status giuridico. Questo perché, come
sostiene FIORI, donna onesta ha nell’accezione latina un significato ben più pregnante di quello che
diamo nella lingua italiana all’aggettivo onesta: la donna onesta è colei che ha honos e che deve
comportarsi in maniera conforme a quest’honos. L’honos di un soggetto definisce, in senso
assoluto, ciò che la sua maiestas definisce in senso relativo, cioè la sua posizione nella società. Alla
materfamilias spettava una particolare maiestas rispetto alle altre donne, e ad essa corrisponde un
honos che la qualifica e la distingue nella società, ma che richiede da parte della donna un
comportamento conforme alla sua condizione. Ella dovrà essere honesta e, poiché virtù somma
della donna romana è la pudicitia, la sua honestas sarà commisurata al rispetto dei boni mores:
l’honestas è per la donna quello che per l’uomo è la gravitas, ossia il vivere in conformità della
propria maiestas. E tuttavia - anche se la donna incarna l’ideale della mulier romana, così come il
pater del vir - poiché la necessità del vivere secondo pudicitia non è esclusiva della materfamilias,
ma di tutte le matronae, questa caratterizzazione, da un lato, rende meno netti i confini che la
separano dalle altre uxores, dall’altra ne disegna di diversi che separano la donna honesta dalla
inhonesta. In accordo con questa concezione di materfamilias in conformità con il ruolo sociale vi
sono S. DIXON, The Roman Mother, London, New York 1990, 71 e A. CASTRESANA HERRERO,
Catálogo de virtudes femeninas, Madrid 1993, 44. Al contrario, Y. THOMAS, La divisione dei sessi
nel diritto romano, in Storia delle donne in occidente, cit., 142-174, offre una nozione più ristretta
del termine: questo indicherebbe la donna sposata, sottolineando che lo status di materfamilias di
una donna si realizzava solo per il fatto di essere unita ad un pater familias.
31
virgo adeguatamente vestita, l’offensore che avesse attentato alla sua pudicitia
sarebbe incorso nel nostro editto senza alcun dubbio, dato che, in tal caso, la volontà
con un comportamento contrario ai bon mores nei casi in cui ciò era rilevante, era
evidentemente presente, poiché l’offensore già a colpo d’occhio sapeva con chi
Se la nostra matrona non fosse stata vestita in modo adeguato al suo status, ma
si fosse mostrata in pubblico meno coperta rispetto alle solite usanze, con un
sarebbe stato più difficile dimostrare l’esistenza della volontà di offendere una
matrona, poiché l’abito poteva far pensare ad una donna di altro genere o rango.
decoro di una matrona, avrebbe potuto ignorare di aver rivolto le proprie attenzioni a
una donna per bene, e il fatto di non sapere di offendere una matrona, ma una donna
matrona, l’offensore non sapesse chi avesse innanzi, l’intenzione offensiva era
(Ulp. 57 ad ed.):
Si quis tam feminam, quam masculum, sive ingenuos, sive libertinos, impudicos
32
In questo caso, cioè si igitur non matronali habitu femina fuerit, Ulpiano
ritiene che avrebbe avuto luogo l’actio iniuriarum, ossia l’azione generale, che
avrebbe portato ad una pena inferiore, dal momento che si parla di minus e multo
minus peccare.
Questa soluzione apparirebbe coerente con la logica dello sviluppo del delitto
di iniuria e la dialettica tra editto generale ed editti speciali: considerando, infatti, che
il rimedio processuale del generale edictum e degli editti speciali era in ogni caso
condotte che verranno analizzate più avanti) di un soggetto vestito in modo consono
medesimo comportamento, rivolto ad una donna per bene non vestita da matrona, ma
conseguenza, come rileva Ulpiano, un’iniuria meno grave (minus peccare videtur e
multo minus).
88
Confermato questo da D. 47.10.9.4 (Ulp. 57 ad ed.).
33
“semplice”, si sarebbe tenuto conto in sede di aestimatio, alla quale davano luogo sia
l’actio iniuriarum predisposta dal generale edictum, sia quella derivante dall’editto
analizzato.
attivo90.
Nel testo si esclude la responsabilità da iniuria per chi non sappia di compierla
e ignori a chi la stia arrecando: infatti si propone l’esempio di chi per errore percuote
l’offensore non è tenuto in forza dell’actio iniuriarum. Il dato che a noi interessa è
89
Itaque pati quis iniuriam, etiam si non sentiat, potest, facere nemo, nisi qui scit, se iniuriam
facere, etiamsi nesciat, cui faciat. Quare si quis per iocum, aut dum certam, iniuriarum non
tenetrur. Si quis homnine liberum caeci derit, dum putat servum suum, in ea causa est, ne
iniuriarum tenetur.
90
A. WACKE, Accidentes en deporte y juego segun el derecho romano y el vigente derecho aleman,
in «Anuario de Historia del Derecho Español», LIX (1989) 569-570; F. RABER Grundlagen
Klassischer Injurienansprüchen, Wien-Köln-Graz, 1969, 10-22; WITTMANN, Die Koerperverletzung
an freien im Klassischen Roemischen Recht, cit., 231; A. WACKE, Incidenti nello sport e nel gioco in
diritto romano e moderno, in «INDEX», XIX (1991) 378; A. RODGER, Introducing iniuria, in «The
Legal History Review», LIX (1991) 5-8; E. HOEBENREICH, Ueberlegungen verfolgung
unbeabsichtigter toetungen von Sulla bis Hadrian, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für
Rechtsgeschichte», CXX (1990) 274-278.
91
M .TALAMANCA, Estudios en homenaje al Profesor Juan Iglesias con motivo de sus bodas de oro
con la ensenanza, in «Bullettino dell'Istituto di Diritto romano», XCI (1988) 807; MARRONE,
Recensione a F. Raber, Grundlagen klassischer Injurienanspruche, cit., 231; M. MORABITO, Les
esclaves privilegies a’travers le Digeste temoins et acteurs d’une societe’ en crise, in Index 13
(1985) 489-490; PLESCIA, The development of iniuria, cit., 272; RODGER, Introducing iniuria, cit.,
5-8; A. WACKE, Notwehr und Notstand bei der Aquilischen Haftung, in «Zeitschrift der Savigny-
Stiftung für Rechtsgeschichte», CXIX (1989) 483-484.
34
ed.).
Per avere un quadro più generale potremmo immaginare altri casi, procedendo
dalla lettura dei passi ulpianei e della testimonianza tertullianea. Quest’ultima, però,
mentre descrive i modi di vestire delle donne, enfatizza, così come in altri contesti
abbigliasse come una matrona: ci si può chiedere come si sarebbe comportato, in tal
caso, il pretore. E’ probabile che, in questa circostanza, per assenza di una pudicitia
92
A proposito dell’etica sessuale del primo periodo cristiano si veda: P. BROWN, Il corpo e la
società. Uomini, donne e astinenza sessuale nel primo cristianesimo, Torino 1988, 371- 388.
93
Vi sono riferimenti alla pudicitia della schiava, oltre che in Sen. Rhet., Controv. 4.10, anche in
Hor., Sat. 1.2.114-119: Num, tibi cum fauces urit sitis, aurea quadri, pocula? Num esuriens fastidis
35
Questo caso appare più complesso, dal momento che solo in presenza di
determinate condizioni, valutate dal pretore, era concessa tutela per offese arrecate
agli schiavi. L’editto de iniuriis quae servis fiunt si applicava senz’altro per ipotesi di
lesioni fisiche particolarmente gravi, mentre tutti gli altri casi di iniuria erano tutelati
solo a seguito di causae cognitio pretoria: il pretore doveva tener conto sia delle
caratteristiche dello schiavo offeso, sia dell’eventuale circostanza che l’offesa si fosse
attivo, oppure se essa lo coinvolgesse solo in via mediata94. Riteniamo che nel caso di
attentata pudicizia di una schiava il dominus sarebbe stato tutelato attraverso l’editto
de iniuriis quae servis fiunt, previa causae cognitio del pretore, in considerazione
omnia praeter, pavonem rhombumque? Tumen tibi cum inguina, num, si, ancilla aut verna est
praesto puer, impetus in quem, continuo fiat, malis tentigine rumpi? Non ego, namque parabilem
amo venerem facilemque; Mart., Epig. 14.205: Sit nobis aetate puer, non pumice levis, propter quem
placeat nulla puella mihi.
94
Vedi. LENEL, EP. cit., §§ 194; DALLA, “Ubi Venus mutatur”, omosessualità e diritto nel mondo
romano cit., 44-46; F. REDUZZI MEROLA, “Servi ordinarii” e schiavi vicari nei “responsa” di
Servio, in «INDEX», XVII (1989) 185-189, Servus parere. Studi sulla condizione giuridica degli
schiavi vicari e dei sottoposti a schiavi nelle esperienze greca e romana, Napoli 1990; F. BOTTA,
ECL. 17.21: alle origini dell’obbligo giuridico di fedeltà reciproca tra coniugi, in Studi per
Giovanni Nicosia, Vol. II, 2007, 78-85; M. MIGLIETTA, “Actio de iniuriis quae servis fiunt”, in
Handworterbuch der antiken Sklaverei, a cura di H. Heinen, Stuttgart, 2007, vol. 5.
95
Così GUARINO, Le matrone e i pappagalli, cit., 175. Sulla stessa linea anche SANTA CRUZ
TEIJEIRO, La iniuria en Derecho Romano, cit., 535. Diversamente RABER, il quale ritiene che
l’applicabilità dell’editto de adtemptata pudicitia agli schiavi si desumerebbe dal passo di Ulpiano
sopra citato. Lo stesso passo viene ritenuto non genuino da MARRONE, Considerazioni in tema di
iniuria, cit., 480, il quale sostiene che i servi non potessero essere tutelati dall’editto de adtemptata
pudicitia, dato l’uso dei proprietari di prostituire i propri schiavi.
36
frammento che abbiamo avuto già modo di analizzare in riferimento ai soggetti offesi
dal delitto:
veste vestitas, minus peccare videtur, multo minus si meretricia veste feminae, non
matrum familiarum vestitae fuissent; si igitur non matronali habitu femina fuerit, et
carezzevole. Infatti nel prosieguo del passo, D. 47.10.15.20-22 (57 ad ed.), lo stesso
Ulpiano precisa che non si tratta di tentare di sedurre usando parole oscene o un
Appellare est blanda oratione alterius pudicitiam adtemptare: hoc enim non est
convicium facere, se adversus bonos mores adtemptare. Qui turpibus verbis utitur,
non temptat pudicitiam, sed iniuriarum tenetur. (...) appellat enim, qui sermone
comitetur et sequatur, et, ut ait Labeo, sive liberum, sive servum, sive masculum, sive
paedagogi erunt. Abduxisse videtur, ut Labeo ait, non qui abducere comitem coepit,
sed qui perfecit, ut comes cum eo non esset. Abduxisse autem non tantum is videtur,
qui per vim abduxit, verum is quoque, qui persuasit comiti, ut eam desereret.
ricordare come fosse costume degli esponenti dei ceti elevati che donne e giovani non
97
LENEL, EP, cit., § 191.
98
ERNOUT, MEILLET, s.v. Blandus, -a, -um, in Dictionnaire ètymologique de la langue latine, cit.,
71.
99
ERNOUT, MEILLET, s.v. Adtempto, -as, -avi, -atum, -are, composto di Tempto, -as, -avi, -atum, -
are, in Dictionnaire ètymologique de la langue latine, cit., 681. Evidenziando il fine del corrompere
l’altrui pudicitia, E. POLAY, Der Schutz der Ehre und Des Guten Rufes im Roemischen Recht, in
«Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», CXIX (1989), 502-534.
38
l’appunto, vero e proprio scudo protettivo del loro onore100. Pertanto colui il quale
soprattutto, ad una cattiva reputazione, poiché in tal modo sussisteva il pericolo che la
100
S. F. BONNER, Educations in Ancien Rome, London 1977, 46-74; E. CANTARELLA, La vita delle
donne, in Storia di Roma, 4. Caratteri e morfologie, Roma 1989, 557- 608; DIXON, The Roman
Mother, cit., 142; K. R. BRADLEY, Child care at Rome: the role of men, in Historical reflections/
Reflexions historiques 12 (1985), 485-523. Testimonianze importanti sono: Quint., Instit. 1.1.12: A
sermone Graeco puerum incipere malo, quia Latinum, qui pluribus in usu est, vel nobis nolentibus
perbibet, simul quia disciplinis quoque Graecis prius instituendus est, unde et nostrae fluxerunt;
Cic., de amic. 74: Omnino amicitiae corroboratis iam confirmatisque et ingeniis et aetatibus
iudicandae sunt, nec si qui ineunte aetate venandi aut pilae studiosi fuerunt, eos habere necessarios
quos tum eodem studio praeditos dilexerunt. Isto enim modo nutrices et paedagogi iure vetustatis
plurimum benevolentiae postulabunt; qui neglegendi quidem non sunt sed alio quodam modo
aestimandi. Aliter amicitiae stabiles permanere non possunt. Dispares enim mores disparia studia
sequuntur, quorum dissimilitudo dissociat amicitias; nec ob aliam causam ullam boni improbis,
improbi bonis amici esse non possunt, nisi quod tanta est inter eos, quanta maxima potest esse,
morum studiorumque distantia; Svet., Aug. 44.: Spectandi confusissimum ac solutissimum morem
correxit ordinavitque, motus iniuria senatoris, quem Puteolis per celeberrimos ludos consessu
frequenti nemo receperat. Facto igitur decreto patrum ut, quotiens quid spectaculi usquam publice
ederetur, primus subselliorum ordo vacaret senatoribus, Romae legatos liberarum sociarumque
gentium vetuit in orchestra sedere, cum quosdam etiam libertini generis mitti deprendisset. Militem
secrevit a polpulo. Maritis e plebe proprios ordines assignavit, praetextatis cuneum suum, et
proximum paedagogis, sanxitque ne quis pullatorum media cavea sederet. Feminis ne gladiatores
quidem, quos promiscue spectari sollemne olim erat, nisi ex superiore loco spectare concessit. Solis
virginibus Vestalibus locum in theatro separatim et contra praetoris tribunal dedit. Athletarum vero
spectaculo muliebre secus omne adeo summovit, ut pontificalibus ludis pugilum par postulatum
distulerit in insequentis diei matutinum tempus edixeritque mulieres ante horam quintam venire in
theatrum non placere.; Svet., Claud. 2: Claudius natus est Iulo Antonio Fabio Africano conss. Kal.
Aug. Luguduni eo ipso die quo primum ara ibi Augusto dedicata est, appellatusque Tiberius
Claudius Drusus. Mox fratre maiore in Iuliam familiam adoptato Germanici cognomen assumpsit.
Infans autem relictus a patre ac per omne fere pueritiae atque adulescentiae tempus variis et
tenacibus morbis conflictatus est, adeo ut animo simul et corpore hebetato ne progressa quidem
aetate ulli publico privatoque muneri habilis existimaretur. Diu atque etiam post tutelam receptam
alieni arbitrii et sub paedagogo fuit; quem barbarum et olim superiumentarium ex industria sibi
appositum, ut se quibuscumque de causis quam saevissime coerceret, ipse quodam libello
conqueritur. Ob hanc eandem valitudinem et gladiatorio munere, quod simul cum fratre memoriae
patris edebat, palliolatus novo more praesedit; et togae virilis die circa mediam noctem sine
sollemni officio lectica in Capitolium latus est.
39
corpori inferatur, atrox sit, an et si non corpori, ut puta vestimentis scissis, comite
pertinere: in corpus fit, cum quis pulsatur: ad dignitatem, cum comes matronae
commento al nostro editto: quest’ultimo, come è noto, prendeva in esame più ipotesi,
ma il giurista, nel passo in questione, che appartiene ad un’altra parte del suo
commentario, si pone in un’ottica diversa. Egli non analizza qui le diverse ipotesi di
l’allontanare il comes lede la dignitas della matrona (e della sua familia), altre e
L’unico modo per superare l’incongruenza è quello di ritenere che in esso non
lascia intendere la particolare gravità del comitem abducere, tanto da far discutere se
fosse iniuria atrox. Essendo poi l’allontanamento unito in un unico editto speciale
con le altre ipotesi di attentato alla pudicitia, consente di supporre che anche le altre
due, pur non essendo probabilmente considerate atroci, erano tuttavia ipotesi di
iniuria grave.
l’assenza nell’editto del limite dei boni mores, evidentemente perché di per sé tale
comportamento integrava una violazione del buon costume. Il raffronto con testi
però di ipotizzare che non solo le matrone andassero accompagnate dal comes, ma
ipotizzabile, infatti, che anche una prostituta facoltosa potesse uscire con un
‘ricevuta’, nell’ambito dell’editto de iniuriis quae servis fiunt, se, a seguito della
102
Petr., Satyr. 9; 12.
103
Ars Amatoria I. 385.
41
Alla luce di questa eventualità possiamo inoltre ipotizzare che una matrona,
vestita con un abito non consono al suo rango, procedesse comunque per la via
soggettivo è da considerare quanto avrebbe inciso la presenza del comes nel creare
nell’offensore la consapevolezza di avere a che fare con una donna per bene, sebbene
Probabilmente vale, anche in questo caso, il medesimo discorso che è già stato
manifestazione del rango proprio di una matrona, il dolo non poteva essere pieno, ma
limitato, e quindi l’azione consentita sarebbe stata quella per l’iniuria semplice, e, di
tal caso imputare all’offensore il dolo specifico necessario per l’esistenza del delitto
104
LENEL, EP, cit., §194; D. 47.10.15.38-44 (Ulp. 57 ad ed.).
105
Gai. 3.220: Iniuriam autem committitur non solum, cum quis pugno aut puta aut fuste percussus
vel etiam verberatus erit, sed etiam si cui convicium factum fuerit, sive quis bona alicuis quasi
debitoris sciens eum nihil sibi debere proscripserit, sive quis ad infamiam alicuius libellum aut
carmen scripserit, sive quis matrem familias aut praetextatum adsectatus fuerit, et denique aliis
pluribus modis.
106
I. 4.4.1: Iniuria autem committitur non solum, cum quis pugno puta aut fustibus caesus vel etiam
verberatus erit, sed etiam si cui convicium factum fuerit, sive cuius bona quasi debitoris possessa
42
D. 47.10.15.19 (Ulp. 57 ad ed.): Tenetur hoc edicto non tantum qui comitem
accanto ad ogni passo107: in questo caso, quindi, l’inseguimento deve essere non solo
adsectatur, qui tacitus frequenter sequitur: adsiduo108 enim frequentia quasi praebet
nonnullam infamiam.
infamia poichè tale condotta, il seguire nella pubblica via una donna, in silenzio e
E’ da notare che, come nel caso dell’appellare, anche l’adsectari è punito solo
fuerint ab eo, qui intellegebat nihil eum sibi debere, vel si quis ad infamiam alicuius libellum aut
carmen scripseri , composuerit, ediderit, dolove malo fecerit, quo quid eorum fieret, sive quis
matremfamilias aut praetextatum praetextatamve assectatus fuerit, sive cuius pudicitia attentata
esse dicetur; et denique aliis pluribus modis admitti iniuriam, manifestum est.
107
ERNOUT - MEILLET, s.v. Adsequor, - eris, - adsecutus sum, adsequi, composto di Sequor, -eris, -
secutus sum, -sequi, in Dictionnaire ètymologique de la langue latine, cit.,616.
108
Nell’edizione del MOMMSEN-KRUEGER, Digesta Justiniani, II Berlin 1870, 778, è riportato
l’avverbio adsiduo, mentre in nota si propone adsidua. Nel contesto la differenza non sarebbe
rilevante, tuttavia è possibile notare come, a differenza dell’avverbio adsiduo, l’aggettivo adsidua
consentirebbe di cogliere anche una sfumatura spaziale, oltre che temporale.
43
Meminisse autem oportebit, non omnem, qui adsectatus est, nec omnem, qui
appellavit, hoc edicto conveniri posse; neque enim si quis colludendi, si quis officii
honeste faciendi gratia id facit, statim in edictum incidit, sed qui contra bonos mores
hoc facit.
5. I boni mores.
Emerge quindi dalla parte finale di D.47.10.15.23 che non basta, per quanto
e, per quanto riguarda l’adsectari, seguirli con insistenza, ma è necessario che ciò
avvenga contro i buoni costumi: … sed qui contra bonos mores hoc facit.
Sulla base del testo in esame non si comprende se l’espressione si riferisca alla
accipiendum, non eius, qui fecit, sed generaliter accipiendum adversus bonos mores
huius civitatis109.
La natura dei boni mores rilevanti per l’editto de convicio assume quindi
109
Secondo H.R. MEZGER, Stipulation und letztwillige Verügung „contra bonos mores“, in
Klassischen-römischen und nachklassischen Recht, Göttingen 1930, 18-25, la parte da non eius a
generaliter accipiendum sarebbe da espungere dal testo, poiché, rappresentando una ripetizione, la
sua eliminazione renderebbe il testo maggiormente comprensibile. In realtà, come la maggior parte
degli studiosi sostiene al riguardo, il testo risulta perfettamente comprensibile senza ricorrere ad
alcuna ipotesi di interpolazione. Si vedano sul punto: DAUBE, Ne quid infamandi causa fiat. The law
of defamation, cit., 415; MARRONE, Considerazioni in tema di iniuria, cit., 479; HUVELIN, La notion
de “l’iniuria” dans les tres ancien droit romain, cit., 99; RABER, Grundlagen Klassischer
Injurienansprüchen, cit., 26; MANFREDINI, La diffamazione verbale nel diritto romano, cit., 80.
44
contorni più netti: quel che conta non è se l’autore del delitto contravvenga alla
una nozione che assume un valore oggettivo e concreto, rappresentato dai buoni
costumi della civitas, nel loro significato obiettivo di norme sociali comunemente
accettate.
modo vada inteso il riferimento ai boni mores, ma proprio il suo silenzio consente di
ritenere, almeno sulla base delle fonti a noi pervenute, che anche nelle due ipotesi
elencate di adtemptata pudicitia si debbano assumere tali parole nel loro significato
ampiamente sociali, quali i riti religiosi, e il costume morale del singolo. Notevole
istituto, della cura morum affidata ai censori. E’ infatti nell’istituto del regimen
45
mores, inteso come complesso di comportamenti cui il civis è tenuto sul piano morale
repubblicana che vedevano in esso uno dei pilastri della solidità della civitas. E’
valori tradizionali, ricordi nelle sue Res Gestae111 la cura legum et morum offertagli
adegua di più l’espressione turpis con cui talvolta vengono qualificati il negozio o la
sua causa112.
Nella maggior parte dei passi del Digesto in cui si parla di boni mores, il
110
E. DE RUGGIERO, s.v. censor, in Dizionario epigrafico di antichità romane, Roma 1961, 164; E.
BALTRUSCH, Regimen morum: Die Reglementierung des Privatlebens der Senatoren und Ritter in
der römischenRepublik und frühen Kaiserzeit, in Vestigia 41 (1989) München; M. HUMM, Appius
Claudius Caecus: la République accomplie, Rome 2005.
111
Res Gest. I.6: Ma Augusto volle precisare che, rifiutata la cura morum et legum, in quest’ambito
portò a compimento il compito affidatogli sulla base della sua tribunicia potestas.
112
E’ in testi giustinianei che si trova la enunciazione di carattere generale della invalidità di quei
negozi. Da testi classici o anche rimaneggiati risultano numerosi casi particolari: o il negozio
persegue direttamente un fine giuridicamente illecito o immorale. La sanzione è l’invalidità, che
nelle enunciazioni giustinianee sembra apparire decisamente come nullità. Sul piano pratico il
pretore negava l’azione o concedeva contro la pretesa l’exceptio doli. Vedi sul tema PLESCIA, The
development of the Doctrine of Boni Mores in Roman Law, cit., 300-310; R. ZIMMERMAN, The Law
of obligations: Roman foundation of the civilian tradition, Oxford, 1996, 707-712.
46
termine nell’ambito dell’iniuria 114 ha una portata differente: in determinati casi una
etico, e, in particolare, fu grazie alla disciplina del delitto di iniuria che esso entrò nel
linguaggio edittale.
Lo studioso, dopo aver analizzato il contenuto etico dei boni mores nell’ambito
giuridiche deduce che i boni mores erano in stretto rapporto con la pacifica
113
Si vedano in questo senso i passi in tema di deposito, mandato e stipulatio: D. 16.3.1.7 (Ulp. 30
ad ed.), Illud non probabis, dolum non esse praestandum si convenerit: nam haec conventio contra
bonam fidem contraque bonos mores est et ideo nec sequenda est; D. 17.1.7 (Pap. 3 resp.), Salarium
procuratori constitutum si extra ordinem peti coeperit, considerandum erit, laborem dominus
remunerare voluerit atque ideo fidem adhiberi placitis oporteat an eventum litium maioris pecuniae
praemio contra bonos mores procurator redemerit; D. 45.1.61 (Iul. 2 ad Urs. Ferocem.), Stipulatio
hoc modo concepta: " si heredem me non feceris, tantum dare spondes?" inutilis est, quia contra
bonos mores est haec stipulatio; D. 45.1.134 pr. (Paul. 15 resp.), Titia, quae ex alio filium habebat,
in matrimonium coit Gaio Seio habente familiam: et tempore matrimonii consenserunt, ut filia Gaii
Seii filio Titiae desponderetur, et interpositum est instrumentum et adiecta poena, si quis eorum
nuptiis impedimento fuisset: postea Gaius Seius constante matrimonio diem suum obiit et filia eius
noluit nubere: quaero, an Gaii Seii heredes teneantur ex stipulatione. Respondit ex stipulatione,
quae proponeretur, cum non secundum bonos mores interposita sit, agenti exceptionem doli mali
obstaturam, quia inhonestum visum est vinculo poenae matrimonia obstringi sive futura sive iam
contracta. Riguardano, invece, l’usufrutto, lo scioglimento del matrimonio e la cura furiosi, i boni
mores contemplati in: D. 22.1.5 (Pap. 28 quaest.), D. 24.3.14 (Ulp. 34 ad Sab.), D. 27.10.1 pr. (Ulp.
1 ad Sab.). Notevole è la rilevanza in materia di testamento e donazioni: D. 28.7.9 (Paul. 45 ad ed.),
D. 28.7.14 (Marc. 4 inst.), D. 28.7.15 (Pap. 16 quaest.), D. 30.112.3 (Marc. 6 inst.), D. 39.5.29.2
(Pap. 10 resp.). Infine in D. 43.16.1.28 (Ulp. 69 ad ed.) i boni mores vengono in considerazione in
tema di interdetti a tutela del possesso.
114
D. 47.10.15.20 (Ulp. 57 ad ed.), D. 47.10.15.23 (Ulp. 57 ad ed.), D. 47.10.15.34 (Ulp. 57 ad
ed.), D. 47.10.15.38-39 (Ulp. 57 ad ed.), D.47.10.33 (Paul. 10 ad Sab.).
115
D. 47.10.15.23 (Ulp. 57 ad ed.).
116
T. MAYER-MALY, Contra bonos mores, in Iuris professio, Festgabe für Max Kaser zum 80.
Geburtsag, Wien, Köln, Graz, 1986, 151-167.
117
D. 44.4.4.16 (Ulp. 76 ad ed.); D. 28.7.9 (Paul. ad ed).; Paul. Sent. 3.4b.2; C. 2.2.1 (Sev. Alex).
47
determinazione negoziale, sia più recente rispetto all’originario contenuto etico, dato
Diocleziano123, dove i boni mores vengono citati accanto a fonti giuridiche come le
comportamento.
rappresentavano, senza dubbio, un concetto ben definito, non vago: diversamente non
avrebbero potuto essere assunti nel testo edittale124; in particolare secondo l’A. essi
118
Gai. 3.157.
119
D. 28.7.15.
120
Paul. Sent 1.1.4: Neque contra leges neque contra bonos mores pacisci possumus; Cons. 4.7:
Item eodem liber et titulus: Neque contra leges neque contra bonos mores pacisci possumus. De
criminibus propter infamiam nemo cum adversario pacisci potest; Cons. 4.8: Idem liber III titulus
De institu. hered.: Pacta vel condiciones contra leges vel decreta principum vel bonos mores nullius
sunt momenti; Paul. Sent. 3.4b.2: Condiciones contra leges et decreta principum vel bonos mores
adscriptae nullius sunt momenti: veluti si uxorem non duxeris, si filios non susceperis, si
homicidium feceris, si larvali habituprocesseris et his similia.
121
C. 2.3.6 (Imp. Antoninus A. Iuliae Basiliae): Pacta, quae contra leges constitutionesque vel
contra bonos mores fiunt, nullam vim habere indubitati iuris est.
122
Cons. 9.10: Pacta, quae contra bonos mores interponuntur, iuris ratio non tuetur.
123
Cons. 4.9: Neque ex nudo nascitur pacto actio, neque si contra bonos mores verborum
intercessit obligatio, ex his actionem dari convenit et reliqua; Cons. 4.10: Inter cetera et ad locum:
pactum neque contra bonos mores neque contra leges emissum valet ei reliqua.
124
Coll. 2.5.2: Commune omnibus iniuriis est, quod semper adversus bonos mores fit idque non fieri
48
iniuriarum.
capacità di egemonizzare, anche dal punto di vista culturale e dei valori condivisi, le
classi subalterne.
L’egemonia dei ceti dominanti sarebbe stata collegata anche alla circostanza
identificavano con i boni mores, e quindi con l’ideologia della classe dominante
stessa.
farebbe del delitto di iniuria, con le varie fattispecie ad esso collegate, un mezzo di
sua repressione126.
Un aspetto dei mores che pare essere importante per il nostro studio, anche se il
alicuius interest; Paul. Sent. 5.4.13: Fit iniuria contra bonos mores, veluti si quis fimo corrupto
aliquem, coeno, luto oblinierit, aquas spurcaverit, fustulas, lacus, quidue aliud in iniuriam
publicam contaminaverit, in quos graviter animadverti solet.
125
POLAY, Iniuria types in Roman Law, cit., 94-115.
126
A tal proposito, tuttavia, Talamanca invita a non dimenticare che l’essenza del delitto di iniuria e
delle sue varie fattispecie, sta nell’offesa personale, anche quando la sua tutela appare mediata da
altri aspetti, come nel caso dell’iniuria servi in cui viene in rilevanza la dignità del proprietario: M.
TALAMANCA, Recensione a E. Polay, Iniuria Types in Roman Law, in «Bullettino dell'Istituto di
Diritto romano», LXXXIX (1986), 562-568.
49
di questo modello sociale e culturale127, dal modo in cui i boni mores della civitas, a
affiancandola a quella, senza dubbio molto tarda, di Isidoro129, si vede che gli elementi
spiegazione di mos di Varrone130 segue tale direzione, tuttavia egli aggiunge un altro
elemento: affinché il mos si potesse definire tale era necessario non solo che si fosse
consolidato nel tempo, ma anche che fosse condiviso da una comunità di persone, le
riferita allo stesso Ulpiano quando in Tit. ex corp. Ulp. 1.4 si afferma: Mores sunt
I mores sono costituiti dal tacito consenso del popolo, che si è affermato nel
127
M. BETTINI, Le orecchie di Hermes, Torino 2000, 242-292. Lo studio è una raccolta di saggi di
antropologia del mondo antico che si articola in tre sezioni: l’obiettivo è ricostruire i luoghi e i
simboli della comunicazione nel mondo antico. In questo percorso lo studioso analizza il
meccanismo antropologico secondo cui la cultura romana utilizza termini come mos e mores e
grazie al quale si avrebbe la trasformazione dei mores maiorum da modello di comportamento a
funzione pragmatica della comunicazione.
128
Supra, p. 44.
129
Isid., Etymol. 5.3.2: Mos est vetustate probata consuetudo, sive lex non scripta. Nam lex a
legendo vocata, quia scripta est. Mos autem longa consuetudo est de moribus tracta tantundem.
130
Varr., De ling. lat. 9.2: Alia enim consuetudo populi universi, alia singulorum, et de ieis non
eadem oratoris et poetae, quod eorum non idem ius. Itaque populus universus debet in omnibus
verbis uti analogia et, si perperam est consuetus, corrigere se ipsum, cum orator non debeat in
omnibus uti, quod sine offensione non potest facere, cum poeta transilire lineas impune possit.
Populus enim in sua potestate, singuli in illius: itaque ut suam quisque consuetudinem, si mala est,
corrigere debet, sic populus suam. Ego populi consuetudinis non sum ut dominus, at ille meae est.
50
interiore che si afferma come mos vero e proprio solo al momento in cui essa viene
recepita come consuetudo e come tale si afferma. Il mos da solo è una disposizione
in D 47.10.15.6132, di precisare che i boni mores non sono i buoni costumi riferibili
all’agente: perché il mos possa realizzarsi come prassi collettiva, occorre infatti
importante: il mos presenta due dimensioni culturali molto diverse fra loro, quella
ma anche di mutarlo, e ciò spiega perché i mores non sono concepiti come qualcosa
di assoluto.
Pur rappresentando un dato oggettivo della realtà, essi sono per natura fluidi e
131
Varr., Logist., fr. 74, Ed. Bolisani,: Morem esse in iudicio animi, quem sequi debeat consuetudo.
132
D. 47.10.15.6 (Ulp. 57 ad ed.): Idem ait: “adversus bonos mores” sic accipiendum, non eius, qui
fecit, sed generaliter accipiendum adversus bonos mores huius civitatis.
51
est. Probra quaedam natura turpia sunt, quaedam civiliter et quasi more civitatis. Ut
nota censoria, potessero, in presenza dei requisiti previsti, essere puniti anche dal
pretore.
D’altra parte non dobbiamo trascurare un ulteriore legame attestato dalle fonti,
che può risultare interessante per il nostro discorso: quello tra i boni mores e il ius
publicum135, e che nell’ambito dell’iniuria pare rafforzarsi136. In tal senso, dalla lettura
133
O. LENEL, Palingenesia iuris civilis II, cit., col. 777 n.2.
134
R. ASTOLFI, Femina probosa, concubina, mater solitaria, in «Studia et documenta historiae et
iuris», XXXI (1965), 24; A.D. MANFREDINI, Qui commutant cum feminis vestem, in «Revue
internationale des droits de l'Antiquité», XXXII (1985) 266.
135
Come evidenzia P. LEUREGANS, in Testamenti factio non privati sed publici iuris est, in «Revue
d'histoire du droit », LIII (1975) 249, a proposito di D. 30.112.3 (Marc. 6 inst.), in cui si legge:
Quod contra ius est vel bonos mores, a cui l’A. collega D. 2.14.27.4 (Paul. 3 ad ed.); D. 44.4.4.16
(Ulp. 76 ad ed).
136
Un più intenso legame tra mores e diritto appare confermato da Quint., Instit. 12.3.6-7 Namque
omne ius, quod est certum, aut scripto aut moribus constat, dubium aequitatis regula examinandum
est; quae scripta sunt aut posita in more civitatis, nullam habent difficultatem, cognitionis sunt
enim, non inventionis: at quae consultorum responsis explicantur, aut in verborum interpretatione
sunt posita aut in recti pravi que discrimine. Vim cuiusque vocis intellegere aut commune
prudentium est aut proprium oratoris, aequitas optimo cuique notissima.
137
D. 47.10.13.1 (Ulp. 57 ad ed.): Is, qui, iure publico utitur non videtur iniuriae faciendae causa
hoc facere: iuris enim executio non habet iniuriam.
138
D. 47.10.33 (Paul. 10 ad sab.): Quod rei publicae venerandae causa secundum bonos mores fit,
etiamsi ad contumeliam alicuius pertinet, quia tamen non ea mente magistratus facit, ut iniuriam
52
elemento, a contrario, per cui si considerano compiuti adversus bonos mores gli atti
Appare chiaro che anche di questi ulteriori aspetti dei boni mores si debba tener
conto, allora, nel nostro tentativo di superare la difficoltà insita nella valutazione di
di esse hanno dato i diversi Autori che si sono occupati del tema, possiamo dire che
civitas, il cui rispetto garantiva la dignità, la buona reputazione e il decoro dei singoli
cittadini.
caso del delitto di iniuria punito dall’edictum generale, infatti, non è colpito dalle
chi agisce con il preciso intento di offendere il soggetto passivo, lederne il buon nome
e l’onorabilità.
faciat, sed ad vindictam maiestatis publicae respiciat, actione iniuriarum non tenetur.
53
Tutto ciò è confermato dal fatto che per l’ipotesi di allontanamento del comes
non vi è il limite dei boni mores, giacché l’allontanamento dello “chaperon” dalla
matrona, dalla fanciulla o dal ragazzo, integrava, di per sé, un atto illecito, contrario
ai buoni costumi140, per la regola sociale alla quale si è già accennato in sede di analisi
In ogni caso, come già si è osservato, poiché si tratta dei boni mores della
quindi alla necessità di tenere conto della mutevolezza, nel tempo, della sensibilità
sociale.
Va sottolineato, però, che pure nel variare delle convinzioni sociali e dei
almeno dal punto di vista formale, come irrinunciabili. Come ricorda Francesco
Grelle in un contributo sulla correctio morum nella legislazione flavia142, «la rilevanza
politica dei costumi privati, lo stretto nesso intercorrente fra atteggiamenti individuali
139
La contrarietà ai boni mores, intesa quale contraddizione al comune senso del pudore diffuso
nella civitas, è ribadita da M. KASER, Rechtswidrigkeit und Sittenwidrigkeit in klassischen
römischen Recht, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», LX (1940) 131; Id.,
Das Römische Privatrecht, I. Das altrömische, das vorklassische Recht, II, Die nachklassische
Entwicklungen, München 1971 -1975, 195-196.
140
Ulp. D. 47.10.9 pr ( 57 ad ed.): Sed est quaestionis, quod dicimus re iniuriam atrocem fieri,
utrum, si corpori inferatur, atrox sit, an et si non corpori, ut puta vestimentis scissis, comite abduco
vel convicio dicto; Ulp D. 47.10.1.2 (56 ad ed.), Omnemque iniuriam aut corpus inferri aut
dignitatem aut ad infamiam pertinere: in corpus fit, cum quis pulsatur: ad dignitatem, cum comes
matronae abducitur. Ad infamiam, cum pudicitia adtemptatur.
141
Come sottolinea MARRONE, Considerazioni in tema di iniuria, cit., 480; Id., Recensione a F.
Raber, Grundlagen klassischer Injurienanspruche, cit., 155.
142
F. GRELLE, La “correctio morum” nella legislazione flavia, in «Aufstieg und Niedergang der
römischen Welt», Principat II, 340-365.
54
e prosperità comune erano stati d’altra parte motivi ricorrenti già nella fase
repubblicana, sin dall’età delle guerre puniche. Più tardi il moralismo augusteo aveva
sottolineato gli elementi di stabilità e continuità che ad un assetto politico fondato sul
matrimonio, la procreazione».
romani a tale legame più che essere motivato soltanto da preoccupazioni di natura
morale o dall’evoluzione dei costumi nel senso di una eccessiva rilassatezza, era
augustea contro gli adulteri prevedendo ingenti sanzioni patrimoniali a carico dei
patrimoniali). Dobbiamo ritenere pertanto che, seppure da una parte risulta certo che
repressione era subordinata alla violazione dei boni mores - avevano in sé, e nelle
cui non potevano essere identificate a colpo d’occhio e come sicuramente ingiuriose
143
G. RIZZELLI, Le donne nell’esperienza giuridica romana, Il controllo dei comportamenti
sessuali, Lecce 1997, 22-39, 52-55, 60-62.
55
certamente interessante confrontare i comportamenti puniti dal pretore con quelli che
dovevano essere i modi usuali del corteggiamento: è punito l’appellare, che, come
abbiamo detto, non consisteva nel rivolgere complimenti pesanti e volgari, poiché in
questo caso si sarebbe usciti dall’ambito dell’editto speciale, per ricadere nell’iniuria
generale; è punito l’atteggiamento di chi con insistenza silenziosa segue l’oggetto dei
ricorso alla poesia amorosa latina, ed in particolare all’Ars amatoria di Ovidio che,
per la sua specifica attinenza ai temi delle relazioni sessuali, consente di cogliere, per
Come è noto, da Catullo144 in poi la poesia latina celebrò l’amore in tutti i suoi
Con questo poeta, esponente della posia neoterica, all’eros non è più riservato lo spazio
144
marginale che gli accordava la morale tradizionale, ma diventa centro dell’esistenza e valore
56
aspetti. Dopo l’elegia erotica145 del I sec. a.C., Ovidio propose un’autentica
che, per certi aspetti, celebra proprio alcuni comportamenti puniti dal nostro editto.
Ovidio vive in un’epoca in cui l’esaurirsi della lotta politica aveva creato un
solco fra letteratura e realtà: alla cultura ufficiale, della cui organizzazione era ormai
quali si rispecchia la vita mondana della capitale, non apparivano conformi ai principi
primario, il solo in grado di risarcire la fugacità della vita umana. Sulla figura di Catullo vedi da
ultimo P. FEDELI, Donne e amore nella poesia di Catullo, in Atti del convegno su “La donna
romana nel mondo antico”, Torino 1986; V. CIAFFI, Il mondo di Gaio Valerio Catullo e la sua
poesia, Bologna 1987; P. FEDELI, Introduzione a Catullo, Bari 1998; W. MENICHELLI, Catullo: eros
e amore, Milano 1995; A. GHISELLI, Catullo, il Passer di Lesbia e altri scritti catulliani, Bologna
2005.
145
Nella poesia elegiaca, in particolare in Properzio, l’amore è l’esperienza unica e assoluta, ed è
esso stesso un mezzo di corteggiamento, che deve cooperare a sedurre l’amata. Questo modo di
concepire l’esistenza costituisce un consapevole sovvertimento dei valori morali del civis romano:
ai valori positivi su cui si fondava la vita civilmente impegnata, il poeta d’amore sostituisce,
facendone la propria aspirazione, una serie di disvalori: dalla desidia all’ignavia, dall’inerzia
all’infamia, alla nequitia. Su questi temi vedi P. VEYNE, La poesia, l’amore, l’occidente. L’elegia
erotica romana, Bologna 1985, 113-145; S. ALFONSO, Il poeta elegiaco e il viaggio d’amore:
dall’innamoramento alla crisi, Bari 1990; G. CAVALLO, P. FEDELI, A. GIARDINA, Lo spazio letterario
di Roma antica, Roma.-Bari 1991; P. PINOTTI, L’elegia latina storia di una forma poetica, Roma
2002; D. CORVINO, Nuove proposte letterarie latine, Napoli 2004.
146
Si veda a tal proposito: E. MIGLIARIO, Contesti cronologici e riflessioni storiche nelle suasoriae
senecane, in La cultura storica nei primi due secoli dell’Impero romano, a cura di L. Troiani, G.
Zecchini, Roma 2005, 99-110; Id., Cultura politica e scuole di retorica a Roma in età augustea, in
Retorica ed educazione delle élites nell'antica Roma, a cura di F. Gasti F., E. Romano, Como-Pavia
2008.
147
Sul punto vd.: M. TROZZI, Ovidio e i suoi tempi amori fasti e scandali di Roma imperiale,
Catania 1930; R. ABBOT, Ovid- Poet of Immorality and Non-Conformity, in Pegasus 5 (1966), 3-9;
M. LABATE, Poetica ovidiana dell’elegia: la retorica della città, in «Materiali e discussioni per
l'analisi dei testi classici», III (1979), 9-67; A. BARCHIESI, Il poeta e il principe. Ovidio e il discorso
57
ripristinare gli antichi costumi, quelle parti dell’opera ovidiana che illustravano le
tecniche della seduzione amorosa. E’ addirittura probabile che proprio l’Ars amatoria
L’Ars amatoria è un vero e proprio trattato in tre libri, nel quale vengono
appunto esposte le tecniche della conquista amorosa alla maniera delle opere
didascaliche149.
compositive proprie del poema didascalico: si rivolge al popolo romano che ancora
navigazione e la guida dei carri, mestieri dominati dalla ragione e dalla volontà
augusteo, Bari 1994; E.M. ARIEMMA, Gli dei garanti dell’impunità. Ovidio e il giuramento d’amore
in Ars I, 361-646, in Ovidio: da Roma all’Europa, a cura di I. GALLO e P. ESPOSITO, Napoli 1998,
131-158; P. J. DAVIS, Ovid and Augustus: a political reading of Ovid’s erotic poems, London 2008.
148
Nell’ 8 d.C. il poeta venne colpito inaspettatamente da Augusto con la relegatio a Tomi
(l’odierna Costanza), sulle coste del Mar Nero. I motivi restano ignoti: il poeta stesso accenna in
modo volutamente vago ad un carmen e ad un error. Poiché l’Ars amatoria venne ritirata dalle
biblioteche pubbliche, non si sarà lontani dal vero nel ritenere questo il carmen a cui allude Ovidio.
A tal proposito vedi: L. DESIATO, Sulle rive del mar nero, Milano 1992; A. LUISI, N. F. BERRINO,
Culpa silenda: le elegie dell’error ovidiano, Bari 2002; G. M. MASSELLI, Il rancore dell’esule:
Ovidio, l’ibis e i modi di un’invettiva, Bari 2002; I. CICCARELLI, Commento al II libro dei Tristia di
Ovidio, Bari 2003. D’altra parte, va ricordato che la data della legislazione augustea è ancora un
tema molto dibattuto, ed anche per tale ragione non possiamo affermare con certezza che sia stata
l’opera in questione il motivo di scontro tra il poeta e il princeps. In particolare sul tema vd.: V.
ARANGIO-RUIZ, La legislazione, in Augustus. Studi in occasione del Bimillenario, Roma 1938
(=Studi di diritto romano III, 1977) 264; F. DELLA CORTE, Le leges Iuliae e l’elegia romana, in
«Aufstieg und Niedergang der römischen Welt», II, 30.1, (1982), 539-558.
149
Ars Amatoria, I. 1-4: Si quis in hoc artem populo non novit amandi/ hoc legat et lecto carmine
doctus amet/ Arte citae veloque rates remoque moventur/ arte leves currus: arte regendus Amor; I.
265-270: Nunc tibi/ quae placuit/ quas sit capienda per artes/ Dicere praecipuae molior artis opus/
Quisquis ubique, viri, dociles advertite mentes/ Pollicitisque favens, vulgus, adeste meis.
58
apprendere150.
Segue poi una chiara delimitazione dei suoi destinatari: l’Ars non si rivolge alle
l’indulgenza di Augusto. In realtà, come il principe ben capì, l’Ars era un affresco
minuzioso della vita galante di Roma e dei costumi dei ceti abbienti, che, proprio in
L’Ars è descrizione dei luoghi di incontro e degli ambienti del bel mondo
della comunità, come le feste e le cerimonie sacre. Ovidio non basa la sua opera su
una vicenda amorosa, ma su una serie di situazioni esemplari grazie alle quali può
osservazione esterno da parte del poeta produce non più i complici ammiccamenti di
150
B. OTIS, Ovid as an epic poet, Cambridge 1970; A.S. HOLLIS, The Ars Amatoria and Remedia
Amoris, in Ovid, ed. by J.W. BINNS, London 1973, 86-115; G. ROSATI, L’esistenza letteraria. Ovidio
e l’autocoscienza della poesia, in «Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici», II (1979),
101-136; E. ROMANO, Amores 1,8: l’elegia didattica e il genere dell’Ars Amatoria, in Orpheus n.s.
1 (1980), 269-292; R. DIMUNDO, L’arte della seduzione e il doctus amator ovidiano (Ov. Ars 1, 1-
34), in Bollettino di studi latini 30 (2000), 19-36; G. SISSA, Eros tiranno. Sessualità e sensualità nel
mondo antico, Roma- Bari 2003, 173-212.
151
Sebbene la figura dell’etera sia tipica del mondo greco, anche a Roma si fa ad essa riferimento,
sin dalle commedie di Plauto. Si veda sul punto: M. JOHNSON, T. RYAN, Sexuality in Greek and
Roman literature and society, New York- London 2004; J. M. NIETO IBANEZ, Estudios sobre la
mujer en la cultura grieca y latina, XIII Jornadas de filologia clasica, Leon 2005; E. D’AMBRA,
Roman Women, Cambridge 2007.
59
chi si collocava all’interno del genere per scomporlo e definirlo in modo diverso,
Il primo libro si intrattiene sui modi per conquistare la donna: dove incontrarla,
come sceglierla, quale tattica seguire per attirare la sua attenzione e carpirne la
benevolenza, quali stratagemmi usare, infine, per far breccia nel suo cuore. Nel
fiamma d’amore, mentre nel terzo ci si rivolge alle donne, indirizzando loro idonei
dell’altro sesso.
Dal momento che si tratta di un’opera letteraria, non si può certamente sperare
minato, tanto che propone una serie di avvertenze, in primo luogo nella dichiarazione
di intenti nell’esordio dell’opera, in cui si afferma che le donne a cui era riservato
l’ornamento della stola, le matronae, e le ragazze per bene, non dovevano (este
152
Per un’analisi dello sfondo sociale su cui si staglia l’Ars Amatoria di Ovidio vedi.: I. GALLO, L.
NICASTRI, Cultura, poesia e ideologia nell’opera di Ovidio, Napoli 1991, 41-99; 287-293; G. LETO,
Publio Ovidio Nasone, versi e precetti d’amore, Torino 1998.
60
sparse nell’opera che descrivono con precisione la vita galante dei ceti abbienti di
Roma.
attraverso l’abbigliamento.
porre in essere le condotte punite dal nostro editto: infatti in esso si contemplano le
ipotesi di donne e giovani che passeggiano al di fuori delle mura domestiche, in uno
153
Nell’Ars Amatoria (I, 31-34), vedi retro, p. 26, nt. 76.
154
Ars amatoria, vv. 599-600: En iterum testor: nihil hic nisi lege remissum / luditur; in nostris
instita nulla iocis.
155
Ars amatoria, vv. 485-488: Sed quoniam, quamvis vittae careatis honore, / est vobis vestros
fallere cura viros, / ancillae puerique manu perarate tabellas,/ pignora nec iuveni credite vestra
novo.
61
Ars Amatoria, I, 459-468: Disce bonas artes, moneo, Romana iuventus, / non
tantum trepidos ut tueare reos; / quam populus iudexque gravis lectusque senatus, /
tam dabit eloquio victa puella manus. / Sed lateant vires, nec sis in fronte disertus; /
effugiant voces verba molesta tuae. / Quis, nisi mentis inops, tenerae declamat
amicae? / Saepe valens odii littera causa fuit./ Sit tibi credibilis sermo consuetaque
iniziale e dal tono elevato, il maestro158 fa un elogio, in ambito generale, degli studi
156
Ars Amatoria, I, 41-44: Dum licet et loris passim potes ire solutis, elige cui dicas «tu mihi sola
places» / Haec tibi non tenues veniet delapsa per auras / querenda est oculis apta puella tuis. I, 97-
100: Sic ruit ad celebres cultissima femina ludos / copia iudicium saepe morata meum est. /
Spectatum veniunt spectentur ut ipsa / ille locus casti damna pudoris habet.
157
Tr. G. LETO, Publio Ovidio Nasone. Versi e precetti d’amore, cit., 234-237: Nobili arti impara,
romana gioventù, e non soltanto affinché tu difenda trepidanti imputati: come il popolo, il gidice,
benchè severo, e il senato eletto, si arrenderà la donna, vinta alla tua parola. Ma nascondi i tuoi
mezzi, non esibire l’eloquenza, ogni tuo accento da parole eccessive rifugga. Chi, se non uno
sciocco, fa un’arringa alla sua tenera amica? Forte avversione nacque da una lettera spesso. Usa
invece una lingua vera e parole usuali, seducenti, tuttavia, quasi stando presso di lei parlassi.
158
S. MARIOTTI, La carriera poetica di Ovidio, in «Belfagor», XII (1957), 609-635; G. SOMMARIVA,
La parodia di Lucrezio nell’Ars e nei Remedia amoris, in «Atene e Roma: rassegna trimestrale
dell'Associazione Italiana di Cultura classica», XXV (1980), 123-148; M. LABATE; L’arte di farsi
amare. Modelli culturali e progetto didascalico nell’elegia ovidiana, Pisa 1984, 135; P. J. DAVIS,
Praeceptor amoris: Ovid’s Ars Amatoria and the Augustan idea of Rome, in Ramus 24 (1995), 181-
195; E. PIANEZZOLA, Ovidio modelli retorici e forma narrativa, Bologna 1999; V. RIMEL, Ovid's
lovers desire, difference and the poetic imagination, Cambridge 2006.
62
bonae artes, cioè del complesso delle discipline che concorrono a formare l’oratore,
seduzione, è per tale ragione devono essere ben chiare le caratteristiche delle parole
del corteggiamento: queste non devono tradursi in verba molesta, cioè parole
In questa ottica, infatti, ogni volta in cui il poeta ricorre, soprattutto a proposito
dei primi approcci con la donna, al mezzo della parola, si riferisce sempre alle blande
Ars Amatoria, I, 569-578: Hic tibi multa licet sermone latentia tecto / dicere,
quae dici sentiat illa sibi: / blanditiasque leves tenui perscribere vino, / ut dominam
in mensa se legat illa tuam: / atque oculos oculis spectare fatentibus ignem: / saepe
tacens vocem verbaque vultus habet. / Fac primus rapias illius tacta labelli / pocula,
quaque bibet parte puella, bibas: / et quemcumque cibum digitis libaverit illa, / tu
Questo passo riunisce tutti gli elementi della tradizione elegiaca: il linguaggio
criptico delle parole, dei segni, dei gesti e degli sguardi sono tutti strumenti necessari
159
R. DIMUNDO, Ovidio lezioni di amore. Saggio di commento al I Libro dell'Ars amatoria, Bari
2003, 15-23- 27-29.
160
Tr. cit., 242-243: Allora potrai dire cose nascoste in criptico linguaggio che lei avverta come a se
stessa rivolte lievi dolcezze scrivere in poco vino di modo che quella sulla tavola legga di possederti
ormai e guardala negli occhi, con occhi rivelanti passione: un volto silenzioso spesso ha voce e
parole. Cerca poi di afferrare per primo quel bicchiere dove ha bevuto e qualunque pietanza abbia
sfiorato lei con le sue mani tu prendila, e nel prenderla tocca anche la sua mano.
63
Il necessario ricorso alla blanditia, in modo particolare nella prima fase del
debba anche necessariamente essere nutrita di lodi e complimenti per la donna a cui
ci si rivolge:
latus digitis, et pede tange pedem. / Conloquii iam tempus adest; fuge rustice longe /
hinc pudor; audentem Forsque Venusque iuvat. / Non tua sub nostras veniat facundia
leges: / fac tantum cupias, sponte disertus eris. / Est tibi agendus amans, imitandaque
vulnera verbis; / haec tibi quaeratur qualibet arte fides. / Nec credi labor est: sibi
quaeque videtur amanda, / pessima sit, nulli non sua forma placet. / Saepe tamen
vere coepit simulator amare, / saepe, quod incipiens finxerat esse, fuit. / Quo magis,
o, faciles imitantibus este, puellae: / fiet amor verus, qui modo falsus erat. / Blanditiis
animum furtim deprendere nunc sit, / ut pendens liquida ripa subestur aqua. / Nec
delectant etiam castas praeconia formae; / virginibus curae grataque forma sua est162.
161
DIMUNDO, Ovidio lezioni di amore. Saggio di commento al I Libro dell'Ars amatoria, cit., 55; G.
GIANGRANDE, Topoi ellenistici nell’Ars Amatoria, in Cultura poesia ideologia nell’opera di Ovidio
cit., 61-98.
162
Tr. cit., 244-245: Inserisciti, e leggermente accostato a lei, toccale il piede col piede di parlarle è
ora. Fuggi via, rozzo Pudore, Venere e la fortuna aiutano chi osa. Ma non sarà soggetta alle mie
leggi l’eloquenza tua: bramandola soltanto diventerai facondo. Fingiti innamorato, le ferite a parole
simulando: convincila di questo, con qualsiasi arte. Per essere creduti non serve sforzo: di ispirare
amore ognuna crede, e pur se brutta a se stessa piace. Ma accade che il simulatore poi s’innamori
per davvero e ciò che aveva finto di essere, egli sia. Voi, pertanto, ragazze disponibili siate con chi
finge: ciò che or ora è falso diverrà vero amore. Tempo di impadronirsi delle lusinghe di lei,
furtivamente, come una riva incline limpida acqua erode, e non essere pigro nell’ammirare il suo
volto, i capelli le sue dita bel fatte e il suo piccolo piede. Piace altresì alle oneste che la bellezza
64
Gli approcci, preparati durante il banchetto e poi all’uscita, tra la folla dei
convitati, si manifestano in forma più diretta con i primi scambi di battute disinibite e
Ars Amatoria, I, 662-663 Quis sapiens blandis non misceat oscula verbis? /
Ars Amatoria, I, 709-720 Vir prior accedat, vir verba precantia dicat: / excipiet
blandas comiter illa preces. / Ut potiare, roga: tantum cupit illa rogari; / da causam
voti principiumque tui. / Iuppiter ad veteres supplex heroidas ibat: / corrupit magnum
nulla puella Iovem. / Si tamen a precibus tumidos accedere fastus / senseris, incepto
parce referque pedem. / Quod refugit, multae cupiunt: odere quod instat; / lenius
instando taedia tolle tui. / Nec semper veneris spes est profitenda roganti: / intret
normalmente dall’uomo, che non può pretendere avances dalle ragazze, ma in certi
casi quando le reazioni della donna sono di orgoglio e di disdegno, meglio tirarsi
indietro e farsi desiderare. In altri casi, per vincere forti resistenze psicologiche,
attraverso l’amicizia: da ciò noi apprendiamo che il pudore femminile è la norma 166.
Altri versi, tratti dal II libro dell’Ars, confermano la blanda natura della parola
che caratterizza il sermo amoroso, non solo nella fase iniziale del corteggiamento, ma
anche in quella successiva, allo scopo, però, di conservare l’amore della donna
conquistata167.
Le parole utilizzate per l’appellare represso dal nostro editto168 hanno la stessa
blanda natura del sermo ovidiano: in entrambi i casi si tratta, nella sostanza, di parole
oratio punita dal nostro editto l’obiettivo è quello di corrompere la pudicizia, cioè
della corte fatta a matrone o illibate fanciulle, ma a donne di stampo e fama diversa:
166
DIMUNDO, Ovidio lezioni di amore. Saggio di commento al I Libro dell'Ars amatoria, cit., 123-
128; J.F. MILLER, Apostrophe, aside and the didactic adressee. Poetic strategies in Ars Amatoria, in
«Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici», XXXI (1994), 231-242.
167
Ars Amatoria, II, 152: Dulcibus est verbis mollis alendus amor; II, 159-160: Blanditias molles
auremque iuvantia verba / adfer ut adventu laeta sit illa tuo; II, 333-334: Nec tamen officiis odium
quaeratur ab aegra / sit suus in blanda sedulitate modus.
168
D. 47.10.15.15 (Ulp. 57 ad ed.); D. 47.10.15.20-22 (57 ad ed.).
169
Supra, p. 36, nt. 99.
66
se poi il lettore farà un uso diverso dei suoi consigli la responsabilità non sarà del
poeta, per quanto, indubbiamente, Ovidio non appaia esente da ogni malizia.
Questo raffronto fa capire come il limite dei boni mores, oltrepassato il quale
opera l’editto, fosse tenuto ben presente da Ovidio: egli incoraggia comportamenti
che nella sostanza non si discostano da quelli puniti dall’editto, ma essendo privi
della volontà di offendere la pudicitia, devono rimanere entro il confine segnato dai
boni mores.
amorosa predisposta da Ovidio nell’Ars, per superare gli ostacoli che l’uomo avrebbe
dell’ancella171.
nella scelta del momento adatto, nel suggerire alla padrona il nome del pretendente 172.
una raccolta di poesie il cui nucleo centrale è rappresentato dal racconto dell’amore
170
Supra, pp. 36-41.
171
Ars Amatoria, I, 351-366 Sed prius ancillam captandae nosse puellae / cura sit: accessus molliet
illa tuos. / Proxima consiliis dominae sit ut illa, videto / neve parum tacitis conscia fida iocis. /
Hanc tu pollicitis, hanc tu corrumpe rogando: / quod petis, ex facili, si volet illa, feres. / Illa leget
tempus (medici quoque tempora servant) / quo facilis dominae mens sit et apta capi; II, 251-252
Nec pudor ancillas, ut quaeque erit ordine prima / nec tibi sit servos demeruisse pudor.
172
DIMUNDO, Ovidio lezioni di amore. Saggio di commento al I Libro dell'Ars amatoria, cit., 46-50.
67
fra il poeta e una donna (Corinna) in cui, in nuce, si rinvengono spesso consigli che il
Amores, II, 2.1-10: Quem penes est dominam servandi cura, Bagoa, / dum
perago tecum pauca, sed apta, vaca. / Hesterna vidi spatiantem luce puellam / illa,
quae Danai porticus agmen habet. / Protinus, ut placuit, misi scriptoque rogavi. /
Rescripsit trepida 'non licet!' illa manu; / et, cur non liceat, quaerenti reddita causa
est, / quod nimium dominae cura molesta tua est. / Si sapis, o custos, odium, mihi
Come per gli altri comportamenti con cui si realizza il delitto di adtemptata
pudicitia, non vi è un’eccezione per l’adsectari174, che rientra anche esso nel novero
si sposti essa a piedi o in lettiga, di sedersi non lontano da lei a teatro, di guardarla
Ars Amatoria, I, 485-504: Quod rogat illa, timet / quod non rogat, optat, ut
instes; / insequere, et voti postmodo compos eris. / Interea, sive illa toro resupina
feretur / lecticam dominae dissimulanter adi, / neve aliquis verbis odiosas offerat
auris, / qua potes ambiguis callidus abde notis. / Seu pedibus vacuis illi spatiosa
teretur / porticus, hic socias tu quoque iunge moras: / et modo praecedas facito,
173
Tr. L. CANALI, Ovidio. Amori, Milano, 2000, 132-135: Tu che devi fare la guardia alla tua
padrona, Bagoo, ascoltami mentre ti dico poche parole, ma opportune. Ieri vidi la fanciulla a
passeggio nel portico che contiene le statue di tutta la prole di Danao. Subito, poiché mi piacque, le
inviai un messo, e la invitai con un biglietto. Con trepida mano mi rispose: “Non è possibile”. E a
me che ne chiedevo il perchè, fu addotta questa ragione: la tua custodia della padrona è troppo
serrata. Se sei saggio, custode, credimi, smetti di meritare odio; chi ti teme, finisce col desiderare la
tua morte.
174
Supra, pp. 41-42.
68
modo terga sequaris, / et modo festines, et modo lentus eas: / nec tibi de mediis
aliquot transire columnas / sit pudor, aut lateri continuasse latus; / nec sine te curvo
sedeat speciosa theatro: / quod spectes, umeris adferet illa suis. / Illam respicias,
illam mirere licebit: / multa supercilio, multa loquare notis. / Et plaudas, aliquam
mimo saltante puellam: / et faveas illi, quisquis agatur amans. / Cum surgit, surges;
lettiga, l’ora del passeggio, l’incontro a teatro. Sono tutte opportunità di approccio
diretto con la donna: avvicinarsi alla lettiga e intrattenere conversazione con la donna
stesa sui cuscini, sfruttare l’abitudine del passeggio tra i colonnati del grande Portico
distanza, poiché le donne occupavano a teatro le file più alte, trovandosi perciò dietro
l’operatività dell’editto è legata al superamento del limite dei boni mores, il poeta non
175
Tr. cit., 236-239: Ma ciò che chiede, teme, ciò che vuole, non chiede: che tu insista. Inseguila,
ben presto avrai quello che brami. Frattanto se sdraiata sui cuscini verrà condotta in giro,
noncurante avvicinati alla sua lettiga e così che nessuno porga alle tue parole odiose orecchie queste
se puoi confondi accorto a cenni ambigui. E se poi va a piedi per l’ampio portico, indolentemente,
unisciti a lei nel suo passo svagato e ora di precederla cerca, oppure seguila da presso, ora affrettati
e ora cammina a passo lento. E non ti vergognare di spostarti dalla corsia centrale di non poche
colonne per metterti al suo fianco. Senza di te non sieda splendida nella curva del teatro: reggerà lo
spettacolo per te sulle sue spalle. Tu voltati a guardarla, avrai modo di contemplarla a lungo, di dirle
molte cose coi sopraccigli, o a cenni. Applaudi quando il mimo saltella nella parte di una donna e
sostieni chiunque sia nel ruolo di amante. Se si alza, ti alzerai, finché è seduta resterai seduto: perdi
tempo, al capriccio di colei che ti piace.
176
U. PAOLI, Vita romana, Firenze 1968; W. BEARE, I Romani a teatro, trad. a cura di M. DE
NONNO, Bari 1986; DIMUNDO, Ovidio lezioni di amore. Saggio di commento al I Libro dell'Ars
amatoria, cit., 232-235.
69
poteva al più risultare fastidioso se alla corteggiata il corteggiatore non fosse stato
gradito.
dall’altro; per questo motivo il poeta che si rivolgeva all’una non poteva rivolgersi
anche all’altra, anzi, sentiva il bisogno di escludere espressamente l’altra dal raggio
L’Ars conferma che la pudicitia 179 protetta dal nostro editto va intesa in senso
177
E.J. KENNEY, Chassez la femme, in «Classical Quarterly», XLII (1992) 551-552; R. MAYER, La
femme retrouvée?, in «Classical Quarterly», XLIII (1993) 503; M. LABATE, Passato remoto. Età
mitiche e identità augustea in Ovidio, Pisa 2010, 214-231.
178
A. LA PENNA, Fra teatro, poesia e politica romana, Torino 1979, 181-205; A. R. SHARROCK,
Ovid and the politics of reading, in «Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici», XXXII
(1994), 97-122.
179
T. HABINEK, The invention of sexuality in the world-city of Rome, in The Roman Cultural
Revolution, Cambridge 1997, 23-43; R. GIBSON, S. GREEN, A. SHARROCK, The Art of Love:
Bimillenial essays on Ovid’s Ars amatoria and Remedia amoris, Oxford 2006.
180
Per l’importanza del controllo dei comportamenti sessuali nell’ottica della protezione della
familia e dell’ordine sociale vd. G. FRANCIOSI, Clan gentilizio e strutture monogamiche, Napoli
1983, 23-53; RIZZELLI, Lex Iulia de adulteriis, Studi sulla disciplina di adulterium, lenocinium,
70
Alla luce di tutto questo, quindi, non possiamo ritenere che l’offesa alla
considerazione dalla tutela edittale: il bene giuridico protetto dall’editto era il buon
bene giuridico avrebbe offeso non solo la persona colpita, ma anche la fama della sua
familia 181.
Le condotte punite dall’editto, di per sé, non concretavano una violazione della
castità o della pudicizia della persona colpita, e, come nel caso dell’appellare, erano
rispettati, quali esponenti di famiglie di alto rango sociale182, nell’ottica di quella netta
Una riflessione in più merita l’animus iniuriandi nel contesto di questo editto:
ogni forma di iniuria implicava da parte dell’attore del delitto l’esistenza del dolo
stuprum, cit., 9.
181
A proposito del riflesso delle vicende relative alle donne sulla familia di appartenenza si veda
FAYER, La familia romana, Aspetti giuridici ed antiquari, cit., 154-155; 159; 164-165; 278-279.
182
POLAY, Iniuria types in Roman Law, cit., 158-159.
183
E. PIANEZZOLA, Conformismo e anticonformismo politico nell’Ars amatoria di Ovidio, in
Quaderni dell’Istituto di Filologia Latina 2 (1972), 37-58.
184
Per l’uso di affectus come sinonimo di animus iniuriandi vedi anche: D. 44.7.34 pr. (Paul. l. s. de
concurr. action.), D.47.10.18.4 (Paul. 55 ad ed.). Sulla tematica più generale del dolo nei delitti
privati: S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, II vol. Roma 1928, rist. 1963, 338; SCHULZ,
71
tutte le forme di iniuria, oppure era necessaria una precisa volontà di adtemptare alla
pudicitia.
Come abbiamo potuto rilevare dalle fonti, l’importanza dell’abito nella società
romana ci ha portato a credere che anche l’abito delle persone tutelate dall’editto
consono al proprio rango era necessario affinché l’autore del delitto potesse avere
D’altra parte, il confronto con l’opera ovidiana, che lo stesso autore afferma
non essere diretta alle matronae, la cui pudicizia andava salvaguardata, mette in luce
di per sè potenzialmente lesive della pudicizia della persona a cui venivano riservate.
Classical roman law, cit., 571; C. SANFILIPPO, Gli atti illeciti, Catania 1959, 19 ss; M. KASER,
Typisierter „dolus“ im altrömische Recht, in «Bullettino dell'Istituto di Diritto romano», LXV
(1962), 79-104; J. GARCIA-CAMIÑAS, La problemática del dolo en el Derecho Romano Clásico, in
Derecho de Obligaciones. Homenaje al Profesor J.L. Murga Gener, cit., 971-973.
185
D. 47.10.3 pr.-3 (Ulp. 56 ad ed.): Illud relatum peraquae est, eos, qui iniuriam pati possunt, et
facere posse. Sane sunt quidam, qui facere non possunt, ut puta furiosus et impubes, qui doli capax
non est: namque hi pati iniuriam solent, non facere. Cum enim iniuria ex affectu facientis consistat,
consequens erit dicere hos, sive pulsent sive convicium dicant, iniuriam fecisse non videri. Itaque
pati quis iniuriam, etiamsi non sentiat, potest, facere nemo, nisi qui scit se iniuriam facere, etiamsi
nesciat cui faciat. Quare si quis per iocum percutiat aut dum certat, iniuriarum non tenetur. Per il
dolo nel delitto di iniuria vedi supra, p. 36, nt. 99.
186
D. 47.10.18.3 (Paul. 55 ad ed.): Si iniuria mihi fiat ab eo, cui sim ignotus, aut si qui putet, me
Lucium Titium esse, cum sim Caius Seius, praevalet quod principale est, iniuriam eum mihi facere
velle, nam certus ego sum, licet ille putat me alium esse quam sum, ed ideo iniuriarum habeo.
72
Tutto ciò ci porta a pensare che il dolo richiesto in questo editto avesse un
profilo meno generico del puro animus iniuriandi, della semplice volontà di offesa,
persona onorata. Ciò per altro è confermato da due affermazioni, l’una di Ulpiano e
una persona, precisando che nel concetto di attentato alla pudicitia rientrano tutti quei
comportamenti, senza peraltro indicarne alcuno, volti a far diventare una persona
impudica:
Si quis tam feminam quam masculum, sive ingenuos sive libertinos, impudicos