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Necromanzia

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John Dee ed Edward Kelley evocano lo spirito di una persona deceduta (Ebenezer Sibly, Astrology
by Sibly, 1806).
La necromanzia (dal greco νεκρομαντεία, nekromanteía, composto di νεκρός, nekros, «morto», e
μαντεία, manteía, «predizione») è una forma di divinazione, in cui i praticanti, detti necromanti,
cercano di evocare gli spiriti dei defunti.
Sinonimo di necromanzia è psicomanzia (dal greco ψυχο-, psycho-, «anima»).[1]

Indice
• 1 La necromanzia nella storia
• 2 La necromanzia nella cultura
• 2.1 Cultura di massa
• 3 Note
• 4 Bibliografia
• 5 Altri progetti
• 6 Collegamenti esterni

La necromanzia nella storia


Il Libro dei morti egizio è spesso erroneamente considerato come un antico testo di necromanzia: in
realtà il suo scopo non era quello di richiamare un defunto dall'aldilà, quanto piuttosto di fornire le
istruzioni per agevolarne il passaggio verso l'altro mondo. La Bibbia contiene numerosi riferimenti
alla necromanzia. Nel Deuteronomio il popolo di Israele è messo in guardia dalle pratiche
necromantiche degli abitanti di Canaan. In un altro passaggio il re d'Israele Saul chiede alla Strega
di Endor di invocare lo spirito di Samuele, da cui però ottiene solo un presagio di morte e
distruzione imminenti (1Sam 28,7-25[2]).
Si ritiene che la necromanzia fosse molto diffusa anche in Caldea, in Grecia e a Babilonia. I
necromanti babilonesi erano chiamati Manzazuu o Sha'etemmu e gli spiriti che essi invocavano
erano detti Etemmu. Lo storico Strabone la cita come principale arte divinatoria dei persiani. Il
rosacrociano Robert Fludd, nel XVII secolo, descrive la necromanzia (Ars Goetia) come un
commercio con spiriti impuri.
Nel mondo moderno sono praticate tecniche di divinazione chiaramente correlate alla necromanzia,
mentre lo spiritismo, fondato da Allan Kardec nel XIX secolo, non è una forma di necromanzia,
perché condanna la divinazione. Il channeling consente, secondo i suoi fautori, di mettersi in
contatto con creature soprannaturali, che includono gli spiriti dei defunti. All'interno del vudù,
ancora praticato ad Haiti e in altri luoghi, esistono pratiche riconducibili a forme di necromanzia.

La necromanzia nella cultura

Angelo Caroselli, La negromante


Il tema della nekyia, cioè dell'evocazione dei morti, ricorre nella letteratura almeno dall'Odissea, in
cui Ulisse si reca davanti all'ingresso dell'Ade, senza entrarvi, e si mette in contatto con l'indovino
Tiresia e altre ombre (tra cui la madre Anticlea, Agamennone e Achille), usando il rituale appreso
da Circe: scavare una fossa per le tre libagioni dei morti (miele e latte, vino, acqua), spargere farina
bianca, supplicare le ombre, far bere il sangue di un ariete e una pecora nera solo a coloro con cui
vuole parlare. In questo caso sono le ombre a raggiungere Ulisse e non viceversa. La catabasi, cioè
la discesa agli Inferi, con cui l'eroe cerca di ottenere servigi o conoscenza dai defunti nel loro stesso
mondo, è invece presente nell'Eneide di Virgilio, in cui Enea visita l'Averno. Nell'anti-Eneide per
eccellenza, la Pharsalia, Lucano inserisce un episodio di necromanzia: la maga tessala Eritto,
riesumando il cadavere di un soldato morto in battaglia, gli fa predire la futura distruzione di Roma.
La tradizione letteraria della necromanzia propriamente detta si perde nella storia medievale e nella
letteratura ottocentesca, ad esempio nel mito del Dottor Faust.

Cultura di massa
Dalla tradizione letteraria, il tema è passato direttamente alla letteratura di genere, come il fantasy
(ad esempio nel Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, o The Summoning di Kelley Armstrong).
Numerosissimi i riferimenti nella cultura di massa e nella pop music contemporanea.

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