Sei sulla pagina 1di 3

RIEPILOGO SUL VALORE ASPETTUALE DEI TEMPI VERBALI GRECI

Nei tempi verbali greci oltre al valore temporale vero e proprio (cioè la
collocazione nel tempo dell’evento), che è in genere precisamente definito solo
nell’indicativo, si distingue anche un valore aspettuale (che indica cioè il carattere
dello svolgimento dell’azione) che è presente in tutti i modi.

PRESENTE ED IMPERFETTO

Il presente e l’imperfetto indicano l’aspetto durativo dell’azione, che viene vista


nel suo attuale svolgimento o nella sua perenne sussistenza (ad esempio concetti
che non mutano col tempo).
Mentre l’indicativo presente definisce l’azione durativa nel presente,
l’indicativo imperfetto definisce l’azione durativa nel passato. In pratica
corrisponderanno in genere in italiano rispettivamente ad un presente e ad un
imperfetto, con la precisazione che talora il presente greco può indicare in realtà
un futuro (come εἶμι=vado, andrò) e che nelle subordinate dipendenti da un
tempo storico l’imperfetto può indicare azione non solo contemporanea ma talora
anche anteriore rispetto alla reggente, e in questo caso sarà da tradurre in italiano
come trapassato prossimo.
Sia l’indicativo presente sia l’imperfetto possono assumere un valore iterativo
(cioè indicare un’azione che si ripete abitualmente=sono solito/ero solito…),
conativo (un’azione che si cerca di compiere=cerco/cercavo di…), resultativo
(un’azione svolta nel passato i cui effetti perdurano nel presente, come nei verbi
ἥκω=”sono arrivato, sono qui” o οἴχομαι “sono andato via, sono assente”).
Negli altri modi del presente prevale il valore aspettuale: quindi il congiuntivo,
l’ottativo, l’infinito e il participio presente indicano essenzialmente un’azione
durativa, senza precisarne necessariamente la collocazione temporale, presente
o passata, né il rapporto cronologico (nel caso delle subordinate) con la reggente.
Per lo più nel presente l’infinito, l’ottativo obliquo (cioè quello che si usa nelle
subordinate in dipendenza da un tempo storico quando esprimono un pensiero
soggettivo) e il participio sono impiegati per esprimere azioni contemporanee
alla reggente. Può capitare comunque a volte di trovare l’infinito presente usato
per esprimere aspettualmente un’azione durativa anteriore alla reggente
(=infinito perfetto latino): sarà in questo caso il contesto a farcelo capire.
Decisamente più rari sono i casi in cui l’ottativo obliquo o il participio (specie se
determinato dagli avverbi πρόσθεν o πρότερον) esprimono un’azione in rapporto
di anteriorità rispetto alla reggente.
L’imperativo, limitato ai discorsi diretti e mai subordinato, indica un comando di
natura durativa o continuata, cioè l’ordine di continuare a compiere un’azione
oppure di compierla a lungo.

FUTURO

Il futuro è l’unico tempo verbale a mantenere fondamentalmente in tutti i modi


che presenta (mancano il congiuntivo e dell’imperativo) l’idea temporale di
azione che può o deve svolgersi nel futuro, mentre è indifferente all’aspetto
durativo o puntuale dell’azione stessa.
Sviluppatosi a partire da una forma di congiuntivo desiderativo, il futuro può
assumere come in latino sfumatura di intenzionalità (avere intenzione di…),
imminenza (essere sul punto di…), predestinazione (dovere…) e quindi tradursi
anche con una locuzione al presente. Talora all’indicativo può anche esprimere
un imperativo in forma attenuata.
Il participio futuro usato come participio congiunto ha in genere valore finale: se
preceduto da ὡς si rafforza la sua intenzionalità soggettiva (con l’intenzione di…,
come per…, pensando di…)
Nelle infinitive al futuro si esprime una posteriorità rispetto alla reggente, da
rendere con l’indicativo futuro se la reggente è in tempo principale, con il
condizionale passato se quest’ultima è in tempo storico
Il futuro presenta forme distinte per la diatesi attiva, media e passiva: per lo più,
quindi, il futuro medio non equivale nel significato a quello passivo. Esistono
tuttavia alcuni verbi che hanno il futuro medio con significato passivo, mentre altri
hanno il futuro passivo con significato intransitivo, alla pari dell’aoristo passivo a
cui sono legati. In tutti questi casi occorre consultare attentamente il vocabolario.

AORISTO

L’aoristo (ἀόριστοςχρόνος tempo privo di limiti) esprime l’azione pura e


semplice, non definita nella sua durata temporale: essa è vista nella sua
momentaneità o puntualità, cioè nella sua globalità, come un tutt’unico. Può
quindi avere valore ingressivo, se l’azione è vista nel suo momento iniziale
(ἐγέλασε da γελάωrise, scoppiò a ridere), oppure egressivo, se è vista nel suo
momento finale (ἱστρατιῶται τὸνποταμόνδιέβησαν  i soldati attraversarono
il fiume, passarono oltre il fiume).
L’aoristo ha un valore temporale, di azione collocata nel passato, solamente
nell’indicativo, da tradurre generalmente con un passato remoto italiano
(raramente passato prossimo) o anche, specie in alcune subordinate, con un
trapassato prossimo. Tuttavia a volte l’indicativo aoristo si usa per esprimere
proverbi o massime valide perennemente (aoristo gnomico) da rendere in italiano
con un presente.
Gli altri modi dell’aoristo non costituiscono di per sé tempo storico, limitandosi
ad indicare l’aspetto puntuale dell’azione, non la sua collocazione del tempo,
che si potrà evincere facendo attenzione al contesto.
Tuttavia nei discorsi indiretti l’ottativo aoristo obliquo (forma esplicita) e
l’infinito aoristo (forma implicita) quando corrispondono ad un indicativo
aoristo di un discorso diretto, finiranno in genere per indicare evento anteriore
rispetto al parlante. Un’anteriorità rispetto alla reggente si può avere di fatto
anche in alcune proposizioni temporali o ipotetiche con l‘ottativo o con il
congiuntivo aoristo eventuale; mai, ovviamente, nelle finali. Anche nelle forme
di congiuntivo ed ottativo indipendenti l’aoristo si riferisce normalmente al
presente, e lo stesso vale ovviamente per l’imperativo aoristo, che indica un
comando perentorio. Il participio aoristo si può spesso rendere con una
subordinata implicita od esplicita in rapporto di anteriorità rispetto alla
reggente, ma in casi non rari anche in rapporto di contemporaneità.
L’aoristo presenta distintamente le diatesi attiva, media e passiva: ciò vuol dire
che la diatesi media, in genere, ha significato distinto da quella passiva. Vari
verbi hanno tuttavia l’aoristo passivo (in origine affine all’aoristo fortissimo attivo)
con significato intransitivo: bisogna quindi sempre controllare il dizionario.

PERFETTO E PIUCCHEPERFETTO E FUTURO PERFETTO

Il perfetto e il piuccheperfetto indicano l’aspetto compiuto di un’azione, i cui


effetti tuttavia perdurano nel tempo. Il perfetto, che è considerato in greco tempo
principale e non storico, può aver valore stativo quando sottolinea soprattutto il
perdurare attuale degli effetti dell’azione compiuta e quindi corrisponde ad un
presente, oppure valore resultativo quando sottolinea soprattutto l’azione
compiuta che ha portato al risultato presente, e quindi corrisponde ad un
passato prossimo.
Mentre il perfetto indica l’effetto al presente di un’azione compiuta, il
piuccheperfetto indica l’effetto al passato di un’azione compiuta: in pratica il
rapporto fra indicativo perfetto e piuccheperfetto è lo stesso che c’è fra indicativo
presente e imperfetto. Così quando il perfetto ha valore stativo, cioè di presente,
il piuccheperfetto avrà valore di imperfetto, mentre quando il perfetto ha valore
resultativo, cioè di passato prossimo, il piuccheperfetto avrà valore di trapassato
prossimo.
Nei modi diversi dall’indicativo il perfetto indica semplicemente azione
compiuta, senza specifica connotazione temporale, ma di fatto nelle subordinate
all’infinito e al participio congiunto, quando il perfetto ha valore resultativo, le
azioni appaiono anteriori rispetto alla reggente.
Nell’imperativo prevale ovviamente il valore stativo: corrisponde ad un ordine
molto energico e definitivo.
Da ricordare che il participio perfetto attivo può corrispondere al participio
passato italiano solo nei verbi intransitivi, dove il significato resta sempre attivo
(ἐληλυθώς=”arrivato”, cioè “che è arrivato, dopo essere arrivato”), non in quelli
transitivi, dove in italiano il participio passato ha valore passivo (πεϕιληκώς=”che
ha amato, dopo aver amato” e non “amato”).
Come il presente, e a differenza del futuro e dell’aoristo, il perfetto e il
piuccheperfetto hanno la diatesi media uguale a quella passiva: sarà quindi il
contesto e la lettura del vocabolario a chiarirne il significato.
Il futuro perfetto indica il perdurare nel futuro degli effetti di un’azione
compiuta, senza precisarne il momento. Così quando il perfetto ha valore stativo,
cioè di presente, il futuro perfetto avrà valore di futuro semplice, mentre
quando il perfetto ha valore resultativo, cioè di passato prossimo, il futuro
perfetto avrà valore di futuro anteriore. Questo futuro, assai raro, ha forme
proprie in genere solo nella diatesi media, mentre in quella attiva si forma quasi
sempre perifrasticamente.

Potrebbero piacerti anche