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Sento veramente il bisogno di una sosta o qualcosa di analogo, giacché – seguendo la metafora del
viaggio – è come se ci fossimo portati al di là delle colonne d’Ercole, le quali rappresentavano per
gli antichi il limite della conoscenza e dunque il mistero, come anche l’ignoto, sempre irto di
pericoli. Abbiamo rilevato la caduta del principio di causalità, come della dimensione spazio-tempo
e del concetto di legge, cadute che hanno veramente inferto un colpo mortale alla scienza, almeno
quand’è intesa come via di conoscenza certa.
Giunti a questo punto il mondo ci apparirà più insicuro, tanto che avvertiamo forse intorno a noi un
senso di fragilità, di precarietà del sapere. Personalmente ho voglia di lasciare – almeno per un po’
– gli scienziati, andando a guardare il mondo per come appare ad altri osservatori. Uomini che forse
hanno risentito del destino della scienza, che una volta si ergeva sicuro e tetragono nei confronti di
altre discipline per contrasto definite "deboli": è il caso dell’arte. E poiché è scomparsa una visione
del mondo (intendo dire, il mondo com’è), mi sento attratto dalla pittura che il mondo cerca di
rappresentare e di mostrare (cioè il mondo come mi appare).
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Si scopre che esiste un mondo dell’invisibile che, attraverso i sistemi tecnici dell’ingrandimento e
quindi grazie alla possibilità di portarlo alla percezione dei sensi, si presenta astratto: come se quella
astrazione non fosse altro che la sua concretezza.
La realtà diventa insomma difficilmente definibile anche solo concettualmente. I vissuti e i giochi
percettivi del singolo possono cogliere in un oggetto concreto particolari che, estrapolati dal
contesto – così come avviene quando si concentra una forte attenzione su un particolare – appaiono
del tutto al di fuori della realtà, frutto di pura invenzione fantastica.
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sembra scoprire il fascino del mondo senza oggetto, fascino che è allo stesso tempo attrazione
e paura.
Nei suoi dipinti si crea un gioco di definizione delle nuove opere che sono sempre all’insegna della
mancanza, dell’oggetto assente: Testa senza viso, Viso senza viso.
Una storia per certi aspetti analoga è quella di Piet Mondrian, che fino al 1911 dipinge paesaggi,
fiori, nature morte. In seguito però l’artista si propone di portare in pittura la teosofia: egli sogna di
ricreare il mondo ordinandolo in verticale e in orizzontale e togliendo agli oggetti il loro senso
convenzionale – ogni senso possibile – per riportare tutto all’informale, che ha bisogno di un Dio. Il
suo mondo è senza vita e senza morte, al di fuori del tempo, mentre la pittura si pone come limite
dell’uomo, condizione primordiale. Una "fase zero" da cui ripartire. E qui, nella mancanza di
corporeità, il mondo diventa colore. Mondrian stesso diventa qualcosa d’altro rispetto al pittore che
era stato, cambiando persino nome: da Mondriaan a Mondrian.
L’assenza di elementi pittorici diventa il contenuto dell’astrattismo, come se ci si limitasse
all’interiorità delle cose, all’invisibile del visibile, alla presenza di Dio entro l’uomo, allo spirituale
come anima del materiale. È una rappresentazione del mondo nel momento in cui nasce, poco prima
di perdere il proprio indistinto e di diventare infinito, il nulla che tuttavia contiene le cose. Così
descritto, il mondo è soprattutto colore.
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Nella pittura astratta i colori non sono nient’altro che vocali e consonanti di una composizione le cui
variazioni finiscono ancora per stupire senza che si avverta alcun sintomo di stanchezza, segno che
l’astrattismo pittorico è ancora quanto mai vivo.
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nel Manierismo e poi nel Barocco, quasi fosse alla ricerca di nuove esperienze che si opponessero a
regole già in grado di portare ad altezze insuperabili la composizione scultorea o pittorica. In tal
modo il suono si libera completamente e permette una incredibile plasticità che contiene una
illimitata potenzialità di espressione e di creatività. Non c’è alcun dubbio che questo è il senso
dell’astrattismo.
L'AVVENTURA DELL’ARTE.
L’astrattismo fu certamente un linguaggio ricchissimo nel periodo che lo vide nascere grazie a
esperienze di rottura con la pittura realista, come il cubismo e il surrealismo, che si realizzano
mediante irrigidimenti di forme che poi si rompono e perdono i propri contorni. Ecco emergere
l’informale e l’astratto, rispetto a una corporeità del mondo e degli oggetti che sembrava ormai
priva di quei messaggi significativi attesi sempre dall’arte.
È un’arte che rompe e porta l’uomo di fronte a nuovi mondi o ad aspetti inediti del mondo. Si tratta
di un’avventura che avviene su una tela e che ricorda il creatore capace, dal nulla – e dunque
dall’informe – di generare gli oggetti, dalle stelle all’uomo, e poi forse di ritornare ancora al nulla:
al nulla dell’apocalisse che tuttavia rimane colore, nuvola, residuo informe dentro il quale sono
contenute tutte le forme possibili, e persino un nuovo mondo. Accade esattamente così anche nella
musica, con quelle note che senza essere possono diventare tutto. È l’espressione del bisogno di
tornare a una potenzialità estrema quando ciò che è già stato fatto è divenuto incomprensibile.
Tutto questo accade nel momento in cui i fondamenti del mondo cadono e la scienza ci dice che non
è possibile conoscere, o lo si può fare solo "pressappoco". Allora meglio scappare dal mondo,
oppure rifarlo: anzi, meglio farne molti, ritornare all’alfabeto stesso di una composizione
dell’universo. A un Nuovo mondo. Quello vecchio è da cancellare, bombardato da una guerra che
dissemina morti e macerie, troppo malato e orrendo perché lo si possa salvare.
L’espressionismo mostra questo mondo così com’è, senza finzioni. Gustav Klimt e Richard Gerstl
lo rendono mostruoso. L’astrattismo lo cancella, lo riduce a semplice colore, lo dimentica e tenta di
rifarlo rimescolando le tinte nella stessa maniera con cui il Creatore nel Genesi manipolava senza
un ordine la terra, il fango, per darvi una qualche consistenza. Ma è un mondo da cancellare, poiché
aveva in sé ormai solo voglia di guerra e di distruzione; sembrava vivere solo allo scopo di
distruggere con la furia cieca delle armi, di coltivare odio, di annientare la cultura del nemico, di
ordinare la vita per eliminarla, riducendola alla sua sola bestialità, alla sua più vergognosa
degradazione.
Questo mondo non è più riproducibile: meglio l’informale, che è insieme speranza e materia
di una nuova genesi, del desiderio del nuovo e persino del bello ritrovato e reinventato. Non si
può contemplare questo mondo: bisogna dimenticarlo, per poterlo rifare.
E la maniera migliore è tornare ai colori. poiché in fondo il mondo nella sua apparenza è colore e
nient’altro che colore. Allora lo si combina daccapo: è di qui che forse nascerà un nuovo mondo.
Tutto questo non è diverso dal bisogno di rifare l’uomo trovando i princìpi che lo devono spingere
al rispetto dell’altro e dei limiti, al bisogno di legami che mettano fine una volta per tutte a questa
libertà sfrenata. In due parole, parliamo delle nuove regole per vivere senza ammazzarsi, per
campare senza commettere omicidi o senza eliminarsi.
COME UN BAMBINO
Il pittore astratto è come un bambino. Non ha bisogno di nulla se non della ingenuità di un piccolo,
della sua purezza rispetto agli uomini dotati di sapere e di tecnologia, che hanno mercanteggiato e
massacrato il mondo. Il bambino non sa nulla del mondo, non conosce nemmeno il nome delle cose:
ma con una matita in mano e un foglio davanti traccia segni che parlano di desiderio e di volontà di
costruire un mondo adatto ai suoi bisogni e alla sua voglia di vivere. Forse sarà un mondo di favole,
dal momento che quello concreto è fatto di campi di concentramento, magari invisibili, e di
ingiustizie che si accaniscono persino contro i più giovani.
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Come un bambino con un pennello e alcuni colori, l’artista passa il tempo a riempire tavole,
fotografie di un mondo che non c’è ma che sarebbe bello sostituisse quello che si impone e ci
abbrutisce. Il pittore è come un bambino che ancora non comprende il senso delle parole e del
mondo, il significato del suo esserci dentro. Egli gioca con questi colori e poi guarda lui stesso
meravigliato quanto viene fissato su una tela colorata, che ora ride ora piange.
Questo bambino dà vita a uno sperimentalismo spontaneo, un gioco che comincia senza sapere dove
condurrà e cosa rappresenterà. Il pittore rimane esterrefatto, come un bambino di fronte al miracolo
di un caleidoscopio che cambia sempre tinte ma è fatto di pochi frammenti di vetro colorato.
Guardando verso il cielo attraverso la lente, egli scopre che è pieno di stelle, forse simili ma tutte
perfettamente riconoscibili e nell’insieme capaci di creare un firmamento in cui sembra risuonare
l’Alleluia del Messia di Händel.
L’artista è proprio come un bambino: un bambino che getta sul pavimento barattoli colorati, che
soffia in una cannuccia per produrre bollicine che vagano leggere e poi scoppiano. È come un
bambino che si attacca al seno rigonfio di latte della madre e si nutre e lo tocca, all’infinito, senza
sapere perché e senza che il tempo lo induca a fare altro. Si può trascorrere una vita intera
accarezzando il seno materno, o vivendo tra i colori davanti a tele bianche che si popolano di vita e
di speranza.
L’artista non sa nulla del mondo e lo esplora tra bisogni e speranza, tra meraviglia e dolore,
proprio come fa un bambino. E come un bambino dipende da tutti, ma agisce come fosse
autonomo e unico. Non conosce ancora nemici, e si pensa onnipotente per un mondo fatto di
colore e di stupore.
Il bambino è una metafora dell’astrattismo visto appunto come una forma aperta e in movimento,
capace di contenere tutte le forme possibili. Il piccolo rappresenta una vita ancora in divenire, che si
muove e che cambia come un’ameba mai stabile. Il bambino è informe, anche se contiene tutte le
forme possibili e le più definite delle età che seguiranno.
La forma racchiude lo spazio mentre l’informale è aperto, e dunque non delimita mai: diventa forma
sempre aperta. Una forma libera, si potrebbe dire, nella interpretazione e nello sviluppo. Proprio
come un bambino può prendere forme diverse, ma se resta bambino non ne assume mai alcuna. A
questo proposito si dovrebbe ripensare alla simbologia di forme chiuse, come il cerchio o il
quadrato, riempite di simboli della perfezione e della vita, della stabilità e della sicurezza. Entrambe
queste forme, in verità, mancano della plasticità, della libertà di non diventare mai una forma
aperta. La forma della creatività è e resta la macchia informe, quella che disegna un bambino.
L’astrattismo diventa non forma ma energia: un fluire in ogni direzione possibile, in tutti i sensi, un
vagare senza limite e pertanto senza forma. È un mondo che sa di primitivo ma anche di
onnipotenza. Le forme sono uno sviluppo della rappresentazione, ma un limite alla creatività. Si
può vagare nell’indistinto, tra suoni mai avvertiti prima e immagini che nemmeno si saprebbero
pensare da svegli. Un vero mondo inesistente, che nessuno prima aveva espresso. Tirando le somme
s’intuisce che il mondo della creazione non c’è, anche se esiste dal momento in cui lo abbiamo
rappresentato.
LE SENSAZIONI PURE
Talvolta nel gioco delle visioni che ciascuno di noi può sperimentare a occhi chiusi, stringendo forte
le palpebre o facendo pressione con le dita sui bulbi oculari, si possono scorgere immagini capaci di
richiamare molte opere del cosiddetto informale. La situazione appare ancora più sfumata se si
passa dalla vista all’udito: a garantirne il funzionamento sono vibrazioni dell’aria su membrane che
vengono poi trasformate in esperienza mentale. Si tratta di suoni allucinatori o illusori poiché è
come se esistessero per il singolo, ma non lasciando traccia è come se non avessero "corpo".
Ci sono poi le sinfonie della notte, quelle dei sogni che possono persino ammaliare e che nessuno ha
mai composto se non colui che sogna, e che magari ignora anche la scala musicale nella sua
elementarità.
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È, questo, il mondo delle visioni, pura suggestione, visioni «sine materia». L’informale non è un
vuoto ma semplicemente qualcosa che può assumere molti significati e svariate forme, proprio
come un pugno di creta che nella manipolazione successiva può assumere forme mutevoli. Inoltre,
va detto che l’informale contiene tutte le forme possibili: le nuvole ad esempio sono informi, ma
finiscono per lasciare intravedere persino un vecchio con la barba bianca nel gesto di creare il
mondo: il Padreterno. Anche le macchie di umidità su una superficie bianca riescono a dipingere un
mondo intero: formale, ma pieno di possibilità di proiezione. Il caso più eclatante a questo proposito
sono le macchie del test di personalità di Hermann Rorschach: macchie informi in cui ogni persona
intravede figure precise, oggetti o animali, in funzione della propria personalità e della patologia di
ciascuno. Basterebbe citare il giallo degli epilettici, secondo Franziska Minkowska, o il rosso
collegato alla violenza, o ancora il bianco alla soavità, che però – come si è detto – in periodi storici
differenti è diventato il colore della follia e persino della morte.
Su queste coordinate si situa la figura del pittore come uomo che sperimenta legandosi al mondo e
che compone opere testimoni di quell’attimo: un attimo che poi muore, e forse porta a morte anche
il prodotto legato solo all’attimo ma ridotto fuori di esso a realtà inerte, senza vita. L’arte si coniuga
solo con il momento in cui essa nasce e muore. Seguendo questo approccio, non avrebbe pertanto
senso la museologia che non mostrerebbe altro se non prodotti del passato, corpi rivissuti e
totalmente altri rispetto alla loro origine. È l’arte che muore, che si consuma nell’attimo in cui si
cancella. L’arte effimera.