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Il CONTROLLO DI GESTIONE (CDG) è un “sistema direzionale” che le aziende adottano per rendere
più razionale e consapevole la propria gestione, ed in particolare per:
– guidare le scelte dei manager ai vari livelli organizzativi verso obiettivi di gestione prestabiliti;
– responsabilizzare i manager sulla bontà dei risultati conseguiti (efficacia/efficienza).
CONTROLLO DI GESTIONE: “sistema direzionale” con cui i manager si accertano che la gestione
aziendale si stia svolgendo in condizioni di “efficienza” ed “efficacia” tali da permettere il
raggiungimento degli obiettivi di fondo della gestione stessa, stabiliti in sede di “Pianificazione
Strategica”
Efficienza: attitudine dell’azienda e/o del sub-sistema ad ottimizzare quantità di risorse (input)
occorrenti per ottenere un determinato valore di output.
evitare o ridurre gli sprechi di risorse. Misurabile tipicamente con la grandezza costi. Di solito il
grado di efficienza si misura calcolando il costo unitario di prodotto
Efficacia: attitudine dell’azienda e/o del sub-sistema ad ottimizzare i risultati riguardanti gli output
della gestione.
l’efficacia può riguardare quantità e qualità di produzione, tempi di consegna, livello di servizio
al cliente. Misurabile tipicamente con grandezze fisiche (m3 prodotti, % di prodotti difettosi o di
resi, no giorni per la consegna, …) o anche con pseudo-misurazioni (ad es. giudizio dell’utente di un
servizio da 1 a 10)
Efficacia ed efficienza sono caratteri tra loro legati (ad es. la qualità del servizio richiede risorse
adeguate), richiedono più indicatori di misurazione, richiedono un confronto entità reale del
risultato/livello atteso (non esiste efficacia ed efficienza assoluta, ma solo quella relativa a certi
parametri!)
4) PIANIFICAZIONE STRATEGICA: processo direzionale con cui si esplicano gli OBIETTIVI DI FONDO
(di Lungo Periodo) della gestione aziendale; tali obiettivi di fondo rappresentano i “parametri” di
riferimento sulla base dei quali si misura efficacia ed efficienza della gestione. Gli obiettivi di fondo
della gestione sono gli obiettivi di lungo periodo (arco di tempo pluriennale) a cui mira l’azienda,
esprimibili in vari modi a seconda del tipo di azienda, del suo assetto proprietario, dell’ambiente
economico-politico e di altre variabili: redditività del capitale, creazione del valore economico del
capitale, valore del servizio per gli utenti (non profit), …
Tali obiettivi, affinché la gestione si svolga in maniera razionale ed il CdG possa esplicare la sua
utilità, devono essere chiari, espliciti e possibilmente quantificabili.
La PS è quindi il processo direzionale con cui sono esplicitati gli obiettivi e i corrispondenti piani
d’azione per attuare le strategie di business:
a) Formulazione della strategia di business (la direzione decide cosa, per chi e come produrre:
strategie di business e di portafoglio) a monte
b) Pianificazione strategica (si esprimono in modo chiaro obiettivi, i loro target [livello
quantitativo] e tempi di realizzazione)
c) Controllo di gestione (si misurano i risultati di gestione) a valle
-------------------------------------- progetto A
------------------------ progetto B
------------------------------------------- progetto C
0____________________________ n anni
arco temporale del piano
PROGRAMMAZIONE. Si riferisce alle scelte di breve periodo, tipicamente annuali; indica quindi gli
obiettivi, in genere intermedi o parziali rispetto a quelli di Pianificazione Strategica, che dovranno
essere conseguiti in un intervallo temporale breve (1 anno/6 mesi) e li traduce in piani operativi
dettagliati (budget).
Tipico strumento della Programmazione è il BUDGET, un programma di gestione (di esercizio) che
costituisce un “segmento” del piano strategico, cioè un programma per dare attuazione concreta
nel breve periodo alle scelte di pianificazione.
(budget)
CONTROLLO. Il CdG (c.d. direzionale o manageriale) va distinto dalle altre forme di controllo che
hanno per oggetto azioni o atti e che con esso vanno integrati e conciliati (controllo
formale/burocratico, internal auditing [controlli interni], ispettorato); esso ha ad oggetto i
RISULTATI, verifica se (e non come) sono stati raggiunti, ed è di tipo interno.
3 tipologie di controllo:
1. Controllo Strategico: controllo della validità di una strategia (revisione periodica delle scelte e
dei piani di business) oppure controllo gestionale sulle variabili ritenute strategiche per il
successo aziendale (monitoraggio delle variabili critiche di gestione, cioè dei fattori più
significativi per assicurare all’azienda un successo durevole in termini di capacità di reddito, di
creazione di valore economico o di altri risultati).
es. controllo sul Portafoglio Clienti per evitare che questo sia composto da pochi clienti, qualcuno dei quali magari
procura il 90% del fatturato
2. Controllo Operativo: controllo su specifiche operazioni di gestione, attuato spesso nel
brevissimo periodo o in tempo reale; si tratta del controllo della gestione corrente,
contrapposto a quello strategico.
es. controllo ordini ricevuti dai clienti, controllo pezzi difettosi prodotti
es. bilancio di esercizio risultati economico-finanziari dell’azienda nel suo insieme; contabilità analitica
costi/ricavi dei singoli prodotti
Tuttavia non tutti i tipi di sub-sistema sono AREE/CENTRI DI RESPONSABILITA’, cioè insiemi di
operazioni sottoposte alla responsabilità di uno specifico soggetto nell’ambito della struttura
organizzativa (ad es., prodotti/clienti/progetti/processi sono CdR solo se è previsto un
product/client/project/process manager nella struttura aziendale).
Sempre più spesso le aziende integrano le due dimensioni di controllo (aree di responsabilità e
sub-sistemi) con una terza, cioè i PROCESSI (insiemi di operazioni interfunzionali) per evitare una
gestione a compartimenti stagni tipica dell’approccio per funzioni.
es. GESTIONE DELLA LOGISTICA: abbraccia attività svolte dalla funzione ACQUISTI, dalla funzione PRODUZIONE e dalla
funzione COMMERCIALE
Il CdG si articola in più fasi, cioè si svolge in più momenti nel corso della gestione (prima, durante,
dopo).
Le varie fasi del processo di controllo richiedono sempre un CONFRONTO tra RISULTATI ATTESI e
RISULTATI EFFETTIVI:
Definizione
Obiettivi sugli
Confronto Obiettivi vs Obiettivi
Azioni Interventi
Consuntivi e Correttivi
Analisi degli Scostamenti
Rilevazione sulle
Consuntivi Azioni
Definizione
Obiettivi sugli
Confronto Obiettivi vs Obiettivi
Azioni Interventi
Forecast e Correttivi
Analisi degli Scostamenti
Formulazione sulle
Forecast Azioni
I vari meccanismi di controllo non sono alternativi, ma complementari, e richiedono confronti tra
quantità omogenee (es. no inflazione, cambiamento del processo produttivo, …); infine, quando
non è possibile monitorare i risultati, si effettua il controllo a monte, cioè sulle azioni compiute per
ottenerli o sulle risorse impiegate in tali azioni.
Unità di misura monetaria (euro, dollari, yen, …) Unità di misura fisica e quindi diversa a seconda del
fenomeno da misurare (ore di lavoro, kWh, kg di
materie, n° di pezzi prodotti)
Al centro dello schema c’è il REPORTING, l’insieme delle informazioni di vario tipo (contabili ed
extra-contabili) che vengono opportunamente selezionate e presentate sotto forma di REPORT o
rendiconti periodici di controllo, al management, affinché questo possa fare le sue analisi,
valutazioni e scelte.
Il REPORT è un prospetto che mette a confronto i RISULTATI ATTESI (ad es. di BUDGET) con i
RISULTATI EFFETTIVI (ad es. rilevati dalla CONTABILITA’ ANALITICA) e ne evidenzia gli
SCOSTAMENTI.
REPORTING
CdG e PS sono sistemi applicabili a qualsiasi azienda; non solo le imprese, operanti con motivazioni
di carattere economico, ma anche le aziende aventi obiettivi di tipo pubblico o sociale (PA, aziende
non profit) necessitano di un monitoraggio costante sull’efficienza e sull’efficacia della gestione,
rivolto alla guida del management ed alla sua responsabilizzazione.
Ovviamente cambiano gli indicatori con cui misurare le due caratteristiche attitudinali (efficacia ed
efficienza) ma non cambia la natura del problema e l’esigenza di risolverlo.
Il sistema di controllo deve essere impostato in modo differenziato a seconda delle varie realtà
aziendali; non cambiano le logiche di fondo, ma le variabili di “struttura” (ad es. strumenti di
misurazione ed indicatori) e di “processo” (ad es. modalità di costruzione del budget e fissazione
degli obiettivi) vanno adattate alle circostanze.
es. azienda profit gli indicatori economico-finanziari svolgono un ruolo primario; PA o azienda non profit gli
indicatori prioritari riguardano l’efficacia dei servizi resi, espressi in termini non monetari (es. qualità)
I protagonisti principali del CdG sono i manager posti ai vari livelli della struttura organizzativa ed
operanti nei vari sub-sistemi organizzativi (divisioni, funzioni, …), i quali grazie al monitoraggio ed
al reporting vengono informati sull’andamento della gestione e prendono le decisioni necessarie al
raggiungimento dei risultati attesi, assumendo le relative responsabilità (Ad, Dg, responsabili di
business, manager funzionali, …).
Invece, gli specialisti del CdG, i controller, solitamente appartenenti alla direzione di
Amministrazione, Finanza e Controllo (AFC), mettono a disposizione del management operativo le
loro competenze specialistiche (economiche, finanziarie, gestionali) per garantire la corretta
formulazione di decisioni supporto specialistico
– NON deve essere visto come verifica “ispettiva” o “punitiva”; ciò può provocare un
atteggiamento di resistenza o di ostilità verso tale sistema direzionale;
– NON tutte le aziende possono usare lo stesso tipo di CdG; nelle aziende pubbliche e non profit
devono essere impostati sistemi di CdG con logiche e principi diversi da quelli tipici delle aziende
orientate al profitto;
– nel presente contesto economico e tecnologico (IT, net economy, globalizzazione) l’attuale
struttura tecnico-contabile deve essere rimessa in discussione; tuttavia molti degli ingredienti dei
sistemi di CdG mantengono la loro validità.
Il modo più immediato per apprezzare le performance economiche globali (o anche a livello di
singoli business) consiste nel misurare la Redditività del capitale, che può essere intesa come:
- redditività del capitale proprio (con l’indice ROE, Return On Equity) riguarda l’azienda nel suo
insieme
- redditività del capitale investito nella gestione operativa (con l’indice ROI, Return On
Investment) riguarda sia l’azienda sia i singoli business
ROE e ROI rappresentano gli indici su cui fonda la strumentazione contabile del CdG; partendo
dalla redditività del capitale, si effettuano delle analisi via via più spinte, per risalire alle cause che
ne sono all’origine. Ai fini del CdG cioè si procede ad un’analisi dei nessi causali che legano i
risultati finali (misurati ad es. dal ROE) alle loro variabili esplicative, in modo da:
a) individuare le varie cause di gestione della redditività
b) responsabilizzare i soggetti che dispongono delle leve decisionali per influenzarle.
La redditività del capitale proprio è scomponibile nelle sue variabili esplicative secondo due
modelli:
Quindi, la redditività del capitale proprio dipende in primo luogo dalla redditività del capitale
investito (il successo economico durevole dell’azienda dipende in primis dalla sua attitudine a
essere competitiva e a gestire i suoi business in modo efficiente ed efficace), poi da altri fattori a
cominciare dal grado di indebitamento (= leva finanziaria, fattore su cui agire per rendere
disponibili i capitali occorrenti alla gestione del business).
Nell’analisi del ROI invece è importante distinguere due attitudini, assunte come macro-variabili
esplicative della redditività del capitale investito:
ROS = Reddito Operativo / Ricavi di vendita = Ricavi di vendita - Costi Operativi fissi e variabili
Ricavi di vendita
La determinazione e l’analisi dei costi rappresenta un momento delicato e decisivo del sistema di
controllo di qualsiasi azienda.
I costi di produzione, cioè l’espressione monetaria della quantità di risorse impiegate nello
svolgimento di un’attività produttiva, sono variamente classificabili ed analizzabili.
Es. di classificazione dei costi per natura in un centro produttivo (stabilimento, officina, …)
- Materie Prime - MOD mano d’opera diretta - MOI mano d’opera indiretta
- Stipendi personale tecnico - Forza motrice - Materiali ausiliari e di consumo
- Illuminazione - Riscaldamento - Manutenzioni
- Quote di ammortamento immobilizzazioni tecniche - Costi vari industriali
L’esempio riportato si riferisce ai soli costi “industriali”, cioè sostenuti nelle aziende industriali
all’interno dell’area della produzione. In pratica, presso molte aziende industriali, tali costi
vengono convenzionalmente così raggruppati:
– Materie prime
– Mano d’opera Diretta (MOD)
– Costi Indiretti Industriali (manufactoring-overhead) spese generali di produzione/fabbricazione
Se consideriamo anche altre aree di gestione tipicamente non produttive, la distinzione dei costi
per natura include numerose altre voci. Di solito i costi non industriali vengono raggruppati per
funzione, ad es.:
Per aree di Gestione si intendono le seguenti Macro-Aree (aree in cui si articola il CE):
Questa classificazione è importante soprattutto nel CdG globale d’azienda. I costi vengono
classificati in base all’area di competenza.
In particolare nell’area di gestione operativa ricadono tutti i principali costi che vengono analizzati
dal CdG: materie, mano d’opera, stipendi, ammortamenti, …, mentre alla gestione finanziaria
appartengono oneri finanziari e interessi passivi, cioè i costi sostenuti per acquisire il capitale di
credito.
Questa classificazione presenta motivi di interesse anche a livello di sub-sistema (prodotti, aree
funzionali), poiché spesso il controllo dell’efficienza economica ha per oggetto proprio la gestione
caratteristica.
Questa classificazione si basa sulla possibilità o meno di misurare in modo oggettivo la quantità di
fattore impiegata per un certo oggetto, ad es. un dato prodotto
(OGGETTO DI COSTO: elemento di aggregazione dei costi per il quale l’azienda ha interesse a conoscerne il grado di
consumo di risorse aziendali es. prodotto/servizio, unità organizzativa, cliente, funzione, linea di prodotto, agente)
Si distinguono due categorie, A) COSTI DIRETTI e B) COSTI INDIRETTI.
A) I costi diretti sono attribuibili ai prodotti mediante misurazione oggettiva del volume di fattore
impiegato e moltiplicando tale quantità per un prezzo unitario:
quantità di fattore impiegato x prezzo unitario es. ore 5 di MOD x 20 € (costo orario)
I costi diretti si riscontrano anche nei casi in cui le risorse vengono impiegate per un solo prodotto
(o per un solo centro di costo, o altro tipo di oggetto), per cui non vi sono problemi di
imputazione.
B) I costi indiretti vengono attribuiti ai centri o ai prodotti mediante una ripartizione, sempre più o
meno soggettiva, in quanto la misurazione oggettiva del consumo di risorsa per ciascun oggetto di
riferimento non è possibile:
Sono esempi di costi indiretti rispetto agli oggetti specifici di calcolo i costi per stipendi del
personale amministrativo, commerciale, tecnico (non di MOD) e molti dei c.d. costi generali,
sostenuti per il funzionamento dell’azienda nel suo insieme e non per progettare, produrre,
commercializzare, … specifici prodotti o altri oggetti.
BASE UNICA: il totale dei costi indiretti viene ripartito in proporzione ad una sola grandezza nota
Esempio
- Prodotti fabbricati dall’azienda: A, B e C - Totale dei costi indiretti industriali: € 1000000
- Base unica di ripartizione prescelta: ore di MOD
- Ore di MOD impiegate per il prodotto A: 10000
- Ore di MOD impiegate in totale per i prodotti A, B e C: 40000
BASE MULTIPLA: il totale dei costi indiretti viene suddiviso in classi omogenee, a ciascuna delle
quali si applica un criterio di ripartizione appropriato; tale procedimento conferisce maggiore
attendibilità all’imputazione dei costi indiretti, differenziandola opportunamente secondo le
proprietà delle varie voci di costo
Esempio
- Prodotti fabbricati dall’azienda: A, B e C
- Totale dei costi indiretti industriali: € 1000000, di cui € 400000 relativi a MOI e € 600000 relativi ad ammortamenti di
macchinari
- Basi di ripartizione prescelte: ore di MOD (per il costo della MOI); ore-macchina (per l’ammortamento del costo dei
macchinari)
- Ore di MOD impiegate per il prodotto A: 10000 (su un totale di 40000)
- Ore-macchina impiegate per il prodotto A: 5000 (su un totale di 15000)
La ripartizione dei costi indiretti, specie su base multipla, va effettuata nel rispetto del c.d.
principio funzionale o causale, per cui si devono “assegnare ad ogni oggetto di costo valori che
siano espressione quanto più significativa del ‘concorso’ offerto da ciascun fattore produttivo
all’oggetto stesso”.
Dato che il COSTO PIENO di prodotto o di altro oggetto, cioè il costo inclusivo anche di una quota
di costi indiretti, assume una notevole rilevanza per gli scopi gestionali che il COST-ACCOUNTING
persegue, l’imputazione dei COSTI INDIRETTI rappresenta uno dei nodi cruciali da sciogliere nel
campo delle determinazioni economico-quantitative d’azienda. Le metodologie di cost accounting
più usate per la corretta imputazione dei costi indiretti sono: Contabilità per Centri di Costo, ABC.
L’analisi del comportamento dei costi presuppone che i costi dei fattori produttivi vengano messi
in relazione con le variabili esplicative o determinanti che ne causano il sostenimento.
Ad es., il costo del fattore produttivo “materia prima” può variare in relazione a cambiamenti di
volume di produzione, di efficienza nell’impiego della risorsa, di prezzo di acquisto della stessa, …
Tale analisi è perciò fondamentale ai fini della Programmazione della Gestione, e cioè del Controllo
a preventivo delle conseguenze economiche di certe scelte di gestione.
Tradizionalmente, la variabile utilizzata per l’analisi dell’andamento o della variabilità dei costi è il
VOLUME, cioè la quantità di produzione o di vendita di certi beni o servizi.
Questo per due semplici motivi:
- il volume è una variabile sempre rilevante ai fini dei risultati economici attesi;
- la relazione costi-volumi è più agevolmente analizzabile e “modellizzabile” di quanto non siano le
relazioni tra costi ed altre variabili.
Concentrarsi sul volume significa trascurare ogni altra variabile esplicativa dell’entità del costo
delle risorse (ad es. ipotizzare come dati un certo livello di efficienza e di prezzo d’acquisto) ed
analizzare come variano i costi a seconda del livello di attività.
– COSTI VARIABILI – COSTI FISSI discrezionali + vincolati (di struttura) – COSTI MISTI
Costi il cui importo varia in Costi il cui importo non varia a Costi che al variare del volume
proporzione al volume di fronte di ipotesi alternative di sono scindibili in due componenti
produzione (costi proporzionali) volume (restano invariati) (costi semi-variabili):
Esempio
Volume produzione:
1000/1100/1500 unità
Costo totale energia elettrica:
11000 (1000 fisso, 10000 var.)/
12000 (1000 fisso, 11000 var.)/
16000 (1000 fisso, 15000 var.)
Costi totali
y = ammontare costo
totale risorsa presa in
esame
b = ammontare costo
unitario
Volume
Ps. La retta raffigurante i costi misti, oltre all’andamento delle specifiche voci di costo “miste”,
rappresenta pure il comportamento dei “costi pieni”, intesi come sommatoria di tutte le singole
voci di costo, siano esse variabili, fisse o miste.
A) LIMITI DI SIGNIFICATIVITA’: è ragionevole supporre che l’ottica di analisi del manager sia
innanzitutto quella del BUDGET (strumento preventivo di programmazione di breve periodo).
Cioè l’azienda si accinge a formulare i propri programmi di gestione per un periodo
sufficientemente breve e “dominabile”, disponendo già di una struttura o capacità produttiva
decisa a monte, in sede di PS.
Tale “capacità” impone una serie di costi che l’azienda deve sostenere comunque nel periodo di
Budget qualunque sia il suo grado di utilizzo.
Si tratta di COSTI DI CAPACITA’, che restano costanti per ampi intervalli di produzione, così
classificabili:
– costi variabili in proporzione al volume o costi variabili tout-court si tratta di costi variabili nel
vero senso della parola (includono costi con un intervallo di invariabilità molto limitato, o a “scalini
molto stretti”) (variabili in senso stretto)
– costi variabili in rapporto al volume ma solo a scatti (andamento a scalini) hanno una
variabilità (a scatti) in rapporto al volume, che in genere viene “bloccata” in sede di budget e cioè
con le decisioni su cui quest’ultimo si basa (variabili a scatti)
– costi la cui variabilità non ha come fattore esplicativo il volume di produzione vengono decisi
anno per anno, ed una volta decisi gli stanziamenti sono assimilabili agli altri costi fissi (discrezionali)
Quindi, in sede di costruzione del budget annuale, - si determina l’entità di risorse il cui fabbisogno
è proporzionale al volume di produzione/vendita (costi variabili in senso stretto), - si prende atto
dei piani con cui una serie di capacità è già stata preordinata, ed è immodificabile nel breve
periodo (che impongono una serie di costi fissi), - si decide il grado di utilizzazione di tale capacità
e con esso si determina l’entità dei costi il cui andamento è stato definito variabile a scalini, - si
decide l’entità di alcuni costi la cui misura è svincolata dalla variabile volume, ma dipende da
decisioni discrezionali degli organi aziendali finalizzate allo “sviluppo” (c.d. costi discrezionali: costi
per attuare programmi di R&S, di formazione del personale, di pubblicità, …).
Semplificando i concetti:
- I COSTI DI CAPACITA’ sono fissi in corrispondenza di un intervallo di produzione cha va da 0 ad
un volume massimo producibile con quella capacità. Quando si redige il budget essi sono già stati
assegnati o vincolati dalle strategie a monte del budget.
- I COSTI A SCALINI sono fissi nell’ambito di un intervallo di produzione (all’interno della capacità
produttiva massima) entro cui cade il volume previsto a budget. Una volta programmati nel
budget, rimangono bloccati (e vanno considerati fissi anche al di sotto del limite di significatività).
Nel caso in cui esista flessibilità nel liberarsi delle risorse eccedenti, continuerebbero ad essere
variabili a scalini.
- I COSTI DISCREZIONALI non hanno legami con il volume e quindi hanno lo stesso ammontare
quale che sia il volume di produzione.
B) RISORSE IMPEGNATE: i vari fattori produttivi differiscono per la prontezza di adattamento dei
loro consumi rispetto al fabbisogno, cioè rispetto alla domanda dei loro servizi che la produzione
suscita.
Vi sono risorse come le materie prime il cui costo (cioè il cui consumo) può essere
tempestivamente adattato alle esigenze della loro domanda, generata dai livelli di produzione (se
questa è inferiore, il loro consumo può essere agevolmente ridotto, accumulando le materie prime
non utilizzate in scorte).
I costi di altre risorse, come la MOD (benché annoverata tra i costi variabili), presentano un grado
di adattabilità minore. La MOD ad es. mette a disposizione un flusso potenziale di servizi (es. 1500
ore all’anno); se poi il suo fabbisogno effettivo è solo di 1300 ore, il costo per l’azienda non cambia
nel breve periodo, cioè non è adattabile con prontezza alla domanda. Si tratta cioè di una risorsa
“impegnata”, messa a disposizione in anticipo rispetto alla produzione e non accumulabile e
riutilizzabile come ad es. le materie prime.
Naturalmente, anche la MOD è un costo adattabile ai fabbisogni, semplicemente richiede un lasso
di tempo più lungo (ad es. per licenziamenti/riconversioni dei lavoratori); inoltre, in caso di
maggior fabbisogno presenta minore rigidità (ad es. ricorso al lavoro straordinario).
C) SIGNIFICATO GESTIONALE DEI PARAMETRI DELLA RETTA (A e B): la funzione dei costi pieni
totali è:
I costi fissi totali (a) sono la risultante di due tipi fondamentali di decisioni:
– decisioni con cui l’azienda si dota di varie CAPACITA’, cioè di risorse tecniche e umane con cui si
delimita, per periodi diversi da risorsa a risorsa, la capacità di produrre (costi di struttura o
vincolati)
– decisioni con cui sceglie gli obiettivi di sviluppo in senso lato, ossia sviluppo delle conoscenze
tecnico-scientifiche, delle risorse umane, dell’immagine aziendale, … (costi discrezionali)
f = standard unitario fisico della risorsa considerata (quantità fisica di risorsa che occorre per ottenere 1 unità di
prodotto o output) esprime il grado di efficienza interna nell’impiego della risorsa
m = standard monetario o prezzo unitario standard della risorsa stessa (prezzo di acquisto di 1 unità della risorsa in
esame) esprime il grado di efficienza esterna cioè nei rapporti con i fornitori di risorse
In definitiva, per agire sui costi che caratterizzano la struttura economica di un’azienda occorre:
– prendere adeguate decisioni di capacità in sede di piano o di budget, alleggerendo il carico dei
costi di struttura;
– fare scelte di sviluppo (know-how, qualità professionali, …) supportate da un’analisi delle risorse
tecnicamente occorrenti per ottenere gli obiettivi di lungo periodo auspicati;
– intervenire sulle cause prossime e remote dell’efficienza interna (ad es. qualità dei materiali,
organizzazione del lavoro, …);
– operare sui mercati di approvvigionamento dei fattori produttivi per migliorare l’efficienza
esterna.
Questa classificazione chiama in causa un particolare momento del CdG, vale a dire la valutazione
dei risultati e la responsabilizzazione dei manager sui medesimi.
Possiamo distinguere in:
– COSTI CONTROLLABILI
– COSTI NON CONTROLLABILI
La responsabilità dei manager può assumere diverse gradazioni a seconda del livello di
“influenzabilità” sull’entità dei costi, che dipende dal tipo di risorsa impiegata e dalle leve
decisionali disponibili; per cui, vi saranno costi più o meno controllabili.
L’unico punto fermo è che si tratta di una distinzione di carattere organizzativo, piuttosto che
economico o contabile, per cui i problemi di controllabilità/responsabilizzazione dei costi vanno
risolti alla luce dei principi di organizzazione aziendale e delle scelte organizzative aziendali.
Ai fini dell’imputazione dei costi a particolari oggetti della gestione aziendale, come i prodotti,
particolarmente importante è la determinazione del COSTO DI PRODOTTO; prima delle sue
modalità di calcolo, occorre chiarire il concetto di configurazione di costo.
CONFIGURAZIONE DI COSTO: contenuto che ha il costo di prodotto in termini di voci incluse nel
calcolo; la configurazione di costo può essere a “COSTI PIENI” (comprensivi di tutte le voci di costo
del CE) o a “COSTI PARZIALI” (includono solo alcune di tali voci come ad es. i soli costi variabili).
1) Costo Variabile: figura di costo che presuppone la chiara separazione dei Costi Variabili (inclusi
nel calcolo) dai Costi Fissi (esclusi dal calcolo). Esso include i soli componenti variabili, ad es. per un
dato prodotto:
MOD = 40 € Materie Prime = 100 € Materie Ausiliarie = 5 € Forza Motrice = 10 €
Servizi Esterni = 5 € COSTO VARIABILE = 160 €
2) Costo Primo o Diretto: deriva dalla somma dei Costi Diretti, senza alcuna imputazione di quote
di Costi Indiretti.
Costi variabili (che si presumono diretti) + Costi fissi diretti (es. ammortamenti specifici)
MOD = 40 € Materie Prime = 100 € Materie Ausiliarie = 5 € Forza Motrice = 10 €
Servizi Esterni = 5 € Ammortamenti specifici = 25 € COSTO DIRETTO = 185 €
3) Costo Industriale: è dato dalla somma del costo delle materie prime con i costi di
trasformazione industriale delle medesime (MOD, MOI, stipendi tecnici, energia elettrica, materiali
ausiliari, ammortamenti, …). Tale figura di costo richiede la ripartizione dei costi indiretti industriali
che sono una parte dei costi di trasformazione.
Materie prime = 100 € Costo Trasformazione = 120 € COSTO INDUSTRIALE = 220 €
Rispetto al Costo Variabile, il Costo Industriale include anche i costi fissi di natura industriale,
mentre non include i costi variabili non industriali (es. servizi esterni).
Rispetto al Costo Diretto, il Costo Industriale include anche i costi indiretti industriali (es. stipendi
tecnici) mentre non include gli eventuali costi diretti non industriali.
4) Costo Operativo: è dato dalla somma del costo industriale più tutti i costi non industriali della
gestione operativa: costi commerciali, costi amministrativi, costi generali aziendali di varia natura.
I costi industriali di solito sono indiretti e quindi imputati pro-quota (es. una quota di stipendi
amministrativi) ma possono essere anche diretti (es. costi di trasporto specifici di un prodotto).
Materie prime = 100 € Costo Trasformazione = 120 €
Quota Costi Amministrativi, Commerciali, Generali = 50 € COSTO OPERATIVO = 270 €
– COSTO PIENO o COMPLESSIVO: configurazione di costo che in teoria dovrebbe includere tutte le
voci di costo dell’azienda, cioè tutti i costi del CE, attribuiti a quell’oggetto di calcolo in modo
diverso a seconda che si tratti di Costi Diretti o Costi Indiretti.
Esso corrisponde al costo operativo più un certo quid dato da quote di costi extra-operativi.
Materie prime = 100 € Costo Trasformazione = 120 €
Quota Costi Amministrativi, Commerciali, Generali = 50 € Quota Costi Extra-operativi = 10 €
COSTO COMPLESSIVO = 280 €
Di fatto, difficilmente il Costo Operativo e il Costo Pieno sono veramente impiegati in tale
versione, nel senso che spesso si rinuncia all’imputazione di alcune voci di costo di varia natura
(amministrativa, commerciale, di ricerca, …) che potrebbero essere imputate al prodotto solo con
metodologie “grossolane”, in quanto si tratta di risorse impiegate per la gestione globale
dell’azienda e non ricollegabili a singoli prodotti o altri oggetti.
La scelta della configurazione di costo è legata agli SCOPI OPERATIVI perseguiti principio
fondamentale del Cost Accounting e del CdG
Per certe finalità è sufficiente ragionare in termini di Costi Parziali (ad es. Costi Variabili), per altre
è opportuno conoscere il Costo Complessivo (fermo restando che se determino il Costo
Complessivo posso sempre scomporlo nelle sue parti, mentre se calcolo il Costo Parziale perdo
l’informazione sul Costo Pieno).
Il CE (globale aziendale) di analisi reddituale basato sui costi variabili sarà: (direct costing)
(*) costo variabile del venduto = costi variabili della quantità prodotta + rimanenze iniziali di prodotti valutate a costi
variabili – rimanenze finali di prodotti valutate a costi variabili
(**) si includono tutti i costi fissi, sia operativi sia extra-operativi; i costi fissi sono imputati non al singolo prodotto (A,
B, C) ma sul totale del MLC
In tal caso, il CE di analisi reddituale basato sui costi diretti viene rappresentato, rispetto a quello a
costi variabili, con una variante che ne arricchisce le potenzialità informative ad uso direzionale, in
cui i costi fissi sono distinti in due categorie: costi fissi diretti (imputati ai prodotti) e costi fissi
indiretti (non imputati), per cui di ciascun prodotto si determinano i due livelli di margine di
contribuzione (rispettivamente MLC e MSLC).
IL MSLC è un risultato economico molto importante perché segnala il reddito di specifica
competenza di un prodotto, considerando solo le risorse finalizzate a quell’oggetto; è utile per
valutazioni di convenienza economica circa l’eventuale eliminazione del prodotto in questione,
oltre che per il controllo dell’efficienza economica a livello di prodotto.
Il CE (globale aziendale) di analisi reddituale basato sui costi diretti sarà: (direct costing a due livelli)
Tra le varie strutture di CE rilevanti per scopi di CdG, la struttura “a ricavi e costi industriali” risulta
tradizionalmente importante per le aziende industriali.
Il CE (globale aziendale) di analisi reddituale basato sui costi industriali sarà: (full costing)
(*) costo industriale del venduto = costi industriali (variabili e fissi; diretti e indiretti) della quantità prodotta +
rimanenze iniziali – rimanenze finali
(**) si includono tutti i costi amministrativi, commerciali, finanziari ecc.
In sintesi:
In relazione alla configurazione di costo prescelta, la contabilità analitica viene distinta in due tipologie:
- direct costing o contabilità a costi variabili (direttamente proporzionale al volume),
- full costing o contabilità a costi pieni (costo pieno compresi costi di varia natura).
Queste due configurazioni di costo conducono a differenti strutture di CE di contabilità analitica e cioè di CE Gestionale
derivante dalle elaborazioni delle contabilità analitica.
Il direct costing imputa ai prodotti i soli costi variabili e considera tutto l’ammontare di costi fissi come costi di periodo
(no rinvio al futuro di rimanenze, che sono attribuite TUTTE al periodo di competenza, cioè al periodo in cui si sta
producendo quel prodotto e per il quale si sostengono quei Costi Variabili). Il risultato economico di prodotto assume la
configurazione di “margine lordo di contribuzione”.
- semplice da realizzare, - rilevazione molto oggettiva, - visuale parziale (no costi fissi indiretti), - informazione costo limitata, - orizzonte temporale di
breve periodo (decisioni di breve periodo)
È possibile esprimere una variante del CE con il direct costing, scindendo i costi fissi in costi fissi diretti e costi fissi
indiretti, imputabili e non imputabili direttamente ai prodotti. Con questa metodologia viene introdotto il “margine
semi-lordo di contribuzione” (i Costi Fissi diretti sono attribuiti non complessivamente, ma al singolo prodotto di
riferimento).
Per la contabilità analitica full costing, si presuppone una configurazione di costo industriale anziché di costo pieno. Di
ciascun prodotto si determina un risultato economico noto come “margine (utile) lordo industriale” (Gross Margin) per
cui i soli costi non industriali (amministrativi, commerciali, generali) vengono esclusi dall’imputazione ai prodotti.
- metodologia più completa ma anche più problematica (imputazione anche dei costi indiretti), - incertezza ed elementi di soggettività (per
l’imputazione di quote di costi indiretti al prodotto)
a) imputando il costo delle singole voci ai prodotti senza la “mediazione” di oggetti intermedi
(Contabilità Semplificata);
b) imputando le voci di costo ai prodotti attraverso i “centri di costo” (Contabilità per Centri di
Costo);
c) imputando le voci di costo ai prodotti previo addebito alle attività di gestione (ABC ACTIVITY
BASED COSTING o contabilità basata sulle attività).
Ps. L’addebito ai prodotti di costi secondo diverse metodologie riguarda soprattutto i costi
indiretti, mentre i costi diretti non richiedono di norma passaggi intermedi del tipo b) o c)
svolgimento della gestione (attività e processi); ciò rende difficile identificare la vera causa
gestionale o determinante che ha generato il costo stesso.
prodotti
a, b, c,
…
calcolo del costo di prodotto con metodo semplificato
b) CONTABILITA’ PER CENTRI DI COSTO: con tale metodo l’azienda viene analizzata per centri di
costo, ad es. reparti, uffici, laboratori, …
Le voci di costo vengono prima addebitate a tali centri di costo e quindi ai prodotti.
In pratica, i prodotti richiedono l’operato dei vari centri di responsabilità in cui è suddivisa la
struttura organizzativa e questi necessitano di risorse, i cui costi vanno imputati ai centri.
La contabilità per centri di costo è più attendibile della contabilità semplificata, ma può non
soddisfare il principio causale; infatti, realizzare prodotti significa svolgere specifiche attività di
gestione, e non semplicemente far operare dei centri di costo, che svolgono molteplici attività.
MOD ed CENTRI DI
altri costi COSTO
diretti C1, C2, C3,…
prodotti
a, b, c,
…
calcolo del costo di prodotto con
metodo dei centri di costo
c) ABC ACTIVITY BASED COSTING: si analizza la gestione aziendale (cioè i centri di costo) per
“attività”, cioè insieme elementari di operazioni di gestione svolte dai centri stessi.
Le voci di costo vengono dapprima imputate alle attività e quindi ai prodotti.
L’ABC è una sorta di calcolo del costo del prodotto per contabilità per centri di costo più evoluto.
MOD ed
altri costi ATTIVITA’
diretti A1, A2, A3, …
prodotti
a, b, c,
…
calcolo del costo di prodotto con
metodo dell’ABC
In sintesi:
CONTABILITA’ SEMPLIFICATA: i prodotti per essere realizzati richiedono l’impiego di risorse. I costi
di tali risorse vanno imputati ai prodotti, senza transitare per oggetti intermedi.
CONTABILITA’ PER CENTRI DI COSTO: i prodotti richiedono l’operato dei vari CdR in cui è suddivisa
la struttura organizzativa aziendale e questi necessitano di risorse; quindi, i costi delle risorse
vanno imputati ai centri e i costi dei centri vanno successivamente imputati ai prodotti.
CONTABILITA’ BASATA SULLE ATTIVITA’: i prodotti sono realizzati mediante lo svolgimento di
specifiche attività e queste richiedono l’utilizzo di risorse. I costi delle risorse vanno addebitati alle
attività e i costi delle attività devono essere attribuiti ai prodotti.
Le tre metodologie non solo conducono a diversi risultati, ma li rappresentano da un punto di vista
della struttura del Costo Pieno di prodotto, in modo diverso (contabilità semplificata onerosità
delle singole risorse per prodotto; contabilità per centri di costo incidenza dei centri di costo sul
prodotto; ABC costi delle specifiche attività svolte per ottenere il prodotto).
I costi ed in particolare le voci indirette dovrebbero sempre essere imputati in maniera tale da
riflettere la causa o determinante (DRIVER) che ne ha provocato il sostenimento PRINCIPIO
CAUSALE
es. driver dei costi del personale addetto alla spedizione merci ai clienti numero di spedizioni effettuate (più queste
sono numerose, più la risorsa in esame viene impiegata)
Considerazioni:
a) Il driver di un costo va ricercato di volta in volta ed è più probabile individuarlo correttamente
se si scompone la gestione in attività, come avviene nell’ABC.
b) Il principio causale va sempre rispettato, affinché i costi siano imputati ai loro oggetti in base al
reale fabbisogno di risorse che questi esprimono.
c) Il principio causale può essere correttamente applicato solo usando metodologie di COST-
ACCOUNTING molto analitiche che scompongono la gestione in modo da far emergere modelli
realistici di fabbisogno delle risorse
d) Nella pratica, molti costi indiretti sono imputati ai prodotti in modo grossolano: la scarsa
correttezza di molte prassi contabili aziendali può pesantemente condizionare la razionalità
economica di importanti decisioni, generando fenomeni di sovvenzione incrociata tra un prodotto
e l’altro: cioè fanno apparire redditizi prodotti che non lo sono ed antieconomici prodotti in realtà
profittevoli.
Ciò si verifica spesso ove è diffusa la prassi di imputazione di costi indiretti in base a criteri
“volumetrici”, cioè criteri fondati su misure di volume di produzione (fatturato, ore di MOD, ore-
macchina, n. di pezzi, quintali); è l’esempio tipico di molte aziende industriali.
SOVVENZIONAMENTO INCROCIATO: fenomeno che si verifica per effetto di prassi di imputazione dei costi indiretti ai
prodotti basati su criteri volumetrici, cioè fondati su misure di volume di produzione (fatturato, ore di MOD, ore-macchina,
n. di pezzi, quintali); quando ciò avviene, si fanno apparire redditizi prodotti poco profittevoli ed antieconomici prodotti
molto profittevoli, condizionando pesantemente la razionalità economica di importanti decisioni.
si ripartiscono erroneamente i costi indiretti ai prodotti su base volumetrica (sovvenzione incrociata) limite dei
tradizionali sistemi di contabilità ad es., nella contabilità per centri di costo non esiste un criterio oggettivo per
imputare i costi indiretti al prodotto, ma essi vengono assegnati secondo parametri volumetrici, con la presunzione che i
prodotti a più alto contenuto di costi variabili assorbano maggiori costi indiretti risultato: i prodotti ad alto volume e
maturi risultano meno redditizi di quelli nuovi e a basso volume
Ai fini del CdG, occorre osservare anche i RICAVI. I ricavi a cui ci riferisce sono i ricavi di vendita
dei beni o dei servizi oggetto del business aziendale.
RICAVI DI VENDITA - COSTI OPERATIVI = REDDITO/RISULTATO OPERATIVO NETTO della gestione
Quando costi e ricavi suddetti vengono messi in relazione non solo tra loro, ma anche con il
volume di produzione/vendita, si parla di analisi Costi-Ricavi-Volumi o di analisi del punto di
pareggio (Break-Even Analysis).
Tale espressione sta a significare che è interessante per la direzione sapere a quale livello di
produzione (volume) si è in grado di raggiungere il pareggio tra costi e ricavi. Tale volume è
denominato volume di pareggio o punto di pareggio (Break-Even Point o BEP).
BEP BREAK EVEN POINT: Il volume di pareggio si misura dividendo i costi fissi totali (a) per il
Margine Lordo di Contribuzione Unitario (p - b)
Ricavi totali
(p * x)
Costi totali
(a + b * x)
volume di pareggio
Volume di vendita
px = a + bx
L’analisi CRV:
a) è uno strumento utile per il management, in quanto permette di correlare il profitto alla
variabile Volume;
b) graficamente, a sx del volume di pareggio si hanno volumi insufficienti a far chiudere i conti in
pareggio (riduzione produzione/vendita aumento perdite) mentre a dx del BEP si
conseguono utili via via crescenti, man mano che ci si spinge verso i limiti della CAPACITA’
massima aziendale.
c) L’interesse del management è rivolto non solo al BEP, ma anche all’analisi delle principali
variabili gestionali su cui agire per ottenere un certo livello di reddito atteso (oltre al volume:
efficienza, capacità produttiva, prezzi di vendita, …)
d) L’analisi C-R-V ha delle limitazioni (ad es. suppone l’esistenza di un solo prodotto o di una
produzione omogenea relativamente all’unità di misura del suo volume) e richiede
precisazioni, approfondimenti, aggiustamenti, per essere uno strumento utile per la direzione
aziendale.
2) INFORMAZIONI RICAVABILI: la vera funzione dell’analisi CRV non è tanto la ricerca del volume
di pareggio, ma piuttosto una riflessione sul volume e su altre macro-variabili gestionali influenti
sul risultato economico atteso. I macro-fattori esplorabili con l’analisi CRV sono:
- volume di vendita - efficienza interna (delle risorse che generano Costi Variabili)
- efficienza esterna (prezzi di acquisto delle risorse) - decisioni di capacità produttiva
- scelte discrezionali di programma annuale - prezzo di vendita
E’ in sintesi uno strumento di SIMULAZIONE dell’impatto sul profitto delle diverse variabili da cui
esso dipende.
R=a+k*R
R = ricavi di vendita a = costi fissi totali k = incidenza unitaria costi variabili totali sui ricavi di vendita totali
R(bep) = a / (1 - k)
Il ricavo di pareggio R(bep) è il rapporto tra i costi fissi totali (a) ed il margine lordo di contribuzione mediamente
conseguibile da ogni unità monetaria di fatturato (1 - k) [coefficiente di contribuzione unitario], dove k è l’incidenza
media dei costi variabili sui ricavi di vendita dei prodotti aziendali (es. k = 0,4 o 40% significa che mediamente i costi
variabili sono il 40% dei ricavi di vendita dei vari prodotti, per cui il coefficiente di contribuzione è di 0,6 o 60%, cioè
ogni € di vendita garantisce mediamente 0,6 € di margine di contribuzione)
ESEMPIO
Az. A Produzione diversificata Costi fissi = 100000 € incidenza media dei costi variabili sui ricavi di vendita = 60%
BEP = ?
R(bep) = 100000 € / (1 - 0,60) = 100000 € / 0,40 = 250000 €
L’Az. B ha un migliore BEP rispetto all’Az. A perché ha una minore incidenza dei costi variabili sui ricavi di vendita (k =
0,5 contro 0,6) dovuta:
- a maggiore efficienza nell’impiego di risorse e/o
- a un rapporto prezzi/ricavo e prezzi/costo più favorevole e/o
- a un mix produttivo più conveniente (a seconda della gamma produttiva prescelta e del peso che in essa ciascun
prodotto o famiglia di prodotti ha sul totale delle vendita, cambia l’incidenza media dei costi variabili sui ricavi di
vendita)
- RISCHIO OPERATIVO: riguarda l’eventualità che il risultato della gestione caratteristica (reddito
operativo) sia compromesso da una struttura economica “squilibrata”; per struttura economica si
intende la composizione dei costi dal punto di vista della loro rigidità rispetto al volume (costi fissi
e variabili).
forte presenza di costi fissi struttura economica rigida seri rischi operativi (forti riduzioni di volume possono
abbattere il reddito operativo e quindi il suo contributo alla remunerazione degli azionisti)
Il rischio operativo è collegato al concetto di leva operativa.
+ rischio operativo (+ costi fissi) + leva operativa
- LEVA OPERATIVA = Variazione % Reddito operativo tot. = Margine lordo di contribuzione tot.
Variazione % Quantità di produzione Reddito operativo tot.
La leva operativa è caratterizzata dal fatto che rende visibile, sia pure indirettamente, la struttura
economica in termini di Costi Fissi e di Costi Variabili (infatti il MLC è influenzato dai soli Costi
Variabili, il RO risente anche dell’entità dei Costi Fissi).
Esempio
azienda A azienda B
* 100 € di ricavi = 2 € x 50 pz.
Ricavi vendite 100 * 100 *
** 60 € di costi az. a = 1,2 € x 50 pz.
- Costi variabili 60 ** 25 **
25 € di costi az. b = 0,5 € x 50 pz.
Margine lordo di contribuzione 40 75
- Costi fissi operativi 25 60
Reddito operativo 15 15
L’azienda a, nonostante abbia lo stesso reddito operativo e gli stessi ricavi di vendita si dimostra più flessibile e meno esposta a
contrazione di volumi di vendita.
In pratica la leva operativa esprime il GRADO DI ELASTICITA’ del Reddito Operativo rispetto alla
quantità di produzione; la leva operativa sarà alta se abbiamo un basso grado di elasticità, sarà
bassa se abbiamo un alto grado di elasticità.
La contabilità analitica e l’analisi dei costi (e dei ricavi) producono informazioni utilizzabili dalla
direzione per una pluralità di scopi. Gli scopi fondamentali sono :
a) I calcoli di convenienza economica al fine di formulare decisioni economicamente corrette.
b) La misurazione dell’efficienza (e in parte dell’efficacia) economica della gestione e la
responsabilizzazione dei manager.
c) La valutazione di particolari voci del bilancio d’esercizio, come nel caso tipico delle rimanenze
di magazzino.
In particolare, le prime due finalità (supporto alle decisioni dei manager secondo criteri di
economicità, monitoraggio dell’efficienza economica della gestione) riflettono al meglio quella che
è l’essenza del CdG.
Le decisioni aziendali si distinguono in:
1) Decisioni di GESTIONE STRATEGICA (c.d. di investimento) con cui l’azienda si dota ad es. di una
capacità produttiva destinata ad un utilizzo ripartito negli anni; tali decisioni comportano
conseguenze economiche che si distribuiscono lungo un arco di tempo pluriennale
LUNGO PERIODO
2) Decisioni di GESTIONE CORRENTE con cui l’azienda utilizza la capacità o gli investimenti di cui
sopra, ad es. quanto produrre nell’anno di budget, prezzi di vendita dei prodotti, mix di prodotti da
realizzare; tali decisioni sono correnti e abbracciano un periodo breve, come l’anno di budget
BREVE PERIODO
Il modello di ragionamento necessario per formulare decisioni economicamente corrette, sia di
gestione strategica sia di gestione corrente, è lo stesso ed è detto ragionamento “DIFFERENZIALE”.
Si pensi in particolare alle decisioni di gestione corrente, in sede di costruzione del budget o per
dare attuazione concreta al budget: volume da produrre o vendere, prezzo di vendita dei prodotti,
scelte di make or buy, se mantenere o eliminare un prodotto dalla gamma aziendale, …; si tratta di
scegliere tra una pluralità di alternative in vista del raggiungimento di un obiettivo di natura
economica, che è rappresentato dal reddito.
Un’alternativa verrà preferita ad un’altra se il suo impatto sul reddito sarà maggiore; La
misurazione dell’impatto sul risultato economico atteso richiede l’uso del c.d. RAGIONAMENTO
“DIFFERENZIALE”.
APPROCCIO DIFFERENZIALE
Si tratta di schematizzare le informazioni in nostro possesso (derivanti dalla contabilità analitica)
secondo questo schema :
Se tale risultato è negativo siamo di fronte ad uno “svantaggio economico netto” che ci induce a
rinunciare all’alternativa. Se tale risultato è positivo siamo di fronte ad un “vantaggio economico
differenziale” che ci induce ad adottare la soluzione alternativa ipotizzata.
Esempio 1
A) vantaggi economici differenziali = ricavi emergenti (0) + costi cessanti (60 + 40) = 100 (Totale A)
B) svantaggi economici differenziali = ricavi cessanti (0) + costi emergenti (130) = 130 (Totale B)
(A - B) risultato economico differenziale = 100 - 130 = - 30
30 è uno svantaggio economico netto, legato all’ipotesi di rivolgersi a fornitori esterni; ciò significa un peggioramento
del risultato economico di 30 € al pezzo (30000 € in totale), quindi non conviene acquistare il prodotto dall’esterno.
Esempio 2
Costo pieno unitario del prodotto = 82 (di cui 17 di costi variabili) Prezzo unitario di vendita del prodotto = 90
Volume di produzione= 10000 unità
La direzione commerciale propone di ridurre il prezzo di vendita del 10% (81) e di incrementare il volume di 1500 unità:
la decisione è anti-economica?
Per quanto riguarda la scelta della configurazione ottimale di costo (e di risultato economico) su
cui impostare il cost accounting (è preferibile una contabilità a costi variabili [direct costing] o a
costi pieni [full costing] a supporto delle decisioni?), è possibile rilevare, rispetto alle decisioni di
gestione corrente, che:
- per alcune decisioni vanno considerati i soli costi variabili e il MLC (talune scelte di mix, di prezzo,
di make or buy, …, purché non richiedano variazioni di capacità o struttura)
- a volte occorre fare riferimento ai costi diretti di un certo oggetto, cioè alla somma di costi
variabili e costi fissi specifici, e al MSLC (scelta di eliminare un prodotto o un reparto)
- in altri casi occorre rifarsi a configurazioni di costo ad hoc.
In conclusione, il modello basato sui Costi Pieni è quello che può garantire le maggiori possibilità
applicative, non perché si debba utilizzare prevalentemente questa configurazione di costo nei
calcoli di convenienza economica di gestione corrente (che anzi spesso richiedono figure di costo
parziali) ma perché il Costo Pieno include tutte le voci di costo.
Tra gli approcci recenti e innovativi in materia di determinazione e gestione dei costi aziendali si
citano (scopo comune: orientare le scelte aziendali alla riduzione del costo di prodotto):
- LA DETERMINAZIONE DEI COSTI LUNGO IL CICLO DI VITA DEI PRODOTTI: consiste nello stimare a
priori tutti i costi che si sosterranno per un dato prodotto, lungo le varie fasi del suo ciclo
complessivo di vita: R&S, progettazione, fabbricazione, marketing, distribuzione, servizio alla
clientela, fino all’eliminazione. In tal modo si può intervenire subito, fin dalla progettazione, con
decisioni capaci di garantire risparmi di costi futuri
100
% dei costi 80 Risorse impegnate
del ciclo di 60 Risorse impiegate
vita 40
20
0 Pianificazione Progettazione Progettazione Produzione Assistenza post-
preliminare dettagliata vendita/
eliminazione
La stima dei costi di prodotto riguarda le risorse da impiegare nelle varie fasi ma anche le risorse già impegnate con
decisioni prese in sede di studio e progettazione; il fine è far acquisire alle diverse funzioni coinvolte una visione
d’insieme del prodotto e di gestire i suoi costi secondo una logica complessiva e non settoriale.
- TARGET COSTING: strumento di misurazione ex ante dei costi di prodotto, finalizzato alla
riduzione dei suoi costi di fabbricazione con interventi in sede di progettazione; definite le
specifiche di un prodotto da realizzare, si determina a preventivo il suo costo:
Prezzo di vendita “obiettivo” - Margine “obiettivo” = Costo di prodotto “obiettivo” (TARGET COST)
La conoscenza del target cost in sede di progettazione consente di intervenire prima che il
prodotto venga fabbricato per ridurre i costi del suo processo produttivo, allineandoli al valore-
obiettivo
- KAIZEN COSTING: strumento di misurazione ex ante dei costi di un prodotto, finalizzato alla
riduzione dei suoi costi di fabbricazione quando il prodotto è già in fase produttiva, e il target
costing non è più applicabile.
Per ottenere il margine di profitto programmato, è necessario agire sui costi che si sostengono per
dotare il prodotto degli attributi richiesti dal cliente, quindi “gestire” il costo di prodotto.
A differenza degli approcci tradizionali, il target costing offre un approccio diverso alla
progettazione di un prodotto: i primi fanno discendere la determinazione dei costi dalla
progettazione, il secondo indirizza le scelte di progettazione in funzione del target cost:
Approccio tradizionale:
Definizione caratteristiche prodotto Progettazione prodotto Determinazione costi di prodotto Profitto
Prezzo
Approccio target costing:
Definizione caratteristiche prodotto Obiettivi di prezzo, volumi e profitto Target cost Progettazione prodotto
Il target costing è uno strumento che opera nella fase di ricerca e sviluppo e di progettazione del
prodotto, fasi cruciali perché in esse si effettuano scelte legate alle funzionalità del prodotto che
genereranno assorbimento di risorse, e quindi costi in fasi successive; in altre parole, è in queste
fasi che viene impegnata gran parte dei costi di un nuovo prodotto.
Il processo di target costing, per poter realizzare una gestione dei costi efficiente:
- è inter-funzionale, perché richiede che le diverse funzioni aziendali operino in modo integrato
fornendo ciascuna il proprio contributo in sede di progettazione
- prevede una continua verifica del progetto di prodotto per individuare la configurazione
compatibile sia con l’obiettivo di costo prefissato, sia con le caratteristiche funzionali del prodotto.
Se il costo prodotto previsto non è allineato al target cost, i vari soggetti coinvolti apportano il
proprio contributo per individuare le alternative migliori sotto il profilo tecnico ed economico.
Tale strumento (anch’esso sviluppatosi in Giappone) viene utilizzato nella fase di realizzazione dei
prodotti per individuare possibilità di miglioramento relative alla riduzione dei costi (kai zen:
orientamento costante al miglioramento).
Esso si differenzia dal target costing perché:
- opera solo nella fase produttiva, e ciò implica un numero più limitato di alternative tra cui
scegliere per contenere i costi, non potendo ridiscutere le caratteristiche tecniche-funzionali del
prodotto
- può comportare riduzioni dei costi rilevanti (nel processo produttivo) ma inferiori rispetto a
quanto avviene con il target costing.
La logica del kaizen costing, che si basa sul miglioramento continuo e incrementale delle
performance tramite una serie di interventi marginali, i cui effetti sono singolarmente limitati ma
nel complesso notevoli, presenta alcuni vantaggi evidenti:
a) consente un notevole coinvolgimento dei dipendenti, che conoscono meglio i problemi nello
svolgimento del lavoro e le possibilità di miglioramento
3. IL BUDGETING
3.1 IL BUDGET : CHE COSA E’, CHE COSA NON E’, A CHE COSA SERVE
Sebbene il processo di budget si concluda normalmente con la redazione del bilancio preventivo
(BP), associare il concetto di Budget a quello di BP è riduttivo. Ciò perché:
a) il BP è la veste “contabile” o economico-finanziaria del budget, l’atto finale del suo processo di
costruzione;
b) il “vero” contenuto del budget sono i programmi di gestione relativi all’esercizio successivo,
cioè l’insieme di scelte e modalità di attuazione decise dalla direzione sia nel campo della
gestione operativa (vendita, produzione, acquisti, …) sia in materia di gestione finanziaria
(investimenti e loro copertura), al fine di attuare concretamente i piani strategici;
c) non meno importante è la componente organizzativa che contraddistingue il budget, come
strumento di guida dei manager che impegna i soggetti coinvolti verso obiettivi prestabiliti,
responsabilizzandoli sui risultati.
Nelle piccole aziende, la cui struttura organizzativa è spesso elementare, il budget ha un ruolo di
programmazione senza però possedere implicazioni organizzative importanti. Aiuta il ristretto
nucleo direttivo ad attuare una corretta gestione programmata, cogliendone in anticipo le
conseguenze in termini economico-finanziari, ma non svolge un ruolo di responsabilizzazione
particolarmente incisivo, data l’assenza di una struttura manageriale articolata.
Nella aziende medio-grandi, il budget è sia uno strumento di simulazione dei risultati conseguenti
a date scelte, sia uno strumento di guida per attuare i programmi predefiniti e per raggiungere gli
obiettivi prestabiliti e di responsabilizzazione sui risultati. In queste aziende il budgeting è un
processo “diffuso” che coinvolge e responsabilizza un elevato numero di soggetti.
– Guidare il management nel corso dell’anno ad operare in conformità agli obiettivi prestabiliti
MOTIVARE fissa gli obiettivi dei manager; una gestione per obiettivi crea motivazione in quanto
soddisfa alcune esigenze e bisogni di realizzazione dell’individuo.
Il budgeting è il processo di costruzione del budget che passa attraverso varie fasi, aventi come
presupposto logico l’esistenza di precise strategie e di adeguati piani di medio-lungo periodo.
– Il budget ha una sua logica, nel senso che richiede una sequenza di fasi e collegamenti tra esse;
tale logica subisce adattamenti passando da un tipo di azienda ad un'altra (diverse sono la
produzione di serie e quella su commessa, la produzione di beni e quella di servizi), ma mantiene
comunque una sua validità generale.
– Il budgeting è un processo “iterativo” che richiede numerosi “ritorni di informazioni”, cioè le
varie fasi in sequenza possono facilmente subire inversioni, ripetizioni, modifiche.
– Una fase delicata è quella riguardante la quantificazione delle risorse occorrenti alla realizzazione
dei programmi operativi in termini di costi (di questi, solo una parte è esprimibile in modo tecnico
o parametrico, molti altri richiedono valutazioni discrezionali).
– Dopo aver consolidato i vari programmi settoriali ed aver ottenuto il BP, conseguente alle ipotesi
di gestione formulate, avviene l’approvazione da parte dell’alta direzione con la quale il budget
diviene esecutivo ed impegna il management alla sua attuazione. Se tale approvazione manca, il
budget viene riformulato.
– Un’ultima considerazione riguarda il ruolo delle rilevazioni contabili ed extra-contabili di natura
storica; i risultati storici sono insufficienti alla costruzione di un budget inteso come modello di
comportamento stimolante, ma nello stesso tempo sono una base di partenza imprescindibile,
senza la quale il budget potrebbe rivelarsi privo del fondamentale requisito del realismo.
Il processo di costruzione del Budget passa attraverso un certo numero di fasi, di cui alcune in
talune aziende non si presentano (es. programma delle scorte in una azienda di servizi), o si
manifestano con connotati particolari (es. preventivo dei ricavi e dei costi diretti nelle produzioni
su commessa); il budgeting più esteso è quello tipico delle imprese industriali.
BUDGET
- economico
- finanziario
- patrimoniale
A) FASCIA CENTRALE
Nello schema, la FASCIA CENTRALE corrisponde ai programmi operativi: vendite, produzione,
acquisti, ricerca, amministrazione, ..., cioè le attività da svolgere nell’ambito della gestione
operativa o caratteristica, alla luce dei piani strategici definiti nella pianificazione di lungo periodo.
Tali programmi operativi sono variamente articolati per ciò che concerne gli oggetti di riferimento
(prodotti, progetti, CdR, …) e si materializzano in scelte riguardanti tipicamente: volumi di output
da ottenere (es. volumi di vendita), tempi di ottenimento di tali output (es. mesi), i fabbisogni di
risorse occorrenti (escluse le risorse finanziarie).
B) FASCIA DESTRA
La FASCIA DESTRA corrisponde alla valorizzazione dei programmi operativi in termini economici:
costi, ricavi e risultati economici. I costi delle risorse sono la veste monetaria dei fabbisogni di
risorse di cui al punto A) e sono determinati secondo modalità diverse se parametrici, discrezionali
o vincolati.
La sintesi di tale processo di valorizzazione è il Conto Economico che in una prima fase si ferma al
reddito operativo; solo dopo, quando si saranno valutate le conseguenze finanziarie (ed in
generale extra-operative) dei programmi di gestione, si trasformerà in un Conto Economico
“completo” (cioè fino al reddito netto).
C) FASCIA SINISTRA
La FASCIA SINISTRA riflette le misurazioni finanziario-patrimoniali dei programmi sia operativi che
extra operativi (es. rimborso di debiti, pagamento di dividendi, …).
Tale misurazione consiste nella determinazione dei fabbisogni di capitale e delle relative coperture
e viene sintetizzata in due tipi di preventivo:
– finanziario (accoglie delle grandezze-flusso, riferite al periodo di budget);
– patrimoniale (che è uno stato patrimoniale-finanziario, che accoglie delle grandezze-
stock/fondo, riferite alla data di conclusione di tale periodo).
Gli obiettivi e i programmi dell’area commerciale (organi di vendita, uffici addetti alle ricerche di
mercato, servizi di pubblicità, …) sono espressi in termini di:
- volumi di vendita e relativi ricavi
- costi commerciali.
La parte fondamentale è il BUDGET DELLE VENDITE (programma delle vendite) consistente nel
determinare le quantità fisiche di produzione da collocare sul mercato nell’esercizio di budget.
Tale budget è fondamentale perché mette in moto tutto il processo di programmazione di breve
periodo e lo condiziona in modo determinante; pertanto richiede un grado di analisi piuttosto
elevato, compatibilmente con le informazioni di cui l’impresa dispone circa le prospettive di
mercato (ad es. troppo ottimismo potrebbe portare ad eccessivi rifornimenti di materiali, eccessivi
investimenti in capitale fisso, …; troppa prudenza potrebbe portare a perdita di opportunità di
vendita e di quote di mercato, …).
Il budget delle vendite è sostanzialmente un programma degli ordini da acquistare nel successivo
esercizio; tale programma, nel caso delle produzioni su previsione, coincide con il fatturato
aziendale, al contrario delle produzioni su commessa.
Il programma dei volumi di vendita è reso difficile dal gran numero di varabili esogene che ne
influenzano l’entità: il comportamento dei clienti, dei concorrenti, delle autorità pubbliche, … Per
fare programmi delle vendite affidabili allora si usano modelli di “programmazione basata sui
driver” che includono dati su macro-variabili economiche, posizione di mercato dell’impresa e dei
suoi concorrenti, prezzi di vendita, disponibilità di prodotti presso consumatori e distributori, …
Per passare dal programma dei volumi di vendita al BUDGET DEI RICAVI occorre valorizzare le
quantità fisiche ad un determinato prezzo unitario.
La formazione del prezzo di vendita di un prodotto è uno dei problemi più complessi che bisogna
affrontare in sede di budgeting.
La complessità del problema deriva dall’elevato numero di variabili che la decisione di prezzo
coinvolge (costi unitari di produzione, reattività al prezzo da parte di acquirenti e concorrenti,
vincoli di legge, relazioni con i prezzi di altri prodotti aziendali) e dalle forti interrelazioni tra tali
variabili (ad es. il costo unitario del prodotto, da cui spesso si fa dipendere il prezzo di vendita, a
sua volta dipende dalla quantità venduta).
Vista la complessità del problema, la pratica aziendale ha adottato una tecnica di determinazione
dei prezzi definita FULL COST PRICING.
FULL COST PRICING: consiste nel calcolare il prezzo di vendita sommando al costo pieno di
prodotto un certo quid a titolo di utile sperato, con un approccio definito “cost plus”. Tale metodo
trascura alcune variabili (ad es. la reattività del mercato), tuttavia si tratta solo di un risultato
approssimativo che verrà successivamente ritoccato per tener conto della risposta del mercato.
Nel processo di budgeting commerciale, tra le molte scelte da compiere, vi è quella relativa al mix
di prodotti da vendere, con la determinazione del peso da dare ai diversi prodotti (% di fatturato
rappresentata dal prodotto A, dal prodotto B, …); a tale scopo si analizza solitamente il MLC di
ciascun prodotto:
MLC = Ricavi Vendita – Costi Variabili
Ovviamente non basta, nella scelta tra quale prodotto privilegiare, verificare quale di esso abbia il
più elevato MLC, e di conseguenza quale spingere di più sul mercato; il MLC infatti va
adeguatamente espresso, riferendolo ad una unità di risorsa scarsa o fattore limitativo, occorre
cioè determinare un margine % sui ricavi di vendita, o un margine per ore-macchina, o riferito ad
altre grandezze.
Esempio
Impresa con impianto a produzione multipla, impiegato al massimo della propria capacità produttiva, con cui si
possono produrre indifferentemente i tre articoli A, B e C. Qual è il prodotto da spingere sul mercato, cioè verso cui
conviene trasferire le risorse disponibili, sottraendole ad altri prodotti visto che la capacità produttiva è già sfruttata al
massimo?
A B C A B C
Prezzo di vendita 1000 1500 800 tempo lavorazione 0,25 ore 0,5 ore 0,2 ore
Costi variabili 600 800 500 4 u./ora 2 u./ora 5 u./ora
MLC 400 700 300 MLC per ora di lavorazione 1600 1400 1500
Il MLC per unità di prodotto più elevato è quello del prodotto B; tuttavia, se si determina il margine di contribuzione
per ora di funzionamento dell’impianto (la suddetta unità di risorsa scarsa o fattore limitativo), allora il prodotto da
privilegiare nelle decisioni di mix produttivo e su cui spostare le risorse disponibili è A; infatti è il prodotto A quello con
il più elevato margine orario di contribuzione.
In definitiva, si può sostenere che il MLC è una delle grandezze-chiave dell’area commerciale.
Il BC non si limita a determinare i ricavi di vendita, ma riguarda anche i costi di natura commerciale
che l’azienda sosterrà per la commercializzazione dei prodotti. Le principali voci contenute nei
costi commerciali sono:
– costi del personale di vendita (stipendi e provvigioni) e non di vendita (ricerche di mercato,
magazzini, …)
– costi di trasporto, assicurazione, imballaggio, dogane
– costi di pubblicità e promozione delle vendite
– quote di ammortamento di costi pluriennali per attrezzature, mezzi di trasporto.
Per quanto riguarda la stesura del budget, le modalità di programmazione di tali costi differiscono
da caso a caso:
a) alcune voci sono simili ai costi parametrici, cioè vengono programmate in funzione del volume
di vendita o dei ricavi prestabiliti, come conseguenza di dati programmi di vendita che l’azienda si
pone di realizzare nell’anno di budget (es. spese di imballaggio definiti i volumi di vendita è
possibile programmare quanti involucri verranno usati per contenere i prodotti da consegnare e i
relativi costi);
b) altre voci sono programmate in base a scelte discrezionali, formulate anno per anno in sede di
budget (es. spese di pubblicità), o sono la conseguenza di scelte di PS; derivano quindi da politiche
aziendali che mirano a influenzare le vendite e a creare la domanda (es. ammortamenti delle
attrezzature impiegate nei magazzini).
Esempio. Le spese di pubblicità vengono programmate come % del fatturato: “il budget delle spese pubblicitarie deve
essere pari al 2% dei ricavi di vendita”; sembra trattarsi di costi parametrici, in realtà questi costi variano non in
seguito al volume di vendita ma in previsione di esso, in base alle scelte della direzione, e quindi sono costi discrezionali
ALTRE SUDDIVISIONI: clienti, regioni/zone di vendita, canali distributivi; tali suddivisioni, ai fini di
controllo, sono utili per valutare economicità e convenienza di ciascuna categoria di clientela, di
ogni canale distributivo delle varie regioni e per indirizzare il comportamento degli organi
commerciali verso obiettivi specifici
Il BC, in particolare il budget delle vendite, richiede numerose informazioni; i motivi sono:
a) il budget delle vendite è l’input di tutto il processo budgetario, quindi errori commessi in
questa fase si rifletteranno sull’intero processo;
b) il budget delle vendite riguarda, più di tutti, aspetti del comportamento aziendale fortemente
condizionati da variabili esterne e poco controllabili (economiche, sociali, politiche, …),
pertanto occorre disporre di svariate informazioni su fenomeni con un elevato grado di
incertezza: statistiche delle vendite aziendali, situazione della concorrenza, analisi della
redditività dei prodotti, statistiche della popolazione, indicatori economici nazionali,
andamento degli scambi con l’estero.
Tali informazioni vanno poi adeguatamente analizzate per ottenere previsioni accurate che
possono essere basate sul parere degli operatori commerciali, a partire dai venditori (basandosi
cioè sull’esperienza e le riflessioni soggettive di chi è chiamato a rispondere dei risultati conseguiti
elaborazioni soggettive dei dati) o su metodi di elaborazione statistica o su indagini specifiche di
mercato (questionari ed interviste).
Totale…………………………. 8.500
La produzione è l’area aziendale che più di altre ha visto modificare in anni recenti le proprie
logiche operative ed organizzative, per via di fenomeni quali: la maggiore intensità di
competizione tra aziende; la ricerca di vantaggi competitivi basati su una differenziazione spinta; la
riduzione del ciclo di vita di numerosi prodotti; l’evoluzione tecnologica ed organizzativa offerta
dall’IT; il decentramento produttivo e le nuove modalità di collaborazione con i fornitori.
L’evoluzione delle logiche produttive ha portato con sé nuove tecniche di gestione e
organizzazione, come: i sistemi di produzione flessibili e integrati; i sistemi just in time; la
partnership con i fornitori; il Total Quality Management.
L’essenza del budget della produzione consiste nella determinazione della quantità fisica di
prodotti (volume di produzione) da realizzare nell’anno di budget.
Gli input di tale programma sono sostanzialmente:
POLITICA DELLE SCORTE: la politica delle scorte di prodotti finiti funge da “tratto d’unione” tra
programma delle vendite e programma della produzione. Tale politica non risente solo delle
esigenze del mercato ma è anche vincolata da esigenze interne quali la capienza dei magazzini,
l’obsolescenza dei prodotti, l’esigenza di non immobilizzare troppi capitali, che impongono di
mantenere le scorte ai livelli minimi compatibili con la necessità di soddisfare la domanda di
mercato.
In tal senso, tecniche di gestione della produzione come il just in time (ricevere i materiali quando
se ne ha bisogno e fabbricare i prodotti quando i clienti lo richiedono) consentono di ridurre le
scorte da tenere a disposizione.
Il programma di produzione, nell’ambito del budget annuale, può sinteticamente esprimersi così:
(*) stocks che l’impresa si propone di avere a disposizione al termine del periodo di budget
(**) stima degli stocks a disposizione all’inizio del periodo di budget
Il budget di produzione va però articolato in periodi infrannuali (ad es. mensili), soprattutto in
ipotesi di fenomeni di stagionalità; infatti, il problema del budget di produzione non è solo la
quantità da produrre, ma anche la distribuzione di tali quantità nei vari periodi.
Nel caso in cui un’azienda effettui produzioni di serie mediante fabbricazioni di parti componenti e
loro assemblaggio, il budget va ulteriormente articolato per le singole parti da produrre.
PERIODI INFRANNUALI (es. mensili): è espressione della politica di sfruttamento della capacità
produttiva nel corso dell’anno (specie in caso di problemi di stagionalità); volume e ritmi della
produzione sono legati, più che agli ordini da acquisire, agli ordini da evadere, cioè ai programmi di
consegna dei prodotti ai clienti.
Una volta stabilito il programma delle quantità da produrre, è necessario redigere il budget dei
costi delle risorse da impiegare per la sua realizzazione. Tali costi sono così distinguibili:
– materiali diretti
– MOD
– costi generali industriali o di fabbricazione (manufacturing overhead) : MOI, stipendi tecnici,
energia elettrica, ammortamenti, combustibili, materiali ausiliari e di consumo, manutenzioni
esterne, altri costi industriali spese generali di produzione/fabbricazione
Questi costi, sotto il profilo della loro programmazione, non sono omogenei in quanto:
– materiali diretti e MOD sono costi parametrici e possono considerarsi entrambi variabili per
essi si possono calcolare i costi standard
– i costi generali industriali o di fabbricazione includono costi di varia natura, tutti non
quantificabili in funzione del volume produttivo (non possono essere definiti costi tecnici) non
si può parlare di costi standard, specie per le voci fisse (es. ammortamenti, stipendi tecnici, …)
COSTI STANDARD: i costi standard sono uno strumento per “valorizzare” il budget di produzione;
senza di essi il budget stesso perderebbe buona parte della sua affidabilità ed utilità.
– costi che presuppongono una chiara definizione delle condizioni operative standard della
gestione (qualità dei prodotti, caratteri dei fattori da impiegare, modalità svolgimento dei
processi). Sono dunque applicabili a produzioni standardizzate;
– costi-obiettivo da raggiungere per assicurare soddisfacenti livelli di economicità della gestione.
L’essenza dei costi standard sta nel fatto che essi presuppongono la definizione di precisi livelli di
prestazione (in termini di efficienza) che i responsabili dei vari CdR dovrebbero raggiungere
nell’anno di budget. I livelli di efficienza standard sono così suddivisi:
Nella scelta del livello di efficienza standard si considerano anche gli aspetti psicologici del
problema, in particolare la capacità di motivare le persone e stimolarle a prestazioni migliori. Si
suggerisce sovente di optare per un livello standard raggiungibile dagli operatori ma a prezzo di un
certo impegno (che corrisponde al livello conveniente).
I costi standard sono determinati con riferimento a una unità di ciascun prodotto (suddiviso nelle
sue varie parti o componenti) ed nelle varie fasi del processo produttivo con cui lo si ottiene.
Il costo standard di un prodotto è quindi la sintesi di calcoli analitici riferiti a ciascun componente
di prodotto ed a ciascun centro/attività, attraverso cui passano le varie componenti.
C=sxp
s = standard unitario fisico o coefficiente unitario standard (quantità fisica di risorsa necessaria per ottenere un’unità
di prodotto) è la componente del costo standard che riguarda l’efficienza interna nell’impiego delle risorse
p = prezzo unitario standard (prezzo necessario per acquistare un’unità della risorsa in esame) è la componente del
costo standard che riguarda la capacità di acquisire le risorse a condizioni economiche
La formula C = s x p è applicabile con rigore solo ad alcune voci di costo, cioè ai costi tecnici di
materie dirette e MOD, perché solo per essi è possibile calcolare in maniera univoca la quantità di
risorse (kg, ore, …) necessaria per produrre una unità di prodotto.
A) MATERIE DIRETTE. Il calcolo del costo standard presuppone la fissazione del CONSUMO
STARDARD e del PREZZO STANDARD UNITARIO.
Esempio
consumo standard di materiale (non considerando gli scarti) = 1,20 kg per unità di prodotto
produzione di 1 unità difettosa su 20 unità in media (scarti = 5%)
Consumo standard di materiale per unità di prodotto 1,20 : 0,95 = x : 1 x = 1,263 kg
b) Il PREZZO STANDARD è il prezzo d’acquisto che l’azienda prevede di sostenere nel periodo in
esame per acquisire a condizioni economiche le risorse materiali necessarie; si tratta di un
obiettivo che dipende da numerosi fattori (fornitori, quantitativi e tempi di acquisto, forza
contrattuale, …) difficilmente controllabili; è inoltre un valore medio, ritenuto valido per il periodo
successivo.
B) MOD. Il calcolo del costo standard presuppone la determinazione del TEMPO STANDARD di
lavorazione e del COSTO ORARIO STANDARD.
a) Il TEMPO STANDARD di MOD per ottenere una unità di prodotto richiede uno studio accurato
mediante specifiche tecniche (es. cronometraggio) e tiene conto, per i tempi di lavorazione, di
fattori che aumentano i tempi standard (scarti di produzione, inattività, blocchi macchina,
operazioni non previste a ciclo, ...) ma anche di miglioramenti tecnologici che contribuiscono a
ridurre i tempi di lavorazione (c.d. abbattimento tempi).
I dati relativi ai tempi standard di MOD sono accolti in un documento detto ciclo di lavorazione.
b) Il COSTO ORARIO STANDARD è un obiettivo, calcolato per ogni centro di costo includendo oltre
alla retribuzione diretta gli oneri differiti, i contributi previdenziali e assistenziali.
Per ricavare il budget dei costi totali delle due risorse in esame occorrerà moltiplicare il costo
unitario per il volume di produzione programmato.
Esempio
costo standard materia prima TS per ottenere 1 unità di prodotto = 150 €
volume di produzione programmato a budget = 10000 unità
budget dei costi totali della materia prima TS = 150 x 10000 = 1500000 €
L’uso dei costi standard è corretto e fattibile solo in condizioni di relativa stabilità. In condizioni
molto turbolente il CdG deve affidarsi a strumenti più flessibili.
Si tratta di costi eterogenei che includono costi fissi (ammortamenti, stipendi tecnici) e costi semi-
variabili (energia elettrica, materiali ausiliari).
Per i costi fissi non si può definire univocamente il costo per unità di prodotto in quanto questo
varia al volume produttivo ipotizzato. Infatti un costo fisso rimane identico quale che sia il volume
produttivo ma la sua incidenza unitaria varia al variare del volume. Quindi quando si afferma che il
costo standard unitario di un costo fisso è pari ad un certo ammontare, ciò ha senso solo con
riferimento ad un ben preciso volume di produzione programmato.
Per i costi semi-variabili, premesso che essi includono una componente fissa ed una variabile in
proporzione al volume produttivo (y = a + bx), il loro andamento va studiato con appropriati
metodi che consentono di “separare” la parte fissa del costo da quella variabile. I metodi sono:
I primi due metodi si basano sulla rilevazione statistica di una serie di dati storici su volumi di
produzione realizzati e relativi costi, che ne esprime l’andamento; il metodo analitico si fonda
invece su una accurata analisi del processo produttivo aziendale per stabilire le quantità di risorse
necessarie per realizzare una data produzione.
Un altro metodo, semplificato e non sempre attendibile, è quello “dei due punti”, che si basa sulla
rilevazione o stima dei costi corrispondenti a due soli livelli di volume di produzione.
BUDGET RIGIDO: i costi generali di fabbricazione vengono programmati senza un’analisi del loro
grado di variabilità. In tal caso sovente si parte dall’importo dell’anno precedente e lo si aumenta
o riduce in base a valutazioni soggettive; il budget è rigido perché non varia al variare del volume,
di conseguenza può tradursi in valutazioni non attendibili dell’andamento economico della
gestione futura e portare a fare il budget in modo errato.
Esempio
n. impiegati = 6 stipendio annuo previsto = 30000 € pro-capite
budget dei costi per stipendi tecnici = 30000 € x 6 persone = 180000 €
Per quanto riguarda le materie prime e la MOD, nel budget aziendale devono rientrare anche i
programmi relativi alla quantità delle risorse da acquistare nel periodo considerato e ai tempi di
approvvigionamento.
1) La quantità di materie da acquistare non coincide con i consumi, perché occorre considerare il
problema delle scorte di materiali da tenere a disposizione, sulla cui quantità influiscono
numerose circostanze: esigenze della produzione (tempi di evasione degli ordini, deperibilità dei
materiali, …), considerazioni di ordine finanziario, prospettive di difficoltà nell’approvvigionamento
dei materiali, trend dei prezzi, capienza dei magazzini. Le scorte di materie fungono dunque da
tratto d’unione tra programma dei consumi e programma degli acquisti.
Il programma degli acquisti può essere così calcolato:
(*) quantità corrispondenti agli standard unitari fisici (accolti nella distinta base)
(**) dipendono dalla politica delle scorte prescelta dall’impresa;
(***) stima della quantità prevista per l’inizio dell’anno di budget
2) Per i tempi di acquisto, va programmata la distribuzione nel corso dell’anno delle quantità da
approvvigionare, in modo che esse siano disponibili quando la produzione ne ha bisogno.
Il personale è una risorsa più o meno rigida, la cui gestione ha risvolti extra-economici rilevanti. Le
scelte espresse in sede di budget potrebbero manifestare le loro conseguenze ben oltre il periodo
annuale; pertanto il budget annuale va raccordato con il piano strategico ove dovrà trovarsi una
oculata politica del personale.
1) Il budget della MOD, di cui sono noti i tempi standard unitari, può essere calcolato secondo
criteri abbastanza oggettivi, attraverso:
- la determinazione dell’organico necessario per realizzare i volumi di produzione programmati
- la determinazione dell’eventuale numero di persone da assumere o in eccesso.
Per il calcolo degli organici, occorre conoscere:
- il numero totale di ore necessarie per realizzare i programmi di produzione nel periodo di budget,
pari a
Volume di produzione programmato a budget x ore standard MOD per 1 unità di produzione
- il numero di ore di presenza che ciascuna persona svilupperà nel medesimo periodo, pari a
P = C – Fr – Fs – A + S
P =ore di presenza media pro capite C = ore di calendario(no sabati e domeniche) Fr = ferie Fs = festività
A = assenteismo (% assenteismo per malattia, scioperi, ecc.) S = straordinari
Una volta determinate le ore totali necessarie per realizzare il programma di produzione e le ore di
presenza pro capite si ottiene l’organico di cui ha bisogno l’azienda come:
ore totali di MOD corrispondenti al budget di produzione
ore di presenza media pro-capite
A questo punto bisogna confrontare l’organico di budget con l’organico esistente all’inizio
dell’anno, ottenendo le seguenti casistiche:
a) organico di budget > organico esistente
in tal caso occorre programmare l’assunzione di nuovi operai; tale decisione va verificata con le
linee guida del piano strategico in materia di politica del personale, se esso non prevede
incrementi di organico occorrerà ricorrere ad altri mezzi (es. lavorazione presso terzi)
b) organico di budget = organico esistente
in tal caso non bisogna procedere a cambiamenti di organico
c) organico di budget < organico esistente
in tal caso vi è esuberanza di personale; se non si prevede il ricorso a strumenti che rendano
flessibile il costo del lavoro, si avrà un organico superiore al fabbisogno (c.d. mano d’opera extra-
fabbisogno), che rappresenta un maggior costo rispetto all’ammontare inserito nei budget e va
evidenziato a parte in modo da tenerlo distinto da quello di MOD.
2) Nella formulazione dei budget degli organici e del personale da assumere, un fattore di grande
rilievo è quello relativo ai tempi in cui il fabbisogno si presenterà. Non basta determinare
l’organico ma occorre anche stabilire a priori:
- quando si manifesterà l’esigenza di nuovo personale
- quando bisognerà procedere all’assunzione del nuovo personale in modo che esso risulti
disponibile ed addestrato in tempo utile a sostituire quello dimissionario e a integrare quello già
presente.
Diversamente dalla produzione (dove ingenti sono i costi parametrici), in questo caso vi è una
prevalenza di Costi Discrezionali e Vincolati.
BUDGET A BASE ZERO: Il Zero Base Budget (ZBB) è una tecnica di programmazione dei Costi non
parametrici (discrezionali e vincolati), che riguarda la formulazione dei budget delle aree
amministrative, di gestione del personale, della produzione, del marketing, …
La modalità di programmazione dei costi non parametrici, nella pratica delle aziende, spesso parte
dallo stanziamento dell’anno precedente a cui si aggiunge o sottrae un certo quid, in funzione
dell’inflazione prevista, di nuove attività o del venir meno di attività preesistenti, …
Tale modo di fare il budget è discutibile per una ragione fondamentale: non mette
sostanzialmente in discussione il livello attuale dei costi che potrebbero riflettere attività inutili,
sprechi ed altre disfunzioni, ma lo perpetua limitandosi ad apportare incrementi o tagli.
Seguendo i principi del ZBB invece si rimette ogni anno in discussione l’attività da svolgere nei
centri di costo discrezionali, cioè si fa il budget partendo ogni volta da zero, senza lasciarsi
condizionare eccessivamente dalle attività svolte e dai costi sostenuti in passato.
Il ZBB implica procedure più complesse che si articolano nelle seguenti fasi:
1) Individuazione delle unità decisionali (es. centri di costo)
2) Analisi dell’attività attualmente svolta dalle unità decisionali
3) Individuazione di modi alternativi di funzionamento delle unità decisionali
4) Analisi incrementale (individuazione dei pacchetti di servizi)
5) Scelta del livello di attività da svolgere
6) Formazione del budget delle unità decisionali
L’Analisi Incrementale consiste nell’individuare pacchetti di servizi per ogni unità decisionale,
partendo ogni volta da zero, senza lasciarsi condizionare da stanziamenti passati. Si comincia con
pacchetti che coincidono con le attività che si devono in ogni caso svolgere; quelli successivi
rappresentano altrettanti incrementi rispetto al pacchetto iniziale, secondo una certa scala di
priorità. Per ognuno di tali pacchetti si definiscono i livelli di prestazione e le relative risorse (costi).
La Scelta del Livello di Attività da Svolgere presso ciascuna unità decisionale è caratterizzata dal
fatto di non avvenire isolatamente per ciascuna unità, bensì previa formulazione di una
graduatoria che coinvolge anche le altre unità decisionali in concorrenza nella distribuzione delle
risorse aziendali. Tale graduatoria si basa su una valutazione comparata dei vari pacchetti sotto il
profilo dei loro costi e dei loro risultati. In funzione di tale graduatoria si prende una decisione in
base ai pacchetti da accettare e da respingere.
ACTIVITY BASED BUDGET: l’ABB è una tecnica più efficace che ha ormai soppiantato il ZBB
A) Gli Investimenti in Capitale Fisso (Capital Budget) dal punto di visto finanziario costituiscono
quella parte di capitale fisso o immobilizzato che serve per realizzare l’attività tipica aziendale
(immobilizzazioni tecniche: macchinari, impianti, attrezzature, fabbricati, automezzi, …;
immobilizzazioni immateriali: brevetti, marchi, spese di pubblicità pluriennali, …), dal punto di vista
economico danno origine a costi pluriennali che comportano ogni anno quote di ammortamento.
SOSTITUZIONE (di beni strumentali ormai logori, senza modifiche di capacità produttiva o razionalizzazioni)
RAZIONALIZZAZIONE (rendono più efficiente la produzione, ammodernando il parco macchine)
ESPANSIONE (incrementano la capacità produttiva)
STRATEGICI (perseguono obiettivi di lungo periodo: sviluppo di know how, miglioramento dell’immagine aziendale)
Il processo di scelta di tali investimenti avviene in base a considerazioni tecniche da parte della
funzione che utilizzerà l’investimento (ad es., i tecnici della produzione esprimono un giudizio su
funzionalità, efficienza, durata, … di una macchina) e in base a considerazioni economico-
finanziarie (metodi di valutazione più noti: metodi del tempo di recupero, del tasso annuale
medio, dell’eccesso di valore attualizzato, del TIR, dei flussi di cassa scontati).
Inoltre, i progetti di investimento sono strettamente legati alla PS perché servono a realizzare
azioni strategiche e impegnano finanziariamente ed economicamente l’azienda in un arco di
tempo pluriennale. Si tratta di decisioni non modificabili nel breve periodo.
In altre parole, fare un budget degli investimenti significa tradurre in termini operativi un dato
programma già predisposto in linea generale in sede di PS; ogni anno si darà attuazione a quella
tranche di investimenti che ricade nel periodo di budget.
I programmi di investimento in immobilizzazioni vanno espressi in termini finanziari, cioè occorre
calcolare il fabbisogno di capitale necessario per la loro realizzazione; inoltre, occorre predisporre
il loro iter temporale (affinché gli investimenti siano disponibili alle date prestabilite) ed effettuare
un controllo degli investimenti (verifica della loro convenienza economica, adozione di procedure
di autorizzazione degli stessi, confronto con quanto programmato, esame dei risultati raggiunti).
I fattori influenti sul capitale circolante netto della gestione operativa sono:
– Scorte materie prime (tempo medio giacenza x costo acquisti medi giornalieri)
– Semilavorati (tempo medio giacenza x costo produzione parziale media giornaliera)
– Scorte prodotti finiti (tempo medio giacenza x costo produzione finita media giornaliera)
– Crediti commerciali (durata media x valore vendite medie giornaliere)
– Debiti commerciali (durata media x valore acquisti medi giornalieri)
I budget settoriali, riguardanti aree particolari della gestione d’impresa, vanno aggregati o
consolidati, in modo che la direzione aziendale abbia una visione d’insieme del funzionamento
dell’azienda e possa verificare la capacità di raggiungere gli obiettivi del piano strategico.
Il BUDGET ECONOMICO deriva dal “consolidamento” dei budget settoriali dei ricavi e dei costi
programmati per il successivo esercizio.
Il budget economico assume la forma di un Conto Economico preventivo, con una struttura che
varia a seconda delle esigenze di informazione e controllo della direzione aziendale.
Tra le strutture possibili, si segnala quella a forma scalare, che pone in evidenza una molteplicità di
risultati economici della gestione complessiva d’impresa, e che può articolarsi per prodotti.
Budget Costi
Produzione Industriali
Ricavi di vendita
- Costo industriale del venduto
Rimanenze iniziali di magazzino
MOD
Stipendi tecnici
Acquisto materie prime
Ammortamenti industriali
Costi vari industriali
(Rimanenze finali di magazzino)
Esempio di struttura (globale sintetica) del budget
Margine lordo industriale (Gross Margin)
economico “scalare”.
- Costi commerciali
Tale struttura evidenzia grandezze fondamentali per
- Costi amministrativi
verificare il raggiungimento degli obiettivi globali della
- Costi vari generali
gestione, quali:
- reddito operativo (numeratore del ROI)
Reddito operativo
- reddito netto (numeratore del ROE).
± Oneri e proventi finanziari
Inoltre mostra un’altra configurazione di risultato
± Oneri e proventi atipici economico, il Margine lordo industriale.
± Oneri e proventi straordinari
Reddito netto
Un’altra struttura di Conto Economico, più coerente con le esigenze informative tipiche del CdG, è
basata sulla distinzione dei costi secondo la loro variabilità (fissi e variabili) e le modalità di loro
imputazione ai prodotti (diretti e indiretti)
Il budget finanziario consente di verificare la fattibilità dei programmi operativi sotto il profilo
finanziario:
a) accerta in che misura l’azienda sarà in grado di finanziare i fabbisogni di capitale collegati ai
programmi d’esercizio con i mezzi prodotti “internamente”;
b) accerta in che misura occorrerà rivolgersi ad altre fonti di finanziamento per garantire la
copertura del fabbisogno non coperto attraverso l’autofinanziamento.
La reperibilità dei mezzi finanziari va accertata sotto l’aspetto quantitativo (ammontare globale dei
finanziamenti occorrenti) ma anche sotto il profilo della qualità di tali mezzi (quale tipo di
finanziamento è più adatto per coprire un certo tipo di fabbisogno), dei loro costi (onerosità del
loro approvvigionamento: interessi passivi) e del tempo in cui saranno disponibili.
In caso di impossibilità di reperire fondi a tali condizioni occorre procedere ad una revisione dei
programmi già formulati, sia in termini di programmi operativi che di budget economico.
generali di budget e con i vincoli che il mercato finanziario pone alla conveniente
reperibilità dei mezzi finanziari necessari.
– tutti gli investimenti (impieghi di capitale) che l’impresa dovrà realizzare nel periodo considerato
– tutti i finanziamenti (fonti di finanziamento) su cui l’impresa potrà contare nel periodo
considerato.
Per quanto riguarda gli investimenti, non si tratta solo dei fabbisogni considerati nel budget degli
investimenti, ma di ogni impiego di mezzi finanziari che l’impresa ha in programma di realizzare
nel successivo esercizio:
– investimenti in capitale fisso (incrementi del capitale fisso esistente ad inizio anno)
– investimenti in capitale circolante (incrementi di scorte di magazzino, di crediti verso clienti, …)
– rimborso di debiti preesistenti
– rimborso di capitale proprio.
La formazione del budget delle fonti e degli impieghi passa attraverso due fasi fondamentali:
2. Si procede alla formulazione delle decisioni per provvedere alla copertura del fabbisogno
finanziario residuo e, una volta accertata definitivamente la reperibilità dei mezzi occorrenti, si
redige un prospetto delle fonti e degli impieghi del tipo:
Impieghi Fonti
Importo Importo
Investimenti in capitale fisso Autofinanziamento
Investimenti in capitale circolante Finanziamento con capitale proprio
Rimborsi di debiti Finanziamento con capitale di credito
Rimborsi di capitale proprio Disinvestimenti
TOTALE IMPIEGHI (*) TOTALE FONTI (*)
(*) stesso importo
Nel formulare tale programma occorre tener presenti gli obiettivi generali di budget, in particolare
quelli di carattere finanziario, che sono espressi mediante indici o quozienti di bilancio calcolati
sulla base dei valori presenti nel budget patrimoniale (indici di liquidità, di disponibilità, di
indipendenza finanziaria, di copertura delle immobilizzazioni, di rotazione del capitale investito).
Infine, è con la formulazione del budget delle fonti e degli impieghi, unitamente al budget di cassa,
che si ricava l’entità degli oneri finanziari da inserire nel budget economico.
ENTRATE DI CASSA:
– collegate ai ricavi di esercizio (es. vendita di prodotti, affitti attivi, ...)
– collegate al realizzo di investimenti (es. vendita di macchinari)
– collegate a finanziamenti esterni (a titolo di capitale proprio o di terzi)
USCITE DI CASSA:
– collegate ai costi d’esercizio (es. acquisto di materie, mano d’opera, spese generali, …)
– collegate ad investimenti (es. acquisto di impianti)
– collegate al rimborso di debiti o di capitale proprio
Il budget di cassa evidenzia i collegamenti tra la dinamica economica (costi e ricavi) e la dinamica
finanziaria (entrate ed uscite) delle gestione.
Con il budget di cassa l’azienda verifica in anticipo la disponibilità dei mezzi liquidi occorrenti per
fronteggiare le proprie uscite. Questo controllo ex ante presuppone una previsione di come si
distribuiranno entrate ed uscite nei vari periodi dell’anno. Occorre ovviamente tener conto dello
sfasamento temporale tra le operazioni in oggetto ed i corrispondenti incassi e pagamenti.
BUDGET DI CASSA
Voci G F M A M G L A S O N D Totale
Saldo iniziale
Entrate
- vendite
- affitti attivi
- interessi attivi
- dividendi su
partecipazioni
- Realizzo investimenti
-…
Uscite
- acquisti
- mano d’opera
- stipendi
- imposte
-…
Saldo mensile
Saldo progressivo
Il BUDGET PATRIMONIALE è uno Stato Patrimoniale preventivo, riferito alla data di chiusura del
periodo di budget (di solito il 31/12). Mette in evidenza l’entità e la composizione del capitale
netto d’impresa ad una certa data.
Per finalità operative deve essere redatto in una forma riclassificata secondo criteri finanziari, in
modo da collegarlo più agevolmente con il budget finanziario.
A differenza del budget finanziario delle fonti e degli impieghi, che accoglie flussi finanziari
programmati per il prossimo esercizio, esso include valori riferiti al momento finale di tale periodo.
Il budget patrimoniale così configurato pone in risalto l’entità e la composizione degli investimenti
e delle fonti in essere al termine del periodo amministrativo futuro.
Al budget patrimoniale si perviene sommando o sottraendo ai valori accolti nello SP iniziale i valori
accolti nel budget finanziario delle fonti e degli impieghi:
SP finale preventivo = SP iniziale preventivo +/- Flussi finanziari globali
Nel budget patrimoniale, una volta approvato, sono accolti valori che, opportunamente
confrontati, esprimono obiettivi finanziari della gestione per il prossimo esercizio. Con i dati del
budget patrimoniale possono calcolarsi indici di bilancio quali l’indice di liquidità, di indipendenza
finanziaria, di disponibilità, di copertura delle immobilizzazioni, …
Inoltre dal budget patrimoniale sono ricavabili valori necessari per la determinazione degli indici di
redditività: capitale proprio (ROE) e capitale investito (ROI). Ne deriva che il budget patrimoniale
è un importante strumento di controllo a preventivo della coerenza di certi programmi (ad es.
finanziari) con gli obiettivi generali della gestione d’impresa.
BUDGET PATRIMONIALE
Importo Importo
Capitale immobilizzato netto Capitale proprio
Immobilizzazioni tecniche Capitale sociale
Immobilizzazioni immateriali Riserve
Immobilizzazioni civili Utile netto d’esercizio
Immobilizzazioni finanziarie
- Fondi rettificativi (F. ammortamento, Debiti a medio-lungo termine
F. svalutazione partecipazioni, …) Mutui passivi
Debiti obbligazionari
Fondo TFR
…
Capitale circolante Debiti a breve termine
Magazzino Banche c/passivo
Liquidità differite Fornitori
Liquidità immediate _______ … _______
In settori diversi da quello delle imprese industriali produttrici di beni, quali il commercio (ad es. la
grande distribuzione) e la produzione di servizi, il processo di costruzione del budget presenta
importanti differenze.
Il CdG delle aziende di servizi deve infatti tener conto di alcune peculiarità di tali aziende:
- le aziende di servizi non tengono scorte di magazzino, perché l’output prodotto (il servizio) è
intangibile, deperibile e contestuale (coincidenza tra produzione e consumo); per i materiali, nei
settori in cui tali aziende tengono scorte necessarie all’erogazione del servizio (es. carburante per
servizi di trasporto, medicinali per prestazioni sanitarie, …) queste sono grosso modo assimilabili
alle materie prime delle aziende industriali;
- le aziende di servizi presentano un elevato grado di intensità del fattore lavoro, che rende rigida
la struttura dei costi (perlopiù fissi) dell’azienda; inoltre, poiché per il fattore lavoro è difficile
verificare una dipendenza del loro costo dal volume di produzione e determinare la quantità di
risorsa occorrente in condizioni operative standard per ottenere una unità di output (di servizio), è
impossibile determinare veri e propri costi standard (ad es. come si fa a stabilire la quantità
tecnicamente occorrente di lavoro degli autisti per il trasporto di un passeggero-km?);
- poiché l’erogazione del servizio è più intensa e continuativa di quella delle imprese industriali,
nell’interazione con il cliente risulta particolarmente rilevante la variabile qualità del servizio, che
per alcuni tipi di servizi non standardizzati (es. consulenza, sanità) presenta maggiori difficoltà di
controllo.
Il budget rappresenta il più emblematico ma non l’unico strumento di gestione programmata, cioè
di gestione proiettata nel futuro e rivolta al raggiungimento di determinati obiettivi.
Per fronteggiare i rischi relativi la validità di un solo documento a realizzare la duplice funzione di
simulazione dei risultati attesi e di guida e responsabilizzazione dei manager verso obiettivi
definiti, nonché la necessità di aggiornare spesso le previsioni iniziali che fa perdere al budget il
fondamentale requisito di stabilità ad esso richiesto, le aziende adottano vari strumenti di
gestione programmata orientata al futuro: si va dalla redazione di un budget tradizionale stabile
più un forecast periodicamente aggiornato all’utilizzo di nuovi strumenti che esplicitano gli obiettivi
di gestione, sostitutivi del budget tradizionale, affiancati da forecast con funzione di stima e
simulazione.
Tra gli strumenti integrativi/sostitutivi del budget tradizionale, il cui scopo è limitarne le lacune e
migliorarne le potenzialità, vi sono:
- il budget revisionato: consiste in una riformulazione del budget (per la parte rimanente
dell’esercizio) effettuata a scadenze periodiche durante l’anno, fermo restando la centralità degli
obiettivi di partenza del budget originale la correzione consente di correggere i piani operativi aziendali,
adattandoli a circostanze sopravvenute
- il budget di validità inferiore all’anno adatto per contesti turbolenti
- il budget scorrevole (rolling budget): consiste nel mantenere invariata la durata del periodo di
budget mediante aggiunta di un segmento di anno ad ogni successiva scadenza in cui si opera il
controllo della realizzazione dei programmi si prepara ogni trimestre un nuovo budget, eliminando la parte
relativa al trimestre precedente, con riformulazione di nuovi valori previsionali
- il budget flessibilizzato: consiste nel prendere atto dei cambiamenti che si manifestano rispetto
alle ipotesi accolte nel budget di partenza in relazione alle variabili critiche del reddito d’impresa
(es. fluttuazioni nel prezzo delle materie prime) e flessibilizzare il budget in rapporto a tali
cambiamenti. In tal modo si possono confrontare i dati consuntivi con il budget flessibilizzato,
aderente alla nuova realtà d’impresa e d’ambiente, e ottenere informazioni importanti sugli
scostamenti avvenuti gli obiettivi fissati restano comunque validi anche nell’ipotesi di forti cambiamenti
- i budget alternativi: sono programmi di gestione formulati in alternativa al budget di partenza,
avanzando l’ipotesi che nel corso dell’anno di budget vi siano fenomeni che cambino radicalmente
il volto della gestione; in tal modo si rendono disponibili già a priori alcuni percorsi alternativi di
gestione da seguire tempestivamente in caso di necessità (il c.d. piano B)
- i forecast: documenti preventivi, che affiancano il budget tradizionale per scopi di stima e
simulazione dei risultati futuri, la cui funzione è di tentare ad una certa data di prefigurare i
risultati economici e finanziari che si manifesteranno alla fine dell’anno.
Il forecast tiene conto dei:
- risultati che si sono già manifestati, rilevati dalla contabilità (ad es. costi e ricavi dall’1/1 al 30/6);
- risultati che presumibilmente si manifesteranno quale probabile esito futuro della gestione in
corso in assenza di interventi correttivi (ad es. dall’1/7 al 31/12); essi sono oggetto di una
previsione, di una stima aggiornata periodicamente.
Forecast = Consuntivo fino alla data “t” + Preventivo a finire dalla data “t” a fine anno
La formazione del budget avviene prima del periodo di cui si vuole programmare la gestione,
durante questo periodo bisogna verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi prestabiliti,
ossia confrontare il budget con i risultati effettivi della gestione man mano che essa si svolge.
L’ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI costituisce l’operazione finale con cui si concretizza l’impiego del
meccanismo di FEED-BACK; a sua volta è scomponibile nelle seguenti operazioni:
a) Confronto tra valori di budget e valori consuntivi e determinazione degli scostamenti “globali”
b) Scomposizione degli scostamenti “globali” in scostamenti “elementari”
c) Individuazione delle cause degli scostamenti elementari e delle relative responsabilità
d) Definizione dei provvedimenti correttivi da prendere in caso di disfunzioni gestionali.
Questa fase del processo di controllo riguarda il calcolo e la scomposizione degli scostamenti e
funge da supporto informativo (REPORTING) per un’analisi accurata che spieghi:
- perché vi sia stata una differenza tra risultati attesi e reali, - a chi imputare la responsabilità di
tale differenza, - come è opportuno intervenire e con quali provvedimenti correttivi.
Nelle imprese industriali le voci più importanti di questa categoria di costi sono le MATERIE
DIRETTE e la MOD (area della produzione). La MOD è inclusa tra i costi variabili, nonostante la sua
Tale formula segnala, in sede di analisi degli scostamenti, quali sono i fattori fondamentali da cui
deriva la differenza tra valore di budget e valore consuntivo: volume dell’output, efficienza
d’impiego dell’input, prezzo unitario dell’input, con relativa suddivisione dello scostamento totale
negli scostamenti elementari di volume, efficienza e prezzo.
Vi sono tre cause che spiegano la differenza dei costi dei materiali diretti:
1) i volumi di produzione
2) la quantità di risorse impiegata per ogni unità di produzione (cioè l’efficienza)
3) il prezzo unitario di acquisizione della risorsa.
1) Scostamento di volume: corrisponde ai costi che si sostengono in più (o in meno) solo perché
la quantità di produzione realizzata non coincide con quella prevista a budget.
2) Scostamento di efficienza: si manifesta quando per ottenere una unità di produzione si
impiegano più (o meno) risorse di quelle standard.
3) Scostamento di prezzo: si manifesta quando il prezzo unitario di acquisizione delle risorse
differisce dal prezzo prestabilito a budget.
Gli scostamenti elementari individuati vanno opportunamente valorizzati; per operare tale
valorizzazione si impiegano formule tali che la somma dei singoli scostamenti elementari sia pari
allo scostamento globale.
SCOSTAMENTO DI VOLUME (l’unica variabile che muta, tra i due termini di confronto, è la quantità di produzione)
meno
SCOSTAMENTO DI EFFICIENZA (l’unica variabile che muta, tra i due termini di confronto, è il consumo di materia)
SCOSTAMENTO DI PREZZO (l’unica variabile che muta, tra i due termini di confronto, è il prezzo della materia)
meno
Volume di produzione x Consumo effettivo unitario x Prezzo effettivo unitario (Consuntivo puro)
effettivo di materia di materia
Esempio
(30000 pezzi x 0,5 kg x 200 €) - (32000 pezzi x 0,5 kg x 200 €) = 200000 € Scostamento di volume
avendo prodotto 2000 pezzi in più rispetto ai programmi iniziali, a parità di altre condizioni si sostengono 200000 €
di costi in più per i materiali diretti
(32000 pezzi x 0,5 kg x 200 €) - (32000 pezzi x 0,6 kg x 200 €) = 640000 € Scostamento di efficienza (N)
avendo consumato 0,1 kg al pezzo in più rispetto al budget, a parità di altre condizioni si sostengono 640000 € di
costi in più perché si sono manifestate delle inefficienze
(32000 pezzi x 0,5 kg x 200 €) - (32000 pezzi x 0,5 kg x 190 €) = 192000 € Scostamento di prezzo (P)
avendo pagato le materie prime 10 € in meno al kg, a parità di altre condizioni si sostengono costi in meno per un
totale di 192000 €
SCOSTAMENTO GLOBALE = 200000 (in più) + 640000 (N) + 192000 (P) = 648000 (N)
SCOSTAMENTO GLOBALE = BUDGET ORIGINALE + CONSUNTIVO PURO = 3000000 - 3648000 = 648000 (N)
4.2.2 MOD
oppure
Volume di produzione x Tempo effettivo unitario x Costo effettivo orario
effettivo di MOD di MOD
Anche nel caso della MOD lo scostamento globale può scomporsi negli scostamenti elementari di:
- Volume
- Efficienza
- Prezzo.
SCOSTAMENTO DI VOLUME
meno
SCOSTAMENTO DI EFFICIENZA
SCOSTAMENTO DI PREZZO
Volume di produzione x Tempo effettivo unitario x Costo effettivo orario (Consuntivo puro)
effettivo di MOD di MOD
Valgono considerazioni simili a quelle fatte per le materie prime; allo stesso modo anche per la
parte variabile dei costi generali di fabbricazione (es. materiali ausiliari, forza motrice, …).
Nel caso dei costi fissi la formula di programmazione dei costi variabili (C = v x s x p) non è
applicabile a causa dell’impossibilità di determinare lo standard unitario fisico della risorsa (s): i
costi fissi cioè non sono predeterminabili in base alle ore, ai kg, …, necessari per ottenere una
unità di produzione.
La formula della loro determinazione a volte è articolabile in modo tale da evidenziare quantità di
risorse e prezzo unitario.
Il problema di questa logica è che non possiamo misurare il livello di efficienza (il numero di
persone non è una vera misura di efficienza, è solo un modo di esprimere la quantità di risorse
necessarie e non dipende dal volume di produzione) e di prezzo (visto che si stanzia globalmente
una somma, il cui importo viene iscritto nel budget, come avviene tra l’altro per molti costi
generali).
L’analisi degli scostamenti dei costi fissi è allora meno articolata di quella dei costi variabili,
calcolandosi come semplice scostamento globale di costo:
Costo totale di budget - Costo totale consuntivo
Solo per poche voci di costo è possibile una scomposizione come quella dei costi variabili; ad es.
per gli stipendi del personale si possono determinare due scostamenti elementari:
SCOSTAMENTO EFFICIENZA = n. persone a budget x stipendio pro-capite di budget -
n. persone effettivo x stipendio pro-capite di budget
SCOSTAMENTO PREZZO = n. persone effettivo x stipendio pro-capite di budget -
n. persone effettivo x stipendio pro-capite effettivo
A volte si effettua un’ulteriore elaborazione e analisi dei costi fissi, determinando lo scostamento
di volume o di “assorbimento” dei costi fissi: è un particolare modo di rappresentare le
conseguenze economiche di una differenza tra il volume di produzione programmato e quello
effettivo, per il fatto che da tale differenza deriva un diverso ammontare dei costi fissi per unità di
prodotto rispetto alle previsioni. Infatti:
se volume effettivo < volume programmato i costi fissi unitari sono superiori a quelli di
budget scostamento negativo di volume dei costi fissi (o sotto-assorbimento).
se volume effettivo > volume programmato i costi fissi unitari sono inferiori a quelli di
budget scostamento positivo di volume dei costi fissi (o sopra-assorbimento).
SCOSTAMENTO DI VOLUME = Costo fisso di budget - Costo fisso di budget x Volume effettivo
Volume programmato
questo scostamento considera solo i costi iscritti a budget e non i costi effettivi
2° termine del confronto = costo fisso assorbito
risultato della frazione = costo fisso unitario di budget
se il 2° termine di confronto è minore del 1°, significa che i ricavi unitari di vendita sono insufficienti a coprire i costi
fissi nella misura desiderata e a garantire un certo margine di guadagno sotto-assorbimento dei costi fissi
Nell’analisi degli scostamenti dei ricavi di vendita sono coinvolti direttamente gli organi
commerciali ed in particolare i centri di ricavo (= filiali di vendita).
Per determinare gli scostamenti elementari dei ricavi di vendita si considerano due situazioni:
Lo scostamento globale dei ricavi quindi si calcola come differenza tra budget e consuntivo;
inoltre, poiché dipende da due fattori, volume di vendita e prezzo unitario di vendita, può essere
scomposto in due scostamenti elementari:
SCOSTAMENTO DI PREZZO
Volume di vendita effettivo x Prezzo standard unitario di vendita
meno (Consuntivo puro)
Volume di vendita effettivo x Prezzo effettivo unitario di vendita
Quando il budget delle vendite è suddiviso tra molti modelli di un dato prodotto si scompone lo
scostamento globale dei ricavi di vendita di tutti i modelli nei seguenti scostamenti elementari:
1) Scostamento di volume
2) Scostamento di prezzo
3) Scostamento di mix (riferito al mix dei prodotti venduti, è il modo in cui è composto il
volume totale di vendita suddiviso in % tra i vari modelli)
L’analisi degli scostamenti in tal caso sarà utile a controllare il raggiungimento di determinati
obiettivi di mix prefissati, in termini di differente redditività dei vari modelli, in sede di redazione
del budget commerciale.
a) Budget Y: 1000 pezzi x 150 € = 150000 € Z: 3000 pezzi x 100 € = 300000 € Totale = 450000 €
b) Consuntivo Y: 1500 pezzi x 140 € = 210000 € Z: 3500 pezzi x 110 € = 385000 € Totale = 595000 €
Scostamento lordo di volume=Volume di budget ai prezzi standard unitari-Volume effettivo ai prezzi standard unitari =
= [(1000 pezzi x 150 €) + (3000 pezzi x 100 €)] - [(1500 pezzi x 150 €) + (3500 pezzi x 100 €)] = 125000 € (P)
Tale scostamento è ulteriormente scomponibile, in quanto è aumentata non solo la quantità totale venduta ma anche
il mix di Y e di Z:
mix vendite a budget: Y 1000 pezzi (25%) + Z 3000 pezzi (75%) Totale 4000 pezzi
mix vendite a consuntivo: Y 1500 pezzi (30%) + Z 3500 pezzi (70%) Totale 5000 pezzi
SCOSTAMENTO DI MIX =
Volume effettivo al mix di budget, valorizzato ai prezzi standard unitari -
Volume effettivo al mix effettivo, valorizzato ai prezzi standard unitari
[(1250 pezzi x 150 €) + (3750 pezzi x 100 €)] - [(1500 pezzi x 150 €) + (3500 pezzi x 100 €)] = 12500 € (P)
SCOSTAMENTO DI PREZZO =
Volume effettivo al mix effettivo, valorizzato ai prezzi standard unitari -
Volume effettivo al mix effettivo, valorizzato ai prezzi effettivi unitari
[(1500 pezzi x 150 €) + (3500 pezzi x 100 €)] - [(1500 pezzi x 140 €) + (3500 pezzi x 110 €)] = 20000 € (P)
SCOSTAMENTO GLOBALE = somma dei tre scostamenti elementari (112500 + 12500 + 20000 = 145000 (P))
oppure Budget - Consuntivo dei ricavi (450000 - 595000 = 145000 (P))
Sintesi schematica dell’analisi degli scostamenti dei ricavi con pluralità di modelli:
Scostamento “netto” di volume = Budget Originale (a mix standard) – Budget Flessibilizzato (a mix standard)
L’analisi “contabile” degli scostamenti è una premessa indispensabile per individuare le cause
gestionali delle disfunzioni ed associarle ai manager di vario livello che ne sono responsabili, in
modo che prendano tempestivamente adeguati provvedimenti.
Tale analisi non permette in modo “automatico” l’individuazione precisa delle responsabilità,
perché vi è interdipendenza tra i diversi organi (ogni scostamento, anche se si manifesta in un
centro preciso, può derivare dalle decisioni di più persone facenti capo ad aree di responsabilità
diverse); inoltre uno scostamento può essere la conseguenza di fenomeni ambientali non
prevedibili (di mercato, norme di legge, fattori tecnologici, …) da cui ad es. derivano variazioni di
prezzo.
E’ possibile, per i vari scostamenti esaminati, analizzare quelle che sono le più probabili cause e le
corrispondenti responsabilità, distinguendo tra costi variabili e fissi e ricavi di vendita.
COSTI VARIABILI: nei casi delle materie dirette e della MOD, l’analisi “contabile” evidenzia tre
scostamenti: 1) di volume, 2) di efficienza, 3) di prezzo.
Nell’analizzare le responsabilità di questi scostamenti, si fa riferimento al capo del centro in cui la
mano d’opera e i materiali vengono impiegati: egli infatti influenza in modo diretto e significativo
l’efficienza nell’impiego delle risorse (la quantità di materiali consumati e le ore di mano d’opera
impiegate dipendono da come ha organizzato l’attività del suo reparto, ha saputo condurre le
persone, ha saputo fronteggiare interruzioni, …). Tuttavia non sempre si può attribuire a tale
soggetto la responsabilità di tali costi, può accadere che la responsabilità dei capi centro sia
limitata (es. scarti e sprechi che dipendono dalla qualità del materiale e non dalle scelte del capo
reparto).
La responsabilità degli scostamenti di volume e di prezzo (ad es. differenze di prezzo dei materiali
e di costo orario della mano d’opera) coinvolgono direttamente la direzione acquisti e la direzione
del personale, i cui responsabili sono impegnati ad acquisire le risorse a condizioni economiche.
Come nel caso precedente, però, non sempre sono direttamente responsabili degli scostamenti
(ad es. la differenza di prezzo può dipendere dalla scelta del responsabile del centro produttivo di
impiegare mano d’opera con qualificazione e salario diversa dai programmi, la differenza di prezzo
dei materiali invece può dipendere da errori nel controllo delle giacenze che hanno impedito
all’ufficio acquisti un corretto approvvigionamento). Le stesse variazioni di volume possono
dipendere da cambiamenti nei programmi di produzione e di vendita.
COSTI FISSI: (in particolare tecnico-produttivi) gli scostamenti rilevabili sono due: 1) di costo, 2) di
assorbimento o volume.
Anche qui si fa riferimento al capo del centro produttivo in cui i tali costi si manifestano. Egli è
responsabile, in parte, dello scostamento di costo perché influenza direttamente e
significativamente costi come la MOI, stipendi tecnici, illuminazione, manutenzione, ... Questi costi
però derivano principalmente da scelte di struttura, prese da organi di livello superiore.
Sullo scostamento di assorbimento il capo del centro produttivo è responsabile dei sotto-
assorbimenti se non ha saputo far fronte a fenomeni come l’assenteismo del personale,
interruzioni produttive e disturbi vari in processo. In molti casi però il sotto-assorbimento di costi
fissi dipende da altri organi (es. l’area commerciale non rispetta i programmi di vendita
riduzione dei volumi produttivi).
RICAVI DI VENDITA: le variazioni rilevabili sono quelle dovute 1) al volume, 2) al mix e 3) al prezzo.
Si può osservare che:
– Le variazioni elementari di ricavo, rispetto a quelle dei costi, sono caratterizzate da maggior
interdipendenza (es. la variazione di volume può avere come causa la variazione di prezzo).
– Per spiegare gli scostamenti in esame bisogna focalizzarsi sull’area commerciale, specie sui centri
di ricavo (= filiali di vendita) che sono tenuti a:
rispettare i prezzi di vendita prestabiliti,
rispettare il mix di budget,
realizzare o incrementare il volume di vendita programmato.
Il compito dei centri di ricavo è rispettare le decisioni prese a livelli gerarchici superiori circa il
prezzo e il mix e tentare di influenzare positivamente il volume di vendita.
Inoltre, al fine di responsabilizzare i centri di ricavo e guidarli nella giusta direzione, è opportuno
che gli scostamenti elementari, specie quello di mix, siano espressi in termini di margine lordo di
contribuzione, anziché in termine di ricavi.
Ai responsabili quindi vanno segnalate le conseguenze di una variazione rispetto al budget per
l’impatto che queste possono avere sul MLC e di conseguenza sul risultato economico di azienda
(ad es. un cambiamento di mix potrebbe portare a un incremento dei ricavi totali, ma non ad un
miglioramento o mantenimento del margine totale di contribuzione, che è spesso un obiettivo
economicamente più significativo, perché più direttamente collegato al profitto aziendale).
5.1 GENERALITA’
Nelle aziende che producono su commessa (soprattutto quando la commessa è caratterizzata da:
grandi dimensioni, lunga durata, rilevante complessità gestionale e organizzativa, unicità o non
ripetitività) i criteri di formazione del budget e di analisi degli scostamenti esaminati non sono
integralmente applicabili: è il caso di imprese produttrici di grandi impianti, macchinari e
attrezzature, o di grandi progetti in campo aeronautico e spaziale, imprese operanti nel settore dei
cantieri navali, imprese costruttrici di grandi opere come edifici, strade, dighe, …
Premesso che le logiche di base del CdG sono comuni ad ogni sistema di produzione, il CdG per
produzioni su commessa è caratterizzato da principi-base diversi rispetto a quelli delle produzioni
ripetitive:
A) Per grandi progetti complessi è necessaria una scomposizione in blocchi o parti elementari
(WBS: work breakdown structure), che facilita:
- la corretta programmazione economica delle fasi della commessa e dei relativi costi;
- l’efficace controllo successivo mediante analisi degli scostamenti (confronto tra preventivi e
consuntivi).
La metodologia del processo di scomposizione può definirsi analisi mezzi-fini e consiste nel
suddividere il progetto globale in blocchi più piccoli, a loro volta scomposti in blocchi minori e così
via; lo scopo è individuare fasi, parti, attività di esecuzione della commessa con cui l’impresa ha già
un elevato grado di familiarità per averle già svolte in passato per altri progetti.
Affinché il controllo della commessa avvenga correttamente, è importante creare per ciascuna
fase o elemento del progetto un collegamento con i CdR, per individuare il contributo dato da un
CdR all’esecuzione di una parte elementare del progetto. In tal modo sarà più chiaro il ruolo dei
vari centri nell’esecuzione del progetto e la loro responsabilità economica.
In sintesi, scomporre il progetto in parti elementari già “familiari” all’impresa consente di
preventivare i costi con una certa attendibilità e agevola la confrontabilità dei consuntivi con i
preventivi o budget riferiti a blocchi elementari.
B) Il documento-base del controllo economico di uno specifico progetto è il preventivo dei costi,
in cui sono accolti tutti i costi programmati per l’esecuzione della commessa, suddivisi tra i blocchi
in cui essa è scomposta.
Il preventivo dei costi non è unico, in quanto è richiesto un suo periodico aggiornamento, per
consentire un efficace controllo durante l’avanzamento dei lavori. In tal senso si possono
distinguere tre fondamentali tipi di preventivo di commessa:
1. Preventivo iniziale o di offerta: viene redatto prima della stipulazione del contratto con il
cliente e serve come base per la formulazione del prezzo di vendita; sebbene le informazioni,
ottenute dai primi contatti con il cliente potenziale, siano scarse, la direzione provvede ad
emettere un avanprogetto della commessa, basato sui preventivi di massima dei costi di
competenza formulati dai centri coinvolti; lo scopo è valutare la convenienza economica della
commessa, quindi se conviene o meno accettare l’ordine del cliente, nonché verificare se il
risultato economico dello specifico progetto è compatibile con gli obiettivi prestabiliti a budget
2. Preventivo esecutivo o budget di commessa: viene redatto dopo l’acquisizione della
commessa, cioè dopo la positiva conclusione della trattativa con il cliente; esso consiste in un
preventivo dei costi più aggiornato e più analitico rispetto al preventivo iniziale e serve da
termine di confronto nel controllo economico della commessa durante la sua esecuzione;
riflette cioè un obiettivo economico da rispettare nella realizzazione del progetto.
Per la determinazione dei costi del preventivo esecutivo vale la formula:
Quantità fisica di risorsa x Prezzo unitario della risorsa
fermo restando che non si tratta di veri e propri costi standard, perché mancano i presupposti
per definirli tali. Infine, il preventivo esecutivo non è unico, in quanto quello originario viene
modificato in seguito in base alle variazioni del progetto o a causa di errori di preventivazione
(distinzione tra preventivo esecutivo originario ed ultimo).
preventivo iniziale: strumento per la valutazione economica della commessa / riflette costi futuri stimati
realisticamente
preventivo esecutivo: strumento per il controllo economico della commessa / riflette obiettivi di efficienza e di costo
attesi dall’azienda
Per quanto riguarda il tipo di costi da imputare allo specifico progetto, vi sono due alternative:
- imputazione alla commessa di costi diretti: cioè i costi delle risorse il cui impiego per la
commessa è misurabile oggettivamente, in quanto sostenuti esclusivamente per quello specifico
progetto, e che non richiedono ripartizioni soggettive: costi di materiali diretti, di MOD, di
ammortamenti specifici, … (talvolta anche gli oneri finanziari relativi alla commessa);
- imputazione alla commessa di costi pieni: comprendono i costi diretti più una quota di costi
indiretti (costi indiretti industriali, amministrativi, commerciali, …) che si ricava da una ripartizione
più o meno soggettiva dei costi in oggetto tra le varie commesse.
L’impiego dei costi diretti è più appropriato nella formulazione del preventivo esecutivo ed
aggiornato, in quanto consente di imputare al progetto solo i costi ad esso oggettivamente
riferibili e permette a questi tipi di preventivo di assolvere il loro ruolo di controllo del progetto
durante la sua esecuzione.
Viceversa, nella formulazione del preventivo iniziale l’impiego dei costi pieni è più adatto per una
conoscenza più puntuale del fabbisogno di risorse della specifica commessa.
Per ciò che attiene il controllo economico di gestione di ricavi e risultato economico di commessa:
a) la differenza tra ricavi di commessa e costi diretti di commessa genera il margine di commessa
Ricavi di commessa - Costi diretti di commessa = Margine di commessa
che rappresenta il risultato economico programmato per una certa commessa, lordo perché dai
ricavi sono sottratti solo i costi diretti (nello specifico, si tratta di un MSLC o margine diretto);
b) il prezzo della commessa può essere fisso o soggetto a clausole di revisione prezzo, che
prevedono la variazione del prezzo inizialmente stabilito a fronte di eventuali fatti sopravvenuti
durante l’esecuzione del progetto (es. aumento del prezzo dei materiali oltre certi livelli);
l’aggiornamento del preventivo di commessa riguarderà costi e ricavi.
C) Per verificare se lo svolgimento della gestione è conforme alle aspettative del preventivo
esecutivo, occorre determinare periodicamente il risultato economico effettivamente conseguito
fino a quel momento (costi diretti già in consuntivo, ricavi di competenza, margine di commessa).
- Costi diretti consuntivi: relativi ad operazioni già compiute, cioè a quantità di fattori già impiegati
- Ricavi di competenza: rappresentano una frazione del ricavo totale, correlata alle operazioni di
esecuzione della commessa compiute in quel periodo; sono calcolabili come
RC = CD x RT/CDT
Il confronto tra preventivo e consuntivo durante la vita del progetto può avvenire:
- a un livello di avanzamento della commessa prestabilito, cioè ogni volta che una fase della
commessa risulta completata;
- a date prestabilite: in questo caso può accadere che lo stato di avanzamento reale ad una certa
data non coincida con quello previsto per quella stessa data. Per risolvere i problemi di
confrontabilità, cioè per fare in modo che consuntivo e preventivo si riferiscano allo stesso stato di
avanzamento della commessa e rendere il loro confronto omogeneo, occorre considerare il
divario di stato di avanzamento.
La differenza tra preventivo formulato in vista di un prestabilito grado di avanzamento ad una
certa data e consuntivo corrispondente ai lavori realmente svolti alla stessa data può scomporsi in
due parti:
SCOSTAMENTO DI AVANZAMENTO = Preventivo per stato - Preventivo per stato
DEL PROGETTO di avanzamento prestabilito di avanzamento effettivo *
* è una specie di preventivo di commessa flessibilizzato, cioè riformulato in funzione delle attività realmente compiute
alla data del consuntivo
Il confronto tra costi e ricavi rilevati periodicamente a consuntivo e quelli preventivati rende
possibile l’analisi degli scostamenti.
In particolare, l’analisi degli scostamenti dei costi diretti di commessa, i quali sono preventivati e
consuntivati in base a due componenti (quantità fisica della risorsa x prezzo unitario della risorsa),
permette di evidenziare due fondamentali tipi di scostamento elementare:
- scostamento di efficienza,
- scostamento di prezzo.
Nel caso delle commesse uniche (non ripetitive) poiché lo scostamento non risulta da confronti
con costi standard, in quanto in tali produzioni mancano tali parametri predeterminati, le
valutazioni di efficienza si fondano su giudizi soggettivi.
Il BUDGET ECONOMICO delle imprese con produzione su commessa deriva dalla sommatoria dei
preventivi di costi e di ricavo delle singole commesse, oltre che dai programmi dei costi generali
aziendali e di eventuali ricavi extra-commessa.
Poiché le imprese che lavorano su commessa soffrono di incertezze maggiori rispetto alle aziende
con produzioni ripetitive, l’iter logico di stesura del budget dovrebbe prevedere:
1) l’inventario dei contratti in essere, in modo da determinare costi da sostenere e ricavi di
competenza di commesse già acquisite, limitatamente al periodo di budget
2) l’esame delle commesse in trattativa, cioè di commesse di cui non si è ancora stipulato il
contratto; si stima la probabilità di riuscita della trattativa (commesse certe, probabili e con
limitata probabilità di acquisizione) e si inseriscono nel budget i rispettivi costi e ricavi (a livello di
preventivo iniziale d’offerta), corretti in funzione del grado di probabilità
3) l’analisi della saturazione della capacità produttiva ancora libera con commesse non in
trattativa, formulando degli obiettivi di copertura/utilizzo della restante capacità disponibile.
Il budget così strutturato contiene obiettivi quantificabili di ricavi e di costi, per ciò che concerne le
commesse acquisite e in trattativa, mentre contiene obiettivi quantificabili di certi costi e di
margine di commessa per le commesse sconosciute; benché parziale ed incerto, esso dà utili
indicazioni alla direzione (es. interventi per migliorare la redditività).
Reddito operativo 60
+ Oneri e proventi finanziari,
atipici e straordinari 30
Reddito netto 18
Anche il BUDGET FINANZIARIO (suddiviso in budget delle fonti e degli impieghi e budget di cassa)
è soggetto alle incertezze riguardanti commesse non acquisite e non in trattativa (cioè la parte
scoperta della capacità produttiva); poiché di queste non si conoscono ricavi e costi, è molto
difficile calcolare a priori i fabbisogni di capitale e fonti di finanziamento, nonché flussi di uscite ed
entrate monetarie. Ciò porta a formulare budget finanziari parziali.
Per ciò che riguarda il controllo dei budget con i risultati effettivi di gestione, considerando la
totalità delle commesse, ipotizzando che il controllo avvenga mediante il preventivo aggiornato, va
rilevato che:
- occorre distinguere tra commesse acquisite, in trattativa e obiettivi di saturazione;
- di questi gruppi periodicamente bisogna formulare un nuovo preventivo dei costi e dei ricavi,
riferito al periodo che va tra la data di aggiornamento e il 31/12;
- per le commesse in corso di esecuzione vanno rilevati i costi consuntivi sostenuti da inizio anno
fino alla data del controllo;
- occorre determinare il preventivo aggiornato di tutte le commesse e confrontarlo con il budget
originale di inizio anno; lo scostamento tra costi e ricavi dei due tipi di preventivo segnala le
presumibili differenze che si manifesteranno a fine anno rispetto al risultato economico
inizialmente programmato.
Il controllo economico di gestione delle aziende con produzione su commessa viene definito
incrociato in quanto si attua a livello di commessa e a livello di CdR: è incentrato principalmente
sui progetti e sui relativi costi ma si esercita contemporaneamente sui CdR.
In tali imprese la suddivisione del lavoro si articola su due dimensioni (organizzazione a matrice):
COSTI DI CENTRO (costi diretti di centro, con esclusione di quote derivanti dalla ripartizione di costi comuni anche ad
altri centri):
- diretti di commessa (imputati alle varie commesse realizzate in quel centro: materie dirette, stipendi di progettazione,
MOD, parte variabile costi generali industriali, altri diretti …)
- indiretti rispetto alla commessa (restano al centro, cioè non si ritrovano a livello di commessa: stipendi,
ammortamenti, affitti, parte fissa costi generali industriali, altri indiretti …)
COSTI DI COMMESSA:
- imputabili ai centri (imputati ai centri che partecipano all’esecuzione della commessa: materie dirette, stipendi di
progettazione, MOD, altri …)
- non imputabili ai centri (restano alla commessa, cioè non si ritrovano a livello di centro: costi specifici di progetto
come assicurazioni, royalty, …)
Solo alcune voci di costo (es. materie dirette, MOD, stipendi progettazione, …) sono oggetto di
controllo incrociato.
Tra i progetti interni, fermo restando l’incertezza dei risultati attesi, gli unici che si differenziano
dagli altri sono i progetti di innovazione finalizzati a creare precise opportunità economiche (nuovi
prodotti, nuovi processi, nuovi clienti, nuovi segmenti di mercato, …); essi infatti sono assimilabili a
iniziative di investimento in capitale fisso, e pertanto si può effettuare una valutazione di
convenienza economica (con l’attualizzazione dei flussi finanziari futuri), si può in qualche modo
determinare un preventivo esecutivo che abbraccia il periodo di durata della ricerca, si può
attuare un controllo concomitante, oltre che su parametri qualitativi di efficacia, anche sui costi.
Il sistema di controllo tradizionale basato sui CdR, affermatosi nella prima metà del ‘900 sotto
l’influenza del taylorismo, si articola in tal modo:
gli obiettivi di fondo dell’azienda sono di natura economica possono scomporsi in sub-obiettivi assegnati ai titolari
delle varie posizioni organizzative, anch’esse quantificabili in termini economici la scomposizione avviene a più livelli
organizzativi, portando a una classificazione dei CdR (sempre su base economica) in - centri di costo, - centri di ricavo, -
centri di profitto questi, la cui enfasi è su costi, ricavi e profitto, a loro volta sono suddivisibili in sotto-categorie
L’approccio per CdR economica presuppone che il Conto Economico aziendale venga esploso in
tanti conti economici minori quanti sono i centri in esame (costi e ricavi di loro competenza). Ogni
capo-centro, secondo il principio di controllabilità, viene responsabilizzato sui risultati economici
che è in grado di influenzare direttamente e significativamente con le leve decisionali e le risorse
di cui dispone.
CdR al cui titolare la direzione CdR il cui titolare deve tendere CdR il cui titolare deve mirare
assegna la responsabilità all’ottimizzazione dei ricavi di all’ottimizzazione del risultato
primaria di ottimizzare vendita, acquisendo ordini e economico (ricavi-costi) di un
l’efficienza economica, cioè clienti che consentano di oggetto o business o famiglia di
minimizzare i costi delle risorse raggiungere un certo livello di prodotti avendo a disposizione le
impiegate nell’esercizio della fatturato leve a ciò occorrenti
propria attività sotto certi livelli
materie prime, lavoro diretto) (si ritrovano, tra le varie funzioni, soprattutto nell’area di produzione)
- centri di costo discrezionali: caratterizzati dalla prevalenza di costi non parametrici, cioè
discrezionali e vincolati (es. stipendi personale), anch’essi diffusi in ogni azienda e funzione, specie
tra le funzioni di servizi o di staff (amministrazione, organizzazione e personale, segreteria generale, …)
CENTRI DI RICAVO: non sempre previsti per via dei rischi legati alla sola responsabilità sui ricavi di
vendita (es. area commerciale centri di ricavo e di costo, responsabilizzati sia per i ricavi (di vendita), sia per i costi
di diretta competenza (commerciali))
CENTRI DI PROFITTO: si distinguono in:
a) centri di profitto autonomi: coincidono con unità organizzative dotate di ampia autonomia
decisionale, tipiche di strutture organizzative multidivisionali (divisioni di business, cliente, area
geografica di mercato, …); essi dispongono di ampie leve decisionali, in grado di influenzare
direttamente - volume di produzione e vendita, - mix produttivo, - prezzo di vendita, - prezzo di
acquisto delle risorse, - efficienza nell’impiego delle risorse
b) centri di profitto semi-autonomi: caratterizzano soprattutto quelle strutture multidivisionali in
cui vi sono scambi interdivisionali, frequenti e significativi, valorizzati dai c.d. prezzi interni di
trasferimento, la cui misurazione è soggettiva; sono tali anche le unità funzionali di particolare
importanza, in grado di influenzare fortemente il risultato economico aziendale (es. stabilimento
di produzione) gli scambi interni ne limitano l’autonomia e condizionano i risultati finali di profitto
c) centri di profitto fittizi: si ritrovano in molteplici realtà e situazioni, in cui manca il requisito
della controllabilità delle variabili del profitto (incapacità di influenzarle direttamente e
significativamente: ad es. filiale di vendita che si occupa solo di vendere ma non ha libertà di
scegliere, per procurarsi i prodotti, tra acquisto interno e approvvigionamento sul mercato).
a) centri di profitto in senso stretto: il responsabile del centro, pur disponendo di autonomia e
leve decisionali, non è in grado di controllare il livello degli investimenti, cioè il capitale investito
b) centri di investimento: il responsabile del centro controlla costi, ricavi e capitale investito della
propria unità organizzativa; la misura della sua performance potrà essere:
- un indice di redditività come il ROI
ROI = Reddito operativo/ Capitale investito
- una misura di profitto espressa in valore assoluto ma che tiene conto dell’entità del capitale
investito controllabile, come il reddito residuale controllabile
Reddito residuale controllabile = Reddito operativo controllabile - Oneri finanziari impliciti
(ricavi di vendita - costi operativi controllabili) sul capitale investito controllabile
Il Reddito operativo controllabile, a differenza del ROI, consente di responsabilizzare i manager non solo sul reddito
operativo ma considera anche la loro capacità di gestire economicamente il capitale stesso (chiamando in causa gli
oneri finanziari sul capitale investito)
La struttura organizzativa aziendale è strettamente collegata con la tipologia dei CdR economica.
STRUTTURA PLURIFUNZIONALE (sono presenti centri di costo e di ricavo, i centri di profitto sono un’eccezione e di
solito sono fittizi)
Direzione
generale (cdp)
Direzione generale
(cdp)
STRUTTURA A MATRICE (vi sono centri di costo e di ricavo e particolari centri di profitto: project manager, product
manager, …)
Direzione
generale (cdp)
Project
manager 1
(cdp)
Project
manager 2
(cdp)
Project
manager 3
(cdp)
Oltre alla struttura organizzativa, le responsabilità economiche vanno correlate in funzione di altre
due variabili:
1) il sistema di autorità e responsabilità adottato dall’azienda (es. un responsabile dei sistemi
informativi ha certi poteri e compiti in un’azienda e altri in un’altra) organizzazione
2) la missione prioritaria assegnata a ciascun centro (es. una filiale di banca in un istituto deve
competere economicamente sul mercato, in un altro deve garantire un elevato livello di servizio
alla clientela) strategia
Infine, i diversi CdR si caratterizzano per un diverso contenuto/oggetto di controllo e diverse
modalità di misurazione di input, output e performance economica.
La necessità di ripartire i costi generali tra i centri utenti (utenti dei servizi erogati da altri centri)
risponde a diverse esigenze:
a) rafforzare il controllo dei costi ripartiti: vi è la speranza che il centro utente di servizi erogati da
altre strutture aziendali, vedendosi addebitare le corrispondenti quote di costo, si attivi per ridurre
in qualche modo l’importo di tali costi (e non solo la quota addebitatagli)
b) rafforzare il controllo di altri costi: si addebitano le quote di costi generali ai centri utenti in base
a criteri tali da indurli ad intervenire sulle variabili bersaglio, cioè i costi di diretta pertinenza (se ad
es. la direzione volesse ridurre i costi di lavoro diretto dei centri utenti, potrebbe decidere di
addebitare i costi generali in funzione di tale variabile)
c) diffondere convincimenti e indurre comportamenti ardui da ottenere senza ripartizione: con
l’addebito, il centro utente acquisisce maggior consapevolezza della sua appartenenza ad un
sistema più ampio nel cui interesse deve operare.
Ai fini della ripartizione, occorre verificare in primo luogo il grado di controllabilità da parte del
centro utente: se il costo in esame è controllabile in modo significativo e diretto dall’utente
(controllo sulla quantità ricevuta, sul volume di impiego e/o sul prezzo delle risorse ricevute) allora
i costi indiretti sono ripartibili tra i centri utenti in modo oggettivo; se si tratta di servizi generali, di
cui in realtà usufruisce l’azienda nel suo insieme (es. adempimenti civilistico-fiscali), allora non
conviene neanche procedere alla ripartizione dei costi indiretti tra i centri utenti, per cui tali costi
verranno controllati nei centri dove vengono sostenuti.
Nel caso di servizi e costi indiretti controllabili dai centri utenti, le situazioni ipotizzabili sono:
a) QUANTITA’ CONTROLLABILE: il centro utente, pur tenuto a rivolgersi ad un centro di servizi
interno, può controllare la quantità di servizio ricevuta (es. servizi di elaborazione dati e di R&S)
b) USO E PROVENIENZA: il centro utente può decidere autonomamente se utilizzare o meno il
servizio e se rivolgersi all’interno o all’esterno dell’azienda (es. servizi di consulenza, di formazione
del personale).
a) Premesso che i costi indiretti possono essere generati da attività routinarie di supporto per
rendere operativo il funzionamento dell’azienda e l’utilizzo di una certa capacità produttiva e da
attività discrezionali di sviluppo per il raggiungimento di obiettivi aziendali di lungo termine, solo
nel primo caso tali costi vanno addebitati ai centri utenti, in base all’uso.
Ciò in quanto i costi di funzionamento sono conseguenza di attività tipicamente operative (es.
commerciali e produttive) e al fine di contenerli è necessario accertare se e come i centri utenti
hanno utilizzato i relativi servizi; viceversa, nel caso dei costi discrezionali o di sviluppo (es. attività
di formazione del personale e di R&S) l’addebito può scoraggiare l’uso del servizio.
Per quanto riguarda le modalità di addebito dei costi indiretti ai centri utenti:
- in caso di costi fissi (rispetto al volume del servizio erogato), spesso vengono imputati ai centri
utenti in base a una quantità di servizi predeterminata, per evitare che la quota spettante a un
centro sia influenzata da quanto avvenuto in altri centri (anche se ciò crea uno scostamento tra
costo addebitato a consuntivo con quello addebitato a budget);
- in caso di costi variabili (rispetto al volume del servizio erogato), essi vanno imputati ai centri
utenti in base alla quantità di servizi effettivamente utilizzata.
b) Quando invece i centri utenti sono liberi di richiedere il servizio internamente o di acquistarlo
dall’esterno, allora la libertà di scelta fa sì che il centro possa controllare i costi del servizio nella
loro interezza e contribuire così al governo dei costi generali (ad es. acquistando i servizi da terzi a
un costo inferiore).
PREZZI INTERNI DI TRASFERIMENTO: tipici delle strutture multidivisionali in cui gli scambi
interdivisionali sono frequenti e significativi (centri semi-autonomi e fittizi), i PIT hanno lo scopo di
valorizzare gli scambi interni affinché i CE dei centri accolgano tutti i costi e ricavi delle attività
svolte e non solo quelli legati a scambi di mercato.
I principali metodi di determinazione dei PIT sono così classificabili:
2) PIT basati sui costi (del centro venditore): presuppongono la determinazione del costo
dell’oggetto scambiato; il PIT si basa su valori che riflettono questi presupposti:
- costi pieni (e non variabili) di gestione operativa (scomposti in parte variabile e fissa), in modo da
consentire alla divisione acquirente di comprendere quanto costa alla divisione produttrice il
prodotto oggetto di trasferimento, in particolare l’ammontare dei costi fissi sostenuti
- adozione del costo standard (e non effettivo), in modo da non penalizzare la divisione acquirente
per eventuali inefficienze di cui è responsabile la divisione produttrice
- ricarico del costo con un margine di profitto (e non valore di costo puro e semplice), in modo da
riprodurre internamente all’azienda le condizioni che caratterizzano i rapporti di mercato (margine
di profitto = stima del TIR atteso del capitale investito x importo del capitale investito relativo al prodotto oggetto di
scambio)
3) PIT basati sul mercato: presuppongono che per i beni/servizi scambiati esista un mercato;
tuttavia non sempre una transazione interna trova un esatto riscontro sul mercato, ad es. il
bene/servizio scambiato ha caratteristiche peculiari e non esiste un prodotto identico a cui riferirsi
in modo oggettivo, così come i centri non possono fondare il PIT su un prezzo di mercato perché
ad es. non hanno competenze e/o informazioni necessarie.
I principali pregi degli indicatori economici dei risultati dei centri sono:
- SINTESI: alcuni in particolare, come il profitto, riescono a sintetizzare più variabili e risultati,
altrimenti esprimibili con una pluralità di indicatori; ciò facilita l’applicazione dei sistemi di
valutazione ed incentivazione dei manager
- ORIENTAMENTO AL PROFITTO: aiutano a diffondere tra i manager operativi una mentalità e
sensibilità di tipo economico, con un forte orientamento al profitto
- AFFIDABILITA’: si basano su metodi di misurazione ormai diffusi e consolidati nella prassi
aziendale, quindi piuttosto affidabili.
La scelta di tali indicatori deve basarsi sul rispetto di due fondamentali requisiti (principi-guida del
sistema):
Affinché gli indicatori di risultato di un centro riflettano la sua missione e il suo contributo alla
strategia aziendale, è indispensabile che:
1) la strategia aziendale per ciascun business sia chiaramente identificata ed esplicitata ai vari
centri;
2) gli obiettivi di fondo di tale strategia siano scomposti in sub-obiettivi e in variabili-chiave su cui
far leva per raggiungerli, chiarendone i nessi di causa-effetto;
3) obiettivi, sub-obiettivi e variabili chiave siano tradotti in opportuni indicatori di risultato, in base
ai quali responsabilizzare i vari centri.
Occorre cioè che sia noto il modello di business performance, ossia il modello di generazione dei
risultati aziendali attesi nel lungo periodo. Senza tale modello, che chiarisce come raggiungere gli
obiettivi delle strategie di business, qualunque sistema di indicatori di performance manca della
mappa indispensabile per guidare le scelte dei manager ai vari livelli di struttura organizzativa.
attese degli azionisti attese dei clienti processi di gestione sviluppo organizzativo
in pratica la BSC permette di tradurre la missione e la strategia dell’impresa in un insieme coerente di misure di
performance, che valuta in modo integrato i risultati aziendali sulla base di 4 diverse prospettive
adeguato capitale organizzativo: prerequisito per eccellere nei processi interni per soddisfare
i clienti per soddisfare le attese dei proprietari
Per garantire l’allineamento alla strategia aziendale degli obiettivi specifici assegnati ai singoli
centri ed per evitare che gli indicatori a livello di singolo centro portino ad orientamenti settoriali e
parziali, per ciascun CdR sono identificati due tipi di obiettivi:
1) obiettivi propri del centro, cioè riferibili esclusivamente a quel centro, di esclusiva competenza
di un responsabile perché riflettono direttamente la sua missione e le sue leve decisionali;
2) obiettivi di corresponsabilità, riferibili al sistema più ampio a cui appartiene il centro, che
responsabilizzano in modo congiunto più organi aziendali, evitando rischi di sub-ottimizzazioni e
comportamenti settoriali e parziali; in tal senso, i parametri-obiettivo di corresponsabilità possono
responsabilizzare un centro: a) sui risultati di altre unità “in orizzontale”, ad es. risultati di specifici
progetti o processi; b) sui risultati di altre unità “in verticale” o dell’azienda nel suo insieme, ad es.
corresponsabilità di un manager commerciale dei risultati di una business unit aziendale, espressi
in termini di ROI.
Inoltre, è possibile classificare gli indicatori di risultato in base al modo in cui vengono espressi
(unità di misura):
- indicatori monetari (economici e finanziari): esprimono gli obiettivi in unità contabili
- indicatori quantitativo-fisici: esprimono gli obiettivi in termini quantitativi in relazione alla
natura dell’obiettivo da raggiungere (giorni, ore, n. prodotti, n. clienti, metri, kg, % di scarti, …)
- indicatori qualitativi: usati quando il risultato atteso non è quantificabile (es. qualità del servizio
espressa mediante il giudizio degli utenti).
Il tema degli indicatori di risultato è strettamente collegato a quello del REPORTING, che è un
insieme strutturato di report (rendiconti periodici di controllo), messo a disposizione del top
management e dei manager operativi ai vari livelli, per informarli sull’andamento della gestione.
Il contenuto del report non è identificabile in termini generali perché va adattato ad una serie di
fattori: strategia e struttura organizzativa, missione specifica e leve decisionali del destinatario, …
Nei report, spesso si usano tutti i tipi di confronto perché essi danno informazioni non alternative,
ma complementari.
L’azienda richiede di essere amministrata e, per scopi di gestione, scomposta e analizzata in tanti
PROCESSI, cioè insiemi di attività (in sequenza o in parallelo) che danno luogo ad output definiti,
rivolti al perseguimento di precisi obiettivi.
Ciò significa dotare l’azienda di un sistema di controllo che non si basi su una divisione
dell’azienda di tipo organizzativo (articolazione in unità organizzative e aree funzionali) ma che si
basi su una gestione per processi, cioè su un approccio inter-funzionale e integrato della stessa.
Un reale approccio per processi richiede un particolare atteggiamento da parte dei vari CdR.
In generale, ogni CdR è fornitore di servizi a clienti, sia esterni che interni; con tale approccio si
riduce il rischio di ignorare le esigenze degli altri centri e di perdere di vista gli obiettivi finali.
Questo orientamento al cliente è innanzitutto un abito mentale che deve contraddistinguere i
comportamenti di tutti i membri dell’organizzazione.
I processi hanno un’ampiezza variabile, che dipende dal grado di aggregazione delle attività che li
compongono (es. macro-processo: logistica, aggregato minore: logistica in entrata).
I sub-sistemi elementari del processo sono le ATTIVITA’, insieme compiuto (omogeneo e
autonomo) di operazioni elementari (es. emissione di un ordine al fornitore).
Il concetto di attività come base del processo è estremamente importante perché la
razionalizzazione dei processi gestionali passa attraverso una ricomposizione delle attività, con
l’eliminazione di quelle inutili, il ridisegno di quelli inefficienti, la riformulazione della loro
sequenza lungo il processo.
es. di attività: attività di emissione fatture, attività di emissione ordini ai fornitori, attività di immagazzinaggio merci
Processi di gestione dei clienti: selezione dei clienti, acquisizione di nuovi clienti, mantenimento dei clienti esistenti,
sviluppo delle relazioni con i clienti
Processi di innovazione: identificazione opportunità per nuovi prodotti e processi, gestione del portafoglio R&S,
progettazione e sviluppo nuovi prodotti e processi, lancio dei nuovi prodotti sul mercato
Processi di applicazione di norme giuridiche e sociali: impatto ambientale, salute e sicurezza, occupazione, progresso
collettività
Nella prassi, la distinzione di processi e sub-processi varia a seconda del tipo specifico di azienda;
un esempio di mappa di macro-processi di un’azienda industriale potrebbe essere:
- ciclo attivo (operazioni di acquisto e pagamento debiti ai fornitori)
- ciclo passivo (operazioni di vendita e incasso crediti dai clienti)
- ciclo di trasformazione
- finanza
- amministrazione e controllo
- investimenti
-gestione risorse umane
Alcuni processi coincidono con particolari aree funzionali; caratteristica comune ai vari processi è
la frequente inter-funzionalità, essi attraversano orizzontalmente le unità funzionali, nel senso che
l’obiettivo di processo è conseguibile solo con il contributo di più funzioni.
Da un punto di vista logico, il CdG dei processi, chiariti i loro output ed obiettivi, richiede questi
elementi:
- scomposizione del processo nelle attività costitutive ed individuazione dei legami che le
avvincono
- identificazione dei CdR coinvolti nel processo e distribuzione tra loro delle attività che
compongono il processo (per capire “chi fa che cosa”)
- individuazione di opportuni indicatori di risultato del processo, per monitorarne efficacia
(indicatori di qualità e di tempo di ottenimento dei risultati del processo) ed efficienza
(indicatori di costo del processo, come l’ABC)
- responsabilizzazione dei manager sui risultati in questione (o attraverso l’istituzione di
responsabili di processo, “process owner”, o attraverso la responsabilità del capo-centro dei
risultati di sub-processi o di attività di competenza / la corresponsabilità dei risultati finali di
processo insieme ad altri soggetti)
L’Activity based costing (ABC) è una metodologia di determinazione dei costi utilizzata per la
determinazione del costo di prodotto, le cui fasi sono:
1) imputazione delle singole voci di costo di un certo periodo alle attività
2) individuazione del cost driver di ciascuna attività
3) quantificazione del cost driver in oggetto nel periodo considerato
4) determinazione del costo unitario (per unità di driver) di ogni attività
5) imputazione dei costi, di cui al punto precedente, ai prodotti, mediante moltiplicazione per
le unità di driver che questi comportano.
L’ABC risulta uno strumento molto utile ai fini del controllo dell’efficienza, in quanto consente di
calcolare i costi delle attività e dei processi anche indipendentemente dalla determinazione del
costo pieno di prodotto. In particolare, la fase della determinazione del costo totale e del costo
unitario (per unità di driver) di ogni activity non è altro che uno step del complessivo processo di
product costing.
In tal senso, le informazioni ricavabili da un approccio “activity based” si rivelano molto utili per
orientare le scelte del responsabile che può intervenire sulle attività che non aggiungono valore
oppure le decisioni di chi è impegnato nelle attività in cui vi sono disfunzioni; inoltre, la
conoscenza del driver dei costi delle varie attività consente di avere informazioni indispensabili per
influenzarli e gestirli.
Pregi dell’ABC: stima molto precisa dei costi; individuazione dei cost driver delle attività; soddisfazione del principio
causale
Limiti dell’ABC: sforzo notevole per l’azienda in termini di tempo necessario e di costo per l’implementazione (onerosità
delle rilevazioni)
La c.d. gestione basata sulle attività (ABM) è un sistema che individua nelle attività e nei processi
aziendali i nuclei su cui esercitare l’azione manageriale per migliorare l’efficienza e l’efficacia di
gestione. L’obiettivo prioritario è di utilizzare informazioni economico-finanziarie integrate con
altri parametri non monetari per effettuare scelte e indurre comportamenti gestionali orientati al
miglioramento continuo. Le informazioni di costo relative a tali attività provengono dall’ABC.
L’utilizzo combinato ABC-ABM, che porta a definire le determinanti/cause ultime dei costi
sostenuti per lo svolgimento delle attività, consente di assumere decisioni e realizzare interventi
sui processi utili a gestire i costi: miglioramento dei processi mediante eliminazione di attività che
non generano valore aggiunto o mediante riduzione di tempi e/o risorse impiegate,
riprogettazione prodotti, sostituzione/eliminazione prodotti, ridefinizione prezzi di vendita.
Gli strumenti operativi di cui si avvale il sistema ABM sono:
- l’analisi del valore nei processi, che attraverso l’individuazione delle attività che non aggiungono
valore (e non essenziali per il cliente finale) consente di migliorare i processi e ridurre i costi
- l’analisi della redditività, che grazie alle informazioni sui costi delle attività riferibili ai prodotti
offerte dall’ABC, consente di realizzare livelli di analisi parziale della redditività aziendale
riconducibili ai seguenti oggetti: segmento di mercato, cliente, ordine, prodotto (si effettuano cioè
aggregazioni di costi e analisi della redditività rivolte a ciascun oggetto).
L’approccio al budgeting secondo l’ABB si mostra utile in quanto valorizza in termini di costi e
quantifica in unità fisiche (ore di lavoro, n. di persone, …) il normale fabbisogno di risorse indirette
generato dai programmi di produzione.
L’ABC misura l’assorbimento di risorse da parte delle attività svolte all’interno dei processi
aziendali.
Bisogna specificare però che è molto difficile che risorse rigide come quelle da cui derivano i costi
indiretti possano essere prontamente flessibilizzate (come il personale). A riguardo il valore ABC
dei costi considerati esprimerà non tanto l’importo da iscrivere a budget ma piuttosto il valore
dell’ equo fabbisogno di risorse a regime, allorché l’azienda si sarà alleggerita o avrà integrato tali
risorse secondo le proprie esigenze.
ABC strumento di guida che aiuta i manager a dimensionare nel lungo periodo le risorse indirette secondo criteri
tecnico-economici
La PS è un sistema direzionale che permette di definire gli obiettivi di fondo dell’azienda nel lungo
periodo (mission) e i piani d’azione con cui raggiungerli.
definizione degli obiettivi strategici (scelte di business) + modalità di realizzazione delle strategie (loro traduzione nella
pratica)
La PS sta a monte del CdG, in quanto questo è un sistema direzionale di monitoraggio dei risultati,
rispetto agli obiettivi definiti in sede di PS, che si realizza nelle fasi di budgeting e di reporting.
PS CdG
Orizzonte temporale Lungo periodo (pluriennale) Breve periodo (annuale e infra-annuale)
Scopi Esplicitare i risultati attesi e con quali azioni Guidare i manager verso tali risultati
raggiungerli
Output del processo Piani d’azione o iniziative strategiche Programmi operativi, entro i confini dei
piani
Soggetti coinvolti Top management e staff di pianificazione Top e middle management, con la
collaborazione del controller
Tipo di attività mentale Analitica e creativa Gestionale e persuasiva
Tipo di processo Regolare e formalizzabile solo entro certi limiti Regolare, formalizzabile
La PS è un sistema direzionale meno strutturabile e formalizzabile rispetto al CdG, ciò dipende dal
fatto che essa deve far fronte a molteplici problemi di strategia, derivanti dall’esterno
dall’ambiente competitivo in cui opera l’azienda e dalla sua rapida e poco prevedibile evoluzione.
Il processo di PS comunque può essere inteso come quell’insieme di attività direzionali con cui:
A. SI ESPLICITANO GLI OBIETTIVI DI FONDO DELLA GESTIONE
B. SI ESPLICITANO LE PRINCIPALI INTENZIONI STRATEGICHE
C. SI FORMULANO LE INIZIATIVE STRATEGICHE E I PIANI DI AZIONE CON CUI ATTUARE TALI
INTENZIONI
D. SI STIMANO I RISULTATI ATTESI DAI PIANI.
Al fine di migliorare le scelte strategiche di fronte alla complessità ambientale, sottraendole al solo
intuito e all’improvvisazione, e di supportare validamente le capacità strategiche dei manager
(doti personali per il successo aziendale come idee, intuizioni, capacità previsionale e di anticipare
i concorrenti), si richiedono opportuni studi e analisi aventi ad oggetto l’ambiente di riferimento
dell’azienda (economico, politico, socio-culturale, tecnologico, …); questi sono fondamentali
soprattutto nella fase di creazione di una strategia e ricomprendono:
- una valutazione attuale e prospettica della situazione economica, politica e sociale, nazionale ed
internazionale (tendenze evolutive dei sistemi socio-economici, perlopiù variabili macro-
economiche)
- la definizione dei principali indicatori socio-economici (tassi di interesse, di inflazione, PIL, indici
ALTO B A Riquadro B:
(STAR) (QUESTION quota di mercato alta – tasso di crescita alto
MARK) flussi finanziari tendenzialmente nulli
Riquadro C:
quota di mercato alta – tasso di crescita basso
flussi finanziari tendenzialmente positivi
BASSO C D Riquadro D:
(CASH COW) (DOG) quota di mercato basso – tasso di crescita
basso
flussi finanziari tendenzialmente nulli
ALTA BASSA
QUOTA DI MERCATO RELATIVA
E’ la prima fase del processo di pianificazione; generalmente in un’impresa operante sul mercato, i
cui proprietari sono motivati da attese di soddisfacente e congrua remunerazione del capitale
conferito, il profitto o più in generale i risultati economico-finanziari rappresentano l’obiettivo
primario.
Tuttavia, va rilevato che:
1) i risultati economico-finanziari sono variamente esprimibili. In particolare, le attese dei
proprietari sono esprimibili:
- attraverso indicatori contabili di equilibrio economico-finanziario: ROE e ROI (indicatori di
redditività del capitale), reddito netto, reddito operativo, cash flow, misure di sviluppo o crescita
aziendale (in termini di ricavi di vendita, valore aggiunto, capitale investito, …), utile per azione
- attraverso indicatori di valore economico creato dalle strategie: cioè il valore economico del
capitale creato da strategie di business o di portafoglio e determinato mediante l’attualizzazione di
flussi finanziari o di flussi economici futuri
2) le attese dei proprietari vanno verificate alla luce delle attese di altri soggetti interessati alle
vicende e ai risultati aziendali (stakeholders): gli obiettivi economici dei portatori di capitale di
rischio (obiettivi primari) vanno rapportati con le aspettative dei clienti, il cui soddisfacimento è
condizione primaria per la remunerazione adeguata degli azionisti (obiettivi secondari), e con le
aspettative degli altri soggetti come dipendenti, fornitori ,finanziatori e collettività, che incidono in
vario modo sul processo di creazione di ricchezza.
Gli obiettivi, fissati sia a livello di business che di azienda, vanno esplicitati con chiarezza, diffusi ai
vari livelli della struttura e quantificati nei limiti del possibile.
Per intenzioni strategiche si intendono le decisioni con cui la direzione dà un volto durevole
all’azienda, relativamente ai suoi business, e si propone di competere sul mercato; esse hanno ad
oggetto:
- i prodotti da collocare sul mercato (CHE COSA)
- i segmenti di mercato da servire con tali prodotti (CHI)
- le modalità con cui realizzare tali prodotti e collocarli sul mercato (COME).
Poiché le intenzioni devono poi tradursi in iniziative concrete, per garantire coerenza e
integrazione tra l’aspetto concettuale e quello pratico è possibile ricorrere a mappe strategiche,
che declinano gli indirizzi di fondo della gestione in un sistema di FCS analizzati nelle prospettive di
azionisti, clienti, processi, sviluppo organizzativo, gettando quindi un ponte tra idea e azione.
La mappa strategica di ciascun business si propone di individuare i fattori-chiave su cui agire per
attuare correttamente la strategia. Le iniziative strategiche o piani d’azione sono scelte di livello
più operativo, conseguenti alle indicazioni della mappa.
Le iniziative strategiche sono tradizionalmente distinte in:
- programmi e processi in corso di esecuzione (azioni strategiche già intraprese, sottoposte a
revisione critica per adeguare l’azienda a nuove condizioni di mercato e d’ambiente, senza
modifiche radicali alla strategia di business prescelta: programmi di ridimensionamento o
ristrutturazione di unità organizzative, processi operativi, prodotti)
- nuovi programmi (progetti e programmi discrezionali di durata definita e a contenuto innovativo,
perché consentono la traduzione in pratica delle intenzioni strategiche e il cambiamento richiesto
dalla strategia: oggetto del loro contenuto sono le risorse occorrenti, fasi e tempi di esecuzione,
responsabilità organizzative).
Chiarite intenzioni e iniziative strategiche, si procede alla previsione dei risultati attesi,
relativamente ad un arco di tempo che normalmente va dai 3 ai 5 anni; essi comprendono i
risultati economico-finanziari e i vari target riguardanti le attese dei clienti, l’eccellenza dei
processi, lo sviluppo organizzativo.
I risultati economico-finanziari sono accolti nei bilanci preventivi pluriennali, che consentono di
tradurre la strategia dell’azienda, nell’arco di tempo considerato, nei relativi conti economici,
prospetti dei flussi finanziari, stati patrimoniali.
Per redigere i bilanci preventivi occorre definire il modello della gestione operativa o caratteristica
di ciascun business, con la chiara esplicitazione dei driver dei risultati attesi futuri. Tale modello,
per risultare corretto, va articolato in due parti:
1) il modello economico di gestione correlato ai prodotti/clienti, che nell’arco pluriennale previsto
dal piano riflette a) le attività di vendita e produzione di prodotti esistenti o nuovi (già previsti), b)
le altre attività di gestione operativa, di tipo amministrativo, commerciale, generale
2) il modello economico di gestione collegato alle iniziative strategiche prescelte e ai relativi
progetti, che include a) il modello di generazione dei ricavi di vendita dei prodotti, b) il fabbisogno
di risorse e di generazione dei costi della gestione operativa e degli investimenti collegati, c) il
modello di fabbisogno di risorse e di generazione dei costi e degli investimenti dei progetti
attuativi delle iniziative strategiche e dei programmi di razionalizzazione dei processi e prodotti già
in corso
Esistono due modelli tipici di espressione degli obiettivi aziendali e, quindi, di valutazione delle
strategie:
a) il MODELLO CONTABILE, basato su indicatori di bilancio come il ROE e il ROI, che fa dipendere il
giudizio di convenienza di una strategia e del corrispondente piano dalla loro idoneità a
raggiungere certi obiettivi, espressi mediante indicatori contabili (ricavabili da bilanci preventivi)
quali sono tipicamente il ROE (a livello di azienda) ed il ROI (a livello di business).
b) il MODELLO DI CREAZIONE DEL VALORE, basato sulla misurazione del valore economico del
capitale, creato (o distrutto) da una strategia, che fa dipendere il giudizio in oggetto dalla capacità
della strategia di creare valore economico (e non solo contabile) per i proprietari; il calcolo del
valore economico creato si basa sull’attualizzazione di grandezze-flusso (cash flow) conseguenti
alla realizzazione di determinati disegni strategici. Si tratta di un modello concettualmente più
corretto del precedente, perché tiene conto dei fattori tempo e rischio.
A livello di business il modello consente di esprimere in forma sintetica i risultati attesi dalle
corrispondenti strategie; tale valutazione di sintesi avviene tramite il calcolo delle redditività
attesa, espressa in termini di ROI, e il suo confronto con un parametro di accettazione predefinito.
L’arco temporale considerato di solito coincide con l’orizzonte del piano pluriennale.
A livello di azienda, il modello permette valutazioni strategiche più ampie, che abbracciano tutte le
macro-aree di gestione rilevanti per l’azienda. In tal caso si usa, di norma, il ROE, che consente di
esprimere sinteticamente i risultati attesi dalle scelte operative, finanziarie e di altra natura.
Le critiche al modello contabile come strumento di valutazione delle strategie sono:
a. essendo basato su indicatori di natura contabile, risente delle convenzioni che ne sono alla
base (ROE e ROI sono parametri inadeguati ad esprimere la c.d. redditività economica,
considerata l’unica vera misura del contributo di una strategia alla ricchezza dell’impresa)
b. trascura i riflessi delle strategie che superano l’orizzonte temporale del piano, limitando
l’orizzonte preso in esame all’arco temporale coperto dai piani
c. risente degli avvenimenti passati e dei risultati conseguiti in passato in modo fuorviante
(anche se il problema riguarda in realtà le modalità di definizione degli obiettivi passati con
cui confrontare i risultati attesi dalle strategie)
d. non considera adeguatamente la variabile rischio
e. non considera il valore economico della variabile tempo
f. non tiene conto adeguatamente delle opportunità che un’iniziativa presa oggi potrà offrire in
futuro (incapacità di valutare le relazioni tra investimenti di oggi e opportunità di domani)
g. non facilita una lettura di sintesi dei risultati attesi dalle strategie (mancanza di una
valutazione sintetica globale).
In definitiva se è vero che il modello contabile presenta diversi limiti come strumento per una
valutazione di sintesi delle iniziative strategiche, d’altra parte alcuni degli inconvenienti
addebitatigli sono più il frutto di prassi aziendali scorrette che di carenze del modello.
Tale modello si ispira a una logica di fondo secondo cui, per rimuovere le cause di inadeguatezza
del modello contabile, occorre determinare il valore economico delle strategie, cioè il loro
contributo all’incremento di valore dell’azienda.
Il valore economico di una strategia dipende dai benefici economici che essa è in grado di produrre
in futuro. Per determinare tale valore è necessario:
a) calcolare i flussi di ricchezza collegati alla strategia e variamente dislocati nel tempo;
b) calcolare il tasso di rendimento con cui attualizzare tali flussi;
c) procedere alla suddetta attualizzazione secondo le regole della matematica finanziaria.
Il tasso di attualizzazione coincide con il cosiddetto “costo medio del capitale” che è il costo che
l’azienda sostiene per reperire i mezzi finanziari.
b) Tasso di attualizzazione = costo medio del capitale (costo che l’azienda sostiene per reperire i mezzi finanziari)
c m = costo medio del capitale k e = costo del capitale proprio (K equity) i = costo del capitale di credito
Il tasso di attualizzazione viene fissato ad un livello corrispondente al tasso minimo di remunerazione ritenuto
soddisfacente dai finanziatori dell’azienda.
Il costo del capitale proprio indica la remunerazione del capitale di pieno rischio e va determinato tenendo conto del
rischio collegato all’investimento di un capitale nell’azienda
k e rf p
r f = risk-free rate, il tasso di rendimento di investimenti privi di rischio
p = premio per il rischio preteso dal mercato per investimenti rischiosi
c) L’attualizzazione è l’operazione con cui si esprime il valore attuale dei flussi finanziari futuri
f1 (1 r ) 1 f 2 (1 r ) 2 ... f n (1 r ) n
Per delineare in maniera mirata il processo di attualizzazione, bisogna fare riferimento alla PS e
alle strategie che con essa si sono esplicitate e rese operative.
A tal fine occorre:
1) stimare il capitale azionario iniziale (in assenza di strategia)
2) stimare il capitale azionario derivante dalle strategie
3) stimare il valore creato dalle strategie (= esprimere l’attitudine di una strategia a creare
valore per gli azionisti) e fare le relative scelte.
1) Il capitale azionario iniziale rappresenta il valore che si avrebbe nell’ipotesi che l’azienda non
sfruttasse le opportunità associate ad eventuali iniziative strategiche che si stanno delineando.
Esso viene stimato:
- attualizzando il flusso di cassa del periodo più recente, cioè il flusso monetario attualmente
prodotto dalla gestione (assumendo che esso si perpetui all’infinito), con la formula della rendita
perpetua f0/r (f0 = flusso di cassa del periodo più recente, r = tasso di attualizzazione)
- sottraendo al valore ottenuto, che rappresenta il valore economico dell’intero capitale investito
(e non del solo capitale di rischio) il valore dei debiti:
Valore economico del capitale in assenza di strategie = Valore economico del capitale investito - Valore dei debiti
2) Per stimare il valore del capitale azionario derivante dalle strategie, si deve procedere in 3 fasi:
a. calcolare i flussi di cassa per un arco temporale di durata tale da permettere agli investimenti
programmati di dispiegare i loro effetti in termini di variazione delle vendite e del margine
operativo, in modo da calcolare il c.d. valore attuale dei flussi di cassa del piano
b. determinare il flusso di cassa “a regime” cioè quello che presumibilmente si otterrà quando i
programmi strategici saranno pienamente operativi, in modo da calcolare il c.d. valore
residuo della strategia
c. risalire all’entità del capitale azionario come somma dei valori ottenuti ai due punti
precedenti al netto dell’eventuale indebitamento.
Valore economico del capitale = Valore attuale + Valore attuale del capitale investito - Valore dei debiti
azionario derivante dalla dei flussi di all’orizzonte di valutazione nell’anno 0
strategia cassa di piano (valore residuo)
3) Il contributo atteso da una strategia alla variazione di ricchezza degli azionisti risulta dalla
differenza tra il valore economico del capitale azionario in assenza di nuove strategie ed il valore
economico dello stesso conseguente all’attuazione di una data iniziativa strategica:
Variazione di ricchezza = Valore economico del capitale azionario - Valore economico del capitale azionario
dell’azionista derivante dalla strategia in assenza di strategia
(X -Y) (X) (Y)
Riguardo le decisioni in merito a quali strategie attuare, calcolato il valore da esse prodotto,
occorre distinguere 3 situazioni:
a. scelta in presenza di strategie indipendenti: configura la situazione in cui le strategie oggetto
di valutazione riguardano iniziative autonome (non alternative in uno stesso progetto
strategico) per le quali l’azienda dispone dei mezzi finanziari necessari alla loro attuazione:
dovranno essere accettate tutte le iniziative strategiche che creano valore (X > Y)
b. scelta in presenza di strategie alternative: indica la situazione in cui, pur in presenza di
risorse finanziarie sufficienti, si deve scegliere tra due o più alternative finalizzate a uno
stesso disegno strategico, facendo ricadere la scelta sull’iniziativa da cui ci si attende, in
valore assoluto, il contributo più alto alla creazione di ricchezza
c. scelta in presenza di strategie concorrenti: riguarda le situazioni caratterizzate da scarsità di
capitale, poiché i mezzi finanziari non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno richiesto
dalle diverse iniziative strategiche considerate, occorre scegliere la strategia che, in termini
relativi, offre un maggior contributo alla creazione di ricchezza; a tal fine, per ordinare le
diverse strategie si calcola per ciascuna di esse un indice (Value ROI = Valore creato dalla
strategia / Valore dell’investimento richiesto per la sua attuazione) e si scelgono le strategie
con il Value ROI più alto, fino ad esaurimento delle risorse finanziarie disponibili.
EVA
Tra gli altri metodi alternativi ve ne è uno basato sull’attualizzazione di flussi economici (anziché
finanziari, come nel metodo della creazione del valore) che si basa sull’attualizzazione di grandezze
denominate EVA (Economic Value Added, valore economico aggiunto d’esercizio) e porta a
risultati analoghi al metodo dei flussi finanziari, in quanto considera ma combina diversamente le
stesse variabili.
Secondo il metodo dell’EVA, per determinare il valore creato (cioè creabile in prospettiva)
complessivamente da una strategia occorre determinare il valore attuale dei flussi economici EVA
attesi (alla luce dell’evoluzione del contesto competitivo del business e dell’alternativa strategica
perseguita), con la formula:
Valore economico creato (VEC) = EVA (1 c
1
i m ) i
L’EVA esprime il divario tra il reddito operativo conseguibile in un dato periodo futuro da una
strategia ed il costo da sostenere per remunerare il capitale investito.
Con il metodo EVA si ottiene direttamente l’ammontare del valore che una strategia è in grado di
creare, a differenza del modello della creazione del valore (differenza tra valore economico del
capitale investito nel business con la strategia alternativa e l’analogo valore economico con la
strategia in essere).
I progetti di investimento (impieghi durevoli di capitale) devono essere trattati alla stregua delle
strategie di business; se il modello di creazione del valore è il più corretto per valutare una
strategia, la stessa logica deve applicarsi alla valutazione dei progetti di investimento.
L’investimento infatti rappresenta un “pezzo” di strategia.
Diversi sono gli approcci e i metodi usati per valutare gli investimenti, in tal senso vanno distinte
varie tipologie di investimento, all’interno di due categorie principali, investimenti tradizionali e
non tradizionali, per ciascuno dei quali valgono metodi di valutazione differenti.
- investimenti INDIPENDENTI: il calcolo del VAN offre un criterio di scelta immediato portando ad
accettare i progetti con VAN positivo ed a rifiutare quelli con VAN negativo.
- investimenti ALTERNATIVI: il VAN rappresenta il criterio di scelta migliore, accettando il progetto
con il VAN positivo maggiore.
- investimenti CONCORRENTI: quando i mezzi finanziari sono insufficienti a finanziare tutte le
alternative potenzialmente valide, nella valutazione dei singoli progetti si ricorre al TRA (valore
attuale lordo dei flussi generati dal progetto / valore attuale dell’investimento iniziale). Così, il
valore atteso da una iniziativa d’investimento viene rapportato al capitale investito, evidenziando
in termini relativi il contributo delle varie iniziative alla creazione di valore; i progetti di
investimento, in ordine di TRA decrescente, sono selezionati fino ad esaurimento delle risorse
disponibili.
Spesso, per valutare gli investimenti, viene utilizzato il TIR anche al posto dello stesso VAN, forse
perché psicologicamente piace di più determinare il rendimento % di un investimento, rispetto ad
un dato in valore assoluto.
Tuttavia, il VAN ha una maggiore coerenza con le logiche che ispirano la valutazione finanziaria
delle strategie e rappresenta il metodo migliore di valutazione degli investimenti industriali;
inoltre, se per gli investimenti indipendenti, VAN e TIR conducono allo stesso risultato, per gli
investimenti alternativi VAN e TIR possono condurre a risultati contrastanti (e si preferisce il VAN),
mentre per gli investimenti concorrenti il TIR non è un criterio valido e si opta per il TRA.
BREVE PERIODO
Il MODELLO CONTABILE definisce gli obiettivi di Budget in termini di indicatori noti, di cui il ROI è
l’indice più rappresentativo a livello di business.
Il MODELLO DEL VALORE definisce gli obiettivi annuali in termini di flusso di cassa della gestione
operativa atteso per l’anno di budget.
Le variabili/determinanti del ROI e del flusso di cassa della gestione operativa sono
sostanzialmente le stesse, per cui se gli andamenti gestionali effettivi differissero da quelli
ipotizzati a budget, i due metodi e i relativi indici (indice di redditività e flusso di cassa)
segnalerebbero lo stesso scostamento.
LUNGO PERIODO
Nel MODELLO CONTABILE, il controllo fatto oggi sull’esistenza o meno dei presupposti per
ottenere i risultati futuri sperati, ricade su indicatori come ROI e ROE, con i relativi limiti già
trattati.
Nel caso del MODELLO DI CREAZIONE DEL VALORE, premesso che qualunque sia il metodo di
valutazione utilizzato (monetario o non monetario: flussi di cassa gestione operativa o EVA)
l’approccio del valore porta a conclusioni analoghe, ai fini dell’impatto sul sistema di controllo
occorre far riferimento al metodo dell’EVA:
EVA (flussi da attualizzare c.d. EVA) = Reddito operativo netto - Costo del capitale (valore assoluto totale)
oppure
EVA = (ROIN - cm) x CIN
ROIN = redditività operativa netta del capitale investito
cm = tasso di costo medio del capitale
CIN = capitale investito netto
Gli indicatori di creazione del valore futuro, con cui il CdG deve accertare se si stanno creando già
nel presente i presupposti per ottenere in futuro flussi di EVA soddisfacenti e durevoli, devono
segnalare:
– se l’azienda sta operando correttamente per ottenere in futuro adeguati divari, in termini di
entità e durata, tra redditività e costo del capitale
– se, nell’investire il capitale necessario, l’azienda sta intraprendendo iniziative di sviluppo
appropriate.
Sebbene gli indicatori di risultato di gestione strategica (riguardanti attese dei clienti, eccellenza
dei processi, sviluppo organizzativo) mantengono inalterata la loro validità anche come indicatori
di creazione del valore nel lungo periodo, in quanto convergono nell’ottimizzare l’entità e la
durabilità della differenza futura tra redditività e costo del capitale, vi sono due indicatori
particolarmente significativi (enfatizzati dal modello del valore e sottovalutati e ignorati dal
modello contabile): gli indicatori di RISCHIOSITA’ e SVILUPPO.
RISCHIOSITA’
– Rischio sistematico: rischio gravante sull’azienda che non può essere eliminato neanche tramite
una diversificazione di portafoglio finanziario da parte dell’investitore; tale rischio è influenzato
soprattutto da caratteristiche proprie di determinati business e/o settori (e non da specificità
tipiche dell’azienda). Al diminuire del rischio sistemico, il tasso di costo del capitale tende a ridursi.
– Rischio specifico: grava sull’azienda in relazione ad aspetti che ne contraddistinguono la
struttura e la dinamica gestionale, e che si riflettono sui risultati attesi futuri (rischio elevato
forte incertezza sui flussi attesi; ad es. obsolescenza tecnologica degli impianti, forte dipendenza
da pochi clienti, insostituibilità di certe risorse critiche come manager con doti di leadership
uniche, …).
SVILUPPO
Un sistema di controllo allineato alle esigenze del modello del valore è tenuto a dare al fattore
sviluppo il dovuto risalto: per assicurarsi tempestivamente che si otterranno congrui flussi, occorre
monitorare anche ciò che l’azienda sta facendo per sviluppare i suoi business incrementandone il
capitale investito. Per attuare tale monitoraggio, si ricorre ad indicatori che consentono di
individuare le particolari leve scelte per lo sviluppo, ovvero le iniziative intraprese per attuare la
strategia di business in termini di:
– Nuovi prodotti – Nuovi clienti – Nuovi canali distributivi – Nuovi processi – …
Premesso che obiettivi troppo bassi (larghi) non motivano e obiettivi troppo alti (stretti) rischiano
di demotivare, occorre allora individuare un livello di difficoltà ottimale, cioè fissare obiettivi ad un
livello raggiungibile con un certo impegno (allo stesso tempo devono essere accessibili e richiedere
un congruo sforzo). Un livello di difficoltà ottimale universalmente valido non esiste (dipende da
fattori come caratteristiche personali ed esperienze passate dei soggetti, clima culturale e stile
aziendale) e va ricercato ad hoc da ogni azienda.
c) le MODALITA’ DI VALUTAZIONE delle prestazioni.
Ci si riferisce al modo di impiegare gli obiettivi e gli scostamenti dei risultati per guidare i
comportamenti e per la valutazione delle performance.
Due modelli estremi (di un continuum di situazioni) di valutazione delle prestazioni sono:
- lo stile di valutazione basato su obiettivi vincolanti (budget vincolante)
- lo stile di valutazione basato su obiettivi orientativi (budget orientativo)
- lo stile basato sulla pressione esterna: basato su partecipazione limitata, obiettivi stretti e
vincolanti, valutazione delle prestazioni ancorata su parametri budgetari o predefiniti.
La scelta dello stile di controllo dipende da numerosi fattori: cultura e clima aziendale,
caratteristiche personali e doti professionali dei soggetti coinvolti, forza e motivazioni dei gruppi,
natura dei compiti da svolgere, struttura organizzativa, situazione contingente del business in cui
opera l’azienda. Inoltre, lo stile di controllo deve essere uno strumento flessibile, differenziato e
suscettibile di cambiamento anche all’interno della stessa azienda, in quanto un sistema di
controllo adeguato crea le premesse per condurre a prestazioni più efficaci ed efficienti dei
soggetti coinvolti.
Razionalità dei
Sistema di controllo adeguatamente comportamenti Prestazioni più efficaci ed efficienti
progettato e gestito
Motivazione
9.3 I RUOLI COINVOLTI NEL CDG: COMPITI SVOLTI, DOTI RICHIESTE, RELAZIONI TRA
LINE E STAFF
Al processo di pianificazione e controllo partecipano 2 categorie di soggetti:
- i manager di line: alta direzione, responsabili di business unit, manager funzionali, responsabili di
sub-funzioni e di unità operative usano i sistemi di pianificazione e controllo per guidare le
proprie scelte strategiche e operative
- la staff specialistica che progetta e fa funzionare i sistemi di pianificazione e controllo: gli
specialisti di PS e i controller mettono a disposizione dei manager informazioni e proprie
competenze professionali, per supportare le loro scelte di gestione