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Riassunto brusa sistemi manageriali di programmazione e


controllo esame di programmazione e controllo di gestione
Ragioneria e controllo di gestione (Università degli Studi di Torino)

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1. PIANIFICAZIONE E CONTROLLO DI GESTIONE

1.1 CONTENUTI E LOGICHE

Il CONTROLLO DI GESTIONE (CDG) è un “sistema direzionale” che le aziende adottano per rendere
più razionale e consapevole la propria gestione, ed in particolare per:

– guidare le scelte dei manager ai vari livelli organizzativi verso obiettivi di gestione prestabiliti;
– responsabilizzare i manager sulla bontà dei risultati conseguiti (efficacia/efficienza).

CONTROLLO = MONITORAGGIO, e quindi comporta adeguate misurazioni della gestione, rese


possibili da opportune metodologie contabili ed extracontabili.

CONTROLLO DI GESTIONE: “sistema direzionale” con cui i manager si accertano che la gestione
aziendale si stia svolgendo in condizioni di “efficienza” ed “efficacia” tali da permettere il
raggiungimento degli obiettivi di fondo della gestione stessa, stabiliti in sede di “Pianificazione
Strategica”

Da questa definizione derivano diverse implicazioni.

1) SISTEMA DIREZIONALE: meccanismo operativo, insieme di principi, regole, strumenti messi a


disposizione delle direzione aziendale per consentirle di prendere decisioni corrette in rapporto
agli obiettivi da raggiungere, o meglio, “più corrette” di quelle che prenderebbe in assenza di un
vero e proprio sistema di monitoraggio.

Il sistema di CdG è articolabile in due elementi:


– Componente di “Struttura”: distinguibile a sua volta in
1. sub-sistemi che formano l’oggetto del monitoraggio (ad es. unità organizzative della struttura
[centri di responsabilità], processi in cui si scompone la gestione aziendale) e
2. metodologie di misurazione contabile ed extra-contabile con cui vengono quantificati i
risultati dei diversi sub-sistemi (c.d. “contabilità direzionale”)
 componente statica del sistema
– Componente di “Processo”: riguarda le attività manageriali (cosa fanno i manager e come lo
fanno) nelle varie fasi del CdG (ad es. modalità e tempi di costruzione del budget, criteri di
discussione e utilizzazione dei report, …)
 componente dinamica del sistema [modalità tecnico-organizzative di budgeting e reporting,
stile di controllo]

2) MANAGER: il principale attore del processo di controllo di gestione è la direzione aziendale,


cioè i manager dotati delle leve decisionali e delle responsabilità per gestire le risorse. L’alta
direzione è il principale protagonista del CdG perché governa l’azienda nel suo insieme, tuttavia
tutti i manager devono essere coinvolti nel processo di controllo fino ai livelli inferiori della
struttura organizzativa (responsabili di divisione, di funzione, di ufficio, …)

3) EFFICACIA ed EFFICIENZA: il monitoraggio dei risultati di gestione consente di accertare il grado


di efficacia ed efficienza, dalla cui combinazione risultano le performance aziendali (redditività,
creazione del valore economico, altri risultati).

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Efficienza: attitudine dell’azienda e/o del sub-sistema ad ottimizzare quantità di risorse (input)
occorrenti per ottenere un determinato valore di output.
 evitare o ridurre gli sprechi di risorse. Misurabile tipicamente con la grandezza costi. Di solito il
grado di efficienza si misura calcolando il costo unitario di prodotto

Efficacia: attitudine dell’azienda e/o del sub-sistema ad ottimizzare i risultati riguardanti gli output
della gestione.
 l’efficacia può riguardare quantità e qualità di produzione, tempi di consegna, livello di servizio
al cliente. Misurabile tipicamente con grandezze fisiche (m3 prodotti, % di prodotti difettosi o di
resi, no giorni per la consegna, …) o anche con pseudo-misurazioni (ad es. giudizio dell’utente di un
servizio da 1 a 10)

Efficacia ed efficienza sono caratteri tra loro legati (ad es. la qualità del servizio richiede risorse
adeguate), richiedono più indicatori di misurazione, richiedono un confronto entità reale del
risultato/livello atteso (non esiste efficacia ed efficienza assoluta, ma solo quella relativa a certi
parametri!)

4) PIANIFICAZIONE STRATEGICA: processo direzionale con cui si esplicano gli OBIETTIVI DI FONDO
(di Lungo Periodo) della gestione aziendale; tali obiettivi di fondo rappresentano i “parametri” di
riferimento sulla base dei quali si misura efficacia ed efficienza della gestione. Gli obiettivi di fondo
della gestione sono gli obiettivi di lungo periodo (arco di tempo pluriennale) a cui mira l’azienda,
esprimibili in vari modi a seconda del tipo di azienda, del suo assetto proprietario, dell’ambiente
economico-politico e di altre variabili: redditività del capitale, creazione del valore economico del
capitale, valore del servizio per gli utenti (non profit), …
Tali obiettivi, affinché la gestione si svolga in maniera razionale ed il CdG possa esplicare la sua
utilità, devono essere chiari, espliciti e possibilmente quantificabili.
La PS è quindi il processo direzionale con cui sono esplicitati gli obiettivi e i corrispondenti piani
d’azione per attuare le strategie di business:
a) Formulazione della strategia di business (la direzione decide cosa, per chi e come produrre:
strategie di business e di portafoglio) a monte
b) Pianificazione strategica (si esprimono in modo chiaro obiettivi, i loro target [livello
quantitativo] e tempi di realizzazione)
c) Controllo di gestione (si misurano i risultati di gestione) a valle

La PIANIFICAZIONE STRATEGICA è un processo direzionale che sta a monte del CONTROLLO DI


GESTIONE e con esso forma il sistema unitario più ampio definito di PIANIFICAZIONE E
CONTROLLO.

1.2 TIPI DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO

In azienda convivono più forme di controllo e più tipi di pianificazione.


PIANIFICAZIONE. Associata tipicamente all’aggettivo STRATEGICA, ha ad oggetto decisioni di
contenuto rilevante (cioè con cui si dà attuazione a strategie di business durevoli: cosa, come, per
chi produrre) e di ampiezza temporale estesa (di regola pluriennale); la durata dei piani strategici è
variabile e dipende da caratteristiche ed estensione dei corrispondenti piani d’azione, spesso
coincidenti con specifici progetti.

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-------------------------------------- progetto A
------------------------ progetto B
------------------------------------------- progetto C
0____________________________ n anni
arco temporale del piano

PROGRAMMAZIONE. Si riferisce alle scelte di breve periodo, tipicamente annuali; indica quindi gli
obiettivi, in genere intermedi o parziali rispetto a quelli di Pianificazione Strategica, che dovranno
essere conseguiti in un intervallo temporale breve (1 anno/6 mesi) e li traduce in piani operativi
dettagliati (budget).
Tipico strumento della Programmazione è il BUDGET, un programma di gestione (di esercizio) che
costituisce un “segmento” del piano strategico, cioè un programma per dare attuazione concreta
nel breve periodo alle scelte di pianificazione.

1° anno 2° 3° …. n° (durata del piano)


---------- ---------- ---------- ---------- ----------

(budget)

Pianificazione  lungo periodo (pluriennale)


Programmazione  breve periodo (infra-annuale, annuale)
Budget  “segmento” del piano strategico da attuare nel breve periodo (strumento di
programmazione di esercizio)

CONTROLLO. Il CdG (c.d. direzionale o manageriale) va distinto dalle altre forme di controllo che
hanno per oggetto azioni o atti e che con esso vanno integrati e conciliati (controllo
formale/burocratico, internal auditing [controlli interni], ispettorato); esso ha ad oggetto i
RISULTATI, verifica se (e non come) sono stati raggiunti, ed è di tipo interno.

3 tipologie di controllo:
1. Controllo Strategico: controllo della validità di una strategia (revisione periodica delle scelte e
dei piani di business) oppure controllo gestionale sulle variabili ritenute strategiche per il
successo aziendale (monitoraggio delle variabili critiche di gestione, cioè dei fattori più
significativi per assicurare all’azienda un successo durevole in termini di capacità di reddito, di
creazione di valore economico o di altri risultati).
es. controllo sul Portafoglio Clienti per evitare che questo sia composto da pochi clienti, qualcuno dei quali magari
procura il 90% del fatturato
2. Controllo Operativo: controllo su specifiche operazioni di gestione, attuato spesso nel
brevissimo periodo o in tempo reale; si tratta del controllo della gestione corrente,
contrapposto a quello strategico.
es. controllo ordini ricevuti dai clienti, controllo pezzi difettosi prodotti

Pianificazione Strategica (include anche controllo validità strategie) 


Controllo di Gestione (controllo gestione corrente e gestione strategica) 
Controllo Operativo (controllo su operazioni specifiche)

3. Controllo Organizzativo: è inteso come un sistema avente implicazioni psico-sociali e


culturali, cioè il modo in cui l’azienda cerca di influenzare il comportamento degli individui;
include elementi non strettamente tecnici, adatti a motivare i soggetti coinvolti; in
particolare si riferisce allo STILE DI CONTROLLO (partecipativo, democratico, autoritario).

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1.3 GLI “OGGETTI” DEL CDG

La gestione aziendale è scomponibile in sub-sistemi, la cui identificazione è necessaria per


a) ridurre la complessità dell’azienda stessa (maggiore GOVERNABILITA’),
b) risalire alle CAUSE dei RISULTATI aziendali ed alle LEVE fondamentali per influenzarli,
c) individuare i soggetti a cui compete la RESPONSABILITA’ dei risultati.

Quindi, controllare la gestione significa:


- monitorare i risultati a livello globale di sistema,
- monitorare i risultati a livello di sub-sistemi significativi.

es. bilancio di esercizio  risultati economico-finanziari dell’azienda nel suo insieme; contabilità analitica 
costi/ricavi dei singoli prodotti

I principali modi per disaggregare il sistema azienda in sub-sistemi sono:


- in base alla tipologia di operazioni di gestione (gestione operativa ed extra-operativa)
- per prodotti (e famiglie di prodotti e business)
- per clienti (o tipi di clienti)
- per zone geografiche servite
- per canali distributivi
- per aree funzionali (e sub-aree)
- per processi (e loro fasi o attività)
- per progetti o commesse.

Tutte le modalità di disaggregazione consentono di individuare specifiche aree di risultato, cioè


sub-sistemi di cui misurare efficacia/efficienza.

Tuttavia non tutti i tipi di sub-sistema sono AREE/CENTRI DI RESPONSABILITA’, cioè insiemi di
operazioni sottoposte alla responsabilità di uno specifico soggetto nell’ambito della struttura
organizzativa (ad es., prodotti/clienti/progetti/processi sono CdR solo se è previsto un
product/client/project/process manager nella struttura aziendale).

Sempre più spesso le aziende integrano le due dimensioni di controllo (aree di responsabilità e
sub-sistemi) con una terza, cioè i PROCESSI (insiemi di operazioni interfunzionali) per evitare una
gestione a compartimenti stagni tipica dell’approccio per funzioni.
es. GESTIONE DELLA LOGISTICA: abbraccia attività svolte dalla funzione ACQUISTI, dalla funzione PRODUZIONE e dalla
funzione COMMERCIALE

1.4 LE FASI DEL PROCESSO DI CONTROLLO ED I RELATIVI MECCANISMI

Il CdG si articola in più fasi, cioè si svolge in più momenti nel corso della gestione (prima, durante,
dopo).

– CONTROLLO ANTECEDENTE/PREVENTIVO: accertamento dell’idoneità dei programmi operativi


di gestione, normalmente annuali, a contribuire al raggiungimento degli obiettivi esplicitati dal
piano strategico. Tale fase consiste nel redigere il budget ed accertarne l’adeguatezza/correttezza
in rapporto ai piani di lungo periodo. Concretamente, consiste nell’esame della bozza di Budget da
parte dell’alta direzione e nella sua approvazione se ritenuto valido.

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– CONTROLLO CONCOMITANTE: è il controllo per antonomasia. Si esercita ad intervalli prestabiliti


(ogni mese, bimestre, …) e si propone di monitorare l’andamento della gestione attraverso i
risultati, parziali o intermedi che via via si manifestano. Più frequenti sono le misurazioni ed il
monitoraggio della gestione, maggiore è la capacità dell’azienda di controllo del raggiungimento
degli obiettivi e di intervento con opportune azioni correttive.

– CONTROLLO SUSSEGUENTE: ha luogo a consuntivo quando i risultati finali si sono già


manifestati, a cose fatte; è importante perché alimenta il sistema informativo dell’azienda con dati
e informazioni utili per la programmazione futura e perché permette la valutazione dei risultati dei
manager e l’eventuale loro incentivazione (sistema premiante).

Le varie fasi del processo di controllo richiedono sempre un CONFRONTO tra RISULTATI ATTESI e
RISULTATI EFFETTIVI:

CONTROLLO ANTECEDENTE CONTROLLO CONCOMITANTE CONTROLLO SUSSEGUENTE

Risultati previsti dalla Risultati intermedi previsti dal Risultati attesi


pianificazione di lungo periodo budget
per l’arco di tempo abbracciato vs
dal budget vs
Risultati finali effettivi
vs Risultati intermedi effettivi,
rilevati contabilmente o extra- Es. cash flow annuale
Risultati conseguibili con il budget contabilmente preventivato e cash flow
da approvare. realmente realizzato
Es. costi di commessa previsti fino
Es. redditività del capitale ad un certo punto e costi
effettivamente sostenuti allo
stesso punto

Per operare tale confronto si ricorre a regole precise, i MECCANISMI DI CONTROLLO:

– FEED-BACK: confronto tra risultati attesi o obiettivi e risultati effettivi. (tradizionale)

Definizione
Obiettivi sugli
Confronto Obiettivi vs Obiettivi
Azioni Interventi
Consuntivi e Correttivi
Analisi degli Scostamenti
Rilevazione sulle
Consuntivi Azioni

– CONTROLLO AD OBIETTIVI INCREMENTALI IMPLICITI: confronto tra risultati di periodo


precedenti e risultati attuali (ad es. confronto tra costi ultimo trimestre e costi corrispondente
trimestre dell’anno precedente); manca il riferimento ad obiettivi esplicitamente formulati e si
considera positivo un risultato solo perché migliore rispetto al passato. (più semplice)

– FEED-FORWARD: confronto tra obiettivi e risultati prevedibili in assenza di interventi correttivi:


si confrontano i risultati attesi finali accolti dal Budget, con i risultati finali che si manifesteranno,
stimati oggi con le informazioni disponibili ed ipotizzando l’assenza di interventi correttivi (forecast
 preventivi aggiornati). Questo meccanismo di controllo si prefigge lo scopo di effettuare un
monitoraggio anticipativo in modo da conoscere in anticipo l’evolversi della situazione aziendale e
porvi rimedio con tempestività. (più evoluto)

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Definizione
Obiettivi sugli
Confronto Obiettivi vs Obiettivi
Azioni Interventi
Forecast e Correttivi
Analisi degli Scostamenti
Formulazione sulle
Forecast Azioni

I vari meccanismi di controllo non sono alternativi, ma complementari, e richiedono confronti tra
quantità omogenee (es. no inflazione, cambiamento del processo produttivo, …); infine, quando
non è possibile monitorare i risultati, si effettua il controllo a monte, cioè sulle azioni compiute per
ottenerli o sulle risorse impiegate in tali azioni.

1.5 METODOLOGIE E STRUMENTI DI MISURAZIONE

Metodi e strumenti del controllo di gestione possono essere:


- sia contabili (misurazione economica dei fatti di gestione a consuntivo o a preventivo: può
riguardare operazioni e risultati passati  CONTABILITA’ IN SENSO STRETTO, o si può riferire alla
gestione futura, e in questo caso  BUDGET, BILANCI PREVENTIVI, COSTI STANDARD, …)
- sia extracontabili (basati su misurazioni quantitativo-fisiche, o perché le variabili di gestione
sfuggono a misurazioni economiche [es. immagine sul mercato] o perché è necessario risalire alle
cause dei risultati, esprimibili solo in termini quantitativo-fisici [es. ricavi di vendita/costi di
produzione che dipendono da quantità vendute/quantità di risorse impiegate])

STRUMENTI CONTABILI STRUMENTI EXTRA–CONTABILI

Unità di misura monetaria (euro, dollari, yen, …) Unità di misura fisica e quindi diversa a seconda del
fenomeno da misurare (ore di lavoro, kWh, kg di
materie, n° di pezzi prodotti)

SCHEMATIZZAZIONE SUI METODI:

Al centro dello schema c’è il REPORTING, l’insieme delle informazioni di vario tipo (contabili ed
extra-contabili) che vengono opportunamente selezionate e presentate sotto forma di REPORT o
rendiconti periodici di controllo, al management, affinché questo possa fare le sue analisi,
valutazioni e scelte.

Il REPORT è un prospetto che mette a confronto i RISULTATI ATTESI (ad es. di BUDGET) con i
RISULTATI EFFETTIVI (ad es. rilevati dalla CONTABILITA’ ANALITICA) e ne evidenzia gli
SCOSTAMENTI.

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CONTABILITA’ GENERALE E CONTABILITA’ ANALITICA


BILANCIO DI ESERCIZIO
Informazioni relative alla
Informazioni relative alla gestione passata/appena
gestione passata/appena trascorsa di specifici sub-
trascorsa dell’azienda sistemi aziendali in termini
in termini contabili contabili

REPORTING

BUDGET RILEVAZIONI EXTRA-CONTABILI

Informazioni relative alla Informazioni relative alla


gestione futura dell’azienda gestione passata e futura a
nel suo insieme e di singoli livello di azienda e di sub-
sub-sistemi in termini contabili sistema

1.6 AMBITI APPLICATIVI ED ESIGENZE DI DIFFERENZIAZIONE

CdG e PS sono sistemi applicabili a qualsiasi azienda; non solo le imprese, operanti con motivazioni
di carattere economico, ma anche le aziende aventi obiettivi di tipo pubblico o sociale (PA, aziende
non profit) necessitano di un monitoraggio costante sull’efficienza e sull’efficacia della gestione,
rivolto alla guida del management ed alla sua responsabilizzazione.
Ovviamente cambiano gli indicatori con cui misurare le due caratteristiche attitudinali (efficacia ed
efficienza) ma non cambia la natura del problema e l’esigenza di risolverlo.
Il sistema di controllo deve essere impostato in modo differenziato a seconda delle varie realtà
aziendali; non cambiano le logiche di fondo, ma le variabili di “struttura” (ad es. strumenti di
misurazione ed indicatori) e di “processo” (ad es. modalità di costruzione del budget e fissazione
degli obiettivi) vanno adattate alle circostanze.

es. azienda profit  gli indicatori economico-finanziari svolgono un ruolo primario; PA o azienda non profit  gli
indicatori prioritari riguardano l’efficacia dei servizi resi, espressi in termini non monetari (es. qualità)

1.7 I RUOLI ORGANIZZATIVI COINVOLTI NEL PROCESSO DI CONTROLLO

I protagonisti principali del CdG sono i manager posti ai vari livelli della struttura organizzativa ed
operanti nei vari sub-sistemi organizzativi (divisioni, funzioni, …), i quali grazie al monitoraggio ed
al reporting vengono informati sull’andamento della gestione e prendono le decisioni necessarie al

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raggiungimento dei risultati attesi, assumendo le relative responsabilità (Ad, Dg, responsabili di
business, manager funzionali, …).
Invece, gli specialisti del CdG, i controller, solitamente appartenenti alla direzione di
Amministrazione, Finanza e Controllo (AFC), mettono a disposizione del management operativo le
loro competenze specialistiche (economiche, finanziarie, gestionali) per garantire la corretta
formulazione di decisioni  supporto specialistico

1.8 EQUIVOCI E MITI DEL CONTROLLO DI GESTIONE

MISUNDERSTANDING (interpretazioni errate) del CdG:

– NON deve essere visto come verifica “ispettiva” o “punitiva”; ciò può provocare un
atteggiamento di resistenza o di ostilità verso tale sistema direzionale;

– NON è sinonimo di misurazione contabile. Si sminuiscono le potenzialità manageriali riducendolo


ad un bagaglio tecnico-contabile e non come creazione di un mix di elementi che riguardano
responsabilizzazione e motivazione dei soggetti, coordinamento dei vari organi aziendali, per
migliorare la qualità delle loro decisioni;

– NON deve essere sopravvalutato. Monitorare i risultati e responsabilizzare i soggetti coinvolti


non è sufficiente a migliorare le performance aziendali. Il CdG è uno strumento, offre un supporto
per gestire meglio, ma non è in grado di sostituirsi al management o di produrre soluzioni
preconfezionate. Il CdG ha il compito di portare alla luce i problemi e le domande che altrimenti
sarebbero nascosti, non dà loro risposte e soluzioni;

– NON tutte le aziende possono usare lo stesso tipo di CdG; nelle aziende pubbliche e non profit
devono essere impostati sistemi di CdG con logiche e principi diversi da quelli tipici delle aziende
orientate al profitto;

– nel presente contesto economico e tecnologico (IT, net economy, globalizzazione) l’attuale
struttura tecnico-contabile deve essere rimessa in discussione; tuttavia molti degli ingredienti dei
sistemi di CdG mantengono la loro validità.

1.9 NUOVI SCENARI E SFIDE AL CDG

Il susseguirsi di una serie di fenomeni riguardanti la tecnologia, l’economia e l’ambiente


competitivo mondiale quali la globalizzazione, l’IT, l’orientamento al cliente, collegamenti più
stretti e collaborativi con i fornitori, le strategie di differenziazione e personalizzazione dei
prodotti, la gestione integrata per processi, l’outsourcing, l’innovazione dei prodotti e la riduzione
del loro ciclo di vita, …, hanno determinato a fine secolo un ripensamento critico dei sistemi di
controllo aziendali.
Ciò ha portato a nuove tecniche e metodi di gestione e di organizzazione, tra cui i più importanti
sono:
- il Just In Time (JIT): tecnica di origine giapponese, nata in Toyota negli anni ‘80, con cui si
acquistano i materiali e si realizzano i prodotti solo nella quantità e nei tempi necessari per
soddisfare le richieste dei clienti; in altre parole, i fornitori consegnano i fattori produttivi solo
quando l’azienda ne ha bisogno e i prodotti sono realizzati solo quando stanno per essere spediti

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ai clienti. Lo scopo è ridurre le scorte di magazzino (materie, prodotti in corso di lavorazione,


prodotti finiti) e i relativi costi di gestione, ottimizzando la logistica.
Tale tecnica:
a) si basa su una logica c.d. pull, per cui si parte concettualmente dalla fase finale del processo
logistico (l’ordine del cliente) per gestire la produzione (non si produce nulla se non lo chiedono in
un punto successivo della catena), evitando così l’accumulo di giacenze
b) si pone all’opposto della logica c.d. push, che spinge a tenere il personale quanto più occupato,
anzi essa richiede maggiore versatilità e flessibilità nella gestione di una cella (ad es. curandone la
manutenzione nei tempi di inattività)
c) prevede una disposizione dei macchinari a cella, dove ogni cella riunisce tutte le macchine che si
occupano delle varie fasi di realizzazione di un prodotto.
- Total Quality Management (TQM): approccio finalizzato a ridurre la difettosità dei prodotti e a
ricercare livelli soddisfacenti di qualità (strategia difetti zero); tale tecnica concentra l’attenzione
verso i clienti esterni, al fine di soddisfare le loro aspettative, che si riflette nei processi interni, in
cui l’output ottimale deve essere garantito ai clienti interni (le unità organizzative della struttura
coinvolte nel processo di produzione).

Valori guida del TQM


- qualità definita in base a ciò che vuole e si aspetta il cliente - attenzione al cliente - aumento di responsabilità
- miglioramento continuo del processo produttivo
- qualità delle relazioni con il cliente (relazionale) e di beni e servizi (produttiva)

SISTEMI PULL (tirati): la produzione è richiamata dalla domanda finale


SISTEMI PUSH (a spinta): i piani di produzione sono determinati (a monte) a partire dalla previsione della domanda

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2. ANALISI ECONOMICHE PER IL CONTROLLO DI GESTIONE

2.1 IL PROFILO ECONOMICO-FINANZIARIO DELLA GESTIONE GLOBALE D’AZIENDA

A livello globale d’azienda, controllarne l’equilibrio economico-finanziario significa valutarne


attitudini sintetizzabili in:
- Redditività del capitale, o Creazione di valore economico
- Equilibrio della struttura finanziaria, o solidità patrimoniale
- Liquidità, o equilibrio tra entrate e uscite nel breve periodo.

Il modo più immediato per apprezzare le performance economiche globali (o anche a livello di
singoli business) consiste nel misurare la Redditività del capitale, che può essere intesa come:
- redditività del capitale proprio (con l’indice ROE, Return On Equity)  riguarda l’azienda nel suo
insieme
- redditività del capitale investito nella gestione operativa (con l’indice ROI, Return On
Investment)  riguarda sia l’azienda sia i singoli business

ROE e ROI rappresentano gli indici su cui fonda la strumentazione contabile del CdG; partendo
dalla redditività del capitale, si effettuano delle analisi via via più spinte, per risalire alle cause che
ne sono all’origine. Ai fini del CdG cioè si procede ad un’analisi dei nessi causali che legano i
risultati finali (misurati ad es. dal ROE) alle loro variabili esplicative, in modo da:
a) individuare le varie cause di gestione della redditività
b) responsabilizzare i soggetti che dispongono delle leve decisionali per influenzarle.

La redditività del capitale proprio è scomponibile nelle sue variabili esplicative secondo due
modelli:

1) MODELLO DEL ROE PER FATTORI:


ROE = ROI x Grado di indebitamento x Tasso incidenza gestione extra-operativa

ROE = Reddito netto / Capitale proprio


ROI = Reddito operativo / Capitale investito
Grado Indebitamento (o di Indipendenza finanziaria) = Capitale investito / Capitale proprio
Tasso incidenza gestione extra (sul reddito netto) = Reddito netto / Reddito operativo

2) MODELLO DELLA LEVA FINANZIARIA:


ROE = [ROI + (ROI - i) x Rapporto leva finanziaria] x Tasso incidenza gestione extra

i = tasso d’interesse sul capitale di terzi


Rapporto di leva finanziaria = Capitale di terzi / Capitale proprio

Quindi, la redditività del capitale proprio dipende in primo luogo dalla redditività del capitale
investito (il successo economico durevole dell’azienda dipende in primis dalla sua attitudine a
essere competitiva e a gestire i suoi business in modo efficiente ed efficace), poi da altri fattori a
cominciare dal grado di indebitamento (= leva finanziaria, fattore su cui agire per rendere
disponibili i capitali occorrenti alla gestione del business).
Nell’analisi del ROI invece è importante distinguere due attitudini, assunte come macro-variabili
esplicative della redditività del capitale investito:

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- capacità di vendere a condizioni economiche remunerative (ROS, Return On Sales = tasso di


redditività delle vendite)  margine di guadagno su ogni € di ricavo
- capacità di ottimizzare (usare una quantità minima) il capitale investito nella gestione operativa
per ogni € di ricavo conseguito.
E’ a partire dal ROS in particolare che inizia quello che è il controllo economico di gestione, in
quanto è alla base di ogni misurazione economica per il monitoraggio dell’efficienza della
gestione:

ROS = Reddito Operativo / Ricavi di vendita = Ricavi di vendita - Costi Operativi fissi e variabili
Ricavi di vendita

Incidenza costi variabili  dipende da efficienza nell’impiego di risorse, rapporto prezzi-costo e


prezzi-ricavo, mix dei prodotti
Incidenza dei costi fissi  dipende da scelte di struttura e capacità produttiva, decisioni per lo
sviluppo dell’azienda

2.2 ANALISI DEI COSTI: CLASSIFICAZIONI RILEVANTI PER IL CONTROLLO DI


GESTIONE

La determinazione e l’analisi dei costi rappresenta un momento delicato e decisivo del sistema di
controllo di qualsiasi azienda.
I costi di produzione, cioè l’espressione monetaria della quantità di risorse impiegate nello
svolgimento di un’attività produttiva, sono variamente classificabili ed analizzabili.

Classificazione dei costi di produzione:

a) secondo la loro NATURA fisico-economica


b) secondo l’AREA DI GESTIONE di pertinenza
c) secondo le loro MODALITA’ DI IMPUTAZIONE agli oggetti di calcolo
d) secondo il loro COMPORTAMENTO al variare del volume di produzione
e) secondo le modalità della loro PROGRAMMAZIONE
f) secondo la loro CONTROLLABILITA’

CLASSIFICAZIONE COSTI DI PRODUZIONE

NATURA AREA MODALITA’ COMPORTAMENTO CONTROLLABILITA’


GESTIONE IMPUTAZIONE – Variabili – Fissi – Misti
Caratteri
fisico- Aree in cui è – Diretti – Controllabili
economici dei articolabile il – Indiretti PROGRAMMAZIONE – Non Controllabili
fattori Conto – Parametrici
Economico – Vincolati
– Discrezionali

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2.3 CLASSIFICAZIONE DEI COSTI PER NATURA

Classificazione basata su caratteristiche fisiche ed economiche dei fattori produttivi impiegati


nei processi di gestione. Questa distinzione in buona misura coincide con la classificazione operata
dalla contabilità generale, è indispensabile per qualsiasi scopo della contabilità dei costi, in quanto
occorre conoscere, come minimo, il valore delle specifiche risorse impiegate nello svolgimento
della gestione.

Es. di classificazione dei costi per natura in un centro produttivo (stabilimento, officina, …)
- Materie Prime - MOD mano d’opera diretta - MOI mano d’opera indiretta
- Stipendi personale tecnico - Forza motrice - Materiali ausiliari e di consumo
- Illuminazione - Riscaldamento - Manutenzioni
- Quote di ammortamento immobilizzazioni tecniche - Costi vari industriali

L’esempio riportato si riferisce ai soli costi “industriali”, cioè sostenuti nelle aziende industriali
all’interno dell’area della produzione. In pratica, presso molte aziende industriali, tali costi
vengono convenzionalmente così raggruppati:

– Materie prime
– Mano d’opera Diretta (MOD)
– Costi Indiretti Industriali (manufactoring-overhead)  spese generali di produzione/fabbricazione

Se consideriamo anche altre aree di gestione tipicamente non produttive, la distinzione dei costi
per natura include numerose altre voci. Di solito i costi non industriali vengono raggruppati per
funzione, ad es.:

– Costi Commerciali e Distributivi


– Costi di R&S
– Costi Amministrativi
– Costi Vari e generali

2.4 CLASSIFICAZIONE DEI COSTI SECONDO L’AREA DI GESTIONE DI PERTINENZA

Per aree di Gestione si intendono le seguenti Macro-Aree (aree in cui si articola il CE):

– Gestione Operativa e/o Caratteristica


– Gestione Finanziaria
– Gestione Straordinaria
– Gestione Atipica
– Gestione Tributaria

Questa classificazione è importante soprattutto nel CdG globale d’azienda. I costi vengono
classificati in base all’area di competenza.
In particolare nell’area di gestione operativa ricadono tutti i principali costi che vengono analizzati
dal CdG: materie, mano d’opera, stipendi, ammortamenti, …, mentre alla gestione finanziaria
appartengono oneri finanziari e interessi passivi, cioè i costi sostenuti per acquisire il capitale di
credito.

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Questa classificazione presenta motivi di interesse anche a livello di sub-sistema (prodotti, aree
funzionali), poiché spesso il controllo dell’efficienza economica ha per oggetto proprio la gestione
caratteristica.

2.5 CLASSIFICAZIONE DEI COSTI SECONDO LE MODALITA’ DI IMPUTAZIONE AI


LORO OGGETTI

Questa classificazione si basa sulla possibilità o meno di misurare in modo oggettivo la quantità di
fattore impiegata per un certo oggetto, ad es. un dato prodotto
(OGGETTO DI COSTO: elemento di aggregazione dei costi per il quale l’azienda ha interesse a conoscerne il grado di
consumo di risorse aziendali  es. prodotto/servizio, unità organizzativa, cliente, funzione, linea di prodotto, agente)
Si distinguono due categorie, A) COSTI DIRETTI e B) COSTI INDIRETTI.

A) I costi diretti sono attribuibili ai prodotti mediante misurazione oggettiva del volume di fattore
impiegato e moltiplicando tale quantità per un prezzo unitario:

quantità di fattore impiegato x prezzo unitario es. ore 5 di MOD x 20 € (costo orario)

I costi diretti si riscontrano anche nei casi in cui le risorse vengono impiegate per un solo prodotto
(o per un solo centro di costo, o altro tipo di oggetto), per cui non vi sono problemi di
imputazione.

B) I costi indiretti vengono attribuiti ai centri o ai prodotti mediante una ripartizione, sempre più o
meno soggettiva, in quanto la misurazione oggettiva del consumo di risorsa per ciascun oggetto di
riferimento non è possibile:

costo da ripartire x coefficiente di ripartizione

Sono esempi di costi indiretti rispetto agli oggetti specifici di calcolo i costi per stipendi del
personale amministrativo, commerciale, tecnico (non di MOD) e molti dei c.d. costi generali,
sostenuti per il funzionamento dell’azienda nel suo insieme e non per progettare, produrre,
commercializzare, … specifici prodotti o altri oggetti.

I criteri di ripartizione dei costi indiretti possono essere:


- su base unica
- su base multipla

BASE UNICA: il totale dei costi indiretti viene ripartito in proporzione ad una sola grandezza nota

Esempio
- Prodotti fabbricati dall’azienda: A, B e C - Totale dei costi indiretti industriali: € 1000000
- Base unica di ripartizione prescelta: ore di MOD
- Ore di MOD impiegate per il prodotto A: 10000
- Ore di MOD impiegate in totale per i prodotti A, B e C: 40000

Quota di costi indiretti da imputare ad A = € 1000000 x h. 10000/40000 = € 250000


Il rapporto tra € 1000000 e ore 40000, pari a 25 €/ora MOD, è il coefficiente di ripartizione su base
unica ed è chiamato anche “tasso orario di costi indiretti” (overhead hour rate); tale importo
significa che ogni ora di lavoro diretto “porta con sé” € 25 di costi indiretti.

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BASE MULTIPLA: il totale dei costi indiretti viene suddiviso in classi omogenee, a ciascuna delle
quali si applica un criterio di ripartizione appropriato; tale procedimento conferisce maggiore
attendibilità all’imputazione dei costi indiretti, differenziandola opportunamente secondo le
proprietà delle varie voci di costo

Esempio
- Prodotti fabbricati dall’azienda: A, B e C
- Totale dei costi indiretti industriali: € 1000000, di cui € 400000 relativi a MOI e € 600000 relativi ad ammortamenti di
macchinari
- Basi di ripartizione prescelte: ore di MOD (per il costo della MOI); ore-macchina (per l’ammortamento del costo dei
macchinari)
- Ore di MOD impiegate per il prodotto A: 10000 (su un totale di 40000)
- Ore-macchina impiegate per il prodotto A: 5000 (su un totale di 15000)

Quota di costi indiretti da imputare ad A:


a) € 400000 x h. MOD 10000/40000 = € 100000
b) € 600000 x h. macchina 5000/15000 = € 200000
per un totale di € 300000 di costi indiretti imputati al prodotto A

La ripartizione dei costi indiretti, specie su base multipla, va effettuata nel rispetto del c.d.
principio funzionale o causale, per cui si devono “assegnare ad ogni oggetto di costo valori che
siano espressione quanto più significativa del ‘concorso’ offerto da ciascun fattore produttivo
all’oggetto stesso”.

Dato che il COSTO PIENO di prodotto o di altro oggetto, cioè il costo inclusivo anche di una quota
di costi indiretti, assume una notevole rilevanza per gli scopi gestionali che il COST-ACCOUNTING
persegue, l’imputazione dei COSTI INDIRETTI rappresenta uno dei nodi cruciali da sciogliere nel
campo delle determinazioni economico-quantitative d’azienda. Le metodologie di cost accounting
più usate per la corretta imputazione dei costi indiretti sono: Contabilità per Centri di Costo, ABC.

2.6 CLASSIFICAZIONE DEI COSTI SECONDO IL LORO COMPORTAMENTO

L’analisi del comportamento dei costi presuppone che i costi dei fattori produttivi vengano messi
in relazione con le variabili esplicative o determinanti che ne causano il sostenimento.
Ad es., il costo del fattore produttivo “materia prima” può variare in relazione a cambiamenti di
volume di produzione, di efficienza nell’impiego della risorsa, di prezzo di acquisto della stessa, …

Tale analisi è perciò fondamentale ai fini della Programmazione della Gestione, e cioè del Controllo
a preventivo delle conseguenze economiche di certe scelte di gestione.

Tradizionalmente, la variabile utilizzata per l’analisi dell’andamento o della variabilità dei costi è il
VOLUME, cioè la quantità di produzione o di vendita di certi beni o servizi.
Questo per due semplici motivi:
- il volume è una variabile sempre rilevante ai fini dei risultati economici attesi;
- la relazione costi-volumi è più agevolmente analizzabile e “modellizzabile” di quanto non siano le
relazioni tra costi ed altre variabili.

Concentrarsi sul volume significa trascurare ogni altra variabile esplicativa dell’entità del costo
delle risorse (ad es. ipotizzare come dati un certo livello di efficienza e di prezzo d’acquisto) ed
analizzare come variano i costi a seconda del livello di attività.

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In tale ottica i costi vengono cosi suddivisi:

– COSTI VARIABILI – COSTI FISSI discrezionali + vincolati (di struttura) – COSTI MISTI

COSTI VARIABILI COSTI FISSI COSTI MISTI

Costi il cui importo varia in Costi il cui importo non varia a Costi che al variare del volume
proporzione al volume di fronte di ipotesi alternative di sono scindibili in due componenti
produzione (costi proporzionali) volume (restano invariati) (costi semi-variabili):

Costi tipicamente variabili: Costi tipicamente fissi: – Componente Fissa: si sostiene


– Costo Materie Prime – Stipendi del personale indipendentemente dal volume
– Quote di ammortamento
Esempio – Spese generali – Componente Variabile:
Volume produzione: l’ammontare varia in proporzione
1000/1100/1500 unità Esempio al volume
Costo totale materie prime: Volume produzione:
300000/330000/450000 € 1000/1100/1500 unità Costi tipicamente misti:
Costo totale stipendi personale – utenze di servizi [corrente, gas,
amministrativo: acqua] (composte da canone +
500000/500000/500000 € costo variabile in base ai
consumi)

Esempio
Volume produzione:
1000/1100/1500 unità
Costo totale energia elettrica:
11000 (1000 fisso, 10000 var.)/
12000 (1000 fisso, 11000 var.)/
16000 (1000 fisso, 15000 var.)
Costi totali

y=a+b*x y=b*x x = volume di


produzione o di vendita

y = ammontare costo
totale risorsa presa in
esame

y=a a = ammontare del


costo fisso totale della
risorsa

b = ammontare costo
unitario
Volume

Ps. La retta raffigurante i costi misti, oltre all’andamento delle specifiche voci di costo “miste”,
rappresenta pure il comportamento dei “costi pieni”, intesi come sommatoria di tutte le singole
voci di costo, siano esse variabili, fisse o miste.

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2.7 CLASSIFICAZIONE DEI COSTI SECONDO IL LORO COMPORTAMENTO :


APPROFONDIMENTI IN UN’OTTICA MANAGERIALE

Le più rilevanti riflessioni in merito riguardano:

A) limiti di significatività dell’analisi (CAPACITA’)


B) concetto di risorse impegnate
C) significato gestionale dei parametri della retta (A e B)

A) LIMITI DI SIGNIFICATIVITA’: è ragionevole supporre che l’ottica di analisi del manager sia
innanzitutto quella del BUDGET (strumento preventivo di programmazione di breve periodo).
Cioè l’azienda si accinge a formulare i propri programmi di gestione per un periodo
sufficientemente breve e “dominabile”, disponendo già di una struttura o capacità produttiva
decisa a monte, in sede di PS.
Tale “capacità” impone una serie di costi che l’azienda deve sostenere comunque nel periodo di
Budget qualunque sia il suo grado di utilizzo.

Si tratta di COSTI DI CAPACITA’, che restano costanti per ampi intervalli di produzione, così
classificabili:

– costi variabili in proporzione al volume o costi variabili tout-court  si tratta di costi variabili nel
vero senso della parola (includono costi con un intervallo di invariabilità molto limitato, o a “scalini
molto stretti”) (variabili in senso stretto)

– costi variabili in rapporto al volume ma solo a scatti (andamento a scalini)  hanno una
variabilità (a scatti) in rapporto al volume, che in genere viene “bloccata” in sede di budget e cioè
con le decisioni su cui quest’ultimo si basa (variabili a scatti)

– costi la cui variabilità non ha come fattore esplicativo il volume di produzione  vengono decisi
anno per anno, ed una volta decisi gli stanziamenti sono assimilabili agli altri costi fissi (discrezionali)

Quindi, in sede di costruzione del budget annuale, - si determina l’entità di risorse il cui fabbisogno
è proporzionale al volume di produzione/vendita (costi variabili in senso stretto), - si prende atto
dei piani con cui una serie di capacità è già stata preordinata, ed è immodificabile nel breve
periodo (che impongono una serie di costi fissi), - si decide il grado di utilizzazione di tale capacità
e con esso si determina l’entità dei costi il cui andamento è stato definito variabile a scalini, - si
decide l’entità di alcuni costi la cui misura è svincolata dalla variabile volume, ma dipende da
decisioni discrezionali degli organi aziendali finalizzate allo “sviluppo” (c.d. costi discrezionali: costi
per attuare programmi di R&S, di formazione del personale, di pubblicità, …).

Semplificando i concetti:
- I COSTI DI CAPACITA’ sono fissi in corrispondenza di un intervallo di produzione cha va da 0 ad
un volume massimo producibile con quella capacità. Quando si redige il budget essi sono già stati
assegnati o vincolati dalle strategie a monte del budget.
- I COSTI A SCALINI sono fissi nell’ambito di un intervallo di produzione (all’interno della capacità
produttiva massima) entro cui cade il volume previsto a budget. Una volta programmati nel
budget, rimangono bloccati (e vanno considerati fissi anche al di sotto del limite di significatività).
Nel caso in cui esista flessibilità nel liberarsi delle risorse eccedenti, continuerebbero ad essere
variabili a scalini.

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- I COSTI DISCREZIONALI non hanno legami con il volume e quindi hanno lo stesso ammontare
quale che sia il volume di produzione.

B) RISORSE IMPEGNATE: i vari fattori produttivi differiscono per la prontezza di adattamento dei
loro consumi rispetto al fabbisogno, cioè rispetto alla domanda dei loro servizi che la produzione
suscita.

Vi sono risorse come le materie prime il cui costo (cioè il cui consumo) può essere
tempestivamente adattato alle esigenze della loro domanda, generata dai livelli di produzione (se
questa è inferiore, il loro consumo può essere agevolmente ridotto, accumulando le materie prime
non utilizzate in scorte).

I costi di altre risorse, come la MOD (benché annoverata tra i costi variabili), presentano un grado
di adattabilità minore. La MOD ad es. mette a disposizione un flusso potenziale di servizi (es. 1500
ore all’anno); se poi il suo fabbisogno effettivo è solo di 1300 ore, il costo per l’azienda non cambia
nel breve periodo, cioè non è adattabile con prontezza alla domanda. Si tratta cioè di una risorsa
“impegnata”, messa a disposizione in anticipo rispetto alla produzione e non accumulabile e
riutilizzabile come ad es. le materie prime.
Naturalmente, anche la MOD è un costo adattabile ai fabbisogni, semplicemente richiede un lasso
di tempo più lungo (ad es. per licenziamenti/riconversioni dei lavoratori); inoltre, in caso di
maggior fabbisogno presenta minore rigidità (ad es. ricorso al lavoro straordinario).

C) SIGNIFICATO GESTIONALE DEI PARAMETRI DELLA RETTA (A e B): la funzione dei costi pieni
totali è:

y=a+b*x y = costi pieni totali


a (costi fissi totali) = costi di struttura + costi discrezionali
b (costi variabili unitari) = f * m f (standard unitario fisico) m (standard monetario)
x = volume di produzione o di vendita

I costi fissi totali (a) sono la risultante di due tipi fondamentali di decisioni:
– decisioni con cui l’azienda si dota di varie CAPACITA’, cioè di risorse tecniche e umane con cui si
delimita, per periodi diversi da risorsa a risorsa, la capacità di produrre (costi di struttura o
vincolati)
– decisioni con cui sceglie gli obiettivi di sviluppo in senso lato, ossia sviluppo delle conoscenze
tecnico-scientifiche, delle risorse umane, dell’immagine aziendale, … (costi discrezionali)

I costi variabili unitari (b) sono invece scomposti così:


b = f*m

f = standard unitario fisico della risorsa considerata (quantità fisica di risorsa che occorre per ottenere 1 unità di
prodotto o output)  esprime il grado di efficienza interna nell’impiego della risorsa
m = standard monetario o prezzo unitario standard della risorsa stessa (prezzo di acquisto di 1 unità della risorsa in
esame)  esprime il grado di efficienza esterna cioè nei rapporti con i fornitori di risorse

In definitiva, per agire sui costi che caratterizzano la struttura economica di un’azienda occorre:
– prendere adeguate decisioni di capacità in sede di piano o di budget, alleggerendo il carico dei
costi di struttura;
– fare scelte di sviluppo (know-how, qualità professionali, …) supportate da un’analisi delle risorse
tecnicamente occorrenti per ottenere gli obiettivi di lungo periodo auspicati;

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– intervenire sulle cause prossime e remote dell’efficienza interna (ad es. qualità dei materiali,
organizzazione del lavoro, …);
– operare sui mercati di approvvigionamento dei fattori produttivi per migliorare l’efficienza
esterna.

2.8 CLASSIFICAZIONE DEI COSTI SECONDO LE MODALITA’ DELLA LORO


PROGRAMMAZIONE

Quando si costruisce un Programma di Gestione e lo si traduce in termini economici nasce un


problema di grande rilevanza, ossia capire come quantificare a preventivo l’entità dei costi
corrispondenti alle risorse da impiegare.

Secondo la loro programmazione possiamo distinguere in:


– COSTI PARAMETRICI = risorse il cui consumo è misurabile a priori in maniera “oggettiva”, perché
esistono dei parametri tecnici (es. grammi di farina e zucchero, numero di uova, …, per produrre
un dolce); vi rientrano sia COSTI VARIABILI sia COSTI FISSI
– COSTI VINCOLATI = risorse il cui consumo è conosciuto da tempo, e derivano soprattutto da
decisioni seguite in passato e difficilmente possono essere modificati, almeno nel breve periodo
(costi di struttura); si tratta di COSTI FISSI
– COSTI DISCREZIONALI = sono costi che derivano da scelte soggettive, e che comunque possono
essere previsti e preventivati nella programmazione annuale. (ad es. i costi di R&S).

TIPI DI COSTO PARAMETRICI VINCOLATI (fissi) DISCREZIONALI (fissi)


PROGRAMMAZIONE standard fisico (f) noto (f) non noto (f) non noto
a budget: a budget: a budget:
(f) x volume programmato sulla base di decisioni stanziamento soggettivo
passate
CONTROLLO con l’analisi degli con un confronto budget- con un confronto budget-
scostamenti dal budget consuntivo consuntivo

2.9 CLASSIFICAZIONE DEI COSTI SECONDO LA LORO CONTROLLABILITA’

Questa classificazione chiama in causa un particolare momento del CdG, vale a dire la valutazione
dei risultati e la responsabilizzazione dei manager sui medesimi.
Possiamo distinguere in:

– COSTI CONTROLLABILI
– COSTI NON CONTROLLABILI

La responsabilità dei manager può assumere diverse gradazioni a seconda del livello di
“influenzabilità” sull’entità dei costi, che dipende dal tipo di risorsa impiegata e dalle leve
decisionali disponibili; per cui, vi saranno costi più o meno controllabili.

La distinzione ha un valore relativo:


–il costo può cambiare la sua controllabilità a seconda del centro di responsabilità entro cui lo si
misura;
– per controllabile si intende “influenzabile in maniera diretta e significativa” con le leve
decisionali a disposizione, anche se il soggetto non ha la piena controllabilità del costo.

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Per ovviare all’inconveniente di responsabilizzare il soggetto in toto, quando invece è in grado di


influenzare solo parzialmente un costo, si usano accorgimenti consistenti nello scomporre un
costo nei suoi vari elementi (efficienza interna, efficienza esterna) e nel responsabilizzare il
soggetto solo su quella componente che è in grado di condizionare.

L’unico punto fermo è che si tratta di una distinzione di carattere organizzativo, piuttosto che
economico o contabile, per cui i problemi di controllabilità/responsabilizzazione dei costi vanno
risolti alla luce dei principi di organizzazione aziendale e delle scelte organizzative aziendali.

2.10 DETERMINAZIONE DEI COSTI DI PRODOTTO E DI ALTRI OGGETTI: LE


CONFIGURAZIONI DI COSTO

Ai fini dell’imputazione dei costi a particolari oggetti della gestione aziendale, come i prodotti,
particolarmente importante è la determinazione del COSTO DI PRODOTTO; prima delle sue
modalità di calcolo, occorre chiarire il concetto di configurazione di costo.
CONFIGURAZIONE DI COSTO: contenuto che ha il costo di prodotto in termini di voci incluse nel
calcolo; la configurazione di costo può essere a “COSTI PIENI” (comprensivi di tutte le voci di costo
del CE) o a “COSTI PARZIALI” (includono solo alcune di tali voci come ad es. i soli costi variabili).

– COSTI PARZIALI: principali configurazioni:


1) Costo Variabile
2) Costo Primo o Diretto
3) Costo Industriale
4) Costo Operativo.

1) Costo Variabile: figura di costo che presuppone la chiara separazione dei Costi Variabili (inclusi
nel calcolo) dai Costi Fissi (esclusi dal calcolo). Esso include i soli componenti variabili, ad es. per un
dato prodotto:
MOD = 40 € Materie Prime = 100 € Materie Ausiliarie = 5 € Forza Motrice = 10 €
Servizi Esterni = 5 € COSTO VARIABILE = 160 €

2) Costo Primo o Diretto: deriva dalla somma dei Costi Diretti, senza alcuna imputazione di quote
di Costi Indiretti.
Costi variabili (che si presumono diretti) + Costi fissi diretti (es. ammortamenti specifici)
MOD = 40 € Materie Prime = 100 € Materie Ausiliarie = 5 € Forza Motrice = 10 €
Servizi Esterni = 5 € Ammortamenti specifici = 25 € COSTO DIRETTO = 185 €

3) Costo Industriale: è dato dalla somma del costo delle materie prime con i costi di
trasformazione industriale delle medesime (MOD, MOI, stipendi tecnici, energia elettrica, materiali
ausiliari, ammortamenti, …). Tale figura di costo richiede la ripartizione dei costi indiretti industriali
che sono una parte dei costi di trasformazione.
Materie prime = 100 € Costo Trasformazione = 120 € COSTO INDUSTRIALE = 220 €

Rispetto al Costo Variabile, il Costo Industriale include anche i costi fissi di natura industriale,
mentre non include i costi variabili non industriali (es. servizi esterni).
Rispetto al Costo Diretto, il Costo Industriale include anche i costi indiretti industriali (es. stipendi
tecnici) mentre non include gli eventuali costi diretti non industriali.

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4) Costo Operativo: è dato dalla somma del costo industriale più tutti i costi non industriali della
gestione operativa: costi commerciali, costi amministrativi, costi generali aziendali di varia natura.
I costi industriali di solito sono indiretti e quindi imputati pro-quota (es. una quota di stipendi
amministrativi) ma possono essere anche diretti (es. costi di trasporto specifici di un prodotto).
Materie prime = 100 € Costo Trasformazione = 120 €
Quota Costi Amministrativi, Commerciali, Generali = 50 € COSTO OPERATIVO = 270 €

– COSTO PIENO o COMPLESSIVO: configurazione di costo che in teoria dovrebbe includere tutte le
voci di costo dell’azienda, cioè tutti i costi del CE, attribuiti a quell’oggetto di calcolo in modo
diverso a seconda che si tratti di Costi Diretti o Costi Indiretti.
Esso corrisponde al costo operativo più un certo quid dato da quote di costi extra-operativi.
Materie prime = 100 € Costo Trasformazione = 120 €
Quota Costi Amministrativi, Commerciali, Generali = 50 € Quota Costi Extra-operativi = 10 €
COSTO COMPLESSIVO = 280 €

Di fatto, difficilmente il Costo Operativo e il Costo Pieno sono veramente impiegati in tale
versione, nel senso che spesso si rinuncia all’imputazione di alcune voci di costo di varia natura
(amministrativa, commerciale, di ricerca, …) che potrebbero essere imputate al prodotto solo con
metodologie “grossolane”, in quanto si tratta di risorse impiegate per la gestione globale
dell’azienda e non ricollegabili a singoli prodotti o altri oggetti.
La scelta della configurazione di costo è legata agli SCOPI OPERATIVI perseguiti  principio
fondamentale del Cost Accounting e del CdG
Per certe finalità è sufficiente ragionare in termini di Costi Parziali (ad es. Costi Variabili), per altre
è opportuno conoscere il Costo Complessivo (fermo restando che se determino il Costo
Complessivo posso sempre scomporlo nelle sue parti, mentre se calcolo il Costo Parziale perdo
l’informazione sul Costo Pieno).

Se si considera, a livello di prodotto, anche i RICAVI DI VENDITA, il risultato economico del


prodotto che ne deriva assume una configurazione che dipende dalla figura di costo prescelta:

• uso della configurazione di costo variabile  il risultato economico di prodotto è il c.d.


MARGINE LORDO DI CONTRIBUZIONE (MLC)
Ricavi di vendita prodotto Alfa - Costi variabili prodotto Alfa = MLC prodotto Alfa
Il MLC di un prodotto è il risultato economico con cui quel prodotto “contribuisce” alla copertura
dei costi fissi e all’ottenimento del profitto aziendale; il suo comportamento varia in proporzione
al volume di produzione/vendita, per cui è utile a calcolare la convenienza economica di decisioni
di breve periodo, che non modificano cioè la capacità produttiva esistente.

Il CE (globale aziendale) di analisi reddituale basato sui costi variabili sarà: (direct costing)

prodotto A prodotto B prodotto C totale


Ricavi vendite 5000 6000 7000 18000
- Costi variabili del venduto (*) 2000 3000 4000 9000
Margine lordo di contribuzione 3000 3000 3000 9000
- Costi fissi (**) - - - 3000
Reddito netto - - - 6000

(*) costo variabile del venduto = costi variabili della quantità prodotta + rimanenze iniziali di prodotti valutate a costi
variabili – rimanenze finali di prodotti valutate a costi variabili

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(**) si includono tutti i costi fissi, sia operativi sia extra-operativi; i costi fissi sono imputati non al singolo prodotto (A,
B, C) ma sul totale del MLC

• uso della configurazione di costo diretto  il risultato economico di prodotto è


rappresentato da due livelli di margine di contribuzione:
a) MARGINE LORDO DI CONTRIBUZIONE (o I margine di contribuzione), già visto
b) MARGINE SEMILORDO DI CONTRIBUZIONE (o II margine di contribuzione), detto anche
MARGINE DI CONTRIBUZIONE DIRETTO
MLC prodotto Alfa - Costi fissi diretti prodotto Alfa = MSLC prodotto Alfa

In tal caso, il CE di analisi reddituale basato sui costi diretti viene rappresentato, rispetto a quello a
costi variabili, con una variante che ne arricchisce le potenzialità informative ad uso direzionale, in
cui i costi fissi sono distinti in due categorie: costi fissi diretti (imputati ai prodotti) e costi fissi
indiretti (non imputati), per cui di ciascun prodotto si determinano i due livelli di margine di
contribuzione (rispettivamente MLC e MSLC).
IL MSLC è un risultato economico molto importante perché segnala il reddito di specifica
competenza di un prodotto, considerando solo le risorse finalizzate a quell’oggetto; è utile per
valutazioni di convenienza economica circa l’eventuale eliminazione del prodotto in questione,
oltre che per il controllo dell’efficienza economica a livello di prodotto.

Il CE (globale aziendale) di analisi reddituale basato sui costi diretti sarà: (direct costing a due livelli)

prodotto A prodotto B prodotto C totale


Ricavi vendite 5000 6000 7000 18000
- Costi variabili del venduto 2000 3000 4000 9000
Margine lordo di contribuzione 3000 3000 3000 9000
- Costi fissi diretti 800 700 500 2000
Margine semi lordo di contribuzione 2200 2300 2500 7000
- Costi fissi indiretti - - - 1000
Reddito netto - - - 6000

• uso della configurazione di costo industriale  il risultato economico di prodotto è il c.d.


MARGINE LORDO INDUSTRIALE
Ricavi di vendita prodotto Alfa - Costi industriali prodotto Alfa = MLI prodotto Alfa

Tra le varie strutture di CE rilevanti per scopi di CdG, la struttura “a ricavi e costi industriali” risulta
tradizionalmente importante per le aziende industriali.

Il CE (globale aziendale) di analisi reddituale basato sui costi industriali sarà: (full costing)

prodotto A prodotto B prodotto C totale


Ricavi vendite 5000 6000 7000 18000
- Costi industriali del venduto (*) 2100 3100 4100 9300
Margine lordo industriale 2900 2900 2900 8700
- Costi non industriali (**) - - - 1700
Reddito netto - - - 6000

(*) costo industriale del venduto = costi industriali (variabili e fissi; diretti e indiretti) della quantità prodotta +
rimanenze iniziali – rimanenze finali
(**) si includono tutti i costi amministrativi, commerciali, finanziari ecc.

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In sintesi:
In relazione alla configurazione di costo prescelta, la contabilità analitica viene distinta in due tipologie:
- direct costing o contabilità a costi variabili (direttamente proporzionale al volume),
- full costing o contabilità a costi pieni (costo pieno compresi costi di varia natura).
Queste due configurazioni di costo conducono a differenti strutture di CE di contabilità analitica e cioè di CE Gestionale
derivante dalle elaborazioni delle contabilità analitica.

Il direct costing imputa ai prodotti i soli costi variabili e considera tutto l’ammontare di costi fissi come costi di periodo
(no rinvio al futuro di rimanenze, che sono attribuite TUTTE al periodo di competenza, cioè al periodo in cui si sta
producendo quel prodotto e per il quale si sostengono quei Costi Variabili). Il risultato economico di prodotto assume la
configurazione di “margine lordo di contribuzione”.
- semplice da realizzare, - rilevazione molto oggettiva, - visuale parziale (no costi fissi indiretti), - informazione costo limitata, - orizzonte temporale di
breve periodo (decisioni di breve periodo)

È possibile esprimere una variante del CE con il direct costing, scindendo i costi fissi in costi fissi diretti e costi fissi
indiretti, imputabili e non imputabili direttamente ai prodotti. Con questa metodologia viene introdotto il “margine
semi-lordo di contribuzione” (i Costi Fissi diretti sono attribuiti non complessivamente, ma al singolo prodotto di
riferimento).

Per la contabilità analitica full costing, si presuppone una configurazione di costo industriale anziché di costo pieno. Di
ciascun prodotto si determina un risultato economico noto come “margine (utile) lordo industriale” (Gross Margin) per
cui i soli costi non industriali (amministrativi, commerciali, generali) vengono esclusi dall’imputazione ai prodotti.
- metodologia più completa ma anche più problematica (imputazione anche dei costi indiretti), - incertezza ed elementi di soggettività (per
l’imputazione di quote di costi indiretti al prodotto)

vantaggi/limiti OGGETTIVITA’ COMPLETEZZA COSTO CHIAREZZA


INFORMAZIONI INFORMAZIONI INFORMAZIONI INFORMAZIONI
direct costing elevata ridotta ridotto elevata
full costing ridotta elevata elevato ridotto

2.11 DETERMINAZIONE DEI COSTI DI PRODOTTO : METODOLOGIE A CONFRONTO

Il COSTO PIENO offre un potenziale di informazioni superiore ad altre configurazioni.


Per la determinazione del costo di prodotto (inteso come costo pieno o complessivo) esistono tre
modi di calcolo (metodi di COST ACCOUNTING):

a) imputando il costo delle singole voci ai prodotti senza la “mediazione” di oggetti intermedi
(Contabilità Semplificata);
b) imputando le voci di costo ai prodotti attraverso i “centri di costo” (Contabilità per Centri di
Costo);
c) imputando le voci di costo ai prodotti previo addebito alle attività di gestione (ABC ACTIVITY
BASED COSTING o contabilità basata sulle attività).

Ps. L’addebito ai prodotti di costi secondo diverse metodologie riguarda soprattutto i costi
indiretti, mentre i costi diretti non richiedono di norma passaggi intermedi del tipo b) o c)

a) CONTABILITA’ SEMPLIFICATA: tale metodo conduce a risultati generalmente inattendibili in


quanto non compie alcuno sforzo per applicare il principio regolatore della contabilità analitica,
cioè il principio causale (un costo va attribuito al suo oggetto/prodotto individuando e misurando
la causa che ne ha determinato il sostenimento).
In pratica, con la contabilità semplificata si istituisce un rapporto diretto tra prodotto e voce di
costo, trascurando la struttura organizzativa dell’azienda (centri di costo) e le concrete modalità di

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svolgimento della gestione (attività e processi); ciò rende difficile identificare la vera causa
gestionale o determinante che ha generato il costo stesso.

Materie MOD Altri costi Costi


prime diretti indiretti

prodotti
a, b, c,

calcolo del costo di prodotto con metodo semplificato

b) CONTABILITA’ PER CENTRI DI COSTO: con tale metodo l’azienda viene analizzata per centri di
costo, ad es. reparti, uffici, laboratori, …
Le voci di costo vengono prima addebitate a tali centri di costo e quindi ai prodotti.
In pratica, i prodotti richiedono l’operato dei vari centri di responsabilità in cui è suddivisa la
struttura organizzativa e questi necessitano di risorse, i cui costi vanno imputati ai centri.
La contabilità per centri di costo è più attendibile della contabilità semplificata, ma può non
soddisfare il principio causale; infatti, realizzare prodotti significa svolgere specifiche attività di
gestione, e non semplicemente far operare dei centri di costo, che svolgono molteplici attività.

Costi Costi Costi indiretti Costi


indiretti indiretti amministrativi indiretti
Materie industriali commerciali generali
prime

MOD ed CENTRI DI
altri costi COSTO
diretti C1, C2, C3,…

prodotti
a, b, c,

calcolo del costo di prodotto con
metodo dei centri di costo

c) ABC ACTIVITY BASED COSTING: si analizza la gestione aziendale (cioè i centri di costo) per
“attività”, cioè insieme elementari di operazioni di gestione svolte dai centri stessi.
Le voci di costo vengono dapprima imputate alle attività e quindi ai prodotti.
L’ABC è una sorta di calcolo del costo del prodotto per contabilità per centri di costo più evoluto.

Costi Costi Costi indiretti Costi


indiretti indiretti amministrativi indiretti
Materie
industriali commerciali generali
prime

MOD ed
altri costi ATTIVITA’
diretti A1, A2, A3, …

prodotti
a, b, c,

calcolo del costo di prodotto con
metodo dell’ABC

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In sintesi:

CONTABILITA’ SEMPLIFICATA: i prodotti per essere realizzati richiedono l’impiego di risorse. I costi
di tali risorse vanno imputati ai prodotti, senza transitare per oggetti intermedi.
CONTABILITA’ PER CENTRI DI COSTO: i prodotti richiedono l’operato dei vari CdR in cui è suddivisa
la struttura organizzativa aziendale e questi necessitano di risorse; quindi, i costi delle risorse
vanno imputati ai centri e i costi dei centri vanno successivamente imputati ai prodotti.
CONTABILITA’ BASATA SULLE ATTIVITA’: i prodotti sono realizzati mediante lo svolgimento di
specifiche attività e queste richiedono l’utilizzo di risorse. I costi delle risorse vanno addebitati alle
attività e i costi delle attività devono essere attribuiti ai prodotti.

Le tre metodologie non solo conducono a diversi risultati, ma li rappresentano da un punto di vista
della struttura del Costo Pieno di prodotto, in modo diverso (contabilità semplificata  onerosità
delle singole risorse per prodotto; contabilità per centri di costo  incidenza dei centri di costo sul
prodotto; ABC  costi delle specifiche attività svolte per ottenere il prodotto).

2.12 DETERMINAZIONE DEI COSTI DI PRODOTTO: L’IMPUTAZIONE DEI COSTI


INDIRETTI ED IL PRINCIPIO CAUSALE

I costi ed in particolare le voci indirette dovrebbero sempre essere imputati in maniera tale da
riflettere la causa o determinante (DRIVER) che ne ha provocato il sostenimento  PRINCIPIO
CAUSALE
es. driver dei costi del personale addetto alla spedizione merci ai clienti  numero di spedizioni effettuate (più queste
sono numerose, più la risorsa in esame viene impiegata)

Considerazioni:
a) Il driver di un costo va ricercato di volta in volta ed è più probabile individuarlo correttamente
se si scompone la gestione in attività, come avviene nell’ABC.
b) Il principio causale va sempre rispettato, affinché i costi siano imputati ai loro oggetti in base al
reale fabbisogno di risorse che questi esprimono.
c) Il principio causale può essere correttamente applicato solo usando metodologie di COST-
ACCOUNTING molto analitiche che scompongono la gestione in modo da far emergere modelli
realistici di fabbisogno delle risorse
d) Nella pratica, molti costi indiretti sono imputati ai prodotti in modo grossolano: la scarsa
correttezza di molte prassi contabili aziendali può pesantemente condizionare la razionalità
economica di importanti decisioni, generando fenomeni di sovvenzione incrociata tra un prodotto
e l’altro: cioè fanno apparire redditizi prodotti che non lo sono ed antieconomici prodotti in realtà
profittevoli.
Ciò si verifica spesso ove è diffusa la prassi di imputazione di costi indiretti in base a criteri
“volumetrici”, cioè criteri fondati su misure di volume di produzione (fatturato, ore di MOD, ore-
macchina, n. di pezzi, quintali); è l’esempio tipico di molte aziende industriali.

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SOVVENZIONAMENTO INCROCIATO: fenomeno che si verifica per effetto di prassi di imputazione dei costi indiretti ai
prodotti basati su criteri volumetrici, cioè fondati su misure di volume di produzione (fatturato, ore di MOD, ore-macchina,
n. di pezzi, quintali); quando ciò avviene, si fanno apparire redditizi prodotti poco profittevoli ed antieconomici prodotti
molto profittevoli, condizionando pesantemente la razionalità economica di importanti decisioni.
 si ripartiscono erroneamente i costi indiretti ai prodotti su base volumetrica (sovvenzione incrociata)  limite dei
tradizionali sistemi di contabilità  ad es., nella contabilità per centri di costo non esiste un criterio oggettivo per
imputare i costi indiretti al prodotto, ma essi vengono assegnati secondo parametri volumetrici, con la presunzione che i
prodotti a più alto contenuto di costi variabili assorbano maggiori costi indiretti  risultato: i prodotti ad alto volume e
maturi risultano meno redditizi di quelli nuovi e a basso volume

Esempio. Costi di ingegnerizzazione da imputare a due prodotti, A e B


- prodotto A: è in produzione da molto tempo, non ha più bisogno di continue modifiche progettuali e la maggior parte dei
difetti è stata eliminata (grado di complessità basso)
- prodotto B: è di recente introduzione, per cui ha problemi di produzione e di qualità che richiedono correzioni e
modifiche progettuali frequenti (costi di complessità o di riprogettazione alti)

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2.14 L’ANALISI COSTI-RICAVI-VOLUMI (CRV) O DEL BREAK-EVEN: GENERALITA’

Ai fini del CdG, occorre osservare anche i RICAVI. I ricavi a cui ci riferisce sono i ricavi di vendita
dei beni o dei servizi oggetto del business aziendale.
RICAVI DI VENDITA - COSTI OPERATIVI = REDDITO/RISULTATO OPERATIVO NETTO della gestione
Quando costi e ricavi suddetti vengono messi in relazione non solo tra loro, ma anche con il
volume di produzione/vendita, si parla di analisi Costi-Ricavi-Volumi o di analisi del punto di
pareggio (Break-Even Analysis).
Tale espressione sta a significare che è interessante per la direzione sapere a quale livello di
produzione (volume) si è in grado di raggiungere il pareggio tra costi e ricavi. Tale volume è
denominato volume di pareggio o punto di pareggio (Break-Even Point o BEP).

BEP BREAK EVEN POINT: Il volume di pareggio si misura dividendo i costi fissi totali (a) per il
Margine Lordo di Contribuzione Unitario (p - b)

Analisi C-R-V costi ricavi volumi = Analisi del BEP


Ricavi e Costi totali

Ricavi totali
(p * x)

Costi totali
(a + b * x)

volume di pareggio

Volume di vendita

bx = costi variabili totali (b è il costo variabile unitario)


a = costi fissi totali
px = ricavi totali (p è il prezzo unitario di vendita)

px = a + bx

x(bep) = _a__ formula del volume di pareggio (BEP)


p-b

p - b = Margine Lordo di Contribuzione Unitario

L’analisi CRV:
a) è uno strumento utile per il management, in quanto permette di correlare il profitto alla
variabile Volume;
b) graficamente, a sx del volume di pareggio si hanno volumi insufficienti a far chiudere i conti in
pareggio (riduzione produzione/vendita  aumento perdite) mentre a dx del BEP si
conseguono utili via via crescenti, man mano che ci si spinge verso i limiti della CAPACITA’
massima aziendale.

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c) L’interesse del management è rivolto non solo al BEP, ma anche all’analisi delle principali
variabili gestionali su cui agire per ottenere un certo livello di reddito atteso (oltre al volume:
efficienza, capacità produttiva, prezzi di vendita, …)
d) L’analisi C-R-V ha delle limitazioni (ad es. suppone l’esistenza di un solo prodotto o di una
produzione omogenea relativamente all’unità di misura del suo volume) e richiede
precisazioni, approfondimenti, aggiustamenti, per essere uno strumento utile per la direzione
aziendale.

2.15 L’ANALISI CRV IN UNA PROSPETTIVA GESTIONALE : ALCUNI


APPROFONDIMENTI

Le precisazioni e gli approfondimenti necessari per cogliere l’essenza e le opportunità dell’analisi


CRV possono riassumersi in:
1) Ambito di applicazione
2) Informazioni ricavabili
3) Aggiustamenti da apportare
4) Concetti di Rischio Operativo e Leva Operativa

1) AMBITO DI APPLICAZIONE: l’analisi CRV può riguardare la gestione passata o futura


dell’azienda. Il suo ambito applicativo per eccellenza però è quello del controllo budgetario e
dunque costituisce uno strumento utile per fare analisi propedeutiche al budget. L’analisi CRV
serve innanzitutto a formulare i programmi di vendita e di produzione dell’azienda che del budget
sono il primo passo.

2) INFORMAZIONI RICAVABILI: la vera funzione dell’analisi CRV non è tanto la ricerca del volume
di pareggio, ma piuttosto una riflessione sul volume e su altre macro-variabili gestionali influenti
sul risultato economico atteso. I macro-fattori esplorabili con l’analisi CRV sono:
- volume di vendita - efficienza interna (delle risorse che generano Costi Variabili)
- efficienza esterna (prezzi di acquisto delle risorse) - decisioni di capacità produttiva
- scelte discrezionali di programma annuale - prezzo di vendita
E’ in sintesi uno strumento di SIMULAZIONE dell’impatto sul profitto delle diverse variabili da cui
esso dipende.

3) AGGIUSTAMENTI DA APPORTARE: l’analisi del BEP si basa su “semplificazioni” che limitano la


sua utilità come guida delle scelte di gestione. La complessità aziendale dipende da vari fattori, in
primis la diversificazione della gamma produttiva, sia di tipo fisico che economico. Occorre allora
trovare una comune unità di misura per quantificare l’output, in caso contrario l’analisi CRV dovrà
essere condotta prodotto per prodotto. Tra le unità di misura solitamente adottate vanno
elencate:
- un’UNITA’ PONDERALE: unità di misura fisica scelta convenzionalmente considerando alcuni
caratteri dei prodotti considerati (ore di progettazione, ore di lavoro diretto, …) opportunamente
ponderati, a cui vanno confrontati i vari prodotti della gamma prima di procedere alla “somma”
loro produzione;
- un’UNITA’ DI INPUT: unità di input idonea a sostituire l’unità di output disomogenea (ore-uomo
di lavoro diretto, ore-macchina);

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- un’UNITA’ MONETARIA: unità che ha il potere di rendere omogenee produzioni differenti


(tipicamente i ricavi di vendita); il volume di pareggio diventerà un ricavo o fatturato di pareggio
espresso in €.

Esempio quantificazione output mediante unità monetarie:

R=a+k*R

R = ricavi di vendita a = costi fissi totali k = incidenza unitaria costi variabili totali sui ricavi di vendita totali

R(bep) = a / (1 - k)

Il ricavo di pareggio R(bep) è il rapporto tra i costi fissi totali (a) ed il margine lordo di contribuzione mediamente
conseguibile da ogni unità monetaria di fatturato (1 - k) [coefficiente di contribuzione unitario], dove k è l’incidenza
media dei costi variabili sui ricavi di vendita dei prodotti aziendali (es. k = 0,4 o 40% significa che mediamente i costi
variabili sono il 40% dei ricavi di vendita dei vari prodotti, per cui il coefficiente di contribuzione è di 0,6 o 60%, cioè
ogni € di vendita garantisce mediamente 0,6 € di margine di contribuzione)

ESEMPIO
Az. A Produzione diversificata Costi fissi = 100000 € incidenza media dei costi variabili sui ricavi di vendita = 60%
BEP = ?
R(bep) = 100000 € / (1 - 0,60) = 100000 € / 0,40 = 250000 €

Az. B Produzione diversificata Costi fissi = 100000 € BEP = 200000 €


coefficiente di contribuzione (k) = ?
200000 € = 100000 € / (1 - k)  (1 - k) = 0,5  k = 0,5

L’Az. B ha un migliore BEP rispetto all’Az. A perché ha una minore incidenza dei costi variabili sui ricavi di vendita (k =
0,5 contro 0,6) dovuta:
- a maggiore efficienza nell’impiego di risorse e/o
- a un rapporto prezzi/ricavo e prezzi/costo più favorevole e/o
- a un mix produttivo più conveniente (a seconda della gamma produttiva prescelta e del peso che in essa ciascun
prodotto o famiglia di prodotti ha sul totale delle vendita, cambia l’incidenza media dei costi variabili sui ricavi di
vendita)

4) CONCETTI DI RISCHIO OPERATIVO E LEVA OPERATIVA:

- RISCHIO OPERATIVO: riguarda l’eventualità che il risultato della gestione caratteristica (reddito
operativo) sia compromesso da una struttura economica “squilibrata”; per struttura economica si
intende la composizione dei costi dal punto di vista della loro rigidità rispetto al volume (costi fissi
e variabili).
forte presenza di costi fissi  struttura economica rigida  seri rischi operativi (forti riduzioni di volume possono
abbattere il reddito operativo e quindi il suo contributo alla remunerazione degli azionisti)
Il rischio operativo è collegato al concetto di leva operativa.
+ rischio operativo (+ costi fissi)  + leva operativa

- LEVA OPERATIVA = Variazione % Reddito operativo tot. = Margine lordo di contribuzione tot.
Variazione % Quantità di produzione Reddito operativo tot.

La leva operativa è caratterizzata dal fatto che rende visibile, sia pure indirettamente, la struttura
economica in termini di Costi Fissi e di Costi Variabili (infatti il MLC è influenzato dai soli Costi
Variabili, il RO risente anche dell’entità dei Costi Fissi).

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Esempio

azienda A azienda B
* 100 € di ricavi = 2 € x 50 pz.
Ricavi vendite 100 * 100 *
** 60 € di costi az. a = 1,2 € x 50 pz.
- Costi variabili 60 ** 25 **
25 € di costi az. b = 0,5 € x 50 pz.
Margine lordo di contribuzione 40 75
- Costi fissi operativi 25 60
Reddito operativo 15 15

L.O. azienda A = 40/15 = 2,67


L.O. azienda B = 75/15 = 5

L’azienda a, nonostante abbia lo stesso reddito operativo e gli stessi ricavi di vendita si dimostra più flessibile e meno esposta a
contrazione di volumi di vendita.

In pratica la leva operativa esprime il GRADO DI ELASTICITA’ del Reddito Operativo rispetto alla
quantità di produzione; la leva operativa sarà alta se abbiamo un basso grado di elasticità, sarà
bassa se abbiamo un alto grado di elasticità.

2.16 IMPIEGO DELLE INFORMAZIONI CONTABILI NEI CALCOLI DI CONVENIENZA


ECONOMICA

La contabilità analitica e l’analisi dei costi (e dei ricavi) producono informazioni utilizzabili dalla
direzione per una pluralità di scopi. Gli scopi fondamentali sono :
a) I calcoli di convenienza economica al fine di formulare decisioni economicamente corrette.
b) La misurazione dell’efficienza (e in parte dell’efficacia) economica della gestione e la
responsabilizzazione dei manager.
c) La valutazione di particolari voci del bilancio d’esercizio, come nel caso tipico delle rimanenze
di magazzino.

In particolare, le prime due finalità (supporto alle decisioni dei manager secondo criteri di
economicità, monitoraggio dell’efficienza economica della gestione) riflettono al meglio quella che
è l’essenza del CdG.
Le decisioni aziendali si distinguono in:

1) Decisioni di GESTIONE STRATEGICA (c.d. di investimento) con cui l’azienda si dota ad es. di una
capacità produttiva destinata ad un utilizzo ripartito negli anni; tali decisioni comportano
conseguenze economiche che si distribuiscono lungo un arco di tempo pluriennale
 LUNGO PERIODO
2) Decisioni di GESTIONE CORRENTE con cui l’azienda utilizza la capacità o gli investimenti di cui
sopra, ad es. quanto produrre nell’anno di budget, prezzi di vendita dei prodotti, mix di prodotti da
realizzare; tali decisioni sono correnti e abbracciano un periodo breve, come l’anno di budget
 BREVE PERIODO
Il modello di ragionamento necessario per formulare decisioni economicamente corrette, sia di
gestione strategica sia di gestione corrente, è lo stesso ed è detto ragionamento “DIFFERENZIALE”.
Si pensi in particolare alle decisioni di gestione corrente, in sede di costruzione del budget o per
dare attuazione concreta al budget: volume da produrre o vendere, prezzo di vendita dei prodotti,
scelte di make or buy, se mantenere o eliminare un prodotto dalla gamma aziendale, …; si tratta di
scegliere tra una pluralità di alternative in vista del raggiungimento di un obiettivo di natura
economica, che è rappresentato dal reddito.

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Un’alternativa verrà preferita ad un’altra se il suo impatto sul reddito sarà maggiore; La
misurazione dell’impatto sul risultato economico atteso richiede l’uso del c.d. RAGIONAMENTO
“DIFFERENZIALE”.

APPROCCIO DIFFERENZIALE
Si tratta di schematizzare le informazioni in nostro possesso (derivanti dalla contabilità analitica)
secondo questo schema :

Ipotesi di obiettivo: reddito (netto o lordo) A–B<0


A) Vantaggi Economici Differenziali Svantaggio Economico
ricavi emergenti Δ ricavi (in più) Netto
+ costi cessanti Δ costi (in meno)
B) Svantaggi Economici Differenziali A–B>0
ricavi cessanti Δ ricavi (in meno) Vantaggio Economico
+ costi emergenti Δ costi (in più) Differenziale
A) – B) Risultato Economico Differenziale

Se tale risultato è negativo siamo di fronte ad uno “svantaggio economico netto” che ci induce a
rinunciare all’alternativa. Se tale risultato è positivo siamo di fronte ad un “vantaggio economico
differenziale” che ci induce ad adottare la soluzione alternativa ipotizzata.

Esempio 1

(MAKE) produzione interna prodotto A (capacità produttiva mensile: 1000 unità)


materie dirette = 60 € costi di trasformazione variabili = 40 € costi di trasformazione fissi = 50 €
costi amministrativi e commerciali = 20 € COSTO PIENO UNITARIO = 170 €

(BUY) acquisto presso terzi prodotto A


PREZZO DI ACQUISTO UNITARIO = 130 €

A) vantaggi economici differenziali = ricavi emergenti (0) + costi cessanti (60 + 40) = 100 (Totale A)
B) svantaggi economici differenziali = ricavi cessanti (0) + costi emergenti (130) = 130 (Totale B)
(A - B) risultato economico differenziale = 100 - 130 = - 30

30 è uno svantaggio economico netto, legato all’ipotesi di rivolgersi a fornitori esterni; ciò significa un peggioramento
del risultato economico di 30 € al pezzo (30000 € in totale), quindi non conviene acquistare il prodotto dall’esterno.

Esempio 2

Costo pieno unitario del prodotto = 82 (di cui 17 di costi variabili) Prezzo unitario di vendita del prodotto = 90
Volume di produzione= 10000 unità
La direzione commerciale propone di ridurre il prezzo di vendita del 10% (81) e di incrementare il volume di 1500 unità:
la decisione è anti-economica?

A) vantaggi economici differenziali = ricavi emergenti(31500=81x11500-90x10000)+costi cessanti(0)=31500 (Totale A)


B) svantaggi economici differenziali = ricavi cessanti (0) + costi emergenti (25500 = 17 x 1500) = 25500 (Totale B)
(A - B) Risultato economico differenziale = 6000
6000 è un vantaggio economico differenziale, cioè conviene ridurre il prezzo di vendita

Per quanto riguarda la scelta della configurazione ottimale di costo (e di risultato economico) su
cui impostare il cost accounting (è preferibile una contabilità a costi variabili [direct costing] o a
costi pieni [full costing] a supporto delle decisioni?), è possibile rilevare, rispetto alle decisioni di
gestione corrente, che:

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- per alcune decisioni vanno considerati i soli costi variabili e il MLC (talune scelte di mix, di prezzo,
di make or buy, …, purché non richiedano variazioni di capacità o struttura)
- a volte occorre fare riferimento ai costi diretti di un certo oggetto, cioè alla somma di costi
variabili e costi fissi specifici, e al MSLC (scelta di eliminare un prodotto o un reparto)
- in altri casi occorre rifarsi a configurazioni di costo ad hoc.

In conclusione, il modello basato sui Costi Pieni è quello che può garantire le maggiori possibilità
applicative, non perché si debba utilizzare prevalentemente questa configurazione di costo nei
calcoli di convenienza economica di gestione corrente (che anzi spesso richiedono figure di costo
parziali) ma perché il Costo Pieno include tutte le voci di costo.

2.19 ALTRI APPROCCI DI COST ACCOUNTING : CENNI

Tra gli approcci recenti e innovativi in materia di determinazione e gestione dei costi aziendali si
citano (scopo comune: orientare le scelte aziendali alla riduzione del costo di prodotto):

- LA DETERMINAZIONE DEI COSTI LUNGO IL CICLO DI VITA DEI PRODOTTI: consiste nello stimare a
priori tutti i costi che si sosterranno per un dato prodotto, lungo le varie fasi del suo ciclo
complessivo di vita: R&S, progettazione, fabbricazione, marketing, distribuzione, servizio alla
clientela, fino all’eliminazione. In tal modo si può intervenire subito, fin dalla progettazione, con
decisioni capaci di garantire risparmi di costi futuri

APPROFONDIMENTO: COSTI DI PRODOTTO LUNGO IL COMPLESSIVO CICLO DI VITA


Le varie fasi del ciclo complessivo di vita del prodotto sono così classificabili:
- ricerca, sviluppo e progettazione - produzione vera e propria - eliminazione.
I costi lungo il ciclo di vita del prodotto sono graficamente così riassumibili:

100
% dei costi 80 Risorse impegnate
del ciclo di 60 Risorse impiegate
vita 40
20
0 Pianificazione Progettazione Progettazione Produzione Assistenza post-
preliminare dettagliata vendita/
eliminazione

La stima dei costi di prodotto riguarda le risorse da impiegare nelle varie fasi ma anche le risorse già impegnate con
decisioni prese in sede di studio e progettazione; il fine è far acquisire alle diverse funzioni coinvolte una visione
d’insieme del prodotto e di gestire i suoi costi secondo una logica complessiva e non settoriale.

- TARGET COSTING: strumento di misurazione ex ante dei costi di prodotto, finalizzato alla
riduzione dei suoi costi di fabbricazione con interventi in sede di progettazione; definite le
specifiche di un prodotto da realizzare, si determina a preventivo il suo costo:
Prezzo di vendita “obiettivo” - Margine “obiettivo” = Costo di prodotto “obiettivo” (TARGET COST)
La conoscenza del target cost in sede di progettazione consente di intervenire prima che il
prodotto venga fabbricato per ridurre i costi del suo processo produttivo, allineandoli al valore-
obiettivo

- KAIZEN COSTING: strumento di misurazione ex ante dei costi di un prodotto, finalizzato alla
riduzione dei suoi costi di fabbricazione quando il prodotto è già in fase produttiva, e il target
costing non è più applicabile.

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2.19.1 IL TARGET COSTING

Tale approccio (di origine giapponese) prevede l’individuazione di un costo-obiettivo di prodotto


(target cost) determinato come:
Prezzo che il mercato è disposto a pagare –
(fissato dal mercato in corrispondenza ai livelli di funzionalità e di qualità desiderati dal consumatore)
Margine di profitto programmato dall’azienda
(corrispondente alle proprie attese di redditività e per il cui conseguimento si determina il costo-obiettivo)

Per ottenere il margine di profitto programmato, è necessario agire sui costi che si sostengono per
dotare il prodotto degli attributi richiesti dal cliente, quindi “gestire” il costo di prodotto.
A differenza degli approcci tradizionali, il target costing offre un approccio diverso alla
progettazione di un prodotto: i primi fanno discendere la determinazione dei costi dalla
progettazione, il secondo indirizza le scelte di progettazione in funzione del target cost:
Approccio tradizionale:
Definizione caratteristiche prodotto  Progettazione prodotto  Determinazione costi di prodotto  Profitto 
Prezzo
Approccio target costing:
Definizione caratteristiche prodotto  Obiettivi di prezzo, volumi e profitto  Target cost  Progettazione prodotto

Il target costing è uno strumento che opera nella fase di ricerca e sviluppo e di progettazione del
prodotto, fasi cruciali perché in esse si effettuano scelte legate alle funzionalità del prodotto che
genereranno assorbimento di risorse, e quindi costi in fasi successive; in altre parole, è in queste
fasi che viene impegnata gran parte dei costi di un nuovo prodotto.
Il processo di target costing, per poter realizzare una gestione dei costi efficiente:
- è inter-funzionale, perché richiede che le diverse funzioni aziendali operino in modo integrato
fornendo ciascuna il proprio contributo in sede di progettazione
- prevede una continua verifica del progetto di prodotto per individuare la configurazione
compatibile sia con l’obiettivo di costo prefissato, sia con le caratteristiche funzionali del prodotto.
Se il costo prodotto previsto non è allineato al target cost, i vari soggetti coinvolti apportano il
proprio contributo per individuare le alternative migliori sotto il profilo tecnico ed economico.

2.19.2 IL KAIZEN COSTING

Tale strumento (anch’esso sviluppatosi in Giappone) viene utilizzato nella fase di realizzazione dei
prodotti per individuare possibilità di miglioramento relative alla riduzione dei costi (kai zen:
orientamento costante al miglioramento).
Esso si differenzia dal target costing perché:
- opera solo nella fase produttiva, e ciò implica un numero più limitato di alternative tra cui
scegliere per contenere i costi, non potendo ridiscutere le caratteristiche tecniche-funzionali del
prodotto
- può comportare riduzioni dei costi rilevanti (nel processo produttivo) ma inferiori rispetto a
quanto avviene con il target costing.

La logica del kaizen costing, che si basa sul miglioramento continuo e incrementale delle
performance tramite una serie di interventi marginali, i cui effetti sono singolarmente limitati ma
nel complesso notevoli, presenta alcuni vantaggi evidenti:
a) consente un notevole coinvolgimento dei dipendenti, che conoscono meglio i problemi nello
svolgimento del lavoro e le possibilità di miglioramento

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b) permette di ottenere miglioramenti di efficienza senza richiedere ingenti investimenti in


immobilizzazioni
c) agevola coinvolgimento, partecipazione e comunicazione inter-funzionale, favorendo la
diffusione della conoscenza organizzativa.
Il kaizen può essere realizzato concretamente a) modificando le operazioni svolte dai lavoratori (i
quali sono resi parte attiva nella riprogettazione del proprio lavoro), b) migliorando gli strumenti di
lavoro (es. interventi sul layout dei macchinari utilizzati).

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3. IL BUDGETING

3.1 IL BUDGET : CHE COSA E’, CHE COSA NON E’, A CHE COSA SERVE

Sebbene il processo di budget si concluda normalmente con la redazione del bilancio preventivo
(BP), associare il concetto di Budget a quello di BP è riduttivo. Ciò perché:
a) il BP è la veste “contabile” o economico-finanziaria del budget, l’atto finale del suo processo di
costruzione;
b) il “vero” contenuto del budget sono i programmi di gestione relativi all’esercizio successivo,
cioè l’insieme di scelte e modalità di attuazione decise dalla direzione sia nel campo della
gestione operativa (vendita, produzione, acquisti, …) sia in materia di gestione finanziaria
(investimenti e loro copertura), al fine di attuare concretamente i piani strategici;
c) non meno importante è la componente organizzativa che contraddistingue il budget, come
strumento di guida dei manager che impegna i soggetti coinvolti verso obiettivi prestabiliti,
responsabilizzandoli sui risultati.

BUDGET: programma di gestione aziendale, tradotto in termini economico-finanziari, che guida e


responsabilizza i manager verso obiettivi di “breve” periodo, definiti nell’ambito di un piano
strategico o di “lungo” periodo  modello di comportamento per il successivo esercizio

Nelle piccole aziende, la cui struttura organizzativa è spesso elementare, il budget ha un ruolo di
programmazione senza però possedere implicazioni organizzative importanti. Aiuta il ristretto
nucleo direttivo ad attuare una corretta gestione programmata, cogliendone in anticipo le
conseguenze in termini economico-finanziari, ma non svolge un ruolo di responsabilizzazione
particolarmente incisivo, data l’assenza di una struttura manageriale articolata.

Nella aziende medio-grandi, il budget è sia uno strumento di simulazione dei risultati conseguenti
a date scelte, sia uno strumento di guida per attuare i programmi predefiniti e per raggiungere gli
obiettivi prestabiliti e di responsabilizzazione sui risultati. In queste aziende il budgeting è un
processo “diffuso” che coinvolge e responsabilizza un elevato numero di soggetti.

SCOPI DEL BUDGET

– Simulare le conseguenze economico-finanziarie conseguenti a date ipotesi di gestione

– Guidare il management nel corso dell’anno ad operare in conformità agli obiettivi prestabiliti

– Valutare e responsabilizzare il management sui risultati conseguiti rispetto al budget

– Coordinare i responsabili delle varie funzioni nelle loro scelte

– Motivare i manager attraverso il meccanismo della gestione per obiettivi

– Educare e Formare il management alle logiche della gestione programmata

COORDINARE  è un meccanismo di coordinamento ex-ante, prima che i problemi concreti si


manifestino, e di integrazione dei vari programmi di gestione prima che la gestione abbia

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svolgimento. Costringe i manager a confrontarsi in anticipo ed a mettere in luce le possibili cause


di incompatibilità o disarmonia tra i rispettivi punti di vista e programmi.

MOTIVARE  fissa gli obiettivi dei manager; una gestione per obiettivi crea motivazione in quanto
soddisfa alcune esigenze e bisogni di realizzazione dell’individuo.

EDUCARE e FORMARE  abitua il management ad una gestione programmata e rafforza la loro


sensibilità economica, proprio perché fare il budget significa tra le altre cose apprezzare in anticipo
le conseguenze economiche e finanziarie delle proprie scelte.

IL BUDGET NON E’:


- una semplice previsione. Non è un tentativo di indovinare il futuro, ma è espressione di un
impegno a realizzare certi programmi e a raggiungere certi obiettivi;
- un tentativo di estrapolazione nel futuro di tendenze storiche o in atto;
- una camicia di forza che imprigiona l’azienda in modelli di comportamento prestabiliti senza
possibilità di modificarli: se condizioni endogene o esogene lo richiedono dovrà essere “adattato”
alle esigenze che si manifestano (anche in itinere) garantendo flessibilità;
- la bacchetta magica per rendere efficiente ed efficace la gestione quando manchino altri
presupposti fondamentali: non potrà mai sopperire a lacune e limiti di un management incapace;
- un programma distinto dal piano strategico o pluriennale, visto che ne rappresenta un segmento
più dettagliato e preciso relativo al 1° anno.

IL BUDGET E’ UN PROGRAMMA DI GESTIONE:


– globale (abbraccia tutte le macro-aree della gestione aziendale, nella sua totalità)
– articolato in sub-sistemi (per CdR, per output, per progetti, per attività, …)
– tempificato (traccia linee di comportamento diverse a seconda dei periodi inclusi nell’anno di
budget)
– tradotto in termini monetari (momento finale del processo che rielabora i dati corrispondenti ai
programmi di gestione per apprezzarne l’impatto economico-finanziario nel breve periodo)
– sufficientemente flessibile (e non uno strumento rigido, da rispettare a tutti i costi)

3.2 LA COSTRUZIONE DEL BUDGET AZIENDALE: GENERALITA’

Il budgeting è il processo di costruzione del budget che passa attraverso varie fasi, aventi come
presupposto logico l’esistenza di precise strategie e di adeguati piani di medio-lungo periodo.

I tratti salienti del budgeting sono:


– Il budgeting consiste innanzitutto nel formulare dei programmi operativi (cioè i programmi delle
attività di gestione operativa da svolgere) che coprano l’arco dell’anno futuro per poi verificarne
l’impatto economico (ricavi e costi) e la fattibilità finanziaria (entrate e uscite).
– Nella formulazione di tali programmi si devono fare spesso valutazioni di convenienza
economica tipicamente di breve periodo (decisioni di prezzo, mix, volume, make or buy, …) da
impostare e risolvere con il metodo dell’approccio differenziale.
– Il punto di partenza, una volta definiti gli obiettivi di gestione di breve periodo, è il programma
delle vendite, a cui seguono gli altri programmi (in primis quello della produzione) con una
sequenza logica del tipo “mezzi-fini” (qual è il programma di produzione necessario per attuare il
programma di vendita? qual è il programma di acquisizione di materiali necessario per attuare il
programma di produzione? …).

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– Il budget ha una sua logica, nel senso che richiede una sequenza di fasi e collegamenti tra esse;
tale logica subisce adattamenti passando da un tipo di azienda ad un'altra (diverse sono la
produzione di serie e quella su commessa, la produzione di beni e quella di servizi), ma mantiene
comunque una sua validità generale.
– Il budgeting è un processo “iterativo” che richiede numerosi “ritorni di informazioni”, cioè le
varie fasi in sequenza possono facilmente subire inversioni, ripetizioni, modifiche.
– Una fase delicata è quella riguardante la quantificazione delle risorse occorrenti alla realizzazione
dei programmi operativi in termini di costi (di questi, solo una parte è esprimibile in modo tecnico
o parametrico, molti altri richiedono valutazioni discrezionali).
– Dopo aver consolidato i vari programmi settoriali ed aver ottenuto il BP, conseguente alle ipotesi
di gestione formulate, avviene l’approvazione da parte dell’alta direzione con la quale il budget
diviene esecutivo ed impegna il management alla sua attuazione. Se tale approvazione manca, il
budget viene riformulato.
– Un’ultima considerazione riguarda il ruolo delle rilevazioni contabili ed extra-contabili di natura
storica; i risultati storici sono insufficienti alla costruzione di un budget inteso come modello di
comportamento stimolante, ma nello stesso tempo sono una base di partenza imprescindibile,
senza la quale il budget potrebbe rivelarsi privo del fondamentale requisito del realismo.

3.3 LE FASI DI COSTRUZIONE DEL BUDGET

Il processo di costruzione del Budget passa attraverso un certo numero di fasi, di cui alcune in
talune aziende non si presentano (es. programma delle scorte in una azienda di servizi), o si
manifestano con connotati particolari (es. preventivo dei ricavi e dei costi diretti nelle produzioni
su commessa); il budgeting più esteso è quello tipico delle imprese industriali.

ITER COSTRUZIONE DEL BUDGET


Piani d’azione
pluriennali

Fabbisogno di Ricavi vendita


Programma vendite Costi commerciali
capitale fisso e
circolante e
altri fabbisogni
Programma Costi industriali
produzione
Mezzi di
copertura
Costi amministrativi,
Programma R&S, vari generali
funzioni generali

BUDGET
- economico
- finanziario
- patrimoniale

A) FASCIA CENTRALE
Nello schema, la FASCIA CENTRALE corrisponde ai programmi operativi: vendite, produzione,
acquisti, ricerca, amministrazione, ..., cioè le attività da svolgere nell’ambito della gestione
operativa o caratteristica, alla luce dei piani strategici definiti nella pianificazione di lungo periodo.
Tali programmi operativi sono variamente articolati per ciò che concerne gli oggetti di riferimento
(prodotti, progetti, CdR, …) e si materializzano in scelte riguardanti tipicamente: volumi di output
da ottenere (es. volumi di vendita), tempi di ottenimento di tali output (es. mesi), i fabbisogni di
risorse occorrenti (escluse le risorse finanziarie).

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B) FASCIA DESTRA
La FASCIA DESTRA corrisponde alla valorizzazione dei programmi operativi in termini economici:
costi, ricavi e risultati economici. I costi delle risorse sono la veste monetaria dei fabbisogni di
risorse di cui al punto A) e sono determinati secondo modalità diverse se parametrici, discrezionali
o vincolati.
La sintesi di tale processo di valorizzazione è il Conto Economico che in una prima fase si ferma al
reddito operativo; solo dopo, quando si saranno valutate le conseguenze finanziarie (ed in
generale extra-operative) dei programmi di gestione, si trasformerà in un Conto Economico
“completo” (cioè fino al reddito netto).

C) FASCIA SINISTRA
La FASCIA SINISTRA riflette le misurazioni finanziario-patrimoniali dei programmi sia operativi che
extra operativi (es. rimborso di debiti, pagamento di dividendi, …).
Tale misurazione consiste nella determinazione dei fabbisogni di capitale e delle relative coperture
e viene sintetizzata in due tipi di preventivo:
– finanziario (accoglie delle grandezze-flusso, riferite al periodo di budget);
– patrimoniale (che è uno stato patrimoniale-finanziario, che accoglie delle grandezze-
stock/fondo, riferite alla data di conclusione di tale periodo).

BUDGET DELLE VENDITE (volumi di vendita)


3.4 IL BUDGET COMMERCIALE BUDGET DEI RICAVI (ricavi di vendita)
BUDGET DEI COSTI COMMERCIALI
Il budget commerciale (BC) è il punto di partenza dell’iter di programmazione, perché è in
funzione delle esigenze e delle possibilità di assorbimento del mercato che si elaborano i
programmi di produzione e di acquisto delle risorse; il BC, ed in particolare il budget delle vendite,
è cioè realizzabile se l’azienda può disporre della capacità e delle risorse tecnico-produttive e
d’altra natura a ciò adatte.

Le caratteristiche principali del BC sono:


– si riferisce al programma delle vendite e dei relativi ricavi, ed al programma dei costi
commerciali;
– è articolato in una pluralità di “dimensioni”;
– richiede una gran mole di informazioni e fa uso di appropriate tecniche di previsione.

3.4.1 CONTENUTO DEL BUDGET COMMERCIALE: BUDGET DELLE VENDITE E DEI


RICAVI

Gli obiettivi e i programmi dell’area commerciale (organi di vendita, uffici addetti alle ricerche di
mercato, servizi di pubblicità, …) sono espressi in termini di:
- volumi di vendita e relativi ricavi
- costi commerciali.

La parte fondamentale è il BUDGET DELLE VENDITE (programma delle vendite) consistente nel
determinare le quantità fisiche di produzione da collocare sul mercato nell’esercizio di budget.
Tale budget è fondamentale perché mette in moto tutto il processo di programmazione di breve
periodo e lo condiziona in modo determinante; pertanto richiede un grado di analisi piuttosto
elevato, compatibilmente con le informazioni di cui l’impresa dispone circa le prospettive di

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mercato (ad es. troppo ottimismo potrebbe portare ad eccessivi rifornimenti di materiali, eccessivi
investimenti in capitale fisso, …; troppa prudenza potrebbe portare a perdita di opportunità di
vendita e di quote di mercato, …).

Il budget delle vendite è sostanzialmente un programma degli ordini da acquistare nel successivo
esercizio; tale programma, nel caso delle produzioni su previsione, coincide con il fatturato
aziendale, al contrario delle produzioni su commessa.

Il programma dei volumi di vendita è reso difficile dal gran numero di varabili esogene che ne
influenzano l’entità: il comportamento dei clienti, dei concorrenti, delle autorità pubbliche, … Per
fare programmi delle vendite affidabili allora si usano modelli di “programmazione basata sui
driver” che includono dati su macro-variabili economiche, posizione di mercato dell’impresa e dei
suoi concorrenti, prezzi di vendita, disponibilità di prodotti presso consumatori e distributori, …

Per passare dal programma dei volumi di vendita al BUDGET DEI RICAVI occorre valorizzare le
quantità fisiche ad un determinato prezzo unitario.
La formazione del prezzo di vendita di un prodotto è uno dei problemi più complessi che bisogna
affrontare in sede di budgeting.
La complessità del problema deriva dall’elevato numero di variabili che la decisione di prezzo
coinvolge (costi unitari di produzione, reattività al prezzo da parte di acquirenti e concorrenti,
vincoli di legge, relazioni con i prezzi di altri prodotti aziendali) e dalle forti interrelazioni tra tali
variabili (ad es. il costo unitario del prodotto, da cui spesso si fa dipendere il prezzo di vendita, a
sua volta dipende dalla quantità venduta).
Vista la complessità del problema, la pratica aziendale ha adottato una tecnica di determinazione
dei prezzi definita FULL COST PRICING.

FULL COST PRICING: consiste nel calcolare il prezzo di vendita sommando al costo pieno di
prodotto un certo quid a titolo di utile sperato, con un approccio definito “cost plus”. Tale metodo
trascura alcune variabili (ad es. la reattività del mercato), tuttavia si tratta solo di un risultato
approssimativo che verrà successivamente ritoccato per tener conto della risposta del mercato.

Nel processo di budgeting commerciale, tra le molte scelte da compiere, vi è quella relativa al mix
di prodotti da vendere, con la determinazione del peso da dare ai diversi prodotti (% di fatturato
rappresentata dal prodotto A, dal prodotto B, …); a tale scopo si analizza solitamente il MLC di
ciascun prodotto:
MLC = Ricavi Vendita – Costi Variabili

Ovviamente non basta, nella scelta tra quale prodotto privilegiare, verificare quale di esso abbia il
più elevato MLC, e di conseguenza quale spingere di più sul mercato; il MLC infatti va
adeguatamente espresso, riferendolo ad una unità di risorsa scarsa o fattore limitativo, occorre
cioè determinare un margine % sui ricavi di vendita, o un margine per ore-macchina, o riferito ad
altre grandezze.

Esempio
Impresa con impianto a produzione multipla, impiegato al massimo della propria capacità produttiva, con cui si
possono produrre indifferentemente i tre articoli A, B e C. Qual è il prodotto da spingere sul mercato, cioè verso cui
conviene trasferire le risorse disponibili, sottraendole ad altri prodotti visto che la capacità produttiva è già sfruttata al
massimo?

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A B C A B C
Prezzo di vendita 1000 1500 800 tempo lavorazione 0,25 ore 0,5 ore 0,2 ore
Costi variabili 600 800 500 4 u./ora 2 u./ora 5 u./ora

MLC 400 700 300 MLC per ora di lavorazione 1600 1400 1500

A (1600 = 400 * 1/0,25) B (1400 = 700 * 1/0,5) C (1500 = 300 * 1/0,2)

Il MLC per unità di prodotto più elevato è quello del prodotto B; tuttavia, se si determina il margine di contribuzione
per ora di funzionamento dell’impianto (la suddetta unità di risorsa scarsa o fattore limitativo), allora il prodotto da
privilegiare nelle decisioni di mix produttivo e su cui spostare le risorse disponibili è A; infatti è il prodotto A quello con
il più elevato margine orario di contribuzione.

In definitiva, si può sostenere che il MLC è una delle grandezze-chiave dell’area commerciale.

3.4.2 CONTENUTO DEL BUDGET COMMERCIALE: BUDGET DEI COSTI COMMERCIALI

Il BC non si limita a determinare i ricavi di vendita, ma riguarda anche i costi di natura commerciale
che l’azienda sosterrà per la commercializzazione dei prodotti. Le principali voci contenute nei
costi commerciali sono:

– costi del personale di vendita (stipendi e provvigioni) e non di vendita (ricerche di mercato,
magazzini, …)
– costi di trasporto, assicurazione, imballaggio, dogane
– costi di pubblicità e promozione delle vendite
– quote di ammortamento di costi pluriennali per attrezzature, mezzi di trasporto.

Per quanto riguarda la stesura del budget, le modalità di programmazione di tali costi differiscono
da caso a caso:
a) alcune voci sono simili ai costi parametrici, cioè vengono programmate in funzione del volume
di vendita o dei ricavi prestabiliti, come conseguenza di dati programmi di vendita che l’azienda si
pone di realizzare nell’anno di budget (es. spese di imballaggio  definiti i volumi di vendita è
possibile programmare quanti involucri verranno usati per contenere i prodotti da consegnare e i
relativi costi);
b) altre voci sono programmate in base a scelte discrezionali, formulate anno per anno in sede di
budget (es. spese di pubblicità), o sono la conseguenza di scelte di PS; derivano quindi da politiche
aziendali che mirano a influenzare le vendite e a creare la domanda (es. ammortamenti delle
attrezzature impiegate nei magazzini).
Esempio. Le spese di pubblicità vengono programmate come % del fatturato: “il budget delle spese pubblicitarie deve
essere pari al 2% dei ricavi di vendita”; sembra trattarsi di costi parametrici, in realtà questi costi variano non in
seguito al volume di vendita ma in previsione di esso, in base alle scelte della direzione, e quindi sono costi discrezionali

3.4.3 ARTICOLAZIONE DEL BUDGET COMMERCIALE

Il BC presuppone analisi accurate sotto i seguenti aspetti:

PERIODI INFRANNUALI (mensili): l’articolazione del BC per periodi infrannuali permette di


orientare l’azione degli organi commerciali e delle altre unità collegate (es. la produzione) in modo
adeguato rispetto ai problemi che si presentano nei diversi periodi dell’anno (es. stagionalità delle
vendite)

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PRODOTTI O FAMIGLIE DI PRODOTTI: il BC si suddivide per prodotti o famiglie di prodotti in


quanto i programmi di vendita si formulano singolarmente per ciascun raggruppamento
produttivo (maggiore differenziazione tecnico-commerciale dei prodotti venduti  suddivisione
più spinta; articolazione per prodotti  possibilità di evidenziare il contributo dato da ciascuna
combinazione produttiva al reddito aziendale)

CENTRI DI RESPONSABILITA’: la suddivisione per questa categoria consiste nell’attribuire ricavi e


costi commerciali alle varie unità organizzative (centri di vendita, uffici di ricerche di mercato, …),
in modo da responsabilizzare i manager sui risultati

ALTRE SUDDIVISIONI: clienti, regioni/zone di vendita, canali distributivi; tali suddivisioni, ai fini di
controllo, sono utili per valutare economicità e convenienza di ciascuna categoria di clientela, di
ogni canale distributivo delle varie regioni e per indirizzare il comportamento degli organi
commerciali verso obiettivi specifici

3.4.4 INFORMAZIONI RICHIESTE E TECNICHE PREVISIONALI USATE

Il BC, in particolare il budget delle vendite, richiede numerose informazioni; i motivi sono:

a) il budget delle vendite è l’input di tutto il processo budgetario, quindi errori commessi in
questa fase si rifletteranno sull’intero processo;
b) il budget delle vendite riguarda, più di tutti, aspetti del comportamento aziendale fortemente
condizionati da variabili esterne e poco controllabili (economiche, sociali, politiche, …),
pertanto occorre disporre di svariate informazioni su fenomeni con un elevato grado di
incertezza: statistiche delle vendite aziendali, situazione della concorrenza, analisi della
redditività dei prodotti, statistiche della popolazione, indicatori economici nazionali,
andamento degli scambi con l’estero.

Tali informazioni vanno poi adeguatamente analizzate per ottenere previsioni accurate che
possono essere basate sul parere degli operatori commerciali, a partire dai venditori (basandosi
cioè sull’esperienza e le riflessioni soggettive di chi è chiamato a rispondere dei risultati conseguiti
 elaborazioni soggettive dei dati) o su metodi di elaborazione statistica o su indagini specifiche di
mercato (questionari ed interviste).

Tra le tecniche previsionali basate sull’elaborazione statistica vi sono:


1) il trend o tendenza a lungo termine: studio dello sviluppo passato di un fenomeno (le vendite)
ed estrapolazione di tale tendenza nel futuro;
2) la correlazione: individuazione di eventuali relazioni tra le vendite di un prodotto e l’andamento
di una o più variabili esplicative, legate da un rapporto di causa-effetto;
3) il totale mobile: si considera un passato recente, dopo l’eliminazione delle variazioni stagionali,
e si estrapola la tendenza delle vendite ottenuta nel futuro;
4) lo studio ad hoc del mercato: interviste a un campione di potenziali clienti, per formulare
ipotesi sul futuro andamento delle vendite.
Tali tecniche sono strumenti di previsione complementari e non alternativi.

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Esempio di Budget Commerciale (forma)


Voci Prodotto A Prodotto B Prodotto C Totale
Volume di vendita 1.000 2.000 500 -
Prezzo unitario 10 25 30 -
Ricavi di vendita……………….. 10.000 50.000 15.000 75.000
Costi commerciali variabili
- provvigioni 600 1.500 750 2.850
- imballi 50 400 30 480
- altri 50 100 20 170

Totale…………………………… 700 2.000 800 3.500

Costi commerciali fissi


- stipendi 5.000
- pubblicità 2.000
- illuminazione 100
- altri 1.400

Totale…………………………. 8.500

BUDGET DELLE SCORTE (rimanenze di prodotti finiti)


BUDGET DELLA PRODUZIONE (volume di produzione)
3.5 IL BUDGET DI PRODUZIONE BUDGET DEI COSTI DI PRODUZIONE (costi industriali)
BUDGET DEGLI ACQUISTI DI MATERIE
BUDGET DELLE ASSUNZIONI DI PERSONALE

Il BUDGET DELLA PRODUZIONE riguarda essenzialmente la quantità di prodotti da realizzare nel


periodo considerato e, da un punto di vista economico, la traduzione di tali programmi in
fabbisogni di risorse e relativi costi.
Da un punto di vista logico segue il budget delle vendite, nel senso che l’impresa produce i suoi
beni o servizi in funzione dei programmi di vendita; protagonista della formazione di questo
programma è l’area della produzione, nelle sue unità operative (stabilimenti, officine, reparti, …).

La produzione è l’area aziendale che più di altre ha visto modificare in anni recenti le proprie
logiche operative ed organizzative, per via di fenomeni quali: la maggiore intensità di
competizione tra aziende; la ricerca di vantaggi competitivi basati su una differenziazione spinta; la
riduzione del ciclo di vita di numerosi prodotti; l’evoluzione tecnologica ed organizzativa offerta
dall’IT; il decentramento produttivo e le nuove modalità di collaborazione con i fornitori.
L’evoluzione delle logiche produttive ha portato con sé nuove tecniche di gestione e
organizzazione, come: i sistemi di produzione flessibili e integrati; i sistemi just in time; la
partnership con i fornitori; il Total Quality Management.

Gli aspetti più rilevanti del budget della produzione sono:


– la formulazione di un programma delle scorte di prodotti da tenere a disposizione per passare
dal budget delle vendite a quello della produzione;
– l’articolazione del programma di produzione in una pluralità di dimensioni;
– la necessità di disporre dei costi standard per formulare il budget dei costi industriali di
produzione.

3.5.1 IL BUDGET DELLE SCORTE DI PRODOTTI E DEL VOLUME DI PRODUZIONE

L’essenza del budget della produzione consiste nella determinazione della quantità fisica di
prodotti (volume di produzione) da realizzare nell’anno di budget.
Gli input di tale programma sono sostanzialmente:

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– il BUDGET DELLE VENDITE,


– il BUDGET DELLE SCORTE DI PRODOTTI.

Il programma delle quantità da vendere non esprime automaticamente la quantità da produrre.


Occorre infatti elaborare la politica delle scorte di prodotti da tenere in magazzino, il che può
determinare un Budget di Produzione superiore, uguale o inferiore al Budget delle Vendite.

DIFFERENTI TIPI DI PRODUZIONE: le imprese adottano diversi tipi di produzione:


1. Produzioni su Previsione: la domanda dei prodotti da parte del mercato si manifesta nel
momento in cui desidera essere soddisfatta. Il tempo di evasione è quindi molto ristretto per
cui l’azienda deve tenere una scorta di prodotti finiti per far fronte alla domanda prevista.
2. Produzioni su Commessa: l’impresa non immagazzina prodotti finiti, tuttavia può accadere che
tenga a disposizione componenti standard, il cui impiego per esperienza è quasi certo.
Ps. ciò vale per le produzioni di beni; nelle aziende che producono servizi non vi è immagazzinamento di prodotti finiti!

POLITICA DELLE SCORTE: la politica delle scorte di prodotti finiti funge da “tratto d’unione” tra
programma delle vendite e programma della produzione. Tale politica non risente solo delle
esigenze del mercato ma è anche vincolata da esigenze interne quali la capienza dei magazzini,
l’obsolescenza dei prodotti, l’esigenza di non immobilizzare troppi capitali, che impongono di
mantenere le scorte ai livelli minimi compatibili con la necessità di soddisfare la domanda di
mercato.
In tal senso, tecniche di gestione della produzione come il just in time (ricevere i materiali quando
se ne ha bisogno e fabbricare i prodotti quando i clienti lo richiedono) consentono di ridurre le
scorte da tenere a disposizione.

Il programma di produzione, nell’ambito del budget annuale, può sinteticamente esprimersi così:

volume di vendita programmato


+ rimanenze finali di prodotti programmate (*)
- rimanenze iniziali di prodotti stimate (**)
= volume di produzione programmato

(*) stocks che l’impresa si propone di avere a disposizione al termine del periodo di budget
(**) stima degli stocks a disposizione all’inizio del periodo di budget

Il budget di produzione va però articolato in periodi infrannuali (ad es. mensili), soprattutto in
ipotesi di fenomeni di stagionalità; infatti, il problema del budget di produzione non è solo la
quantità da produrre, ma anche la distribuzione di tali quantità nei vari periodi.

ESEMPIO DI PROGRAMMA DI PRODUZIONE PRODOTTO X (N. PEZZI)


Mesi Rimanenze iniziali Vendite Rimanenze Finali Produzione
(1) (2) (3) (2 + 3) – (1)
Gennaio 5.900 10.000 3.400 7.500
Febbraio 3.400 8.000 1.900 6.500
Marzo 1.900 8.000 1.400 7.500
Aprile 1.400 7.500 900 7.000
Maggio 900 6.000 2.100 7.200
Giugno 2.100 4.000 5.000 6.900
Luglio 5.000 2.500 9.850 7.350
Agosto 9.850 1.000 10.850 2.000
Settembre 10.850 3.000 14.800 6.950
Ottobre 14.800 6.000 15.850 7.050
Novembre 15.850 9.000 13.850 7.000
Dicembre 13.850 12.000 8.900 7.050
Totale annuo - 77.000 - 80.000

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Nel caso in cui un’azienda effettui produzioni di serie mediante fabbricazioni di parti componenti e
loro assemblaggio, il budget va ulteriormente articolato per le singole parti da produrre.

3.5.2 ARTICOLAZIONE DEL BUDGET DI PRODUZIONE

Il budget di produzione, come quello commerciale, va suddiviso in diversi modi:

PERIODI INFRANNUALI (es. mensili): è espressione della politica di sfruttamento della capacità
produttiva nel corso dell’anno (specie in caso di problemi di stagionalità); volume e ritmi della
produzione sono legati, più che agli ordini da acquisire, agli ordini da evadere, cioè ai programmi di
consegna dei prodotti ai clienti.

PRODOTTI O FAMIGLIE DI PRODOTTI: questa suddivisione è necessaria per ragioni tecniche di


produzione, perché è indispensabile analizzare le risorse da impiegare per prodotto (budget dei
costi industriali). Per ogni prodotto si determina uno specifico costo standard di produzione.

PER CENTRI DI RESPONSABILITA’: tale suddivisione risponde alle esigenze di guida e


responsabilizzazione di specifici manager; inoltre, poiché nell’ambito dei costi industriali di
produzione i costi tecnici assumono una notevole rilevanza, la configurazione dei CdR coinvolti nel
budget della produzione è quella tipica dei c.d. centri di costi standard (officine, reparti produttivi,
…).

3.5.3 IL BUDGET DEI COSTI INDUSTRIALI DI PRODUZIONE. I COSTI STANDARD

Una volta stabilito il programma delle quantità da produrre, è necessario redigere il budget dei
costi delle risorse da impiegare per la sua realizzazione. Tali costi sono così distinguibili:

– materiali diretti
– MOD
– costi generali industriali o di fabbricazione (manufacturing overhead) : MOI, stipendi tecnici,
energia elettrica, ammortamenti, combustibili, materiali ausiliari e di consumo, manutenzioni
esterne, altri costi industriali  spese generali di produzione/fabbricazione

Questi costi, sotto il profilo della loro programmazione, non sono omogenei in quanto:
– materiali diretti e MOD sono costi parametrici e possono considerarsi entrambi variabili  per
essi si possono calcolare i costi standard
– i costi generali industriali o di fabbricazione includono costi di varia natura, tutti non
quantificabili in funzione del volume produttivo (non possono essere definiti costi tecnici)  non
si può parlare di costi standard, specie per le voci fisse (es. ammortamenti, stipendi tecnici, …)

COSTI STANDARD: i costi standard sono uno strumento per “valorizzare” il budget di produzione;
senza di essi il budget stesso perderebbe buona parte della sua affidabilità ed utilità.

I costi standard sono:


– costi predeterminati in modo tecnico che riflettono ipotesi di futuro svolgimento della gestione
(non costi storici, né loro medie o estrapolazioni);

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– costi che presuppongono una chiara definizione delle condizioni operative standard della
gestione (qualità dei prodotti, caratteri dei fattori da impiegare, modalità svolgimento dei
processi). Sono dunque applicabili a produzioni standardizzate;
– costi-obiettivo da raggiungere per assicurare soddisfacenti livelli di economicità della gestione.

L’essenza dei costi standard sta nel fatto che essi presuppongono la definizione di precisi livelli di
prestazione (in termini di efficienza) che i responsabili dei vari CdR dovrebbero raggiungere
nell’anno di budget. I livelli di efficienza standard sono così suddivisi:

Livello Corrisponde a condizioni ottimali di svolgimento della Difficile da


Ideale gestione in cui tutti i possibili sprechi ed inefficienze sono realizzare
stati eliminati ed i costi raggiungono livelli minimi (livello molto alto -
costi molto bassi)
Livello Comporta l’accettazione di certe inefficienze e quindi Realizzabile ma con
Conveniente corrisponde a costi più elevati del livello ideale un certo impegno

Livello E’ un livello di prestazioni che si raggiungerebbe comunque Non richiede nuovi


Previsto (anche in assenza di costi standard); è una semplice stima sforzi per
del futuro manifestarsi di tendenze consolidate in passato migliorare le
prestazioni

Nella scelta del livello di efficienza standard si considerano anche gli aspetti psicologici del
problema, in particolare la capacità di motivare le persone e stimolarle a prestazioni migliori. Si
suggerisce sovente di optare per un livello standard raggiungibile dagli operatori ma a prezzo di un
certo impegno (che corrisponde al livello conveniente).

I costi standard sono determinati con riferimento a una unità di ciascun prodotto (suddiviso nelle
sue varie parti o componenti) ed nelle varie fasi del processo produttivo con cui lo si ottiene.
Il costo standard di un prodotto è quindi la sintesi di calcoli analitici riferiti a ciascun componente
di prodotto ed a ciascun centro/attività, attraverso cui passano le varie componenti.

La determinazione dei costi standard richiede:


- accurati studi di carattere tecnico-organizzativo, aventi per oggetto tecnologie da adottare,
metodi di lavoro da seguire, quantità di materiali da impiegare, tempi di mano d’opera necessari
per le lavorazioni;
- accurati studi di carattere economico, sui prezzi di acquisto dei fattori produttivi, mediante i quali
i costi standard sono espressi in unità monetarie; tipicamente si tratta del prezzo di acquisto delle
materie prime e del costo orario della MOD.

C=sxp

c = costo standard di un certo fattore produttivo, riferito all’unità di prodotto

s = standard unitario fisico o coefficiente unitario standard (quantità fisica di risorsa necessaria per ottenere un’unità
di prodotto)  è la componente del costo standard che riguarda l’efficienza interna nell’impiego delle risorse

p = prezzo unitario standard (prezzo necessario per acquistare un’unità della risorsa in esame)  è la componente del
costo standard che riguarda la capacità di acquisire le risorse a condizioni economiche

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3.5.4 I COSTI STANDARD DEI MATERIALI DIRETTI E DELLA MOD

La formula C = s x p è applicabile con rigore solo ad alcune voci di costo, cioè ai costi tecnici di
materie dirette e MOD, perché solo per essi è possibile calcolare in maniera univoca la quantità di
risorse (kg, ore, …) necessaria per produrre una unità di prodotto.

Costo Standard (s) (p) (c = s x p)


A) MATERIE Kg. 0,1 di materia X per fare 1 unità di prodotto € 1,5 per 1 Kg. di materia X € 0,15 di materia X per
DIRETTE ogni unità di prodotto
B) MOD Ore 1,5 di MOD per fare 1 unità di prodotto € 15 per 1 ora di MOD € 22,5 di MOD per
ogni unità di prodotto

A) MATERIE DIRETTE. Il calcolo del costo standard presuppone la fissazione del CONSUMO
STARDARD e del PREZZO STANDARD UNITARIO.

a) Il CONSUMO STANDARD unitario è la quantità ritenuta “normale” (rispetto al livello di efficienza


prescelto) per produrre una unità di prodotto. Tale quantità tiene conto di sfridi (quantità di
materiale che, pur non essendo incorporata nel prodotto finito, è stata ugualmente impiegata
nella lavorazione: es. ritagli) e scarti (quantità addizionale di materiale il cui impiego è provocato
dalla necessità di rifare i prodotti difettosi).
I dati relativi al consumo standard di materiale diretto sono accolti in un documento chiamato
distinta base.

Esempio
consumo standard di materiale (non considerando gli scarti) = 1,20 kg per unità di prodotto
produzione di 1 unità difettosa su 20 unità in media (scarti = 5%)
Consumo standard di materiale per unità di prodotto 1,20 : 0,95 = x : 1 x = 1,263 kg

b) Il PREZZO STANDARD è il prezzo d’acquisto che l’azienda prevede di sostenere nel periodo in
esame per acquisire a condizioni economiche le risorse materiali necessarie; si tratta di un
obiettivo che dipende da numerosi fattori (fornitori, quantitativi e tempi di acquisto, forza
contrattuale, …) difficilmente controllabili; è inoltre un valore medio, ritenuto valido per il periodo
successivo.

B) MOD. Il calcolo del costo standard presuppone la determinazione del TEMPO STANDARD di
lavorazione e del COSTO ORARIO STANDARD.

a) Il TEMPO STANDARD di MOD per ottenere una unità di prodotto richiede uno studio accurato
mediante specifiche tecniche (es. cronometraggio) e tiene conto, per i tempi di lavorazione, di
fattori che aumentano i tempi standard (scarti di produzione, inattività, blocchi macchina,
operazioni non previste a ciclo, ...) ma anche di miglioramenti tecnologici che contribuiscono a
ridurre i tempi di lavorazione (c.d. abbattimento tempi).
I dati relativi ai tempi standard di MOD sono accolti in un documento detto ciclo di lavorazione.
b) Il COSTO ORARIO STANDARD è un obiettivo, calcolato per ogni centro di costo includendo oltre
alla retribuzione diretta gli oneri differiti, i contributi previdenziali e assistenziali.
Per ricavare il budget dei costi totali delle due risorse in esame occorrerà moltiplicare il costo
unitario per il volume di produzione programmato.

Esempio
costo standard materia prima TS per ottenere 1 unità di prodotto = 150 €
volume di produzione programmato a budget = 10000 unità

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budget dei costi totali della materia prima TS = 150 x 10000 = 1500000 €

L’uso dei costi standard è corretto e fattibile solo in condizioni di relativa stabilità. In condizioni
molto turbolente il CdG deve affidarsi a strumenti più flessibili.

3.5.5 IL BUDGET DEI COSTI GENERALI DI FABBRICAZIONE

I costi generali di fabbricazione (manufacturing overhead) sono cosi analizzabili:

- MOI - energia elettrica - ammortamenti - stipendi tecnici - combustibili - manutenzioni


- materiali ausiliari e di consumo - altri costi industriali

Si tratta di costi eterogenei che includono costi fissi (ammortamenti, stipendi tecnici) e costi semi-
variabili (energia elettrica, materiali ausiliari).

Per i costi fissi non si può definire univocamente il costo per unità di prodotto in quanto questo
varia al volume produttivo ipotizzato. Infatti un costo fisso rimane identico quale che sia il volume
produttivo ma la sua incidenza unitaria varia al variare del volume. Quindi quando si afferma che il
costo standard unitario di un costo fisso è pari ad un certo ammontare, ciò ha senso solo con
riferimento ad un ben preciso volume di produzione programmato.

Per i costi semi-variabili, premesso che essi includono una componente fissa ed una variabile in
proporzione al volume produttivo (y = a + bx), il loro andamento va studiato con appropriati
metodi che consentono di “separare” la parte fissa del costo da quella variabile. I metodi sono:

– Metodo dell’interpolazione grafica – Metodo dei minimi quadrati – Metodo analitico

I primi due metodi si basano sulla rilevazione statistica di una serie di dati storici su volumi di
produzione realizzati e relativi costi, che ne esprime l’andamento; il metodo analitico si fonda
invece su una accurata analisi del processo produttivo aziendale per stabilire le quantità di risorse
necessarie per realizzare una data produzione.
Un altro metodo, semplificato e non sempre attendibile, è quello “dei due punti”, che si basa sulla
rilevazione o stima dei costi corrispondenti a due soli livelli di volume di produzione.

Metodi di determinazione dei costi generali di fabbricazione

BUDGET FLESSIBILE: si determinano i costi generali di fabbricazione tenendo presente che a


volumi differenti corrispondono costi differenti.
Una volta separata la parte fissa dalla parte variabile dei costi semi-variabili, per le componenti
fisse si iscrive a budget l’ammontare globale del costo, indipendentemente dal volume di
produzione; per le componenti variabili si fissa il costo standard unitario e lo si moltiplica per il
volume di produzione programmato.

BUDGET RIGIDO: i costi generali di fabbricazione vengono programmati senza un’analisi del loro
grado di variabilità. In tal caso sovente si parte dall’importo dell’anno precedente e lo si aumenta
o riduce in base a valutazioni soggettive; il budget è rigido perché non varia al variare del volume,
di conseguenza può tradursi in valutazioni non attendibili dell’andamento economico della
gestione futura e portare a fare il budget in modo errato.

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Voci di costo Budget flessibile


Parte Fissa Parte Variabile Totale per Totale per …
Unitaria 40.000 unità 45.000 unità
Stipendi tecnici 20.000 - 20.000 20.000
Energia elettrica 100 0,120 4.900 5.140
Riscaldamento 3.000 - 3.000 3.000
Manutenzione 2.800 0,025 3.800 3.850
Ammortamenti 6.000 - 6.000 6.000
Altre spese 200 0,038 1.720 1.796
Totale 32.100 0,183 39.420 39.786

In conclusione, per calcolare il budget dei costi generali industriali:


- parti variabili  costo standard x volume di produzione programmato (come si fa per il budget dei
costi di Materie Dirette e MOD)
- parti fisse  si determina direttamente l’importo totale per il periodo di budget

Esempio
n. impiegati = 6 stipendio annuo previsto = 30000 € pro-capite
budget dei costi per stipendi tecnici = 30000 € x 6 persone = 180000 €

3.5.6 IL BUDGET DEGLI ACQUISTI DI MATERIE E DI ASSUNZIONE DEL PERSONALE

Per quanto riguarda le materie prime e la MOD, nel budget aziendale devono rientrare anche i
programmi relativi alla quantità delle risorse da acquistare nel periodo considerato e ai tempi di
approvvigionamento.

a) BUDGET DEGLI APPROVVIGIONAMENTI DI MATERIE

Le materie prime richieste per realizzare i programmi di produzione si determinano come:


Standard unitario fisico di materia x Volume di produzione a budget
che corrisponde al consumo totale di materiali programmato per il periodo di budget.

Occorre ancora determinare:


1) la quantità di materie da acquistare nel medesimo periodo;
2) i tempi di acquisto delle materie stesse.

1) La quantità di materie da acquistare non coincide con i consumi, perché occorre considerare il
problema delle scorte di materiali da tenere a disposizione, sulla cui quantità influiscono
numerose circostanze: esigenze della produzione (tempi di evasione degli ordini, deperibilità dei
materiali, …), considerazioni di ordine finanziario, prospettive di difficoltà nell’approvvigionamento
dei materiali, trend dei prezzi, capienza dei magazzini. Le scorte di materie fungono dunque da
tratto d’unione tra programma dei consumi e programma degli acquisti.
Il programma degli acquisti può essere così calcolato:

quantità di materiale da consumare (*)


+ rimanenze finali di materie programmate (**)
- rimanenze iniziali di materie stimate (***)
= quantità di materie da acquistare

(*) quantità corrispondenti agli standard unitari fisici (accolti nella distinta base)
(**) dipendono dalla politica delle scorte prescelta dall’impresa;
(***) stima della quantità prevista per l’inizio dell’anno di budget

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2) Per i tempi di acquisto, va programmata la distribuzione nel corso dell’anno delle quantità da
approvvigionare, in modo che esse siano disponibili quando la produzione ne ha bisogno.

b) BUDGET DEL PERSONALE DA ASSUMERE

Il personale è una risorsa più o meno rigida, la cui gestione ha risvolti extra-economici rilevanti. Le
scelte espresse in sede di budget potrebbero manifestare le loro conseguenze ben oltre il periodo
annuale; pertanto il budget annuale va raccordato con il piano strategico ove dovrà trovarsi una
oculata politica del personale.

1) Il budget della MOD, di cui sono noti i tempi standard unitari, può essere calcolato secondo
criteri abbastanza oggettivi, attraverso:
- la determinazione dell’organico necessario per realizzare i volumi di produzione programmati
- la determinazione dell’eventuale numero di persone da assumere o in eccesso.
Per il calcolo degli organici, occorre conoscere:
- il numero totale di ore necessarie per realizzare i programmi di produzione nel periodo di budget,
pari a
Volume di produzione programmato a budget x ore standard MOD per 1 unità di produzione
- il numero di ore di presenza che ciascuna persona svilupperà nel medesimo periodo, pari a
P = C – Fr – Fs – A + S
P =ore di presenza media pro capite C = ore di calendario(no sabati e domeniche) Fr = ferie Fs = festività
A = assenteismo (% assenteismo per malattia, scioperi, ecc.) S = straordinari

Una volta determinate le ore totali necessarie per realizzare il programma di produzione e le ore di
presenza pro capite si ottiene l’organico di cui ha bisogno l’azienda come:
ore totali di MOD corrispondenti al budget di produzione
ore di presenza media pro-capite

A questo punto bisogna confrontare l’organico di budget con l’organico esistente all’inizio
dell’anno, ottenendo le seguenti casistiche:
a) organico di budget > organico esistente
in tal caso occorre programmare l’assunzione di nuovi operai; tale decisione va verificata con le
linee guida del piano strategico in materia di politica del personale, se esso non prevede
incrementi di organico occorrerà ricorrere ad altri mezzi (es. lavorazione presso terzi)
b) organico di budget = organico esistente
in tal caso non bisogna procedere a cambiamenti di organico
c) organico di budget < organico esistente
in tal caso vi è esuberanza di personale; se non si prevede il ricorso a strumenti che rendano
flessibile il costo del lavoro, si avrà un organico superiore al fabbisogno (c.d. mano d’opera extra-
fabbisogno), che rappresenta un maggior costo rispetto all’ammontare inserito nei budget e va
evidenziato a parte in modo da tenerlo distinto da quello di MOD.

2) Nella formulazione dei budget degli organici e del personale da assumere, un fattore di grande
rilievo è quello relativo ai tempi in cui il fabbisogno si presenterà. Non basta determinare
l’organico ma occorre anche stabilire a priori:
- quando si manifesterà l’esigenza di nuovo personale
- quando bisognerà procedere all’assunzione del nuovo personale in modo che esso risulti
disponibile ed addestrato in tempo utile a sostituire quello dimissionario e a integrare quello già
presente.

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BUDGET COSTI INDUSTRIALI DI PRODUZIONE (con MOD extra-fabbisogno)


Voci di costo Costi fissi Costi Totale
variabili
Materie dirette - 20.000 20.000
MOD - 15.000 15.000
MOI 1.000 2.000 3.000
Stipendi tecnici 4.000 - 4.000
Materiali ausiliari 500 500 1.000
Energia elettrica 400 1.100 1.500
Ammortamenti 3.600 - 3.600
MOD extra-fabbisogno 1.400 - 1.400
Totale 10.900 38.600 49.500

Il calcolo degli organici e delle assunzioni riguarda come è ovvio anche


- MOI - impiegati - dirigenti.
Per tali risorse non sono, normalmente, possibili misurazioni “tecniche” proprie (come avviene per
la MOD), ma si tratta di costi tipicamente di struttura, programmabili in base a decisioni
discrezionali.

3.6 IL BUDGET DELLE FUNZIONI GENERALI


Il BUDGET DELLE FUNZIONI GENERALI è il programma di gestione delle aree funzionali c.d. di staff:
– Direzione Generale
– L’area di Amministrazione, Finanza e Controllo (AFC)
– L’area di Gestione del Personale e dell’Organizzazione

Diversamente dalla produzione (dove ingenti sono i costi parametrici), in questo caso vi è una
prevalenza di Costi Discrezionali e Vincolati.

ANALISI DELLE VOCI DI COSTO E MODALITA’ DI PROGRAMMAZIONE


Nelle aree in oggetto prevalgono solitamente i costi del personale, in particolare gli stipendi al
personale dirigente ed impiegatizio, nonché altri costi di funzionamento quali: spese postali e
telefoniche, cancelleria, spese per viaggi e trasferte, consulenze, luce, riscaldamento,
ammortamento mobili e macchine d’ufficio, …
Riguardo alle modalità di programmazione di tali costi, la loro entità è in genere svincolata dai
volumi di produzione; non esistono costi standard precisi che indichino l’importo tecnico o “equo”
da sostenere per il prossimo esercizio, con determinazione degli input in funzione degli output; la
determinazione del costo da sostenere è quindi in buona misura affidata al giudizio personale e
soggettivo dei manager e non a calcoli tecnici.
Accanto a questi costi discrezionali, vi sono costi vincolati, riguardanti risorse ad utilità ripetuta di
cui va calcolata la quota di ammortamento annua, ed altri costi che concorrono a definire la
struttura aziendale come il personale impiegatizio e dirigente, meno liberamente programmabili
perché condizionati da scelte strategiche non modificabili nel breve periodo.

TECNICHE PER MIGLIORARE IL BUDGETING

BUDGET A BASE ZERO: Il Zero Base Budget (ZBB) è una tecnica di programmazione dei Costi non
parametrici (discrezionali e vincolati), che riguarda la formulazione dei budget delle aree
amministrative, di gestione del personale, della produzione, del marketing, …

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La modalità di programmazione dei costi non parametrici, nella pratica delle aziende, spesso parte
dallo stanziamento dell’anno precedente a cui si aggiunge o sottrae un certo quid, in funzione
dell’inflazione prevista, di nuove attività o del venir meno di attività preesistenti, …
Tale modo di fare il budget è discutibile per una ragione fondamentale: non mette
sostanzialmente in discussione il livello attuale dei costi che potrebbero riflettere attività inutili,
sprechi ed altre disfunzioni, ma lo perpetua limitandosi ad apportare incrementi o tagli.

Seguendo i principi del ZBB invece si rimette ogni anno in discussione l’attività da svolgere nei
centri di costo discrezionali, cioè si fa il budget partendo ogni volta da zero, senza lasciarsi
condizionare eccessivamente dalle attività svolte e dai costi sostenuti in passato.

Il ZBB implica procedure più complesse che si articolano nelle seguenti fasi:
1) Individuazione delle unità decisionali (es. centri di costo)
2) Analisi dell’attività attualmente svolta dalle unità decisionali
3) Individuazione di modi alternativi di funzionamento delle unità decisionali
4) Analisi incrementale (individuazione dei pacchetti di servizi)
5) Scelta del livello di attività da svolgere
6) Formazione del budget delle unità decisionali

L’ANALISI INCREMENTALE e la SCELTA DEL LIVELLO DI ATTIVITA’ DA SVOLGERE sono i caratteri


più significativi dello ZBB.

L’Analisi Incrementale consiste nell’individuare pacchetti di servizi per ogni unità decisionale,
partendo ogni volta da zero, senza lasciarsi condizionare da stanziamenti passati. Si comincia con
pacchetti che coincidono con le attività che si devono in ogni caso svolgere; quelli successivi
rappresentano altrettanti incrementi rispetto al pacchetto iniziale, secondo una certa scala di
priorità. Per ognuno di tali pacchetti si definiscono i livelli di prestazione e le relative risorse (costi).

La Scelta del Livello di Attività da Svolgere presso ciascuna unità decisionale è caratterizzata dal
fatto di non avvenire isolatamente per ciascuna unità, bensì previa formulazione di una
graduatoria che coinvolge anche le altre unità decisionali in concorrenza nella distribuzione delle
risorse aziendali. Tale graduatoria si basa su una valutazione comparata dei vari pacchetti sotto il
profilo dei loro costi e dei loro risultati. In funzione di tale graduatoria si prende una decisione in
base ai pacchetti da accettare e da respingere.

I principali pregi dello ZBB come strumento di controllo sono:


– costringe a giustificare attività e costi di ogni unità decisionale, anche se corrispondenti ai livelli
attuali;
– tenta di correlare gli input (risorse e relativi costi) agli output, cioè tenta di rendere parametrici
costi normalmente considerati discrezionali o vincolati;
– inserisce il controllo ex ante di ogni unità decisionale nel contesto più ampio del sistema
aziendale, promuovendo così una più equilibrata distribuzione delle risorse;
– tenta di considerare l’attività dei centri di servizi non come un tutt’uno, ma come un insieme di
pacchetti o di attività differenti, rendendo più facile programmare e controllare costi per pacchetti
elementari che non in riferimento alla loro globalità.
Gli svantaggi dello ZBB sono la complessità e il costo elevato del lavoro di analisi, e di conseguenza
la difficoltà di accuratezza e la burocratizzazione.

ACTIVITY BASED BUDGET: l’ABB è una tecnica più efficace che ha ormai soppiantato il ZBB

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3.7 IL BUDGET DEGLI INVESTIMENTI OPERATIVI

Con l’espressione “investimenti operativi” ci si riferisce a due tipi di impiego di capitale:

A) Investimenti in Capitale Fisso o Immobilizzato (a lungo tempo di recupero  ffr)


B) Investimenti in Capitale Circolante (a breve tempo di recupero  ffs)

A) Gli Investimenti in Capitale Fisso (Capital Budget) dal punto di visto finanziario costituiscono
quella parte di capitale fisso o immobilizzato che serve per realizzare l’attività tipica aziendale
(immobilizzazioni tecniche: macchinari, impianti, attrezzature, fabbricati, automezzi, …;
immobilizzazioni immateriali: brevetti, marchi, spese di pubblicità pluriennali, …), dal punto di vista
economico danno origine a costi pluriennali che comportano ogni anno quote di ammortamento.

I tipici progetti di investimento, oggetto di budgeting, riguardano tutte le funzioni dell’azienda e


possono essere suddivisi nelle seguenti aree:

PRODUZIONE (costruzione di fabbricati industriali, acquisto di impianti, macchinari, attrezzature, macchine


d’ufficio e mobili, automezzi)
COMMERCIALE (apertura di nuove filiali, acquisto di mezzi di trasporto per uso commerciale, investimenti in
pubblicità, addestramento venditori)
R&S (acquisto di impianti e attrezzature per la ricerca, progetti di ricerca)
DIREZIONE GENERALE e UFFICI AMMINISTRATIVI (apertura nuove sedi amministrative, acquisto di
macchine d’ufficio e mobili, di sistemi hw e sw)

Gli investimenti (in particolare in beni strumentali: macchinari, attrezzature, stabilimenti


industriali, …) possono altresì classificarsi in investimenti di:

SOSTITUZIONE (di beni strumentali ormai logori, senza modifiche di capacità produttiva o razionalizzazioni)
RAZIONALIZZAZIONE (rendono più efficiente la produzione, ammodernando il parco macchine)
ESPANSIONE (incrementano la capacità produttiva)
STRATEGICI (perseguono obiettivi di lungo periodo: sviluppo di know how, miglioramento dell’immagine aziendale)

Un’altra distinzione riguarda le modalità di realizzazione dei progetti di investimento, mediante:


- fornitori esterni (acquisto dei mezzi produttivi da terzi)
- reparti interni (realizzazione interna dei mezzi produttivi).

Il processo di scelta di tali investimenti avviene in base a considerazioni tecniche da parte della
funzione che utilizzerà l’investimento (ad es., i tecnici della produzione esprimono un giudizio su
funzionalità, efficienza, durata, … di una macchina) e in base a considerazioni economico-
finanziarie (metodi di valutazione più noti: metodi del tempo di recupero, del tasso annuale
medio, dell’eccesso di valore attualizzato, del TIR, dei flussi di cassa scontati).
Inoltre, i progetti di investimento sono strettamente legati alla PS perché servono a realizzare
azioni strategiche e impegnano finanziariamente ed economicamente l’azienda in un arco di
tempo pluriennale. Si tratta di decisioni non modificabili nel breve periodo.
In altre parole, fare un budget degli investimenti significa tradurre in termini operativi un dato
programma già predisposto in linea generale in sede di PS; ogni anno si darà attuazione a quella
tranche di investimenti che ricade nel periodo di budget.
I programmi di investimento in immobilizzazioni vanno espressi in termini finanziari, cioè occorre
calcolare il fabbisogno di capitale necessario per la loro realizzazione; inoltre, occorre predisporre
il loro iter temporale (affinché gli investimenti siano disponibili alle date prestabilite) ed effettuare

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un controllo degli investimenti (verifica della loro convenienza economica, adozione di procedure
di autorizzazione degli stessi, confronto con quanto programmato, esame dei risultati raggiunti).

B) Gli Investimenti in Capitale Circolante si riferiscono ad investimenti in scorte di magazzino e in


crediti commerciali. Tale capitale è quello riferito alla gestione operativa, ed è un capitale
circolante netto (cioè al netto dei debiti commerciali) a cui, sotto il profilo finanziario, corrisponde
il complesso dei mezzi finanziari impegnati in un dato periodo al fine di realizzare i volumi delle
vendite previsti a budget, utilizzando una capacità produttiva prestabilita.

I fattori influenti sul capitale circolante netto della gestione operativa sono:
– Scorte materie prime (tempo medio giacenza x costo acquisti medi giornalieri)
– Semilavorati (tempo medio giacenza x costo produzione parziale media giornaliera)
– Scorte prodotti finiti (tempo medio giacenza x costo produzione finita media giornaliera)
– Crediti commerciali (durata media x valore vendite medie giornaliere)
– Debiti commerciali (durata media x valore acquisti medi giornalieri)

In sede di budgeting, per ottimizzare il fabbisogno di capitale circolante bisogna agire:


– sul tempo medio di giacenza dei vari tipi di rimanenze di magazzino (ad es. con tecniche di just in
time);
– sulla durata media dei crediti commerciali (maggiore efficacia nella gestione/incasso crediti)
– sulla durata media dei debiti commerciali (migliori condizioni di pagamento ai fornitori).

3.8 CONSOLIDAMENTO DEI BUDGET SETTORIALI

I budget settoriali, riguardanti aree particolari della gestione d’impresa, vanno aggregati o
consolidati, in modo che la direzione aziendale abbia una visione d’insieme del funzionamento
dell’azienda e possa verificare la capacità di raggiungere gli obiettivi del piano strategico.

A tale scopo vengono redatti dei documenti amministrativi così suddivisi:


A) BUDGET ECONOMICO: riepilogo dei vari ricavi e costi già preventivati formulando i budget
commerciali, di produzione e delle altre aree
B) BUDGET FINANZIARIO: accertamento dei mezzi finanziari occorrenti per la copertura dei
fabbisogni di capitale richiesti dagli investimenti aziendali e, più in generale, di ogni fabbisogno
determinato dalla gestione
C) BUDGET PATRIMONIALE: mostra la situazione del patrimonio al termine del periodo di budget,
ed è una conseguenza dei due precedenti, data una certa situazione patrimoniale di partenza, ad
inizio anno.

3.8.1 A) IL BUDGET ECONOMICO

Il BUDGET ECONOMICO deriva dal “consolidamento” dei budget settoriali dei ricavi e dei costi
programmati per il successivo esercizio.

Il budget economico assume la forma di un Conto Economico preventivo, con una struttura che
varia a seconda delle esigenze di informazione e controllo della direzione aziendale.
Tra le strutture possibili, si segnala quella a forma scalare, che pone in evidenza una molteplicità di
risultati economici della gestione complessiva d’impresa, e che può articolarsi per prodotti.

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CONSOLIDAMENTO BUDGET DEI RICAVI E DEI COSTI DELLA GESTIONE OPERATIVA

Budget Costi Ricavi di vendita


commerciale commerciali

Budget Costi
Produzione Industriali

Budget Costi amministrativi


Altre Aree e vari generali

Ricavi di vendita
- Costo industriale del venduto
Rimanenze iniziali di magazzino
MOD
Stipendi tecnici
Acquisto materie prime
Ammortamenti industriali
Costi vari industriali
(Rimanenze finali di magazzino)
Esempio di struttura (globale sintetica) del budget
Margine lordo industriale (Gross Margin)
economico “scalare”.
- Costi commerciali
Tale struttura evidenzia grandezze fondamentali per
- Costi amministrativi
verificare il raggiungimento degli obiettivi globali della
- Costi vari generali
gestione, quali:
- reddito operativo (numeratore del ROI)
Reddito operativo
- reddito netto (numeratore del ROE).
± Oneri e proventi finanziari
Inoltre mostra un’altra configurazione di risultato
± Oneri e proventi atipici economico, il Margine lordo industriale.
± Oneri e proventi straordinari

Reddito prima delle imposte


- Imposte sul reddito

Reddito netto

Un’altra struttura di Conto Economico, più coerente con le esigenze informative tipiche del CdG, è
basata sulla distinzione dei costi secondo la loro variabilità (fissi e variabili) e le modalità di loro
imputazione ai prodotti (diretti e indiretti)

In ultimo, nella redazione del budget economico occorre:


- evitare la duplicazione di costi o ricavi (ad es. se i costi dell’officina di manutenzione sono ripartiti
tra i centri produttivi utenti, nel budget economico devono comparire solo i costi propri del centro
produttivo utente e quelli del centro manutenzione);
- tenere conto anche degli oneri finanziari, per cui è necessario procedere prima all’elaborazione
del budget finanziario.

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Prodotti Prodotto Prodotto Prodotto Totale


Voci X Y Z
Ricavi di vendita * * * *
- Costi variabili del venduto * * * *
Esempio di struttura del budget
MLC * * * * economico secondo variabilità ed
- Costi fissi diretti * * * * imputazione dei costi.
Vi è una suddivisione tra le famiglie di
MSLC * * * * prodotti e quindi un bagaglio di
- Costi fissi indiretti * informazioni più ricco per la direzione
aziendale.
Reddito operativo *
Tale struttura permette di valutare la
± Oneri e proventi finanziari *
redditività globale della gestione e di
± Oneri e proventi atipici *
apprezzare la redditività delle singole
± Oneri e proventi *
linee di prodotto.
straordinari

Reddito prima delle imposte *


- Imposte sul reddito *
*
Reddito netto

BUDGET DELLE FONTI E DEGLI IMPIEGHI


3.8.2 B) IL BUDGET FINANZIARIO BUDGET DI CASSA

Il BUDGET FINANZIARIO è sostanzialmente suddivisibile in due programmi strettamente collegati:


- Il Budget delle Fonti e degli Impieghi globali
- Il Budget di Cassa (o di Tesoreria)

Il budget finanziario consente di verificare la fattibilità dei programmi operativi sotto il profilo
finanziario:
a) accerta in che misura l’azienda sarà in grado di finanziare i fabbisogni di capitale collegati ai
programmi d’esercizio con i mezzi prodotti “internamente”;
b) accerta in che misura occorrerà rivolgersi ad altre fonti di finanziamento per garantire la
copertura del fabbisogno non coperto attraverso l’autofinanziamento.

La reperibilità dei mezzi finanziari va accertata sotto l’aspetto quantitativo (ammontare globale dei
finanziamenti occorrenti) ma anche sotto il profilo della qualità di tali mezzi (quale tipo di
finanziamento è più adatto per coprire un certo tipo di fabbisogno), dei loro costi (onerosità del
loro approvvigionamento: interessi passivi) e del tempo in cui saranno disponibili.
In caso di impossibilità di reperire fondi a tali condizioni occorre procedere ad una revisione dei
programmi già formulati, sia in termini di programmi operativi che di budget economico.

L’iter logico di formazione di tale budget può cosi articolarsi in:


1) redazione di un budget delle fonti e degli impieghi idoneo a verificare la fattibilità
finanziaria del budget operativo ed economico predisposto per il successivo esercizio
2) redazione di un budget di cassa atto ad analizzare la fattibilità finanziaria dei programmi di
gestione nei vari periodi dell’anno di budget
3) scelta delle soluzioni più opportune per coprire i fabbisogni (globale e periodici) messi in
evidenza dalle fasi precedenti, compatibilmente con gli obiettivi economico-finanziari

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generali di budget e con i vincoli che il mercato finanziario pone alla conveniente
reperibilità dei mezzi finanziari necessari.

3.8.3 IL BUDGET DELLE FONTI E DEGLI IMPIEGHI

Il BUDGET DELLE FONTI E DEGLI IMPIEGHI è un programma che considera:

– tutti gli investimenti (impieghi di capitale) che l’impresa dovrà realizzare nel periodo considerato
– tutti i finanziamenti (fonti di finanziamento) su cui l’impresa potrà contare nel periodo
considerato.

Per quanto riguarda gli investimenti, non si tratta solo dei fabbisogni considerati nel budget degli
investimenti, ma di ogni impiego di mezzi finanziari che l’impresa ha in programma di realizzare
nel successivo esercizio:
– investimenti in capitale fisso (incrementi del capitale fisso esistente ad inizio anno)
– investimenti in capitale circolante (incrementi di scorte di magazzino, di crediti verso clienti, …)
– rimborso di debiti preesistenti
– rimborso di capitale proprio.

Per quanto riguarda i finanziamenti si possono così distinguere:


– autofinanziamento (fonti generate dalla gestione reddituale)
– finanziamento mediante capitale proprio (apporti di capitale a pieno rischio)
– finanziamento mediante capitale di credito (incremento dei debiti preesistenti)
– disinvestimenti di capitale fisso o circolante (riduzione di investimenti esistenti ad inizio anno).

La formazione del budget delle fonti e degli impieghi passa attraverso due fasi fondamentali:

1. Si determina il fabbisogno netto che resta ancora scoperto, nonostante la presenza


dell’autofinanziamento e di altre fonti disponibili.

2. Si procede alla formulazione delle decisioni per provvedere alla copertura del fabbisogno
finanziario residuo e, una volta accertata definitivamente la reperibilità dei mezzi occorrenti, si
redige un prospetto delle fonti e degli impieghi del tipo:

Impieghi Fonti
Importo Importo
Investimenti in capitale fisso Autofinanziamento
Investimenti in capitale circolante Finanziamento con capitale proprio
Rimborsi di debiti Finanziamento con capitale di credito
Rimborsi di capitale proprio Disinvestimenti
TOTALE IMPIEGHI (*) TOTALE FONTI (*)
(*) stesso importo

Nel formulare tale programma occorre tener presenti gli obiettivi generali di budget, in particolare
quelli di carattere finanziario, che sono espressi mediante indici o quozienti di bilancio calcolati
sulla base dei valori presenti nel budget patrimoniale (indici di liquidità, di disponibilità, di
indipendenza finanziaria, di copertura delle immobilizzazioni, di rotazione del capitale investito).
Infine, è con la formulazione del budget delle fonti e degli impieghi, unitamente al budget di cassa,
che si ricava l’entità degli oneri finanziari da inserire nel budget economico.

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3.8.4 IL BUDGET DI CASSA

Il BUDGET DI CASSA costituisce un completamento dell’analisi svolta mediante il budget delle


fonti e degli impieghi, in quanto spiega l’avvicendarsi delle entrate e delle uscite di mezzi liquidi
nel corso dell’anno di budget.
Esso riguarda i flussi monetari che si manifesteranno nell’anno di budget:

ENTRATE DI CASSA:
– collegate ai ricavi di esercizio (es. vendita di prodotti, affitti attivi, ...)
– collegate al realizzo di investimenti (es. vendita di macchinari)
– collegate a finanziamenti esterni (a titolo di capitale proprio o di terzi)

USCITE DI CASSA:
– collegate ai costi d’esercizio (es. acquisto di materie, mano d’opera, spese generali, …)
– collegate ad investimenti (es. acquisto di impianti)
– collegate al rimborso di debiti o di capitale proprio

ENTRATE DEI RICAVI USCITE PER COSTI D’ESERCIZIO


(budget ricavi di vendita) (budget costi d’esercizio)

ENTRATE PER APPORTO DI USCITE PER RIMBORSO DI


CAPITALE PROPRIO BUDGET CAPITALE PROPRIO
DI
CASSA USCITE PER RIMBORSO DI
ENTRATE PER FINANZIAMENTI
DI DEBITO DEBITI

ENTRATE PER REALIZZO DI USCITE PER INVESTIMENTI


INVESTIMENTI (budget investimenti)

indica l’attitudine dell’impresa a fronteggiare tempestivamente ed economicamente ogni esigenza di esborso


monetario imposta dalla gestione (liquidità)

Il budget di cassa evidenzia i collegamenti tra la dinamica economica (costi e ricavi) e la dinamica
finanziaria (entrate ed uscite) delle gestione.
Con il budget di cassa l’azienda verifica in anticipo la disponibilità dei mezzi liquidi occorrenti per
fronteggiare le proprie uscite. Questo controllo ex ante presuppone una previsione di come si
distribuiranno entrate ed uscite nei vari periodi dell’anno. Occorre ovviamente tener conto dello
sfasamento temporale tra le operazioni in oggetto ed i corrispondenti incassi e pagamenti.

Il prospetto mette in evidenza i seguenti dati utili per la gestione di tesoreria:


– il saldo mensile (differenza tra entrate ed uscite che si manifesteranno in un determinato mese);
– il saldo progressivo (giacenza di cassa al termine di un determinato mese)

Tali informazioni sono molto importanti in quanto segnalano alla direzione:


– la disponibilità in certi periodi di ingenti mezzi liquidi, eventualmente da investire;
– la necessità in altri periodi di reperire i mezzi liquidi necessari per fronteggiare uno sbilancio di
cassa.

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BUDGET DI CASSA
Voci G F M A M G L A S O N D Totale
Saldo iniziale
Entrate
- vendite
- affitti attivi
- interessi attivi
- dividendi su
partecipazioni
- Realizzo investimenti
-…

Uscite
- acquisti
- mano d’opera
- stipendi
- imposte
-…

Saldo mensile

Saldo progressivo

3.8.5 C) IL BUDGET PATRIMONIALE

Il BUDGET PATRIMONIALE è uno Stato Patrimoniale preventivo, riferito alla data di chiusura del
periodo di budget (di solito il 31/12). Mette in evidenza l’entità e la composizione del capitale
netto d’impresa ad una certa data.
Per finalità operative deve essere redatto in una forma riclassificata secondo criteri finanziari, in
modo da collegarlo più agevolmente con il budget finanziario.

A differenza del budget finanziario delle fonti e degli impieghi, che accoglie flussi finanziari
programmati per il prossimo esercizio, esso include valori riferiti al momento finale di tale periodo.
Il budget patrimoniale così configurato pone in risalto l’entità e la composizione degli investimenti
e delle fonti in essere al termine del periodo amministrativo futuro.
Al budget patrimoniale si perviene sommando o sottraendo ai valori accolti nello SP iniziale i valori
accolti nel budget finanziario delle fonti e degli impieghi:
SP finale preventivo = SP iniziale preventivo +/- Flussi finanziari globali

Nel budget patrimoniale, una volta approvato, sono accolti valori che, opportunamente
confrontati, esprimono obiettivi finanziari della gestione per il prossimo esercizio. Con i dati del
budget patrimoniale possono calcolarsi indici di bilancio quali l’indice di liquidità, di indipendenza
finanziaria, di disponibilità, di copertura delle immobilizzazioni, …

Inoltre dal budget patrimoniale sono ricavabili valori necessari per la determinazione degli indici di
redditività: capitale proprio (ROE) e capitale investito (ROI). Ne deriva che il budget patrimoniale
è un importante strumento di controllo a preventivo della coerenza di certi programmi (ad es.
finanziari) con gli obiettivi generali della gestione d’impresa.

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BUDGET PATRIMONIALE

Importo Importo
Capitale immobilizzato netto Capitale proprio
Immobilizzazioni tecniche Capitale sociale
Immobilizzazioni immateriali Riserve
Immobilizzazioni civili Utile netto d’esercizio
Immobilizzazioni finanziarie
- Fondi rettificativi (F. ammortamento, Debiti a medio-lungo termine
F. svalutazione partecipazioni, …) Mutui passivi
Debiti obbligazionari
Fondo TFR

Capitale circolante Debiti a breve termine
Magazzino Banche c/passivo
Liquidità differite Fornitori
Liquidità immediate _______ … _______

Totale capitale investito (*) Totale capitale investito (*)

(*) stesso importo

3.11 IL BUDGET ED IL CDG NELLE AZIENDE DI SERVIZI

In settori diversi da quello delle imprese industriali produttrici di beni, quali il commercio (ad es. la
grande distribuzione) e la produzione di servizi, il processo di costruzione del budget presenta
importanti differenze.
Il CdG delle aziende di servizi deve infatti tener conto di alcune peculiarità di tali aziende:
- le aziende di servizi non tengono scorte di magazzino, perché l’output prodotto (il servizio) è
intangibile, deperibile e contestuale (coincidenza tra produzione e consumo); per i materiali, nei
settori in cui tali aziende tengono scorte necessarie all’erogazione del servizio (es. carburante per
servizi di trasporto, medicinali per prestazioni sanitarie, …) queste sono grosso modo assimilabili
alle materie prime delle aziende industriali;
- le aziende di servizi presentano un elevato grado di intensità del fattore lavoro, che rende rigida
la struttura dei costi (perlopiù fissi) dell’azienda; inoltre, poiché per il fattore lavoro è difficile
verificare una dipendenza del loro costo dal volume di produzione e determinare la quantità di
risorsa occorrente in condizioni operative standard per ottenere una unità di output (di servizio), è
impossibile determinare veri e propri costi standard (ad es. come si fa a stabilire la quantità
tecnicamente occorrente di lavoro degli autisti per il trasporto di un passeggero-km?);
- poiché l’erogazione del servizio è più intensa e continuativa di quella delle imprese industriali,
nell’interazione con il cliente risulta particolarmente rilevante la variabile qualità del servizio, che
per alcuni tipi di servizi non standardizzati (es. consulenza, sanità) presenta maggiori difficoltà di
controllo.

3.10 BUDGET ED ALTRI STRUMENTI DI GESTIONE PROGRAMMATA

Il budget rappresenta il più emblematico ma non l’unico strumento di gestione programmata, cioè
di gestione proiettata nel futuro e rivolta al raggiungimento di determinati obiettivi.
Per fronteggiare i rischi relativi la validità di un solo documento a realizzare la duplice funzione di
simulazione dei risultati attesi e di guida e responsabilizzazione dei manager verso obiettivi
definiti, nonché la necessità di aggiornare spesso le previsioni iniziali che fa perdere al budget il
fondamentale requisito di stabilità ad esso richiesto, le aziende adottano vari strumenti di
gestione programmata orientata al futuro: si va dalla redazione di un budget tradizionale stabile

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più un forecast periodicamente aggiornato all’utilizzo di nuovi strumenti che esplicitano gli obiettivi
di gestione, sostitutivi del budget tradizionale, affiancati da forecast con funzione di stima e
simulazione.
Tra gli strumenti integrativi/sostitutivi del budget tradizionale, il cui scopo è limitarne le lacune e
migliorarne le potenzialità, vi sono:
- il budget revisionato: consiste in una riformulazione del budget (per la parte rimanente
dell’esercizio) effettuata a scadenze periodiche durante l’anno, fermo restando la centralità degli
obiettivi di partenza del budget originale  la correzione consente di correggere i piani operativi aziendali,
adattandoli a circostanze sopravvenute
- il budget di validità inferiore all’anno  adatto per contesti turbolenti
- il budget scorrevole (rolling budget): consiste nel mantenere invariata la durata del periodo di
budget mediante aggiunta di un segmento di anno ad ogni successiva scadenza in cui si opera il
controllo della realizzazione dei programmi  si prepara ogni trimestre un nuovo budget, eliminando la parte
relativa al trimestre precedente, con riformulazione di nuovi valori previsionali
- il budget flessibilizzato: consiste nel prendere atto dei cambiamenti che si manifestano rispetto
alle ipotesi accolte nel budget di partenza in relazione alle variabili critiche del reddito d’impresa
(es. fluttuazioni nel prezzo delle materie prime) e flessibilizzare il budget in rapporto a tali
cambiamenti. In tal modo si possono confrontare i dati consuntivi con il budget flessibilizzato,
aderente alla nuova realtà d’impresa e d’ambiente, e ottenere informazioni importanti sugli
scostamenti avvenuti  gli obiettivi fissati restano comunque validi anche nell’ipotesi di forti cambiamenti
- i budget alternativi: sono programmi di gestione formulati in alternativa al budget di partenza,
avanzando l’ipotesi che nel corso dell’anno di budget vi siano fenomeni che cambino radicalmente
il volto della gestione; in tal modo si rendono disponibili già a priori alcuni percorsi alternativi di
gestione da seguire tempestivamente in caso di necessità (il c.d. piano B)
- i forecast: documenti preventivi, che affiancano il budget tradizionale per scopi di stima e
simulazione dei risultati futuri, la cui funzione è di tentare ad una certa data di prefigurare i
risultati economici e finanziari che si manifesteranno alla fine dell’anno.
Il forecast tiene conto dei:
- risultati che si sono già manifestati, rilevati dalla contabilità (ad es. costi e ricavi dall’1/1 al 30/6);
- risultati che presumibilmente si manifesteranno quale probabile esito futuro della gestione in
corso in assenza di interventi correttivi (ad es. dall’1/7 al 31/12); essi sono oggetto di una
previsione, di una stima aggiornata periodicamente.

Forecast = Consuntivo fino alla data “t” + Preventivo a finire dalla data “t” a fine anno

Il forecast affianca il budget e funge da preconsuntivo, da confrontare periodicamente con il


budget annuale per evidenziare i probabili scostamenti da questo a fine anno; lo scopo è
conoscere tali scostamenti prima che si verifichino e intraprendere eventuali azioni correttive
tempestivamente.
Il rolling forecast è una variante più evoluta che consiste nell’aggiornamento periodico (ad es.
trimestrale) delle previsioni formulate prima dell’inizio dell’anno, avendo sempre come orizzonte
temporale di riferimento 4, 5 o più trimestri successivi, in modo che ad ogni aggiornamento non
solo si variano le stime già fatte ma si aggiungono le stime di uno o più periodi seguenti.

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4. L’ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI DAL BUDGET

4.1 GENERALITA’ SULL’ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI

La formazione del budget avviene prima del periodo di cui si vuole programmare la gestione,
durante questo periodo bisogna verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi prestabiliti,
ossia confrontare il budget con i risultati effettivi della gestione man mano che essa si svolge.
L’ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI costituisce l’operazione finale con cui si concretizza l’impiego del
meccanismo di FEED-BACK; a sua volta è scomponibile nelle seguenti operazioni:

a) Confronto tra valori di budget e valori consuntivi e determinazione degli scostamenti “globali”
b) Scomposizione degli scostamenti “globali” in scostamenti “elementari”
c) Individuazione delle cause degli scostamenti elementari e delle relative responsabilità
d) Definizione dei provvedimenti correttivi da prendere in caso di disfunzioni gestionali.

Questa fase del processo di controllo riguarda il calcolo e la scomposizione degli scostamenti e
funge da supporto informativo (REPORTING) per un’analisi accurata che spieghi:
- perché vi sia stata una differenza tra risultati attesi e reali, - a chi imputare la responsabilità di
tale differenza, - come è opportuno intervenire e con quali provvedimenti correttivi.

Caratteristiche e finalità dell’analisi degli scostamenti:


a) corregge tempestivamente le disfunzioni gestionali, in modo che gli obiettivi dell'azienda per il
periodo di budget possano essere ancora raggiunti; in tal senso la verifica dei risultati va fatta
ad intervalli brevi, per permette eventuali interventi
b) con la verifica dei risultati si mettono in evidenza eventuali fatti nuovi che possono mettere in
dubbio la validità del budget iniziale, in modo da aggiornarlo fissando obiettivi più realistici
c) vi deve essere per l’intero periodo della gestione un costante confronto tra budget e
consuntivi sia sotto l’aspetto economico che finanziario della gestione
d) la verifica dei risultati deve avvenire per CdR (al fine di responsabilizzare i capi-centro) e non
solo a livello globale d’azienda
e) questa fase del controllo viene svolta dai manager operativi ai vari livelli; i controller invece
hanno il compito di misurare e segnalare tempestivamente le differenze rispetto al budget e di
assistere i responsabili nell’interpretazione dei dati e nelle decisioni conseguenti
f) con il confronto tra budget e risultati effettivi si accertano le responsabilità dei capi-centro, che
devono essere coinvolti nelle azioni correttive e di cui vanno valutate le prestazioni
g) il confronto tra budget e consuntivi per essere efficace deve essere effettuato tra dati
omogenei
h) i report (o rendiconti di controllo) possono assumere una grande varietà di forme (ad es. per
ciascun fattore produttivo si confrontano budget [costi programmati] e consuntivo [costi
sostenuti] e si misura lo scostamento).

4.2 L’ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI DEI COSTI VARIABILI

Nelle imprese industriali le voci più importanti di questa categoria di costi sono le MATERIE
DIRETTE e la MOD (area della produzione). La MOD è inclusa tra i costi variabili, nonostante la sua

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rigidità, perché il fabbisogno di risorsa, espresso in ore di MOD, va collegato ai volumi di


produzione, anche se il costo sostenuto dall’azienda prescinde da quest’ultimi.

La formula di determinazione dei costi variabili da inserire nel budget è:


C=vxsxp

C = Costo totale di budget


V = Volume programmato di produzione
S = Standard unitario fisico della risorsa
P = Prezzo standard unitario della risorsa

Tale formula segnala, in sede di analisi degli scostamenti, quali sono i fattori fondamentali da cui
deriva la differenza tra valore di budget e valore consuntivo: volume dell’output, efficienza
d’impiego dell’input, prezzo unitario dell’input, con relativa suddivisione dello scostamento totale
negli scostamenti elementari di volume, efficienza e prezzo.

4.2.1 MATERIE DIRETTE

Il loro costo preventivo è stato incluso nel budget come:


Volume di produzione x Consumo standard unitario x Prezzo standard unitario
programmato di materia della materia

Il costo consuntivo delle materie in oggetto sarà dato da:


Consumo effettivo totale della materia x Prezzo effettivo unitario della materia
oppure
Volume di produzione x Consumo effettivo unitario x Prezzo effettivo unitario
effettivo di materia della materia

Vi sono tre cause che spiegano la differenza dei costi dei materiali diretti:
1) i volumi di produzione
2) la quantità di risorse impiegata per ogni unità di produzione (cioè l’efficienza)
3) il prezzo unitario di acquisizione della risorsa.

Lo scostamento globale è quindi scomponibile negli scostamenti elementari di:

1) Scostamento di volume: corrisponde ai costi che si sostengono in più (o in meno) solo perché
la quantità di produzione realizzata non coincide con quella prevista a budget.
2) Scostamento di efficienza: si manifesta quando per ottenere una unità di produzione si
impiegano più (o meno) risorse di quelle standard.
3) Scostamento di prezzo: si manifesta quando il prezzo unitario di acquisizione delle risorse
differisce dal prezzo prestabilito a budget.

Gli scostamenti elementari individuati vanno opportunamente valorizzati; per operare tale
valorizzazione si impiegano formule tali che la somma dei singoli scostamenti elementari sia pari
allo scostamento globale.

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SCOSTAMENTO DI VOLUME (l’unica variabile che muta, tra i due termini di confronto, è la quantità di produzione)

Volume di produzione x Consumo standard unitario x Prezzo standard unitario


(Budget originale)
programmato di materia di materia

meno

Volume di produzione x Consumo standard unitario x Prezzo standard unitario (Budget


effettivo di materia di materia flessibilizzato)

SCOSTAMENTO DI EFFICIENZA (l’unica variabile che muta, tra i due termini di confronto, è il consumo di materia)

Volume di produzione x Consumo standard unitario x Prezzo standard unitario


(Budget
effettivo di materia di materia
flessibilizzato)
meno

Volume di produzione x Consumo effettivo unitario x Prezzo standard unitario (Consuntivo a


effettivo di materia di materia prezzi standard)

SCOSTAMENTO DI PREZZO (l’unica variabile che muta, tra i due termini di confronto, è il prezzo della materia)

Volume di produzione x Consumo effettivo unitario x Prezzo standard unitario (Consuntivo a


effettivo di materia di materia prezzi standard)

meno

Volume di produzione x Consumo effettivo unitario x Prezzo effettivo unitario (Consuntivo puro)
effettivo di materia di materia

Esempio
(30000 pezzi x 0,5 kg x 200 €) - (32000 pezzi x 0,5 kg x 200 €) = 200000 € Scostamento di volume
 avendo prodotto 2000 pezzi in più rispetto ai programmi iniziali, a parità di altre condizioni si sostengono 200000 €
di costi in più per i materiali diretti
(32000 pezzi x 0,5 kg x 200 €) - (32000 pezzi x 0,6 kg x 200 €) = 640000 € Scostamento di efficienza (N)
 avendo consumato 0,1 kg al pezzo in più rispetto al budget, a parità di altre condizioni si sostengono 640000 € di
costi in più perché si sono manifestate delle inefficienze
(32000 pezzi x 0,5 kg x 200 €) - (32000 pezzi x 0,5 kg x 190 €) = 192000 € Scostamento di prezzo (P)
 avendo pagato le materie prime 10 € in meno al kg, a parità di altre condizioni si sostengono costi in meno per un
totale di 192000 €
SCOSTAMENTO GLOBALE = 200000 (in più) + 640000 (N) + 192000 (P) = 648000 (N)
SCOSTAMENTO GLOBALE = BUDGET ORIGINALE + CONSUNTIVO PURO = 3000000 - 3648000 = 648000 (N)

4.2.2 MOD

Il costo di MOD iscritto a budget deriva da:


Volume di produzione x Tempo standard unitario x Costo standard unitario
programmato di MOD di MOD

Il costo consuntivo della MOD è dato da:


Ore effettive totali di MOD x Costo effettivo orario di MOD

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oppure
Volume di produzione x Tempo effettivo unitario x Costo effettivo orario
effettivo di MOD di MOD

Anche nel caso della MOD lo scostamento globale può scomporsi negli scostamenti elementari di:
- Volume
- Efficienza
- Prezzo.

SCOSTAMENTO DI VOLUME

Volume di produzione x Tempo standard unitario x Costo standard orario


(Budget originale)
programmato di MOD di MOD

meno

Volume di produzione x Tempo standard unitario x Costo standard orario (Budget


effettivo di MOD di MOD flessibilizzato)

SCOSTAMENTO DI EFFICIENZA

Volume di produzione x Tempo standard unitario x Costo standard orario


(Budget
effettivo di MOD di MOD
flessibilizzato)
meno

Volume di produzione x Tempo effettivo unitario x Costo standard orario (Consuntivo a


effettivo di MOD di MOD prezzi standard)

SCOSTAMENTO DI PREZZO

Volume di produzione x Tempo effettivo unitario x Costo standard orario


(Consuntivo a
effettivo di MOD di MOD
prezzi standard)
meno

Volume di produzione x Tempo effettivo unitario x Costo effettivo orario (Consuntivo puro)
effettivo di MOD di MOD

Valgono considerazioni simili a quelle fatte per le materie prime; allo stesso modo anche per la
parte variabile dei costi generali di fabbricazione (es. materiali ausiliari, forza motrice, …).

4.3 ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI DEI COSTI FISSI

Nel caso dei costi fissi la formula di programmazione dei costi variabili (C = v x s x p) non è
applicabile a causa dell’impossibilità di determinare lo standard unitario fisico della risorsa (s): i
costi fissi cioè non sono predeterminabili in base alle ore, ai kg, …, necessari per ottenere una
unità di produzione.
La formula della loro determinazione a volte è articolabile in modo tale da evidenziare quantità di
risorse e prezzo unitario.

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Ad es., nel caso degli stipendi al personale impiegatizio e direttivo:


Costo = n. persone x stipendio pro-capite

Il problema di questa logica è che non possiamo misurare il livello di efficienza (il numero di
persone non è una vera misura di efficienza, è solo un modo di esprimere la quantità di risorse
necessarie e non dipende dal volume di produzione) e di prezzo (visto che si stanzia globalmente
una somma, il cui importo viene iscritto nel budget, come avviene tra l’altro per molti costi
generali).

L’analisi degli scostamenti dei costi fissi è allora meno articolata di quella dei costi variabili,
calcolandosi come semplice scostamento globale di costo:
Costo totale di budget - Costo totale consuntivo

Solo per poche voci di costo è possibile una scomposizione come quella dei costi variabili; ad es.
per gli stipendi del personale si possono determinare due scostamenti elementari:
SCOSTAMENTO EFFICIENZA = n. persone a budget x stipendio pro-capite di budget -
n. persone effettivo x stipendio pro-capite di budget
SCOSTAMENTO PREZZO = n. persone effettivo x stipendio pro-capite di budget -
n. persone effettivo x stipendio pro-capite effettivo

A volte si effettua un’ulteriore elaborazione e analisi dei costi fissi, determinando lo scostamento
di volume o di “assorbimento” dei costi fissi: è un particolare modo di rappresentare le
conseguenze economiche di una differenza tra il volume di produzione programmato e quello
effettivo, per il fatto che da tale differenza deriva un diverso ammontare dei costi fissi per unità di
prodotto rispetto alle previsioni. Infatti:
 se volume effettivo < volume programmato  i costi fissi unitari sono superiori a quelli di
budget  scostamento negativo di volume dei costi fissi (o sotto-assorbimento).

 se volume effettivo > volume programmato  i costi fissi unitari sono inferiori a quelli di
budget  scostamento positivo di volume dei costi fissi (o sopra-assorbimento).

SCOSTAMENTO DI VOLUME = Costo fisso di budget - Costo fisso di budget x Volume effettivo
Volume programmato

questo scostamento considera solo i costi iscritti a budget e non i costi effettivi
2° termine del confronto = costo fisso assorbito
risultato della frazione = costo fisso unitario di budget
se il 2° termine di confronto è minore del 1°, significa che i ricavi unitari di vendita sono insufficienti a coprire i costi
fissi nella misura desiderata e a garantire un certo margine di guadagno  sotto-assorbimento dei costi fissi

4.4 L’ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI DEI RICAVI DI VENDITA

Nell’analisi degli scostamenti dei ricavi di vendita sono coinvolti direttamente gli organi
commerciali ed in particolare i centri di ricavo (= filiali di vendita).
Per determinare gli scostamenti elementari dei ricavi di vendita si considerano due situazioni:

1) vendita di un SOLO MODELLO (o tipo, variante, …) di un determinato prodotto


2) Vendita di una PLURALITA’ DI MODELLI di un determinato prodotto

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4.4.1 UN SOLO MODELLO

La formula con cui si imposta il budget dei ricavi è:


Volume di vendita programmato x Prezzo standard unitario di vendita

A consuntivo si rilevano i ricavi così:


Volume di vendita effettivo x Prezzo effettivo unitario di vendita

Lo scostamento globale dei ricavi quindi si calcola come differenza tra budget e consuntivo;
inoltre, poiché dipende da due fattori, volume di vendita e prezzo unitario di vendita, può essere
scomposto in due scostamenti elementari:

SCOSTAMENTO DEL VOLUME DI VENDITA


Volume di vendita programmato x Prezzo standard unitario di vendita
meno (Budget originale)
Volume di vendita effettivo x Prezzo standard unitario di vendita

SCOSTAMENTO DI PREZZO
Volume di vendita effettivo x Prezzo standard unitario di vendita
meno (Consuntivo puro)
Volume di vendita effettivo x Prezzo effettivo unitario di vendita

4.4.2 PLURALITA’ DI MODELLI

Quando il budget delle vendite è suddiviso tra molti modelli di un dato prodotto si scompone lo
scostamento globale dei ricavi di vendita di tutti i modelli nei seguenti scostamenti elementari:
1) Scostamento di volume
2) Scostamento di prezzo
3) Scostamento di mix (riferito al mix dei prodotti venduti, è il modo in cui è composto il
volume totale di vendita suddiviso in % tra i vari modelli)

L’analisi degli scostamenti in tal caso sarà utile a controllare il raggiungimento di determinati
obiettivi di mix prefissati, in termini di differente redditività dei vari modelli, in sede di redazione
del budget commerciale.

Esempio: due modelli Y e Z

a) Budget Y: 1000 pezzi x 150 € = 150000 € Z: 3000 pezzi x 100 € = 300000 € Totale = 450000 €
b) Consuntivo Y: 1500 pezzi x 140 € = 210000 € Z: 3500 pezzi x 110 € = 385000 € Totale = 595000 €

Scostamento lordo di volume=Volume di budget ai prezzi standard unitari-Volume effettivo ai prezzi standard unitari =
= [(1000 pezzi x 150 €) + (3000 pezzi x 100 €)] - [(1500 pezzi x 150 €) + (3500 pezzi x 100 €)] = 125000 € (P)

Tale scostamento è ulteriormente scomponibile, in quanto è aumentata non solo la quantità totale venduta ma anche
il mix di Y e di Z:
mix vendite a budget: Y 1000 pezzi (25%) + Z 3000 pezzi (75%) Totale 4000 pezzi
mix vendite a consuntivo: Y 1500 pezzi (30%) + Z 3500 pezzi (70%) Totale 5000 pezzi

SCOSTAMENTO DI VOLUME NETTO =


Volume di budget a mix di budget, valorizzato ai prezzi standard unitari -
Volume effettivo a mix di budget, valorizzato ai prezzi standard unitari
[(1000 pezzi x 150 €) + (3000 pezzi x 100 €)] - [(1250 pezzi x 150 €) + (3750 pezzi x 100 €)] = 112500 € (P)

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SCOSTAMENTO DI MIX =
Volume effettivo al mix di budget, valorizzato ai prezzi standard unitari -
Volume effettivo al mix effettivo, valorizzato ai prezzi standard unitari
[(1250 pezzi x 150 €) + (3750 pezzi x 100 €)] - [(1500 pezzi x 150 €) + (3500 pezzi x 100 €)] = 12500 € (P)

SCOSTAMENTO DI PREZZO =
Volume effettivo al mix effettivo, valorizzato ai prezzi standard unitari -
Volume effettivo al mix effettivo, valorizzato ai prezzi effettivi unitari
[(1500 pezzi x 150 €) + (3500 pezzi x 100 €)] - [(1500 pezzi x 140 €) + (3500 pezzi x 110 €)] = 20000 € (P)

SCOSTAMENTO GLOBALE = somma dei tre scostamenti elementari (112500 + 12500 + 20000 = 145000 (P))
oppure Budget - Consuntivo dei ricavi (450000 - 595000 = 145000 (P))

Sintesi schematica dell’analisi degli scostamenti dei ricavi con pluralità di modelli:

Scostamento “netto” di volume = Budget Originale (a mix standard) – Budget Flessibilizzato (a mix standard)

Scostamento di mix = Budget Flessibilizzato (a mix standard) – Consuntivo a prezzi standard

Scostamento di prezzo = Consuntivo a Prezzi Standard – Consuntivo “puro”

4.5 L’ANALISI DELLE CAUSE DEGLI SCOSTAMENTI E DELLE RELATIVE


RESPONSABILITA’

L’analisi “contabile” degli scostamenti è una premessa indispensabile per individuare le cause
gestionali delle disfunzioni ed associarle ai manager di vario livello che ne sono responsabili, in
modo che prendano tempestivamente adeguati provvedimenti.

Tale analisi non permette in modo “automatico” l’individuazione precisa delle responsabilità,
perché vi è interdipendenza tra i diversi organi (ogni scostamento, anche se si manifesta in un
centro preciso, può derivare dalle decisioni di più persone facenti capo ad aree di responsabilità
diverse); inoltre uno scostamento può essere la conseguenza di fenomeni ambientali non
prevedibili (di mercato, norme di legge, fattori tecnologici, …) da cui ad es. derivano variazioni di
prezzo.

E’ possibile, per i vari scostamenti esaminati, analizzare quelle che sono le più probabili cause e le
corrispondenti responsabilità, distinguendo tra costi variabili e fissi e ricavi di vendita.

COSTI VARIABILI: nei casi delle materie dirette e della MOD, l’analisi “contabile” evidenzia tre
scostamenti: 1) di volume, 2) di efficienza, 3) di prezzo.
Nell’analizzare le responsabilità di questi scostamenti, si fa riferimento al capo del centro in cui la
mano d’opera e i materiali vengono impiegati: egli infatti influenza in modo diretto e significativo
l’efficienza nell’impiego delle risorse (la quantità di materiali consumati e le ore di mano d’opera
impiegate dipendono da come ha organizzato l’attività del suo reparto, ha saputo condurre le
persone, ha saputo fronteggiare interruzioni, …). Tuttavia non sempre si può attribuire a tale
soggetto la responsabilità di tali costi, può accadere che la responsabilità dei capi centro sia
limitata (es. scarti e sprechi che dipendono dalla qualità del materiale e non dalle scelte del capo
reparto).
La responsabilità degli scostamenti di volume e di prezzo (ad es. differenze di prezzo dei materiali
e di costo orario della mano d’opera) coinvolgono direttamente la direzione acquisti e la direzione

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del personale, i cui responsabili sono impegnati ad acquisire le risorse a condizioni economiche.
Come nel caso precedente, però, non sempre sono direttamente responsabili degli scostamenti
(ad es. la differenza di prezzo può dipendere dalla scelta del responsabile del centro produttivo di
impiegare mano d’opera con qualificazione e salario diversa dai programmi, la differenza di prezzo
dei materiali invece può dipendere da errori nel controllo delle giacenze che hanno impedito
all’ufficio acquisti un corretto approvvigionamento). Le stesse variazioni di volume possono
dipendere da cambiamenti nei programmi di produzione e di vendita.

COSTI FISSI: (in particolare tecnico-produttivi) gli scostamenti rilevabili sono due: 1) di costo, 2) di
assorbimento o volume.
Anche qui si fa riferimento al capo del centro produttivo in cui i tali costi si manifestano. Egli è
responsabile, in parte, dello scostamento di costo perché influenza direttamente e
significativamente costi come la MOI, stipendi tecnici, illuminazione, manutenzione, ... Questi costi
però derivano principalmente da scelte di struttura, prese da organi di livello superiore.
Sullo scostamento di assorbimento il capo del centro produttivo è responsabile dei sotto-
assorbimenti se non ha saputo far fronte a fenomeni come l’assenteismo del personale,
interruzioni produttive e disturbi vari in processo. In molti casi però il sotto-assorbimento di costi
fissi dipende da altri organi (es. l’area commerciale non rispetta i programmi di vendita 
riduzione dei volumi produttivi).

RICAVI DI VENDITA: le variazioni rilevabili sono quelle dovute 1) al volume, 2) al mix e 3) al prezzo.
Si può osservare che:
– Le variazioni elementari di ricavo, rispetto a quelle dei costi, sono caratterizzate da maggior
interdipendenza (es. la variazione di volume può avere come causa la variazione di prezzo).
– Per spiegare gli scostamenti in esame bisogna focalizzarsi sull’area commerciale, specie sui centri
di ricavo (= filiali di vendita) che sono tenuti a:
 rispettare i prezzi di vendita prestabiliti,
 rispettare il mix di budget,
 realizzare o incrementare il volume di vendita programmato.
Il compito dei centri di ricavo è rispettare le decisioni prese a livelli gerarchici superiori circa il
prezzo e il mix e tentare di influenzare positivamente il volume di vendita.
Inoltre, al fine di responsabilizzare i centri di ricavo e guidarli nella giusta direzione, è opportuno
che gli scostamenti elementari, specie quello di mix, siano espressi in termini di margine lordo di
contribuzione, anziché in termine di ricavi.
Ai responsabili quindi vanno segnalate le conseguenze di una variazione rispetto al budget per
l’impatto che queste possono avere sul MLC e di conseguenza sul risultato economico di azienda
(ad es. un cambiamento di mix potrebbe portare a un incremento dei ricavi totali, ma non ad un
miglioramento o mantenimento del margine totale di contribuzione, che è spesso un obiettivo
economicamente più significativo, perché più direttamente collegato al profitto aziendale).

4.6 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA RICERCA DELLE CAUSE DEGLI


SCOSTAMENTI E SUGLI INTERVENTI CORRETTIVI

Le cause degli scostamenti si possono classificare in:


1) scostamenti di realizzazione (implementation): sono il caso più tipico di variazione rispetto
ai programmi, si verificano quando i soggetti responsabili del raggiungimento di un certo

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obiettivo sono stati materialmente incapaci di raggiungerlo per disorganizzazione,


insufficiente motivazione, …
2) scostamenti di previsione: derivano da errori commessi in sede di preventivo nel
formulare il budget, si tratta di stime non corrette circa la modalità di manifestazione e la
misura di fenomeni futuri
3) scostamenti di misurazione: derivano da errori di misurazione (classificazione, calcolo o
rilevazione) di fenomeni avvenuti che si traducono in consuntivi non rispondenti alla realtà
4) scostamenti di modello decisionale: derivano da una scorretta formulazione del modello
di scelta su cui si basa il budget. Presuppongono un’erronea identificazione della funzione
obiettivo, delle variabili in gioco o dei vincoli esistenti
5) scostamenti dovuti al caso: consistono in oscillazioni che si manifestano rispetto alla
grandezza attesa di un certo fenomeno, non imputabili a qualcuno, sono deviazioni insite
in un dato processo (se uno scostamento rispetto allo standard rientra in dati limiti
“accettabili” [es. +1%] la variazione è ritenuta casuale e non viene ulteriormente analizzata

Conoscere la causa di uno scostamento è importante per decidere se è necessario intervenire


oppure no, e quale sia l’intervento correttivo più appropriato (ad es., scostamenti di realizzazione
richiedono azioni correttive, quelli dovuti al caso no).
Nella pratica si dedica molta attenzione agli scostamenti di “realizzazione” con i quali si
evidenziano le responsabilità dei manager, se ne valutano le prestazioni e ci si muove per
ripristinare condizioni di efficienza ed efficacia prestabilite; tuttavia, spesso non ci si spinge alla
radice delle disfunzioni ma ci si limita a considerare l’origine più immediata di tali fenomeni.
Poiché l’indagine sulle cause degli scostamenti va finalizzata all’intervento gestionale, l’indagine
deve essere spinta fin dove realmente si trova l’origine della disfunzione, cioè dove occorrerà
intervenire.
Infine, va rilevato che non è sempre necessario intraprendere un’azione correttiva in caso di
scostamento sfavorevole, perché l’intervento correttivo ha sempre un costo (di riorganizzazione,
addestramento, riparazione, …) che può risultare superiore ai vantaggi conseguibili; inoltre lo
stesso processo di indagine sulle cause degli scostamenti ha un costo, per cui a volte non si
procede neanche alla fase di analisi.
Il processo di CdG quindi dovrebbe rispettare sempre un principio di convenienza economica
secondo cui si interviene solo se il costo dell’intervento è inferiore al valore delle conseguenze
economiche positive derivanti dall’intervento stesso.

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5. IL CDG DELLE PRODUZIONI SU COMMESSA E DEI PROGETTI

5.1 GENERALITA’

Nelle aziende che producono su commessa (soprattutto quando la commessa è caratterizzata da:
grandi dimensioni, lunga durata, rilevante complessità gestionale e organizzativa, unicità o non
ripetitività) i criteri di formazione del budget e di analisi degli scostamenti esaminati non sono
integralmente applicabili: è il caso di imprese produttrici di grandi impianti, macchinari e
attrezzature, o di grandi progetti in campo aeronautico e spaziale, imprese operanti nel settore dei
cantieri navali, imprese costruttrici di grandi opere come edifici, strade, dighe, …

5.2 CARATTERI DISTINTIVI DEL CONTROLLO DI GRANDI COMMESSE O PROGETTI

Premesso che le logiche di base del CdG sono comuni ad ogni sistema di produzione, il CdG per
produzioni su commessa è caratterizzato da principi-base diversi rispetto a quelli delle produzioni
ripetitive:

PRODUZIONI DI SERIE PRODUZIONI SU COMMESSA


1. Oggetto principale del controllo: CdR 1. Oggetto principale del controllo: commesse
2. Impiego dei costi standard per costruire il budget e per 2. Impiego di preventivi di costo ad hoc
l’analisi degli scostamenti
3.Rilevanza dell’analisi dei costi fissi e variabili 3. Rilevanza dell’analisi dei costi diretti e indiretti
4. Analisi degli scostamenti ad intervalli periodici regolari 4. Analisi degli scostamenti ad intervalli periodici regolari
senza problemi di confrontabilità con problemi di confrontabilità per mancanza (spesso) di
preventivi di costo da contrapporre ai costi
effettivamente sostenuti
5. Meccanismo di feed-back sostanzialmente accettabile 5. Meccanismo di controllo molto orientato al futuro (es.
finirò il progetto secondo i costi preventivati?), feed-back
insufficiente per la lunga durata e non ripetitività della
commessa
6. Responsabilità relativamente univoca 6. Corresponsabilità piuttosto spinta
7. Controllo dei costi relativamente indipendente da altre 7. Controllo integrato costi-tempi-qualità
dimensioni (es. tempi e qualità)

5.3 SCHEMA DEL PROCESSO DI CONTROLLO PER GRANDI PROGETTI E COMMESSE E


SUA SCOMPOSIZIONE IN PARTI ELEMENTARI

Il processo di controllo economico centrato su un progetto può schematizzarsi così:

A) Scomposizione del progetto in blocchi o parti elementari (work package)


B) Formulazione dei budget o preventivi economici di commessa scomposti nelle suddette parti
elementari
C) Rilevazione dei dati economici effettivi di commessa, confronto con i preventivi e analisi degli
scostamenti
D) Definizione di opportune azioni correttive

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A) Per grandi progetti complessi è necessaria una scomposizione in blocchi o parti elementari
(WBS: work breakdown structure), che facilita:
- la corretta programmazione economica delle fasi della commessa e dei relativi costi;
- l’efficace controllo successivo mediante analisi degli scostamenti (confronto tra preventivi e
consuntivi).
La metodologia del processo di scomposizione può definirsi analisi mezzi-fini e consiste nel
suddividere il progetto globale in blocchi più piccoli, a loro volta scomposti in blocchi minori e così
via; lo scopo è individuare fasi, parti, attività di esecuzione della commessa con cui l’impresa ha già
un elevato grado di familiarità per averle già svolte in passato per altri progetti.
Affinché il controllo della commessa avvenga correttamente, è importante creare per ciascuna
fase o elemento del progetto un collegamento con i CdR, per individuare il contributo dato da un
CdR all’esecuzione di una parte elementare del progetto. In tal modo sarà più chiaro il ruolo dei
vari centri nell’esecuzione del progetto e la loro responsabilità economica.
In sintesi, scomporre il progetto in parti elementari già “familiari” all’impresa consente di
preventivare i costi con una certa attendibilità e agevola la confrontabilità dei consuntivi con i
preventivi o budget riferiti a blocchi elementari.

5.4 I PREVENTIVI DI COMMESSA

B) Il documento-base del controllo economico di uno specifico progetto è il preventivo dei costi,
in cui sono accolti tutti i costi programmati per l’esecuzione della commessa, suddivisi tra i blocchi
in cui essa è scomposta.
Il preventivo dei costi non è unico, in quanto è richiesto un suo periodico aggiornamento, per
consentire un efficace controllo durante l’avanzamento dei lavori. In tal senso si possono
distinguere tre fondamentali tipi di preventivo di commessa:
1. Preventivo iniziale o di offerta: viene redatto prima della stipulazione del contratto con il
cliente e serve come base per la formulazione del prezzo di vendita; sebbene le informazioni,
ottenute dai primi contatti con il cliente potenziale, siano scarse, la direzione provvede ad
emettere un avanprogetto della commessa, basato sui preventivi di massima dei costi di
competenza formulati dai centri coinvolti; lo scopo è valutare la convenienza economica della
commessa, quindi se conviene o meno accettare l’ordine del cliente, nonché verificare se il
risultato economico dello specifico progetto è compatibile con gli obiettivi prestabiliti a budget
2. Preventivo esecutivo o budget di commessa: viene redatto dopo l’acquisizione della
commessa, cioè dopo la positiva conclusione della trattativa con il cliente; esso consiste in un
preventivo dei costi più aggiornato e più analitico rispetto al preventivo iniziale e serve da
termine di confronto nel controllo economico della commessa durante la sua esecuzione;
riflette cioè un obiettivo economico da rispettare nella realizzazione del progetto.
Per la determinazione dei costi del preventivo esecutivo vale la formula:
Quantità fisica di risorsa x Prezzo unitario della risorsa
fermo restando che non si tratta di veri e propri costi standard, perché mancano i presupposti
per definirli tali. Infine, il preventivo esecutivo non è unico, in quanto quello originario viene
modificato in seguito in base alle variazioni del progetto o a causa di errori di preventivazione
(distinzione tra preventivo esecutivo originario ed ultimo).

preventivo iniziale: strumento per la valutazione economica della commessa / riflette costi futuri stimati
realisticamente
preventivo esecutivo: strumento per il controllo economico della commessa / riflette obiettivi di efficienza e di costo
attesi dall’azienda

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3. Preventivo aggiornato: ha la funzione di aggiornare periodicamente le previsioni di costo


accolte nel preventivo esecutivo:
Preventivo aggiornato (vita intera) = Costi consuntivi fino ad una certa data + Costi preventivi a “finire”
Preventivo aggiornato alla data “x” = Costi consuntivo alla data “x” + Preventivo a finire alla data “x”
Esso rappresenta l’informazione più aggiornata possibile sui costi della commessa in base ai
costi consuntivi progressivi di commessa già sostenuti e contabilizzati fino al momento
dell’aggiornamento e ai costi preventivi da tale istante fino al termine della commessa,
aggiornati rispetto a quelli già contenuti nel preventivo esecutivo.
Il preventivo aggiornato ha un ruolo importante nel controllo anticipativo o orientato al futuro
dei singoli progetti, poiché deriva da uno sforzo sistematico di riformulare continuamente le
previsioni durante la vita della commessa.

Per quanto riguarda il tipo di costi da imputare allo specifico progetto, vi sono due alternative:
- imputazione alla commessa di costi diretti: cioè i costi delle risorse il cui impiego per la
commessa è misurabile oggettivamente, in quanto sostenuti esclusivamente per quello specifico
progetto, e che non richiedono ripartizioni soggettive: costi di materiali diretti, di MOD, di
ammortamenti specifici, … (talvolta anche gli oneri finanziari relativi alla commessa);
- imputazione alla commessa di costi pieni: comprendono i costi diretti più una quota di costi
indiretti (costi indiretti industriali, amministrativi, commerciali, …) che si ricava da una ripartizione
più o meno soggettiva dei costi in oggetto tra le varie commesse.
L’impiego dei costi diretti è più appropriato nella formulazione del preventivo esecutivo ed
aggiornato, in quanto consente di imputare al progetto solo i costi ad esso oggettivamente
riferibili e permette a questi tipi di preventivo di assolvere il loro ruolo di controllo del progetto
durante la sua esecuzione.
Viceversa, nella formulazione del preventivo iniziale l’impiego dei costi pieni è più adatto per una
conoscenza più puntuale del fabbisogno di risorse della specifica commessa.

Per ciò che attiene il controllo economico di gestione di ricavi e risultato economico di commessa:
a) la differenza tra ricavi di commessa e costi diretti di commessa genera il margine di commessa
Ricavi di commessa - Costi diretti di commessa = Margine di commessa
che rappresenta il risultato economico programmato per una certa commessa, lordo perché dai
ricavi sono sottratti solo i costi diretti (nello specifico, si tratta di un MSLC o margine diretto);
b) il prezzo della commessa può essere fisso o soggetto a clausole di revisione prezzo, che
prevedono la variazione del prezzo inizialmente stabilito a fronte di eventuali fatti sopravvenuti
durante l’esecuzione del progetto (es. aumento del prezzo dei materiali oltre certi livelli);
l’aggiornamento del preventivo di commessa riguarderà costi e ricavi.

5.5 LA DETERMINAZIONE DEI COSTI E DEI RICAVI CONSUNTIVI DI COMMESSA E IL


CONFRONTO CON I PREVENTIVI

C) Per verificare se lo svolgimento della gestione è conforme alle aspettative del preventivo
esecutivo, occorre determinare periodicamente il risultato economico effettivamente conseguito
fino a quel momento (costi diretti già in consuntivo, ricavi di competenza, margine di commessa).
- Costi diretti consuntivi: relativi ad operazioni già compiute, cioè a quantità di fattori già impiegati
- Ricavi di competenza: rappresentano una frazione del ricavo totale, correlata alle operazioni di
esecuzione della commessa compiute in quel periodo; sono calcolabili come

RC = CD x RT/CDT

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RC = ricavo maturato nel periodo in esame (ricavo di competenza)


CD = costi diretti consuntivi di commessa di competenza del periodo considerato
CDT = costi diretti totali di commessa (desunti dal preventivo aggiornato perché è la previsione più aggiornata e
attendibile del progetto)
RT = ricavo totale di commessa concordato con il cliente
RT/CDT = rapporto di contribuzione
CD/CDT = incidenza dei costi già sostenuti sui costi totali (indice del grado di avanzamento della commessa in termini di
costo)

Il confronto tra preventivo e consuntivo durante la vita del progetto può avvenire:
- a un livello di avanzamento della commessa prestabilito, cioè ogni volta che una fase della
commessa risulta completata;
- a date prestabilite: in questo caso può accadere che lo stato di avanzamento reale ad una certa
data non coincida con quello previsto per quella stessa data. Per risolvere i problemi di
confrontabilità, cioè per fare in modo che consuntivo e preventivo si riferiscano allo stesso stato di
avanzamento della commessa e rendere il loro confronto omogeneo, occorre considerare il
divario di stato di avanzamento.
La differenza tra preventivo formulato in vista di un prestabilito grado di avanzamento ad una
certa data e consuntivo corrispondente ai lavori realmente svolti alla stessa data può scomporsi in
due parti:
SCOSTAMENTO DI AVANZAMENTO = Preventivo per stato - Preventivo per stato
DEL PROGETTO di avanzamento prestabilito di avanzamento effettivo *

* è una specie di preventivo di commessa flessibilizzato, cioè riformulato in funzione delle attività realmente compiute
alla data del consuntivo

SCOSTAMENTO DOVUTO A DIFFERENZE = Preventivo per stato - Consuntivo ad


DI EFFICIENZA E/O DI PREZZO di avanzamento effettivo una certa data

Il confronto tra costi e ricavi rilevati periodicamente a consuntivo e quelli preventivati rende
possibile l’analisi degli scostamenti.
In particolare, l’analisi degli scostamenti dei costi diretti di commessa, i quali sono preventivati e
consuntivati in base a due componenti (quantità fisica della risorsa x prezzo unitario della risorsa),
permette di evidenziare due fondamentali tipi di scostamento elementare:
- scostamento di efficienza,
- scostamento di prezzo.
Nel caso delle commesse uniche (non ripetitive) poiché lo scostamento non risulta da confronti
con costi standard, in quanto in tali produzioni mancano tali parametri predeterminati, le
valutazioni di efficienza si fondano su giudizi soggettivi.

5.6 IL CONTROLLO DELLE COMMESSE CON IL PREVENTIVO AGGIORNATO. LOGICHE


E TECNICHE

Il controllo mediante confronto tra preventivo e consuntivo viene spesso integrato da un


meccanismo di controllo che si basa sul confronto sistematico tra il preventivo di partenza e un
altro preventivo più aggiornato; si tratta di un controllo orientato al futuro, il cui scopo è
evidenziare ad una certa data probabili disfunzioni e diseconomie future.
Impiegando nel controllo economico delle commesse i tre preventivi (iniziale, esecutivo,
aggiornato) si possono effettuare i seguenti confronti:

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a) Preventivo iniziale - Preventivo esecutivo


Evidenzia, al momento dell’inizio dei lavori, una prima variazione rispetto ai costi ed al risultato
economico previsti inizialmente, cioè prima della stipula del contratto; lo scostamento deriva
principalmente dalla carenza di informazioni al momento della preventivazione.

b) Preventivo esecutivo - Preventivo aggiornato


Si effettua periodicamente ed evidenzia scostamenti in parte già avvenuti e in parte ancora da
manifestarsi (cioè prima e dopo l’aggiornamento); esso è uno strumento importante per
migliorare il controllo gestionale perché non solo consente una rilevazione ed un’analisi delle
disfunzioni già avvenute ma anticipa le variazioni che presumibilmente si manifesteranno e su cui
si può ancora intervenire con azioni correttive.
A tal fine è importante preventivare i costi a finire ipotizzando assenza di interventi correttivi, cioè
formulare il preventivo in modo che certe disfunzioni gestionali, già in atto o prevedibili per il
futuro, non siano eliminate nel corso della vita residua della commessa.
I costi a finire possono essere stimati moltiplicando la tranche di preventivo esecutivo pari ai lavori
ancora da eseguire per un tasso corrispondente all’efficienza già rilevata, dall’inizio della
commessa alla data dell’aggiornamento (supponendo quindi che il grado di efficienza della
gestione futura sia pari a quello rilevato fino ad oggi):
Costi a finire stimati = (Budget di vita intera - Budget di vita residua) x Tasso di efficienza rilevato fino alla data
di aggiornamento
Tasso efficienza = Costi effettivi di commessa alla data
Costi preventivo esecutivo per avanzamento effettivo

c) Preventivo iniziale - Preventivo aggiornato


Lo scostamento rilevato da tale confronto evidenzia il grado di realizzazione del risultato
economico previsto al momento dell’offerta al committente:
(Preventivo iniziale - Preventivo esecutivo) + (Preventivo esecutivo - Preventivo aggiornato)
Tanto maggiore è lo scostamento tra i due costi preventivi, tanto più il margine di commessa si sta
allontanando dalle aspettative di economicità inizialmente formulate.

5.8 IL BUDGET GLOBALE AZIENDALE NELLE PRODUZIONI SU COMMESSA: CRITERI


DI FORMAZIONE E DI CONTROLLO

Il BUDGET ECONOMICO delle imprese con produzione su commessa deriva dalla sommatoria dei
preventivi di costi e di ricavo delle singole commesse, oltre che dai programmi dei costi generali
aziendali e di eventuali ricavi extra-commessa.
Poiché le imprese che lavorano su commessa soffrono di incertezze maggiori rispetto alle aziende
con produzioni ripetitive, l’iter logico di stesura del budget dovrebbe prevedere:
1) l’inventario dei contratti in essere, in modo da determinare costi da sostenere e ricavi di
competenza di commesse già acquisite, limitatamente al periodo di budget
2) l’esame delle commesse in trattativa, cioè di commesse di cui non si è ancora stipulato il
contratto; si stima la probabilità di riuscita della trattativa (commesse certe, probabili e con
limitata probabilità di acquisizione) e si inseriscono nel budget i rispettivi costi e ricavi (a livello di
preventivo iniziale d’offerta), corretti in funzione del grado di probabilità
3) l’analisi della saturazione della capacità produttiva ancora libera con commesse non in
trattativa, formulando degli obiettivi di copertura/utilizzo della restante capacità disponibile.
Il budget così strutturato contiene obiettivi quantificabili di ricavi e di costi, per ciò che concerne le
commesse acquisite e in trattativa, mentre contiene obiettivi quantificabili di certi costi e di

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margine di commessa per le commesse sconosciute; benché parziale ed incerto, esso dà utili
indicazioni alla direzione (es. interventi per migliorare la redditività).

ESEMPIO DI BUDGET ECONOMICO AZIENDA CON PRODUZIONE SU COMMESSA

Voci di costo e di ricavo Commesse Commesse in trattativa Da Saturare Totale


acquisite
Certe Probabili
Ricavi di vendita 1000 800 100 100 2000
- Costi diretti
• Materiali 550 500 40 - 1090
• Lavoro dietto 100 120 20 100 340
• Altri costi diretti 200 100 10 - 310

Margine commessa 150 80 30 - 260

- Costi indiretti operativi 200

Reddito operativo 60
+ Oneri e proventi finanziari,
atipici e straordinari 30

Reddito prima delle imposte 30


- Imposte sul reddito 12

Reddito netto 18

Anche il BUDGET FINANZIARIO (suddiviso in budget delle fonti e degli impieghi e budget di cassa)
è soggetto alle incertezze riguardanti commesse non acquisite e non in trattativa (cioè la parte
scoperta della capacità produttiva); poiché di queste non si conoscono ricavi e costi, è molto
difficile calcolare a priori i fabbisogni di capitale e fonti di finanziamento, nonché flussi di uscite ed
entrate monetarie. Ciò porta a formulare budget finanziari parziali.

Per ciò che riguarda il controllo dei budget con i risultati effettivi di gestione, considerando la
totalità delle commesse, ipotizzando che il controllo avvenga mediante il preventivo aggiornato, va
rilevato che:
- occorre distinguere tra commesse acquisite, in trattativa e obiettivi di saturazione;
- di questi gruppi periodicamente bisogna formulare un nuovo preventivo dei costi e dei ricavi,
riferito al periodo che va tra la data di aggiornamento e il 31/12;
- per le commesse in corso di esecuzione vanno rilevati i costi consuntivi sostenuti da inizio anno
fino alla data del controllo;
- occorre determinare il preventivo aggiornato di tutte le commesse e confrontarlo con il budget
originale di inizio anno; lo scostamento tra costi e ricavi dei due tipi di preventivo segnala le
presumibili differenze che si manifesteranno a fine anno rispetto al risultato economico
inizialmente programmato.

5.9 IL BUDGET GLOBALE AZIENDALE NELLE PRODUZIONI SU COMMESSA: CRITERI


DI FORMAZIONE E DI CONTROLLO

Il controllo economico di gestione delle aziende con produzione su commessa viene definito
incrociato in quanto si attua a livello di commessa e a livello di CdR: è incentrato principalmente
sui progetti e sui relativi costi ma si esercita contemporaneamente sui CdR.
In tali imprese la suddivisione del lavoro si articola su due dimensioni (organizzazione a matrice):

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- per funzione: i responsabili di funzione (progettazione, produzione, marketing, acquisti, …)


curano l’esecuzione specializzata di certe attività omogenee a prescindere dalle specifiche
commesse da realizzare;
- per commessa: i responsabili di commessa (project manager) curano la coordinata realizzazione
di una commessa, garantendo l’armonica integrazione delle unità funzionali coinvolte in termini di
tempi, livelli tecnico-qualitativi e costi prestabiliti.
I CdR coincidono con i dipartimenti funzionali, si tratta di centri di costo responsabilizzati sui costi
dell’unità organizzativa corrispondente; anche al responsabile di commessa fa capo un particolare
CdR, di tipo temporaneo, coincidente con l’oggetto commessa, per cui si tratta di un centro di
profitto, responsabile del risultato economico della commessa.
Poiché l’organizzazione a matrice comporta un coinvolgimento congiunto degli enti funzionali e
del responsabile di commessa sugli aspetti economici del progetto, in sede di programmazione e
di analisi degli scostamenti, il sistema di controllo risulta contraddistinto da elevata
corresponsabilità dei due tipi di manager coinvolti.
Un sistema di controllo efficace pertanto richiede l’integrazione tra le due dimensioni relative ai
costi di centro e ai costi di commessa:

COSTI DI CENTRO (costi diretti di centro, con esclusione di quote derivanti dalla ripartizione di costi comuni anche ad
altri centri):
- diretti di commessa (imputati alle varie commesse realizzate in quel centro: materie dirette, stipendi di progettazione,
MOD, parte variabile costi generali industriali, altri diretti …)
- indiretti rispetto alla commessa (restano al centro, cioè non si ritrovano a livello di commessa: stipendi,
ammortamenti, affitti, parte fissa costi generali industriali, altri indiretti …)

COSTI DI COMMESSA:
- imputabili ai centri (imputati ai centri che partecipano all’esecuzione della commessa: materie dirette, stipendi di
progettazione, MOD, altri …)
- non imputabili ai centri (restano alla commessa, cioè non si ritrovano a livello di centro: costi specifici di progetto
come assicurazioni, royalty, …)

Solo alcune voci di costo (es. materie dirette, MOD, stipendi progettazione, …) sono oggetto di
controllo incrociato.

5.10 IL CONTROLLO DEI PROGETTI INTERNI: CENNI

I vari tipi di progetto possono essere classificati in:


a) progetti per soddisfare un’espressa richiesta di clienti esterni (es. grandi commesse,
pluriennali e non ripetitive)
b) progetti interni con finalità di innovazione di prodotto/mercato, strategicamente rilevanti in
termini di possibili ricadute economiche future (es. progetti di R&S)
c) progetti interni con finalità di innovazione e natura organizzativa, volti al cambiamento
interno, di cui non è possibile apprezzare le ricadute economiche future (es. modifiche di struttura
organizzativa e cultura aziendale, introduzione di nuovi sistemi direzionali).
Se i progetti sub a) hanno una prassi aziendale consolidata in termini di controllo, presentano
invece maggiori difficoltà di controllo i progetti interni sub b) e c), in quanto sono caratterizzati da
elevata incertezza dei risultati, da obiettivi e tempi talvolta non ben definiti (mirano a produrre
conoscenze), da risorse impiegate non quantificabili a priori:
- non sono suscettibili di valutazione economica circa la loro convenienza, se non su giudizi di tipo
qualitativo;

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- la predeterminazione dello stanziamento è frutto di una valutazione e scelta discrezionale, senza


possibilità di utilizzare significativi parametri;
- il controllo concomitante e susseguente si avvale di parametri non monetari, attraverso cui
accertare i risultati via via raggiunti; tuttavia, non esistendo precisi obiettivi, tali parametri
potranno al massimo riferirsi alla qualità delle risorse impiegate.

Tra i progetti interni, fermo restando l’incertezza dei risultati attesi, gli unici che si differenziano
dagli altri sono i progetti di innovazione finalizzati a creare precise opportunità economiche (nuovi
prodotti, nuovi processi, nuovi clienti, nuovi segmenti di mercato, …); essi infatti sono assimilabili a
iniziative di investimento in capitale fisso, e pertanto si può effettuare una valutazione di
convenienza economica (con l’attualizzazione dei flussi finanziari futuri), si può in qualche modo
determinare un preventivo esecutivo che abbraccia il periodo di durata della ricerca, si può
attuare un controllo concomitante, oltre che su parametri qualitativi di efficacia, anche sui costi.

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6. IL CONTROLLO DEI CENTRI DI RESPONSABILITA’ E GLI INDICATORI DI


PERFORMANCE

6.1 LOGICA DEL CONTROLLO DEI CENTRI DI RESPONSABILITA’

Nelle aziende di dimensioni medio-grandi, data la maggiore complessità organizzativa, il sistema di


controllo gestionale deve articolarsi in centri di responsabilità (CdR).
CENTRI DI RESPOSABILITA’: sub-sistemi coincidenti con le unità organizzative della struttura
aziendale (direzioni, stabilimenti, uffici, laboratori, …) che rispecchiano la struttura organizzativa
aziendale e che rappresentano anche aree di risultato: il soggetto posto a capo del centro è
responsabile dei risultati (in termini di efficienza ed efficacia) che la sua unità consegue.

Il sistema di controllo tradizionale basato sui CdR, affermatosi nella prima metà del ‘900 sotto
l’influenza del taylorismo, si articola in tal modo:

Obiettivi aziendali Sub-obiettivi dei CdR e Responsabilizzazione dei


(redditività) relativi indicatori CdR in base al principio di
economici “controllabilità”

gli obiettivi di fondo dell’azienda sono di natura economica  possono scomporsi in sub-obiettivi assegnati ai titolari
delle varie posizioni organizzative, anch’esse quantificabili in termini economici  la scomposizione avviene a più livelli
organizzativi, portando a una classificazione dei CdR (sempre su base economica) in - centri di costo, - centri di ricavo, -
centri di profitto  questi, la cui enfasi è su costi, ricavi e profitto, a loro volta sono suddivisibili in sotto-categorie

L’approccio per CdR economica presuppone che il Conto Economico aziendale venga esploso in
tanti conti economici minori quanti sono i centri in esame (costi e ricavi di loro competenza). Ogni
capo-centro, secondo il principio di controllabilità, viene responsabilizzato sui risultati economici
che è in grado di influenzare direttamente e significativamente con le leve decisionali e le risorse
di cui dispone.

6.2 CENTRI DI COSTO, DI RICAVO E DI PROFITTO: LORO SUDDIVISIONI E


CONTENUTI

CENTRI DI COSTO CENTRI DI RICAVO CENTRI DI PROFITTO

OTTIMIZZARE COSTI OTTIMIZZARE RICAVI OTTIMIZZARE RICAVI - COSTI

CdR al cui titolare la direzione CdR il cui titolare deve tendere CdR il cui titolare deve mirare
assegna la responsabilità all’ottimizzazione dei ricavi di all’ottimizzazione del risultato
primaria di ottimizzare vendita, acquisendo ordini e economico (ricavi-costi) di un
l’efficienza economica, cioè clienti che consentano di oggetto o business o famiglia di
minimizzare i costi delle risorse raggiungere un certo livello di prodotti avendo a disposizione le
impiegate nell’esercizio della fatturato leve a ciò occorrenti
propria attività sotto certi livelli

CENTRI DI COSTO: si distinguono in:


- centri di costo standard: caratterizzati dalla prevalenza di costi parametrici o standardizzabili (es.

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materie prime, lavoro diretto) (si ritrovano, tra le varie funzioni, soprattutto nell’area di produzione)
- centri di costo discrezionali: caratterizzati dalla prevalenza di costi non parametrici, cioè
discrezionali e vincolati (es. stipendi personale), anch’essi diffusi in ogni azienda e funzione, specie
tra le funzioni di servizi o di staff (amministrazione, organizzazione e personale, segreteria generale, …)
CENTRI DI RICAVO: non sempre previsti per via dei rischi legati alla sola responsabilità sui ricavi di
vendita (es. area commerciale  centri di ricavo e di costo, responsabilizzati sia per i ricavi (di vendita), sia per i costi
di diretta competenza (commerciali))
CENTRI DI PROFITTO: si distinguono in:
a) centri di profitto autonomi: coincidono con unità organizzative dotate di ampia autonomia
decisionale, tipiche di strutture organizzative multidivisionali (divisioni di business, cliente, area
geografica di mercato, …); essi dispongono di ampie leve decisionali, in grado di influenzare
direttamente - volume di produzione e vendita, - mix produttivo, - prezzo di vendita, - prezzo di
acquisto delle risorse, - efficienza nell’impiego delle risorse
b) centri di profitto semi-autonomi: caratterizzano soprattutto quelle strutture multidivisionali in
cui vi sono scambi interdivisionali, frequenti e significativi, valorizzati dai c.d. prezzi interni di
trasferimento, la cui misurazione è soggettiva; sono tali anche le unità funzionali di particolare
importanza, in grado di influenzare fortemente il risultato economico aziendale (es. stabilimento
di produzione)  gli scambi interni ne limitano l’autonomia e condizionano i risultati finali di profitto
c) centri di profitto fittizi: si ritrovano in molteplici realtà e situazioni, in cui manca il requisito
della controllabilità delle variabili del profitto (incapacità di influenzarle direttamente e
significativamente: ad es. filiale di vendita che si occupa solo di vendere ma non ha libertà di
scegliere, per procurarsi i prodotti, tra acquisto interno e approvvigionamento sul mercato).

a) centri di profitto in senso stretto: il responsabile del centro, pur disponendo di autonomia e
leve decisionali, non è in grado di controllare il livello degli investimenti, cioè il capitale investito
b) centri di investimento: il responsabile del centro controlla costi, ricavi e capitale investito della
propria unità organizzativa; la misura della sua performance potrà essere:
- un indice di redditività come il ROI
ROI = Reddito operativo/ Capitale investito
- una misura di profitto espressa in valore assoluto ma che tiene conto dell’entità del capitale
investito controllabile, come il reddito residuale controllabile
Reddito residuale controllabile = Reddito operativo controllabile - Oneri finanziari impliciti
(ricavi di vendita - costi operativi controllabili) sul capitale investito controllabile
Il Reddito operativo controllabile, a differenza del ROI, consente di responsabilizzare i manager non solo sul reddito
operativo ma considera anche la loro capacità di gestire economicamente il capitale stesso (chiamando in causa gli
oneri finanziari sul capitale investito)

La struttura organizzativa aziendale è strettamente collegata con la tipologia dei CdR economica.

STRUTTURA PLURIFUNZIONALE (sono presenti centri di costo e di ricavo, i centri di profitto sono un’eccezione e di
solito sono fittizi)
Direzione
generale (cdp)

Marketing Produzione Amministrazione


(cdr) (cdcp) (cdcd)

Filiale A Filiale B Stabil. 1 Stabil. 2 Ufficio X Ufficio Y


(cdr) (cdr) (cdcp) (cdcp) (cdcd) (cdcd)

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STRUTTURA MULTIDIVISIONALE (coesistono tutti i tipi di centro, centri di profitto = divisioni)

Direzione generale
(cdp)

Pianificazione Finanza Marketing R&S Organizzazione


e controllo (cdcd) (cdcd) (cdcd) e Personale
(cdcd) (cdcd)

Divisione A Divisione B Divisione C


(cdp) (cdp) (cdp)

Marketing Produzione Amministrazione


(cdr) (cdcp) (cdcd)

STRUTTURA A MATRICE (vi sono centri di costo e di ricavo e particolari centri di profitto: project manager, product
manager, …)
Direzione
generale (cdp)

Progettazione Marketing Produzione Amministrazione


(cdcd) (cdr) (cdcp) (cdcd)

Project
manager 1
(cdp)

Project
manager 2
(cdp)

Project
manager 3
(cdp)

Oltre alla struttura organizzativa, le responsabilità economiche vanno correlate in funzione di altre
due variabili:
1) il sistema di autorità e responsabilità adottato dall’azienda (es. un responsabile dei sistemi
informativi ha certi poteri e compiti in un’azienda e altri in un’altra)  organizzazione
2) la missione prioritaria assegnata a ciascun centro (es. una filiale di banca in un istituto deve
competere economicamente sul mercato, in un altro deve garantire un elevato livello di servizio
alla clientela)  strategia
Infine, i diversi CdR si caratterizzano per un diverso contenuto/oggetto di controllo e diverse
modalità di misurazione di input, output e performance economica.

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6.3 CDR ECONOMICA E IMPUTAZIONE DEI COSTI INDIRETTI

La necessità di ripartire i costi generali tra i centri utenti (utenti dei servizi erogati da altri centri)
risponde a diverse esigenze:
a) rafforzare il controllo dei costi ripartiti: vi è la speranza che il centro utente di servizi erogati da
altre strutture aziendali, vedendosi addebitare le corrispondenti quote di costo, si attivi per ridurre
in qualche modo l’importo di tali costi (e non solo la quota addebitatagli)
b) rafforzare il controllo di altri costi: si addebitano le quote di costi generali ai centri utenti in base
a criteri tali da indurli ad intervenire sulle variabili bersaglio, cioè i costi di diretta pertinenza (se ad
es. la direzione volesse ridurre i costi di lavoro diretto dei centri utenti, potrebbe decidere di
addebitare i costi generali in funzione di tale variabile)
c) diffondere convincimenti e indurre comportamenti ardui da ottenere senza ripartizione: con
l’addebito, il centro utente acquisisce maggior consapevolezza della sua appartenenza ad un
sistema più ampio nel cui interesse deve operare.

Ai fini della ripartizione, occorre verificare in primo luogo il grado di controllabilità da parte del
centro utente: se il costo in esame è controllabile in modo significativo e diretto dall’utente
(controllo sulla quantità ricevuta, sul volume di impiego e/o sul prezzo delle risorse ricevute) allora
i costi indiretti sono ripartibili tra i centri utenti in modo oggettivo; se si tratta di servizi generali, di
cui in realtà usufruisce l’azienda nel suo insieme (es. adempimenti civilistico-fiscali), allora non
conviene neanche procedere alla ripartizione dei costi indiretti tra i centri utenti, per cui tali costi
verranno controllati nei centri dove vengono sostenuti.

Nel caso di servizi e costi indiretti controllabili dai centri utenti, le situazioni ipotizzabili sono:
a) QUANTITA’ CONTROLLABILE: il centro utente, pur tenuto a rivolgersi ad un centro di servizi
interno, può controllare la quantità di servizio ricevuta (es. servizi di elaborazione dati e di R&S)
b) USO E PROVENIENZA: il centro utente può decidere autonomamente se utilizzare o meno il
servizio e se rivolgersi all’interno o all’esterno dell’azienda (es. servizi di consulenza, di formazione
del personale).

a) Premesso che i costi indiretti possono essere generati da attività routinarie di supporto per
rendere operativo il funzionamento dell’azienda e l’utilizzo di una certa capacità produttiva e da
attività discrezionali di sviluppo per il raggiungimento di obiettivi aziendali di lungo termine, solo
nel primo caso tali costi vanno addebitati ai centri utenti, in base all’uso.
Ciò in quanto i costi di funzionamento sono conseguenza di attività tipicamente operative (es.
commerciali e produttive) e al fine di contenerli è necessario accertare se e come i centri utenti
hanno utilizzato i relativi servizi; viceversa, nel caso dei costi discrezionali o di sviluppo (es. attività
di formazione del personale e di R&S) l’addebito può scoraggiare l’uso del servizio.
Per quanto riguarda le modalità di addebito dei costi indiretti ai centri utenti:
- in caso di costi fissi (rispetto al volume del servizio erogato), spesso vengono imputati ai centri
utenti in base a una quantità di servizi predeterminata, per evitare che la quota spettante a un
centro sia influenzata da quanto avvenuto in altri centri (anche se ciò crea uno scostamento tra
costo addebitato a consuntivo con quello addebitato a budget);
- in caso di costi variabili (rispetto al volume del servizio erogato), essi vanno imputati ai centri
utenti in base alla quantità di servizi effettivamente utilizzata.

b) Quando invece i centri utenti sono liberi di richiedere il servizio internamente o di acquistarlo
dall’esterno, allora la libertà di scelta fa sì che il centro possa controllare i costi del servizio nella

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loro interezza e contribuire così al governo dei costi generali (ad es. acquistando i servizi da terzi a
un costo inferiore).

6.4 I CENTRI DI PROFITTO: APPROFONDIMENTI

CONTROLLABILITA’: un vero e proprio centro di profitto presuppone la controllabilità di costi e


ricavi che concorrono a determinare il risultato economico di una combinazione produttiva
particolare; la controllabilità sussiste se il capo-centro ha la possibilità di influenzare
significativamente le leve da cui dipendono i costi di acquisto e utilizzo delle risorse e i ricavi di
vendita dei prodotti. Tale condizione è verificata nei centri di profitto autonomi, mentre manca in
parte o totalmente nei centri di profitto semi-autonomi e fittizi.
La scelta di trattare come centri di profitto anche aree i cui manager non hanno nessun controllo
sulle variabili del profitto spesso risiede nel convincimento/speranza di diffondere in azienda una
mentalità manageriale e decisioni convenienti sotto il profilo dell’economicità.

PREZZI INTERNI DI TRASFERIMENTO: tipici delle strutture multidivisionali in cui gli scambi
interdivisionali sono frequenti e significativi (centri semi-autonomi e fittizi), i PIT hanno lo scopo di
valorizzare gli scambi interni affinché i CE dei centri accolgano tutti i costi e ricavi delle attività
svolte e non solo quelli legati a scambi di mercato.
I principali metodi di determinazione dei PIT sono così classificabili:

1) PIT negoziati: presuppongono una contrattazione tra le divisioni venditrici e acquirenti,


comportano per queste la possibilità di vendere o acquistare internamente o di farlo con soggetti
esterni operanti sul mercato; in pratica i due centri in questione decidono l’eventuale scambio in
base ad una valutazione di convenienza economica rispetto allo scambio di mercato, se venditore
e acquirente risultano entrambi avvantaggiati dal PIT, allora lo scambio interno avrà luogo.
Tale PIT non ha una misura univoca, ma si colloca in un range di valori delimitati dal:
- prezzo minimo che il venditore è disposto a praticare (livello inferiore del range)
- prezzo massimo che il compratore è disposto a pagare (livello superiore del range).
un aspetto molto rilevante nella scelta è rappresentato dai margini di capacità produttiva disponibili della divisione
venditrice

2) PIT basati sui costi (del centro venditore): presuppongono la determinazione del costo
dell’oggetto scambiato; il PIT si basa su valori che riflettono questi presupposti:
- costi pieni (e non variabili) di gestione operativa (scomposti in parte variabile e fissa), in modo da
consentire alla divisione acquirente di comprendere quanto costa alla divisione produttrice il
prodotto oggetto di trasferimento, in particolare l’ammontare dei costi fissi sostenuti
- adozione del costo standard (e non effettivo), in modo da non penalizzare la divisione acquirente
per eventuali inefficienze di cui è responsabile la divisione produttrice
- ricarico del costo con un margine di profitto (e non valore di costo puro e semplice), in modo da
riprodurre internamente all’azienda le condizioni che caratterizzano i rapporti di mercato (margine
di profitto = stima del TIR atteso del capitale investito x importo del capitale investito relativo al prodotto oggetto di
scambio)

3) PIT basati sul mercato: presuppongono che per i beni/servizi scambiati esista un mercato;
tuttavia non sempre una transazione interna trova un esatto riscontro sul mercato, ad es. il
bene/servizio scambiato ha caratteristiche peculiari e non esiste un prodotto identico a cui riferirsi

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in modo oggettivo, così come i centri non possono fondare il PIT su un prezzo di mercato perché
ad es. non hanno competenze e/o informazioni necessarie.

4) PIT amministrati: presuppongono l’esistenza di regole prestabilite, fissate internamente, che


stabiliscono ad es. di quale % debba essere ridotto il prezzo di mercato o debba essere aumentato
il costo.

6.5 INDICATORI ECONOMICI DEI CDR: PREGI E LIMITI

I principali pregi degli indicatori economici dei risultati dei centri sono:
- SINTESI: alcuni in particolare, come il profitto, riescono a sintetizzare più variabili e risultati,
altrimenti esprimibili con una pluralità di indicatori; ciò facilita l’applicazione dei sistemi di
valutazione ed incentivazione dei manager
- ORIENTAMENTO AL PROFITTO: aiutano a diffondere tra i manager operativi una mentalità e
sensibilità di tipo economico, con un forte orientamento al profitto
- AFFIDABILITA’: si basano su metodi di misurazione ormai diffusi e consolidati nella prassi
aziendale, quindi piuttosto affidabili.

I limiti fondamentali degli indicatori economici sono:


- EFFICACIA: spesso non sono in grado di catturare i vari aspetti dell’efficacia della gestione
(qualità, livello di servizio al cliente, immagine, innovatività), inoltre la stessa non sempre è
misurabile con misure di costo (es. centri di costo discrezionali)
- TRASPARENZA: nel tentativo di sintetizzare la performance in termini monetari, richiedono l’uso
di metodologie e tecniche così complesse da risultare poco trasparenti o comprensibili ai manager
destinatari
- BREVE PERIODO: il sistema della responsabilizzazione in base a parametri economici a volte
spinge a privilegiare i risultati di breve periodo
- SETTORIALISMO: possono indurre i capi-centro a comportamenti eccessivamente settoriali,
spingendo ad ottimizzare i propri sub-obiettivi e a tralasciare i processi inter-funzionali e i risultati
di altri centri e aziendali

6.6 UN SISTEMA BILANCIATO E SELETTIVO DEGLI INDICATORI DI RISULTATO DEI


CDR

Al fine di correggere le disfunzioni e i difetti dei sistemi di responsabilizzazione economica dei


centri, da più parti si propone la creazione di un sistema bilanciato e selettivo degli indicatori
adatti a ciascun centro di responsabilità.
sistema = pluralità di indicatori legati da reciproci legami e nessi causali
bilanciato = in grado di presidiare in modo bilanciato esigenze aziendali diverse e talvolta
conflittuali (equilibrio economico e finanziario, efficienza ed efficacia della gestione, equilibrio di
breve e lungo termine, risultati settoriali e globali aziendali)
selettivo = composto da un numero limitato di indicatori, quelli rilevanti per guidare le scelte e
valutare le performance

La scelta di tali indicatori deve basarsi sul rispetto di due fondamentali requisiti (principi-guida del
sistema):

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1) le misure di performance devono riflettere la missione prioritaria di un centro e la congruenza


di questa con gli interessi dell’azienda nel suo insieme, in modo che i responsabili di centro
realizzino correttamente il proprio contributo alle strategie aziendali
2) i parametri-obiettivo devono riflettere le leve decisionali e le risorse di cui dispone il centro, in
modo da responsabilizzare il capo-centro sui risultati che può influenzare in base al sistema di
autorità di cui è dotato e alle risorse idonee allo scopo.

6.7 IL SISTEMA DEGLI OBIETTIVI E SUB-OBIETTIVI A LIVELLO DI AZIENDA E DI


SINGOLO BUSINESS E LA MISURAZIONE COMPLESSIVA DELLA PERFORMANCE
AZIENDALE

Affinché gli indicatori di risultato di un centro riflettano la sua missione e il suo contributo alla
strategia aziendale, è indispensabile che:
1) la strategia aziendale per ciascun business sia chiaramente identificata ed esplicitata ai vari
centri;
2) gli obiettivi di fondo di tale strategia siano scomposti in sub-obiettivi e in variabili-chiave su cui
far leva per raggiungerli, chiarendone i nessi di causa-effetto;
3) obiettivi, sub-obiettivi e variabili chiave siano tradotti in opportuni indicatori di risultato, in base
ai quali responsabilizzare i vari centri.

Occorre cioè che sia noto il modello di business performance, ossia il modello di generazione dei
risultati aziendali attesi nel lungo periodo. Senza tale modello, che chiarisce come raggiungere gli
obiettivi delle strategie di business, qualunque sistema di indicatori di performance manca della
mappa indispensabile per guidare le scelte dei manager ai vari livelli di struttura organizzativa.

BALANCED SCORECARD (Scheda di valutazione bilanciata)


E’ un insieme bilanciato di indicatori, quantitativi e qualitativi, legati ai fattori critici di successo
della strategia aziendale, che riflettono una pluralità di obiettivi, funzionali o strumentali rispetto
alle aspettative strategiche dei proprietari. Tali obiettivi corrispondono a diverse prospettive:
- la prospettiva degli azionisti
- la prospettiva della soddisfazione del cliente
- la prospettiva dell’eccellenza dei processi di gestione
- la prospettiva dello sviluppo organizzativo.

attese degli azionisti attese dei clienti processi di gestione sviluppo organizzativo

Gli indicatori di risultato di ciascun business sono suddivisi in 4 categorie/prospettive di


valutazione delle performance d’impresa:
1) Indicatori economico-finanziari di soddisfacimento delle attese dei proprietari
2) Indicatori di soddisfacimento delle attese dei clienti
3) Indicatori di eccellenza dei processi interni aziendali
4) Indicatori di sviluppo organizzativo.
La prima categoria esprime risultati di gestione corrente, le altre tre raggruppano
prevalentemente indicatori di risultati misurabili oggi per monitorare l’attitudine dell’azienda a
realizzare in futuro le proprie strategie e ad ottenere i risultati economico-finanziari adeguati alle
aspettative degli azionisti.

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 in pratica la BSC permette di tradurre la missione e la strategia dell’impresa in un insieme coerente di misure di
performance, che valuta in modo integrato i risultati aziendali sulla base di 4 diverse prospettive

1) Indicatori economico-finanziari di soddisfacimento delle attese dei proprietari


Sono misure di reddito/redditività, o di valore economico del capitale, o di flussi finanziari (cash
flow) generati a livello globale di azienda o di business. Tali indicatori di sintesi sono a loro volta
scomponibili in sub-indicatori, come il ROE e il ROI, scomponibili ad albero in indicatori via via
minori.

2) Indicatori di soddisfacimento delle attese dei clienti


Riguardano:
- quota di mercato dell’azienda nel business in oggetto, - capacità di trattenere i clienti esistenti,
- capacità di acquisire nuovi clienti, - soddisfazione del cliente, - redditività dei vari clienti.
Essi sono scomponibili in ulteriori misure (es. tempo di consegna, qualità, prezzo di vendita, …).

3) Indicatori di eccellenza dei processi interni aziendali


Si riferiscono ai processi operativi svolti in azienda, classificabili in:
- gestione operativa (approvvigionamenti, produzione, gestione ordini clienti)
- acquisizione e gestione dei clienti (selezione, acquisizione, fidelizzazione clienti)
- innovazione (produzione idee, gestione portafoglio ricerca, progettazione e sviluppo nuovi
prodotti, lancio nuovi prodotti)
- processi di supporto generali e infrastrutturali (amministrazione, affari legali e tributari, gestione
finanziaria, servizi generali, …).

4) Indicatori di sviluppo organizzativo


Riguardano alcuni attributi che devono possedere le risorse umane presenti in azienda e le
variabili organizzative rivolte alla razionalizzazione delle loro attività, alla loro crescita
professionale e al miglioramento delle loro prestazioni.
Tali indicatori devono evidenziare:
- caratteristiche qualitative (conoscenze, abilità, esperienza, …) e motivazione del personale,
- caratteristiche della struttura organizzativa (adeguate modalità di divisione e coordinamento del
lavoro a fini decisionali),
- caratteristiche dei meccanismi operativi (sistemi informativi, sistemi di pianificazione e controllo,
sistemi di gestione e sviluppo del personale).

I 4 gruppi di prospettive/indicatori sono collegati da una relazione di causa effetto:


- le aspettative dei clienti (2) sono funzionali alle aspettative dei proprietari (1): i corrispondenti
indicatori cioè sono i più immediati nel segnalare oggi se esistono ragionevoli probabilità di
soddisfare le attese economico-finanziarie dei proprietari durevolmente in futuro;
- le prospettive di eccellenza nei processi interni (3) e di sviluppo organizzativo (4) sono a loro volta
funzionali alle precedenti (1) (2), in particolare la (4) costituisce la premessa infrastrutturale per il
conseguimento degli obiettivi propri di tutte le altre prospettive (1) (2) (3):

adeguato capitale organizzativo: prerequisito  per eccellere nei processi interni  per soddisfare
i clienti  per soddisfare le attese dei proprietari

Gli indicatori delle 4 prospettive sono distinti in due categorie:


1) INDICATORI LAG (EFFETTO)  ritardati (evidenziano gli effetti)
2) INDICATORI LEAD (CAUSA)  anticipati (evidenziano le cause: indicatori dei driver)

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obiettivi strategici indicatori lag (effetto) indicatori lead (causa)


crescita professionale dei dipendenti grado di miglioramento della numero di corsi di formazione
(4) professionalità
diffondere la cultura dell’ascolto e tasso di circolazione delle periodicità di seminari e team
confronto (4) informazioni building
creazione prodotti innovativi (3) incremento percentuale della tasso di introduzione di nuovi
clientela prodotti rispetto alla concorrenza
attenzione costante verso i clienti (3) numero numero delle inchieste sulle
di soluzioni personalizzate (3) problematiche dichiarate dalla
clientela
incremento della qualità di un percentuale di errori nei servizi minimizzazione dei problemi
prodotto (3)
accrescimento del livello di tasso di ritenzione dei clienti livello di personalizzazione dei servizi
fidelizzazione (2) offerti
acquisizione di nuovi clienti (2) incremento percentuale della quota lancio nuovi prodotti
di mercato

6.8 L’ATTRIBUZIONE DEGLI OBIETTIVI AI CDR: REQUISITI DI COERENZA STRATEGICA


E ORGANIZZATIVA

Per garantire l’allineamento alla strategia aziendale degli obiettivi specifici assegnati ai singoli
centri ed per evitare che gli indicatori a livello di singolo centro portino ad orientamenti settoriali e
parziali, per ciascun CdR sono identificati due tipi di obiettivi:
1) obiettivi propri del centro, cioè riferibili esclusivamente a quel centro, di esclusiva competenza
di un responsabile perché riflettono direttamente la sua missione e le sue leve decisionali;
2) obiettivi di corresponsabilità, riferibili al sistema più ampio a cui appartiene il centro, che
responsabilizzano in modo congiunto più organi aziendali, evitando rischi di sub-ottimizzazioni e
comportamenti settoriali e parziali; in tal senso, i parametri-obiettivo di corresponsabilità possono
responsabilizzare un centro: a) sui risultati di altre unità “in orizzontale”, ad es. risultati di specifici
progetti o processi; b) sui risultati di altre unità “in verticale” o dell’azienda nel suo insieme, ad es.
corresponsabilità di un manager commerciale dei risultati di una business unit aziendale, espressi
in termini di ROI.

Inoltre, è possibile classificare gli indicatori di risultato in base al modo in cui vengono espressi
(unità di misura):
- indicatori monetari (economici e finanziari): esprimono gli obiettivi in unità contabili
- indicatori quantitativo-fisici: esprimono gli obiettivi in termini quantitativi in relazione alla
natura dell’obiettivo da raggiungere (giorni, ore, n. prodotti, n. clienti, metri, kg, % di scarti, …)
- indicatori qualitativi: usati quando il risultato atteso non è quantificabile (es. qualità del servizio
espressa mediante il giudizio degli utenti).

6.9 INDICATORI DI RISULTATO E REPORTING

Il tema degli indicatori di risultato è strettamente collegato a quello del REPORTING, che è un
insieme strutturato di report (rendiconti periodici di controllo), messo a disposizione del top
management e dei manager operativi ai vari livelli, per informarli sull’andamento della gestione.
Il contenuto del report non è identificabile in termini generali perché va adattato ad una serie di
fattori: strategia e struttura organizzativa, missione specifica e leve decisionali del destinatario, …

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Nell’ambito del reporting sono rilevanti:


- gli indicatori prescelti da utilizzare nel report per misurare le variabili rilevanti per il destinatario
- il meccanismo di controllo, ossia le modalità di confronto delle quantità rilevate, che possono
essere:
1) confronto tra quantità effettive e di budget (cioè tra risultati effettivi della gestione e
parametri interni assunti come modello di riferimento, da cui derivano gli scostamenti che
indicano le deviazioni già avvenute rispetto agli standard) il più caratteristico
2) confronto tra quantità effettive attuali e di periodi precedenti (cioè tra prestazioni attuali
e passate, al fine di percepire le tendenze in atto) il più tradizionale
3) confronto tra quantità prevedibili e di budget (cioè tra preventivi aggiornati o forecast e
budget iniziale, al fine di segnalare anticipatamente possibili risultati futuri e relativi
scostamenti) tipico del feed forward
4) confronto tra quantità interne ed esterne (cioè tra risultati aziendali e di altre aziende, per
verificare il posizionamento aziendale rispetto alle migliori performance e ai concorrenti).

In particolare, il confronto 4) è associato al concetto di benchmarking, che consiste in un’attività


sistematica di controllo della concorrenza mediante il confronto dei risultati aziendali con il livello
raggiunto dai corrispondenti indicatori presso realtà esterne.

Nei report, spesso si usano tutti i tipi di confronto perché essi danno informazioni non alternative,
ma complementari.

Le finalità principali del reporting sono:


- valutare le performance dell’azienda e dei suoi manager, attraverso la misurazione dei risultati
effettivamente conseguiti, confrontati con obiettivi prefissati;
- informare i manager sull’andamento di variabili significative ai fini delle decisioni e dell’azione.
Attraverso l’utilizzo di indicatori valutativi e informativi (anche di variabili non controllabili, purché
rilevanti per le decisioni del manager) è possibile quindi guidare le azioni dei manager e
responsabilizzarli sui risultati, affinché possono prendere le migliori decisioni.

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7. IL CDG DELLE ATTIVITA’ E DEI PROCESSI

7.1 L’AZIENDA VISTA ATTRAVERSO LE ATTIVITA’ E I PROCESSI

L’azienda richiede di essere amministrata e, per scopi di gestione, scomposta e analizzata in tanti
PROCESSI, cioè insiemi di attività (in sequenza o in parallelo) che danno luogo ad output definiti,
rivolti al perseguimento di precisi obiettivi.
Ciò significa dotare l’azienda di un sistema di controllo che non si basi su una divisione
dell’azienda di tipo organizzativo (articolazione in unità organizzative e aree funzionali) ma che si
basi su una gestione per processi, cioè su un approccio inter-funzionale e integrato della stessa.

Un reale approccio per processi richiede un particolare atteggiamento da parte dei vari CdR.
In generale, ogni CdR è fornitore di servizi a clienti, sia esterni che interni; con tale approccio si
riduce il rischio di ignorare le esigenze degli altri centri e di perdere di vista gli obiettivi finali.
Questo orientamento al cliente è innanzitutto un abito mentale che deve contraddistinguere i
comportamenti di tutti i membri dell’organizzazione.

Nello specifico, la GESTIONE PER PROCESSI deve:


1) disegnare con chiarezza la mappa dei principali processi (identificare tutti i principali processi
che compongono la gestione aziendale e delimitarne i confini)
2) riprogettare tali processi (eliminare attività inutili, razionalizzare attività indispensabili,
modificare la successione delle stesse, …)
3) riformulare le strutture organizzative (istituire organi appositi per presidiare singoli processi
[es. process manager] e adottare accorgimenti che consentano di ovviare agli inconvenienti
della logica organizzativa per funzioni)
4) rimettere in discussione i sistemi di CdG (estendere le misurazioni tipiche del CdG all’oggetto
processi a ai loro sub-sistemi elementari costitutivi, le attività).

I processi hanno un’ampiezza variabile, che dipende dal grado di aggregazione delle attività che li
compongono (es. macro-processo: logistica, aggregato minore: logistica in entrata).
I sub-sistemi elementari del processo sono le ATTIVITA’, insieme compiuto (omogeneo e
autonomo) di operazioni elementari (es. emissione di un ordine al fornitore).
Il concetto di attività come base del processo è estremamente importante perché la
razionalizzazione dei processi gestionali passa attraverso una ricomposizione delle attività, con
l’eliminazione di quelle inutili, il ridisegno di quelli inefficienti, la riformulazione della loro
sequenza lungo il processo.
es. di attività: attività di emissione fatture, attività di emissione ordini ai fornitori, attività di immagazzinaggio merci

Sono diversi i modelli di classificazione volti a definire la mappa dei processi:

- PORTER: li distingue in una generica catena del valore


Processi primari: logistica in entrata  operations  logistica in uscita  marketing e vendite  servizi al cliente
Processi di supporto e infrastrutturali: gestione risorse umane, sviluppo della tecnologia, approvvigionamento

- KAPLAN-NORTON: modello utile ai fini della BSC


Processi di gestione e delle operations: rapporti con i fornitori, produzione di beni e servizi, distribuzione e consegna
alla clientela, gestione dei rischi

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Processi di gestione dei clienti: selezione dei clienti, acquisizione di nuovi clienti, mantenimento dei clienti esistenti,
sviluppo delle relazioni con i clienti
Processi di innovazione: identificazione opportunità per nuovi prodotti e processi, gestione del portafoglio R&S,
progettazione e sviluppo nuovi prodotti e processi, lancio dei nuovi prodotti sul mercato
Processi di applicazione di norme giuridiche e sociali: impatto ambientale, salute e sicurezza, occupazione, progresso
collettività

Nella prassi, la distinzione di processi e sub-processi varia a seconda del tipo specifico di azienda;
un esempio di mappa di macro-processi di un’azienda industriale potrebbe essere:
- ciclo attivo (operazioni di acquisto e pagamento debiti ai fornitori)
- ciclo passivo (operazioni di vendita e incasso crediti dai clienti)
- ciclo di trasformazione
- finanza
- amministrazione e controllo
- investimenti
-gestione risorse umane

Alcuni processi coincidono con particolari aree funzionali; caratteristica comune ai vari processi è
la frequente inter-funzionalità, essi attraversano orizzontalmente le unità funzionali, nel senso che
l’obiettivo di processo è conseguibile solo con il contributo di più funzioni.

Direzione aree funzionali


generale

Marketing Amministrazione Finanza Affari


e Vendite legali

Processo “gestione crediti commerciali”

7.2 IL CDG DELLE ATTIVITA’ E DEI PROCESSI

Da un punto di vista logico, il CdG dei processi, chiariti i loro output ed obiettivi, richiede questi
elementi:

- scomposizione del processo nelle attività costitutive ed individuazione dei legami che le
avvincono
- identificazione dei CdR coinvolti nel processo e distribuzione tra loro delle attività che
compongono il processo (per capire “chi fa che cosa”)
- individuazione di opportuni indicatori di risultato del processo, per monitorarne efficacia
(indicatori di qualità e di tempo di ottenimento dei risultati del processo) ed efficienza
(indicatori di costo del processo, come l’ABC)
- responsabilizzazione dei manager sui risultati in questione (o attraverso l’istituzione di
responsabili di processo, “process owner”, o attraverso la responsabilità del capo-centro dei
risultati di sub-processi o di attività di competenza / la corresponsabilità dei risultati finali di
processo insieme ad altri soggetti)

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7.3 L’ABC COME STRUMENTO PER IL CONTROLLO DELL’EFFICIENZA DEI PROCESSI

L’Activity based costing (ABC) è una metodologia di determinazione dei costi utilizzata per la
determinazione del costo di prodotto, le cui fasi sono:
1) imputazione delle singole voci di costo di un certo periodo alle attività
2) individuazione del cost driver di ciascuna attività
3) quantificazione del cost driver in oggetto nel periodo considerato
4) determinazione del costo unitario (per unità di driver) di ogni attività
5) imputazione dei costi, di cui al punto precedente, ai prodotti, mediante moltiplicazione per
le unità di driver che questi comportano.
L’ABC risulta uno strumento molto utile ai fini del controllo dell’efficienza, in quanto consente di
calcolare i costi delle attività e dei processi anche indipendentemente dalla determinazione del
costo pieno di prodotto. In particolare, la fase della determinazione del costo totale e del costo
unitario (per unità di driver) di ogni activity non è altro che uno step del complessivo processo di
product costing.
In tal senso, le informazioni ricavabili da un approccio “activity based” si rivelano molto utili per
orientare le scelte del responsabile che può intervenire sulle attività che non aggiungono valore
oppure le decisioni di chi è impegnato nelle attività in cui vi sono disfunzioni; inoltre, la
conoscenza del driver dei costi delle varie attività consente di avere informazioni indispensabili per
influenzarli e gestirli.

L’identificazione dei cost driver è importante per due ragioni:


1) perché occorre disporre di un criterio attendibile di imputazione dei costi delle attività ai
prodotti;
2) perché l’individuazione della causa dei costi consente di adottare le azioni di miglioramento
idonee ad ottimizzare l’efficienza di gestione.
Le due motivazioni conducono all’identificazione di cost driver differenti:
1) il cost driver immediato (unità di misura del fabbisogno), che quantifica il fabbisogno di attività
e risorse che un prodotto presenta (si può collegare a una causa immediata)
è l’unità di misura del fabbisogno di attività che un prodotto manifesta
2) il cost driver ultimo (determinante dei costi delle attività), che consente l’intervento sulla
gestione (in quanto causa ultima dei costi che si vogliono ridurre)
 rappresenta la causa (ultima) di sostenimento dei costi indiretti, è utilizzato per migliorare l’efficienza della gestione

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L’utilizzo dell’ABC è preferibile in caso di:


- diversità nei volumi dei vari prodotti, - diversità nella complessità dei diversi processi produttivi.

Pregi dell’ABC: stima molto precisa dei costi; individuazione dei cost driver delle attività; soddisfazione del principio
causale
Limiti dell’ABC: sforzo notevole per l’azienda in termini di tempo necessario e di costo per l’implementazione (onerosità
delle rilevazioni)

7.4 L’ACTIVITY BASED MANAGEMENT (ABM)

La c.d. gestione basata sulle attività (ABM) è un sistema che individua nelle attività e nei processi
aziendali i nuclei su cui esercitare l’azione manageriale per migliorare l’efficienza e l’efficacia di
gestione. L’obiettivo prioritario è di utilizzare informazioni economico-finanziarie integrate con
altri parametri non monetari per effettuare scelte e indurre comportamenti gestionali orientati al
miglioramento continuo. Le informazioni di costo relative a tali attività provengono dall’ABC.
L’utilizzo combinato ABC-ABM, che porta a definire le determinanti/cause ultime dei costi
sostenuti per lo svolgimento delle attività, consente di assumere decisioni e realizzare interventi
sui processi utili a gestire i costi: miglioramento dei processi mediante eliminazione di attività che
non generano valore aggiunto o mediante riduzione di tempi e/o risorse impiegate,
riprogettazione prodotti, sostituzione/eliminazione prodotti, ridefinizione prezzi di vendita.
Gli strumenti operativi di cui si avvale il sistema ABM sono:
- l’analisi del valore nei processi, che attraverso l’individuazione delle attività che non aggiungono
valore (e non essenziali per il cliente finale) consente di migliorare i processi e ridurre i costi
- l’analisi della redditività, che grazie alle informazioni sui costi delle attività riferibili ai prodotti
offerte dall’ABC, consente di realizzare livelli di analisi parziale della redditività aziendale
riconducibili ai seguenti oggetti: segmento di mercato, cliente, ordine, prodotto (si effettuano cioè
aggregazioni di costi e analisi della redditività rivolte a ciascun oggetto).

7.5 LA COSTRUZIONE DEL BUDGET BASATO SULLE ATTIVITA’

L’approccio Activity Based è in grado di apportare importanti miglioramenti in materia di


budgeting dei costi non parametrici, perché si focalizza sulle attività e le collega funzionalmente
agli output prodotti.
L’Activity Based Budgeting (ABB), per la stima delle risorse necessarie a realizzare i programmi di
gestione inclusi nel budget, prevede:
a) il calcolo dei costi diretti (e parametrici) rispetto ai vari prodotti/output come
volume di produzione programmato x costo standard unitario
b) il calcolo dei costi indiretti (e non parametrici) come
valori di produzione programmato x fabbisogno di attività di supporto alla x fabbisogno di risorse corrispondenti
di ciascun prodotto produzione e di attività di struttura a tali attività

Conoscendo, grazie alle rilevazioni dell’ABC:


- i costi totali di ogni attività nel periodo considerato
- i volumi di attività (in unità di driver) totali e suddivisi per prodotto nel medesimo periodo,
oltre che con la conoscenza dei volumi di produzione di ciascun prodotto in tale periodo, si può:
- ricostruire la quantità di attività indirette che un programma di produzione di ogni prodotto
richiede,
- risalire alla quantità di risorse richieste da ciascuna attività,

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- calcolare approssimativamente il costo totale di budget di ciascuna attività generatrice di costi


indiretti.

L’approccio al budgeting secondo l’ABB si mostra utile in quanto valorizza in termini di costi e
quantifica in unità fisiche (ore di lavoro, n. di persone, …) il normale fabbisogno di risorse indirette
generato dai programmi di produzione.
L’ABC misura l’assorbimento di risorse da parte delle attività svolte all’interno dei processi
aziendali.
Bisogna specificare però che è molto difficile che risorse rigide come quelle da cui derivano i costi
indiretti possano essere prontamente flessibilizzate (come il personale). A riguardo il valore ABC
dei costi considerati esprimerà non tanto l’importo da iscrivere a budget ma piuttosto il valore
dell’ equo fabbisogno di risorse a regime, allorché l’azienda si sarà alleggerita o avrà integrato tali
risorse secondo le proprie esigenze.

fabbisogno risorse indirette quantificato con l’ABC

confronto con quantità di risorse attualmente in carico

possibile situazione di eccesso di capacità produttiva


passa del tempo (anche anni)
riduzione risorse in eccesso

ABC  strumento di guida che aiuta i manager a dimensionare nel lungo periodo le risorse indirette secondo criteri
tecnico-economici

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8. LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA E LA VALUTAZIONE ECONOMICA


DELLE STRATEGIE

8.1 LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA (PS): LOGICHE E CONTENUTI

La PS è un sistema direzionale che permette di definire gli obiettivi di fondo dell’azienda nel lungo
periodo (mission) e i piani d’azione con cui raggiungerli.
definizione degli obiettivi strategici (scelte di business) + modalità di realizzazione delle strategie (loro traduzione nella
pratica)
La PS sta a monte del CdG, in quanto questo è un sistema direzionale di monitoraggio dei risultati,
rispetto agli obiettivi definiti in sede di PS, che si realizza nelle fasi di budgeting e di reporting.

PS CdG
Orizzonte temporale Lungo periodo (pluriennale) Breve periodo (annuale e infra-annuale)

Scopi Esplicitare i risultati attesi e con quali azioni Guidare i manager verso tali risultati
raggiungerli
Output del processo Piani d’azione o iniziative strategiche Programmi operativi, entro i confini dei
piani
Soggetti coinvolti Top management e staff di pianificazione Top e middle management, con la
collaborazione del controller
Tipo di attività mentale Analitica e creativa Gestionale e persuasiva

Tipo di processo Regolare e formalizzabile solo entro certi limiti Regolare, formalizzabile

8.2 LE FASI E GLI STRUMENTI DELLA PS

La PS è un sistema direzionale meno strutturabile e formalizzabile rispetto al CdG, ciò dipende dal
fatto che essa deve far fronte a molteplici problemi di strategia, derivanti dall’esterno
dall’ambiente competitivo in cui opera l’azienda e dalla sua rapida e poco prevedibile evoluzione.
Il processo di PS comunque può essere inteso come quell’insieme di attività direzionali con cui:
A. SI ESPLICITANO GLI OBIETTIVI DI FONDO DELLA GESTIONE
B. SI ESPLICITANO LE PRINCIPALI INTENZIONI STRATEGICHE
C. SI FORMULANO LE INIZIATIVE STRATEGICHE E I PIANI DI AZIONE CON CUI ATTUARE TALI
INTENZIONI
D. SI STIMANO I RISULTATI ATTESI DAI PIANI.

Al fine di migliorare le scelte strategiche di fronte alla complessità ambientale, sottraendole al solo
intuito e all’improvvisazione, e di supportare validamente le capacità strategiche dei manager
(doti personali per il successo aziendale come idee, intuizioni, capacità previsionale e di anticipare
i concorrenti), si richiedono opportuni studi e analisi aventi ad oggetto l’ambiente di riferimento
dell’azienda (economico, politico, socio-culturale, tecnologico, …); questi sono fondamentali
soprattutto nella fase di creazione di una strategia e ricomprendono:
- una valutazione attuale e prospettica della situazione economica, politica e sociale, nazionale ed
internazionale (tendenze evolutive dei sistemi socio-economici, perlopiù variabili macro-
economiche)
- la definizione dei principali indicatori socio-economici (tassi di interesse, di inflazione, PIL, indici

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del costo del lavoro e dei prezzi di materie prime, …)


- l’identificazione dei più rilevanti vincoli/opportunità esterni (norme su lavoro, inquinamento e
sicurezza, opportunità di crediti agevolati, vincoli/stimoli alla localizzazione produttiva, …).

8.3 ALCUNI STRUMENTI DI ANALISI STRATEGICA PER LA CREAZIONE O


L’ATTUAZIONE DELLE STRATEGIE DI BUSINESS

1) Analisi dell’attrattività del business: si propone di esprimere un giudizio attendibile sulla


bontà di un dato settore in termini di opportunità per l’azienda di permanervi/entrarvi;
l’attrattività di un business dipende dalla sua redditività, che è il risultato di 5 fattori
determinanti di settore (forze competitive): concorrenti attuali e potenziali, prodotti
sostitutivi, clienti, fornitori.
Dall’analisi delle minacce/opportunità insite in tali forze emergono indicazioni utili ai fini della
strategia.
2) Analisi della posizione competitiva dell’azienda: consiste nel verificare punti di forza e di
debolezza dell’azienda rispetto ai concorrenti del business. L’analisi del profilo competitivo
dell’azienda richiede l’individuazione del vantaggio competitivo su cui fare leva e che si intende
perseguire, che può essere un vantaggio di costo (svolgimento dei processi aziendali in
condizioni di efficienza economica più vantaggiose di quelle della concorrenza) e/o di
differenziazione (offerta di prodotti con caratteristiche percepite dai clienti come uniche 
efficacia). modello del vantaggio competitivo di Porter
Individuato il vantaggio competitivo, occorre individuare i Fattori Critici di Successo (FCS) cioè
le variabili su cui fare leva per ottenere, mantenere e rafforzare quel vantaggio.
I FCS vanno ricercati all’interno dei processi di gestione aziendale (c.d. catena del valore), è
cioè al loro interno che si valuteranno i punti di forza/debolezza dell’azienda da valorizzare,
sfruttare/correggere, eliminare per competere in un business.
3) Analisi delle alternative di percorso strategico: è necessaria per scegliere quale tra le possibili
alternative di sviluppo strategico dovrà essere seguita (es. crescere o mantenere la posizione
raggiunta? sfruttare la situazione o disinvestire?); per supportare tali scelte si può far
riferimento a strumenti come la matrice di posizionamento-attrattività che colloca i business in
4 categorie secondo 2 dimensioni (tasso di crescita del mercato e quota di mercato relativa),
per cui il percorso da seguire è in funzione del profilo finanziario del business a un certo stadio.

Matrice di posizionamento-attrattività del Boston Consulting Group


Riquadro A:
quota di mercato bassa – tasso di crescita alto
flussi finanziari tendenzialmente negativi
TASSO DI CRESCITA DEL MERCATO

ALTO B A Riquadro B:
(STAR) (QUESTION quota di mercato alta – tasso di crescita alto
MARK) flussi finanziari tendenzialmente nulli

Riquadro C:
quota di mercato alta – tasso di crescita basso
flussi finanziari tendenzialmente positivi

BASSO C D Riquadro D:
(CASH COW) (DOG) quota di mercato basso – tasso di crescita
basso
flussi finanziari tendenzialmente nulli

ALTA BASSA
QUOTA DI MERCATO RELATIVA

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4) Analisi del portafoglio strategico: l’azienda definisce un portafoglio, cioè un insieme di


business, caratterizzato da condizioni di equilibrio interno e quindi idoneo a garantire il
raggiungimento degli obiettivi dell’azienda nel suo insieme (si ricompongono in un quadro
d’insieme i diversi business); nelle scelte di portafoglio l’esigenza da soddisfare è quella
dell’equilibrio di portafoglio (inteso in senso finanziario).

8.4 A) L’ESPLICITAZIONE DEGLI OBIETTIVI DI FONDO DELLA GESTIONE

E’ la prima fase del processo di pianificazione; generalmente in un’impresa operante sul mercato, i
cui proprietari sono motivati da attese di soddisfacente e congrua remunerazione del capitale
conferito, il profitto o più in generale i risultati economico-finanziari rappresentano l’obiettivo
primario.
Tuttavia, va rilevato che:
1) i risultati economico-finanziari sono variamente esprimibili. In particolare, le attese dei
proprietari sono esprimibili:
- attraverso indicatori contabili di equilibrio economico-finanziario: ROE e ROI (indicatori di
redditività del capitale), reddito netto, reddito operativo, cash flow, misure di sviluppo o crescita
aziendale (in termini di ricavi di vendita, valore aggiunto, capitale investito, …), utile per azione
- attraverso indicatori di valore economico creato dalle strategie: cioè il valore economico del
capitale creato da strategie di business o di portafoglio e determinato mediante l’attualizzazione di
flussi finanziari o di flussi economici futuri
2) le attese dei proprietari vanno verificate alla luce delle attese di altri soggetti interessati alle
vicende e ai risultati aziendali (stakeholders): gli obiettivi economici dei portatori di capitale di
rischio (obiettivi primari) vanno rapportati con le aspettative dei clienti, il cui soddisfacimento è
condizione primaria per la remunerazione adeguata degli azionisti (obiettivi secondari), e con le
aspettative degli altri soggetti come dipendenti, fornitori ,finanziatori e collettività, che incidono in
vario modo sul processo di creazione di ricchezza.
Gli obiettivi, fissati sia a livello di business che di azienda, vanno esplicitati con chiarezza, diffusi ai
vari livelli della struttura e quantificati nei limiti del possibile.

8.5 B) L’ESPLICITAZIONE DELLE INTENZIONI STRATEGICHE E LA MAPPA STRATEGICA


DI BUSINESS

Per intenzioni strategiche si intendono le decisioni con cui la direzione dà un volto durevole
all’azienda, relativamente ai suoi business, e si propone di competere sul mercato; esse hanno ad
oggetto:
- i prodotti da collocare sul mercato (CHE COSA)
- i segmenti di mercato da servire con tali prodotti (CHI)
- le modalità con cui realizzare tali prodotti e collocarli sul mercato (COME).
Poiché le intenzioni devono poi tradursi in iniziative concrete, per garantire coerenza e
integrazione tra l’aspetto concettuale e quello pratico è possibile ricorrere a mappe strategiche,
che declinano gli indirizzi di fondo della gestione in un sistema di FCS analizzati nelle prospettive di
azionisti, clienti, processi, sviluppo organizzativo, gettando quindi un ponte tra idea e azione.

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8.6 C) LA FORMULAZIONE DELLE INIZIATIVE STRATEGICHE O PIANI D’AZIONE

La mappa strategica di ciascun business si propone di individuare i fattori-chiave su cui agire per
attuare correttamente la strategia. Le iniziative strategiche o piani d’azione sono scelte di livello
più operativo, conseguenti alle indicazioni della mappa.
Le iniziative strategiche sono tradizionalmente distinte in:
- programmi e processi in corso di esecuzione (azioni strategiche già intraprese, sottoposte a
revisione critica per adeguare l’azienda a nuove condizioni di mercato e d’ambiente, senza
modifiche radicali alla strategia di business prescelta: programmi di ridimensionamento o
ristrutturazione di unità organizzative, processi operativi, prodotti)
- nuovi programmi (progetti e programmi discrezionali di durata definita e a contenuto innovativo,
perché consentono la traduzione in pratica delle intenzioni strategiche e il cambiamento richiesto
dalla strategia: oggetto del loro contenuto sono le risorse occorrenti, fasi e tempi di esecuzione,
responsabilità organizzative).

8.6 D) LA STIMA DEI RISULTATI ATTESI DAI PIANI

Chiarite intenzioni e iniziative strategiche, si procede alla previsione dei risultati attesi,
relativamente ad un arco di tempo che normalmente va dai 3 ai 5 anni; essi comprendono i
risultati economico-finanziari e i vari target riguardanti le attese dei clienti, l’eccellenza dei
processi, lo sviluppo organizzativo.
I risultati economico-finanziari sono accolti nei bilanci preventivi pluriennali, che consentono di
tradurre la strategia dell’azienda, nell’arco di tempo considerato, nei relativi conti economici,
prospetti dei flussi finanziari, stati patrimoniali.
Per redigere i bilanci preventivi occorre definire il modello della gestione operativa o caratteristica
di ciascun business, con la chiara esplicitazione dei driver dei risultati attesi futuri. Tale modello,
per risultare corretto, va articolato in due parti:
1) il modello economico di gestione correlato ai prodotti/clienti, che nell’arco pluriennale previsto
dal piano riflette a) le attività di vendita e produzione di prodotti esistenti o nuovi (già previsti), b)
le altre attività di gestione operativa, di tipo amministrativo, commerciale, generale
2) il modello economico di gestione collegato alle iniziative strategiche prescelte e ai relativi
progetti, che include a) il modello di generazione dei ricavi di vendita dei prodotti, b) il fabbisogno
di risorse e di generazione dei costi della gestione operativa e degli investimenti collegati, c) il
modello di fabbisogno di risorse e di generazione dei costi e degli investimenti dei progetti
attuativi delle iniziative strategiche e dei programmi di razionalizzazione dei processi e prodotti già
in corso

La PS si estrinseca, da punto di vista formale, in un documento chiamato in vari modi (piano


strategico o pluriennale, piano industriale, business plan) che contiene:
- la descrizione della strategia in essere
- le intenzioni strategiche, corredate della corrispondente mappa strategica
- le iniziative strategiche ei progetti attuativi delle stesse
- i risultati attesi con i relativi driver.
Il piano pluriennale si conclude con un bilancio preventivo, di cui il 1° anno corrisponde al budget.

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8.8 PS E VALUTAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA DELLE STRATEGIE

Esistono due modelli tipici di espressione degli obiettivi aziendali e, quindi, di valutazione delle
strategie:
a) il MODELLO CONTABILE, basato su indicatori di bilancio come il ROE e il ROI, che fa dipendere il
giudizio di convenienza di una strategia e del corrispondente piano dalla loro idoneità a
raggiungere certi obiettivi, espressi mediante indicatori contabili (ricavabili da bilanci preventivi)
quali sono tipicamente il ROE (a livello di azienda) ed il ROI (a livello di business).
b) il MODELLO DI CREAZIONE DEL VALORE, basato sulla misurazione del valore economico del
capitale, creato (o distrutto) da una strategia, che fa dipendere il giudizio in oggetto dalla capacità
della strategia di creare valore economico (e non solo contabile) per i proprietari; il calcolo del
valore economico creato si basa sull’attualizzazione di grandezze-flusso (cash flow) conseguenti
alla realizzazione di determinati disegni strategici. Si tratta di un modello concettualmente più
corretto del precedente, perché tiene conto dei fattori tempo e rischio.

8.9 IL MODELLO CONTABILE DI VALUTAZIONE DELLE STRATEGIE

A livello di business il modello consente di esprimere in forma sintetica i risultati attesi dalle
corrispondenti strategie; tale valutazione di sintesi avviene tramite il calcolo delle redditività
attesa, espressa in termini di ROI, e il suo confronto con un parametro di accettazione predefinito.
L’arco temporale considerato di solito coincide con l’orizzonte del piano pluriennale.
A livello di azienda, il modello permette valutazioni strategiche più ampie, che abbracciano tutte le
macro-aree di gestione rilevanti per l’azienda. In tal caso si usa, di norma, il ROE, che consente di
esprimere sinteticamente i risultati attesi dalle scelte operative, finanziarie e di altra natura.
Le critiche al modello contabile come strumento di valutazione delle strategie sono:
a. essendo basato su indicatori di natura contabile, risente delle convenzioni che ne sono alla
base (ROE e ROI sono parametri inadeguati ad esprimere la c.d. redditività economica,
considerata l’unica vera misura del contributo di una strategia alla ricchezza dell’impresa)
b. trascura i riflessi delle strategie che superano l’orizzonte temporale del piano, limitando
l’orizzonte preso in esame all’arco temporale coperto dai piani
c. risente degli avvenimenti passati e dei risultati conseguiti in passato in modo fuorviante
(anche se il problema riguarda in realtà le modalità di definizione degli obiettivi passati con
cui confrontare i risultati attesi dalle strategie)
d. non considera adeguatamente la variabile rischio
e. non considera il valore economico della variabile tempo
f. non tiene conto adeguatamente delle opportunità che un’iniziativa presa oggi potrà offrire in
futuro (incapacità di valutare le relazioni tra investimenti di oggi e opportunità di domani)
g. non facilita una lettura di sintesi dei risultati attesi dalle strategie (mancanza di una
valutazione sintetica globale).

In definitiva se è vero che il modello contabile presenta diversi limiti come strumento per una
valutazione di sintesi delle iniziative strategiche, d’altra parte alcuni degli inconvenienti
addebitatigli sono più il frutto di prassi aziendali scorrette che di carenze del modello.

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8.10 IL MODELLO DELLA CREAZIONE DEL VALORE

Tale modello si ispira a una logica di fondo secondo cui, per rimuovere le cause di inadeguatezza
del modello contabile, occorre determinare il valore economico delle strategie, cioè il loro
contributo all’incremento di valore dell’azienda.
Il valore economico di una strategia dipende dai benefici economici che essa è in grado di produrre
in futuro. Per determinare tale valore è necessario:
a) calcolare i flussi di ricchezza collegati alla strategia e variamente dislocati nel tempo;
b) calcolare il tasso di rendimento con cui attualizzare tali flussi;
c) procedere alla suddetta attualizzazione secondo le regole della matematica finanziaria.
Il tasso di attualizzazione coincide con il cosiddetto “costo medio del capitale” che è il costo che
l’azienda sostiene per reperire i mezzi finanziari.

a) Flussi di ricchezza attesi = flussi di cassa netti della gestione operativa


Ricavi delle vendite-
Costi operativi =
Reddito operativo -
Imposte sul reddito =
Reddito operativo netto +
Ammortamenti +
Δ Capitale circolante operativo +
Δ Capitale fisso
Flusso di cassa netto della gestione operativa

b) Tasso di attualizzazione = costo medio del capitale (costo che l’azienda sostiene per reperire i mezzi finanziari)

Capitale _ proprio Capitale _ di _ credito


cm k e i
Totale _ mezzi _ finanziari Totale _ mezzi _ finanziari

c m = costo medio del capitale k e = costo del capitale proprio (K equity) i = costo del capitale di credito

Il tasso di attualizzazione viene fissato ad un livello corrispondente al tasso minimo di remunerazione ritenuto
soddisfacente dai finanziatori dell’azienda.
Il costo del capitale proprio indica la remunerazione del capitale di pieno rischio e va determinato tenendo conto del
rischio collegato all’investimento di un capitale nell’azienda

k e rf  p
r f = risk-free rate, il tasso di rendimento di investimenti privi di rischio
p = premio per il rischio preteso dal mercato per investimenti rischiosi

c) L’attualizzazione è l’operazione con cui si esprime il valore attuale dei flussi finanziari futuri

f1  (1  r ) 1  f 2  (1  r ) 2  ...  f n  (1  r )  n

Per delineare in maniera mirata il processo di attualizzazione, bisogna fare riferimento alla PS e
alle strategie che con essa si sono esplicitate e rese operative.
A tal fine occorre:
1) stimare il capitale azionario iniziale (in assenza di strategia)
2) stimare il capitale azionario derivante dalle strategie

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3) stimare il valore creato dalle strategie (= esprimere l’attitudine di una strategia a creare
valore per gli azionisti) e fare le relative scelte.

1) Il capitale azionario iniziale rappresenta il valore che si avrebbe nell’ipotesi che l’azienda non
sfruttasse le opportunità associate ad eventuali iniziative strategiche che si stanno delineando.
Esso viene stimato:
- attualizzando il flusso di cassa del periodo più recente, cioè il flusso monetario attualmente
prodotto dalla gestione (assumendo che esso si perpetui all’infinito), con la formula della rendita
perpetua f0/r (f0 = flusso di cassa del periodo più recente, r = tasso di attualizzazione)
- sottraendo al valore ottenuto, che rappresenta il valore economico dell’intero capitale investito
(e non del solo capitale di rischio) il valore dei debiti:

Valore economico del capitale in assenza di strategie = Valore economico del capitale investito - Valore dei debiti

2) Per stimare il valore del capitale azionario derivante dalle strategie, si deve procedere in 3 fasi:
a. calcolare i flussi di cassa per un arco temporale di durata tale da permettere agli investimenti
programmati di dispiegare i loro effetti in termini di variazione delle vendite e del margine
operativo, in modo da calcolare il c.d. valore attuale dei flussi di cassa del piano
b. determinare il flusso di cassa “a regime” cioè quello che presumibilmente si otterrà quando i
programmi strategici saranno pienamente operativi, in modo da calcolare il c.d. valore
residuo della strategia
c. risalire all’entità del capitale azionario come somma dei valori ottenuti ai due punti
precedenti al netto dell’eventuale indebitamento.

Valore economico del capitale = Valore attuale + Valore attuale del capitale investito - Valore dei debiti
azionario derivante dalla dei flussi di all’orizzonte di valutazione nell’anno 0
strategia cassa di piano (valore residuo)

3) Il contributo atteso da una strategia alla variazione di ricchezza degli azionisti risulta dalla
differenza tra il valore economico del capitale azionario in assenza di nuove strategie ed il valore
economico dello stesso conseguente all’attuazione di una data iniziativa strategica:

Variazione di ricchezza = Valore economico del capitale azionario - Valore economico del capitale azionario
dell’azionista derivante dalla strategia in assenza di strategia
(X -Y) (X) (Y)

Riguardo le decisioni in merito a quali strategie attuare, calcolato il valore da esse prodotto,
occorre distinguere 3 situazioni:
a. scelta in presenza di strategie indipendenti: configura la situazione in cui le strategie oggetto
di valutazione riguardano iniziative autonome (non alternative in uno stesso progetto
strategico) per le quali l’azienda dispone dei mezzi finanziari necessari alla loro attuazione:
dovranno essere accettate tutte le iniziative strategiche che creano valore (X > Y)
b. scelta in presenza di strategie alternative: indica la situazione in cui, pur in presenza di
risorse finanziarie sufficienti, si deve scegliere tra due o più alternative finalizzate a uno
stesso disegno strategico, facendo ricadere la scelta sull’iniziativa da cui ci si attende, in
valore assoluto, il contributo più alto alla creazione di ricchezza
c. scelta in presenza di strategie concorrenti: riguarda le situazioni caratterizzate da scarsità di
capitale, poiché i mezzi finanziari non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno richiesto
dalle diverse iniziative strategiche considerate, occorre scegliere la strategia che, in termini
relativi, offre un maggior contributo alla creazione di ricchezza; a tal fine, per ordinare le

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diverse strategie si calcola per ciascuna di esse un indice (Value ROI = Valore creato dalla
strategia / Valore dell’investimento richiesto per la sua attuazione) e si scelgono le strategie
con il Value ROI più alto, fino ad esaurimento delle risorse finanziarie disponibili.

VANTAGGI DEL MODELLO


- è svincolato da convenzioni contabili
- abbraccia un orizzonte temporale abbastanza ampio da ricomprendere i principali effetti attesi
dalle iniziative strategiche
- tratta in modo concettualmente rigoroso e formalizzato la variabile rischio
- non risente di condizionamenti del passato (segue una logica differenziale)
- considera il valore finanziario del tempo
- permette una lettura di sintesi dei risultati attesi dalle strategie

LIMITI DEL MODELLO


- ha difficoltà nella stima dei flussi di cassa per un arco temporale piuttosto ampio
- è fondato su metodologie poco diffuse in Italia e non esenti da critiche
- è incapace di valutare adeguatamente le conseguenze di iniziative da cui possono derivare, in
futuro, favorevoli opportunità di creazione di ricchezza

EVA
Tra gli altri metodi alternativi ve ne è uno basato sull’attualizzazione di flussi economici (anziché
finanziari, come nel metodo della creazione del valore) che si basa sull’attualizzazione di grandezze
denominate EVA (Economic Value Added, valore economico aggiunto d’esercizio) e porta a
risultati analoghi al metodo dei flussi finanziari, in quanto considera ma combina diversamente le
stesse variabili.
Secondo il metodo dell’EVA, per determinare il valore creato (cioè creabile in prospettiva)
complessivamente da una strategia occorre determinare il valore attuale dei flussi economici EVA
attesi (alla luce dell’evoluzione del contesto competitivo del business e dell’alternativa strategica
perseguita), con la formula:

Valore economico creato (VEC) =  EVA (1  c
1
i m ) i

EVAi = valore economico operativo creato nell’esercizio i-esimo


c m = costo medio del capitale

Ricavi delle vendite


- Costi operativi
= Reddito operativo
- Imposte sul reddito
= Reddito operativo netto (netto imposte)
- Costo figurativo del capitale investito netto (CIN x K)
= EVA (Valore economico aggiunto d’esercizio)

L’EVA esprime il divario tra il reddito operativo conseguibile in un dato periodo futuro da una
strategia ed il costo da sostenere per remunerare il capitale investito.
Con il metodo EVA si ottiene direttamente l’ammontare del valore che una strategia è in grado di
creare, a differenza del modello della creazione del valore (differenza tra valore economico del

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capitale investito nel business con la strategia alternativa e l’analogo valore economico con la
strategia in essere).

8.11 IL MODELLO DEL VALORE E LA VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI

I progetti di investimento (impieghi durevoli di capitale) devono essere trattati alla stregua delle
strategie di business; se il modello di creazione del valore è il più corretto per valutare una
strategia, la stessa logica deve applicarsi alla valutazione dei progetti di investimento.
L’investimento infatti rappresenta un “pezzo” di strategia.

Diversi sono gli approcci e i metodi usati per valutare gli investimenti, in tal senso vanno distinte
varie tipologie di investimento, all’interno di due categorie principali, investimenti tradizionali e
non tradizionali, per ciascuno dei quali valgono metodi di valutazione differenti.

Metodo Significato Modalità di calcolo


TRM – Tasso di rendimento medio Redditività contabile del capitale Rapporto tra Reddito operativo
annuo (o contabile) mediamente investito nel progetto medio al netto delle imposte dirette e
Investimento netto medio in capitale
fisso e circolante  ROI

VAN – Valore attuale netto Incremento (o decremento) di n

ricchezza generato dall’investimento VAN = f


i 1
i (1  cm ) i  C
valutato come se fosse
immediatamente disponibile
TIR – Tasso interno (o effettivo) di Tasso che rende i flussi attualizzati Determinazione tramite un processo
rendimento generati dall’investimento pari iterativo, del tasso “r” che soddisfa la
all’esborso iniziale seguente uguaglianza:
n
C  f i (1  r ) i
i 1
TRA – Tasso di rendimento Beneficio di un investimento n
attualizzato (profitability index) espresso in termini relativi come f i (1  cm )  i
rapporto tra valore attuale “lordo” TRA= i 1

del progetto e investimento iniziale C

C = valore dell’esborso iniziale


f i = flusso di cassa generato dal progetto nell’anno i
c m = costo medio ponderato del capitale
r = tasso di rendimento interno del progetto
n = anni di durata del progetto

A) Valutazione di investimenti industriali di tipo “tradizionale”


I metodi di valutazione più diffusi sono raggruppabili in due categorie, a seconda che si basino
(VAN, TIR, TRA) o meno (TRM) sulle logiche finanziarie dell’attualizzazione.
TRM: risente degli stessi limiti del ROI quale parametro di valutazione dei piani strategici (= ROI di un investimento al
netto delle imposte), nel valutare l’economicità di un progetto di durata pluriennale, caratterizzato da flussi in entrata
ed in uscita variamente distribuiti nel tempo. L’inadeguatezza a misurare l’attitudine di un investimento a creare
ricchezza per l’azionista ne sconsiglia l’uso nella valutazione degli investimenti industriali
VAN, TIR, TRA: metodi basati su flussi monetari (non di reddito), considerano sia il valore finanziario del tempo sia il
rischio associato ai singoli progetti di investimento, dimostrandosi coerenti con i principi che presiedono alla
valutazione finanziaria delle strategie. In particolare, VAN e TRA rispondono alle stesse logiche del modello del valore.

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- investimenti INDIPENDENTI: il calcolo del VAN offre un criterio di scelta immediato portando ad
accettare i progetti con VAN positivo ed a rifiutare quelli con VAN negativo.
- investimenti ALTERNATIVI: il VAN rappresenta il criterio di scelta migliore, accettando il progetto
con il VAN positivo maggiore.
- investimenti CONCORRENTI: quando i mezzi finanziari sono insufficienti a finanziare tutte le
alternative potenzialmente valide, nella valutazione dei singoli progetti si ricorre al TRA (valore
attuale lordo dei flussi generati dal progetto / valore attuale dell’investimento iniziale). Così, il
valore atteso da una iniziativa d’investimento viene rapportato al capitale investito, evidenziando
in termini relativi il contributo delle varie iniziative alla creazione di valore; i progetti di
investimento, in ordine di TRA decrescente, sono selezionati fino ad esaurimento delle risorse
disponibili.
Spesso, per valutare gli investimenti, viene utilizzato il TIR anche al posto dello stesso VAN, forse
perché psicologicamente piace di più determinare il rendimento % di un investimento, rispetto ad
un dato in valore assoluto.
Tuttavia, il VAN ha una maggiore coerenza con le logiche che ispirano la valutazione finanziaria
delle strategie e rappresenta il metodo migliore di valutazione degli investimenti industriali;
inoltre, se per gli investimenti indipendenti, VAN e TIR conducono allo stesso risultato, per gli
investimenti alternativi VAN e TIR possono condurre a risultati contrastanti (e si preferisce il VAN),
mentre per gli investimenti concorrenti il TIR non è un criterio valido e si opta per il TRA.

B) Valutazione di investimenti “non tradizionali”


La superiorità del VAN viene meno quando la valutazione riguarda iniziative di investimento non
tradizionali (ad es. quelle in tecnologie di produzione a forte componente micro-elettronica e in
attività di ricerca).
Infatti, risulta difficile fare una stima attendibile dei flussi di cassa associati ai progetti in situazioni
caratterizzate da rilevanti componenti di difficile o impossibile quantificazione: l’importanza dei
BENEFICI INTANGIBILI derivanti da una maggiore flessibilità produttiva, dall’acquisizione di un
vantaggio competitivo di tipo tecnologico, dall’opportunità di sfruttare risultati di ricerca per
entrare in nuovi business, …, rende poco significativa una valutazione basata sul VAN.
Il problema principale è quello di adattare sul piano teorico ed operativo il VAN e gli altri metodi di
scelta basati sui flussi di cassa scontati.
In particolare, il problema consiste:
- nella difficoltà di tali metodi di misurare i benefici diretti degli investimenti in nuove tecnologie,
riconducibili a miglioramenti di efficacia sotto varie forme (innalzamento della qualità, riduzione
dei tempi di attraversamento, maggiore flessibilità); la quantificazione di questi aspetti si basa
sulla rilevazione degli effetti che concretamente tali benefici comportano (qualità  riduzione
degli scarti, delle rilavorazioni, degli interventi di assistenza tecnica e delle stazioni di controllo;
tempi di attraversamento ridotti  riduzione delle scorte di semilavorati; maggiore flessibilità 
maggiore flessibilità di volume, di prodotto, di mix, …)
- nell’esigenza di tener conto dei possibili sviluppi delle attuali iniziative di investimento, cioè le
ricadute future il cui manifestarsi è incerto e le decisioni future di sfruttarne le opportunità e
potenzialità; in tal senso, è molto promettente l’approccio del valore attuale allargato.

8.12 MODELLO DEL VALORE E SISTEMA DI CDG

Entrambi i modelli di valutazione delle strategie richiedono la predisposizione di un sistema di


controllo idoneo a presidiare risultati di BREVE e LUNGO periodo, che

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• nel caso del MODELLO CONTABILE sono:


- ottenimento di dati livelli di ROI (o di altro indicatore) nel breve termine
- ottenimento di dati livelli di ROI nella gestione futura, relativi al lungo termine
• nel caso del MODELLO DEL VALORE sono:
- creazione del valore nel breve termine (gestione corrente)
- creazione del valore futuro, riferita al lungo termine.

BREVE PERIODO
Il MODELLO CONTABILE definisce gli obiettivi di Budget in termini di indicatori noti, di cui il ROI è
l’indice più rappresentativo a livello di business.
Il MODELLO DEL VALORE definisce gli obiettivi annuali in termini di flusso di cassa della gestione
operativa atteso per l’anno di budget.

ROI netto Flusso di cassa operativo netto

Reddito operativo netto Reddito operativo netto


/ Capitale investito netto a fine anno * + Variazione capitale fisso
(CIN iniziale + Variazione capitale fisso - Ammortamenti + Ammortamenti
+ Variazione capitale circolante netto) + Variazione capitale circolante netto
* elementi di differenziazione

Le variabili/determinanti del ROI e del flusso di cassa della gestione operativa sono
sostanzialmente le stesse, per cui se gli andamenti gestionali effettivi differissero da quelli
ipotizzati a budget, i due metodi e i relativi indici (indice di redditività e flusso di cassa)
segnalerebbero lo stesso scostamento.

LUNGO PERIODO
Nel MODELLO CONTABILE, il controllo fatto oggi sull’esistenza o meno dei presupposti per
ottenere i risultati futuri sperati, ricade su indicatori come ROI e ROE, con i relativi limiti già
trattati.
Nel caso del MODELLO DI CREAZIONE DEL VALORE, premesso che qualunque sia il metodo di
valutazione utilizzato (monetario o non monetario: flussi di cassa gestione operativa o EVA)
l’approccio del valore porta a conclusioni analoghe, ai fini dell’impatto sul sistema di controllo
occorre far riferimento al metodo dell’EVA:
EVA (flussi da attualizzare c.d. EVA) = Reddito operativo netto - Costo del capitale (valore assoluto totale)
oppure
EVA = (ROIN - cm) x CIN
ROIN = redditività operativa netta del capitale investito
cm = tasso di costo medio del capitale
CIN = capitale investito netto

Gli indicatori di creazione del valore futuro, con cui il CdG deve accertare se si stanno creando già
nel presente i presupposti per ottenere in futuro flussi di EVA soddisfacenti e durevoli, devono
segnalare:
– se l’azienda sta operando correttamente per ottenere in futuro adeguati divari, in termini di
entità e durata, tra redditività e costo del capitale
– se, nell’investire il capitale necessario, l’azienda sta intraprendendo iniziative di sviluppo
appropriate.
Sebbene gli indicatori di risultato di gestione strategica (riguardanti attese dei clienti, eccellenza
dei processi, sviluppo organizzativo) mantengono inalterata la loro validità anche come indicatori

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di creazione del valore nel lungo periodo, in quanto convergono nell’ottimizzare l’entità e la
durabilità della differenza futura tra redditività e costo del capitale, vi sono due indicatori
particolarmente significativi (enfatizzati dal modello del valore e sottovalutati e ignorati dal
modello contabile): gli indicatori di RISCHIOSITA’ e SVILUPPO.

RISCHIOSITA’
– Rischio sistematico: rischio gravante sull’azienda che non può essere eliminato neanche tramite
una diversificazione di portafoglio finanziario da parte dell’investitore; tale rischio è influenzato
soprattutto da caratteristiche proprie di determinati business e/o settori (e non da specificità
tipiche dell’azienda). Al diminuire del rischio sistemico, il tasso di costo del capitale tende a ridursi.
– Rischio specifico: grava sull’azienda in relazione ad aspetti che ne contraddistinguono la
struttura e la dinamica gestionale, e che si riflettono sui risultati attesi futuri (rischio elevato 
forte incertezza sui flussi attesi; ad es. obsolescenza tecnologica degli impianti, forte dipendenza
da pochi clienti, insostituibilità di certe risorse critiche come manager con doti di leadership
uniche, …).

SVILUPPO
Un sistema di controllo allineato alle esigenze del modello del valore è tenuto a dare al fattore
sviluppo il dovuto risalto: per assicurarsi tempestivamente che si otterranno congrui flussi, occorre
monitorare anche ciò che l’azienda sta facendo per sviluppare i suoi business incrementandone il
capitale investito. Per attuare tale monitoraggio, si ricorre ad indicatori che consentono di
individuare le particolari leve scelte per lo sviluppo, ovvero le iniziative intraprese per attuare la
strategia di business in termini di:
– Nuovi prodotti – Nuovi clienti – Nuovi canali distributivi – Nuovi processi – …

In conclusione, il MODELLO DI CREAZIONE DEL VALORE costringe ad individuare categorie di


indicatori di breve e lungo periodo meno estemporanei e meno legati a prassi consolidate di
quanto faccia il MODELLO CONTABILE, e apre la strada a sistemi di controllo nello stesso tempo
completi e mirati.

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9. ASPETTI ORGANIZZATIVI E COMPORTAMENTALI DEL SISTEMA DI


PIANIFICAZIONE E CONTROLLO

9.1 PERCHE’ ENFATIZZARE GLI ASPETTI ORGANIZZATIVI E COMPORTAMENTALI

Le variabili organizzativo-comportamentali giocano un ruolo fondamentale nelle aziende perché si


rivelano decisive per il successo dei sistemi direzionali di pianificazione e controllo; in altre parole,
non basta dotare l’azienda di buoni strumenti, meccanismi e supporti tecnici (i c.d. aspetti hard:
metodologie, tecniche e meccanismi di controllo) ma occorre tener presente l’importanza delle
risorse umane (c.d. aspetti soft) nell’azienda, in quanto tutto ciò che essa riesce ad ottenere è il
risultato dell’azione dei suoi membri.
Gli aspetti organizzativo-comportamentali più rilevanti sono:
a) i modelli di management a cui si ispirano i comportamenti e le relazioni reciproche tra i soggetti
che a vari livelli sono coinvolti nel processo di pianificazione e controllo  STILE DI CONTROLLO
b) il ruolo e i rapporti con la line operativa della staff amministrativa, cioè la c.d. area di AFC
(Amministrazione, Finanza e Controllo), in particolare gli specialisti del CdG e della PS  RUOLO
DEI CONTROLLER

9.2 LO STILE DI CONTROLLO

L’analisi dello stile di controllo (e di pianificazione) richiede l’individuazione di un modello di


comportamento manageriale più efficace, in sede di pianificazione e controllo, per spingere i
soggetti a dare il meglio di sé, formulando decisioni corrette e stimolandoli a realizzarle nel
migliore dei modi.
Gli elementi rilevanti dello stile di controllo sono:
a) la PARTECIPAZIONE alla fissazione degli obiettivi (e di piani e programmi collegati) da parte dei
soggetti aziendali.
Il processo di partecipazione comporta una negoziazione degli obiettivi tra il diretto interessato e i
livelli organizzativi superiori; tale negoziazione può avvenire secondo un’ampia gamma di
modalità, da un estremo, in cui il processo di programmazione è gestito pressoché integralmente
dall’alto, ad un altro, in cui sono i soggetti direttamente interessati a fissare obiettivi e programmi
entro i limiti preventivamente definiti dalla direzione.
Un approccio partecipativo presenta diversi vantaggi, correlabili alla motivazione degli individui
coinvolti (appagamento di bisogni di autonomia, stima e socialità; soddisfazione psicologica;
interiorizzazione degli obiettivi; intensificazione degli sforzi), che può comportare un
miglioramento delle prestazioni. Tuttavia, uno stile fortemente partecipativo non sempre è il più
adatto (il soggetto coinvolto non ha informazioni/competenze/capacità per decidere; può esservi
il rischio di c.d. slacks [riserve], per cui il soggetto fissa obiettivi facili da raggiungere per ridurre le
probabilità di insuccesso), per cui esso non contribuisce al miglioramento delle prestazioni.
b) il GRADO DI DIFFICOLTA’ degli obiettivi.
Tra difficoltà degli obiettivi e motivazione esiste una correlazione positiva, ma solo fino a certi
livelli di difficoltà, oltre i quali la motivazione si affievolisce (cioè la presenza di un obiettivo stimola
il livello di aspirazione dei soggetti ed aumentandone la difficoltà, la motivazione tende a crescere;
tuttavia, oltre un certo livello, l’obiettivo è reputato troppo difficile e ciò può demotivare e causare
un peggioramento dei risultati).

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Premesso che obiettivi troppo bassi (larghi) non motivano e obiettivi troppo alti (stretti) rischiano
di demotivare, occorre allora individuare un livello di difficoltà ottimale, cioè fissare obiettivi ad un
livello raggiungibile con un certo impegno (allo stesso tempo devono essere accessibili e richiedere
un congruo sforzo). Un livello di difficoltà ottimale universalmente valido non esiste (dipende da
fattori come caratteristiche personali ed esperienze passate dei soggetti, clima culturale e stile
aziendale) e va ricercato ad hoc da ogni azienda.
c) le MODALITA’ DI VALUTAZIONE delle prestazioni.
Ci si riferisce al modo di impiegare gli obiettivi e gli scostamenti dei risultati per guidare i
comportamenti e per la valutazione delle performance.
Due modelli estremi (di un continuum di situazioni) di valutazione delle prestazioni sono:
- lo stile di valutazione basato su obiettivi vincolanti (budget vincolante)
- lo stile di valutazione basato su obiettivi orientativi (budget orientativo)

Modello del budget vincolante Modello del budget orientativo


- Obiettivi vincolanti e fissi (budget = impegno inderogabile) - Obiettivi orientativi e modificabili (libertà operativa)
- Misurazione precisa e formalizzata dei risultati - Valutazione globale delle prestazioni, poco formalizzata
- Enfasi sugli scostamenti negativi - Riconoscimento degli scostamenti positivi
- Impiego del reporting per punire e premiare - Impiego del reporting per facilitare la soluzione dei
problemi
poca flessibilità / scarsi stimoli a migliorare le prestazioni / flessibilità / stimoli a migliorare le prestazioni /
forte responsabilizzazione scarsa responsabilizzazione

d) la FREQUENZA e INTENSITA’ dei controlli.


Frequenza ed intensità dei controlli a cui sono sottoposti i soggetti variano da un’area
organizzativa all’altra (es. produzione  controlli a scadenze regolari e ravvicinate; R&S 
controlli meno frequenti ed intensi).

Lo stile di controllo può assumere un’ampia gamma di configurazioni, estremamente variabili da


azienda ad azienda; ai due opposti vi sono:

- lo stile basato sulla motivazione interna: caratterizzato da ampia e intensa partecipazione,


obiettivi larghi ed orientativi, valutazione globale e non fiscale basata su parametri non
meramente budgetari o quantitativi, controlli non frequenti e non burocratici, riconoscimento dei
successi

- lo stile basato sulla pressione esterna: basato su partecipazione limitata, obiettivi stretti e
vincolanti, valutazione delle prestazioni ancorata su parametri budgetari o predefiniti.

La scelta dello stile di controllo dipende da numerosi fattori: cultura e clima aziendale,
caratteristiche personali e doti professionali dei soggetti coinvolti, forza e motivazioni dei gruppi,
natura dei compiti da svolgere, struttura organizzativa, situazione contingente del business in cui
opera l’azienda. Inoltre, lo stile di controllo deve essere uno strumento flessibile, differenziato e
suscettibile di cambiamento anche all’interno della stessa azienda, in quanto un sistema di
controllo adeguato crea le premesse per condurre a prestazioni più efficaci ed efficienti dei
soggetti coinvolti.

Razionalità dei
Sistema di controllo adeguatamente comportamenti Prestazioni più efficaci ed efficienti
progettato e gestito
Motivazione

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9.3 I RUOLI COINVOLTI NEL CDG: COMPITI SVOLTI, DOTI RICHIESTE, RELAZIONI TRA
LINE E STAFF
Al processo di pianificazione e controllo partecipano 2 categorie di soggetti:
- i manager di line: alta direzione, responsabili di business unit, manager funzionali, responsabili di
sub-funzioni e di unità operative  usano i sistemi di pianificazione e controllo per guidare le
proprie scelte strategiche e operative
- la staff specialistica che progetta e fa funzionare i sistemi di pianificazione e controllo: gli
specialisti di PS e i controller  mettono a disposizione dei manager informazioni e proprie
competenze professionali, per supportare le loro scelte di gestione

Il ruolo del controller consiste nel:


- progettare il sistema di CdG, in tutte le sue componenti: oggetti della pianificazione e del
controllo; le metodologie di cost accounting, di planning, di budgeting e di reporting; gli indicatori
di risultato di gestione corrente e strategica, …
- intervenire nelle varie fasi del processo di controllo, con il compito di: rilevare ed elaborare dati;
dirigere l’attenzione dei manager; aiutarli a risolvere problemi; svolgere attività di coordinamento
dei manager.
In generale, si tratta di svolgere un ruolo di assistenza e consulenza qualificata alla direzione, senza
sostituirsi ad essa nelle scelte di gestione ma al fine di supportare i processi decisionali aziendali.

Le doti richieste al controller sono:


- conoscenza di logiche, metodi e tecniche della contabilità direzionale e di altre metodologie di
misurazione dei risultati
- conoscenze tecniche di IT
- conoscenza del business in cui opera l’azienda e dei processi di gestione
- atteggiamento di servizio nei confronti della direzione e della line (capacità di comunicazione con
la line e di coordinamento, flessibilità nel soddisfare le esigenze dei manager, tempestività nel
produrre informazioni, assistenza e consulenza).

Il processo di comunicazione tra controller e management operativo (line) è estremamente critico,


in quanto per svolgere correttamente il proprio ruolo di supporto e consulenza il controller deve
saper comunicare e rapportarsi con i manager con atteggiamento collaborativo e non conflittuale.
In tal senso, per favorire il miglioramento delle relazioni con gli organi operativi, i fattori più
importanti per un controller sono: la competenza tecnica, le conoscenze gestionali e la
professionalità; un atteggiamento di servizio e lo spirito non dominante verso la line; il tatto in
sede di misurazione e valutazione delle prestazioni della line.
Infine, un altro aspetto rilevante nelle relazioni tra line e staff è quello che riguarda la struttura
organizzativa della funzione AFC:
- sotto il profilo orizzontale della struttura (come si articola internamente la funzione di AFC), sono
possibili varie situazioni: a) le sub-funzioni (amministrazione, finanza aziendale, pianificazione e
controllo) sono riunite in un’area di AFC sotto la direzione di un Chief Financial Officer; b) le varie
sub-funzioni sono separate senza una direzione AFC comune; c) si adottano soluzioni miste, (ad es.
Amministrazione e Controllo insieme, Amministrazione e Finanza insieme, …)
- sotto il profilo verticale della struttura (come si distribuiscono le attività degli organi di AFC ai vari
livelli della struttura organizzativa), a seconda che vi sia un organo di staff centralizzato (al servizio
della Direzione generale), più organi di staff periferici (a supporto delle varie funzioni) o più
controller periferici dipendenti da un controller centrale, si distingue tra soluzione accentrata,
decentrata e mista.

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