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Apicio e la cucina dell’antica Roma

(vita filosofia e ricette di un antico gastronomo)

Per dare un quadro, anche se approssimativo, di chi fosse Apicio è prima


necessario determinare a chi ci si riferisca; negli scritti che sono giunti fino ai
nostri tempi si fa infatti riferimento ad almeno quattro persone distinte.

Il primo1, in ordine temporale, visse durante la repubblica.


Il secondo2, Marco Gavio Apicio del quale si conosce molto di più, visse
all’epoca di Tiberio (Tiberio regnò dal 14 al 37d.C.); il terzo3, all’epoca di
Traiano (98-117d.C.), ed il quarto4, Apicius Julianus, durante il regno di
Antonino Pio, cioè dal 138 al 161d.C..

Anche sul vero nome dello storico buongustaio esistono non pochi dubbi, nella
trascrizione più antica a nostra disposizione del suo “De re coquinaria” 5, il
Codice Vaticanus Urbinas, appare un solo indizio,peraltro incompleto, l’incipit:

INCIP(??) API(??) CAE(??)

Secondo una prima ipotesi6, la frase originaria potrebbe essere:

INCIP(IT) API(CI) CAE(LI)

e cioè: “Inizio di Apicio Celio”.


Partiamo ora dal presupposto che Apicio sia il “cognomen” del nostro
misterioso amico, ipotesi peraltro fondata dato che, generalmente, riferendosi
ad un personaggio di rilievo si utilizzava appunto il “cognomen” (es. Cicerone,
Cesare, Seneca etc.); “Celio” potrebbe dunque essere il “nomen” oppure il
“praenomen”.

In ambo i casi, tuttavia, non si spiegherebbe il perchè l’appellativo “Celio”


appaia dopo il “cognomen” Apicio.
Se “Celio” fosse il “nomen”, inoltre, i conti non tornerebbero dato che alla
“gens Caelia” appartenevano solamente i plebei; ciò andrebbe chiaramente in
conflitto con l’immagine di Apicio che ci è stata tramandata.

Una interpretazione dell’incipit di certo migliore potrebbe essere la seguente:

1
Prese posizione contro P. Rutilio Rufo, promotore della legge Fannia (161a.C.).
2
Cassio Dione.
3
Ateneo di Naucratis.
4
Fu presumibilmente governatore di Siria (Paulys Wissow).
5
Vedi pagina 5
6
Codice Humelberg?

1
INCIP(IUNT) API(CI) CAE(NE)

E cioè: “Iniziano le cene di Apicio”, oppure

INCIP(IT) API(CI) CAE(NA)7

E cioè: “Inizia la cena di Apicio”.


Come già precedentemente accennato, sia per la maggiore quantità di fonti
disponibili, sia per le ragioni sopra elencate, il “nostro” Apicio è, molto
probabilmente, colui che visse durante il regno di Tiberio e di cui, tra gli altri, ci
parlano Dione Cassio, Seneca e Plinio il vecchio.

Il suo nome era dunque Marco (di nome), Gavio (appartenente alla “gens
Gavia”) detto Apicio.

_____________

Lo stoico Seneca criticò ferocemente l’operato di Apicio, egli fornì tuttavia,


insieme a Plinio8 ed Ateneo di Naucratis, una serie di preziose informazioni che
altrimenti non avremmo posseduto.

Gli attacchi di Seneca si concentravano immancabilmente su quegli aspetti


edonistici della filosofia di Apicio e dei suoi illustri predecessori (come per
esempio Lucullo o Mecenate).

È lecito pensare che sia Mecenate che Apicio, entrambi appartenenti alla classe
equestre, condividessero la stessa eretica passione per la filosofia cirenaica9,
spesso confusa con la filosofia epicurea.

Epicuro distingueva in bisogni naturali e necessari (nutrirsi, bere, respirare),


naturali e non necessari (mangiare più o meglio del necessario, bere vino
anziché acqua etc.) e non naturali e non necessari (il potere, la fama etc.) ed
invitava ad evitare i secondi ed i terzi perché sicure fonti di futura infelicità.

Egli, pur ponendo al centro di tutto il “piacere”, ed essendo quindi in un certo


senso un edonista, non invitava tuttavia a ricercare il piacere ma piuttosto ad
evitare il dolore (concetto di piacere come assenza di dolore).

Da questo punto di vista si può dire che Epicuro considerasse il piacere come
un concetto “statico”.
7
M. E. Milham.
8
Plinio, tuttavia, diede sempre l’impressione di apprezzare quanto meno l’ingegno di cui il nostro
buongustaio era dotato.
9
Da Aristippo di Cirene, un noto discepolo di Socrate. Fu tuttavia suo nipote, Aristippo il giovane, a gettare
le basi della filosofia cirenaica.

2
La filosofia cirenaica, invece, considera il piacere a livello “dinamico” ovverosia
invita ad una perenne ricerca del piacere in tutte le sue forme.

Comuni ad ambo le filosofie sono tuttavia il disinteresse per la religione, la


politica e la fama, il porre al centro dell’universo l’uomo come misura di tutte le
cose, il considerare la ricchezza unicamente come mezzo per il raggiungimento
del piacere e non come fine ultimo.

Per Seneca, filosofo del potere e uomo morigerato (tuttavia solo a parole), la
dottrina epicurea appariva probabilmente come una innocua eresia, non più
attuale di un qualche antico culto pagano.

La filosofia cirenaica, invece, dato il suo sfacciato relativismo, il disinteresse


per il potere e per chi lo detenga, la chiara tendenza all’anarchia e,
soprattutto, la forte presa sulle nuove generazioni10, veniva vista come un
pericolo immediato.

Ci appare quindi chiaro come Apicio, uomo della classe equestre, ricco
pubblicano e buongustaio, potesse essere inviso sia ad imperatori quali Tiberio
(notoriamente fornito di una doppia morale, una per i potenti ed una per le
masse), sia a filosofi ipocriti ed assetati di potere come L. Anneo Seneca, che
vedeva in Apicio, o meglio nella sua filosofia, un pericolo per se e per i suoi
futuri proseliti.

Apicio nacque presumibilmente intorno al 29a. C., forse a Roma11.


Dione Cassio ci riferisce di una relazione a dir poco amichevole (forse tra l’1 ed
il 2d.C.) con il giovane Elio Seiano12.

Grazie alla sua fama di buongustaio, Apicio ebbe il primo scontro “indiretto”
con l’imperatore Tiberio; pare infatti13 che Druso Cesare Minore, figlio di Tiberio
e Agrippina, si sarebbe fermamente rifiutato di mangiare un piatto di cavoli
(caulicoli o caules) facendo andare su tutte furie l’imperatore suo padre,
giustificandosi con il dire che anche lo stesso Apicio considerava tale cibo
indegno.

Già da quell΄episodio Tiberio cominciò a sentir parlare del famoso Apicio,


purtroppo non nei termini di virtuoso mangiatore di cavoli (come lui avrebbe
gradito) ma di corruttore di giovani menti.

Seneca, invece, ci riferisce che avendo Tiberio ricevuta una enorme triglia14 in
dono, pensò di giocare un brutto tiro al nostro Apicio.

10
Pare infatti che in quel tempo, a Roma, fiorissero numerose scuole di cucina (una scienza
tradizionalmente prediletta dai cirenaici) esse sottraevano molte giovani (e ricche) menti alla filosofia.
11
Era probabilmente un uomo del tutto normale, non eccessivamente pingue ne tantomeno deforme, i veleni
di Seneca si sarebbero altrimenti concentrati anche su questi aspetti.
12
Il futuro braccio destro di Tiberio. Seiano, spietato ed assetato di potere, sarebbe diventata una delle
figure più odiate e temute di Roma. Cadde in disgrazia e fu condannato a morte da Tiberio stesso nel
31d.C..
13
Plinio il vecchio.
14
“Mullus ingentis formae”.

3
Ordinò dunque di mettere all’asta il pregiato animale (senza ovviamente
indicarne la provenienza).

Tiberio scommise quindi con alcuni amici che sia Apicio che Publio Ottavio
avrebbero sicuramente abboccato all’esca, cedendo alla tentazione di
aggiudicarsi la leccornia qualunque fosse il prezzo.

Per fortuna del nostro, ritiratosi prudentemente nella sua villa di Minturnae15, fu
poi Publio Ottavio ad acquistare a caro prezzo il “mullus ingentis formae”,
attirandosi così la crudele derisione dell’imperatore e una vaga accusa di lesa
maestà.

Il fatto di acquistare una semplice triglia, anche se di dimensioni ragguardevoli,


non sembra ai nostri occhi di uomini moderni un reato capitale, a quel tempo
tuttavia, era comune e ben accetta l’idea che i più bei prodotti della natura
appartenessero di diritto al primo degli uomini, ovvero l’imperatore.
Trattandosi poi di una triglia, per i romani il pesce migliore di tutti, si poteva
ben dire che chi avesse acquistato un cibo degno di un principe (e in questo
caso solo di un principe), avrebbe dato l’impressione di volersi mettere al piano
stesso dell’imperatore.

La IVa Satira di Giovenale conferma in un certo senso l’importanza della


vicenda della “triglia”.
Giovenale narra infatti, che avendo l’imperatore Domiziano (81-96d.C.)ricevuto
in regalo un enorme rombo16 pescato al largo di Ancona, e non essendoci una
padella abbastanza grande per contenerlo, avesse deciso di interpellare alcuni
saggi al fine di risolvere il problema.

I notabili interpellati, dopo lunghe consultazioni, decisero che piuttosto di


dividere il pesce sarebbe stato più opportuno dare ordine di costruire un
tegame sufficientemente capiente.

La ragione di un tale trambusto per una semplice questione culinaria è la


seguente: un rombo gigantesco può essere a buon diritto considerato un cibo
prestigioso e degno dell’imperatore, più parti dello stesso pesce sono, al
contrario, un cibo comune e privo di interesse.

Un altro episodio che vede Apicio come protagonista ci viene riferito da Ateneo
di Naucratis.
Avendo udito che in Libia esistevano gamberi di misura eccezionale, Apicio
decise senza indugio di partire alla ricerca di questa prelibatezza.
Affittò quindi una imbarcazione e, superando addirittura una burrasca in alto
mare, giunse al largo della Libia.

Non appena gettata l’ancora, i pescatori, attirati dalla fama di Apicio, si


avvicinarono immediatamente all’imbarcazione per offrire la loro merce.

15
Località al confine tra Lazio e Campania, oggi Minturno
16
Psetta Maxima.

4
Da quanto Ateneo riferisce, pare che Apicio, deluso dalla mediocre qualità di
quanto gli veniva offerto, avesse dato quasi subito ordine di salpare le ancore e
fare vela verso Roma.

Qualche anno dopo, nel 52 o 53d.C., l’imperatore Claudio avrebbe tuttavia


superato di molto l’ardore “gastronomico” di Apicio.

Plinio ci riferisce infatti, che l’imperatore avrebbe ordinato all’ammiraglio17


della potente flotta navale di Capo Miseno di salpare le ancore verso la Grecia
alla ricerca di una rara razza di pesce, lo scaro18 per l’appunto.

Claudio avrebbe dato l’ordine di allestire sulle navi imperiali numerose piscine
e di riempirle di acqua di mare, in modo da poter catturare e trasportare gli
esemplari ancora vivi.

Sempre su ordine imperiale, i preziosi pesci sarebbero quindi stati liberati in


mare aperto al largo della costa laziale, poi, in modo che gli esemplari
importati si riproducessero agevolmente, fu decretato il divieto di pesca su
tutto il litorale per ben cinque anni.

L’impresa riuscì solo in parte dato che i pesci preferirono spostarsi in massa
verso acque più calde e, al giorno d’oggi, se ne possono sporadicamente
osservare alcuni esemplari al largo della costa campana.

Certo, Claudio era un imperatore e Apicio presumibilmente solo un ricco


pubblicano, tuttavia non si può non notare una certa comunione di interessi.
Scherzo del destino fu, che proprio durante il regno di Claudio Apicio decidesse
(o piuttosto fosse indotto a decidere) di togliersi la vita bevendo, come
Socrate19 prima di lui, una coppa di cicuta.

Sui motivi per i quali il nostro si suicidò non c’è tuttavia molta chiarezza.

Apicio avrebbe infatti deciso di porre fine alla sua esistenza, come Seneca fa
notare non senza una punta di sarcasmo, perché essendogli rimasta una
somma pari a “soltanto” dieci milioni di sesterzi, non avrebbe più potuto
condurre la sua agiata vita di sperperi.

Più probabilmente Apicio perse semplicemente l’appalto per la raccolta delle


tasse, dato che l’imperatore Claudio aveva deciso di condurre la gestione del
fisco a livello centralizzato.

Di conseguenza Apicio fu forse invitato a rimettere buona parte delle somme


raccolte.

17
Il liberto Giulio Optato.
18
Euscarus Cretensis, detto comunemente pesce pappagallo.
19
Lo stesso Aristippo di Cirene (vedi pagina 6) avrebbe voluto morire come il suo maestro, quale morte
dunque sarebbe stata più adatta per Apicio?

5
Non potendo Apicio fare fronte alla richiesta, è probabile che l’imperatore gli
avesse cortesemente suggerito di porre fine alla propria ingombrante
esistenza20.

Con il suicidio di Apicio, il divo Claudio avrebbe contemporaneamente


ricuperato le perdite (tramite confisca di tutte le proprietà del defunto) ed
impartito una lezione esemplare a quanti avessero ancora in animo di
“derubare” l’imperatore.

20
Come più tardi e per scopi diversi Nerone avrebbe fatto con Seneca.

6
Di tutti i beni confiscati dal rapace imperatore, un unico tesoro è sopravvissuto
fino ai giorni nostri, il “De re coquinaria”.

Il “De re coquinaria” è l’unica ambiziosa opera attribuibile (almeno in parte) al


nostro storico buongustaio, essa si compone dei seguenti dieci “libri”:

I. Epimeles (Il cuciniere previdente – the provident cook)

II. Sarcoptes (Le carni sminuzzate – the shredded meat)

III. Cepuros (L’ortolano – the gardener)

IV. Pandecter (Il poliedrico – the eclectic)

V. Ospreos (I legumi – the legumes)

VI. Aeropetes (I volatili – the birds)

VII. Polyteles voluntaria volatilia (Il sontuoso o dei piatti prelibati – the
sumptuous)

VIII. Tetrapus quadripedia (I quadrupedi – the quadrupeds)

IX. Thalassa mare (Il mare – the sea)

X. Halieus piscatura (Il pescatore – the fisher)

Nel primo libro ci si occupa della preparazione di alcuni elementi base, di


alcune bevande e dei metodi di conservazione dei cibi, menzione particolare
meritano le tecniche di conservazioni delle ostriche e dei tartufi.

Nel secondo libro ci si occupa, come dice il titolo, della preparazione delle carni
tritate (la “Isicia21” e le “Lucanicae22” ad esempio), a tutte le verdure è invece
dedicato il terzo libro.

Il quarto libro, il “poliedrico”, riguarda cibi e ricette di vario genere, tra le quali
spiccano gli sformati (le “Patinae23”); il titolo dei libri quinto, sesto e ottavo
parlano invece da se.

Il “Polyteles voluntaria volatilia”, cioè il settimo libro, contiene la “summa” di


tutte le ricette più sofisticate e dispendiose, come ad esempio lo “iecur
ficatum” (il progenitore del foie gras) i “dulcia domestica et melcae” (dolci in
generale e dolci al latte), le ricette a base di funghi, tartufi e lumache.

Il nono ed il decimo libro contengono, rispettivamente, una raccolta di ricette e


di salse per il pesce.

21
Una specie di polpetta
22
È un tipo di salsiccia
23
La “Patina” era un tipo di padella, nell’opera di Apicio assume il significato di sformato

7
Alcune delle ricette proposte sono state tuttavia “inquinate” dalle numerose
trascrizioni24, dagli errori di interpretazione, da errate traduzioni etc. .

È inoltre necessario precisare che, dato lo strato sociale al quale Apicio


apparteneva, le ricette tramandateci non possono darci di certo un quadro
preciso di come la popolazione si cibasse realmente e di quali materie prime il
popolo potesse fare uso.

Affermare che la cucina di Apicio e quella dell’antica Roma siano la stessa


cosa, è dunque equivalente al porre sullo stesso piano la “nouvelle cuisine” ed
il “cheeseburger”.

_____________

Pur essendo per certi versi scarse le testimonianze ed i dati certi sul nostro
antico buongustaio, possiamo quantomeno asserire, che le poche impronte
rimaste sono alquanto nitide e profondamente impresse nella cultura culinaria
moderna.

Una traccia chiaramente riconducibile ad Apicio e ad es. rappresentata dalla


parola italiana “fegato”.

In latino il fegato veniva comunemente detto “iecur”; l’uso di ingrassare gli


animali da carne era, ora come allora, una procedura ben nota25 ciò che
tuttavia noto non era, era il nutrire tali animali alla dispendiosa maniera di
Apicio, e cioè a fichi secchi.

La parola fico si traduce in Latino con “ficus”, il fegato “trattato” con i fichi 26
veniva pertanto definito “iecur ficatum”, la parola “iecur” è in seguito caduta in
disuso, ciò che ne rimase, il termine “ficatum” appunto, si è quindi evoluto nel
ben noto “fegato” italiano.

Non pago di ingrassare oche e maiali a fichi secchi, Apicio pensò persino di
raffinare la tecnica27, e cioè ubriacare le oche prima della macellazione con una
mistura di vino e miele, il mulsum appunto, in modo che il fegato dell’oca (già
fortemente affaticato dal diabete e dall’obesità dell’animale) trattenesse gli
zuccheri e gli aromi del miele. Ne sarebbe risultato un fegato dal sapore ancora
più delicato e ricercato.

Altra stravaganza alimentare per la quale Apicio andava noto28, era la tecnica
che egli adottava per insaporire le carni ed il fegato delle triglie.

24
Esistono quantomeno 11 manoscritti differenti
25
Uso di origine egizia, tramandato ai romani attraverso la cultura greca.
26
Il cui più illustre discendente è chiaramente il foie gras francese.
27
Plinio il vecchio, Naturalis Historia.
28
Plinio il vecchio, Naturalis Historia.

8
Apicio consigliava di liberare le triglie ancora vive nel “garum”29, lasciandole
nuotare e nutrirsi liberamente nella salsa fino alla completa intossicazione.

Con i fegati delle bestiole così “trattate” Apicio preparava quindi un “hallec” o
“allex”, ovverosia una specie di progenitore del patè di fegato.
L’influenza della cucina romana in generale, non si limita tuttavia alle
sofisticate preparazioni “apiciane”.
Alcune pietanze di origine contadina sono infatti giunte, praticamente
inalterate, fino ai giorni nostri; facciamo qualche esempio aiutandoci con una
tabella (vedi pagina seguente):

29
E non un ”garum“ qualunque, bensì il famoso “Garum Sociorum”. Per ulteriori informazioni sul “garum” o
“liquamen” si rimanda a pagina 10.

9
PIETANZA
PIETANZA DERIVATA DIFFERENZE
ORIGINARIA

Preparazione diretta e
non ottenuta come
Allex o hallec Pasta d’acciughe30
scarto di lavorazione
del “garum”.
Nessuna differenza di
Cupita Cupeto o copèta irpina
rilievo.

Nessuna differenza di
Epityrum31 Tapenade provenzale
rilievo.
Cottura, uso di erbe
Pissalà provenzale32
“garum” o “liquamen” aromatiche e
Colatura di alici di Cetara
stagionatura limitata.
Nessuna differenza di
Iecur ficatum Foie gras
rilievo.
Non c’è la carota, si usa
l’aglio al posto della
cipolla, la mollica di
Ius in elixam Bagnetto verde piemontese
pane imbevuta
nell’aceto ed il rosso
d’uovo sodo sbriciolato

Nessuna differenza di
Laganae Pizzoccheri valtellinesi
rilievo.

Nessuna differenza di
Libum33 Focaccia al testo umbra
rilievo.
Non si effettua di
norma alcuna
Lucanicae apiciane Lucanica trentina affumicatura, le spezie
utilizzate sono in parte
differenti.
Uso dei soli basilico ed
Moretum34 Pesto genovese
aglio.

30
Anche la sardella calabrese presenta notevoli analogie.
31
Il nome è chiaramente di origine greca, può essere tradotto in “per il formaggio” o “sul formaggio”.
32
Vedi pagina successiva.
33
Dal “De agri cultura” di Catone.
34
Dal “Moretum” appunto, un’operetta attribuita a Virgilio.

10
PIETANZA
PIETANZA DERIVATA DIFFERENZE
ORIGINARIA

Nessuna differenza di
(Ut) Pisces fricti (diu durent) Pesce in carpione
rilievo.

Porcellum assum Porchetta d’Ariccia Uso di spezie differenti.

Farina di mais al posto


Puls Polenta35
della farina di farro.

_____________

Il “garum” (o “liquamen”36) è l’indiscusso protagonista della cucina di Apicio, la


predilezione per questo misterioso ingrediente non può tuttavia essere
compresa senza fare un rapido excursus sul concetto di “gusto”.
È comune opinione che i gusti “fisici” dei cibi siano solamente quattro,
ovverosia l’amaro, l’acido, il salato ed il dolce. Tale teoria, attribuita al chimico
M. Henning, risale al 1916 ed è stata nel frattempo ampiamente superata.

È merito di alcuni ricercatori giapponesi l’avere aggiunto un ulteriore gusto ai


quattro tradizionali, ovverosia il cosiddetto gusto “umami”, tale gusto coincide
fondamentalmente con quello del più noto glutammato di sodio37 (detto anche
MSG o E621) ed è dovuto alla presenza di aminoacidi – i componenti
fondamentali delle proteine.
Il gusto “umami” è, secondo le moderne teorie, comune a numerosi ingredienti
quali ad esempio: la salsa di soia, il “nuoc-mam” vietnamita, il “miso”, il
“dashi”, in parte il Parmigiano-Reggiano etc. etc. etc..

L’uso, quasi maniacale, che gli antichi romani 38 facevano del “garum” o
“liquamen” era dunque principalmente dovuto alla proprietà di quest’ultimo di
esaltare i gusti.

Nei paesi del Mediterraneo il pesce spesso non veniva consumato fresco e a
causa del clima caldo si conservava con il sale attraverso la salagione o
attraverso l’affumicatura, processi conosciuti fin dalla preistoria.
Il pesce salato è diffuso in tutto il mondo antico e presso diversi popoli.

35
In realtà le prime polente erano fatte con farina di castagne o di farro, solo in tempi più recenti si
incominciò ad utilizzare la farina di mais.
36
L’esatta differenza tra “garum” e “liquamen” non è tuttora chiara.
37
Usato nell’industria alimentare a partire dal 1925
38
Ovviamente i soli facoltosi, dato il costo di questo ingrediente. Al giorno d’oggi in Italia il “garum” è stato
praticamente soppiantato dal parmigiano.

11
Per la conservazione del pesce era necessario perciò disporre anzitutto della
materia prima, il pesce, ed il sale.
Per questo motivo troviamo testimonianze di un intensa attività di lavorazione
del pesce sin dall’epoca romana, nelle località vicine al mare dove si trovavano
anche delle saline.
L’abbondanza di prodotto e la presenza di sale rendevano possibile impiantare
dei veri e propri stabilimenti conservieri.
Oltre alla salagione i romani, che del pesce non buttavano via niente,
utilizzavano le interiora e gli scarti per la produzione di salse, ottenute dalla
macerazione delle parti scartate con il sale.
Il famoso “garum” dei romani si otteneva dalla macerazione del pesce in vasi o
vasche.
Cetara dal latino “cetaria” (vasca), sulla costiera Amalfitana, dove esisteva uno
stabilimento romano per la lavorazione del pesce, custodisce il segreto di
questa preparazione millenaria, recuperata dai monaci Cistercensi della
canonica di S. Pietro a Tuezolo di Amalfi nella tradizionale “colatura di alici”.

Per preparare la “colatura” si devono utilizzare le alici pescate nel Golfo di


Salerno nel periodo compreso tra Febbraio e Marzo, private della testa ed
eviscerate vengono poste a strati alternati con sale in vasi di legno chiamati
“terzigni” di capienza diversa a seconda della quantità di colatura che si vuole
ottenere.
Si attende la maturazione del contenuto del “terzigno” fino ad Agosto -
Settembre (5-6 mesi) periodo nel quale si pratica un foro sotto al vaso e si
comincia ad estrarre la “colatura” , che “cola” per due o tre mesi a piccole
gocce.
Questa poi viene filtrata con il “cappuccio”, un filtro di lana o di tela, ed
assume il classico colore del Brandy invecchiato.
La “colatura” viene utilizzata per il tradizionale cenone della vigilia di Natale.

Il “nuoc-mam” è una salsa di pesce ricavata, esattamente come il “garum”,


dalla fermentazione di pesci di piccola taglia (ad es. acciughe).
Questa salsa si ottiene stratificando il pesce in un contenitore di terracotta e
spargendo abbondante sale tra uno strato ed il successivo fino al completo
riempimento del recipiente.

In cima all’ultima strato si pone quindi una griglia di bambù al disopra della
quale vengono appoggiati dei pesanti sassi, inizia così il processo di
stagionatura del composto che, grazie all’azione congiunta del sale e degli
enzimi, forma alla sua base una sorta di liquido ambrato, il “nuoc-mam” per
l’appunto.
Una volta estratto e filtrato, tale liquido costituisce una delle basi fondamentali
della cucina vietnamita e, sotto altri nomi, anche di quelle cinese e giapponese.

12
E ora, alcune ricette…

Per comodità di esecuzione le unità di misura originali sono state convertite, ed


alcune spezie sono state eliminate o sostitute, possiamo dunque dire che le
ricette che seguono sono state “liberamente tratte” dal ricettario Apiciano.
Si rimanda al testo originario se si vogliano tentare approcci più “romani” o
sperimentare varianti o ulteriori ricette.
Come regola generale, si consiglia di utilizzare tegami di coccio.
L’uso del “liquamen”39 è fortemente legato al gusto personale, nel caso si
voglia farne uso sarà necessario ridurre la quantità di sale.

Gustum de Praecoquiis (antipasto di albicocche o pesche duracine)

Ingredienti:
1kg di albicocche mature (o pesche duracine precoci);
200 ml di vino bianco;
250 ml di vino passito;
Amido di mais40, olio, sale e/o “liquamen”, pepe, menta secca, aceto e miele
q.b.

Lavare e tagliare le albicocche (pelare i frutti nel caso siano pesche), metterle
in una padella con un poco d’acqua e di olio, condirle con il pepe, la menta, il
sale (o il “liquamen”), il miele e l’aceto.
Cuocere a fuoco lento per 20 minuti, stemperare quindi nel composto un poco
di amido di mais per addensare la salsa.
Servire il “gustum” caldo e cosparso di pepe tritato.

Conciclam apicianam (concicla alla moda di Apicio)

Ingredienti:
500g di piselli fini surgelati;
1 grossa cipolla bianca;
150g di salsiccia lucanica;
100g di prosciutto cotto tagliato a dadini;
Mezzo bicchiere di vino bianco secco;
Olio di oliva, sale e/o “liquamen”, pepe, semi di aneto tritati, origano e
coriandolo in polvere q.b.

In una pentola di coccio metter tanto olio d’oliva quanto serve per coprirne il
fondo, tagliare la cipolla a dadini e metterla a soffriggere nell’olio.
Aggiungere il prosciutto e la polpa di lucanica, insaporire con mezzo bicchiere
di vino bianco ed, eventualmente, con un cucchiaino di “liquamen”.
Aggiungere i piselli e salare a piacere; durante la cottura cospargere di pepe,
semi di aneto tritati, origano e coriandolo in polvere.
39
Vanno benissimo le salse di pesce tailandesi “Squid“ o, meglio ancora, “Golden boy“; una possibile
alternativa potrebbe essere la meno saporita ma altrettanto salata salsa di soia.
40
Ovviamente all’epoca di Apicio non esisteva il mais, mi sia dunque concessa una ulteriore licenza poetica.

13
Concicla commodiana (concicla alla moda di Commodo)

Stessi ingredienti della concicla apiciana, tranne la lucanica ed il prosciutto e


con l’aggiunta di quattro uova battute con il sale e versate sui piselli a cottura
ultimata.

Epityrum (patè di olive)

Ingredienti:
Olive nere, possibilmente quelle molto grandi e seccate (le “passolone”
siciliane, ad esempio, o similari);
Olio, aceto, semi di coriandolo, cumino e finocchio, foglie di prezzemolo, ruta,
menta e sedano a piacere.

Frullare il tutto fino ad ottenere un patè.

Patina Cotidiana (sformato per tutti i giorni)

Ingredienti:
500g di sfoglia per lasagne;
500g di pezzi di carne e di pesce vari (nella ricetta originale, veniva realizzato
con "pezzi di poppa di scrofa, di pollo e di pesce", io consiglierei solamente
lucanica e petto di pollo);
1l di brodo;
4 rossi d’uovo;
4 cucchiaini di amido di mais;
½ bicchiere di marsala;
1 bicchiere di vino bianco secco;
Pepe, sale e/o “liquamen”, semi di levistico.

Mescolare o frullare insieme pepe, levistico, vino e marsala. Diluire con il brodo
e salare (eventualmente con il “liquamen”). Mettere il tutto in una pentola con
la carne fatta a pezzettini.
Far bollire a lungo ed alla fine far legare con i rossi d'uovo e l'amido. Poi in una
teglia sistemare a strati alterni le sfoglie di lasagna ed il ripieno, concludendo
con uno strato di sfoglia che va bucherellato e poi ricoperto con il ripieno.
Cuocere in forno per 18 minuti a 180°, coprendo la teglia con un coperchio ed
immergendola in parte in una più grande con acqua.

Ius in elixam (salsa per il lesso)

Ingredienti:
Pepe, abbondante prezzemolo fresco, cipolla, aceto, carota, olio, tutto a
piacere;

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Sale e un poco di “liquamen” (una acciuga sott’olio va ugualmente bene);

Mescolare in una tazza l’olio di oliva, l’aceto, il sale ed il “liquamen”, la cipolla e


la carota tritate finissime, il pepe ed il prezzemolo tritato.

Ius in lucusta (salsa per l’aragosta – va benissimo anche per i gamberoni


lessi)

Ingredienti:
1 scalogno;
1 cucchiaino di senape dolce
Pepe, sale, comino in polvere, pinoli, olio d’oliva, aceto (opzionali: ligustico,
carvi, miele, mosto cotto)

Mescolare in una tazza l’olio di oliva, il cucchiaino di senape dolce, poco aceto,
il sale, il pepe, lo scalogno ed i pinoli tritati finemente, aggiungere
eventualmente polvere di ligustico, semi di carvi tritati e poco miele.

Ficatum (fegato ingrassato con fichi)

Ingredienti:
Due o tre fettine di fegato non troppo sottili (in mancanza del fegato d’oca ci
accontenteremo di normale fegato di vitello);
Qualche bacca di alloro;
Pepe, sale e/o “liquamen”, semi di levistico, olio di oliva q.b.

Tritare il pepe fresco e i semi di levistico, schiacciare le bacche di alloro e porre


il tutto in una piatto fondo con un poco d’olio di oliva, sale e/o “liquamen”.
Passare nella marinata le fettine di fegato e quindi cuocere ai ferri.

Pullum frontonianum (Pollo alla moda di Frontone)

Ingredienti:
1 pollo tagliato a pezzetti;
1/2 bicchiere di vino bianco secco;
1 cucchiaio di miele;
1 piccolo porro
Olio, sale e/o “liquamen”, farina, pepe, santoreggia secca, semi di aneto tritati,
coriandolo in polvere, foglie di coriandolo fresco.

Passare i pezzetti di pollo nella farina mista all’aneto tritato, al coriandolo in


polvere ed al pepe, rosolare nell’olio i pezzetti di pollo insieme al porro tagliato
a fettine.
Sciogliere il miele nel vino, e versare il tutto sul pollo, regolare di sale,
aggiungere la santoreggia a pioggia e, se si desidera, il “liquamen”. Portare a
cottura aggiungendo eventualmente poca acqua.
Servire caldo e cosparso di foglie fresche di coriandolo tagliate
grossolanamente.

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Libum (torta di formaggio cotta “al testo”)

Ingredienti:
1kg di pecorino non troppo stagionato;
250g di farina;
Alcune foglie d’alloro;
1 uovo.

Impastare il pecorino grattugiato con la farina e l’uovo (se necessario


aggiustare di sale), formare con l’impasto così ottenuto delle palline di circa
3cm di diametro ed appiattirle leggermente, rivestire il fondo di una teglia con
le foglie di alloro, porre le palline sulle foglie, coprire il tutto con un foglio di
alluminio e porre la teglia nel forno ben caldo (c.a. 180°C).
Servire caldo (guarnendo eventualmente con del miele).

Moretum (pesto)

Ingredienti:
500g di pecorino non troppo stagionato;
2 spicchi d’aglio;
1 piccola cipolla rossa;
1 manciata di pinoli;
Foglie di sedano, prezzemolo, ruta, coriandolo fresco e rucola a piacere;
sale grosso e olio d’oliva q.b.

Pestare nel mortaio le erbe con gli spicchi d’aglio,il sale grosso, i pinoli e la
cipolla tagliata a pezzetti, aggiungere il pecorino un poco per volta e
continuare a pestare l’impasto aggiungendo olio di oliva quanto basta.
Formare delle palline con l’impasto ottenuto e servire con del buon pane
ancora tiepido.

Patina de piris (sformato di pere)

Ingredienti:
1kg di pere mature a pasta consistente (pere Kaiser per esempio);
6 uova;
1 cucchiaio di farina;
2 cucchiai di latte;
4 cucchiai di miele;
1 bicchiere abbondante di vino passito;
Sale, comino, pepe, salsa di soia ed olio d’oliva q.b.

Sbucciare le pere, tagliarle a pezzi non troppo piccoli ed eliminare i torsoli.


Versare l’olio in una padella e rosolarvi le pere, aggiungere il comino, il pepe,
poca salsa di soia ed un pizzico di sale.
Sciogliere il miele nel vino passito e versare il tutto sulle pere.
Battere le uova con un poco di latte, un pizzico di sale e la farina (evitate i
grumi), quando le pere sono cotte a dovere, abbassare il fuoco e versare le
uova battute sulle pere lasciandole rapprendere.

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Servire caldo e cosparso di pepe.

Dulcia domestica (dolci domestici)

Ingredienti:
datteri secchi, noci e pinoli tritati, miele, vino passito, sale q.b.

Tritare noci e pinoli, mescolarli con un poco di miele, salare e pepare il tutto.
Snocciolate i datteri e farcirli con il trito; scaldare in una padella tanto miele
fino a coprirne abbondantemente il fondo, aggiungere un poco di vino passito
(a piacere) e cuocervi i datteri ripieni.

Globulos (palline dolci fritte)

Ingredienti:
250g di farina di grano duro;
250g di pecorino fresco;
Olio da frittura.

Impastare il formaggio e la farina, formare delle palline di circa 3cm di


diametro e friggerle in olio abbondante.
Servire le palline ancora calde, cosparse di miele e semi di papavero.

Tyropatinam (crema al miele)

Ingredienti:
½ l di latte,
6 uova;
3 cucchiai di miele;
2 cucchiai rasi di amido di mais;
Sale e pepe a piacere.

Mescolare in un pentolino le uova con il miele e l’amido di mais, aggiungere il


latte già caldo, un pizzico di sale ed un poco di pepe.
Mettere sul fuoco e portare a bollore mescolando continuamente, levare dal
fuoco e servire, calda o fredda, cosparsa con un poco di pepe.

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E alcune bevande…

Alla rucola:

Per prepararla frullare alcune foglie di rucola con un po’ di acqua. Lentamente
aggiungere ancora acqua fino ad arrivare ad un litro. Le proporzioni possono
variare a seconda del gusto. Eventualmente nel frullatore si può aggiungere
anche un cucchiaino di miele.

Alle rose:

Per ogni litro di acqua i petali di tre rose, semi di cardamomo e chiodi di
garofano a piacere.

Al mirto:

Bollire 20 g di foglie di mirto in 100 cl d’acqua per 5 minuti.

Allo zenzero:

Servono: 1l d’acqua, un poco di zenzero, miele e succo di limone.


Macinare lo zenzero in acqua; prendere il succo filtrato e aggiungerlo al litro
d’acqua, al succo di limone ed al miele.
Mescolare e mettere in frigo.

Al basilico:

Bollire 3g di foglie e cime fiorite di basilico in 100ml d’acqua per 5 minuti.

Al gelsomino:

Lasciare una manciata di fiori di gelsomino (solo le corolle) per 3 giorni coperti
d'acqua in infusione, in un vasetto di vetro sigillato e conservato in frigorifero.
Scuotete 3 o 4 volte al giorno, poi filtrate il liquido.

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BIBLIOGRAFIA

I cibi di Roma imperiale.


Gianni Gentilini – Edizioni Medusa.

Apicio, la cucina dell’antica Roma.


Clotilde Vesco – Scipioni Editore.

La vie quotidienne à Rome à l’apogée de l’empire.


Jérôme Carcopino – Librairie Hachette.

Fauna und Flora des Mitelmeers.


Rupert Riedl – Paul Parey Verlag.

Guida alla cucina etrusca.


Clotilde Vesco – Scipioni Editore.

Taccuino etrusco.
Augusto Tocci, Alex Revelli Sorini – Collana Esplorando.

Augusto il grande baro.


Antonio Spinosa – Mondatori.

Memorie di Adriano.
Marguerite Yourcenar – Einaudi.

Il nuovo libro delle erbe.


Jekka McVicar – Fabbri Editore.

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