Sei sulla pagina 1di 177

Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.

50 Pagina 1

ARCHITECTURA

1
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 2
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 3

Gioia Seminario

Paolo Portoghesi
L’architettura come riflesso dell’anima

EDIZIONI SCIENTIFICHE E ARTISTICHE


Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 4

Copertina:

fotografia di Rosa Scalzo,


schizzi di Giuseppe Massimiliano Ronga

I diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può


essere riprodotta, archiviata anche con mezzi informatici,
o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo
elettronico, meccanico, con fotocopia, registrazione o altro,
senza la preventiva autorizzazione dei detentori dei diritti.

ISBN 978-88-95430-10-2
E.S.A. - Edizioni Scientifiche e Artistiche
© 2009 Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata
www.edizioniesa.com info@edizioniesa.com
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 5

Ai miei genitori
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 6
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 7

Anche là dove innovavo,


mi piaceva sentirmi
anzitutto un continuatore.
da Memorie di Adriano
di Marguerite YOURCENAR
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 8
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 9

Nota dell’Editore

Siamo abituati ad un duplice approccio con la letteratura dell’architettura, da


un lato testi con un linguaggio spesso tecnico, quasi essenziale, ed una preva-
lenza di riferimenti iconografici; dall’altro volumi che hanno per protagonista la
visione quasi filosofica della materia in oggetto.
Ancora una volta l’ESA tenta di uscire dagli schemi classici inaugurando una
collana che intende offrire al più vasto pubblico dei simpatizzanti dell’Architet-
tura, spunti interpretativi meno scontati, avviando in parallelo vari livelli di in-
dagine che vanno a costituire la trama per una diversa lettura delle figure e dei
momenti storici presi in esame in ciascun volume.
Nella presente ricerca, l’Opera teorica e costruita di Paolo Portoghesi diviene
il mezzo per una più profonda comprensione del suo pensiero e delle temati-
che ad esso connesse. Avvalendosi della collaborazione fattiva dello stesso ar-
chitetto, l’Autrice ne ripercorre gli snodi fondamentali della carriera, dall’in-
dividuazione delle fonti teoriche alla loro divulgazione frutto di una complesso
processo rielaborativo.
L’analisi delle opere più significative del progettista romano, sviluppata se-
condo un criterio cronologico, restituisce quindi, di volta in volta, la misura del-
l’evoluzione della sua esperienza.

9
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 10
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 11

Presentazione

Sono ormai dieci anni che insegno nella facoltà di Architettura di Napoli
Federico II e il nome di Paolo Portoghesi è sempre stato molto ricorrente
nelle mie lezioni. Presso i giovani studenti napoletani la fama e la figura del-
l’architetto romano è molto nota e, nel mio piccolo, ho contribuito a fare in
modo che questi guardassero al mio maestro come ad un esempio di archi-
tetto capace di “interpretare” e rappresentare ad un tempo i molti ruoli che la
disciplina offre e che lui ha saputo interpretare in modo poliedrico, ma totale:
progettista e professionista, storico dell’architettura e uomo di cultura ster-
minata, autore di libri e fondatore di riviste, ma soprattutto appassionato del-
l’architettura, eletta al centro del suo universo.
Il trasporto con il quale parlo di Paolo Portoghesi ai miei studenti ha fatto
breccia in molti di loro che costantemente mi chiedono notizie sulla sua poe-
tica e dettagli circa il suo modo di progettare.
Gioia Seminario è stata, tra i miei allievi, la prima ad interessarsi compiuta-
mente della sua opera, essendo stata anche la prima a vincere, al termine degli
studi universitari, un dottorato di ricerca che le ha consentito di approfondire,
in ambito accademico, lo studio sul nostro caposcuola di tante e tante gene-
razioni di architetti. E, sebbene non abbia avuto il piacere di seguirla ufficial-
mente nella ricerca universitaria, ho egualmente avuto l’opportunità di
sostenerla nel raccontarle la mia personale esperienza al fianco di Portoghesi
e, qualche volta, di indirizzarla nello svolgimento specifico della ricerca.
Tuttavia, l’interesse della Seminario verso la figura di Paolo Portoghesi è
nato, al di là dei miei racconti, quando, ancora giovanissima e alla soglia della
laurea, mi ha proposto di scrivere un libro che riguardasse la mia opera di ar-
chitetto: il libro, intitolato L’architettura sensibile di Giancarlo Priori, ha messo
la giovane studiosa a più stretto contatto con la sfera portoghesiana, in quanto
il professore è stato autore di una splendida prefazione.
Il libro fu pubblicato nel 2004 e Gioia Seminario, ispirata da questo in-
contro, ha scelto di dedicare la propria ricerca di dottorato al nostro mae-
stro. Sono stato presente, qualche volta, agli incontri di studio ed ho potuto

11
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 12

GIOIA SEMINARIO

apprezzare quanto la Seminario rimanesse affascinata dal sapere del suo in-
terlocutore.
Sebbene riveduto ampiamente, anche in termini editoriali, il risultato delle ri-
cerche universitarie e della tesi di dottorato viene riproposto in questo testo, fa-
cendo ulteriore tesoro di altri suggerimenti del professore. In differenti incontri,
avvenuti tra Calcata e Roma, infatti, il professore ha avuto modo di guidare la
giovane ricercatrice negli ambiti più profondi della propria architettura.
Portoghesi e Seminario hanno poi usato la metodologia dell’intervista che
offre sempre i caratteri della spontaneità e della freschezza e che l’architetto,
grazie ad una capacità oratoria eccezionale, rende viva e precisa.
Impreziosisce questo lavoro, che assume le caratteristiche di un saggio, il
bel contributo di Lucio Valerio Barbera che, oltre ad arricchire i lettori di no-
tizie su Paolo Portoghesi, ha offerto, anche a me personalmente, una precisa
visione dell’architetto ai tempi in cui era ancora studente.
Il Ricordo di un giovane Paolo Portoghesi coglie in più occasioni alcuni aspetti
che, visti in filigrana, aiutano a completare la conoscenza della sua complessa
personalità.
Un fascino particolare assume il pezzo di Barbera quando “tratteggia” Paolo
ancora studente che però già si porgeva come un riferimento per molti, fa-
cendo comprendere anche come gli studenti di allora sentissero con forza il bi-
sogno del confronto tra le diverse “correnti” architettoniche.
Leggendo questo libro si ripercorrono cinquant’anni e più di una attività di
ricerca orientata in un certo modo, una ricerca basata sulla continuità e sul-
l’innovazione, dove luogo e natura sono le invarianti di sempre. Una ricerca
divenuta fondamento per la cultura architettonica italiana e non solo e che
Gioia Seminario ripropone all’attenzione degli addetti ai lavori, inserendo
un’altra tarsia per la conoscenza del pensiero di Paolo Portoghesi, così sem-
plice e così complesso.

Giancarlo Priori

Roma, novembre 2008

12
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 13

Prefazione

Conosco Paolo Portoghesi da quando ero appena uno studente, quindi da


quando avevo diciannove o vent’anni. Lui è un po’ più grande di me, quindi
allora era agli ultimi anni. Era uno studente già molto eminente: stava per
uscire in quei mesi il suo primo libro su Guarini, che – mi sembra di ricordare
– egli scrisse durante i suoi studi.
Si può dire che già allora fosse uno studente fuori dal comune, che si di-
stingueva per essere particolarmente colto, privo delle timidezze culturali ti-
piche dei giovani: Paolo è una persona timida nei rapporti umani, ha della sue
sensibilità, però da un punto di vista culturale non aveva quelle timidezze che
di solito bloccano i giovani dal fare passi che possono sembrare troppo grandi
per le loro forze; in più aveva abbastanza energia, capacità di analisi, cultura.
Ebbi il mio primo contatto diretto con Paolo quando ero studente al primo
anno, perché il professore di analisi matematica, che cercava di interpretare
questa disciplina per gli architetti in una maniera meno fredda, e quindi cer-
cava un maggiore contatto con gli studenti più attivi per riuscire ad interessarli,
mi chiese di fare una tesina sul controllo geometrico-matematico delle pro-
porzioni architettoniche, una lunghissima storia legata alla cultura tradizionale.
Io, al primo anno, non sapevo come orientarmi. M’informai presso gli studenti
più grandi di me, e qualcuno mi disse: «Mah, forse l’unico che può indirizzarti
verso un libro è Paolo Portoghesi». «E chi è Paolo Portoghesi?», domandai.
Mi descrissero il personaggio e nel giro di pochi giorni fui a casa sua. Lui abi-
tava ancora coi genitori e stava in una stanza molto bella per quei tempi e per
quell’età. Ciò che mi colpì di più fu che dal soffitto pendeva un violoncello, la
straordinaria scultura di un violoncello. Aveva una stanza totalmente adibita a
biblioteca, solamente con un piano e una scrivania, e poi una camera più pic-
cola dove aveva il tavolo da disegno. Stava preparando il progetto per il quarto
o il quinto anno; il tema era un immobile per una della pareti di Piazza Navona,
il professore, appena arrivato da Venezia, era Saverio Muratori.
Ci presentammo ed io gli spiegai: «Mi hanno mandato da te amici co-
muni che mi dicono...». E lui mi prestò due libri molto belli, sulle tecniche

13
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 14

GIOIA SEMINARIO

del proporzionamento architettonico, dei grandi monumenti, delle piramidi,


delle cattedrali.
Ricordo che Paolo aveva dei libri bellissimi. Ci intrattenemmo un’ora, forse
anche di più, e fui molto attratto – anche perché lui li estrasse e me li mostrò
– da alcuni libri strepitosi di Guarino Guarini sulla stereotomia, cioè l’appli-
cazione della geometria al taglio delle pietre che dovevano andare a combi-
narsi, a comporsi nelle volte delle sue opere torinesi. E proprio questo tema si
è rivelato, secondo me, un elemento fondamentale anche nella poetica di Por-
toghesi e nel suo modo di incidere sull’architettura: questo rapporto molto
forte tra forma e controllo geometrico, che si legge chiaramente anche nelle
sue opere, delinea una geometria non euclidea, né pitagorica, ma una geome-
tria spaziale, molto articolata, che ha le sue radici, come in Guarino Guarini,
in una sorta di reinterpretazione della forme geometriche naturali, che sono
molto complesse, tridimensionali: sono difficili, ma anche emozionanti da ri-
produrre se si mantiene un controllo geometrico preciso.
Eravamo nel 1955/56, quindi cinquant’anni fa. Cinquant’anni fa egli aveva
già ben presente questa strada da reimmettere nell’architettura.
Certamente questi aveva anche compreso come fino al Movimento Mo-
derno l’architettura fosse intrisa del rapporto con la matematica: basti pen-
sare a Le Corbusier con tutti i suoi studi – il rapporto tra matematica e spazio,
matematica e uomo, la geometria, il modulor, il proporzionamento delle fac-
ciate, ecc. – ma anche a Terragni – si pensi al Danteum, al gioco della spirale.
Quella era una generazione che era profondamente, naturalmente pervasa
dall’idea che il rapporto tra l’architettura, la geometria e la matematica di or-
dine superiore, quindi tridimensionale, e con modelli di sviluppo non sem-
plicemente euclidei fosse innato.
Ed è una prerogativa che mi sembra di leggere ancora nelle architetture re-
centi di Paolo: soprattutto in questa fase Natura e architettura di nuovo
emerge – non l’ha mai perduto, ma in questo momento emerge fortemente –
questo aspetto fondamentale della sua ricerca: il legame tra la geometria, la
matematica, il proporzionamento nello spazio piuttosto che nel piano, il rap-
porto tra le forme. In qualche modo si può dire che, già allora, la strada che egli
vedeva tracciata per l’architettura movesse dalla trasposizione geometrica di

14
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 15

L’architettura come riflesso dell’anima

forme naturali, sempre molto complesse e molto affascinanti. Non so se tutto


ciò venga dallo studio precocissimo di Guarini o se al contrario egli si sia ac-
costato a Guarini perché in esso ha trovato un interesse, una riverberazione di
questi interessi personali: questo è molto difficile da capire nel corso del
tempo. Ma era così, nel 1956.
C’è un’altra cosa, sempre di quegli anni, che completa la mia percezione
della figura di Portoghesi. A quei tempi la facoltà era molto piccola e il nu-
mero di studenti era molto basso. In realtà al mio anno c’eravamo iscritti in
tanti, perché eravamo centocinque, ma a Natale eravamo già cinquanta.
Perciò in definitiva le persone che frequentavano la facoltà si conoscevano
tutte. Io conoscevo tutti, non solo quelli del mio corso, ma tutti quelli che
erano in facoltà in quegli stessi anni. Costituivamo una comunità divisa cul-
turalmente e facevamo molta attività culturale, più che politica.
Eravamo anche divisi in gruppi avversari: io facevo parte di una corrente
il cui elemento fondamentale era Manfredo Tafuri, i modernisti, che riven-
dicavano il razionalismo, la modernità, e così via. Paolo Portoghesi era, in-
vece, il riferimento di un gruppo di studenti molto interessanti di cui
facevano parte anche Paolo Marconi, Gianfranco Caniggia, Sandro Bene-
detti, Toni Malavasi.
I due scheramenti si fronteggiavano spesso e una delle sedi dove qualche
volta ci riunivamo era palazzo Salviati: mostravamo i nostri progetti e discu-
tevamo su questioni culturali.
Regolarmente, noi modernisti avevamo come riferimento negativo – quindi,
in qualche modo, come avversario culturale – i professori della facoltà, quelli
più anziani, che erano stati fascisti, che avevano costruito opere importanti
nella Roma piacentiniana, oppure che erano eredi accademici di Piacentini, di
Foschini ecc. Tra questi c’erano Del Debbio, che poi al contrario è stato esal-
tato per le sue doti naturali di architetto di grande stile, Vincenzo Fasolo, che
era preside in quel momento, ed era uno storico ma anche un architetto ope-
rante che aveva fatto una serie di opere addirittura prefasciste – uno strano
barocco simbolico – nell’immediato primo dopoguerra.
Ricordo perfettamente una sera in particolare, in cui Paolo Portoghesi
tenne un discorso che mi rimase impresso: era un discorso sulla tradizione

15
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 16

GIOIA SEMINARIO

– sul valore della tradizione – non tanto nelle forme che tramanda, negli ap-
procci, ma come processo di trasmissione del sapere e della cultura.
Egli ricordava come questi professori da noi tanto criticati, che erano stati
ed erano ancora dei grandi professionisti, e che avevano gettato la loro ombra
a volte imponente sull’architettura della città, restavano l’unico elemento vero
di trasmissione della cultura profonda, anche se naturalmente le loro scelte
linguistiche potevano essere contestate e dovevano essere superate. Un di-
scorso difficile, questo, perché quando si è giovani si è piuttosto rivoluzionari,
si vogliono cancellare – simbolicamente – tutti coloro che rappresentano il
passato, e ciò avveniva soprattutto quando si faceva coincidere questo pas-
sato col passato fascista, compromesso moralmente e politicamente.
Però fu un discorso molto forte, perché alla scuola di una volta, uno stu-
dente di punta, culturalmente molto attrezzato, fece un discorso in cui si di-
chiarò sostanzialmente contro le posizioni avanguardiste, per una continuità.
Ed è questo l’elemento da cui si evince l’interesse di Portoghesi alla storia del-
l’architettura, come continuo deposito della nostra disciplina. E se, in fondo,
questo concetto di deposito deriva dall’insegnamento di Wright, esso richiama
anche la memoria cattolica, in cui la tradizione si chiama depositum fidei, de-
posito della fede, e rappresenta quel bagaglio dal quale trarre continua ispira-
zione, e soprattutto col quale fare scelte. Ciò significa che esso non è un bagaglio
da portarsi così come lo riceviamo dall’altra parte del nostro fiume. Ognuno di
noi, ogni generazione pensa di attraversare il suo fiume, e poi c’è la generazione
successiva che attraversa il suo: noi non dobbiamo, almeno per quello che mi
sembrò di capire allora di Portoghesi, attraversare il fiume con tutte le scelte che
sono state fatte prima di noi, ma con tutto il bagaglio del depositum disciplinae:
e dobbiamo portarlo dall’altra parte perché esso è la bellezza del nostro essere
architetti. Questa era una posizione per quei tempi assolutamente nuova, direi
a suo modo rivoluzionaria rispetto ad una posizione che sembrava essere rivo-
luzionaria ma era in realtà più semplice, di essere contro la generazione prece-
dente, contro il passato, fautori di un taglio netto, limitandosi a sostenere che il
problema dell’Italia sia quello di mettersi alla pari con le nazioni più avanzate.
Si individuano così due elementi che rendono singolare ed importante l’ope-
rato di Paolo Portoghesi: il rapporto molto stretto tra architettura-geometria-

16
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 17

L’architettura come riflesso dell’anima

natura (geometria intesa non come vincolo ma come strumento di indagine


estremamente ricca di possibilità e come interpretazione architettonica delle
forme della natura) e il rapporto con il depositum disciplinae (cioè deposito
che sia un bagaglio completo della tradizione, che ci rende liberi di scegliere,
non ci vincola a ripeterla), che propone forme, simboli, memoria, ma ci per-
mette anche di comprendere cosa di realmente nuovo si sta elaborando e cosa
invece appartiene – forse senza intenzione – a cose, a momenti, a ricerche già
formate nella storia e alle quali conviene rifarsi. E tutto questo, queste due
cose, costituiscono anche la mia idea di com’era Paolo Portoghesi ancora nei
suoi anni verdi, quando io avevo vent’anni lui circa ventisette.
Avendo visto tutto quello che ha fatto dopo, mi sembra che almeno due dei
fondamenti principali del suo linguaggio lui li avesse già posti e, secondo me,
è proprio da questi che ha sviluppato il resto. Quindi, quando dopo la fase del
postmoderno la ricerca di Portoghesi si rivolse in maniera più decisa al tema di
architettura e natura io non mi sorpresi che riemergesse in maniera così chiara
questo rapporto, perché sapevo che in Paolo questo era sempre esistito.
Alcuni hanno pensato che la ricerca intrapresa sulla natura fosse una diretta
conseguenza del decadimento degli ideali postmoderni, in realtà Paolo non ha
dovuto inventare nulla perché continuamente, anche durante il periodo po-
stmoderno, anzi soprattutto nel periodo in cui il mondo dell’architettura era po-
stmoderno, nelle sue architetture, come ad esempio la Moschea – con il gioco
tridimensionale dei pilastri, le cupole ad anelli, la rete spaziale composta da co-
stoloni e anelli – ricordava già la natura. Quindi il cambiamento degli anni No-
vanta non mi ha per niente sorpreso, anzi, penso che fosse soltanto la libertà di
poter fare emergere questo aspetto della sua ricerca che è sempre stato presente.
Peraltro probabilmente anche Jenks, l’altro grande critico e mentore del po-
stmoderno – non conosco Jenks come conosco Paolo Portoghesi, anzi lo co-
nosco soltanto per aver sentito una sua conferenza e per aver letto i suoi saggi
– in fondo credeva anch’egli nell’ampio mondo delle forme naturali, vi ha sem-
pre visto un vocabolario che nel periodo dell’immediato dopoguerra non è
stato mai perso.
In questo momento Portoghesi lascia un vuoto in Italia. Io vedo i nostri stu-
denti che si accostano in maniera superficiale, come sempre i giovani fanno –

17
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 18

GIOIA SEMINARIO

come ho fatto anch’io quand’ero giovane – alle esperienze formali del nord-
Europa, in particolare agli olandesi, agli anglosassoni: non immaginano che
molti di questi autori, Steven Holl, Ben Van Berkel, adoperano la geometria
in maniera molto attenta, come matrice di forma e di controllo della forma, ge-
nerando anche geometrie estremamente complesse.
In Italia mi sembra che questa lezione di Portoghesi per ora non sia stata
compresa che da pochissimi. Si fa un’architettura istintiva, perché l’istinto de-
v’esserci sempre: un impulso quasi biologico verso un linguaggio piuttosto
che verso un altro è sempre parte essenziale del nostro essere. Però oggi pre-
vale questo istinto, questo essere trascinati dall’idea che l’architettura è arte
pura e crea degli oggetti senza scala che possono essere di qualsiasi dimen-
sione. Si progettano edifici che potrebbero essere piccoli oggetti da mettere sul
tavolo oppure grattacieli, indifferentemente: una circostanza che ha total-
mente deteriorato il rapporto tra design e architettura. Prima quando si di-
ceva dal cucchiaio alla città in realtà si definivano le dimensioni: il cucchiaio
serviva a certe cose, mentre la città comprendeva tutti i cucchiai più tutte le
case più tutte le finestre, e così via. Ed è tutt’altro: quando si diceva dal cuc-
chiaio alla città, non si davano due generi, ma due scale. Oggi mi sembra che
si progetti a una sola scala, la scala dell’oggetto di design. L’oggetto di design
ha bisogno di un assoluto controllo geometrico, ben lo sanno coloro che pro-
gettano, che fanno design in genere, architettonico o oggettistico, con il com-
puter: è difficilissimo adoperare il computer se non si ha quest’accortezza al
controllo geometrico. Però il computer ci aiuta moltissimo perché ci dà delle
cose prefatte, delle funzioni che girano da sole: se spostiamo un punto lungo
una spline, oppure un punto di controllo di un volume, non conosciamo ne-
anche la funzione di cui stiamo variando i dati e ci pensa il computer a mo-
strarci una forma, che magari non è quella che noi ci aspettavamo, ma che
dobbiamo accettare perché il programma è così impostato.
In questo senso non mi sembra che la lezione di Paolo Portoghesi sia stata
capita, anche se sarebbe molto facile mettere in relazione le ricerche mate-
matiche di alcuni olandesi – i migliori – e di alcuni anglosassoni straordinari
con la italianissima maniera di concepire il rapporto tra architettura e stru-
menti matematici e geometrici del suo controllo, e soprattutto questo rap-

18
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 19

L’architettura come riflesso dell’anima

porto, il numero – o se si vuole la geometria – nello spazio come cerniera tra


l’architettura e la natura, e questo mi sembra una cosa di grande interesse.
A me sembra che Paolo Portoghesi in questo momento sia una persona
come quelle che egli amava che fossero rispettate, prese sul serio quando lui
era giovane, cioè una persona che rappresenta il far vivere nonostante tutto –
con grande autorevolezza – anche se in maniera appartata, alcuni essenziali
filoni di ricerca sull’architettura che se egli non ci fosse oggi sarebbero spenti,
e che sarebbero molto difficili da riprendere fra qualche anno.
In particolare questo rapporto natura-matematica-architettura è assoluta-
mente straordinario: è lì, è pronto, è in tutta l’opera di Portoghesi, nelle sue
opere e nei suoi scritti è continuamente presente, ed è anche questo parte del
deposito delle nostre vite e si lega, come tutte le opere preziose di questo de-
posito, con tutta la storia dell’architettura.
Il problema del linguaggio – intenso come uso dei simboli dell’architettura
stessa: l’arco, i tetti, le altane, tutto ciò che guardando un’architettura di oggi ci
rammenta atmosfere architettoniche del passato – è un po’ più complesso e
per spiegarlo bisognerà invece richiamare la letteratura. Certamente Paolo Por-
toghesi è considerato il campione della italianità architettonica. Certo la sua
architettura, e anche quella di Aldo Rossi, hanno portato all’attenzione del-
l’audience mondiale colta e meno colta, un rapporto con i simboli dell’archi-
tettura del passato molto evidente, molto forte. Questo è evidente, almeno a
una lettura superficiale, sebbene le due visioni siano naturalmente molto di-
verse tra loro forse perché, a parte le differenze personali, psicologiche, di for-
mazione culturale, si può attribuire ad Aldo Rossi una identità basata sulla
tradizione lombarda, o comunque del nord dell’Italia, e a Portoghesi una for-
mazione più a contatto con l’italianità barocca o rinascimentale di questa stra-
ordinaria città che è Roma. In realtà, la cultura italiana moderna ha un rapporto
col passato che assorbe in se anche il compito di fare cultura per una società che
non si divide più in élite e plebe, ma è tutta in attesa, nella sua vastità, di guida
culturale, di elementi su cui riflettere, di crescita, di comprensione di quello
che faranno le prossime generazioni, di avanzamento sociale e culturale.
L’Inghilterra è stata sempre più avanti di noi continentali di circa cento anni
– e se penso all’Italia del Sette-Ottocento, forse gli inglesi erano più avanti

19
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 20

GIOIA SEMINARIO

anche di duecento anni per certi versi. Ci sono state fasi in cui quel che è av-
venuto in Inghilterra si può studiare in maniera quasi meccanica, quasi come
un esercizio sperimentale di laboratorio. La città moderna in Inghilterra – lo
sappiamo – nasce prima, nasce nel Settecento, e porta alla luce l’insufficienza
della società: da una parte c’erano i signori che erano sempre stati in città,
presso la corte, e dall’altra queste genti nuove di campagna che si imborghe-
sivano, diventavano molto ricche e cominciavano a diventare folla, una folla
incolta, che però aveva esigenza e diritto di trovare la propria identità cultu-
rale, che non era tutta nel passato ma doveva essere nuova. Quello fu il pe-
riodo in cui stranamente gli architetti inglesi inventarono un’architettura
sommaria, di grande efficacia dal punto di vista del funzionamento della città,
ma anche di grande comprensibilità.
Il palladianesimo inglese si diffonde veramente due secoli dopo la vicenda
terrena di Palladio, anche se era stato quasi immediatamente propagandato in
Inghilterra da Inigo Jones. Perché questo, e in che forma viene utilizzata l’ar-
chitettura palladiana, con strumenti di diffusione di qualità superiore? Esat-
tamente come il melodramma, cioè la musica cantabile, ha diffuso i principi
musicali rinascimentali che erano molto alti, l’architettura di Palladio ha rice-
vuto con il palladianesimo inglese la massima difusione: mentre l’opera del
maestro è, come tutte le grandi architetture, molto ardua e fatta di sottigliezze,
l’architettura palladiana rende cantabile l’architettura rinascimentale, ren-
dendola apprezzabile al vasto pubblico. Così come non troveremo nessuno
in Italia che canta un pezzo di Monteverdi, tutti invece sapranno cantare un
pezzo di Verdi. Questa trasposizione della cultura alta in cultura cantabile,
non significa far perdere la sua dignità al gesto artistico, significa però capire
che la comprensibilità è fondamentale se si vuole affrontare una società di
massa che cerca di migliorare la dirittura. Basti pensare che in quel periodo in
Inghilterra, la moglie e la figlia di un bifolco, arricchito perché si era messo a
fare il commerciante, che veniva dal Sussex o dal nord, andava a Londra e si
prendeva una casa a schiera, andava a fare i bagni termali a Bath, e trovava il
rigoglio anche commerciale dell’architettura palladiana, che era comprensi-
bile, era chiara, era semplice, aveva dei riferimenti simbolici di grande impatto
per chiunque. E senza saperlo, ma con grande godimento personale e piacere,

20
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 21

L’architettura come riflesso dell’anima

per queste due vie il loro spirito collettivo veniva irrigato di cultura rinasci-
mentale con stile occidentale.
Naturalmente ciò che potevano fare i due Woods a Bath o Haendel a Lon-
dra è eminentissimo, sono capolavori dell’architettura, capolavori della mu-
sica. Ma sono architettura e musica che non tengono conto della corte più
raffinata, dove addirittura l’alimento della raffinatezza è a volte la stravaganza,
l’innovazione assoluta, la sorpresa, ma tiene conto del fatto che l’interlocu-
tore è una società larga e che ha bisogno per entrare nel mondo di una cultura
nuova di simboli e di movenze – all’atto della scena – comprensibili. Com-
prensibili sotto tutti i punti di vista: dal punto di vista del linguaggio, della tra-
smissione del significato; comprensibili perché immediatamente toccano
emozioni profonde, che sono memoria, ricordo, tutto ciò che attiene ai mec-
canismi di percezione interni a ciascuno di noi. Ecco, io credo che Portoghesi
abbia chiarissimo questo concetto.
Andando in treno a Maratea passo per Sapri. Dal treno, in un punto che si
trova a una quota un pochino più alta, su un terrapieno o forse su un viadot-
tino antico, a un certo punto nella massa di brutte case del luogo – Sapri è un
posto bellissimo, rovinato da un’edilizia che è stata sempre brutta, anche ai
tempi di Carlo Pisacane – su tutto emerge la parte superiore di una palazzina
di Paolo Portoghesi. E‘ una di quelle palazzine a pianta centrale con un tetto
– più o meno – a padiglione e con un’altana molto trasparente, fatta con dei
pilastri e un altro piccolo tetto – più che un’altana è una lanterna tratta quasi
per gioco da una cupola minore di Roma e poi tesa, quadrata per ragioni di ti-
pologia. Ecco questa palazzina, che a molti dei miei coetanei, amici, allievi
sembra una cosa di assoluto poco conto o addirittura un esempio di ciò che
non bisogna fare, in se ha una serie di elementi estremamente positivi. Emana
attorno a se il senso dell’abitare, che è il senso di vivere in un mondo migliore
di quello che c’è attorno. E non c’è bisogno di essere dei raffinati intenditori
di architettura: io credo che una persona qualsiasi di Sapri vedendo quella pa-
lazzina e vedendo il resto vorrebbe andare ad abitarci.
Di che parla quella palazzina? Essa parla prima di tutto dell’architettura
come decoro della vita, non soltanto quindi come ricetto – come luogo che ci
protegge dalle intemperie, che ci permette di sopravvivere – ma come rap-

21
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 22

GIOIA SEMINARIO

presentazione dell’utente: chi vi abita vuole che il suo autoritratto sia la casa
stessa, che questa assorba la sua identità e la restituisca a un livello superiore.
C’è civiltà, c’è garbo, c’è decoro, c’è un rapporto sereno con la storia – seb-
bene non definita: il Barocco, il Settecento, l’Ottocento, il Novecento. È, se vo-
gliamo, un’architettura cantabile, cioè comprensibile, che si memorizza e nella
quale ci si identifica con grande facilità. Non pone problemi di comprensione
di un contrappunto troppo complesso, ma in se ha tutti gli elementi – non me
manca uno – ha tutte le note che servono per fare di quell’architettura una
grande architettura residenziale. E a considerare questo, mi sembra chiaro che
durante il periodo che passa col nome di postmoderno, specialmente all’ini-
zio di questo tempo di dissenso – è finito il proibizionismo – in realtà Paolo
non intendesse riferirsi al proibizionismo di adoperare un arco o una serliana
o altro, piuttosto a questa forma di autocensura o, meglio, di presunzione che
l’architettura per essere tale dovesse essere concepita per i cortigiani di un
principe virtuale, raffinatissimi, che sapessero cogliere sottigliezze anche dove
non ce n’erano o dove erano così tenui o così forzate da riuscire incompren-
sibili alla massa delle persone.
Se per un attimo ci rifacciamo al filone della grande letteratura italiana mo-
derna, ritroveremo dei casi del tutto analoghi. Questa infatti è riuscita a dare
alla luce opere somme in cui è vivo il rapporto delle strutture storiche della
poesia o della letteratura con il linguaggio popolare, quindi sedimentato nella
nostra quotidianità. Le parole che adopera Giovanni Pascoli sono tratte dai
dialetti, dal linguaggio corrente, ma nello stesso tempo sono tratte anche dal-
l’inglese, dai suoni che egli rende onomatopeicamente, gli uccelli, i boschi
sotto il vento, o altro. Le strutture sono assolutamente classiche, la poesia in
terzine pascoliana è la poesia in terzine dantesca. Ma questi fa della sua espe-
rienza poetica un laboratorio che forse non ha avuto pari in Italia. Tocca quasi
sempre direttamente le emozioni, e non si fa schermo con astrusità di una sog-
gezione alla piccola corte degli intenditori, ma ha anche un livello di cultura
che è da intenditori. Pasolini fa lo stesso, basta guardare le sue poesie e ci si ac-
corge che egli adopera la terzina pascoliana come Pascoli adoperava la poesia
dantesca, continua in maniera direi addirittura ossessiva a pescare nel lin-
guaggio comune, quella che io amo dire la ricerca del sublime del linguaggio

22
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 23

L’architettura come riflesso dell’anima

basso, che poi è la stessa ricerca di Ridolfi. E credo che Portoghesi, con le sue
caratteristiche proprie – i paragoni sono sempre difficili da fare, non reggono
dopo una prima lettura superficiale, giustamente – faccia parte di questa
grande tradizione italiana di innovatori della cultura e anche, in qualche modo,
di innovatori della società. La sua opera necessitava di essere riletta in questo
senso, mettendo in luce criticamente un personaggio complesso la cui perso-
nalità, la formazione culturale, l’opera e il lascito che sta offrendo alle future
generazioni meritano di essere rimessi in luce.

Lucio Valerio Barbera

Roma, novembre 2008

23
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 24
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 25

Il riflesso dell’anima

L’architettura come forma espressiva

Incontrai per la prima volta Paolo Portoghesi nel Maggio del 2005, nel suo
studio di Calcata. L’impatto con questo luogo fu da subito stimolante per la
vivace fantasia di una giovane architetto alla ricerca di un’impronta per i
propri studi, eppure allora non mi si era ancora pienamente chiarito quello
che il tempo e la ricerca hanno lentamente delineato nella mia mente.
Arrivai a Monte Menutello di pomeriggio. In una campagna inondata di
sole, di un verde sorprendente per chi viene dalla città, scorsi tra gli alberi,
come in una proiezione onirica, un piccolo edificio dalla facciata preziosa
come un ricamo, che già al primo sguardo si percepiva ricca di memorie e
di simboli ma che anche lasciava quel senso di indeterminazione che era già
di per se un invito ad entrare.
Tuttavia mi soffermai a lungo su quell’immagine, vista tanto spesso in
fotografia. Aveva per me tanti volti quella facciata, muta ed insieme par-
lante, granitica e dolce. Aveva i diversi aspetti di quest’uomo allo stesso
tempo tanto chiaro e profondamente imperscrutabile, raccontava di lavoro
artigiano e di poesia, di memoria e di ricerca, di natura e di artificio. Par-
lava insomma di tutto quello che costituisce la materia stessa dell’essere un
architetto, al di là delle convenzioni stilistiche di un dato tempo storico, ma
in una vera e propria condizione di dinamica fissità, in cui si percepisce il
movimento, ma il senso di permanenza è esaltato.
Ed entrandovi questa intima sensazione non fu disattesa. Lo studio non era
un luogo di memorie, come in tanti avevano sottinteso, e tantomeno un aset-
tico atelier alla moda: era un ambiente semplice, in cui l’utilità trovava ri-
sposte originali e funzionali insieme.

25
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 26

GIOIA SEMINARIO

Percepii immediatamente quanto la personalità di Portoghesi fosse radicata


in questo luogo, come il suo stile trasparisse da ogni dettaglio. E quando lo in-
contrai mi resi conto di quanto tale ambiente armonizzasse con il suo stesso
essere, di come tutto quello spazio intorno fosse materia plasmata sulla sua
stessa persona, con un senso profondamente saggio dell’origine che ti porta
a foggiare il tuo habitat con il gesto istintivo che è proprio dell’uomo naturale.
La mia prima conversazione con lui fu in realtà un monologo, venti lun-
ghissimi minuti in cui lo ascoltai come rapita, mentre lui mi parlava lenta-
mente, incidendo la prima traccia della sua personalità nella mia mente.
Oggi posso dire che quella conversazione mi servì a ben poco sotto il
punto di vista della ricerca: non avevo parole, non avevo domande, né un
taglio per i miei scritti. E forse mi ostinavo a cercare uno spunto interpre-
tativo nuovo laddove già tanto era stato detto. È stato invece il tempo a pla-
smare questo lavoro che, a cavallo tra il racconto e la critica, narra insieme
la storia di un uomo e di tanti uomini, di Paolo Portoghesi e di tutti coloro
che come lui hanno guardato al mondo con curiosità insaziabile e non hanno
avuto timore nel continuare a ricercare e ad esprimersi.
Allo stesso modo, sfidando l’esistenza di numerosi testi che raccontano
l’evolversi dell’attività professionale di questo architetto, la presente trat-
tazione afferma la propria autonomia, movendo dalla precisa volontà di in-
dagare, andando oltre la semplice esposizione delle opere, il lavoro di un
noto progettista che ha lasciato il suo segno indiscutibile nella storia del-
l’architettura italiana dal secondo dopoguerra.
Architetto dal grande carisma intellettuale, Paolo Portoghesi interpreta
pienamente con la multiformità della sua produzione il significato della ro-
manità contemporanea, divisa tra un incontenibile senso della storia ed un
necessario anelito a restare al passo con il proprio tempo. In questo senso,
si può dire che la singolarità del suo lavoro risieda nel fatto che, molto più
dei tanti altri architetti della stessa generazione, con spirito antico egli con-
cepisca il progresso1 inteso come evoluzione rispetto al passato, contrap-

1 - Il termine progresso proviene dal latino progrèssus che significa letteralmente cammino,
essendo composto dal prefisso pro (avanti) e dal suffisso gressus (passo), che è anche il
participio passato di gradi, camminare. Progredire è dunque muovere in avanti, incre-
mentare, avanzare. Va da se che il termine non implica letteralmente superamento.

26
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 27

Premessa - Il riflesso dell’anima

posto al tanto diffuso senso di superamento che ci imbarbarisce nella te-


starda negazione del passato.
Questo volume, lontano dal voler ripercorrere in maniera sistematica e
compiuta la grande vastità dei contributi teorici e pratici lasciati da Porto-
ghesi nel corso degli anni, si configura piuttosto come una analisi critica
della sua lunga carriera, rivolta essenzialmente ad evidenziarne il contri-
buto culturale permanente all’architettura attuale.
Per definire il proprio campo d’indagine, il testo assume come punto di
riferimento il volume del 1974 Le inibizioni dell’architettura moderna,
opera centrale nella produzione dell’architetto romano, che compendia le
componenti più significative del lavoro da lui svolto nei quindici anni che
ne hanno preceduto la pubblicazione ed anticipa le evoluzioni successive del
suo pensiero. Prenderlo come base di indagine significa proprio cercare di
analizzare questo metodo a partire da un momento cruciale, crocevia tra un
primo tempo fatto di indagini solipsistiche e originali e un secondo tempo
di ricerca di una coralità, nella convinzione che dietro a queste ci sia una lo-
gica complessa a cui pervenire, integrando per parti il risultato finale.
Il passaggio dallo studio dei primi anni di attività, che vide Portoghesi im-
pegnato fino alla fine degli anni Settanta in quella ricerca da lui definita lo
spazio come sistema di luoghi, ai successivi aneliti postmoderni per giungere
negli anni novanta alla conclusiva fase di architettura e natura, segnano le
tappe di un cambiamento evidente sotto il punto di vista formale e della ri-
cerca, ma lo sono soprattutto, come asserisce egli stesso, in quanto segni di
un sostanziale passaggio da una posizione di isolamento intellettuale, pur se
paradossalmente più largamente condivisa, come era quella che lo legava
alla ricerca spaziale, ad una posizione di apertura, una ricerca di coralità,
come egli la definisce, che tuttavia lo conduce a dei risultati formalmente ri-
dondanti che per lo più, a differenza degli studi precedenti, ne sanciscono una
distanza rispetto agli architetti dei suoi anni.
Ma ciò che questo testo vuole rilevare, oltre l’evidenza di tali fatti, è il va-
lore originale che questo progettista ha aggiunto all’evolversi dell’architet-
tura, mettendo nel giusto rilievo l’importanza di taluni temi da lui sollevati
e mai sufficientemente interpretati, prescindendo da quelle sovrastrutture
accumulatesi nel tempo che ne travisavano l’effettiva qualità. Ciò significa

27
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 28

GIOIA SEMINARIO

non tanto l’aver verificato, quanto l’aver misurato la coincidenza tra le due
cose: dando dunque per acquisito il necessario collegamento tra teoria e
pratica, le pagine che seguono si rivolgono a chiarire quanto l’opera di teo-
rico e di storico abbia influito sulla ricerca architettonica di Portoghesi e
quanto, viceversa, la ricerca architettonica ne abbia condizionato l’indagine
storica, dando la misura dell’efficacia del suo lavoro nell’ambito più vasto
della cultura italiana della seconda metà del Novecento.
È il resoconto di un’attività dalla natura estremamente complessa, ma anche
la storia di una vita dedicata all’architettura, raccontata tra critica e cronaca
per mettere in luce gli infiniti volti di un architetto dalla sensibilità d’artista.

Dove nasce l’ispirazione

Formatosi alla scuola romana in quel particolare periodo in cui l’archi-


tettura italiana, appena uscita dall’autoritarismo del regime fascista, era as-
sorbita da un tentativo di rifondazione culturale, Paolo Portoghesi avverte
in maniera profonda i mutamenti prodotti dagli eventi del suo tempo. Un
tempo in cui stridente è la dicotomia tra il poetico passato delle più belle
città italiane e l’evidente devastazione prodotta dal secondo conflitto mon-
diale ed in cui è particolarmente difficile comprendere da dove debba rico-
minciare a vivere un’architettura frammentata che ha più che mai bisogno
di confrontarsi con la gente comune. Per questo motivo le vicende degli
anni Cinquanta, in particolare, costituiranno lo spunto essenziale d’ispira-
zione per l’architetto romano, all’interno della cui opera è facile ravvisare
da subito tracce di un forte curiosità verso la vicenda neorealista – e in par-
ticolare verso la figura di Mario Ridolfi, dalla cui opera egli mutua una forte
inclinazione all’uso di materiali e tecniche tradizionali, ma anche quell’at-
tenta elaborazione della forma che è tipica delle più tarde opere del maestro
– e nondimeno un’attenzione particolare al dibattito sul neoliberty che de-
riva dalla proiezione del suo già grande interesse per l’architettura Art Nou-
veau su una precisa volontà di superare il primato della regola moderna in
favore di una riscoperta dell’identità nazionale.
A questi fattori si aggiunge l’attenta assimilazione della lezione di Sa-
verio Muratori che proprio in quegli anni, per primo, reintroduce a livello

28
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 29

Premessa - Il riflesso dell’anima

accademico lo studio della storia dell’architettura come metodo di ricerca


per la progettazione architettonica:2 in un periodo in cui si rimette in di-
scussione l’importanza dell’indagine e dell’adeguamento degli insediamenti
antichi e moderni alla nuove esigenze della società postbellica, Muratori ri-
cercherà fra i caratteri della tradizione antica che considera permanenti le
matrici tipologiche, distributive e costruttive accettate collettivamente e ri-
producibili,3 lasciando la sua impronta peculiare alla allora poco popolosa
accademia romana. E Portoghesi, che ne fu allievo, assorbì da subito tale in-
segnamento, dimostrandosi sin dagli anni dell’università sensibile ai valori
della tradizione e traslando questi principi nella sua personale ricerca.
D’altro canto, nel vario contesto dell’architettura italiana dagli anni Ses-
santa in poi, la sua prassi operativa segue un percorso decisamente artico-
lato, caratterizzato da uno sdoppiamento dell’attività che, se per un verso si
svolge in un ripiegamento che sfocerà nella ricerca dedicata a lo spazio
come sistema di luoghi,4 per un altro verso lo vede direttamente coinvolto
nelle vicende intellettuali e politiche del tempo:5 una dualità che è caratte-
ristica permanente di tutto il suo lavoro e che costituisce il cardine del-
l’analisi di questo testo.
Proprio nell’ottica di orientare da subito l’indagine in questa direzione, chi
scrive ha individuato nel libro Le inibizioni dell’architettura moderna un
testo particolarmente rappresentativo di tale peculiarità, una sintesi di que-
sta multiformità di azione che, svolgendosi a cavallo tra verifica storica,

2 - Cfr. P. PORTOGHESI, Dopo l’architettura moderna, ed. Laterza , Bari 1980, pag. 82.
3 - Cfr. L. BENEVOLO, L’architettura nell’Italia contemporanea, ed. Laterza, Bari 2006 (ul-
tima edizione), pag. 189.
4 - La ricerca, condotta a cavallo tra gli anni sessanta e settanta insieme a Vittorio Gigliotti, pro-
cede in parallelo con l’opera teorica e pratica di Ch. NORBERG SCHULZ che, in merito agli studi
di Portoghesi e Gigliotti pubblicherà il libro Alla ricerca dell’architettura perduta, ed. Officina,
Roma 1976. Una più diffusa trattazione di questo tema è rinviata ad un capitolo successivo.
5 - Il riferimento è al dibattito che ha coinvolto la Facoltà di architettura di Milano sul fi-
nire degli anni Sessanta. La polemica, ampiamente documentata nelle cronache del tempo
è in P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna, ed. Laterza, Bari 1974 (Parte
Terza), ma anche in AA.VV. Cronaca di una polemica in Controspazio n. 10-11 del nov.
1971, pagg. 2 a 11; in P. PORTOGHESI, L’architetto è un fossile. Chi lo nega va in castigo in
L’Espresso n.48 del 28/11/1971, pag. 2; in P. PORTOGHESI, Perché Milano. Une saison en
enfer in Controspazio n. 1 del giu. 1973, pagg. 6 a 9.

29
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 30

GIOIA SEMINARIO

fig. 1 - La Casa Lina alle Marmore di Mario Ridolfi, Terni 1966.

fig. 2 - La Sede centrale della Democrazia Cristiana di Saverio Muratori, Roma 1955/58.

30
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 31

Premessa - Il riflesso dell’anima

sperimentazione progettuale e attività divulgativa, riconosce nel passato il


riferimento fondamentale di tutti questi ambiti di ricerca.
Difatti nel piccolo volume del 1974, che prende come sfondo la critica a
quella che viene definita dall’autore l’inibizione razionalista, Portoghesi
realizza un’analisi mirata della condizione architettonica che ha come obiet-
tivo la esposizione del proprio personale approccio alla materia.
Riconoscendo nella storia della architettura6
uno strumento insostituibile di conoscenza, di giudizio e di azione costruttiva
sin dalla premessa al testo questi anticipa la propria posizione. Già in que-
sti tre termini chiave è infatti possibile scorgere una grande quantità di prin-
cipi cardine della sua ideologia, ma soprattutto è possibile leggere una
precisa dichiarazione di metodo, che condensa tre momenti fondamentali
del pensiero dell’architetto romano.
La designazione di storia come strumento di conoscenza costituisce un pre-
supposto che si riconduce ad un metodo d’indagine ben definito che, se per
un verso prevede una lettura analitica delle opere e dei luoghi, per un altro im-
plica il riconoscimento e il recupero di codici consolidati mutuabili dalla tra-
dizione storica, che costituiscano il presupposto di un metodo storicamente
verificabile e confortato da regole precise. Difatti, attribuendo alla ricerca sul-
l’antico la qualità di un consapevole strumento7 per misurarsi con la pratica
progettuale, egli incoraggia a rivalutare l’importanza di riferirsi ad un sistema
storicamente accertato come mezzo di governo del progetto, che aggiunga8
al controllo diretto legato alla verifica empirica della rispondenza di un edi-
ficio ai suoi scopi un controllo indiretto basato sulla congruenza dell’opera
con una serie di regole stabilite a priori.
Tale affermazione, rilevante per molti aspetti relativi al pensiero dell’ar-
chitetto, spiega chiaramente l’importanza che egli attribuisce a quella com-

6 - P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna, ed. Laterza, Bari 1974, Premessa


a pag. VII.
7 - Cfr. G. PRIORI, La poetica dell’ascolto - Presentazione di P. Portoghesi, ed. Clear, 1988,
pagg. 9 e 10.
8 - Ibid. a pag. 67.

31
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 32

GIOIA SEMINARIO

petenza proveniente dalla storia, in cui egli riconosce una grande quantità
di regole compositive capaci di arricchire le attuali metodologie di ricerca.
Riconsiderare l’antichità significa, in primo luogo, non già disconoscere
il passato recente, ma cercare di reintegrarne il metodo con l’eredità di espe-
rienze che la storia più antica ci ha lasciato. I problemi che impegnano il
ruolo stesso dell’architetto nella società del tempo9
possono risolversi – scrive nel 1960 – solo nell’impegno di un dialogo serrato
e analitico che realizzi quella revisione nella continuità, unico modo di non
tradire la spinta interiore che è la parte perennemente valida delle esperienze
che vengono riunite sotto l’etichetta del Movimento Moderno.
Se è possibile, in questa affermazione, cogliere il riferimento alla pole-
mica che sul finire degli anni Cinquanta interessò il mondo della cultura
architettonica – la cui trattazione rimandiamo alle pagine successive – è al-
tresì sottolineata da Portoghesi l’importanza di reimmettere l’eredità del
passato nel percorso di risoluzione delle problematiche attuali.
Se questa interpretazione del ruolo della storia implica necessariamente
una profonda selezione dell’insegnamento lasciatoci dai nostri predeces-
sori, un valore fondamentale è da attribuire alla definizione di storia come
strumento di giudizio che implica una visione critica dell’evento remoto, e
consente di mettere a confronto i vari stili, indagando profondamente lo
spirito dei tempi che li hanno animati. Questa visione critica, che registra
certamente le considerazioni sulla modernità del Barocco formulate da Sig-
fried Giedon nel testo Spazio, tempo, architettura10 e abbraccia ed estende
al campo architettonico gli asserti registrati da Walter Benjamin nel suo

9 - P. PORTOGHESI, Architettura e ambiente tecnico, in Zodiac n. 7 del 1960, pag. 19.


10 - Il testo di Giedon venne pubblicato per la prima volta nel 1954, quando Portoghesi
era ancora uno studente. All’interno del libro l’autore si concentra proprio sulla Roma
barocca e sull’opera di Francesco Borromini. Numerosi sarebbero i passi da citare per
sintetizzare la quantità di spunti che il breve trattato sul Barocco, inserito in una amplis-
sima trattazione storica, suggerisce. «Nelle mani dei costruttori barocchi - egli scrive - le
forme del Rinascimento non furono che gli elementi fondamentali della composizione
architettonica. Appunto come Bach avrebbe trasposto una semplice melodia in nuova e
grande armonia elaborata e virtuosa, questi architetti trasformarono le forme maturate
del Rinascimento». Da Spazio, tempo, architettura di S. GIEDON, ed. Hoepli, Milano 1984,
pagg. 101 e 102.

32
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 33

Premessa - Il riflesso dell’anima

testo del 1926 Il dramma barocco tedesco11 – trattato filosofico fondamentale


per la rivalutazione della modernità del barocco e dei suoi valori storicamente
oscurati – in Portoghesi ha rappresentato anche una volontà di sottolineare
l’importanza di tale sovvertimento delle convinzioni ormai acquisite circa gli
eventi storici – come questi evidenzia nel primo capitolo di Roma Barocca,
in cui ribadisce la necessità di un capovolgimento dell’idea secondo cui il
Seicento sia un tempo di decadimento della cultura architettonica, dimo-
strando l’esistenza nell’architettura barocca romana di un potenziale creativo
mai totalmente considerato – e costituisce certamente un elemento caratteri-
stico della sua indagine, che lo conduce a rivedere gli eventi in un ottica più
strettamente indirizzata all’interpretazione profonda dei presupposti culturali
su cui nasce una tendenza che ad un’analisi asciutta dei temi affrontati. Tale
caratteristica, ravvisabile in tutti i suoi testi di critica storica, è anche il pre-
supposto di un’attività progettuale che, per essere posta in essere, esige il sup-
porto di un materiale ricercato e selezionato tra le trame del passato.
Non a caso, l’architetto sostiene infine che la storia sia strumento di azione
costruttiva, a cui riconosce il potere di guidare l’azione dell’architetto nel-
l’esercizio della sua professione. Sotto questo punto di vista è lecito leggere
in tutta la sua opera architettonica una sottile unitarietà, data proprio da un ri-
ferimento costante alla storia. Se in taluni casi ciò è più manifesto, come nel
progetto per casa Bevilacqua a Gaeta, in cui è chiara l’ispirazione ai celebri
disegni per le fortificazioni michelangiolesche, o nel progetto per il centro
termale ad Abano, in cui evidente è il richiamo alla sintassi palladiana; in altri
casi, come ad esempio la Chiesa delle Sacra Famiglia realizzata a Fratte, vi-
cino Salerno, o la Moschea progettata di recente per Strasburgo il riferimento
alla storia resta latente nel processo compositivo, come un richiamo sottile e
misurato all’interno della sperimentazione condotta sul luogo.
È evidente per quanto detto il fatto che sin dai primi anni di attività l’ana-
lisi storica sia percepita da Portoghesi come fattore inevitabile in qualsiasi
ambito relativo all’architettura per mettere a fuoco il significato del pro-
prio momento storico. Indubbiamente in tale idea, che ne Le inibizioni del-
l’architettura moderna risultava strettamente connessa alle ricerche del

11 - W. BENJAMIN, Il dramma barocco tedesco, ed. Biblioteca Einaudi, Torino 1999.

33
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 34

GIOIA SEMINARIO

tempo, è possibile leggere un’ideologia radicata, che accompagna l’opera


dell’architetto romano attraverso tutti i tempi della sua sperimentazione.
Tuttavia in tale testo la sua analisi ha dei margini precisi, che circoscrivono
la sua indagine, e che si riconoscono in una volontà di rivalutazione di quel
mutamento di rotta dell’architettura iniziato con la polemica sulla tendenza
neoliberty, che alla fine degli anni Cinquanta costrinse ad una revisione
degli obiettivi della progettazione.12
Momento che questi definisce un secondo tempo di sviluppo dell’architet-
tura moderna e che, se secondo i critici dei suoi giorni era stato un tempo di
crisi,13 egli considera un periodo di rifondazione e di travaglio teorico, in cui
intravede le condizioni per dare avvio ad una nuova stagione creativa.14 In
particolare, l’enfasi con cui Portoghesi legge i fermenti di questo periodo as-
simila l’esperienza culturale del tempo ad una ardente battaglia di valori, di
cui l’architetto romano comprende l’importanza nel confronto con la storia15
intesa sia come metodo che come patrimonio da indagare.
La questione viene apertamente sollevata per la prima volta nel 1957, con
la pubblicazione sulla rivista Casabella della “Bottega di Erasmo” proget-
tata da Roberto Gabetti e Aimaro Isola, la cui lettera di presentazione, che
invocava al recupero di un poetico passato come ribellione a quelle diete
sagge proposte dalla modernità italiana,16 avviò il dibattito circa il profi-

12 - In Casabella n. 215 del 1957, alla lettera di R. GABETTI e A. ISOLA allegata al progetto
e intitolata L’impegno della tradizione, pagg. 63 e 64, fa seguito l’intervento di V. GREGOTTI
a pag. 64. Ad essa fa riferimento anche l’editoriale di E. N. ROGERS Continuità o crisi?,
pagg. 3 e 4, che discute i problemi legati all’eredità del Movimento Moderno.
13 - Si veda qui, a partire dalla polemica del 1958 innescata da R. BANHAM su The Architec-
tural Review (nota 18) - che avrà ampio riscontro di critica in Italia con articoli come L’evo-
luzione dell’architettura di E. N. ROGERS in Casabella n. 228 del 1959, pag. 4 o L’andropausa
degli architetti moderni italiani di B. ZEVI (editoriale) in L’architettura – Cronache e storia,
pagg. 222 e 223 – la revisione critica di M. TAFURI in Storia dell’architettura italiana. 1944 –
1985, ed. Einaudi – 1986, pagg. 84 a 122, da cui trapela la percezione di un’architettura fram-
mentaria ancora alla ricerca di un proprio ruolo nella nuova situazione nazionale.
14 - P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna, ed. Laterza, Bari 1974, Pre-
messa a pag. VII.
15 - Ibid. a pag. 3.
16 - R. GABETTI e A. ISOLA, L’impegno della tradizione in Casabella n. 215 del 1957, pag. 63.

34
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 35

Premessa - Il riflesso dell’anima

fig. 3 - La Bottega di Erasmo di Roberto Gabetti e Aimaro Isola, Torino1957.

larsi di una nuova tendenza dell’architettura che, se suscitò l’immediata


reazione di Vittorio Gregotti ed Ernesto N. Rogers, ebbe altresì ampia ri-
sonanza in tempi successivi nel dibattito architettonico.17 In particolar
modo, l’editoriale scritto da Rogers, intitolato “Continuità o crisi?”, costi-
tuì lo spunto per un più approfondito dibattito, ponendo al centro il pro-
blema dell’evolversi del metodo in un’architettura come quella italiana,
che viveva in quegli anni un momento di intenso travaglio: è con le con-
siderazioni fatte in questo editoriale, infatti, che il direttore di Casabella
introduce un problema di estrema complessità nell’ambito della cultura
del tempo. Interprete egli stesso di una nuova espressività con l’edificio mi-

17 - A partire dagli articoli comparsi su Casabella n. 215 è possibile tracciare una vasta cro-
nologia degli interventi. Basti citare Ortodossia dell’eterodossia, lettera di E. GENTILI e rispo-
sta di E. N. ROGERS, in Casabella n. 216 del 1957, pagg. 2 a 4; Lettera al direttore di R.
GABETT I e A. ISOLA e Risposte ai giovani di E. N. ROGERS, in Casabella n. 217 del 1957 [qui
reperiti in Controspazio n. 4-5 del 1977, pagg. 87 e 88]. La polemica innescata da R. BANHAM
su The Architectural Review fa seguito all’ampliarsi delle dimensioni del dibattito italiano.

35
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 36

GIOIA SEMINARIO

lanese chiamato Torre Velasca, la sua tesi in materia sottolineava l’importanza


di recuperare quelle valenze lasciate vaganti nel processo storico, riuscendo a
captarne quei contenuti ancora non interamente elaborati piuttosto che seguire
la falsariga di forme scontate che denunciano una semplice rivalutazione del
gusto. A partire da queste considerazioni, si manifestano copiose le opinioni a
riguardo da parte di fautori di un deciso mutamento di orientamento rispetto
al recente passato, profondamente segnato dalla tradizione razionalista, e so-
stenitori di un agire in continuità con la recente storia moderna, che aveva
tanto solcato l’evoluzione del gusto nell’Europa del Novecento.
Tale dibattito, che con un celebre articolo di Reyner Banham dal signifi-
cativo titolo The Italian retreat from modern architeture18 assunse rilievo in
ambito europeo, ebbe un’incidenza talmente forte da rimanere per diversi
anni al centro dell’attenzione di storici e architetti del tempo. In quel pe-
riodo, studiando le evoluzioni dell’architettura successive al periodo del ri-
gorismo moderno, Gillo Dorfles individuò un importante interrogativo
rispetto al tema neoliberty. C’è da dire che già durante quegli anni Dorfles
aveva formulato una sua idea, individuando19
dei germi di quello che allora battezzai come neobarocco e che, nella mia in-
tenzione era non già una rinascita né un’imitazione barocca, ma solo un ri-
svegliarsi di nuove forze plastiche e dinamiche che smuoveva la acque rese
frigide e statiche dai dettami del Bauhaus gropiusiano e dall’eccessivo irrigi-
dimento razionalista e neoplasticista.
Secondo Dorfles il pericolo maggiore per l’architettura stava nel confondere
questa spinta che egli ha definito come neobarocco con il neoliberty inteso
come ritorno al liberty, ed evidenzia il rischio, in una civiltà che ancora era in
via di rifondazione postbellica, di vedere la temperie del secondo Novecento
ricadere in un’imitazione stilistica dell’Art Nouveau che avrebbe trascurato il
nocciolo di quelle trovate, consistente in una modulazione dei volumi e nel-
l’uso dei materiali, a favore di altre e meno significative ricerche formali.20

18 - Cfr. R. BANHAM, Neoliberty – The Italian retreat from modern architecture in The Ar-
chitectural Review n. 747 del 1959.
19 - G. DORFLES, Architetture ambigue, ed. Dedalo, Bari 1984, pag. 76.
20 - Ibid, pagg. 76 a 79.

36
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 37

Premessa - Il riflesso dell’anima

fig. 4 - La Torre Velasca dei BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers), Milano 1956/58.

E ancora nel 1963, a distanza di sei anni, Manfredo Tafuri sollevava – in un


articolo su Zodiac – il problema della continuità con l’architettura moderna
di una nazione come l’Italia che, non essendo consapevole della validità delle
proprie ipotesi, non sarebbe stata in grado di chiarire la propria posizione.21
Per quanto attiene a Portoghesi, c’è da dire che questi, in un primo tempo
più cauto nel riferirsi al fenomeno inaugurato da Gabetti e Isola22 – tentando
di definirne la provenienza, il significato, le caratteristiche – attribuì in anni
successivi grande importanza a quanto rilevato23 dalla presentazione della

21 - M. TAFURI, Ludovico Quaroni e la cultura architettonica italiana in Zodiac n.11 del


1963. L’articolo compare nella rivista Edilizia moderna n. 82/3 del 1964, pagg. 167 e 168.
22 - Si veda l’articolo Dal neorealismo al neoliberty in Comunità n. 65 del 1958. L’articolo
compare nel libro a cura di M. FABBRI, A. GRECO, L. MENOZZI, E. VALERIANI, Architettura
e urbanistica in Italia nel dopoguerra, ed. Gangemi, Roma 1986, pagg. 356 a 372.
23 - Si vedano l’intervento in C. GUENZI, Revivals e storicismo nell’architettura italiana con-
temporanea, dibattito a Casabella di con la partecipazione di R. GABETT I e P. PORTOGHESI,
coordinato da F. BORSI, n. 318 del 1967 pagg. 12 a 19; P. PORTOGHESI, Dentro la storia e
fuori delle storie, di in Controspazio n. 4-5 del 1977, pagg. 16 a 19.

37
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 38

GIOIA SEMINARIO

loro opera, che egli definì un’esperienza liberatoria:24


La Bottega di Erasmo e l’insieme delle ricerche che l’accompagnarono –
scrive nel libro Dopo l’architettura moderna – frugando senza inibizioni
nel patrimonio dei pionieri del Movimento Moderno, ampliava di molto il
raggio d’azione della scuola italiana, la conduceva aldilà delle possibilità di
equivoco di un dialogo con la storia tutto virtuale e sotterraneo dall’interno
dell’ortodossia modernista.
È chiaro, da questa affermazione, come Portoghesi vivesse tale evento
come un vero e proprio recupero della legittimità di dialogare apertamente
con il passato, esplicitamente negata dai modernisti e mai più reintegrata
con altrettanta chiarezza.25
In un dibattito retrospettivo con Roberto Gabetti, apparso su Casabella del
1967, che riesaminava a distanza di un decennio l’esperienza neoliberty,
l’idea in merito di Portoghesi si manifesta in maniera chiara. Se Gabetti aveva
evidenziato definitivamente il carattere intimo di quel disagio che aveva con-
dotto alla ricerca di un linguaggio espressivo diverso da quello proclamante
il verbo moderno26 – ormai avvertito come non più consono al proprio tempo27
– l’architetto romano sottolinea come questa circostanza fosse, nella sua ot-
tica, l’inevitabile manifestazione di una necessità di cambiamento:28
Noi dovevamo dunque cercare con un atto di coraggio – dice – nelle pieghe
delle storia quello che la cultura razionalista non aveva saputo trovare, cioè
uno strumento autocritico, capace di far sviluppare la cultura dentro a se
stessa attraverso un processo insieme razionale e intuitivo, che in fondo non
è altro che la capacità di capire che la storia è qualcosa che sta dentro di noi,
non soltanto come mezzo di informazione, ma come problema di riscoperta
delle sotterranee condizioni del nostro stesso modo di pensare.

24 - P. PORTOGHESI, Dopo l’architettura moderna, ed. Laterza, Bari 1980, pag. 78.
25 - Cfr. C. GUENZI, Revivals e storicismo nell’architettura italiana contemporanea, dibattito a Ca-
sabella, con la partecipazione di R. GABETTI e P. PORTOGHESI, coordinato da F. BORSI, pag. 16.
26 - Cfr. R. GABETTI e A. ISOLA, L’impegno della tradizione in Casabella n. 215 del 1957, pag. 63.
27 - L’intervento di GABETTI è in Revivals e storicismo nell’architettura italiana contempo-
ranea, dibattito a Casabella di C. GUENZI, con la partecipazione di R. GABETTI e P. POR-
TOGHESI, coordinato da F. BORSI, pagg. 14 a 16.
28 Cfr. C. GUENZI, Revivals e storicismo nell’architettura italiana contemporanea, dibat-
tito a Casabella con la partecipazione di R. GABETTI e P. PORTOGHESI, coordinato da F.
BORSI, pag. 17.

38
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 39

Premessa - Il riflesso dell’anima

In questo passo è già chiaramente ravvisabile una sintesi dei concetti che
verranno in seguito sviluppati ne Le inibizioni dell’architettura moderna: la
ricerca storica, egli dice, ha la possibilità di offrire alla prassi architettonica
uno strumento di verifica ben consolidato, fornendo un termine di paragone
concreto per un’analisi autocritica, cosa che l’ideologia della tabula rasa in-
trodotta dai razionalisti per sua stessa natura non poteva garantire. Ma non
solo. L’idea di una cultura che si sviluppa dentro se stessa è presupposto
altrettanto importante della successiva attività di Portoghesi. Non più un at-
teggiamento di ribellione, di repentino cambiamento, quanto un desiderio
di graduale evoluzione in linea con la storia – così come mutuato dalla più
profonda cultura europea precedente la modernità – è l’aspirazione ultima
che si legge nella sua visione del passato: una ricerca di continuità sostenuta
dalla convinzione che il processo di analisi storica sia retto non soltanto da
un’esigenza razionale di conoscere, riservata a pochi, quanto da una ne-
cessità istintiva dell’uomo di riconoscersi con il luogo. In tal senso, è già
possibile ravvisare in questo passo un indizio di quella ricerca (che avremo
modo di approfondire in seguito) che lo legherà negli anni Settanta a Chri-
stian Norberg-Schulz e alla poetica del genius loci per restituire all’archi-
tettura la traccia profondamente europea del pensiero di Martin Heidegger.
Ma principalmente, come si è detto, questo intervento pone l’analisi svolta
in merito all’architettura del dopoguerra in continuità con i temi da lui svi-
luppati in quegli anni e racchiusi in un primo, provvisorio bilancio, nel pic-
colo volume de Le inibizioni dell’architettura moderna.
Apertamente critico nei confronti di chi, come Reyner Banham, aveva
considerato questo tempo dell’architettura italiana come un momento di re-
gressione infantile29 – in cui gli architetti avevano ripiegato rispetto all’or-
todossia razionalista – o, come Bruno Zevi, aveva definito tale situazione
alla stregua di una involuzione senile30 dell’architettura italiana – soste-
nendo, all’indomani della frattura introdotta dal Bauhaus, l’inammissibilità

29 - Cfr. R. BANHAM, Neoliberty – The Italian retreat from modern architecture, in The Ar-
chitectural Review n.747 del 1959.
30 - Cfr. B. ZEVI, L’andropausa degli architetti moderni italiani (editoriale) in L’architettura – Cro-
nache e storia n. 46 del 1959, pagg. 222 e 223, ma anche B. ZEVI, Elogio del liberty, condanna del
neoliberty in Cronache di architettura – III volume, ed. Laterza, Bari 1970, pagg. 317 a 319.

39
Premessa def:Layout 1 20/01/2009 22.50 Pagina 40

GIOIA SEMINARIO

dell’idea di allontanarsi dall’ideologia razionalista attuando un ripiegamento


sul passato – Portoghesi sceglie per se una prospettiva sostanzialmente di-
versa dalla posizione dei suoi contemporanei, sostenendo la tesi che31
più che la restaurazione di autorità di una anacronistico neorazionalismo,
a frenare il moto di disorientamento che attraversa la nostra cultura archi-
tettonica, è necessario l’impegno […] a mettere a fuoco tutti gli aspetti […]
della realtà italiana.
Ciò significa che questi, lontano dall’ideologia di Banham, ma anche dal
pensiero di Zevi – con cui pure nella prima metà degli anni Sessanta aveva
stretto un sodalizio durato diversi anni, che se aveva infine mostrato la loro
incompatibilità, aveva anche prodotto talune iniziative degne di menzione,32
se non altro per l’originalità dell’apporto – sostiene l’importanza delle spe-
rimentazioni di quegli anni per la definizione di una identità italiana affer-
mando, d’altro canto, l’idea di una impossibilità di riferirsi ancora all’ar-
chitettura moderna come matrice unica per la costituzione di un nuovo lin-
guaggio italiano.

31 - Da Dal neorealismo al neoliberty in Comunità n. 65 del 1958. L’articolo compare nel


libro Architettura e urbanistica in Italia nel dopoguerra a cura di M. FABBRI, A. GRECO, L.
MENOZZI, E. VALERIANI, ed. Gangemi, Roma 1986, pag. 372
32 - Già nei primi anni Sessanta Bruno Zevi fu un convinto estimatore dell’attività di Paolo
Portoghesi: fu proprio L’architettura cronache e storia, periodico da lui diretto, a dedicare
ampio spazio ai suoi primi lavori (Si vedano ad esempio Casa Baldi nell’ansa della Flami-
nia a Roma di Bruno ZEVI nel n.86 del 1962 o Casa Andreis a Scandriglia, Rieti di Paolo
PORTOGHESI nel n.37 del 1967). Nondimeno i due architetti promossero insieme diverse
iniziative di carattere scientifico. Tra tutte hanno particolare rilevanza il testo Michelan-
giolo architetto, edito da Einaudi - Torino nel 1964, e la mostra critica delle opere miche-
langiolesche tenutasi al Palazzo delle Esposizioni di Roma nello stesso anno.

40
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 41

Premessa - Il riflesso dell’anima

fig. 5 - Casa Baldi a Roma (1959). Per l’originalità della forma, che unisce tradizione ed in-
novazione, l’opera viene citata nel novero delle architetture neoliberty.

41
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 42
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 43

La ricerca dell’armonia

Dopo la “frattura” moderna.


La ricerca di una nuova espressività

Se l’esperienza razionalista iniziava, negli anni Sessanta, ad essere inserita


nei libri di storia, è anche vero che in quel periodo tale argomento è ancora
relativamente attuale. Certamente i tempi di splendore di tale movimento si
erano ormai esauriti, ma è altrettanto rilevante il fatto che questo avesse la-
sciato un’eredità estremamente ricca di nozioni da indagare, dal momento
che, se aveva costituito una dimensione di architettura in se conclusa, sup-
portata da codici e modelli precisi, essa aveva altresì sollevato una grande
quantità di questioni nuove, che anche con l’esaurirsi della stagione dei mae-
stri restavano affioranti all’interno della cultura architettonica.
Per la completezza del percorso che ci accingiamo a tracciare, si rivela
particolarmente importante tener conto delle diverse interpretazioni del-
l’evoluzione di tale fenomeno, in particolare perché, se la svolta razionali-
sta ha costituito un momento cardine da cui non è possibile prescindere, il
suo esaurirsi ha inevitabilmente condotto sostenitori e avversatori a fare un
bilancio dell’eredità che essa aveva lasciato.
In particolare a partire dagli anni Cinquanta, diversi studiosi hanno foca-
lizzato il proprio interesse sulla individuazione dei motivi che hanno con-
dotto alla fine della stagione dei maestri e, come sempre avviene nell’analisi
storica, ripercorrendo la storiografia del tempo è possibile leggere una quan-
tità di interpretazioni differenti di tale crisi.
Se si fa riferimento all’analisi condotta in merito da Bruno Zevi che, in
particolare nella sua Storia dell’architettura moderna, scandisce i tempi e i
motivi conduttori di tale epilogo, si comprende facilmente come lo storico,

43
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 44

GIOIA SEMINARIO

analizzando le particolari vicende che avevano caratterizzato l’Europa tra le


due guerre, pur nella diversità delle situazioni particolari, riesca a ravvisare
un motivo di fondo, distante dalle ragioni dell’architettura, che accomuna le
diverse realtà europee. In un passo estremamente toccante egli ricorda:1
Paradosso delle dittature. In Russia, un regime totalitario si ergeva in nome
del socialismo contro l’architettura moderna. In Germania, un partito cri-
minale stroncava una delle più alte stagioni artistiche del paese in omaggio
alla “superiorità della razza tedesca”. In Italia, una tirannia corrotta ri-
spolverava tronfi feticci della romanità. In Francia, il dispotismo accademico
e burocratico rafforzava il sistema Beaux- Arts. Ognuna di queste dittature
proclamava l’egemonia dei valori nazionali rispetto al supposto internazio-
nalismo del linguaggio moderno.

Ciò che rende singolare l’analisi di Zevi sulla modernità è certamente l’ap-
proccio fortemente critico all’argomento, che dà luogo ad una lettura visibil-
mente dominata dalla volontà dell’autore di definire un profilo dell’ideologia
del tempo, un desiderio di reinterpretazione della storia che rende il suo re-
soconto di tale vicenda talvolta eccessivamente parziale, sebbene non privo
di aspetti di estremo interesse che aiutano anche ad interpretare il fenomeno
architettonico in stretta relazione con le vicende sociali e politiche del proprio
tempo.2 Palese è, in questo senso, la difformità rispetto all’analisi condotta da
Manfredo Tafuri e Francesco Dal Co nel testo Architettura contemporanea.3
All’interno di una trattazione che ricompone le fila della storia dell’architet-
tura attraverso il difficile periodo tra le due guerre mondiali, si manifesta una
prospettiva differente rispetto alla caduta dell’ideale moderno: un punto di
vista improntato alla concretezza, maggiormente riferito alla prassi architet-
tonica, che legge i motivi del crollo delle istanze razionaliste per un verso
nell’esaurirsi della carica creativa dei primi anni, per un altro nello stempe-
rarsi dell’eloquenza insegnata dai maestri in dei nuovi linguaggi che, già
prima del secondo conflitto mondiale e più marcatamente in seguito, rispec-
chiavano un più forte coinvolgimento nelle problematiche sociali.

1 - B. ZEVI, Storia dell’architettura moderna – I volume ed. Einaudi Torino, 2004 (prima
edizione 1950), pag. 164.
2 - Ibid, cap. IV e V.
3 - M. TAFURI e F. DAL CO, Architettura Contemporanea, ed. Electa, Milano 1979.

44
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 45

Prima parte - La ricerca dell’armonia

Ancora differente è l’approccio in proposito di Leonardo Benevolo,4 che


privilegia la lettura dei fattori di continuità all’interno dell’esperienza ra-
zionalista, rintracciando anche in tempi molto più recenti rispetto alla sta-
gione dei maestri gli indizi di una continuità con la dialettica moderna.
In sintesi può dirsi che, secondo il punto di vista di Benevolo, il Movi-
mento Moderno non fosse riducibile ad uno stile destinato ad esaurirsi,
come una corrente passeggera, con il passare delle stagioni, quanto piutto-
sto un modus operandi definitivamente acquisito dalla società anche in
epoca post-bellica e irrimediabilmente metabolizzato dalla cultura archi-
tettonica internazionale.
In questo senso, pur nella sostanziale diversità di opinione in merito alla
necessità di rintracciare una continuità formale con l’esperienza razionali-
sta, sotto l’aspetto della accettazione della permanenza di taluni caratteri il
pensiero di Benevolo trova un punto di tangenza con il giudizio di Paolo
Portoghesi, quando evidenzia che l’eredità storica del Movimento Moderno
sia ineludibile nella società contemporanea, sebbene sia evidente la finale
diversità delle due opinioni. Infatti, nei testi pubblicati tra gli anni Settanta
e gli Ottanta, Portoghesi giunge alla constatazione che la rottura cagionata
dalla poetica razionalista abbia in ogni modo definitivamente cambiato il
corso dell’architettura – diversamente dalle numerose temperie che, di breve
durata, non hanno sostanzialmente inciso sulla disciplina – e ne fornisce
una interpretazione personale che, allontanandosi dalle ipotesi dei suoi con-
temporanei, conduce a delle differenti conclusioni. Così, quando nel testo,
già più volte citato, Le inibizioni dell’architettura moderna giunge a for-
mulare un primo resoconto della propria indagine, egli prende le distanze
dalla critica del tempo, sostenendo l’idea che la crisi del Movimento Mo-
derno non fosse in realtà direttamente legata ad un recupero della nozione
di passato, quanto che questa nozione provenisse da una presa di coscienza
dei limiti in cui li costringeva l’ideale razionalista.5
L’architettura moderna – sostiene – giunta al traguardo della vittoria non

4 - L. BENEVOLO, Storia dell’architettura moderna ed. Laterza, Bari 2005 (prima edizione
1960).
5 - P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna ed. Laterza, Bari 1974, pag.3.

45
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 46

GIOIA SEMINARIO

avrebbe resistito, secondo costoro, alla tentazione di voltarsi indietro e


avrebbe seguito la sorte della moglie di Lot, che per aver guardato il rogo di
Sodoma e Gomorra, fu cambiata in una statua di sale. La verità è che vol-
tandosi indietro il cosiddetto movimento moderno si è trovato di fronte a uno
specchio, di fronte quindi alla sua stessa immagine e questa visione demisti-
ficante ha costretto gli architetti ad accorgersi che tra le loro aspirazioni so-
ciali e di demiurghi e la realtà dello sviluppo urbano c’era di mezzo la
strapotente realtà delle forze economiche e che il ruolo profetico che si erano
scelti, come intellettuali di avanguardia, non li poneva in nessun modo al di
sopra della realtà dei conflitti sociali, né al di fuori della sfera della storia
dell’architettura intesa come una costruzione autonoma.

Il paragone mette in luce la diversità di orientamento tra Portoghesi e


suoi contemporanei ed il suo punto di vista sulla poetica razionalista. Se,
egli dice, i critici del suo tempo avevano identificato la crisi dei valori del-
l’architettura moderna con l’incontro letale dei suoi maestri con il passato
- già verificatosi in tutta Europa dopo la prima guerra mondiale e più tardi,
negli anni cinquanta, anche in Italia6- il suo presupposto era sostanzialmente
diverso. Non fu, secondo lui, il guardare al passato a distruggerne gli ideali
ma, al contrario, l’auto-osservazione, il gesto stesso di guardarsi e di sco-
prire la fragilità delle proprie convinzioni, che avrebbe sottoposto l’archi-
tettura moderna alla prova decisiva di un’autocritica che non le avrebbe
lasciato alternativa, poiché i valori che questa rispecchiava non coincide-
vano più con la realtà del loro tempo.
Il punto di vista di Portoghesi, dunque, si pone in rapporto problematico
con la storiografia contemporanea e lancia un impulso a valutare la vicenda
della fine del Movimento Moderno in un’ottica differente da quella storica-
mente accettata, per cui il termine di quella che egli definisce una inibizione
a considerare il passato come riferimento è considerata frutto di un processo
di naturale appassimento di una tendenza che, giunta al proprio apice, aveva
dovuto prendere atto che i limiti che si era autoimposta ne avevano esaurito
la forza espressiva. In breve, l’architetto ravvisa le ragioni del fallimento
delle istanze degli architetti razionalisti nella loro stessa ragion d’essere, ov-

6 - Cfr. B. ZEVI, Storia dell’architettura moderna – I volume Einaudi, Torino 2004, pagg. 139
ed a seguire.

46
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 47

Prima parte - La ricerca dell’armonia

vero in quell’atteggiamento che li aveva condotti ad interrompere la conti-


nuità con il passato, sebbene egli stesso riconosca un’analogia tra la posi-
zione dei maestri della modernità e taluni precedenti storici.
Attraverso questo metodo di lettura Portoghesi riafferma come la vera e pro-
pria genesi di un atteggiamento moderno risalga in realtà all’epoca neoclas-
sica.7 Se la storiografia del tempo, infatti, aveva adottato in maniera stabile, più
o meno unanimemente, il termine di architettura moderna per definire quella
architettura che, seguendo un ideale sociale, rifiutava l’ornamento ponendosi in
una posizione alternativa agli stili storici e che si collocava tra l’inizio e i primi
decenni del Novecento8, l’architetto romano ricorda come tale classificazione
non sia così semplice né esaustiva rispetto al passato: ripercorrendo la storia, egli
ribadisce che esiste una diversa possibilità di interpretazione da indagare.9
Se la consideriamo da un punto di vista sociologico – scrive – diremo che
[l’architettura moderna] è l’architettura della borghesia al potere e ne de-
riverà un taglio cronologico diverso da quello comunemente adottato, che
comprende anche il neoclassicismo e i revivals.

Acquisendo questa definizione, l’autore formula una revisione dei fatti


storici funzionale all’ipotesi enunciata. Per questo motivo conclude che nel-
l’ambito dell’architettura moderna - nella sua ottica più estensiva - “il rap-
porto con la tradizione e la storia è mutato profondamente almeno quattro
volte” 10 generando in ciascun caso un differente approccio alla disciplina,
ma anche all’uso dell’architettura.
Ne emerge una interpretazione della storia che non tiene conto del rischio
di sovvertire l’ordine precostituito delle cose, di anteporre il fatto seconda-

7 - Un analogo approccio si ravvisa nel testo di Leonardo Benevolo Storia dell’architettura mo-
derna, ed. Laterza, Bari 2005 (prima edizione 1960). Tuttavia, vi è una grande diversità tra i
due testi: mentre per Portoghesi la rivoluzione moderna del Settecento attiene principalmente
ad una questione ideologica, secondo Benevolo «l’architettura moderna nasce dai cambia-
menti tecnici, sociali e culturali connessi con la rivoluzione industriale». Sarà invece Jürgen
Habermas a sostenere nel 1980 che la modernità, come intesa dai maestri novecenteschi,
abbia origini addirittura nel periodo illuminista. Si veda in proposito J. HABERMAS, Il moderno:
un progetto incompiuto, discorso pronunciato alla consegna del Premio Adorno nel 1980.
8 - Cfr. L. BENEVOLO, Introduzione all’architettura ed. Laterza, Bari 2003, pagg. 233 a 250.
9 - P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna ed. Laterza, Bari 1974, pag.4.
10 - Ibid.

47
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 48

GIOIA SEMINARIO

rio, o quello meno evidente, a quello preminente: piuttosto, Portoghesi


avanza ipotesi nuove da punti di vista nuovi, che gli servono a scomporre
la storia per comprendere a fondo la prassi architettonica e, al contempo,
formulare una propria teoria.
Entrando nell’ottica di chi cerca nella storia gli strumenti essenziali della
progettazione, la ricerca filologica diviene la fonte di tali attrezzi e viene per
forza di cose esaminata, fino a sovvertire quell’ordine di priorità cristalliz-
zato nei tempi. Inoltre, l’indagine dell’architettura non si preoccupa di ga-
rantire completezza a livello nozionistico, ma punta principalmente a
riconoscere e studiare in maniera critica e analitica l’architettura e i diversi
spiriti con cui le ultime generazioni di architetti hanno concepito il rapporto
con questa disciplina.

Dallo spazio al luogo: il segno diventa linguaggio

Come si è accennato in precedenza, nella seconda parte del libro Le inibi-


zioni dell’architettura moderna Portoghesi descrive la ricerca sviluppata tra
gli anni Sessanta e i Settanta. Questa indagine, che conduce alla definizione
di una teoria che egli chiamerà Lo spazio come sistema di luoghi si pone in
continuità, forse addirittura è l’effetto inevitabile della rivalutazione di un pri-
mato della storia nella vena teorica dell’architetto e si configura come una ri-
cerca volta prioritariamente ad istituire un legame ideale tra il progetto del
nuovo e l’ambiente esistente. Difatti, il recupero del rapporto con la storia im-
plica necessariamente – in particolare con riferimento all’architettura italiana,
che ha un patrimonio vastissimo – un recupero e una rivalutazione della no-
zione di luogo e un avvicinamento a tutti quegli aspetti che, pur investendo tal-
volta il vero e proprio folklore, costituiscono l’identità stessa di un territorio.
C’è da dire che, in questa sperimentazione di carattere fortemente teorico,
Portoghesi resta sostanzialmente isolato dalle problematiche disciplinari del
proprio tempo: le osserva con attenzione ma, allo stesso tempo, persegue dei
propri personali obiettivi. Difatti, mentre egli intraprende i suoi studi sullo spa-
zio, l’architettura italiana segue vie diverse: da un lato continua ad esercitare
un forte peso la presenza di figure carismatiche come Saverio Muratori, che so-
stiene la necessità di un ritorno filologico alla tradizione inteso non come re-

48
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 49

Prima parte - La ricerca dell’armonia

cupero della storia in se, quanto del rigore e della leggibilità dell’architettura,11
o si fanno strada talenti nascenti come Aldo Rossi; da un altro lato, si affermano
i sostenitori della pianificazione a scala territoriale che assumevano in quegli
anni un ruolo fondamentale nella definizione della città. “A entrambi Porto-
ghesi oppone la necessità di un ritorno all’architettura in scala umana” –
scrive Stefania Tuzi – “in cui tradizione del nuovo e dell’antico convergano”.12
È evidente come a quel tempo egli avesse profondamente assimilato la lezione
di Frank Lloyd Wright, introdotta in Italia da un giovanissimo Bruno Zevi che,
di ritorno dall’America, aveva portato con se un bagaglio di ricerca e passione.13
Il maestro americano aveva insegnato al mondo l’importanza di concepire
una architettura in cui a prevalere fossero le relazioni armoniche tra l’Uomo
ed il suo contesto, piuttosto che quegli aneliti alla modernità sfrenata e alla
verticalità urbana che non simboleggiano altro che l’appiattimento del-
l’umanità sui falsi valori del successo e della globalità all’ombra del muro.14
Portoghesi ne trattiene lo spirito e, comprendendo l’importanza che avreb-
bero potuto avere in Europa tali acquisizioni se rapportate alla profonda tra-
dizione culturale e filosofica del Vecchio Continente, arricchisce teorica-
mente gli insegnamenti dell’architetto americano approfondendo la tradizione
europea di pensiero e – insieme a Christian Norberg-Schulz – dando nuovo
valore in una prospettiva architettonica al pensiero di Martin Heidegger.15

11 - Cfr. M. TAFURI, Storia dell’architettura italiana – 1944-1985 ed. Einaudi, Torino


1982, pagg. 79 a 81.
12- G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI, Paolo Portoghesi architettoed. Skira, Milano, 2001, pag. 41.
13 - Nato a Roma, appena ventenne Bruno Zevi si trasferisce in America, dove sarà allievo di
Walter Gropius ad Harvard e si appassionerà allo studio dell’opera di Frank Lloyd Wright. In
omaggio a questo architetto, al suo ritorno in Italia, nel 1945, pubblicherà un libro dal titolo
Verso un’architettura organica in cui farà conoscere a tutti i suoi connazionali questo nuovo sen-
timento dell’architettura e fonderà l’APAO – Associazione Per l’Architettura Organica. Tutta-
via, queste iniziative costituiscono soltanto il punto di partenza della intensa carriera di un critico
dell’architettura a cui dobbiamo l’istituzione dell’InArch, la fondazione di due riviste, la realiz-
zazione di testi di critica storica che hanno attraversato cinquant’anni di architettura.
14 - Cfr. F. LL. WRIGHT, La città vivente ed. Einaudi, Torino 1991.
15 - Heidegger compì una rivoluzione nel pensiero filosofico nei primi anni del Nove-
cento interrogandosi sull’antico problema dell’Essere, caro a Platone e ad Aristotele, in
una chiave nuova, strettamente legata ai malesseri e alle istanze dell’uomo del proprio
tempo. Indagando sulla questione dell’essere-nel-mondo questi ha indotto ad una rifles-
sione in diversi campi del sapere.

49
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 50

GIOIA SEMINARIO

Seguendo questa logica, la lezione wrightiana della ricerca di un’armonia tra


l’uomo e il suo contesto viene in certa misura raffinata, assumendo tutto il les-
sico più strettamente europeo del discorso heideggeriano e impregnandosi di
tutta quella ricerca filosofica che era ormai radicata nel nostro pensiero.
In questo senso il sodalizio tra Portoghesi e Norberg-Schulz dà vita ad un
modo di concepire l’architettura nuovo per quei tempi, la cui definitiva acqui-
sizione nella nostra cultura architettonica non può non esser loro riconosciuta
e che rimarrà caratteristica costante di tutta l’opera dell’architetto romano.
Difatti, anche in tempi più recenti – maturata già l’esperienza postmodern
e sviluppata la ricerca sull’architettura naturale – egli stesso ammette che se
una continuità storica con il già costruito non può essere totalmente attuabile,
si può tuttavia mantenere la propria esperienza in armonia con il luogo.
La continuità con il passato è un qualcosa che, qualche volta, ci si pone
come obiettivo, ma che è assolutamente irraggiungibile perché, anche
quando c’è continuità sotto il profilo della forma, non c’è sotto il profilo
della sostanza. Quindi una cosa è progettare tenendo conto del passato,
un’altra è progettare in continuità con esso: la prima è una possibilità con-
creta, l’altra è un’utopia.16

Così concepita, la sperimentazione sui luoghi riafferma l’importanza,


istintiva nell’uomo, di riconoscersi in un luogo, di istituire con questo un
rapporto di appartenenza. Particolarmente significativo, per comprendere
quest’ottica, è un passo del più celebre libro di Christian Norberg-Schulz,
Genius loci, in cui questi afferma:17
L’identità di una persona è definita dagli schemi da essa sviluppati, che de-
terminano quale mondo le è accessibile. Questo fatto è confermato dai co-
muni usi linguistici; quando una persona vuole dire chi è, dice usualmente:
Sono Newyorkese o sono romano. Questo significa qualcosa molto più con-
creto che dire: sono un architetto o sono un ottimista. Comprendiamo che
l’identità dell’uomo è in larga misura una funzione di luoghi e cose. Così
dice Heidegger: “Wir sind die Be-Dingten“, “Siamo i condizionati dalle cose”.
Perciò non è sufficiente che il nostro ambiente abbia una struttura spaziale
in grado di facilitare l’orientamento, ma deve consistere di oggetti concreti con
cui identificarsi. L’identità dell’uomo presuppone l’identità del luogo.

16 - D. DICKMANN, a cura di, Saper credere in architettura ed. Clean, Napoli 2001, pagg. 18 e 19.
17 - Ch. NORBERG-SCHULZ, Genius Loci ed. Electa Milano, 1979, pagg. 20 e 21.

50
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 51

Prima parte - La ricerca dell’armonia

Analizzando questo passo, che costituisce un avvicinamento all’orizzonte


dell’architettura delle teorie esposte dal celebre filosofo in Essere e tempo18,
è facile comprendere il principale punto di convergenza tra il pensiero di
Paolo Portoghesi e quello di Norberg-Schulz, per cui l’identità dell’uomo
si fonda sull’ambiente in cui questi realizza la propria esistenza. Tale idea,
traslata ad un modo di pensare l’architettura, mette in luce come, special-
mente in un territorio come quello italiano, la cui identità è strettamente le-
gata alla memoria dell’antico, l’architettura storica costituisca una parte
determinante nella vita dei suoi abitanti: l’idea di richiamare in causa la sto-
ria si riallaccia fortemente a questo senso di appartenenza.
A una prima analisi delle opere si percepisce come, se sotto un punto di
vista prettamente concettuale le idee di Portoghesi si ritrovano perfettamente
in accordo con le teorie di Norberg-Schulz riguardo il luogo, certamente
meno immediato è il legame di tali dottrine con la sua prassi progettuale. Di-
fatti questo forte slancio teorico è solo indirettamente rapportabile con i
tentativi pratici di dare una forma alla sua architettura che fosse in linea con
questa idea, poiché molto spesso la sperimentazione sul tracciato, che
esprime molto bene sotto il profilo teorico determinati passaggi della ri-
cerca, induce a una parziale perdita di immediatezza del rapporto con la re-
altà locale che dovrebbe essere il carattere principale delle sue teorie:
mentre si ravvisa forte il senso dell’integrazione col contesto nei primi la-
vori come casa Baldi o i progetti per l’Enpas, infatti, la suggestione di pro-
getti successivi come Casa Andreis a Scandriglia o la Chiesa della Sacra
Famiglia a Fratte risiede proprio in quella forza impositiva che, se mostra
come in questo passaggio dalla teoria alla prassi lo studio sul tracciato pre-
valga sulla volontà di integrazione col luogo, trova tuttavia un proprio si-
gnificato se la si considera nell’ottica di una sperimentazione formale in
virtù della quale queste opere possono essere lette come progressive evo-
luzioni di una ricerca tesa ad esprimere con un nuovo linguaggio una esi-
genza rinnovata di forma.

18 - M. HEIDEGGER, Essere e Tempo ed Longanesi, Milano 2005 (ultima edizione). Il cap.


II, L’Essere-nel-mondo in generale come costituzione fondamentale dell’Esserci, costituisce
certamente una fonte di ispirazione alla teoria di Norberg-Schulz, che subordina l’Esserci
alle prerogative del luogo in cui si è.

51
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 52

GIOIA SEMINARIO

Per comprendere appieno il significato di quest’ultima serie di opere è


necessario comprendere l’itinerario progettuale a cui si sottopone ciascun
lavoro. Una spiegazione circa la natura di questa teoria proviene proprio
dal primo bilancio che Portoghesi ne traccia nel 1974:19
Lo spunto a una riflessione teorica sull’architettura è venuto proprio dalla ne-
cessità di mettere a punto un metodo di intervento, di ristrutturazione, che
non si arrestasse alla programmazione delle parti nuove aggiunte all’orga-
nismo urbano ma ne coinvolgesse anche gli organi vitali, riprendendo in
forma diretta e senza inibizioni il colloquio con la storia. (…) Da questo
tipo di considerazioni ha preso le mosse una riflessione sui rapporti tra edi-
fici e struttura urbana, tra edificio e natura, di cui esponiamo qui alcuni ri-
sultati: una teoria che vedeva il suo punto di applicazione principale nella
costruzione di edifici pubblici capaci di ridefinire una forma della città, ri-
conquistando spazi degradati, creando isole in cui il rapporto con l’ambiente
urbano tornasse ad essere di libera fruizione e di contemplazione.

È evidente, dalla lettura di questo passo, come l’idea dell’elaborazione di


un nuovo metodo per comporre l’architettura nasca prevalentemente da
un’esigenza di rinnovamento delle istanze architettoniche funzionale ad un
recupero del rapporto con la città.
Nonostante ciò, l’indagine di Portoghesi in questo arco temporale non si
confronta spesso con i problemi legati al territorio urbano: al contrario la
sperimentazione che riguarda lo spazio come sistema di luoghi è un eserci-
zio che raggiunge i suoi risultati compiuti prevalentemente quando il pro-
gettista lavora su territori ancora inedificati, o comunque ancora in via di
definizione. E tuttavia, anche nell’ambito di queste ricerche, lo studio di
Borromini si rivela essere uno dei fondamenti dell’elaborazione teorica.
Avevo imparato da Borromini che il cilindro a matrice ellittica, essendo
l’inviluppo del corpo umano, può sintetizzare la presenza del corpo. La
teoria dello spazio come sistema di luoghi partiva dall’ipotesi che si po-
tesse considerare lo spazio come qualcosa creato da successivi avvolgimenti
rispetto al nostro corpo, come una cipolla che quando viene tagliata mostri
vari strati che avvolgono il nucleo interno; così pensavo allo spazio come
qualcosa che nasce dalla presenza del proprio corpo e di quello degli altri.20

19 - P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna ed. Laterza, Bari 1974, pagg. 63-66.
20 - M. PISANI, Dialogo con Paolo Portoghesi Roma 1989, pag. 112.

52
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 53

Prima parte - La ricerca dell’armonia

Rifacendosi a questo procedimento e rapportando gli studi sul barocco


romano alla mai trascurata esigenza di superare la modernità rapportandosi
alla complessità del mondo umano e naturale, Portoghesi formula una teo-
ria “che parte dalla constatazione che il rapporto tra struttura architetto-
nica e spazio è assimilabile a quello che esiste tra un polo magnetico e il
campo che esso genera”.21
Così, se il razionalismo aveva lavorato rapportandosi alle necessità prati-
che di ottimizzazione funzionale dei luoghi, distanti in certo senso dalla cor-
poreità umana, egli ricerca in direzione opposta: le architetture si sviluppano
sull’impronta di un tracciato che richiama a concetti che egli qualifica “di
uso comune - come campo, ritmo, crescita, processo - che, riferite alla di-
sciplina architettonica ne arricchiscono le possibilità operative”.22
Portoghesi si avvale di queste nozioni basandosi sulla convinzione della
necessità di trovare per la contemporaneità dei codici che potessero, in qual-
che modo, sostituire quelli ormai abbandonati, o comunque non ritenuti più
validi, della classicità o della modernità, consentendo un controllo del pro-
getto e quindi impedendo all’architettura di restare senza regole.
In sintesi, questi sostiene che la caduta dell’ideale moderno abbia lasciato
l’architettura priva di riferimenti, a rischio di degenerare in uno spoglio fun-
zionalismo di superficie, che alla norma compositiva avrebbe sostituito la
norma tecnica,23 e a questo rischio egli contrappone una ricerca metodica,
regolamentata da tracciati ordinatori e conformatori.
Nei progetti che partono da questa ipotesi la planimetria diviene la genesi del-
l’edificio ed è determinata dalle famiglie di cerchi concentrici che diventano
anche matrici delle pareti; le finestre tradizionali sono annullate, e sostituite
da fessure disposte tra una lastra e l’altra.24

Lavorando quindi su degli schemi di base formati da centri concentrici che


riproducono l’intersezione di campi che costituiscono l’aprirsi della dimen-

21 - P. PORTOGHESI e V. GIGLIOTTI, Ricerche sulla centralità. Progetti dello studio di Porta


Pinciana in Controspazio n.6 del giugno 1971, pag. 8.
22 - Ibid. a pag. 67.
23 - Ibid. a pag. 69.
24 - G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI, Paolo Portoghesi..., cit., pagg. 39- 40.

53
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 54

GIOIA SEMINARIO

fig. 6 - Schemi radiocentrici per il progetto di Casa Andreis, Sacndriglia (RT).

fig. 7 - Schemi radiocentrici per il progetto della Sacra Famiglia a Fratte (SA).

54
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 55

Prima parte - La ricerca dell’armonia

fig. 8 - Esempi di schemi radiocentrici elaborati nello studio di Porta Pinciana.

55
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 56

GIOIA SEMINARIO

fig. 9 - I tracciati costruiti durante gli anni Sessanta, esplicativi della teoria dei campi.

sione umana verso altri centri, questi costruisce la matrice di partenza su cui
impostare la spazialità delle proprie architetture. Architetture che sotto un
punto di vista planimetrico offrono una grande quantità di spunti: i percorsi
che mirano a seguire il flusso della vita umana e che terminano in scorci
suggestivi restituiscono a colui che vi abita il senso del rapporto con il pae-
saggio e l’architettura non corre il rischio di ridursi ad un involucro muto, in-
teragendo istante per istante con il fruitore. Ma viceversa tali architetture
subiscono il condizionamento della loro trasposizione materica quando, rea-
lizzate in cemento armato, talvolta non raggiungono un’ideale immedesi-
mazione col luogo. Tuttavia, è da rimarcare che nella sperimentazione questo
aspetto assume un’ importanza secondaria se rapportato al valore divulgativo
delle ricerche che conduceva, che erano in qualche modo il punto centrale e
l’elemento di legittimazione di tutte le sue indagini.

56
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 57

Prima parte - La ricerca dell’armonia

E d’altronde quest’ottica è confermata proprio da lui in tempi più recenti:25


Sin dall’inizio della mia carriera ho progettato sperimentando, addirittura
dando poca importanza al risultato finale e moltissimo alla legittimità della
sperimentazione. In altre parole le mie prime opere erano dei processi attra-
verso i quali, disegnando, avvicinavo e contrapponevo della curve aspettandomi
il risultato spaziale dall’opera costruita e non dal disegno. In seguito la mia spe-
rimentazione ha cambiato un po’ i suoi termini, spostandosi sul linguaggio dei
luoghi: ho progettato cercando di carpire ai luoghi il segreto della loro identità.
In questo senso, il sodalizio con Norberg-Schulz porta soprattutto a una
maturazione di certe teorie, con l’avvicinamento progressivo della nozione
di spazio come sistema di luoghi – in cui la caratteristica prevalente era ap-
punto quella della ricerca sul segno – ad una più prettamente intesa a vedere
il luogo come un’identità. Come si nota, d’altronde, confrontando le prime
sperimentazioni – in cui a prevalere era il tracciato grafico e quindi l’espe-
rienza teorica, che non trovava né cercava riscontro nella realtà culturale e
sensoriale in cui doveva calarsi – con quelle successive, in cui la ricerca
sul segno più si mescola alla cultura locale, come avviene ad esempio nel
progetto della Royal Court ad Amman, in Giordania, in cui la precedente
sperimentazione si fonde con gli elementi della cultura locale, o nel più
noto progetto della Moschea e centro culturale islamico di Roma.
L’esperienza di progettazione nei paesi islamici, nata principalmente per
via della sua sospensione dall’insegnamento seguita ai moti dell’Univer-
sità di Milano nei primi anni Settanta, è in questo senso determinante per
un’evoluzione ed un ampliamento della sua teoria sui luoghi. Sotto l’in-
fluenza della tradizione islamica, infatti, Portoghesi evolve la ricerca for-
male, variandola con l’introduzione “di un vocabolario basato sulla
suggestione dell’Islam, sui paradossi statici, sulla libertà compositiva, sul
momento naturalistico, così forte nella cultura di questa parte del mondo”.26
Una evoluzione verso la tradizione che lo condurrà molto presto a con-
centrarsi nuovamente ed in maniera più diretta su una maturazione del rap-
porto con la storia.

25 - D. DICKMANN, a cura di, Saper credere..., cit.,pagg. 25-26.


26 - G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI, Paolo Portoghesi..., cit., pag. 42.

57
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 58

GIOIA SEMINARIO

fig. 10 - Planimetria di progetto della Royal Court di Amman in Giordania.

fig. 11 - Alcuni dettagli che richiamano alla tradizione islamica nella Moschea di Roma.

58
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 59

Prima parte - La ricerca dell’armonia

E se la ricerca sviluppata con Christian Norberg-Schulz tra gli anni Ses-


santa e i Settanta ha scandito per l’architetto romano le tappe di un cam-
mino progettuale solitario ed introverso sotto il punto di vista della
sperimentazione, d’altro canto le teorie sul luogo sviluppate con l’archi-
tetto norvegese ebbero una più ampia influenza sull’architettura italiana.
Anzi, come riconosce anche Vittorio Gregotti nel libro Sulle orme di Pal-
ladio, questa posizione è fondamentale per la cultura architettonica del
nostro paese poiché:27
intende, da un lato, ricollocare l’insieme della modernità, divenuto dopo un
secolo “tradizione della modernità”, nella continuità dialettica della tradi-
zione della cultura europea, dall’altro riaprire, per mezzo del progetto, il
dialogo con l’esistente e quindi proporre, attraverso degli strumenti durevoli
dell’architettura, una nuova specificità e stabilità al concetto di spazio. Si
tratta di una stabilità che vuole offrirsi come riferimento collettivo rispetto ai
mutamenti sempre più accelerati, piuttosto che cercare di rappresentare per
mezzo del linguaggio architettonico.

C’è da dire, infatti, che se la teoria del genius loci era stata fortemente
condivisa da Portoghesi ed adottata per la sua prassi operativa, nondi-
meno questa aveva inciso sull’opera di diversi architetti italiani, che ne
hanno fatto nel tempo uno strumento fondamentale per rapportarsi al ter-
ritorio. Un forte richiamo al tema del luogo, ad esempio, è ravvisabile
nelle due diverse interpretazioni di Adolfo Natalini e di Franco Purini,
due architetti che tuttavia coniugano in maniera decisamente differente
questo approccio all’architettura.
Adolfo Natalini, che negli anni Sessanta era stato uno dei protagonisti
dell’architettura radicale con il gruppo Superstudio, a partire dalla seconda
metà degli anni Settanta modifica in maniera sostanziale il proprio lin-
guaggio. Anche nella sua poetica si riscontra una volontà di contrapporsi
alla ricerca “spinta” di soluzioni estetiche, per privilegiare la concretezza del
rapporto con il già costruito28 – lavorando in maniera indipendente su una
serie di progetti per le città storiche italiane ed europee – perseguendo fino

27 - V. GREGOTTI, Sulle orme di Palladio. Ragioni e pratica dell’architettura ed. Laterza, Bari
2000, pag. 62.
28 - Cfr. E. BURRONI, Adolfo Natalini in Modulo n.311 di Maggio 2005.

59
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.52 Pagina 60

GIOIA SEMINARIO

ai giorni nostri questa indagine, alla ricerca del “segno che il tempo lascia
sugli oggetti e sui luoghi”.
Accanto alla triade vitruviana, “firmitas, utilitas, venustas“, ormai da
tempo sembra vada inserito un quarto termine, quello della “propinqui-
tas“, dell’adesione ai luoghi e a ciò che ci sta accanto. Nessuno di questi va-
lori deve essere prioritario: ne deriverebbero architetture sbilanciate e
deformi. Se l’architettura costruisce una scena fissa per la vita degli uomini,
se è la modificazione della terra che la rende abitabile e se l’abitare è vivere
pacificati sulla terra sotto il cielo (per usare parole di indimenticabili mae-
stri), l’architettura sarà immobile e serena poiché già troppo veloce e mu-
tevole è la vita.29

Questa affermazione30 conferma la scelta fondamentale su cui si muove


l’etica progettuale di Natalini, improntata alla ricerca di soluzioni non stu-
pefacenti, quanto fondate su un riconoscimento dell’architettura come sede
del vivere quotidiano. Ancora oggi l’architetto sposa questa ottica, che è
punto di partenza fondamentale per il suo lavoro:31
Sono sempre stato interessato ad un’architettura che nasce dai luoghi e che
possiede radici le più profonde possibili con il luogo stesso. Naturalmente
ogni luogo non è un elemento puntiforme, ma il nodo di un sistema di rela-
zioni molto estese. Ogni progetto per radicarsi nel luogo deve quindi sondare,
non solo le dimensioni della superficie in cui si insedia, ma comprendere un
intorno significativo e quindi affondare in un asse temporale.
Questa ricerca di una progettualità vicina all’identità più profonda dei
luoghi costituisce il carattere peculiare della sua ricerca, di cui egli stesso
dice:32
Cerco di costruire un’architettura appropriata ai luoghi e alle persone, solida
e rassicurante, serena e dignitosa come sono o dovrebbero essere le città cui
appartiene.

29 - Cfr. AA.VV. University of Florence. Natalini Architetti in Mondo n. 2 del sett/dic


2006.
30 - C. DONATI, Un dialogo con Adolfo Natalini in Costruire in Laterizio n. 97 del gen/feb
2004, pag. 46.
31 - M. PISANI, Intervista ad Adolfo Natalini in Costruire in Laterizio n. 38 del mar/apr
1994, pag. 134.
32 - C. DONATI, Un dialogo..., cit., pag. 46.

60
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 61

Prima parte - La ricerca dell’armonia

fig. 12 - Schizzo di progetto e veduta di un edificio per uffici nel più ampio progetto per la
Waagstraat a Groningen di Adolfo Natalini.

fig. 13 - Due vedute del Polo Universitario di Porta Tufi a Siena di Adolfo Natalini.

61
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 62

GIOIA SEMINARIO

Differente è la concezione di luogo che emerge dalla prassi di Franco Pu-


rini. Fortemente legato al concetto di paesaggio, il suo approccio teorico al
tema si discosta rispetto a quelli di Portoghesi e Natalini – il primo più de-
cisamente legato al rapporto con il luogo storico, il secondo principalmente
dedito allo studio del luogo come scenario di vita umana. Nell’indagine di
Purini è la ricerca del paesaggio originario il vero centro dello studio sui
luoghi, spiegato nel testo Sette paesaggi33 del 1988, che implica un pro-
cesso di retrospezione dei siti, cercando di coglierne l’identità non soltanto
in base a ciò che essi sono diventati, ma principalmente in ciò che erano in
origine: l’ascolto dei luoghi nel suo approccio diviene, dunque, un’opera-
zione per certi versi metafisica, in cui l’architetto cerca di ritrovare il primo
segno insediativo dell’uomo, come egli stesso scrive nel breve saggio inti-
tolato Questioni di paesaggio:34
Quando l’architetto deve progettare qualcosa in un luogo qualsiasi della
Terra innesca quella che Bachelard chiama réverie, vale a dire un potente
atto della fantasia attraverso il quale si demolisce idealmente, strato per
strato, l’ordine dei manufatti che da sempre si sono accumulati su quel sito,
ricostruendo idealmente l’immagine che quel paesaggio aveva in un certo
momento della sua storia. In questo percorso occorre individuare il primo
segno insediativo, il primo gesto che l’uomo ha fatto in un intorno natu-
rale da lui scelto, perché proprio in quel gesto v’è il codice genetico delle
trasformazioni che riguarderanno quella porzione di superficie terrestre.
L’esito di questa operazione potrebbe essere chiamata il paesaggio origi-
nario. Alla radice del progetto c’è quindi un’operazione fondamentalmente
decostruttiva che tende a riscoprire l’immagine che la scena originaria
aveva prima di divenire paesaggio, quando essa era una pura virtualità
che già conteneva, seppure in nuce, tutti gli elementi del suo sviluppo fu-
turo. Quando progetta l’architetto istruisce sempre processi di questa na-
tura, e la sua azione compositiva è tanto più efficace quanto maggiore è la
consapevolezza di dover compiere un’opera di distruzione preventiva dei
livelli che costituiscono il paesaggio.

Dunque, sostiene Purini, il paesaggio dell’architetto è un luogo visto in


una prospettiva diversa, guardato come quello che questi immagina es-

33 - Cfr. F. PURINI, Sette paesaggi ed. Electa, Milano 1989.


34 - F. PURINI, Questioni di paesaggio in Archphoto, rivista digitale di architettura, arti visive
e cultura.

62
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 63

Prima parte - La ricerca dell’armonia

sere stato e non già come il progettista lo vede nell’atto di esplorarlo.35


Proprio questa considerazione ci fornisce la chiave di lettura ideale per
comprendere la differenza che è alla base di tre modi di interpretare il
complesso tema del rapporto dell’uomo col luogo e per completare at-
traverso il raffronto la comprensione delle specificità della dialettica di
Portoghesi.
Se Franco Purini fonda la sua ricerca sull’astrazione della memoria,
Adolfo Natalini persegue un rapporto di materiale pacificazione con l’esi-
stente, mentre Portoghesi giunge attraverso la ricerca teorica a metaboliz-
zare i segnali propri dei linguaggi della tradizione per avviare un dialogo tra
questi e la contemporaneità.
E, dal momento che il confronto delinea necessariamente il profilarsi di
tre modi operativi diversi, che conducono a esiti differenti, non si può non
notare che, di fatto, sia nel caso di Natalini che per Purini la ricerca sul
luogo e la prassi progettuale sono rimaste sostanzialmente equidistanti nel
corso dei tempi, mentre al contrario nel percorso di Portoghesi è visibile
una mutazione nel rapporto tra teoria e progetto. Un fatto che, sebbene
molto evidente, va tuttavia sottolineato, per evitare di incorrere nell’equi-
voco di arrischiare una periodizzazione troppo marcata.
Difatti man mano che, nel solco di un pensiero univoco, le teorie ven-
gono approfondite ed arricchite, questi smembra le esperienze passate per
evolvere l’architettura in una espressività che solo apparentemente è nuova,
ma che di fatto è profondamente supportata dalle ricerche precedenti. E così
è avvenuto anche quando, negli anni Ottanta, l’indagine sui luoghi ha messo
in secondo ordine il rigore geometrico che nei primi tempi aveva ispirato i
progetti di Casa Andreis o dell’aeroporto di Khartoum per cercare un avvi-
cinamento alla più concreta idea di luogo inteso come custode di memoria
che domina nei progetti di Amman o della Moschea romana: un’idea che è
naturale evoluzione della ricerca in una dimensione globale e condivisa,
ma che giunge a maturazione in un momento complesso, in cui il mondo
inizia a raccontare di se stesso come «postmoderno».

35 - Si veda anche M.D. MORELLI, a cura di, Saper credere in architettura. Franco Purini e
Laura Thermes ed. Clean, Napoli 2007.

63
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 64

GIOIA SEMINARIO

fig. 14 - La Casa del Farmacista a Gibellina di Franco Purini, 1981.


fig. 15 - Un’opera d’arte firmata dall’architetto.

fig. 16 - Una delle “Cinque piazze” realizzate a Gibellina di Franco Purini e Laura Thermes.

64
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 65

Prima parte - La ricerca dell’armonia

L’interpretazione della prospettiva storica


dalla modernità al postmoderno

Il maturare della ricerca intorno a un rinnovamento dell’architettura, che a


partire dalla fine dell’epoca moderna e lungo tutto il secondo dopoguerra aveva
interessato le diverse branche dell’architettura italiana, porta alla fine degli
anni Settanta al determinarsi di quello che viene definito il periodo postmodern.
Così come proviene dalla sua definizione Americana, il postmodernismo
è un fenomeno complesso che investe una grande quantità di discipline tra
cui arte, architettura, musica, cinema, letteratura, sociologia, tecnologia.36
Certamente la sua definizione deriva da quella di modernismo, ma in ef-
fetti è chiaro che questa derivazione non implica altro che l’idea di un suo
superamento. E’ inoltre difficile da localizzare in un periodo storico definito,
dal momento che non è esattamente chiaro quando tale fenomeno abbia
avuto inizio. Ciò che è certo è che nel 1977, nel suo libro-manifesto The lan-
guage of post-modern architecture, Charles Jenks, tentando di definire i
confini temporali di questo nuovo ciclo, data arbitrariamente questo evento,
sentenziando:37
Modern Architecture died in St. Louis, Missouri on July 15, 1972 at 3.32
p.m. (or thereabouts) when the infamous Pruitt- Igoe scheme, or rather sev-
eral of its slab blocks, were given the final coup de grace by dynamite.

Sebbene tale considerazione sia indubbiamente eccessiva e certamente


non realmente indicativa di uno stacco temporale che segni il passaggio dal
periodo Moderno a quello ‘post’, d’altro canto essa mette in evidenza un
evento indicativo della metamorfosi che investiva in quegli anni l’estetica
statunitense, ed era nondimeno sintomatico di un’insufficienza del modus
operandi razionalista rispetto alle richieste della società contemporanea

36 - Per una più ampia trattazione in merito si veda il testo di J.F. LYOTARD, La condizione
postmoderna, Ed. Feltrinelli Milano, 1985.
37 - «L’Architettura Moderna è morta a St Louis, Missouri il 15 Luglio 1972 alle 15.32
(o giù di lì) quando all’abominevole progetto Pruitt-Igoe, o per meglio dire a diversi suoi
blocchi in calcestruzzo, fu dato il colpo di grazia finale con la dinamite». Ch. JENKS, The
language of post-modern architecture, ed. Academy Editions, London 1977, pag. 9.

65
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 66

GIOIA SEMINARIO

fig. 17 - Un’immagine tipica della Las Vegas a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta.

ricca, addirittura opulenta, alla ricerca di simboli vistosi per identificarsi.


C’è da aggiungere che la localizzazione temporale individuata da Jenks col-
lima con il verificarsi di un secondo avvenimento, che consente di indivi-
duare lo stesso anno come il momento di svolta in cui un nuovo linguaggio
entra a far parte della cultura architettonica americana. Nel 1972, infatti,
Robert Venturi pubblica il libro Learning from Las Vegas. Lo scopo dello
studio condotto da Venturi con Denise Scott Brown e Steven Isenour era
quello di analizzare la forma fisica di Las Vegas per imparare dalla espan-
sione urbana della città contemporanea. L’analisi di Venturi cercava di svi-
luppare una quantità di metodi grafici per analizzare e rappresentare la
commercial strip della metropoli americana. Per mettere in evidenza i ri-
sultati di questo studio, gli autori utilizzano nel libro esempi di architettura
gotica, rinascimentale e moderna38 per illustrare la differenza tra quello che

38 - Cfr. R. VENTURI, D. SCOTT BROWN, S. ISENOUR, Learning from Las Vegas ed. The
MITT Press, Massacchussets 1972, pagg. 104 a 12.

66
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 67

Prima parte - La ricerca dell’armonia

si definisce ornato e quello che si definisce decorato che, è suggerito, rap-


presentano due opposti modi in cui le forme possono trasmettere signifi-
cato. Come difensori del decorated shed, gli autori sostengono che
studiando e adottando le strategie degli edifici della commercial strip, gli ar-
chitetti potrebbero arricchire il contenuto simbolico dell’architettura post-
moderna.39 Appena pubblicato, questo libro fu considerato di rottura e fu
di grande influenza per il successivo delinearsi in America di un movimento
postmodern proprio per via della grande quantità di materiale storico uti-
lizzato, anche se è chiaro che il fine ultimo della ricerca ivi presentata non
fosse quello di inaugurare una nuova tendenza, quanto di individuare nella
simbologia storica uno spunto esemplificativo della loro indagine.
È innegabile che questi episodi avessero origine in un ripensamento che
aveva radici storiche ben più profonde, legate ad un recupero strumentale
della storia che nell’America degli anni Cinquanta si manifestò come lo
specchio di una nuova consapevolezza di supremazia in virtù della quale
numerosi architetti orientarono la propria ricerca verso una nuova monu-
mentalità.40

39 - Ibid.
40 - Ricorda Frampton: «A partire dai primi anni 50 in poi, dapprima Philip Johnson, e
poi Louis Kahn, si interessarono sempre più alla ripresa dei sistemi formali del passato. Il
peculiare “storicismo” di Johnson derivava direttamente dalla sua comprensione del tardo
Mies, e quindi, attraverso Mies, in parte del classicismo romantico di Schinkel» (In K.
FRAMPTON, Storia dell’architettura moderna ed. Zanichelli, Bologna 1982, pagg. del 284 a
290). Al contrario, l’origine dell’interesse di Kahn per il passato, certamente legato anche
alla sua esperienza dell’école des Beaux Arts, è più complessa da stabilire, poiché nella sua
poetica la storia dell’architettura convive con l’interpretazione del passato recente. Sta di
fatto che la sua opera si è ricca di forti riferimenti al passato. Nella Storia dell’architettura
moderna, Benevolo scrive: «Le architetture di Kahn combinano riferimenti antichi e mo-
derni con una serietà senza precedenti. Gli imprestiti dai maestri moderni, dal classici-
smo greco e romano, dall’architettura medievale, islamica e persino dell’accademismo
ottocentesco sono usati in un modo che rende antiquati di colpo i revivals tentati nel pe-
riodo precedente: perdono la consueta carica polemica, sono ricondotti all’essenziale e
convivono con naturalezza, come se fossero emersi improvvisamente dalla memoria, dopo
una lunga attesa». (L. BENEVOLO, Storia dell’architettura moderna, ed. Laterza, Bari 2005
- 26ma edizione, pagg. 890-891). Basti richiamare opere come il Salk Institute, il cui im-
pianto interamente giocato intorno ad una corte centrale richiama alla chiarezza dell’ar-
chitettura classica; o l’Assemblea Nazionale del Bangladesh, la cui forza visiva, data dallo
stagliarsi dei corpi sul territorio, è eloquente.

67
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 68

GIOIA SEMINARIO

Ma quando, intorno alla metà degli anni Settanta, questa inclinazione ini-
ziò ad assumere i tratti propriamente definiti di un fenomeno di attualità, il
tema della rievocazione storica assunse un significato particolare all’interno
di un processo di trasformazione più diffuso, che non solo riguardava nu-
merosi campi di attività, ma implicava un ripensamento della comunica-
zione in genere. Lo spiega compiutamente Jean François Lyotard, che
ricorda come in tutti i campi del sapere la rivoluzione delle menti fosse già
in fermento da tempo:41
Questa evoluzione – dice il pensatore francese – è iniziata almeno a partire
dalla fine degli anni Cinquanta, che in Europa segnano la fine della ricostru-
zione. La sua rapidità varia in ogni paese, e nei paesi secondo i settori di attività.

L’analisi di Lyotard, meno legata agli aspetti filosofici, ma più attenta ai fe-
nomeni in espansione nelle diverse dimensioni del vivere, si focalizza anche
sul fenomeno della diffusione dei saperi, cogliendo un aspetto fondamen-
tale della dimensione storica in cui ci si stava affacciando in quegli anni:42
Questa trasformazione generale – sostiene – non lascia intatta la natura
del sapere. Esso può circolare nei nuovi canali, e divenire operativo solo se si
tratta di conoscenza traducibile in quantità di informazione.

Una conoscenza funzionale dunque, che cambia la sua natura per divenire
prima di tutto strumento di comunicazione. Tuttavia, come sostiene Paul
Virilio nel celebre testo Lo spazio critico, non si tratta in realtà soltanto di
esperire un sapere funzionale, quanto di rispondere ad una vera e propria
crisi del racconto stesso, che trova nella sola utilità la propria legittima-
zione. In questo senso troviamo nella lettura del celebre architetto-filosofo
francese un approccio critico che vede le matrici del cambiamento in una
vera e propria decadenza del racconto e infatti scrive:43
Ai grandi racconti della causalità teorica sono così subentrati i piccoli rac-
conti dell’opportunità pratica e, infine, i micro-racconti dell’autonomia.

41 - J.F. LYOTARD, La condizione postmoderna, Ed. Feltrinelli Milano, 1985, pag . 9.


42 - Ibid. a pag. 11.
43 - P. VIRILIO, Lo spazio critico, Ed. Dedalo, Bari 1998, pag. 22.

68
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 69

Prima parte - La ricerca dell’armonia

La questione che qui si apre non riguarda tanto la «crisi della modernità»
come progressivo declino degli ideali comuni, proto-fondazione del senso della
Storia a beneficio di racconti più o meno ristretti, legato allo sviluppo auto-
nomo degli individui, quanto piuttosto la crisi del racconto stesso, e cioè di un
discorso o modo di rappresentazione ufficiale, ereditato dal Rinascimento e
legato finora alla capacità, universalmente riconosciuta, di dire, descrivere e
inscrivere il reale.
Manifestazione esteriore di una crisi dei contenuti, l’epoca post-moderna
è per Paul Virilio una maschera che nasconde un disagio fondamentale:44
La crisi della nozione di “racconto” appare come l’altra faccia della crisi
della nozione di “dimensione” come racconto geometrale, discorso di misu-
razione di un reale visibilmente offerto a tutti. La crisi dei grandi racconti a
vantaggio dei micro-racconti si rivela, infine, come crisi del racconto del
“grande” e come crisi del racconto del «piccolo», avvento di una disinfor-
mazione in cui la dismisura, l’incommensurabilità, starebbero alla “post-
modermità” come la soluzione filosofica dei problemi e la risoluzione
dell’immagine (filosofica, architettonica…) furono all’origine dei Lumi.

Il recupero della storia diviene, secondo il pensatore, il primo segnale este-


riore di questa carenza di contenuti che vuole trovare riscatto attraverso la
forma. Una tendenza che ha radici profonde nello smarrimento della nuova
condizione dell’uomo della città contemporanea e che non si può addebitare
unicamente ad una voga che ne è sintomo più che elemento scatenante.
Secondo quanto detto fin qui, anche l’architettura italiana avrebbe sempli-
cemente dovuto manifestare con le proprie proposte il palesarsi di un senso
di mutamento più ampio, di una ricerca incapace di trovare soddisfazione in
se stessa, riconducendo a recuperare gli stilemi storici come simbolo.
In realtà, sebbene la definizione di Postmoderno, utilizzata in Italia pre-
valentemente in ambito architettonico sia mutuata dalla terminologia sta-
tunitense, è necessario non cadere nell’errore comune di confondere il
percorso culturale italiano con quanto avvenne in America o in altri stati
europei. Può certamente dirsi che entrambi i filoni prendono vita da una
volontà di ridefinire l’identità della progettazione e che vi è tra i due modi
di intendere un grande accordo, ma è anche vero che per molti aspetti il

44 - P. VIRILIO, Lo spazio..., cit., pag. 22.

69
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 70

GIOIA SEMINARIO

discorso italiano e quello americano camminano su strade diverse per ra-


gioni di cultura e tradizione, di dimensioni e di riferimenti.
Sebbene si faccia spesso coincidere la nascita di una tendenza postmo-
derna in Italia con l’inaugurazione delle prima Biennale di Venezia La pre-
senza del Passato, a ben vedere questa datazione è da ritenersi del tutto
sommaria e priva di un fondamento concreto. Difatti, se si considera con at-
tenzione il corso degli eventi durante i decenni che precedono il vertice che
viene definito postmoderno, si comprende come questo momento non sia
altro che il periodo culminante di un fermento che era in atto da tempo e che
si era già annunciato in Europa con l’approfondimento filosofico delle teo-
rie di Martin Heidegger. È infatti proprio intorno a questo cardine fonda-
mentale che ruota tutto l’apparato di pensiero che accompagna la postmo-
dernità architettonica italiana, a cui conferisce peraltro una singolarità ri-
spetto alla interpretazione internazionale della stessa tendenza: il punto di
partenza si conferma quello da cui erano scaturite tutte le ricerche prece-
denti sul tema del rapporto dell’uomo col luogo, con la differenza che ormai
l’indagine andava definendosi in maniera più decisa, privilegiando alla spe-
rimentazione formale una maggiore attenzione al luogo storico, alla città
come complesso vitale in cui il passato fosse interpretato come la materia
stessa con cui concepire il futuro. In questo senso è proprio Portoghesi ad in-
dicare come motivo ispiratore della propria poetica uno dei passaggi chiave
delle teorie del celebre filosofo tedesco:45
Un’opera è opera solo nella misura in cui corrisponde alla pretesa dell’av-ve-
nire, tramandando così il già-stato (das Gewesene) liberato nella sua essenza
celata. La grande tradizione viene verso di noi in quanto avvenire. Tramite
il mero calcolo di ciò che è passato essa non diventa mai ciò che è: pretesa, ap-
pello. Esattamente come ogni grande opera deve essa stessa anzitutto risve-
gliare e formare l’umanità che, di volta in volta, porta all’aperto il mondo in
essa latente, così la creazione dell’opera deve a sua volta ascoltare prima la
tradizione che a essa si è rivolta. Ciò che si è soliti chiamare l’elemento crea-
tivo e geniale di un’opera non deriva da un erompere di sentimenti e di idee
provenienti dall’inconscio, quanto piuttosto dalla vigile ubbidienza alla sto-
ria, ubbidienza che si fonda sulla pura libertà del saper udire.

45 - M. HEIDEGGER, Conferenze di Brema e Friburgo, ed. Adelphi, Milano 2002, pagg.114.

70
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 71

Prima parte - La ricerca dell’armonia

Già in queste righe sono contenute diverse nozioni che non soltanto costi-
tuiscono il fondamento del pensiero che ha animato l’architetto romano e
quanti come lui hanno seguito questo orientamento progettuale, ma che si
dimostrano validi ancora nell’architettura attuale, risollevando il problema
della creatività nell’opera d’arte, che non può essere vista come semplice og-
getto di un estro istintivo. Heidegger invita piuttosto a guardare al passato
come messaggero di cose nuove e apportatore di espressività sconosciute:46
La storia autentica è at-tesa. L’at-tesa è l’avvenire in quanto pretesa dell’ini-
ziale (das Anfängliche), ossia di ciò che già perdura, che è essenzialmente es-
sente, e della sua celata riunione. L’at-tesa è l’appello del già stato che, a noi
diretto, ci riguarda. Quando si dice che in fondo la storia non porta niente di
nuovo, questa asserzione è falsa se intende dire che ci sarebbero sempre e sol-
tanto le medesime cose; se invece la frase «Non c’è nulla di nuovo sotto il sole»
vuol dire che «c’è solo l’antico nella inesauribile potenza metamorfica del-
l’iniziale», allora essa coglie l’essenza della storia, che è l’avvento del già-stato.
Può facilmente capirsi perché questo pensiero fosse al centro della ri-
flessione e dell’attività divulgativa di Portoghesi: il fine primario della
architettura italiana di quegli anni avrebbe dovuto essere proprio quello di
recuperare questa essenza profonda e celata per consegnarla al mondo
presente elaborando un linguaggio adeguato ai tempi. D’altronde secondo
questo spirito, già a partire dalla fine degli anni Settanta, si manifesta da
parte sua una progressiva trasformazione della ricerca sperimentale che
aveva caratterizzato il decennio precedente, per ricercare nel rapporto con
la storia delle nuove suggestioni, più vicine al naturale ciclo evolutivo
della città. Tale cambiamento viene da lui stesso spiegato in una recente
intervista, in cui questi evidenzia la distanza tra il suo orientamento ini-
ziale – rivolto ad una ricerca individuale di espressione d’una poetica pro-
pria – e la scelta di perseguire un linguaggio partecipato, preferendo la
coralità di una architettura radicata storicamente al soliloquio di un’inda-
gine più ricercata e meno assimilabile.47 Un messaggio, questo, che come
vedremo in seguito riuscirà a trapelare solo in maniera molto parziale,

46 - M. HEIDEGGER, Conferenze..., cit.


47 - Cfr. Intervista a Paolo Portoghesi, si vedano gli Apparati al volume.

71
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 72

GIOIA SEMINARIO

poiché fu per motivi molto diversi che l’Italia divenne il maggiore attrat-
tore europeo delle istanze americane sul postmoderno, snaturando da se i
reali intenti e le naturali tendenze.
E’ innegabile che già nel periodo postbellico, in Italia, diversi tentativi di
rifondazione teorica della disciplina avessero riportato all’attenzione degli
architetti il problema del rapporto con il passato, sebbene la ricerca seguisse
in quegli anni orientamenti sostanzialmente eterogenei e per lo più rivolti
a confrontarsi con le tematiche più urgenti del tempo.48 Questa circostanza
comporta il fatto che sul finire degli anni Settanta, alla nascita del feno-
meno postmodern, l’architettura subisca fortemente l’influenza di questa
tendenza, specialmente perché rispetto agli anni precedenti è considerevol-
mente mutata tutta la situazione disciplinare a contorno e il messaggio viene
trasmesso con maggiore incisività.49 Tuttavia, si può dire che questo non
fosse un fatto del tutto inaspettato, piuttosto la espressione decisiva di quella
propensione che iniziava a manifestarsi già al termine degli anni Cinquanta.
In precedenza abbiamo avuto modo di rimarcare come la polemica ita-
liana sul neoliberty avesse ormai rivelato, in un certo numero di architetti
italiani, la volontà di cercare un superamento dell’ideale moderno nell’in-
terpretazione della storia. Certamente, per quanto avesse suscitato scalpore,
tale rigurgito rimase allora in secondo piano, relegando alla stregua di epi-
sodi le ricerche di quanti perseguirono l’obiettivo di un ritrovamento del-
l’identità architettonica nazionale, ma costituì senza dubbio un precedente
per la definizione della dialettica di questa nuova corrente. Lo stesso testo
di Charles Jenks cita nel novero delle architetture precorritrici della tem-
perie postmoderna una serie di opere italiane già riconosciute con l’etichetta
neoliberty50, pur nell’impossibilità di attribuire una effettiva rilevanza a tale

48 - Cfr. Una trattazione completa circa i problemi legati alla casa è in M. TAFURI, Storia
dell’Architettura italiana – 1944-1985, ed. Einaudi Torino, 1986.
49 - In The language of post-modern architecture, terzo capitolo, quando Charles Jenks tenta
di definire i caratteri della architettura post-moderna, prende spunto dalla polemica in-
nescata da questi richiama in causa una serie di opere italiane in cui ravvisa un chiaro ri-
chiamo alla storia.
50 - Ch. JENKS, The language of post-modern architecture ed. Academy Editions, London
1977, pag. 81.

72
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 73

Prima parte - La ricerca dell’armonia

fenomeno che non costituiva in se una tendenza ma certamente mostrava


una volontà di rinnovamento dialettico dell’architettura. Tra questi progetti
compariva anche Casa Baldi.51
È inevitabile che Paolo Portoghesi, essendo già orientato alla ricerca di
una forte continuità con la storia, sul finire degli anni Settanta sia l’archi-
tetto italiano che maggiormente avverte un coinvolgimento nel nuovo orien-
tamento post-moderno, avendo in comune con le teorie di Charles Jenks e
di Robert Venturi un obiettivo divulgativo lungamente perseguito nel corso
della sua ricerca.
La rivalutazione della storia, già da lui promossa nei primi anni di attività,
trae nuovo impulso da questi eventi, che sfociano a partire dagli anni Ottanta
nel progetto della strada Novissima per la Biennale di Venezia – in cui era pro-
tagonista una cortina di facciate progettate da diversi architetti – e in nume-
rosi saggi e testi storici.52 Un primo segnale di questa intenzione si ha in un
numero di Controspazio del 1977 in cui, insieme a una presentazione delle ar-
chitetture di Gabetti e Isola,53 la rivista ripropone i tratti salienti della polemica
neoliberty, ribadendo la propria inclinazione a sostenere la necessità di rife-
rirsi alla memoria come strumento essenziale per il progetto. Scrive infatti
Claudio D’Amato, riproponendo i testi fondamentali del dibattito:54
Lavorando al recupero della storia attraverso i valori della memoria, e rom-
pendo con la pratica metodologica che aveva caratterizzato il Movimento
Moderno, il neoliberty pose le premesse essenziali di alcuni temi che caratte-

51 - Ibid. alle pagg. 81 e 82.


52 - Se con Le inibizioni dell’architettura moderna (1974) Portoghesi aveva già chiara-
mente manifestato la sua opinione circa la necessità di rifondare il rapporto con l’archi-
tettura storica, appena agli inizi degli anni Ottanta il suo ideale è manifestato in munerosi
testi. Si ricordino ad esempio: Postmodern. L’architettura nella società postindustriale
(Electa Milano, 1982);L’angelo della storia (Laterza Bari, 1982); Dopo l’architettura mo-
derna (Laterza Bari, 1985). Fortemente legata al periodo postmoderno è anche la rivista
Eupalino, fondata da P.Portoghesi nel 1983.
53 - Cfr. P. PORTOGHESI, Dentro la storia e fuori delle storie in Controspazio n. 4/5 del-
l’ott/nov 1977, pagg. 16 e 17.
54 - In Controspazio n. 4/5 dell’ott/nov 1977, vengono riproposti tutti gli articoli della
polemica neoliberty, tra cui la lettera di R. GABETTI e A. ISOLA allegata al progetto e inti-
tolata L’impegno della tradizione; l’intervento di V. GREGOTTI; l’editoriale di E. N. RO-
GERS Continuità o crisi?

73
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 74

GIOIA SEMINARIO

fig. 18 - La strada Novissima. Il progetto di Paolo Portoghesi tra quelli di Koolhaas e Bofill.
fig. 19 -La strada Novissima. Le facciate di Kleihues e Hollein.

rizzeranno la ricerca successiva - anche se non immediata. La sua breve vita


e la sua sconfitta fu anche dovuta alla debolezza di una posizione anticipata
rispetto allo stato non solo dell’architettura ma delle generali condizioni che
l’Italia degli anni Sessanta si apprestava ad affrontare.

Questo brano,55 rivendicando per l’architettura un primato dei valori della


memoria, chiarisce già in maniera evidente un orientamento ben preciso
nei confronti della storia che costituisce quello spirito che ha animato, a
partire dal 1982, la rivista Eupalino, periodico la cui materia e la cui fog-
gia chiariscono i termini di questo orientamento. Nell’introduzione al primo
numero, Portoghesi spiega gli intenti di questa neonata rivista scrivendo:56
La parodia dell’eternità non spaventa, né mi spaventano gli innumerevoli
risvolti negativi di ciò che chiamiamo (ciascuno a modo suo) postmoderno.

55 - Cfr. C. D’AMATO, Memoria, storia e questioni di stile nell’esperienza neoliberty in Con-


trospazio n. 4/5 dell’ott/nov 1977, pagg. 50 e 51.
56 - P. PORTOGHESI, Dialoghi – Perché Eupalino in Eupalino n.1 del 1984, pag. 3.

74
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 75

Prima parte - La ricerca dell’armonia

figg. 20/21 - Alcune immagini della via Novissima.

75
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 76

GIOIA SEMINARIO

Mi interessa e mi coinvolge la situazione di movimento a cui assistiamo e la


direzione che in questo movimento mi sembra di intravedere. Nell’architettura
i movimenti erano diventati negli ultimi trent’anni movimenti impercettibili
che finivano per elidersi reciprocamente. Tutto era sostanzialmente fermo per-
ché in preda ad un movimento sussultorio e sfrenato, senza parametri di rife-
rimento. L’invenzione gratuita, il rifiuto della tradizione, che erano state scelte
coraggiose ed eretiche, armi da combattimento insomma, erano diventate pre-
cetti scolastici, articoli di catechismo, garanzie assicurative per sentirsi “den-
tro” arruolati nell’esercito della modernità. L’unica possibilità di muoversi,
di liberarsi dalla condanna biblica all’invenzione perpetua - sempre meno
nuova per l’inevitabile principio dell’assuefazione - era quella di ripristinare
dei punti di riferimento, delle “stelle fisse” rispetto alle quali ricominciare a
misurare le distanze, a fissare una geografia del mestiere. Così si è arrivati
lentamente e inconsapevolmente alla riemersione gli archetipi, a ristabilire un
tessuto di riferimenti che ridà un senso al nostro lavoro e lo rimette in rap-
porto con la città, intesa come gran distruzione collettiva.
Assecondando questo nuovo spirito, che sostiene con la sua opera teorica e
divulgativa, anche in ambito progettuale durante quegli anni Portoghesi rein-
dirizza il proprio approccio rendendo più evidenti i richiami al passato, che non
sono più a questo punto una «visione», ma raggiungono spesso la chiara cita-
zione, intesa non come simbolo - alla maniera di Robert Venturi - ma come vo-
lontà di rievocazione degli stilemi caratterizzanti della nostra identità nazionale.
Questa circostanza consente di capire come, sebbene sia stato coinvolto nel
vortice della postmodernità internazionale, sia difficile ritrovare nell’opera del-
l’architetto romano una ricerca che possa dirsi meramente estetica: piuttosto
l’estetica postmoderna sembra costituire il veicolo attraverso cui continuare la
propria opera di divulgazione sull’importanza della storia nel processo di crescita
della città,57 anche allargando l’orizzonte teorico della disciplina alle diverse arti.
A partire dagli anni Ottanta, la figura di Portoghesi viene assunta come
punto di riferimento per l’estetica postmoderna in Italia. In particolare da
quando, direttore del settore Architettura alla Biennale di Venezia,58 inau-
gura la mostra La Presenza del Passato, la sua figura assume un ruolo cen-
trale e controverso nel dibattito del tempo.

57 - G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI, Paolo Portoghesi..., cit., pag. 75.


58 - Insieme a lui, il comitato scientifico è composto da Charles Jenks, Christian Norberg-
Schulz, Vincent Scully e Robert Stern.

76
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 77

Prima parte - La ricerca dell’armonia

Questi introduce l’architettura italiana nel dibattito internazionale riu-


nendo una commissione composta, tra gli altri, da Christian Norberg.Schulz,
Vincent Scully, Charles Jenks, Robert Stern, tutti architetti che daranno
un’impronta molto forte alla manifestazione, rendendo inevitabile la con-
taminazione della causa italiana con i modelli sopranazionali. Tale scelta,
tesa a garantire uno spessore scientifico all’evento, porterà di fatto ad effetti
molto differenti da quelli attesi, con un notevole fraintendimento degli in-
tenti reali con cui si era costituito il comitato.
Se si esamina il testo La fine del proibizionismo,59 che appare nel catalogo
della Biennale, si può comprendere il significato che Portoghesi attribuisce
a tale manifestazione.
Nell’ambito di una strategia dell’ascolto – egli scrive60 – la mostra su ‘La pre-
senza del passato’ servirà a far capire meglio, a più persone possibile, che sono
cambiate alcune cose importanti anche nell’architettura e a far ricordare che i
‘soggetti’ dell’architettura non sono soltanto gli architetti. Servirà – e in ciò l’in-
terlocutore diretto è proprio la cultura italiana – ad annunciare la fine del ‘proi-
bizionismo’ che per anni ha represso l’istinto di utilizzare come materiali del
presente, senza preconcette discriminazioni, tutti quelli che ci consentono di co-
municare, di coinvolgere con un massimo di efficacia la memoria e l’immagi-
nario, la proiezione nel futuro e il desiderio di qualità ambientale dei cittadini.

Soffermandosi su questo breve stralcio, che costituisce il nocciolo del-


l’impostazione della Biennale, sono leggibili gli intenti principali ivi per-
seguiti: per un verso, la volontà di diffondere un’idea di architettura
indirizzata alla collettività con un gesto corale che avrebbe dovuto unire
i diversi lessici progettuali sotto un’unica insegna, divulgando questo
nuovo modo di sentire l’architettura in rapporto con la storia e recupe-
rando un significato che non fosse soltanto per gli architetti, quindi –
quand’anche fatto di un repertorio vistoso – concepito per essere ricono-
sciuto dalle persone; in secondo luogo è azione provocatoria, per chiarire
che questa architettura – anche se di cartapesta – è lontana dal rigore ra-
zionalista che tanto aveva ristretto il campo d’azione della creatività in ar-

59 - P. PORTOGHESI, La fine del proibizionismo in La presenza del passato, catalogo della


prima mostra internazionale di architettura, La Biennale di Venezia, 1980, pagg. 10 a 12.
60 - Ibid. a pag. 10.

77
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 78

GIOIA SEMINARIO

chitettura,innescando un esteso dibattito intorno a questo argomento. E, ri-


marcando questo secondo aspetto, nel numero monografico di Contro-
spazio dedicato proprio alla Biennale, aggiunge:61
Il Movimento Moderno in architettura ha avuto il triste privilegio di ri-
manere per anni un fattore falsamente positivo, perdendo ogni reale capa-
cità di rinnovarsi, proprio perché, dopo lo sforzo delle prime generazioni,
si era esaurito il suo potenziale critico e la sua natura di grande ed effi-
mero contraddittorio rispetto la tradizione storica. La modernità impose
all’architettura, dopo la fruttuosa stagione del dubbio, tra la fine del se-
colo scorso e il 1925 (alla quale non per caso ci si rivolge oggi con rinno-
vato interesse) una rinuncia alla lingua che né la letteratura né la musica
avrebbero potuto accettare e praticare con altrettanto rigore. Il riemergere
gli archetipi, è dunque per l’architettura non un geloso moto di conserva-
zione e di tutela ma una gioiosa riscoperta di qualcosa costretto a vivere
dentro di noi clandestinamente e che solo può aiutarci a ridurre l’isola-
mento di una disciplina che in 50 anni ha perso progressivamente la sua
funzione specifica di matrice della qualità urbana vestendo le due false ap-
parenze di arte figurativa da una parte, e di produzione tecnologica senza
qualità dall’altra.

Questo testo, in cui Portoghesi spiega lo spirito con cui la postmodernità si


riproponeva di confrontarsi con il mondo moderno, è soprattutto significa-
tivo poiché chiama in causa direttamente Jürgen Habermas, mentore della
modernità, critico verso le nuove ricerche che si orientavano in direzioni op-
poste. Infatti, in un discorso dal titolo Il moderno: un progetto incompiuto,
pronunciato nel 1980 in occasione del conferimento del Premio Adorno, il
filosofo tedesco aveva sostenuto la tesi che il postmoderno fosse segnato da
una rinuncia alla causa di emancipazione che aveva animato la modernità,
orientandosi piuttosto ad un neo-conservatorismo che traeva la propria ispi-
razione da Nietzsche e soprattutto da Heidegger. Asserendo che il termine
«modernità» sia storicamente spiegato come esito di un «trapasso dal vec-
chio al nuovo» che riconduce agli ideali di progresso che avevano già carat-
terizzato l’illuminismo francese, questi minimizzava le posizioni postmoderne
valutandole alla stregua di un «presuntuoso programma» di superamento di
tali ideali a favore di uno spirito conservatore.

61 - P. PORTOGHESI, Il riemergere degli archetipi in Controspazio n. 1- 6 del 1980, pag. 5.

78
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 79

Prima parte - La ricerca dell’armonia

A queste affermazioni, più che alle altre numerose critiche generate dalla
Mostra, Portoghesi rispose con particolare zelo, sostenendo l’impossibilità per
il nostro mondo tecnologico di rimuovere quanto la storia ci ha insegnato.“Pri-
gionieri del passato si diventa per la perdita – egli scrive – non per il culto
della memoria”.62
Di segno analogo alle teorie di Habermas ritroviamo in Italia la critica di
Tomàs Maldonado che nel numero di Casabella degli ultimi mesi del 1980
fa riferimento al termine «Post-Moderno» come rimessa in gioco del rap-
porto col moderno che la nuova tendenza intende aver superato e che, piut-
tosto, al confronto con questo nuovo pensiero dell’architettura viene
rideterminato.63
Al di là di questa controversia, che mise in chiaro dei problemi di carat-
tere etico – potremmo dire “contenutistico” – l’exploit della postmoder-
nità cagionò soprattutto reazioni connesse a problemi formali e lo slancio
della polemica spostò il centro di interesse reale della mostra – che avrebbe
dovuto essere quello di superare la sostanziale individualità dell’architettura
moderna in favore di un’etica urbana postmoderna fondata sul dialogo e
sull’attenzione e all’ambiente –64 finendo per trasformare totalmente il mes-
saggio che la Biennale avrebbe voluto dare.
In un ardente editoriale del Novembre 1980, Bruno Zevi etichetta in ma-
niera incontrovertibile l’iniziativa, definendola come un pasticcio in cui gli
elementi dell’architettura storica si trasformano in ninnoli asserviti ad una

62 - P. PORTOGHESI, Il riemergere degli archetipi in Controspazio n. 1- 6 del 1980, pag. 5.


63 - In un intervento di dell’inverno del 1980 Tomàs Maldonado mette in primo piano
questo concetto: «”Post” si presenta oggi come il prefisso toccasana tramite il quale no-
stra società tenta di persuadersi (e persuaderci) di avere un “dopo”, cioè un futuro. (…)
Di solito, si tratta di parole d’ordine che hanno un’indubbia presa sui mass-media, e per-
tanto sull’immaginario collettivo, ma che, sul piano concettuale, sono scarsamente affi-
dabili. Non traggono origine, per dirla in breve, da una vera e propria teoria, almeno non
da una teoria alla quale si possa conferire, volendo, uno statuto di scientificità. Nella mag-
gior parte dei casi, ci troviamo dinanzi ad un ammasso confuso di semi-verità, di escogi-
tazioni pontificanti sullo sviluppo storico, di giudizi assolutamente arbitrari sulle linee di
tendenza della società capitalistica». T. MALDONADO Il movimento moderno e la questione
‘post’ in Casabella n.464 del nov/dic 1980, pag. 11.
64 - F. CELLINI e C. D’AMATO, La costruzione della Strada Novissima in Controspazio n. 1-
6 del 1980, pag. 10.

79
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 80

GIOIA SEMINARIO

mistificazione.65 Egli inquadra la situazione in un problema di ordine prin-


cipalmente morale: se è giusto, osserva, dimostrare consapevolezza e sde-
gno rispetto ai crescenti problemi del nostro tempo, ciò che è confutabile
è quanto di effimero appare nelle forme mutuate al passato. In questo senso,
il direttore di L’architettura - cronache e storia si esprime in maniera molto
aspra, discutendo la trovata scenica della strada Novissima e denunciando
il pericolo di cadere in un equivoco stilistico improntato alla superficia-
lità.66 In definitiva l’analisi di Zevi non fa altro che incalzare, sulla scia di
un’accesa critica che aveva già dai primi giorni di apertura della mostra
snocciolato una serie di considerazioni altrettanto energiche.67
La questione inerente l’impostazione della strada Novissima, con l’alli-
neamento delle varie facciate progettate da diversi architetti di differenti
nazioni, è stato uno dei temi più contestati dell’operazione proposta dalla
Biennale, dal momento che certamente questo costituiva il tratto più evi-
dente di tale occasione culturale. Ma la maggior parte di tali critiche si ri-
velò aver colto solo i caratteri più effimeri di questo evento: nelle intenzioni
di Paolo Portoghesi e di coloro che hanno collaborato alla redazione di que-
sta idea certamente la Strada non era un’icona, ma – come egli stesso so-
stiene – una risposta utopica che sottintendeva ricerche molto più profonde.
Ed espone le ragioni di questa scelta quando scrive:68
L’ipotesi della strada è nata a dicembre a Berlino nel clima delle feste natalizie,
durante un seminario organizzato da Paul Kleihues al quale partecipavano anche
Carlo Aymonino a Aldo Rossi. (…) Nei pressi della Alexander Platz, tra l’eco del-

65 - «L’inganno di questa mostra non è nei mali indicati – scrive Bruno Zevi – cui si vorrebbe
reagire (la città-garage di oggi, i casermoni invivibili, ecc.), ma nella terapia indicata: capitelli,
archi, colonne, timpani ed altri reperti anatomici del genere. In sostanza, ad una presunta ca-
renza dell’immaginario supplisce desumendo dalla storia forme gabellate per inconsumabili;
sino ad elevare come esempio e canone un’orribile pasticcio. (...) E il perverso di questa ope-
razione sta nell’inganno di usare elementi noti e grandi della nostra storia per far scoprire un
passato mistificato, perché tempo spazio sono ridotti senza distanza». B. ZEVI Commenti al
postmodern (editoriale) in L’architettura cronache e storia n. 11, del nov. 1980, pag. 610.
66 - Ibid.
67 - Si vedano L. SEMERANI, La Biennale di architettura a Venezia, in La Repubblica del 10-
11 Agosto 1980; E. SALZANO, Il formalismo in architettura in Il Messaggero del 7 Ottobre
1980; A. ARBASINO, Cartoline da Venezia in La Repubblica del 23 Ottobre 1980.
68 - P. PORTOGHESI, La fine del proibizionismo..., cit., 1980, pag. 12.

80
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 81

Prima parte - La ricerca dell’armonia

l’ultimo Behrens e le sagome della Stalin-Allee, scoprimmo un meraviglioso luna-


park chiuso in un recinto con una piazzetta circondata da piccoli stands che imi-
tavano con materiali effimeri facciate di case, il pianterreno al vero e gli altri piani
in scala 1:2: una paradossale risposta a un bisogno di città, di spazio chiuso e ac-
cogliente al centro di uno dei crocevia dell’architettura moderna.

Secondo le intenzioni dell’architetto, alla base di questo tentativo era prin-


cipalmente l’idea di creare una cortina che riproducesse, in un contesto im-
maginario, l’allegoria di un mondo vitale, che cozzasse in maniera evidente
con la realtà moderna troppo spesso evocata e mettesse in scena – piuttosto che
una realtà effimera, come essa è stata intesa – una creatività parlante, capace
di trasmettere attraverso le immagini il rimando a dei concetti radicati. Tutta-
via, il presupposto essenziale per la riuscita di questo programma avrebbe do-
vuto essere una unità di vedute e di intenti tra i diversi espositori, che avrebbero
dovuto esprimere con accenti diversi un medesimo scopo. Al contrario, come
riconosciuto dallo stesso Portoghesi, la strada si ridusse ben presto ad un ter-
reno di confronto tra le diverse personalità in causa e, perdendo la propria con-
notazione divulgativa, lanciò sul terreno internazionale architetti emergenti di
grande personalità, ma che poco sposavano la causa dell’incontro.
La realizzazione di queste facciate divenne lo spunto principale di una
amplissima critica ad una Biennale che, incentrata sull’idea di una risco-
perta dell’architettura della antichità, finiva con il ridursi ad una miscella-
nea di stili del tutto eterogenei che volevano etichettarsi sotto il nome di
postmodern.69 Ancora una volta, tra le più dure suonano le parole di Bruno
Zevi, il quale si esprime in maniera decisa sull’argomento, distinguendo i
processi internazionali che hanno ravvivato la consapevolezza storica in ar-
chitettura dalla temperie tanto pubblicizzata dalla Biennale, accusata di aver
predicato uno storicismo passivo e snaturato.70
È soltanto in tempi più recenti che si è rilevato come questa occasione
divulgativa – che pure aveva trascinato con sé tutta una serie di equivoci

69 - Cfr. L. PRESTINENZA PUGLISI, Silenziose Avanguardie, ed. Testo & immagine, To-
rino 2001, pag. 109.
70 - B. ZEVI, A Venezia lo zombie postmodern (editoriale) in L’architettura cronache e sto-
ria n. 10, dell’ott.1980, pag. 546.

81
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 82

GIOIA SEMINARIO

stilistici – pur non avendo raggiunto gli intenti fissati, avesse in realtà
anche un risvolto positivo: lo illustra molto bene Lucio Altarelli nel re-
cente testo Allestire in cui, pur riscontrando taluni equivoci nella realiz-
zaione della strada Novissima, riconosce agli architetti e agli allestitori
tutto il merito di aver concepito una scenografia a suo modo efficace,
poichè aveva avuto un grande impatto sulle masse riscuotendo un consi-
derevole successo.71
In definitiva, l’esperienza della prima Biennale di Venezia, conclusasi tra
numerose polemiche, ha certamente evidenziato due risvolti opposti: da un
lato, la provocatoria appariscenza delle sue scenografie ha prodotto critiche
talvolta eccessive e spesso prive di contenuto; da un altro lato essa ha ali-
mentato un vasto dibattito, che ha prodotto l’effetto positivo di una sostan-
ziale revisione e di un bilancio delle istanze degli ultimi decenni. E, se
quanto esposto nella mostra non ha prodotto gli esiti sperati sotto il profilo
scientifico, ha certamente dimostrato che la attività dell’architettura italiana
era un fenomeno ancora vivace anche in rapporto con la scena internazio-
nale. D’altronde è importante ricordare che anche Philip Johnson, che nel
1977 si era dimostrato ancora smarrito nei confronti di tale orientamento,72
abbia più tardi presenziato alla presentazione americana della strada No-
vissima. Certamente questo smarrimento era palese in talune delle facciate
presentate alla Biennale di architettura che dimostravano l’eterogeneità dei
temi a cui l’esaurirsi dell’architettura moderna aveva esposto gli architetti,
ma dimostrava altresì la profondità di un travaglio interiore rivolto alla ri-
cerca di una nuova identità.
Così, rovesciando quanto sostenuto in tempi recenti da diversi architetti

71 - L. ALTARELLI, a cura di, Allestire ed. Palombi, Roma 2003, pag. 12.
72 - P. JOHNSON, Reflections: on Post-Modernism in Oppositions n. 10, autunno 1977, pag.
18. «Quanto al termine “postmodernismo”, ciò che esso provoca anche me è legittimare
il mio smarrimento. A cosa poi il termine si riferisca precisamente è in tale senso meno im-
portante. Poiché negli anni venti, trenta e quaranta, quando costruivo la mia casa, non
c’erano mezzi di legittimazione; quello che facevo era semplicemente sviluppare un’altra
ottica, derivata dalla storia, nei confronti dell’architettura moderna. Quindi il postmo-
dernismo è la legittimazione di alcuni sentimenti che vanno al di là del puritanesimo del-
l’architettura moderna. Ciò che il postmodernismo fa in realtà è legittimare l’eclettismo
che, paradossalmente, è in sostanza anteriore al movimento moderno».

82
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 83

Prima parte - La ricerca dell’armonia

– tra cui l’ex-redattore di Controspazio Franco Purini –73 è necessario guar-


dare a questo tempo come ad un momento di profonda assimilazione dei
problemi disciplinari del passato e di incubazione di nuove idee. E se per
quanto detto probabilmente è più giusto non parlare di una tendenza po-
stmodern, ma definire con il termine di post-modernità quel tempo storico
in cui convergono tutte le ricerche che si sviluppano lontano dalle determi-
nazioni razionaliste, certamente può dirsi che entro questa classificazione
ha continuato a proliferare il filone legato alla ricerca sulla storia e sul luogo
che vede in Italia come figura centrale la persona di Paolo Portoghesi.
Nonostante le numerose critiche avanzate durante la Biennale lo avessero
indicato come mentore di una tendenza indeterminata e generica, trala-
sciandone le acquisizioni, la sua indagine ebbe durante tutti gli anni Ottanta
ulteriori sviluppi essendo, in particolare per quel che riguardava la difesa del
primato della storia, ancora fortemente promosso da una parte della cultura
architettonica italiana. In particolare, a partire dal 1982, intorno alla rivista
Eupalino si raccolsero numerosi architetti le cui specifiche competenze si
integravano, all’interno del periodico, con i diversi campi dell’arte, da
quella figurativa, alla letteratura, alla musica, in cui fecero la loro comparsa
diversi contributi significativi.74 Paolo Portoghesi, promotore e direttore
della rivista, integrò la costante attività divulgativa ad essa legata con diversi
volumi75 storici e teorici rivolti sempre a richiamare l’attenzione sull’im-
portanza di ricondursi alla tradizione.
Tra questi vi è in particolare un testo, che sembra avere interesse minore ri-
spetto ad altre sue opere e tuttavia, per chi scrive, risulta il più significativo
esempio delle ricerche svolte durante quegli anni. Il testo è L’angelo della sto-

73 - Secondo Purini la temperie sarebbe il segno di un definitivo abbandono del modello mo-
derno dell’interiorità a favore di quello postmoderno dell’esteriorità. F. PURINI, Isolato e im-
prendibile: l’involucro tra modernità, postmodernità, attualità. In U. Cao e S. Cantucci, a
cura di, Spazi e maschere ed. Meltemi, Roma 2001.
74 - Si vedano, a titolo d’esempio, testi come La città di I. CALVINO in Eupalino N.1 del
1982; Dialoghi - L’usignolo meccanico di G. PETRASSI/P. GALLINA in Eupalino N.5 del 1983;
Dialoghi - Filosofia della città di C. OLMO/G. VATTIMO in Eupalino N.6 del 1983: tutti
testi che interpretano il discorso sulla città in relazione alle diverse discipline.
75 - Cfr. Postmodern. L’architettura nella società postindustriale (Electa Milano, 1982);
L’angelo della storia (Laterza Bari, 1982); Dopo l’architettura moderna (Laterza Bari, 1985).

83
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 84

GIOIA SEMINARIO

ria che esordisce con una introduzione che è una precisa dichiarazione di
intenti, poiché richiama all’attenzione il problema della postmodernità, in-
tesa non già come liberazione dalla regola, quanto piuttosto come necessità
di recuperare la storia. In breve, allo stesso modo in cui Le inibizioni del-
l’architettura moderna aveva segnato il passo dell’attività dell’architetto
romano tra gli anni Sessanta e i Settanta, questo libro ha costituito un mo-
mento significativo del suo lavoro durante gli anni Ottanta, poiché an-
ch’esso, come il precedente, è divenuto il baluardo di una precisa idea. Ma
mentre il primo libro restava fortemente autobiografico, questo è essen-
zialmente un testo storico, che denota l’impronta dell’autore in due mo-
menti precisi: per un verso con l’introduzione al testo e per un altro con la
stessa organizzazione dell’opera.
Nello scritto introduttivo Portoghesi spiega la sottintesa componente au-
tobiografica di questo lavoro, raccontando la sua interpretazione di quella
condizione di smarrimento dell’architettura nel periodo che segue la mo-
dernità come un concretizzarsi di quell’interpretazione data da Benjamin
del dipinto di Paul Klee L’angelo della Storia, in cui questa creatura smar-
rita è trascinata a forza lontano dal proprio riferimento certo, il legame pri-
migenio con la storia.
Se negli anni Settanta Portoghesi parlava di inibizioni della modernità,
all’inizio degli anni Ottanta questi parla piuttosto di76
”ossessione” della storia, quella di chi ha preteso inutilmente che l’architet-
tura si spogliasse di tutte le convenzioni e le forme che ne hanno accompa-
gnato il cammino attraverso i secoli, per ritrovarsi poi muta e impotente di
fronte alla disgregazione della città.

Un secondo interessante spunto risiede nella struttura che l’autore dà al-


l’opera. Il testo è infatti suddiviso in tre parti distinte, concernenti rispettiva-
mente le teorie, i linguaggi, i tipi. Le prime due, in cui vengono approfon- dite
diverse figure fondamentali dell’architettura storica, mettono a diretto confronto
due diversi metodi universalmente validi per l’architettura: la teoria,77 dunque

76 - P. PORTOGHESI, L’angelo della Storia - Introduzione, ed. Laterza Bari, 1982, pag. 15.
77 - Dal greco thèoria = osservazione, da theoros = spettatore, che deriva dall’investiga-
zione della verità.

84
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 85

Prima parte - La ricerca dell’armonia

l’indagine sul mondo empirico così come intesa da Leon Battista Alberti,
Domenico Fontana o Francesco Borromini, le cui opere nascevano da una
ricerca di tipo deduttivo, conseguente dallo studio del mondo fenomenolo-
gico; e da un altro lato il linguaggio,78 l’eloquenza della forma di architetti
come Michelangelo, Guarino Guarini o Antonio Sant’Elia, che sperimen-
tavano e ricercavano attraverso le loro opere utilizzando un procedimento
induttivo. E probabilmente quest’ultima interpretazione mutua, nella ricerca
di Portoghesi, dal pensiero di Martin Heidegger, quando sosteneva che
l’idea del linguaggio come espressione «presuppone l’idea di una interio-
rità che si estrinseca».79
È nel terzo capitolo, I TIPI,80 che l’architetto richiama infine l’attenzione
sui modelli dell’architettura, calandoli nella realtà italiana e cercando di di-
mostrare l’ineludibilità di taluni esempi.
In questi approcci è latente un metodo critico che parla ancora della vi-
cenda moderna, pur in maniera celata, e ribadisce l’idea che il primato
della storia non sia propugnato in maniera pretestuosa, ma conduca alla
precisa ricerca di canoni stabili la cui memoria aiuti l’architetto ad orien-
tarsi nel costruire.
Mosso dagli stessi intenti, sebbene profondamente diverso è il testo del
1985, Dopo l’architettura moderna che, articolandosi in un contesto sto-
rico recente – l’architettura del proprio tempo – vi si relaziona in maniera
più diretta, mentre le prospettive del racconto variano a seconda della po-
sizione dell’osservatore nella storia. Anche qui il vero cardine della nar-
razione è la dimostrazione di un ormai avvenuto superamento dell’arc-
hitettura della razionalità, ribadendo in una cronaca che tira le fila del-
l’architettura italiana degli anni Cinquanta, la stretta interrelazione che
esisteva tra quello spirito – rappresentato dalle opere di Ridolfi, Albini,
Muratori – e l’architettura degli anni Ottanta, asserendo con questo un ri-
fiuto del citazionismo eclettico a favore di una poetica dell’ascolto” dello

78 - Dal pr. lenguatges, da lingua col suffisso –aggio, che qui pare rappresenti la desinenza
latina –aticus. Uso della lingua per esprimere un pensiero: modo di spiegare i gesti.
79 - A. CARACCIOLO, a cura di, In cammino verso il linguaggio, lezioni di M. Heidegger, ed.
Mursia, Milano 1973, pag. 29.
80 - Dal latino typus, dal greco typos = impronta, esempio, modello originario.

85
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 86

GIOIA SEMINARIO

spirito dei luoghi81 ed evidenziando come questo tema, asserito e difeso con
costanza, resti il filo conduttore della ricerca e giunga a maturazione con lo
sviluppo di una architettura in cui i concetti elaborati negli anni giungono
ad una definitiva maturazione. Sarà con progetti come quello per il Teatro
Lirico di Catanzaro che affiorerà in maniera risoluta tutta l’intenzione
espressiva di Portoghesi affermando, dopo l’inevitabile concludersi della
controversa stagione postmoderna, il paradigma naturale.

La riscoperta della semplicità esuberante

Fin dai primi anni della sua carriera, le opere realizzate da Paolo Portoghesi
sono state interpretate sotto il profilo della rievocazione storica e della ri-
cerca formale, lasciando spesso in secondo luogo un aspetto che al contra-
rio, alla luce delle acquisizioni più recenti, si rivela essere stato latente in
tutti i suoi progetti. Difatti, se fino alla fine degli anni Ottanta aveva pre-
valso, aiutato dalla ricerca teorica, lo studio del rapporto con il luogo, co-
niugato prima sotto il profilo della sperimentazione formale e poi sotto il
profilo della rievocazione storica, in realtà a ben guardare, sin da subito que-
ste ispirazioni risultano essere inscindibili da uno studio intorno ai fenomeni
naturali che, benché in certo senso sottinteso rispetto al lavoro sperimentale,
ha sempre costituito il retroscena delle sue esperienze progettuali.
D’altro canto, grazie ai propri studi storici, l’architetto ha avvertito da subito
come il rapporto tra costruzione e natura fosse una costante nella storia e que-
sta circostanza ha innescato, sin dai primi anni della sua attività, un nesso di cau-
salità tra le due matrici di ricerca, rievocando con limpida evidenza quanto
mirabilmente insegnato da Auguste Rodin, il celebre artista francese che con La
lezione dell’antico elogiò la capacità dei nostri padri di guardare alla Natura:82
L’Antico ha saputo raffigurare la Vita, perché gli antichi sono stati i più
grandi, i più seri, i più mirabili osservatori della Natura che siano mai esi-
stiti. L’antico ha potuto raffigurare la Vita, perché gli antichi, grazie a que-
sta maestria nell’osservazione della Natura, hanno saputo vedere quel che vi

81 - G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI , Paolo Portoghesi..., cit., pag. 74.


82 - A. RODIN, La lezione dell’antico, ed Abscondita, Milano 2007.

86
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 87

Prima parte - La ricerca dell’armonia

è in essa di essenziale, ossia i grandi piani e i loro dettagli, le loro ombre. E


poiché in questo risiede la verità stessa, le loro figure, costruite secondo tali
princìpi, hanno conservato nel corso dei secoli tutta la loro potenza.

In Portoghesi è possibile ritrovare la traccia di questo interesse già nel 1969,


quando organizzò alla Galleria Farnese di Roma una mostra dal titolo Natura
e storia come nutrimento, in cui per la prima volta esponeva le immagini che
solo in tempi recenti sono state risistematizzate nel libro Natura e Architettura83
e che chiarificano il taglio personale della ricerca che informa l’attività di Por-
toghesi. Già nella mostra romana, infatti, attraverso l’analogia tra elementi na-
turali e modelli storici veniva sottolineato il rapporto tra passato e presente
“mediante la natura e tra natura e progetto mediante la storia in una vi-
sione tripolare”.84
Egli stesso spiega compiutamente tale idea ricordando che il riferimento
allo storia e la ricerca sulla natura sono sempre stati due aspetti inscindibili:85
È un insegnamento intrecciato, perché la storia dell’architettura è costruita
su alcune strutture mentali e fisiche, gli archetipi, che sono un’interpreta-
zione della natura e del mondo (…). E’ difficile contrapporre questi due mo-
menti: l’interesse per la natura come maestra permanente e l’insegnamento
della storia, perché indubbiamente l’insegnamento della natura ha forgiato
la storia, con un continuo rinnovamento, una continua capacità creativa,
che è la storia stessa: è la natura dell’homo sapiens. Fin dal principio per me
natura e storia sono stati alimenti indispensabili. La consapevolezza del fatto
che natura e storia fossero elementi indispensabili, per me coincide con il mo-
mento in cui ho maturato il mio impegno progettuale.

Da questa considerazione è possibile ricavare diverse riflessioni. In primo


luogo, vi è chiarito il fatto che il richiamo allo studio della natura nasca in
Portoghesi da una volontà di verifica empirica di quanto emerge dalla trat-
tatistica storica, usando la fotografia come strumento analitico e critico. Già
al tempo della esposizione romana, infatti, era visibile come questo tipo di
ricerca, affrontata principalmente attraverso il mezzo della rappresentazione

83 - P. PORTOGHESI, Natura e Architettura, ed. Skira, Milano 2000.


84 - G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI, Paolo Portoghesi..., cit., pagg. 179 e 180.
85 - A. MAROTTA, a cura di, Intervista a Paolo Portoghesi. In G. Priori, Almanacco di Ar-
chitettura, ed Kappa, Roma 2004; pag. 73.

87
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 88

GIOIA SEMINARIO

fotografica, fosse in realtà mutuato da un interesse alla verifica delle inter-


pretazioni storiche dell’architettura. Se si considera, tra tutte, l’Opus Archi-
tectonicum di Francesco Borromini, si percepisce chiaramente l’ispirazione
che Portoghesi – in questa ricerca prevalentemente iconografica e legata ad
una analisi di tipo percettivo – trae dalla sua opera, così come è facile leg-
gere all’interno del suo lavoro gli spunti mutuati dall’architettura classica, ri-
nascimentale e barocca fino alla più prossima corrente Art Nouveau.86
In secondo luogo si percepisce come, già sul finire degli anni Sessanta,
fossero presenti nell’indagine dell’architetto romano tutti i temi cardine
della sua ricerca nel tempo: l’investigazione sul luogo, sull’iconografia sto-
rica, sulla natura. Si potrebbe anzi sostenere che, se in quegli anni è già pos-
sibile ravvisare tutto il ventaglio dei suoi campi di interesse prevalenti,
questi si siano poi sviluppati in maniere diverse in tempi diversi, ma nes-
suno di essi ha totalmente sostituito o cancellato il precedente, mantenen-
dosi sul filo di una sottile integrazione che si mostra più evidente, come
vedremo, nelle opere recenti.
Mentre nella sperimentazione portata avanti fino agli anni Settanta il tema
naturale era una sottile allusione all’interno di una indagine prevalentemente
legata alla ricerca formale fondata sulla geometria, nell’ambito della tem-
perie postmoderna l’interesse verso il tema naturale va riemergendo pro-
gressivamente, come è possibile constatare nei diversi progetti dei tardi anni
Ottanta. In una recente intervista che ripercorre le tappe salienti del suo per-
corso egli sottolinea come l’esaurirsi della temperie postmoderna, spesso
fraintesa e relegata alla stregua di un ossequio alla moda universale, abbia
avuto come effetto la ricerca di un contatto con le“forme naturali intese
come forme che in fondo preannunciano le armonie delle forme artificiali”.87
D’altronde anche Lucio Barbera, nell’excursus retrospettivo che fa da
prefazione a questo testo, ricorda come nell’attività di Paolo Portoghesi una
particolare propensione a privilegiare il rapporto con la natura sia sempre
esistita ed abbia costituito il retroscena costante di tutta la sua attività pre-

86 - Possono essere interpretati in questo senso i diversi testi scritti da Portoghesi su Mi-
chelangelo Buonarroti, Guarino Guarini, Frncesco Borromini, Victor Horta, che enfatiz-
zano tutti il rapporto con l’elemento naturale.
87 - Intervista a Paolo Portoghesi, negli Apparati al volume.

88
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 89

Prima parte - La ricerca dell’armonia

figg. 22/23 - A sinistra, un grafico di studio per la copertura del Teatro di Catanzaro; a
destra, una conchiglia.

fig. 24 - Veduta della copertura interna del Teatro Lirico di Catanzaro di Portoghesi.

89
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 90

GIOIA SEMINARIO

cedente: il richiamo naturale di questi anni della sua carriera è, secondo


Barbera, espressione della raggiunta “libertà di fare emergere questo aspetto
della ricerca che è sempre stato presente”.88
Se una ispirazione di natura storica può dirsi determinante nella definizione
del cambiamento di rotta operato da Portoghesi nei primi anni Novanta, que-
sto rinnovamento della sua ricerca si deve anche da un lato all’urgenza dei
problemi ambientali che assumono progressivamente carattere sociale, da un
altro alla presa d’atto dell’inevitabile influenza di una ormai avvenuta rivo-
luzione in campo scientifico sul nostro universo percettivo.
Per quanto attiene al primo aspetto, non si può non tener conto del fatto,
assai rilevante, che già a partire dagli anni Sessanta i temi legati all’ambiente
avevano assunto una grande importanza, e durante gli ultimi decenni questa
consapevolezza si è fatta urgenza anche nel campo dell’architettura. Anzi è
proprio nel periodo a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta che tali questioni
assumono una rilevanza particolare: una rinnovata ricerca si impone in campo
ecologico, conducendo anche l’architettura a rimettersi in discussione e a ri-
vedere la gamma delle proprie soluzioni. In questo senso, la progettazione
trova un proprio filone di applicazione con tutte quelle discipline inerenti al
campo della sostenibilità ambientale e della bioclimatica, che obbligatoria-
mente incidono sulla materia del comporre. Numerosi sono gli architetti che
si dedicano alla progettazione naturale mettendo in campo approcci diversi:
si consolida la ricerca intorno ai temi del risparmio energetico, della fornitura
di energia pulita, dell’uso di materiali ecocompatibili e riciclabili, tutti aspetti
che, spogliando l’architettura dei suoi vecchi stilemi, diventano dei veri e
propri elementi compositivi a vista. Ma naturale è anche quella composi-
zione che si serve di una fonte d’ispirazione naturale o che utilizza tali forme
come repertorio iconografico su cui fondare il progetto.
Sotto il profilo dell’approccio tecnologico al tema naturale, numerose e
significative sono le coniugazioni che l’architettura ha assunto durante gli
ultimi decenni, che hanno condotto all’introduzione di forme innovative di
sostenibilità ambientale. Tra tutti, certamente il nome più rappresentativo è
quello di Norman Foster, i cui progetti hanno come comune denominatore

88 - L.V. BARBERA, Prefazione al volume.

90
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.53 Pagina 91

Prima parte - La ricerca dell’armonia

una sperimentazione tecnologica che conduce a soluzioni altamente inno-


vative anche sotto il profilo compositivo, come l’ormai celebre cupola del
Reichstag o la Free University progettate per Berlino. Meno spettacolosa ma
certamente essenziale ed elegante è l’architettura di Joachim Eble, la cui
progettualità è incentrata su una concezione dell’edificio come un organi-
smo di cui controllare l’intero ciclo costruttivo e vitale: questi realizza opere
in cui la sobrietà nulla toglie all’audacia ideativa, come il Prisma di No-
rimberga, un vero e proprio edificio vivente, simbolo di questa poetica.
Muovendosi in questo ambito, è necessario citare le affascinanti architet-
ture di Philippe Samyn, che hanno come aspetto fondamentale il consegui-
mento della sostenibilità ambientale attraverso un linguaggio costruttivo
eloquente, sviluppando le conquiste della scienza per caratterizzare i ma-
nufatti e calibrarne l’inserimento all’interno del contesto ambientale, con-
figurando un’architettura che abbia dei canoni nuovi rispetto al passato ma
supportati da basi teoriche concrete. Di forte suggestione è, ad esempio, la
NMBS Train station Canopy a Londra, caratterizzata per la forte tensione
della struttura.
E se la tecnologia ha trovato un ampia collocazione nell’ambito della ri-
cerca sul tema naturale, nondimeno si è fatto strada un filone interpretativo
che collega strettamente la ricerca tecnologica a quella formale: vale la pena
di ricordare, ad esempio, l’attività di Renzo Piano, che in progetti come
quello del Centro culturale Canaco a Nouméa, in Nuova Caledonia, rievoca89
in una ibridazione raffinata e innovativa (…) una ipotesi di interpretazione
anche antropologica di una tradizione costruttiva locale con procedimenti
tecnologici sofisticati e hi-tech

o l’attività progettuale di Santiago Calatrava, interamente imperniata sul-


l’ispirazione alle forme naturali ridotte alla loro essenza, richiamando nelle sue
strutture la conformazione anatomico-osteologica degli scheletri animali.90
Ancora procedendo in questo ambito si scopre come, se queste interpre-
tazioni si mantengono in bilico sul filo di un’integrazione tra il tema natu-

89 - C. POZZI, Ibridazioni architettura/natura, ed. Meltemi, Roma 2003, pag. 40.


90 - Ibid. a pag. 23.

91
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 92

GIOIA SEMINARIO

fig. 25 - Una veduta interna della cupola del Reichstag di Berlino di Norman Foster.
figg. 26/27 - Due immagini della Free University di Berlino di Norman Foster.

92
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 93

Prima parte - La ricerca dell’armonia

figg. 28/29 - Due immagini del Prisma di Norimberga di Joachim Eble.


fig. 30 - Una veduta dai binari NMBS Train station Canopy a Londra di Philippe Samyn.

93
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 94

GIOIA SEMINARIO

rale e quello dell’espressività, altrove la tendenza a trovare un’armonia con


il mondo naturale raggiunge dei vertici significativi, come succede nell’ar-
chitettura organica dell’ungherese Imre Makovecz che per raccontare le tra-
dizioni della propria terra91
si avvale di elementi simbolici (sole, luna, spirale, occhio, numeri particolari,
ecc.) usati intenzionalmente sia per la loro valenza misteriosofica, sia per la
loro efficacia ornamentale

o nei progetti firmati da Emilio Ambasz, che porta la natura a riempire let-
teralmente l’architettura, in un dialogo incessante e sempre originale, come
avviene nel progetto del Big Indian Resort & Spa progettato per New York
o nell’Acros Fukoka in Giappone.
Potrebbero ancora essere citati gli studi sperimentali di Gernot Minke che
ripropongono attraverso ricerche innovative una rivisitazione delle antiche
costruzioni in adobe, o la ormai pluridecennale Arcologia (architettura +
ecologia) inaugurata dall’italiano Paolo Soleri, e ancora altre possibili co-
niugazioni verrebbero alla mente. Ma quel che ci interessa maggiormente
rilevare è come, pur assodata l’estrema varietà e la non-unitarietà degli ap-
procci al tema naturale, in questo contesto la posizione di Paolo Portoghesi
resta ancora una volta isolata, autonoma: l’architetto romano, infatti, non ha
del tutto messo da parte la suggestione storica, l’ha piuttosto inglobata al-
l’interno di questa nuova ricerca, abbattendo quella che poteva essere una
forzata citazione in favore di un più visibile rimando alla natura che ingloba
al suo interno le ricerche sulla bioarchitettura e una profonda penetrazione
dei fenomeni naturali. In un testo del 1999 egli scrive:92
Generalmente, quando si parla del rapporto architettura-natura, si in-
tende la capacità di un’opera costruita di collegarsi con lo scenario natu-
rale, di rispecchiarlo quindi o contrastarlo con le sue forme; ma c’è un
altro aspetto del rapporto architettura natura che merita di essere ap-
profondito ed è quello che definirei genetico: derivate dal fatto che l’uomo,
realizzando il suo universo artificiale, è portato, consciamente o incon-

91 - G. PRIORI e D. SCATENA, a cura di, Imre Makovecz, ed. Fratelli Palombi, Roma 2001, pag. 21.
92 - P. PORTOGHESI e R. SCARANO, a cura di, Il progetto di architettura, ed. Newton, Roma
1999; pagg. 172-173.

94
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 95

Prima parte - La ricerca dell’armonia

sciamente, a ripetere e interpretare le forme e i procedimenti osservati nella


natura. Egli quindi modella la sua costruzione ricordando la sua espe-
rienza conoscitiva.

Da quanto illustrato in queste righe si evince l’idea che sottende all’ap-


proccio di Portoghesi al tema naturale: allo stesso modo dell’uomo primi-
tivo, di quello classico, di quello rinascimentale, l’architetto nel suo tempo
dovrebbe riferirsi alla natura come ad un patrimonio iconico da interpre-
tare attraverso canoni fissati, storicamente accertati, ma allo stesso tempo
dovrebbe provvedere alla salvaguardia di questo patrimonio:93
Il vero grande tema del futuro – egli ricorda – è la responsabilità del-
l’architettura: l’architettura, nella misura in cui dimentica i grandi pro-
blemi dell’ambiente – il consumo energetico, la razionalizzazione dei
processi – contribuisce sicuramente allo squilibrio, e quindi è uno dei fat-
tori risolutivi dell’ambiente. A questo punto non c’è che rendersi conto,
studiare, individuare le strategie giuste per ridurre la conflittualità tra
l’uomo e la natura che si esprime al massimo grado attraverso l’ambiente.
Questo è anche il sistema che io penso debba essere l’elemento caratteriz-
zante dell’architettura del futuro.
In questo senso, in tempi più recenti l’indagine di Portoghesi appare
allo stesso tempo unificata e sdoppiata. Unificata perché la ricerca sulla
natura non è più mera indagine figurativa, ma assume una sua coerenza
nel rapporto con le necessità legate al risparmio energetico e alla salva-
guardia dell’ambiente; sdoppiata, poiché se per un verso – legandosi
maggiormente anche alla disciplina ingegneristica – estende la sua ma-
teria alla ricerca di soluzioni tecnologiche adeguate alla nuova architet-
tura, dall’altro riapre completamente il filone figurativo, poiché vi sono
aggiunti nuovi materiali.
Nei suoi lavori teorici di questi anni non è mai menzionato l’aspetto tec-
nologico come motivo vincolante della sua ricerca: prevale, nei testi, sem-
pre quella componente concettuale che riguarda gli aspetti compositivi dell’
ispirazione naturale, sebbene nelle opere realizzate si palesi una grande at-
tenzione all’uso delle nuove tecnologie. In un articolo apparso su Domus nel

93 - Intervista a Paolo Portoghesi, negli Apparati al volume.

95
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 96

GIOIA SEMINARIO

figg. 31/32 - Due immagini del Centro Culturale Tijbaou in Nuova Caledonia di Renzo Piano.
fig. 33 - Il ponte Alameda a Valencia di Santiago Calatrava.

96
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 97

Prima parte - La ricerca dell’armonia

fig. 34 - La Chiesa Csíkszereda di Imre Makovecz.


fig. 35 - L’edificio ACROS Fukoka Building in Giappone di Emilio Ambasz.

97
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 98

GIOIA SEMINARIO

1996 tale aspetto della ricerca rimane particolarmente chiaro:94


L’avvicinamento dell’architettura alle forme e alle leggi della natura – egli
esordisce – ha costituito per secoli un aspetto saliente dell’apparato teo-
rico usato dagli architetti per legittimare le proprie scelte, senza che per
questo l’organicismo si traducesse in una formula stilistica o in un pro-
gramma di azione.
Con queste parole l’architetto romano enfatizza il rapporto di continuità
che si è instaurato nei secoli tra l’uomo e la natura, rivendicando per il
tempo attuale la legittimità di rifarsi ad essa, quando scrive:95
Ci si può chiedere a questo punto se l’architettura, chiusa da anni nella co-
razza della autonomia disciplinare, potrà resistere a lungo nel suo isolamento.
Forse un nuovo organicismo spogliato da inibizioni e complessi di colpa,
non irreggimentato in una tendenza, ma libero di espandersi nelle dire-
zioni più congeniali ai diversi luoghi della Terra, potrebbe essere l’esito ar-
chitettonico della lezione che ci viene in questo momento dalla natura e
dalla storia.

All’insegna di quest’idea Paolo Portoghesi costruisce la sua logica pro-


gettuale, sostenendo una necessità particolare, che è quella di96
IMPARARE DALLA NATURA, a rivolgersi cioè con nuovi occhi alla “maestra dei
maestri”, alla fonte originaria del sapere architettonico accumulatosi nei mil-
lenni alla ricerca di una “nuova alleanza” che solo nell’architettura può avere
il suo suggello.

In questa nuova sperimentazione egli si dedica a riconnettere i rimandi al-


l’architettura dell’uomo antico alle scoperte scientifiche più attuali, unen-
doli con un filo ideale che sembra voler legare l’architettura di Vitruvio alle
più recenti scoperte della cultura olistica maturata non solo con lo svilup-
parsi di una nuova sensibilità naturale, ma soprattutto con il recupero di una
dimensione spazio-temporale della scienza.97

94 - P.PORTOGHESI, Verso una nuova architettura organica, in Domus n.780 del Marzo
1996, pagg. 3-5.
95 - Ibid.
96 - Imparare dalla Natura, in Domus n. 818 del Settembre 1999, pag. 4.
97 - Ibid, a pagg. 4/5.

98
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 99

Prima parte - La ricerca dell’armonia

Tutte queste teorie, sviluppate a partire dall’inizio degli anni Novanta,


convergono in un testo molto denso del 1999, Natura e Architettura. Seb-
bene in definitiva il libro non abbia riscosso un successo commisurato al suo
reale valore, esso ha tuttavia suscitato reazioni appassionate. In una entu-
siastica recensione del Marzo 2000, Giovanni Pellegrini scrive del testo:98
Ha l’aspetto di una cattedrale musicale in cui le immagini, le didascalie, le
note, i rimandi, rivelano al lettore un mondo nel quale Portoghesi – inter-
prete de cinquant’anni dell’architettura contemporanea – trova un ordine
alle sue, e alle nostre, emozioni e un senso nascosto a tutta la sua ricerca. In-
terrogando, quasi fosse un oracolo, con l’ausilio di teorie apparentemente
lontanissime e distanti, «la natura». (…) Che in queste pagine circumna-
vighi come un’isola da ammirare in tutta la sua bellezza, costruito, nei ca-
pitoli che sono quella affezione dell’anima, in cui l’architettura diventa un
impercettibile fruscio.
Dalla recensione di Pellegrini emerge in maniera molto chiara il carattere
di quest’opera: quel carattere che, se da un lato ne fa una suggestiva quanto
poetica rappresentazione di quell’inconscio legame che unisce l’opera del-
l’uomo alla natura, d’altro canto dimostra in questo rapporto anche il proprio
limite oggettivo alla applicazione concreta. Gli esempi ivi proposti da Porto-
ghesi, splendida dimostrazione di una capacità comunicativa che emerge in
maniera lampante attraverso la fotografia, restano una sintesi poetica che lega
l’evolversi dell’architettura nei secoli a questa grande fonte di ispirazione,
ma non costituiscono in se un apporto scientifico sufficiente per incentivare
la ricerca, che impiegherà molto più tempo a raggiungere i risultati sperati.
Un passo certamente più concreto verso la divulgazione di questo tema è
la rivista, nata nel 2001, Abitare la Terra. Sopraggiunta a cavallo con la
precedente esperienza del periodico Materia, fondato nei primi anni No-
vanta insieme con Paolo Zermani, questa iniziativa costituisce un ulteriore
tentativo di dibattito sul tema, ma certamente rappresenta anche una decisa
assunzione di posizione da parte dell’architetto romano, sopraggiunta in un
periodo indubbiamente più fecondo, quando ormai la consapevolezza di
una necessaria svolta ecologica aveva raggiunto le masse.

98 - G. PELLEGRINI, recensione a Natura e architettura, in Modo n. 202 del Marzo 2000,


pagg.84/85.

99
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 100

GIOIA SEMINARIO

fig. 36 - La scala progettata per Treviso confrontata con uno scorcio naturale.

Con la nascita di Abitare la Terra, coincisa con un sostanziale mutamento


di rotta avuto da Materia, Portoghesi concepirà una rivista molto più per-
sonale, strettamente rappresentativa del suo messaggio, per la quale egli
stesso seleziona gli argomenti nella ferma convinzione di riuscire a tra-
smettere un messaggio preciso.99 Per questo motivo Paolo Portoghesi attri-
buisce oggi all’ultima rivista da lui fondata un particolare valore, ma si
intende anche come questi due periodici, tra loro fortemente differenti non
solo nell’impostazione ma anche negli scopi, costituiscano in realtà due vi-
sioni dell’architettura completamente distanti, due entità alternative e to-
talmente autonome negli intenti e nei contenuti.
Materia, rivista in cui si combinano le suggestioni delle diverse tendenze di
architettura, si articola attraverso dei numeri monotematici. Gli editoriali di
Portoghesi, che restano l’unica sua impronta diretta all’interno del periodico,
sono dei veri e propri brevi trattati, che introducono i differenti temi offrendo
99 - Intervista a Paolo Portoghesi, negli Apparati al volume.

100
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 101

Prima parte - La ricerca dell’armonia

figg. 37/38 - La Torre del Respiro di Shangai e il plastico di progetto per una torre resi-
denziale che richiamano l’ispirazione naturale di un fiore.

un punto di vista sempre personale, legato fortemente al suo ruolo nella cul-
tura architettonica italiana ed indipendenti dal taglio della rivista: in tutti si ri-
trova quel richiamo alla storia che costituisce la caratteristica peculiare del
suo metodo, pur sempre unito ad un anelito allo studio della contemporaneità
e delle soluzioni architettoniche che questa può positivamente sostenere.100
Abitare la Terra, con la sua veste grafica ed un formato fuori dal comune,
è al contrario un periodico che rispecchia massimamente l’identità del pro-
prio direttore: una rivista versatile, in cui il racconto dell’architettura natu-

100 - Si vedano, in questo senso, gli editoriali di Materia più recenti nn. 35-53: partico-
larmente segnata si avverte la distanza tra la figura, ormai fortemente delineata, di Paolo
Portoghesi e l’orientamento del periodico.

101
prima parte:Layout 1 20/01/2009 22.54 Pagina 102

GIOIA SEMINARIO

rale si contamina delle più diverse suggestioni legate ad un particolare rap-


porto con la terra: vi è dunque l’architettura intervallata da riferimenti alla
poesia, racconti d’arte, saggi mischiati al resoconto di architettura in una
stesura più libera che tratta l’argomento naturale in maniera insieme spre-
giudicata e dura.101
Fissato definitivamente, con questa rivista, il taglio teorico della sua ri-
cerca in ambito naturale, Portoghesi prosegue la sua attività di teorico di
questa nuova tendenza riconoscendo in una visione panteistica un ideale
verso il quale tentare di convogliare gli sforzi progettuali. Affascinato dalle
recenti teorie che hanno alimentato l’interesse verso il mondo del caos na-
turale102 e dalla teoria delle catastrofi, egli esamina questi fenomeni e ne
trae ispirazione, sostenendo che103
La nuova architettura deve nascere da ciò che di veramente nuovo è emerso
negli ultimi decenni nel campo della scienza: quello che molti chiamano il
“nuovo paradigma” che ha investito non solo la scienza ma anche la filoso-
fia e persino la teologia.

Autentica conquista del Novecento, questo nuovo paradigma ha cono-


sciuto una vera divulgazione soltanto negli ultimi decenni, insegnando a
considerare l’ordine autentico che sottende a quel disordine primordiale da
cui il mondo sembra aver avuto origine.
Sovvertendo quella convinzione che portava la scienza ad esaurire la pro-
pria interpretazione della natura attraverso poche leggi quantificabili, le
conquiste scientifiche ed ideologiche indotte dalla meccanica quantistica e
dalla teoria della relatività avevano già all’inizio del Novecento convertito

101 - Si vedano ad esempio taluni editoriali, che diventano dei veri e propri slanci pole-
mici: P. PORTOGHESI, Un direttore o un governatore? (editoriale), Abitare la Terra n.5
Inv./Primav. 2004/2005 ; P. PORTOGHESI, La chimera decapitata, ovvero: il re è nudo, in
Abitare la Terra n.17, Primav/Est. 2007.
102 - Si veda ad esempio il testo fondamentale di I. PRIGOGINE, Le leggi del Caos, ed. La-
terza, Bari 1993 che muove dal presupposto della non-validità della concezione determi-
nistica-scientifica in favore di un’integrazione fenomenologica. Questo testo è stato
fortemente rivalutato e riproposto negli ultimi anni, antesignano di un nuovo modo di
concepire il rapporto col mondo naturale.
103 - G. PRIORI, a cura di, Intervista a Paolo Portoghesi . In G. Priori, Almanacco di Archi-
tettura, ed Kappa, Roma 2004; pag. 433.

102
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 103

Prima parte - La ricerca dell’armonia

l’ordine dell’universo newtoniano in un’affascinante complessità in cui ad


essere rivoluzionato era lo stesso rapporto tra spazio e tempo: una nuova vi-
sione che ha consentito di guardare ai fenomeni naturali come a degli eventi
che non era possibile cogliere isolatamente gli uni dagli altri. Al contrario,
l’esperienza ha progressivamente dimostrato che fenomeni naturali com-
plessi non possono essere totalmente compresi attraverso processi lineari,
dal momento che ogni elemento naturale è il risultato di un insieme tal-
mente vasto di circostanze irripetibili, di così tanti influssi, da renderne dif-
ficile qualsiasi sistematizzazione.104 Una complessità che nel tempo ha
indotto alla consapevolezza che quello che gli antichi definivano olismo105
fosse un concetto più che mai realistico ed attuale.
Sotto questo punto di vista, cambia anche la concezione dell’architettura che,
in quanto parte di un tutto inalienabile, ha necessità di confrontarsi con le di-
verse variabili e allo stesso tempo di interagire con l’ambiente attra-verso un’in-
tegrazione delicata delle sue stesse parti. Una visione, questa, che ribadisce la
necessità di uno sguardo privilegiato verso la natura e che diviene motivo por-
tante del testo recente Geoarchitettura, in cui Portoghesi riordina gli aspetti
che hanno caratterizzato la sua ricerca sulla natura evidenziandone gli aspetti
concettuali e raccontando, secondo il paradigma naturale, i diversi elementi
con cui da sempre l’uomo si rapporta nell’atto di costruire: i materiali, come de-
finizione della qualità dell’architettura attraverso gli elementi e il rapporto tra
storia e memoria, che è il breve momento in cui passato e contemporaneità si
rapportano tra loro, definendo il nesso della sperimentazione odierna con quella
delle generazioni precedenti. Ma è anche il momento in cui meglio si com-
prende la natura ultima della attuale sperimentazione di Portoghesi: una tena-
cia nel far rivalere la necessità – e nell’affermare la possibilità – di richiamarsi
agli insegnamenti della storia pur rimanendo proiettati nella ricerca, affinché
l’architettura conservi quella prerogativa che la differenzia da tutte le arti: la
presenza di canoni, segno di umanità profonda e di concretezza nella creatività.

104 - Cfr. J. BRIGGS, L’estetica del Caos, ed. RED Como, 1993, pagg. 27 a 33.
105 - Il termine proviene dal greco holos (tutto, intero). Esso sottende all’idea che qua-
lunque sistema non possa essere spiegato esclusivamente attraverso la somma delle parti
che lo compongono, poiché l’intero è ritenuto un tutto superiore rispetto alla mera somma
delle sue singole parti. L’olismo è una antica filosofia che risale alle civiltà orientali.

103
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 104
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 105

L’armonia nelle forme

Progettare con la memoria viva

Come si è già avuto modo di osservare, all’interno dell’opera di Paolo


Portoghesi la ricerca storica è fortemente legata all’attività professionale, al
punto che durante tutto l’arco della sua esperienza questi due aspetti si con-
taminano l’un l’altro e risultano tra loro inscindibili. Proprio da tale rap-
porto è stato possibile individuare il filo conduttore e la caratteristica
peculiare di tutta la sua indagine: un dualismo in virtù del quale il progetto
di architettura si dimostra ricco di riferimenti alla storia e l’indagine storica
si caratterizza seguendo un percorso funzionale al lavoro progettuale.
E’ dunque volontaria la scelta di ribadire la forza di tale legame in modo
da rendere particolarmente evidente questo necessario vincolo che a tut-
t’oggi, pur nel proseguimento della sperimentazione, non si è mai inter-
rotto. Va tuttavia chiarito il metodo con il quale è stata condotta la ricerca,
che non vuole essere un’ennesima sintesi di un lavoro già tante volte riletto
e spiegato, ma sviluppa dei parametri di analisi determinati, desunti dalla ri-
cerca teoretica, che per ipotesi sono stati considerati delle costanti del lavoro
di questo architetto. Le chiavi di lettura – attraverso le quali vengono in-
terpretate le opere, selezionate prevalentemente tra i progetti realizzati – si
orientano seguendo tre diversi impulsi: il luogo storico, legato alla ricerca
sulla città e sulla vocazione dei luoghi; la geometria, intesa come riferi-
mento formale sia per l’analisi storica che per la sperimentazione proget-
tuale; il riferimento naturale, legato all’idea che l’architettura possa – nel
presente come nel passato – ispirarsi alle complesse geometrie del mondo
naturale. Questi tre filoni di analisi, che sovente appaiono nettamente dif-
ferenziati e scanditi temporalmente, in realtà non lo sono: al contrario, a
ciascun filone teorico individuato corrisponde una prassi che non smentisce

105
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 106

GIOIA SEMINARIO

le affermazioni precedenti e fa prevedere le evoluzioni successive, co-


struendo un unicum coerente di cui il cambiamento è naturale evoluzione.
L’analisi svolta sulle architetture selezionate è proprio orientata a rimuo-
vere il limite temporale che caratterizza la maggior parte delle interpreta-
zioni riguardanti Portoghesi e a riconoscere all’opera dell’architetto romano
un’unitarietà che affermi il ruolo e il valore preciso del suo contributo al-
l’architettura e all’accademia italiana.
Ai fini della comprensione della natura della ricerca che Portoghesi com-
pie sul luogo storico, è particolarmente significativo un brano del 1974,
scritto ad ormai quindici anni dalle sue prime esperienze progettuali, in cui
l’architetto spiegava la propria poetica scrivendo:1
Lo spunto ad una riflessione teorica sull’architettura è venuto proprio dalla
necessità di mettere a punto un metodo di intervento che non si arrestasse
alla programmazione delle parti nuove aggiunte all’organismo urbano, ma
ne coinvolgesse anche gli organi vitali, riprendendo in forma diretta e senza
inibizioni il colloquio con la storia.
In questo passaggio, tratto da Le inibizioni dell’architettura moderna, è
possibile leggere il motivo della ricerca che lega la sperimentazione del-
l’architetto romano alla storia dell’architettura. Vi si apprende appieno, in-
fatti, come il motivo che spinge l’indagine di Portoghesi dai primi anni della
sua carriera fino alle opere recenti sia quello di cercare un riferimento so-
lido per la costruzione della propria poetica, riaffermando il primato di una
architettura basata sui canoni certi enunciati dalla tradizione, pur senza ri-
nunciare a ribadire l’importanza di talune innovazioni introdotte dai movi-
menti d’avanguardia del Novecento. Già negli anni Cinquanta, ai tempi
dell’università – ricorda Lucio Barbera – egli aveva chiare tali idee e si era
opposto ai numerosi fautori della modernità architettonica ribadendo il va-
lore della tradizione come processo di trasmissione del sapere, inaugurando
una posizione assolutamente innovativa per quei tempi, in cui i giovani as-
sumevano verso il passato un atteggiamento critico che appariva sovver-
sivo ed era certamente più semplice da sostenere.2

1- P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna, ed. Laterza, Bari 1974, pag. 63.
2 - L.V. BARBERA, Prefazione al volume.

106
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 107

Seconda parte - La sinfonia delle forme

E d’altronde, in un periodo per lui prolifico come gli anni Settanta, Por-
toghesi aveva già certamente recepito l’influsso delle ricerche di Robert
Venturi che nel 1966 pubblicò per la prima volta il testo Complessità e con-
traddizioni in architettura, libro che rivendicava “un cosciente senso del
passato, attentamente osservato”3 respingendo quella che veniva definita
“l’ossessione degli architetti moderni”4 per il mutamento rispetto al pas-
sato e dava voce ad un orientamento, che andava già delineandosi, ad una
rilettura finalistica della storia.
Movendo dall’idea che l’architettura della nuova generazione dovesse
fondarsi sul recepimento degli insegnamenti ereditati dalla storia, Porto-
ghesi orienta la sua attività sperimentale alla identificazione dei cardini teo-
rici e metodologici del passato concettualmente ancora validi, affinché essi
costituissero una sorta di codice per comporre l’architettura. Ed è proprio
da tale esigenza che scaturisce anche il metodo di progettazione che egli
tenta di mettere a punto durante la sperimentazione degli anni Settanta, fa-
cendo della geometria il mezzo principale con cui ricercare prima ed espri-
mere poi.
Lo scopo di questa indagine è quello di elaborare per l’architettura del
suo tempo nuovi mezzi di controllo del progetto, che non siano inerenti alla
mera funzionalità, aggiungendo5
al controllo diretto legato alla verifica empirica della rispondenza di un edi-
ficio ai suoi scopi un controllo indiretto basato sulla congruenza dell’opera
con una serie di regole stabilite a priori.
Partendo dall’osservazione che nella storia dell’architettura tali strumenti
di controllo indiretto siano sempre esistiti, questi ne reclama la necessità
anche per l’architettura del proprio tempo:6
Nella civiltà occidentale – egli scrive – fino all’affermazione dell’archi-
tettura moderna, esisteva ed era di dominio pressoché universale l’ordine

3 - R. VENTURI, Complessità e contraddizioni in architettura - prefazione alla prima edizione


(1966), ed. Dedalo, Bari 2005, pag. 12.
4 - Ibid.
5 - P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna, ed. Laterza, Bari 1974, pagg. 67 a 69.
6 - Ibid.

107
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 108

GIOIA SEMINARIO

classico nelle sue articolazioni, che ricevette nel tardo Cinquecento una
codificazione rigida per merito del Vignola. L’abbandono codice classico
segna l’atto di nascita dell’architettura moderna e come tale va conside-
rato non solo un fatto positivo, ma la stessa condizione della sopravvi-
venza dell’architettura come mezzo di conoscenza. Tuttavia è facile
constatare a distanza di decenni come ciò che ha sostituito questo sistema
è talmente vago e fluttuante, da lasciare uno spazio troppo vasto all’ar-
bitrio soggettivo, all’empirismo, all’imitazione passiva; da rendere neces-
sario, dopo l’affascinante stagione dei maestri, un ritorno alla riflessione
teorica e alla rifondazione dell’architettura come disciplina razionale e
come patrimonio collettivo.
Osservando dunque come il problema della rifondazione teorica dell’ar-
chitettura passi necessariamente attraverso una energica smentita di quel
funzionalismo che nasce da un uso superficiale del progresso ed emblema,
secondo Portoghesi, del professionalismo e della speculazione edilizia, e in
virtù del quale l’architettura perde ogni codice a vantaggio di una totale li-
bertà espressiva e di una estrema banalizzazione dei contenuti, egli sostiene
la necessità di un recupero del linguaggio inteso come metodo condiviso e
riconoscibile. Da questa idea affiora in maniera chiara la direzione in cui
muove la sua ricerca teorica – a cavallo tra indagine storica e controllo geo-
metrico – che, se da un lato si rifà agli esempi pregressi, per un altro verso
chiarisce i motivi che spingono la sua prassi verso una regola geometrica
complessa.
D’altro canto, sin dalle prime opere teoriche e progettate, la principale
intenzione che trapela da questa indagine è stata quella di sostenere un’idea
di conoscenza storica che, senza rimuovere le conquiste critiche della cul-
tura moderna, potesse ricondurre “i libri di storia sul tavolo da disegno”,
come veicolo di riflessione rispetto alla continuità della ricerca architetto-
nica sul costante riproporsi di una serie di problemi specifici della disci-
plina. L’aspirazione principale che si legge tra le righe di queste conside-
razioni è di fatto quella di adoperarsi a creare un ponte tra lo scrivere sto-
ria indirettamente, progettando, e lo scrivere storia direttamente, indagando
l’eredità del passato nelle sue strutture.7

7 - P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna, ed. Laterza, Bari 1974, pagg. 67 a 69.

108
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 109

Seconda parte - La sinfonia delle forme

In particolare, nella sperimentazione tracciata tra gli anni Sessanta e gli


anni Settanta, i richiami alla storia dell’architettura “antica” e alla storia
dell’architettura moderna si sintetizzano in un unico sistema. Tuttavia, essi
sono elaborati in maniera profondamente diversa, come è ricordato nel testo
Paolo Portoghesi Architetto, sottolineando che mentre8
il rapporto con la tradizione è visto come necessario ritorno alla figuratività,
quello con il moderno è invece legato ad un certo grado di astrazione che as-
sume aspetti diversi nei diversi periodi.
A partire da questa considerazione, si comprende come nel primo ven-
tennio di attività progettuale dell’architetto sia possibile distinguere due di-
verse fasi di sperimentazione: un primo periodo, relativamente breve, che
arriva fino al progetto per casa Baldi, in cui prevale una vena figurativa che
lascia intravedere la traccia di un interesse verso l’architettura neorealista
e che richiama i codici stilistici di architetture di Mario Ridolfi come la casa
Lina; un secondo momento, in cui prevale l’interesse per i processi di astra-
zione delle forme che condurrà allo sviluppo di progetti sperimentali in cui
la forma gioca un ruolo determinante rispetto alla funzione.

Il disegno di un istante: la poetica delle dissolvenze incrociate

Per quanto detto, è possibile delineare un primo momento della speri-


mentazione di Portoghesi tenendo in considerazione quell’insieme dei suoi
lavori che va dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Sessanta.
In questa fase iniziale le opere dell’architetto romano sono più fortemente
caratterizzate dal riferimento alla storia e si richiamano in particolare alla
tradizione costruttiva romana, ma sono anche indiscutibilmente influen-
zate dalla storia recente: recuperando le suggestioni del passato – quelle
dell’antichità, ma anche quelle dei tempi più recenti – il progettista le ri-
propone in filigrana all’interno delle sue opere, richiamando lo spettatore
ad un processo mentale simile a quello cinematografico delle dissolvenze

8 - G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI, Paolo Portoghesi architetto, ed. Skira, Milano 2001,
pag. 37.

109
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 110

GIOIA SEMINARIO

incrociate,9 in cui un’immagine lascia il posto ad un’altra complementare


dissolvendosi su di essa. I suoi primi progetti riproducono in maniera par-
ticolarmente evidente questa volontà di trasporre nella propria architettura
le caratteristiche formali di opere esistenti, insistendo sulla necessità di ge-
nerare nel fruitore una sensazione di affinità con il già costruito richiamando
esempi di architettura noti e talvolta anche raccontando attraverso elementi
di vera e propria citazione.
Un aspetto questo che, sperimentato sin dai primi anni della sua carriera,
si reincontrerà in diverse opere nel corso degli anni, come costante riferi-
mento a quella sensazione di familiarità che vediamo richiamata da Marcel
Proust ne La Recherche,10 opera da lui spesso citata e che egli cerca di tra-
sporre in un’architettura parlante.
Questa visione è subito chiara quando, verso la fine degli anni Cinquanta,
Portoghesi esordisce realizzando le prime opere su committenza pubblica
per l’Enpas, ove sperimenta i suoi strumenti in tre progetti in cui – sostiene
Francesco Moschini –11
sembrano fondersi due diverse matrici culturali: quella romana, in cui par-
ticolare attenzione è rivolta alla lezione ridolfiana, e quella milanese sem-
pre attenta alla professione come ricerca del gruppo B.B.P.R., come risultato
di una secca e severa nervosità delle parti.
Certamente queste prime opere risentono in maniera palese della volontà
già molto accentuata di richiamare alla memoria del fruitore altre architet-
ture, altri tempi storici, altri sapori, interpretando in maniera istintiva il pen-

9 - Cfr. F. MOSCHINI, a cura di, Paolo Portoghesi. Progetti e disegni 1949 – 1979, ed. Cen-
tro Di – Firenze 1979.
10 - Si veda, ad esempio, il celebre passo de la petite madeleine, il cui gusto richiama alla
mente dello scrittore francese tutti i particolari del suo vivere, bambino, a Combray. In Du
côté de chez Swann di M. PROUST, ed. Folio Classique Gallimard, France 1988, pagg. 46 e
47. In questo senso vale la pena di ricordare che Portoghesi fa costante riferimento alla let-
teratura durante tutto il corso della sua carriera: il richiamo a Marcel Proust e al sua spic-
cato “sentire” ricorre spesso nella sua poetica, ma anche il riferimento alle Elegie duinesi
di Rilke o ai versi di Rimbaud sono frequenti e camminano in parallelo con gli studi filo-
sofici che lo riportano alle teorie di Heidegger prima, al pensiero di Benjamin poi.
11 - F. MOSCHINI, a cura di, Paolo Portoghesi. Progetti e disegni 1949 – 1979, ed. Centro Di
– Firenze 1979.

110
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.02 Pagina 111

Seconda parte - La sinfonia delle forme

siero di Walter Benjamin quando nel saggio L’opera d’arte nell’epoca della
sua riproducibilità tecnica rimarcava dell’architettura quei valori più di-
rettamente legati ad una sensazione intima, a quella percezione distratta ed
istintiva che rende familiare un manufatto e che facilita l’ambientamento.12
Gli incarichi che l’architetto è chiamato a svolgere in questa occasione sono
due Palazzi per Uffici a Pistoia e a Lucca e un Salone del Pubblico per la sede
di Firenze. Più evidenti sono le radici culturali di matrice romana che emergono
nell’edificio progettato per Pistoia, per la cui realizzazione Portoghesi fa rife-
rimento specialmente nello studio della forma esterna all’opera di Mario Ri-
dolfi, sebbene sia possibile rinvenire richiami ad altri due importanti progettisti
italiani come Franco Albini e Pier Luigi Nervi, la cui influenza si evince invece
osservando le caratteristiche degli spazi interni, come ad esempio la Sala per
il Pubblico, caratterizzata da un’intelaiatura a vista in cemento armato che ac-
centua il dinamismo dell’ambiente. Questa volontà di richiamare progettisti
suoi contemporanei è già un chiaro sintomo di quella ricerca di continuità nel-
l’architettura che sarà una caratteristica primaria del lavoro di Portoghesi.
L’edificio realizzato negli anni successivi a Lucca nasce seguendo la
stessa volontà evocativa che aveva caratterizzato il precedente intervento di
Pistoia, sebbene in questo progetto i riferimenti scelti si riconducano al-
l’esempio di una tradizione più antica. Commentando questo progetto in
un testo monografico del 1982, Giancarlo Priori afferma che esso13
rivela in modo esplicito l’idea di come ogni architettura sia figlia di altre ar-
chitetture; soprattutto precisa quel ritrovato rapporto con la tradizione e
con l’ascolto dei luoghi che costituirà la “visione” di cui parla Norberg-Schulz
a proposito delle opere di Portoghesi.

12 - Cfr. W. BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, ed. Einaudi,
Torino 1998, pagg. 36 e 37. Scrive Benjamin: «L’architettura ha sempre fornito il proto-
tipo di un’opera d’arte la cui ricezione avviene nella distrazione e da parte della colletti-
vità. (…) Delle costruzioni si fruisce in un duplice modo: attraverso l’uso e attraverso la
percezione. O, in termini più precisi: in modo tattico e in modo ottico. (…) La fruizione
tattica non avviene tanto sul piano dell’attenzione quanto su quello dell’abitudine. Nei
confronti dell’architettura, anzi, quest’ultima determina ampiamente perfino la ricezione
ottica. Anch’essa, in sé, avviene molto meno attraverso un’attenta osservazione che non
attraverso sguardi occasionali».
13 - G. PRIORI, Simpatia delle Cose, ed. Stoà Edizioni d’Arte – Roma, 1982.

111
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 112

GIOIA SEMINARIO

fig. 39 - Il Salone per il Pubblico degli Uffici Enpas di Pistoia, 1957.


fig. 40 - Il Salone per il Pubblico degli Uffici Enpas di Firenze, 1957.
fig. 41 - Una vista esterna dell’edificio per uffici Enpas a Lucca, 1957.

112
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 113

Seconda parte - La sinfonia delle forme

Una visione attraverso la quale l’architettura non segue più la sola volontà
poetica, ma tenta di restituirsi alla città attraverso le proprie peculiarità. Il vo-
lume edilizio è qui scandito dal succedersi ordinato dei pilastri e delle cor-
nici marcapiano che vogliono richiamare alla memoria la chiesa di S. Chiara
a Bra di Bernardo Vittone mentre, al contrario, nella hall è più chiaro il rap-
porto con la tradizione toscana, particolarmente nella copertura della sala
centrale, che reca la reminiscenza dei grandi cornicioni di uso locale.
Nel Salone degli Uffici Enpas a Firenze, invece, il tema è diverso; si tratta
di intervenire su uno spazio già essenzialmente formato, per il quale l’ar-
chitetto è chiamato a proporre suggestioni nuove. Tuttavia anche in questo
caso il metodo di Portoghesi non cambia, piuttosto si adatta al cambiamento
di scala. E’ qui in estremo risalto l’uso della decorazione che si sviluppa
tutt’intorno ai pilastri e segna il margine dei piani, richiamando alla mente
tutta una serie di suggestioni: l’idea della tarsie marmoree tipiche dell’ar-
chitettura romanica protorinascimentale fiorentina si fonde a riferimenti
come la Badia Fiesolana o alle più recenti reminiscenze di Josef Hoffmann
e di Peter Behrens,14 ma anticipa anche un tema che sarà costante nell’opera
di Portoghesi: l’uso della decorazione giocata su un forte contrasto croma-
tico, sempre però evocativa di altrettante opere del passato.
I tre progetti, pur chiaramente distinti nel risultato finale, affermano la loro
appartenenza ad un ragionamento univoco, che conduce il progettista ad
esprimersi attraverso un chiaro rimando all’architettura esistente. Ma se fin
qui era più manifesta questa costante prerogativa di caratterizzare le proprie
opere attraverso un richiamo alla memoria esplicito e leggibile, il progetto
per casa Baldi del 1959 svela una maggiore complessità nei temi e nella
struttura globale, potendosi perciò considerare un vero e proprio manifesto
delle sue teorie architettoniche nonché elemento di cerniera nella sua pro-
duzione, come ricorda nel testo monografico del 1979 Francesco Moschini:15
Con quest’opera, infatti, ha inizio per Portoghesi la più libera sperimenta-
zione, che troverà nelle occasioni minime di lavoro, quali appunto le case di

14 - G. PRIORI, Simpatia delle Cose, ed. Stoà Edizioni d’Arte – Roma, 1982.
15 - F. MOSCHINI, a cura di, Paolo Portoghesi. Progetti e disegni 1949 – 1979, ed. Centro Di
– Firenze 1979.

113
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 114

GIOIA SEMINARIO

abitazione, un punto di riferimento, sino a segnare di volta in volta un muta-


mento di rotta nel proprio itinerario progettuale. La proposta su cui si fondava
il progetto per Casa Baldi si basava sulla ricerca del rapporto con il luogo
su cui questa sorgeva, rievocando segni e presenze del paesaggio circostante.
Infatti, quello che indubbiamente costituisce il carattere di innovazione e
di particolarità di quest’opera sta nell’idea che l’ha ispirata, che fonde le sug-
gestioni storiche suggerite dalla cultura del tempo ad un forte richiamo allo
spirito del luogo. Questa duplicità ne ha reso da subito difficile una inter-
pretazione univoca, per via una ambiguità formale che se ne rivela, infine,
caratteristica fondamentale. A tal proposito, è significativa la presentazione
fatta da Bruno Zevi sulla rivista L’Architettura del 1962 in cui scrive:16
Questa piccola costruzione ha suscitato negli ambienti architettonici romani
perplessità e resistenze, perché da un lato sembra informata ai più attuali
termini figurativi (specie per quanto riguarda la manipolazione dello spa-
zio), dall’altro è carica di memorie culturali la cui presenza appare equi-
voca e persino di carattere reazionario.
Cogliendo come fattore primario di ispirazione per il suo lavoro un antico
sepolcro che si trovava a pochi passi dalla casa, la cui immagine sfigurata
dalle intemperie gli mostrava la polivalenza degli aspetti presenti nel rap-
porto tra architettura e natura, Portoghesi esterna in questa prima opera di
carattere sperimentale quella tendenza ad infondere nelle sue architetture
uno spiccato valore di radicamento nel luogo, facendo reagire l’edificio agli
spunti naturali.
La proposta su cui si fondava il progetto per Casa Baldi – rileva Francesco
Moschini17 – si basava sulla ricerca del rapporto con il luogo su cui que-
sta sorgeva, rievocando segni e presenze del paesaggio circostante.
Tuttavia un rapporto di contraddizione e di appartenenza insieme, che
svela tutta la complessità di questa piccola architettura che riscosse grandi
reazioni.

16 - B. ZEVI, Casa Baldi sull’Ansa della Flaminia a Roma in L’Architettura – Cronache e sto-
ria n.86 del 1962, pagg. 510 a 521.
17 - F. MOSCHINI, a cura di, Paolo Portoghesi. Progetti e disegni 1949 – 1979, ed. Centro Di
– Firenze 1979.

114
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 115

Seconda parte - La sinfonia delle forme

Solo brevemente ci soffermeremo in questa sede ad analizzare in maniera


puntuale la “fisionomia” di casa Baldi o la articolazione dei suoi spazi in-
terni, dal momento che tale operazione è stata già ripetutamente effettuata
in numerose occasioni editoriali:18 ci intratterremo, piuttosto, su una diversa
qualità di questo lavoro, più attinente all’analisi fin qui effettuata, e volta a
rilevare attraverso le sue caratteristiche formali quel requisito dell’opera di
Portoghesi che costituisce un corpo unitario con la sua ricerca in campo
storico e teorico. Evidenti sono infatti anche in quest’opera i richiami al
passato, a cui egli attinge in maniera libera, accostando soluzioni eteroge-
nee in maniera ardita e disinvolta.
Se si distingue immediatamente un evidente richiamo alla storia, attraverso
una ricerca formale sulla superficie curva che richiama gli studi condotti sulle
opere borrominiane, allo stesso tempo è impossibile non leggere un’atten-
zione allo studio della spazialità e alla reinterpretazione della pianta libera
che avevano caratterizzato la sperimentazione neoplastica. Questa dualità,
che fortemente caratterizza Casa Baldi, si concretizza in una volontaria so-
vrapposizione di due tipi di scelte, che lo conducono per un verso a rinverdire
i fascini dell’architettura antica, per un altro a non rinunciare al contributo
della storia recente. E se il riferimento alla sinuosità barocca è evidente e fa-
cilmente riconducibile alle esperienze pregresse, il riferimento neoplastico-
eretico19 – come definito dallo stesso Portoghesi – lo conduce a una20
deformazione del giunto sperimentato da Rietveld in Casa Schroder mate-
rializzando i piani di Van Doesburg fino a farne delle lastre di determinato
spessore.
In sostanza, incurvando il vettore parete, questi mira a contrarre lo spa-
zio interno per dilatare quello esterno, convertendo la ricerca sullo spazio
geometrico condotta da Rietveld in una ricerca organica, volta ad in-

18 - Si citano in proposito le principali opere monografiche: F. MOSCHINI, a cura di, Paolo


Portoghesi, progetti e disegni 1949-1979, Centro Di, Firenze 1979; G. PRIORI, a cura di,
Paolo Portoghesi, ed. Zanichelli, Bologna 1985; G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI, Paolo
Portoghesi architetto, ed. Skira, Milano, 2001.
19 - B. ZEVI, Casa Baldi sull’Ansa della Flaminia a Roma in L’Architettura – Cronache e sto-
ria n.86 del 1962, pagg. 510 a 521.
20 - Ibid. a pag. 511.

115
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 116

GIOIA SEMINARIO

fig. 42 - Schemi e planimetrie di progetto di Casa Baldi, 1959.

globare ciò che si trova al di fuori, incorniciandolo attraverso scorci prede-


finiti. Questa visione, sosteneva Portoghesi nel 1962, caratterizzava una “vo-
lontà di ampliamento dell’orizzonte tematico” della sperimentazione De
Stjil, cercando di condurla a conclusioni più vicine alla poetica dei luoghi.
Per un altro verso, invece, le scelte formali richiamano più marcatamente
alla sua formazione di storico e si fondono ad una volontà di recupero della
tradizione costruttiva locale. Particolarmente in facciata e nelle strutture è
percettibile il recupero di elementi che rimandano al repertorio storico ro-
mano, attraverso l’uso della modanatura, delle volte in mattoni, dei metodi
costruttivi artigianali: elementi che ricollegano idealmente questo lavoro ai
modelli della tradizione. Scrive Christian Norberg-Schulz di tale opera:21
Portoghesi sottolinea che i riferimenti storici presenti in casa Baldi, non consistono
in motivi isolati ma in metodi di caratterizzazione e organizzazione spaziale tut-
tora validi, in quanto psicologicamente profondamente radicati in ciascuno di noi.
Quest’opera può dirsi dunque una vera e propria sintesi delle suggestioni
che andavano fondendosi nell’opera di Portoghesi che, se da un lato regi-
strano i richiami alla storia, dall’altro sono fortemente legati all’ascolto dei
luoghi, un tema che diventerà basilare di lì a poco nella sua ricerca teorica.

21 - Ch. NORBERG-SCHULZ, Alla ricerca dell’architettura perduta, ed. Officina, Roma 1976,
pag. 23.

116
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 117

Seconda parte - La sinfonia delle forme

figg. 43/44 - Una vista di Casa Baldi al tempo della sua ultimazione (1959) e una sua
vista attuale (2007).

117
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 118

GIOIA SEMINARIO

Far rivivere i luoghi. Un percorso tra memoria e ricerca

Ad un primo tempo che vede il lavoro di Portoghesi concentrarsi sul rap-


porto con la storia, fa seguito un nuovo tipo di sperimentazione, certamente
segnata da talune intuizioni già percettibili in germoglio in casa Baldi, e
che procede di pari passo con l’evolversi della ricerca teorica che lega Por-
toghesi prima a Bruno Zevi, poi a Christian Norberg-Schultz e a quella spe-
rimentazione che lo porta a definire lo spazio come un sistema di luoghi.
Tale metodo, elaborato insieme a Vittorio Gigliotti, costituisce un capi-
tolo della sperimentazione dell’architetto romano che, pur sembrando sle-
gato dalle opere precedenti e diverso dai progetti successivi, è in realtà
strettamente correlato alla logica della ricerca storica ed è fortemente pro-
iettata alla interpretazione in chiave geometrica delle forme naturali e
muove dall’intento di elaborare, per la progettazione architettonica, un cri-
terio operativo valido e riconoscibile, applicabile ad un luogo storicamente
definito ma anche ad uno scenario naturale. In particolare, tale logica, che,
come detto in precedenza, ruota intorno al principio di uno spazio definito
come sistema di luoghi, è costituita da un’indagine che implica un insolito
accostamento dialettico tra la nozione di campo – mutuata dalle teorie di
Albert Einstein22 – e quella di luogo – che implica il saper cogliere la pos-
sibile vocazione architettonica di un territorio.23 Nondimeno questi con-
cetti si rifanno agli studi condotti in quegli anni sul Barocco le cui forme,
con la loro plasticità, si ispiravano ad un’integrazione dei temi introdotti
dalla modernità con un accentuato aspetto emotivo e plastico.24

22 - Albert Einstein sostiene: «Si ha materia quando la concentrazione dell’energia è


grande, si ha campo ove la concentrazione dell’energia è debole. Ma se così è allora la dif-
ferenza tra materia e campo appare d’ordine quantitativo, anziché qualitativo».
23 - Nel riferirsi al concetto di luogo, Portoghesi si ricollega in particolare alle teorie di que-
gli anni di Christian Norberg-Schulz, l’architetto e teorico norvegese che traspose al mondo
dell’architettura le teorie di Martin Heidegger. Questi, nel volume Genius loci, scrive: «L’ar-
chitettura è l’arte di fare i luoghi. Con il costruire, l’uomo trasmette ai significati una pre-
senza concreta, e raduna edifici per visualizzare e simbolizzare la propria forma di vita come
totalità; così il mondo quotidiano diventa quella dimora significativa in cui può abitare».
24 - Cfr. P. BERNITSA, Paolo Portoghesi cinquant’anni di Architettura in P. BERNITSA e M.
ERCADI, a cura di, Paolo Portoghesi, ed. Skira, milano 2006, pag. 14.

118
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 119

Seconda parte - La sinfonia delle forme

Le considerazioni svolte durante questi anni rispetto all’interazione di tali


temi conducono l’architetto – nel suo breve sodalizio con Vittorio Gigliotti
– a proporre, all’inizio degli anni Sessanta, un modo di progettare l’archi-
tettura originato dalla considerazione che il rapporto che si istituisce tra
forma architettonica e spazio circostante possa essere assimilabile a quello
che esiste tra un polo magnetico e il campo che esso genera.25
La parete, i volumi edilizi, le quinte del tessuto urbano influenzano la nostra
vita modificando lo spazio naturale, vitalizzandolo o rendendolo inerte, in-
terpretando o rifiutando le esigenze psicologiche dell’uomo.
A partire da tale osservazione, Portoghesi struttura la sua indagine rifa-
cendosi al movimento e riallacciandosi a quella quarta dimensione che già
a partire dagli inizi del’900 aveva influenzato tutti i campi dell’arte e della
scienza26 Questi spiega la sua teoria dicendo:27
L’uomo percepisce l’estensione come il muovere da un centro e si appropria
dello spazio unitariamente; in ogni istante il suo rapporto percettivo con lo
spazio può essere paragonato sinteticamente a una serie di onde concentri-
che come quelle generate da un sasso caduto in uno stagno. L’esperienza in-
tersoggettiva corregge questa immagine e suggerisce quella formata dalle
gocce di pioggia che cadono l’una accanto all’altra e producono onde con-
centriche che si sovrappongono e si intrecciano.
Si nota dunque come questo tipo di schema sia fortemente imperniato sul-
l’idea della complessità e dell’interazione, che interseca le nozioni di corpo e
di presenza definendo il modello di uno spazio non individuale, ma collettivo,28
conoscibile come sommatoria delle infinite esperienze soggettive dello spazio
proprie di tutti gli uomini esistenti.

25 - Ricerche sulla centralità, progetti dello studio di Porta Pinciana in Controspazio n.6 del
1971 pagg. da 8 a 11.
26 - La quarta dimensione è la dimensione temporale, associata alla teoria della relatività di
Albert Einstein, ma anche fortemente legata alla teoria dei salti quantici e alle teorie di Ilya Pri-
gogine. Influenzò anche il mondo dell’arte, introducendo il concetto di movimento anche
nelle opere di grandi maestri del Novecento come Pablo Picasso.
27 - Ricerche sulla centralità, progetti dello studio di Porta Pinciana in Controspazio n.6 del
1971 pagg. da 8 a 11.
28 - Ibid.

119
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 120

GIOIA SEMINARIO

fig. 45 - Una vista laterale di Casa Andreis a Sacndriglia (RT).


fig. 46 - Casa Andreis vista dal giardino.

Nonostante questa teoria si nutra di una forte astrazione della ricerca ar-
chitettonica rispetto alla prassi realizzativa, lo studio di Portoghesi con Gi-
gliotti si concretizza nella realizzazione di una serie di opere tutte
improntate a questa stessa logica formale. Nei progetti che muovono da tale
ragionamento, la genesi dell’intero edificio deriva prevalentemente dalla
planimetria, composta di famiglie di cerchi concentrici che determinano
anche la forma delle pareti e danno l’impronta alle aperture delle facciate.
Nondimeno, l’impatto esteriore di tali manufatti è attentamente calibrato e
garantito da quello che l’architetto romano definisce effetto a distanza:29
L’architettura è un esempio tipico di effetto a distanza dei corpi: essa emette
una serie di informazioni che coinvolgono il nostro corpo a mano a mano
che si avvicina all’edificio. Quando ci avviciniamo ad una facciata abbiamo
la sensazione che essa ci coinvolga e ci avvolga.

29 - M. PISANI, Dialogo con Paolo Portoghesi, ed. Officina, Roma 1989, pag.112.

120
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 121

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 47 - Grafici di progetto di Casa Andreis.

121
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 122

GIOIA SEMINARIO

La prima applicazione progettuale della teoria dello spazio come sistema


di luoghi si ha nel progetto per casa Andreis a Scandriglia. In questa ar-
chitettura, che si sviluppa a partire da un tracciato generatore policentrico,
tutto lo spazio si modella intorno a tre snodi spaziali che corrispondono
ciascuno ad un diverso momento della funzione abitativa: il soggiorno, il
pranzo e il disimpegno che conduce alla zona notte, tre ambiti distinti con-
cettualmente, ma caratterizzati anche da un diverso trattamento delle pa-
reti. A proposito di questo progetto, si legge nel testo monografico di
Giancarlo Priori:30
Le pareti inflesse generate dall’interreagire dei “campi” determinano all’in-
terno della casa due tipi di spazi: il primo, quello degli spazi di movimento
della zona giorno, è racchiuso dalla convessità delle pareti; il secondo,
quello della zona notte è rinchiuso da pareti rettilinee.
Christian Norberg-Schulz, descrivendo l’edificio, sottolinea anche come
Casa Andreis sia fortemente legata a Casa Baldi31
per l’uso della parete inflessa, come elemento costituente, e per il trattamento
dello spazio in genere.
E certamente tale osservazione può ritenersi valida per la maggior parte
delle opere che fanno capo a tale periodo – come Casa Papanice o la Chiesa
della Sacra Famiglia – in cui l’impiego della parete dinamica, che apre allo
spazio esterno e accentua il dinamismo dell’interno, diviene un elemento di
riconoscibilità del progettista, che verrà traslato nel tempo anche nei più re-
centi lavori per il Teatro Lirico di Catanzaro (1988/2002) o per Casa Lan-
gone a Battipaglia (1996/2006), in cui questa caratteristica apertura dei muri
perimetrali diviene un vero e proprio elemento distintivo.
Ma in particolare è il raffronto tra Casa Andreis e Casa Baldi, elementi di
cerniera della produzione di Portoghesi nel passaggio dalla fine degli anni
Cinquanta all’inizio degli anni Sessanta che si legge il primo momento di
transito della sua produzione, come osserva Norberg-Schulz, che evidenzia

30 - G. PRIORI, a cura di, Paolo Portoghesi, ed. Zanichelli, Bologna 1985, pag. 34.
31 - Ch. NORBERG SCHULZ, Alla ricerca dell’architettura perduta, ed. Officina, Roma 1976,
pag. 41.

122
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 123

Seconda parte - La sinfonia delle forme

come, nel passaggio tra le due opere, il rapporto geometrico delle parti sia
diventato più ordinato,32
i rapporti spaziali si sono arricchiti e sono stati collegati sistematicamente,
(…). Il dinamismo generale l’apertura, tipici di casa Andreis, corrispondono
al compito “casa da weekend”, che nel caso specifico richiede un’intima cor-
relazione con l’ambiente naturale. Il tema dell’accoglimento dello spazio
esterno per mezzo di muri concavi è quindi molto accentuato.
In confronto con la precedente esperienza di Casa Baldi, l’effetto a di-
stanza di tempo subito dall’edificio può dirsi addirittura opposto: mentre nel
progetto della Flaminia l’integrazione con il contesto circostante ne ha ar-
ricchito le qualità estetiche,enfatizzando l’algida compostezza di Casa An-
dreis è andata piegandosi negli anni alla incontenibile energia dei fenomeni
naturali. Inoltre, mentre gli spazi interni di casa Baldi, misurati ed avvol-
genti, si rivelano accoglienti e versatili per le funzioni della quotidianità, il
dinamismo di questa seconda opera crea un effetto talvolta sfuggente in rap-
porto alle nuove concezioni dell’abitare e del progetto di arredo domestico.
Ancora differente è l’impatto che si ottiene nel progetto di Casa Bevi-
lacqua a Gaeta, il cui progetto è datato 1964 – sebbene la sua effettiva rea-
lizzazione si sia avuta nel 1973 – in cui il riferimento ad un tracciato
derivante dalle ricerche sulla centralità e sul luogo naturale si congiunge
ad un richiamo storico più forte rispetto alle sue contemporanee esperienze,
non leggibile nell’immediato confronto con l’opera, ma rimandato ad un
attento studio dei suoi motivi compositivi. Tale prerogativa fa certamente
di questa piccola abitazione un significativo esempio della fusione delle tre
costanti del lavoro di Portoghesi: la storia, la natura, la geometria. I primi
due aspetti derivano dagli studi planimetrici sulle ricerche michelangiole-
sche che, unite ad un costante riferimento alla sinuosità barocca, si molti-
plicano in un effetto di autosimilarità che richiama il mondo naturale;
mentre il secondo aspetto è evidenziato dal contrasto evidente tra forma
curva e rettilinea, dunque tra i due costituenti essenziali della geometria eu-
clidea, che qui rappresentano anche la contrapposizione tra i due emisferi
maschile e femminile.

32 - Ch. NORBERG SCHULZ, Alla ricerca..., cit. p. 41.

123
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 124

GIOIA SEMINARIO

fig. 48 - Una vista di Casa Bevilacquaa Gaeta negli anni Ottanta: evidente è il gioco cro-
matico tra cemento e mattoni.

fig. 49 - Planimetrie di progetto di Casa Bevilacqua. Si legge chiaramente il richiamo ai gra-


fici per le fortificazioni fiorentine di Michelangelo Buonarroti.

124
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 125

Seconda parte - La sinfonia delle forme

figg. 50/51 - Due immagini recenti di Casa Bevilacqua.

Se in relazione all’indagine su lo spazio come sistema di luoghi quest’opera


resta un esempio isolato, diverso dalle ricerche di questo periodo caratterizzato
da una forte prevalenza dell’elemento geometrico, tuttavia essa congiunge ide-
almente la prima produzione di Portoghesi alla sua sperimentazione recente,
facendo da ponte tra le prime esperienze progettuali e le teorie più recenti.
Nel 1966 il progetto per casa Papanice a Roma si riporta decisamente sul
tracciato della teoria dei campi. Questo lavoro, infatti, conferma quanto già sug-
gerito da casa Andreis, ma questa volta l’uso di centri spaziali, già sperimentato
nel progetto per l’abitazione di Scandriglia, è accompagnato da un trattamento
sofisticato delle superfici che definiscono spazio: ancora più visibilmente33
il muro inflesso, accoglie, crea, dirige, comprime e diluisce lo spazio.

33 - G. MASSOBRIO, M. ERCADI, S. TUZI, Paolo Portoghesi architetto, ed. Skira, Milano


2001, pag. 50.

125
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 126

GIOIA SEMINARIO

fig. 52 - Planimetrie di progetto di Casa Papanice.

Diversamente dalle due altre abitazioni, casa Papanice è interamente ri-


coperta di piastrelle maiolicate, organizzate in fasce verticali di colore dif-
ferenti, che hanno un valore simbolico: dal basso salgono assottigliandosi
delle strisce di colore verde, mentre dall’alto discendono assottigliandosi
delle fasce di colore azzurro. A questi due colori, che si stagliano su un
fondo bianco, si aggiungono i toni del marrone e dell’oro: 34
la terra verde, il cielo azzurro, il sole d’oro e i tronchi marroni degli alberi cir-
costanti sono specchiati e mescolati in modo da formare un’immagine poe-
tica degli elementi naturali ed essenziali del paesaggio.
Trasformata in anni recenti in un Consolato, l’abitazione è tuttavia rima-
sta sostanzialmente immutata nel suo aspetto esteriore: il gioco cromatico
delle maioliche è in buono stato di conservazione e i mutamenti sopravve-
nuti lasciano pressoché immutata l’impronta originaria, sebbene la rimo-
zione delle ringhiere a canne d’organo tipiche del linguaggio di Portoghesi
di quegli anni ne abbiano indebolito lo slancio verticale.

34 - Ch. NORBERG SCHULZ, Alla ricerca dell’architettura perduta, ed. Officina, Roma 1976,
pag. 59.

126
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 127

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 53 - Un’immagine di Casa Papanice.

127
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 128

GIOIA SEMINARIO

fig. 54 - Unaparticolare esterno della Chiesa della Sacra Famiglia a Fratte.


fig. 55 - Un interno della Chiesa.

128
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 129

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 56 - Una dettaglio della cupola dall’in terno.


fig. 57 - Una vista dell’interno della Chiesa con alla destra la fonte battesimale.

Certamente l’opera più rappresentativa della sperimentazione sulla cen-


tralità che aveva caratterizzato la ricerca dell’architetto romano per due de-
cenni è la Chiesa delle Sacra Famiglia realizzata a Fratte, vicino Salerno, in
cui tutta l’intenzione espressiva si traduce in una sapiente integrazione di
plasticità e colore.L’organismo architettonico è generato35
dall’accostamento di sei poli a matrice circolare che generano sei pale concave
verso l’esterno, distinte gerarchicamente in gruppi di tre.
L’intersezione delle sei pale, perfezionata con l’uso di un modulo co-
stante, genera una continuità tra l’interno e l’esterno dell’edificio, mentre la
grande volta gradinata genera le superfici che riempiono lo spazio tra que-
sti elementi: in questo modo il progettista intende anche realizzare una con-
tinuità assoluta tra la volta e l’alzato, cercando un effetto di virtuale
elevazione verso l’alto.
35 - G. PRIORI, a cura di, Paolo Portoghesi, ed. Zanichelli, Bologna, 1985, pag. 54

129
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 130

GIOIA SEMINARIO

figg. 58/59 - Planimetrie di progetto della Chiesa della Sacra Famiglia di Salerno.

130
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 131

Seconda parte - La sinfonia delle forme

Per quanto concerne l’articolazione della luce interna, primaria nel pro-
getto di una chiesa, questa è lasciata scaturire direttamente dal progetto
delle forature che, studiate in base a delle precise esigenze strutturali, ri-
velano anche una notevole ricercatezza nell’interpretazione dei principi
spirituali alla base della religione, generando una modulata e studiata ca-
sualità che dà origine ad effetti di grande suggestione. Per dare vita a ri-
chiami simbolici e naturali che riescano a rendere armoniosa la ritmica
dura di una muratura in cemento armato a faccia vista, Portoghesi usa
degli alti tagli vetrati che attraverso forma e colore divengono gli stru-
menti principali dell’effetto finale, originale ed impressionante. E se più
indeterminato può dirsi il risultato che si ottiene nella forma esterna, che
risente della propria caratteristica mancanza di definizione di elementi di
particolare riconoscibilità e in parte del progressivo deperimento dei ma-
teriali, per contro, per la completezza della ricerca teorica e del risultato
plastico raggiunti, con quest’opera è perfezionata e conclusa la speri-
mentazione di Portoghesi su lo spazio come sistema di luoghi. A partire
da questo progetto, infatti, può dirsi raggiunto un altro momento di cam-
biamento del lavoro dell’architetto romano che, accantonata l’ortodossia
dell’indagine sperimentale, inaugura con la Moschea di Roma una nuova
stagione in cui l’analisi spaziale si trasforma da fine a mezzo della ricerca
formale. Dunque il rapporto geometrico permane, ma stavolta impregnato
di un carico emotivo più evidente che evidenzia come, avendo acquisito
un metodo rigoroso, anche l’esperienza della storia e della tradizione si
siano di fatto evolute.

Il progetto negli anni Ottanta come nuova percezione della storia

Se nel progetto elaborato per la Moschea di Roma ritroviamo una lo-


gica formale che scaturisce essenzialmente da una matrice geometrica,
costruita per risolvere in termini architettonici la questione della quadra-
tura del cerchio, interrelando il quadrato come misura umana e il cerchio
come misura divina, è anche vero che in questo progetto la dimensione
storica riassume un ruolo primario: non più presa come riferimento cul-
turale proprio dell’architetto – quindi non più indirizzata ad un’esigenza

131
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 132

GIOIA SEMINARIO

fig. 60 - Una vista esterna della Moschea realizzata a Roma.

autoreferenziale di riportare nell’opera i propri valori formativi – la sto-


ria ritorna qui ad essere, come era già stata, sebbene in maniera del tutto
diversa, in Casa Baldi, strumento di colloquio tra le civiltà. Di qui l’im-
portanza della Moschea all’interno della produzione di Portoghesi, che
riunisce i due valori fino ad allora rimasti slegati di storia e di propor-
zionamento geometrico in un unico complesso unitario, e che riesce a
chiamare in causa il tema proustiano della memoria ma anche le teorie sui
campi, recuperando dalle architetture dell’antichità il riverbero della ri-
cerca sul luogo naturale.
Particolare risalto e forte incidenza anche nella definizione della forma fi-
nale dell’opera assume per Portoghesi la sua esperienza di progettazione per
i paesi arabi, condotta in collaborazione con l’azienda Mefit e giunta nel
momento nodale in cui, sospesa per forza la presidenza dell’Università di

132
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 133

Seconda parte - La sinfonia delle forme

figg. 61/62 - Due dettagli interni della Moschea.

133
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 134

GIOIA SEMINARIO

figg. 63/64 - Vista in sezione e planimetria della Moschea e del Centro culturale.

Milano,36 si dedica con particolare impegno all’attività professionale con-


dotta con Vittorio Gigliotti, che conoscerà una vasta espansione verso i
paesi mediorientali con progetti di grande portata come l’Aeroporto di
Khartoum e la corte reale di Amman in Giordania, due progetti che gli
consentono di entrare in contatto con la tradizione locale e di sperimen-
tare. E proprio tale esperienza sarà espressa in maniera decisiva nel pro-
getto romano della Moschea, che impegnerà Portoghesi per molti anni,

36 - Dal 1968 al 1976 Paolo Portoghesi è preside della Facoltà di Architettura del Poli-
tecnico di Milano. Quando nel 1971 l’università viene occupata da alcuni senzatetto man-
dati via dalle case che avevano occupato per protesta Portoghesi, insieme ad un folto
gruppo di docenti emeriti tra cui Aldo Rossi, Franco Albini, Giudo Canella, indice una as-
semblea permanente sul tema della casa. Tuttavia l’università viene presto sgombrata e i
professori ritenuti responsabili vengono allontanati per due anni dall’università. È a par-
tire da quel momento che Portoghesi ricomincia con maggiore slancio la sua attività pro-
fessionale.

134
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 135

Seconda parte - La sinfonia delle forme

manifestandone appieno la capacità di interpretare l’integrazione,37


il dialogo tra due culture diverse, ma che hanno in comune alcuni archetipi
fondamentali: la colonna, l’arco libero, il conflitto tra centralità e modula-
rità e, dal punto di vista urbanistico, la strada.
Successivamente a questo progetto, definitivamente metabolizzato il
tema della geometria in una visione più ampia, il tracciato dell’architet-
tura di Portoghesi diviene più complesso. Se negli anni Ottanta la sua at-
tività teorica e divulgativa si era orientata in maniera prevalente ad una
difesa del recupero dei valori storici nel progetto, invero la sua produ-
zione architettonica – profondamente assorbita la speculazione sul con-
trollo geometrico del progetto architettonico – imprime alla propria opera
una sostanziale variazione che tuttavia investe prevalentemente il campo
formale ma non ne modifica il metodo, che comunque aveva sempre con-
templato una visione della storia dall’interno. Ma mentre nei primi pro-
getti il riferimento alla tradizione restava prevalentemente tra le righe
della precedente sperimentazione, per cui il richiamo alle epoche passate
si fondeva ad una consapevole ricerca sulla contemporaneità e il luogo
era motivo ispiratore delle teorie sui campi, negli anni Ottanta questo rap-
porto con le forme mutuate dalla storia diviene più appariscente e allusivo.
Potrebbe dirsi addirittura che quello che prima era un riferimento colto di-
viene qui un atto dimostrativo,38
contro la perdita di identità generata nelle città moderne da architetture
anonime frutto di logiche economiche ma anche dall’uso di un linguaggio,
quello dello stile internazionale, che ha trasformato tutte le città in clona-
zioni di qualcos’altro.
Ma soprattutto il motivo principale della sua concentrazione sul tema sto-
rico diveniva una più spiccata ricerca di coralità, la volontà di trovare un lin-
guaggio più partecipato e immediatamente leggibile da tutti,39 che sembra

37 - G. PRIORI, a cura di, Paolo Portoghesi, ed. Zanichelli, Bologna 1985, pag. 54.
38 - P. BERNITSA e M. ERCADI, Paolo Portoghesi, ed. Skira, Milano 2006, pag. 90.
39 - Intervista a Paolo Portoghesi, negli Apparati al volume. Portoghesi esprime chiara-
mente le ragioni di questo suo adattamento alla tendenza postmodern.

135
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 136

GIOIA SEMINARIO

fig. 65 - Un dettaglio della facciata delle residenze di Tarquinia.

136
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 137

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 66 - La piazza del complesso residenziale di Tarquinia.

trovare anche un vero riscontro nella partecipazione di un gran numero di


persone alla Biennale di Architettura del 1980, sebbene molto contestata da
architetti e teorici, anche molto visitata dal grande pubblico.
Diversi sono gli esempi di architetture di questi anni che mostrano una
chiara inclinazione ad utilizzare la citazione storica, per avvicinarsi alle realtà
locali attraverso il recupero di forme archetipe dell’architettura. Significativo
è l’esempio costituito dal progetto delle Case per i lavoratori dell’Enel a Tar-
quinia (1981/1988), in cui si avverte con immediatezza la portata del tema sto-
rico, individuato nei grandi archi di mattoni che fanno da motivo conduttore,
richiamando alla mente la ritmica cadenza dell’acquedotto romano, ma anche
nel recupero della loggia e nella scelta di caratterizzare il progetto attraverso
delle torri, direttamente mutuate alla tradizione del piccolo centro laziale.
Differente è il discorso che si incontra nel Residential Park Borsalino di
Alessandria (1987/1991) in cui il riferimento si fa più giocoso e disimpe-
gnato con l’invenzione di torri-balcone che terminano in delle altane di di-
verse altezze, che divengono tema portante e definiscono lo skyline del
complesso ad una lunga distanza.

137
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 138

GIOIA SEMINARIO

L’idea che i complessi residenziali della nuova stagione post-bellica do-


vessero contenere delle qualità più spiccate rispetto al tema dell’ambienta-
mento e del comfort abitativo incentiva Portoghesi a concepire questi nuclei
come dei luoghi altamente riconoscibili, in cui si possa avvertire l’eco fa-
miliare dei centri storici esistenti. Si evidenzia, in questo senso, l’impor-
tanza del tema della piazza come luogo di scambio e di aggregazione,
analizzata e spiegata anche da Mario Pisani nel testo La piazza come luogo
degli sguardi,40 che trova riscontro in diverse opere di quegli anni, come il
Complesso residenziale e commerciale Leon Battista Alberti di Rimini,
ricco di elementi tipologici ispirati alla tradizione – archi a tutto sesto, logge,
modanature – ma anche fortemente ispirato al senso della coralità della città
storica. A questo riguardo, sempre nel libro di Pisani si legge il forte inte-
resse di Portoghesi verso i temi legati alla piazza, luogo d’incontro per ec-
cellenza e, per questo motivo, oggetto di un particolare interesse progettuale
sin dai primi anni di studio:41
La piazza, infatti, intesa come cuore pulsante della città, centro motore ed in-
telletto del tessuto urbano, ha sempre rappresentato per l’architetto proget-
tista di Casa Baldi un luogo di grande fascino: il luogo privilegiato dell’in-
contro, del dialogo, dello scambio sociale e quindi – come nella civiltà greca
l’Agorà che evoca a se la funzione politica, commerciale e religiosa – l’es-
senza stessa del contesto urbano.
Lo studio di questi spazi, che conduce a risultati eterogenei, arriva a sem-
brare talvolta una narrazione, una proiezione onirica, che si materializza in
maniera spregiudicata, come nel caso del progetto per Poggioreale (Trapani),
imbastito di elementi storici rivisitati e ricca di corredi che rendono la piazza
simile ad un grande palcoscenico a ventaglio,42 in cui pulsano dettagli archi-
tettonici mutuati alla storia: colonne, linee guida di archi, sculture colorano
questi luoghi spesso travalicando la storia, per proiettarsi in un mondo irreale.
C’è da dire che questi accorgimenti, che talvolta risultano oltremodo vi-
stosi nei progetti su vasta scala, assumono una connotazione suggestiva in

40 - M. PISANI, La piazza come “luogo degli sguardi”, ed. Gangemi, Roma 1990.
41 - Ibid. alle pagg. 13 e 14.
42 - P. BERNITSA e M. ERCADI, Paolo Portoghesi, ed. Skira, Milano 2006, pag. 98.

138
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 139

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 67 - Progetto di una piazza a Latina (1984).

fig. 68 - Progetto per Piazza Zani a Roma, 1988.

139
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 140

GIOIA SEMINARIO

fig. 69 - Un dettaglio della Galleria Apollodoro.

rapporto ai piccoli spazi, caratterizzando i progetti attraverso accostamenti


cromatici arditi e spregiudicati richiami all’Art Nouveau.
È il caso, ad esempio, dell’allestimento della Galleria Apollodoro o del re-
stauro realizzato a Palazzo Corrodi, in cui gli effetti cromatici animano gli
spazi rigenerando il rapporto tra la storia e il progetto in maniera originale.
In particolare quest’ultimo, edificio costruito nei primi anni del Novecento
dal pittore Hermann Corrodi per ospitare studi di artisti e divenuto sede della
Fono Roma prima e della Cassa Geometri poi, risponde ad una volontà di43
offrire agli osservatori qualche piacere per gli occhi e qualche spunto di ri-
flessione sulla città e le sue tradizioni.

43 - P. PORTOGHESI, Palazzo Corrodi, nuova sede della Cassa in Geometri n.1-2 del 1993,
pag. 6.

140
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 141

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 70 - La scala realizzata per Palazzo Corrodi.

141
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 142

GIOIA SEMINARIO

In questo passo si comprende come l’obiettivo fondamentale a cui il la-


voro di Portoghesi tendeva durante quegli anni fosse quello di mettere in
campo soluzioni attraenti sotto il profilo della percezione piuttosto che mo-
delli ricercati dal punto di vista formale.
Nonostante ciò, non è possibile reputare questi episodi, che hanno legato
la sua figura alle teorie postmoderne, alla stregua di una scelta poetica de-
terminata e totalizzante: al contrario egli continua a riflettere sui temi che
hanno costantemente attraversato la sua ricerca, ed una dimostrazione di
questo interesse è già nel progetto per il Teatro lirico di Catanzaro
(1988/2002) in cui, contemporaneamente alla proiezione della specula-
zione storica in un recupero dei valori tradizionali del teatro all’italiana, 44
l’architetto torna a sviluppare diverse riflessioni sul riverberarsi della na-
tura nell’architettura.
Rifacendosi al testo di Ernst Haeckel Art forms in nature,45 opera di
grande fascino che all’inizio del Novecento aveva già costituito un mo-
tivo ispiratore per il movimento Art Nouveau, Portoghesi richiama le
forme naturali con grande libertà e, motivando le sue scelte progettuali,
scrive:46
Sotto il profilo del simbolismo evocativo la conchiglia, la famiglia pecten in
particolare, suggerisce l’idea della diffusione del suono, della proiezione so-
nora che, come un fascio che continuamente si dilata, raggiunge le nostre
orecchie, esse stesse simili a valve aperte e contenenti, al loro interno, la chioc-
ciola del labirinto. Altra figura che ci riporta al mondo delle forme viventi

44 - A questo proposito, descrivendo l’intervento egli cita Georges Banu, grande studioso
di storia del teatro, che in Le Rouge et Or scriveva: «Il teatro all’italiana non ha l’anzianità
degli anfiteatri greci, né la freschezza delle sale recenti. È luogo di conservazione e di me-
moria da un lato, di attualità e di concretezza del presente dall’altro, poiché, se si vuole
usare la terminologia di Adorno, si tratta di un luogo che sfugge alla ‘antitesi dell’eternità
e della storia’». Cit. in P. BERNITSA e M. ERCADI, Paolo Portoghesi, ed. Skira, Milano 2006,
pag. 116.
45 - Ernst Haeckel (1834-1919) fu un biologo con uno spiccato senso artistico che, tra i
diversi interessi scientifici, ha anche amato l’arte. Famose sono le sue tavole, illustrazioni
naturalistiche con cui questi ha introdotto la scienza ad un più vasto pubblico, attraverso
grafici e descrizioni facilmente interpretabili. Il più famoso dei suoi contributi resta Art
forms in Nature, una raccolta di 100 tavole illustrate.
46 - P. BERNITSA e M. ERCADI, Paolo Portoghesi, ed. Skira, Milano 2006, pag. 122.

142
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 143

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 71 - Planimetria di progetto del Teatro Nuovo Politeama di Catanzaro.

143
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 144

GIOIA SEMINARIO

fig. 72 - Una veduta esterna del Teatro Lirico di Catanzaro.

sono le “ali” che delimitano la facciata e ne contengono la forza espansiva.


Esse si ripetono, come il fenomeno sonoro dell’eco in lontananza, con ritmo
differenziato, e affiancano il gioco plastico della facciata.
Il risultato di queste ispirazioni trova infine nel rigore geometrico che
aveva segnato i primi anni della ricerca progettuale la possibilità di tra-
sporre il movimento in forme stabili, come si deduce dall’utilizzo del muro
inflesso e dei pilastri ad albero per il foyer.
La pluralità di fonti di ispirazione e di soluzioni che convergono in que-
sto progetto caratterizzano appieno la diversità nell’unità delle suggestioni
che danno vita all’opera di Portoghesi, ma soprattutto spiega come l’inda-

144
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 145

Seconda parte - La sinfonia delle forme

figg. 73/74 - Due vedute della sala del Teatro di Catanzaro.


fig. 75 - Due vedute degli interni del Teatro.

145
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 146

GIOIA SEMINARIO

gine che ne caratterizza l’attività attuale non nasca per l’esaurirsi degli spunti
pregressi, ma dall’evoluzione stessa di questi spunti in altre ricerche, gene-
rando una forma di continuità che non rinnega il lavoro precedente ma, pla-
candone i caratteri più marcati, raggiunge una propria originalità.

Costruire per collaborare con la Terra

Esauritasi la temperie postmoderna, momento in cui certamente sotto il pro-


filo dell’architettura maggiore valore avevano avuto gli ideali – volti a riscoprire
la coralità perduta dell’architettura italiana in un momento critico per la disci-
plina – rispetto alle opere – presto ricadute in un ripetitivo citazionismo che
non riusciva a restituire all’architettura l’identità ricercata – anche l’attività pro-
gettuale di Portoghesi raggiunge un momento di rielaborazione, sia sotto il pro-
filo teorico che in campo progettuale. Un cambiamento che, come si è detto nel
precedente paragrafo, non lo induce a mutare totalmente il proprio approccio,
quanto piuttosto a cercare una ridefinizione della propria dialettica.
Si è già avuto modo di osservare nel progetto per il teatro nuovo Poli-
teama a Catanzaro un cambiamento nell’approccio alla pianificazione: quel
richiamo alla storia che fino ad allora aveva costituito la fonte di ispira-
zione principale per i progetti comincia a fondersi con una nuova gamma
di suggestioni che richiamano al rapporto dell’uomo con la natura. Po-
trebbe dirsi anzi che quest’architettura, con tutte le sue contraddizioni, con
gli slanci formali, rispecchi tuttavia una buona sintesi della personalità del
progettista, serrato tra la nuova poetica e il retaggio passato: le remini-
scenze storiche evidenti all’interno del progetto, testimoniate ad esempio
dall’uso della modanatura e degli stili tradizionali del teatro all’italiana,
vengono fuse al tema naturale, riconoscibile nell’uso di elementi come la
conchiglia o lo studio sul bulbo di un fiore, non senza recuperare taluni
elementi tipici della poetica dei luoghi.
Partendo da questo progetto, si può dire che si evidenzino due filoni che
marciano in parallelo: da un lato un atteggiamento più misurato, di ascolto,
in cui l’architettura si fa portatrice delle matrici culturali più profonde di un
territorio; da un altro una poetica audace, che vede nella natura il tema ispi-
ratore fondamentale.

146
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.03 Pagina 147

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 76/77 - Due vedute del fronte principale del municipio di Tregnago.
fig. 78 - Dettaglio della facciata.

147
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 148

GIOIA SEMINARIO

fig. 79 - Una veduta centrale della Chiesa di Santa Maria della Pace di Terni.
figg. 80/81 - Due viste di dettaglio dell’interno della Chiesa.

148
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 149

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 82 - Una veduta del Quartier Latino a Treviso.


fig. 83 - Treviso, ponte pedonale.

149
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 150

GIOIA SEMINARIO

Più pacato è l’atteggiamento ravvisabile in opere come il municipio di Tre-


gnago, progetto del 1990, in cui i rimandi alla storia divengono più semplici
e composti e la natura viene richiamata attraverso l’indagine sui materiali lo-
cali e soprattutto la ricerca si riveste di funzionalità, ricercando nelle piccole
soluzioni compositive dei fattori di qualità che restano marcati. Malgrado
l’estetica dell’edificio non risulti particolarmente notevole, per chi scrive il
progetto è certamente contraddistinto da un forte senso della necessità, che
non spinge l’architetto a lanciarsi in soluzioni estreme, ma lo lascia adden-
trarsi nella cultura locale con uno spirito che gli è certamente più congeniale.
Un discorso similare può essere intrapreso per il progetto della Chiesa di
Santa Maria della Pace a Terni, un progetto ancora una volta a scala umana,
che ricerca una mediata semplicità, tentando di unire il carattere genuino della
Chiesa post-conciliare alla ricerca estetica. Così la Chiesa, che dall’esterno ri-
sulta un edificio di modeste dimensioni con i tetti spioventi, colpisce lo spet-
tatore prevalentemente per un’unica trovata: una copertura a pianta stellare
realizzata in legno lamellare, simbolo della semplicità degli ordini monastici,
ma anche significativo esempio di complessità nella semplicità, che evoca la
natura e simboleggia la religione cristiana, richiamando alla celebre parabola
della vite e al simbolo stellare, emblema del culto mariano.47
In questo senso, le opere di minore entità sembrano racchiudere, concen-
trate in dei progetti sobri e lineari, la parte più significativa dell’attività del
progettista romano degli ultimi decenni: la vasta opera di restauro che ha in-
teressato il Quartiere Latino di Treviso è proprio gestita attraverso questi in-
terventi eterogenei, che impreziosiscono la realtà cittadina attraverso azioni
puntuali, che caratterizzano il luogo senza turbarne la natura, come il re-
stauro dell’edificio universitario contraddistinto da elementi di grande pre-
gio come le singolari scale a chiocciola a forma di albero, o la creazione di
una nuova piazza per l’incontro, che recupera un disegno ondivago ispirato
alla presenza del piccolo fiume.
Con progetti più recenti come la Moschea grande di Strasburgo, il Giar-
dino della biblioteca dell’Angelo a Calcata e la torre progettata per Shan-
gai l’ispirazione naturale diviene più visibile. Tuttavia, se nel primo progetto

47 - P. BERNITSA e M. ERCADI, Paolo Portoghesi, ed. Skira, Milano 2006, pag. 176 a 180.

150
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 151

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 84 - L’interno della Sala centrale nel complesso di Treviso.


fig. 85 - La scala Infinito.

151
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 152

GIOIA SEMINARIO

fig. 86 - Una veduta dall’alto del Giardino della Biblioteca dell’Angelo a Calcata.
fig. 87 - Una delle aree attrezzate del Giardino.

152
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 153

Seconda parte - La sinfonia delle forme

fig. 88 - La Torre del Respiro.

153
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 154

GIOIA SEMINARIO

prevale l’aspetto socio-culturale legato al ruolo istituzionale dell’edificio,


nei secondi due la natura è l’impronta che detta la forma, sebbene in ma-
niere sostanzialmente diverse.
Il Giardino della biblioteca dell’Angelo si costituisce come l’inserimento,
all’interno di un quadro naturale pressoché incontaminato, di una struttura oni-
rica che in qualche modo ferma il processo naturale in dei momenti precisi,
bloccandolo in delle forme che vogliono evocare l’idea dell’evasione: così le di-
verse scalinate assumono forme diverse, divenendo di dimensioni molto ridotte
man mano che si procede verso una zona più selvatica. Lo scalone principale,
formato da quattro petali che si iterano allargandosi e che vuole richiamare alla
mente la scala progettata da Michelangelo per la biblioteca Laurenziana, è l’ele-
mento principale nella geografia del costruito; la seconda scala, di grandezza de-
cisamente minore, è stavolta conformata in maniera semi-stellare, e si
interfaccia per prima con il paesaggio divenendo il varco che conduce ad una
natura più libera di essere. È in un’area intermedia che l’ambiente viene “do-
mato”, attraverso giochi di siepi e di muri che interrompono e articolano la vi-
suale dello spettatore, conducendolo attraverso un gioco volutamente
spregiudicato in cui la natura sembra progressivamente catturare l’attenzione.46
Ma se tale visione sottende ad un idea di natura da organizzare, il concetto
di natura che si esprime nella Torre del Respiro di Shangai è invece sensibil-
mente diverso: qui è un vero e proprio grattacielo ad essere conformato come
una forma naturale, generando l’idea di un bocciolo: le alte pareti dell’edifi-
cio vetrato, giunte ad una certa altezza si inflettono, quasi come per tratte-
nere – appunto – il respiro. Ed è proprio all’interno di questo antro che viene
posta una seconda struttura, un bulbo che costituisce il cuore dell’edificio.
È qui, più che in altri progetti, visibile il rimando al tema naturale, che di-
viene un rimando iconico di grandissime dimensioni.
E in realtà anche in questo progetto, a ben vedere, il rimando al tema na-
turale non viene mai totalmente slegato dal tema storico, che sembra perma-
nere come un segno ineluttabile nella sua opera. Questa considerazione, che
vale per la torre di Shangai, è chiaramente leggibile in tutte le opere dell’ul-
timo periodo di attività di Portoghesi: ma questi riferimenti ormai radicati di-
vengono delle vere e proprie citazioni, poste all’interno dell’opera a ricordare
con insistenza un’identità che non vuole essere perduta. Come nel municipio

154
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 155

Seconda parte - La sinfonia delle forme

di Tregnago il timpano centrale che si allarga richiama alla cultura palladiana,


e nel Giardino della biblioteca dell’Angelo si chiama in causa la celebre opera
michelangiolesca per Firenze, nella Torre del Respiro di Shangai si ripropone
a grandezza naturale la romana piazza del Campidoglio, simbolo caro a Por-
toghesi, memoria storica della cultura italiana.
Si comprende, dunque, come esista un’inalienabile continuità nella speri-
mentazione di questo architetto, in cui il parametro della memoria resta sempre
chiaramente leggibile: Portoghesi studia la storia non soltanto per una volontà
analitica e divulgativa, ma per trarre da essa gli elementi, lo spirito della proget-
tazione. Lo fa dapprima in maniera più sottile, con quello studio sulla curva che
unisce la sua immensa conoscenza della cultura barocca romana alle contem-
poranee ricerche formali sullo spazio planimetrico; lo fa in maniera più esplicita
e vistosa durante il periodo postmoderno, quando la citazione della storia di-
viene una volontaria ostentazione esplicativa; lo fa, infine, nell’ottica di ripartire,
alla maniera degli antichi, dallo studio della natura, rispondendo a suo modo alle
esigenze di un momento storico particolare, in cui progettare significa non solo
occuparsi dell’uomo, ma anche proteggere la Terra e le sue bellezze.

fig. 89 - Plastico del progetto “Cinque torri” per Shangai.

155
seconda parte:Layout 1 20/01/2009 23.04 Pagina 156
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 157

Apparati

Un’intervista a Paolo Portoghesi - Roma, giugno 2006

G.S. Ultimamente ci si è molto interrogati sulle strade che ha preso l’architet-


tura, su dove va l’architettura. Qual è la sua opinione a riguardo?
P.P. Credo che sia molto difficile dire qual è la direzione in cui si sviluppa l’ar-
chitettura. Quello che è certo è che in questi ultimi anni un buon numero di ar-
chitetti ha scelto quella strada che potremmo definire della deregulation, di
abbandono delle regole, della ricerca di un’architettura che non abbia più nes-
sun rapporto con la storia. Soprattutto oggi, i mezzi di comunicazione sono per-
meati di questa tendenza ad eliminare le regole e a considerare l’architettura
costruita sulla tabula rasa, dimenticando tutto ciò che ci ha insegnato la storia.
Naturalmente questa è, come dire, un’avanguardia, una minoranza di architetti,
però sono anche quelli che hanno maggiore risonanza, accentuando l’impres-
sione che questa sia anche la tendenza dominante del nostro tempo.
G.S. L’architettura, dunque, vista come arte in cui l’artista alle volte sembra un
anarchico che non riconosce più queste regole…
P.P. Io ho sempre detto che considerare l’architettura un’arte tout court è un
po’ una fonte di mistificazione, non perché l’architettura non abbia tutti i diritti
di essere annoverata tra le arti, ma perché non è solo questo, anzi l’arte è una
piccola minoranza dei prodotti architettonici: la stragrande maggioranza dei
prodotti dell’architettura non è arte, però è architettura. Tuttavia c’è qualcuno
che ha pensato che l’architettura sia solo un’arte e ha creato questa distinzione,
simile a quella che Croce proponeva tra poesia e letteratura. Ecco io non credo
che questa divisione sia possibile, però è anche certo che considerare l’architet-
tura un’arte a tutti gli effetti induca le persone che la praticano a ritenersi degli

157
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 158

GIOIA SEMINARIO

dei, delle persone geniali, cosa quasi sempre non vera e che è alla base di molte
mistificazioni. Oggi, indubbiamente, l’arte architettonica ha molta audience, i
mass-media ne parlano molto, mettendo in secondo piano la ricerca architetto-
nica, che è una ricerca insieme scientifica e artistica, molto importante perché è
il nutrimento indispensabile della produzione in questo settore.
G.S. Quali ritiene che siano le nuove frontiere che l’architettura dovrebbe indagare?
P.P. Sono molto convinto che l’architettura dovrebbe esplorare le frontiere della
psicologia. Sia per quanto riguarda la città, sia per quanto riguarda le strutture edi-
lizie, gli architetti si interessano pochissimo di cosa pensa la gente, di come reagi-
sce a ciò che gli architetti propongono, mentre indubbiamente la psicologia è uno
strumento di conoscenza di queste reazioni. Certo, l’architetto ha la responsabi-
lità del progetto e pertanto deve esprimere una sua intenzione, in certi casi una
sua idea di come si dovrebbe vivere, di come lo spazio possa rispondere alle esi-
genze della vita, però è fondamentale anche che egli stesso confronti le proprie
idee con quelle degli altri, che non sempre coincidono, e a volte sono addirittura
lontanissime dalla sua visione delle cose: quello che manca all’architettura cosid-
detta contemporanea è questa preoccupazione di cosa pensano i fruitori.
G.S. Durante quasi cinquant’anni di carriera la sua opera si è evoluta attraverso
posizioni diverse, pur nella sostanziale unitarietà del pensiero: prima la ricerca sui
luoghi, poi la ricerca di un rapporto più stretto con la storia, e infine la ricerca sulla
natura. Come sintetizza Lei questo percorso… se lo sintetizza?
P.P. Potrei dire che la prima parte del mio lavoro sia quella più normale, nel
senso che un architetto quando si laurea cerca di esprimere una propria idea di
architettura e di dare un fondamento alla sua ricerca. Io ho fatto questo sforzo
basandomi principalmente sulla nozione di luogo, sull’idea che l’architettura
non possa essere indifferente al luogo in cui sorge: da qui è nata la teoria su lo
spazio come sistema di luoghi. C’è poi stato un periodo, che coincide con il po-
stmoderno, con la mostra di Venezia, in cui ho messo in discussione il fatto che
la ricerca che l’architetto fa di un proprio stile sia fondamentalmente una ricerca
solipsistica, che non affonda le radici nei valori collettivi, se non attraverso certi
aspetti come la memoria. E allora mi sono reso conto che tutto sommato sa-
rebbe stato interessante cercare invece nella memoria collettiva gli elementi che

158
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 159

Apparati

consentissero il dialogo: quindi una ricerca – se vogliamo – di carattere lingui-


stico, un’indagine sul significato degli elementi che adopera un architetto per
poter trasmettere dei messaggi attraverso l’architettura. E per questo ho inter-
rotto una ricerca in cui avevo già in un certo senso conquistato dei risultati, se
non altro sul piano di un modo personale di fare architettura. Molti hanno pen-
sato che fosse solo per ossequiare la moda, in realtà io ho ritenuto che fosse im-
portante rinunciare all’espressione diretta della propria personalità per cercare
un linguaggio che potesse essere partecipato, e secondo me il modo più logico
di ottenere tale partecipazione era la memoria, ovvero il riferimento a qualcosa
che fosse già nell’immaginario degli altri: questo richiamo ha caratterizzato il
momento postmoderno, che era un po’ una tendenza generale nel mondo. Io ho
pensato di interpretarla in questo modo, che naturalmente non coincideva per
nulla con quella che era la tendenza internazionale, una tendenza piuttosto stru-
mentalistica, una memoria recuperata solo allo scopo di rendere l’immagine ar-
chitettonica piacevole, collaudata, quasi familiare. Successivamente anche
questo momento è entrato in crisi, quando mi sono reso conto che poco valeva
che io cercassi un rapporto con i luoghi e con la situazione particolare dell’ar-
chitettura italiana perché poi in fondo la citazione, il riferimento storico, veni-
vano interpretati come un ossequio alla moda universale. A quel punto ho
ripreso uno dei miei interessi antichi, quello per le forme naturali intese come
forme che in fondo prean- nunciano le armonie delle forme artificiali. Quindi ho
scritto il libro Natura e architettura: uno sforzo veramente pesante, un’opera teo-
rica che peraltro non è stata sufficientemente discussa: in definitiva, questo libro
ha avuto poche recensioni e nessuna di carattere teorico, mentre io speravo di
provocare una discussione che facesse capire che il vero grande tema del futuro
è la responsabilità dell’architettura: l’architettura, nella misura in cui dimentica i
grandi problemi dell’ambiente – il consumo energetico, la razionalizzazione dei
processi – contribuisce sicuramente allo squilibrio, e quindi è uno dei fattori ri-
solutivi dell’ambiente. A questo punto non c’è che rendersi conto, studiare, indi-
viduare le strategie giuste per ridurre la conflittualità tra l’uomo e la natura che si
esprime al massimo grado attraverso l’ambiente. Questo è anche il sistema che io
penso debba essere l’elemento caratterizzante dell’architettura del futuro, quindi
può darsi che questa ondata di solipsismo autoreferenziale duri ancora cinque,

159
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 160

GIOIA SEMINARIO

dieci anni, forse anche venti, però alla fine la cultura architettonica non potrà non
accorgersi che questa urgenza è forte. Il problema non sta nel fatto che la cultura
architettonica ignora i problemi dell’ambiente, ma nel fatto che cerca di risolverli
in modo settoriale senza introdurre una sensibilità. Il problema non è tanto usare
o no i pannelli fotovoltaici, il problema è esprimere attraverso l’architettura que-
sta nuova sensibilità verso i valori e i rischi dell’ambiente.
G.S. Lei ha interpretato il tema dell’architettura naturale in maniera un po’ dif-
ferente rispetto a tanti architetti che hanno sperimentato in questa direzione per-
ché, come si legge nel testo Natura e Architettura, ha recuperato questo rapporto
con la natura ripartendo proprio dalla storia.
P.P. Si può dire che oggi ci sia una moda di ispirarsi alla natura così come ci
si ispira a qualunque altra cosa, forse perché la natura è bella quindi è una scor-
ciatoia per raggiungere una qualità estetica dell’architettura. Il problema, visto
in questi termini, è molto diverso da quello che pongo io: invece di creare una
nuova sensibilità cerco di esprimere il fatto che l’uomo si sente parte della na-
tura e quindi si considera responsabile dei rapporti di equilibrio e di squilibrio
tra questa e la città. Tutto questo dovrebbe portare una nuova sensibilità. Io
ho cominciato a lavorare sulle forme naturali col Teatro Puccini di Torre del
Lago, che è in un certo senso uno dei primi esempi di architettura ispirata alle
strutture naturali al di fuori, ad esempio, della ricerca di Frei Otto, che è sem-
pre molto legata a una indagine scientifica. La mia non era una ricerca scienti-
fica, di strutture, ma era piuttosto una volontà di sintonia con l’ambiente.
Successivamente tante altre esperienze sono state fatte in questa direzione.
G.S. Vorrei ritornare per un attimo sul tema del postmoderno: cosa lei pensa che
abbia lasciato all’architettura di oggi la stagione del postmoderno? Crede che abbia
portato dei cambiamenti sostanziali, permanenti all’architettura di oggi?
P.P. Beh, potrei dire che il postmoderno sia in realtà ciò che noi stiamo vi-
vendo: è un errore degli architetti considerare il postmoderno quella tendenza,
manifestatasi soprattutto all’inizio degli anni Ottanta, a stabilire dei rapporti
con la storia e col passato. In realtà, questa dizione può attribuirsi a un feno-
meno molto più vasto, che abbraccia completamente anche l’architettura au-
toreferenziale di cui parlavo. Quindi bisogna stabilire in che modo si usa questo

160
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 161

Apparati

termine: se lo si intende in termini restrittivi come fanno gli architetti, allora lo


si può giudicare in un certo modo, se invece lo si vede come continuano a ve-
derlo i sociologi, come un fenomeno che coinvolge completamente ciò che sta
avvenendo adesso, allora il giudizio cambia. Io direi che di comune tra il po-
stmoderno nei suoi aspetti deteriori e l’architettura attuale c’è la questione della
deregulation, per cui qualunque cosa è lecita, qualunque sfida si può ripren-
dere, e l’unica motivazione è il perché mi piace… Questa secondo me è una ca-
duta dei valori caratteristici del movimento moderno, il quale senza dubbio era
un movimento ispirato da un’intenzione di tipo etico: la salvezza dell’umanità,
il miglioramento delle condizioni di vita, il riscatto della città, costituivano tutta
una serie di ideali che innervavano in un certo senso le ricerche formali del mo-
derno. Il postmoderno è stato in parte la rinuncia a qualunque ideale della ri-
cerca del piacere in architettura, se paragonato ad un edonismo sfrenato che si
è spesso manifestato. Per fare un esempio molti alberghi in Italia sono arredati
in uno stile tradizionalista volgare, osceno, che risponde solo a desiderio di ric-
chezza, al simbolismo della ricchezza: questa è una caratteristica che si è svi-
luppata insieme al postmoderno. Quello che è venuto dopo viene invece messo
in contrasto, quindi considerato come una specie di rivoluzione: indubbia-
mente, se prima si recuperava la storia strumentalmente, con grande spaval-
deria e approssimazione, adesso invece c’è il mito della tabula rasa, quindi non
deve mai apparire nulla che possa sembrare antico. Io credo che questo voglia
dire lavorare sempre e soltanto alla rovescia perché una cosa diventa impor-
tante se non somiglia a nessuna che già esiste: questo è un sistema meccanico,
che ha ben poco a che fare coi valori creativi.
G.S. Parliamo adesso delle diverse riviste da lei fondate: Controspazio, Eupalino,
Abitare la Terra, e vi includo anche Materia di cui Lei è direttore. Sono tutte rivi-
ste che hanno un po’ seguito l’evolversi della sua carriera, del Suo pensiero. E sono
tutte riviste, specialmente le prime tre, a mio avviso molto legate alla sua persona
e all’evolversi dei suoi interessi. Vorrei che ci illustrasse brevemente il significato
che ciascuna di esse ha per Lei.
P.P. Controspazio è stata una rivista, se vogliamo, di generazione: io ho fon-
dato questa rivista perché mi sembrava scandaloso che nessuno dei miei coe-

161
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 162

GIOIA SEMINARIO

tanei lo avesse fatto e che ci si servisse ancora di periodici che erano espres-
sione di un’altra generazione, di altri valori. Diversamente dalle altre riviste
che sono più personalizzate, Controspazio è stato soprattutto un catalizzatore:
insomma si voleva dare spazio alle novità che apparivano nell’orizzonte ar-
chitettonico. In particolare questa rivista è stata giudicata da alcuni come l’or-
gano di quella che viene definita Tendenza, una specie di ritorno al
razionalismo in termini più liberi e, per così dire, caratterizzati da una forte
accentuazione della tematica della tipologia. Quindi direi che in Controspa-
zio l’aspetto personale non sia così forte: io stesso ho pubblicato su Contro-
spazio dei miei progetti, che però erano sempre un po’ in disaccordo con la
tendenza dominante. Io non sono mai stato neo-razionalista, anche se ho sem-
pre visto il razionalismo come un momento fondamentale, una radice da non
rinnegare, ma nemmeno da riproporre in termini banali.
Eupalino è stata invece una rivista successiva alla mostra della Biennale, le-
gata all’ipotesi del postmoderno. In principio c’era l’illusione che stesse na-
scendo un’architettura nuova, imparentata con quella storica di grande validità
e significato. Tuttavia non si sono ravvisati esiti notevoli, anche se alcune opere
importanti sono rimaste e rimarranno, quindi è prevalsa la delusione e questa
rivista si è esaurita e ha chiuso i battenti.
Invece Materia è incominciata quando Eupalino è entrata in crisi. In princi-
pio gestita insieme con Paolo Zermani, questa si proponeva come una rivista
di dialogo: prospettava la coesistenza pacifica tra le tendenze – un pluralismo
potremmo dire – con un tentativo di continuare l’esperienza del postmoderno
e approfondirla dando spazio anche a quello che intanto succedeva. Ma que-
sta ha cambiato volto quando al posto di Zermani è arrivato Marco Casa-
monti, un architetto molto giovane, portatore di istanze diverse, e che insieme
all’editore della rivista ha insistito perché si facessero dei numeri monografici,
utili agli architetti soprattutto al tavolo da disegno.
Attualmente la rivista non ha più steccati, è aperta a tutti, è una rivista se vo-
gliamo alquanto agnostica. Per questo ho poi creato Abitare la Terra: non sod-
disfatto di questo agnosticismo, volevo una rivista che esprimesse chiaramente
il mio pensiero, la ricerca di un’architettura della responsabilità.
E forse questa è veramente la più personale delle riviste che ho fatto, una rivi-

162
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 163

Apparati

sta in cui io stesso scelgo gli argomenti, le cose da pubblicare: non ha più quel
carattere di organo aperto che avevano le altre, proprio per la preoccupazione di
riuscire a trasmettere un messaggio preciso, piuttosto che un messaggio con-
traddittorio o estremamente vago…
G.S. Certo non è solo architettura, è anche cultura delle civiltà se vogliamo, no?
P.P. Beh, certo … Purtroppo poi c’è da dire che le riviste sono, ovviamente,
fortemente condizionate da quello che vi si pubblica, dalle opere. Per esempio
Abitare la Terra è una rivista in qualche modo in anticipo su quello che viene
pubblicato, nel senso che gli ideali della rivista vorrebbero un tentativo più ma-
turo, più sostanzioso di rapporto con le forme naturali.
G.S. Paolo Portoghesi nell’architettura italiana. Facendo una retrospettiva di
questi anni di carriera, come colloca il suo contributo? Cosa crede di aver dato al-
l’architettura di permanente?
P.P. Beh, direi che più che altro è stata una ricerca. Non spetta a me stabi-
lire quale sia o sia stato il contributo positivo che rimane. Mi accontenterei di
aver introdotto qualche interrogativo.
Certamente sono uno degli architetti italiani che hanno cercato con la pro-
pria architettura di dire cose molto precise, di dare delle strade di sviluppo, ri-
valutando, ad esempio, l’attualità del Barocco: un’arte libera che però ubbidisce
ancora a certi canoni, dunque una libertà che non è deregulation, al contrario:
in fondo soprattutto nel caso di Borromini l’architettura si sottopone a tutta
una serie di vincoli, di strategie precise, rigorose. A mio parere il Barocco è que-
sto, la libertà come risultato di un lavoro complesso e approfondito, tutto al
contrario della complicazione fine a se stessa delle nuove produzioni. Un se-
condo aspetto è la risposta al problema del luogo, l’idea che l’architettura debba
nascere dal luogo: in questo senso ho lavorato sia scrivendo, sia sperimentando
l’architettura e mi sembra che tutto sommato, considerando le opere che ho co-
struito, questo concetto emerga abbastanza bene.
Quello che in realtà è strano, e che comunque caratterizza la mia persona-
lità, è l’isolamento rispetto alla cultura ufficiale. Io sono sempre stato visto
come un ospite un po’ scomodo: potrei dire che, in definitiva, il mio rapporto
con l’architettura italiana sia un rapporto anomalo.

163
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 164

Regesto delle opere citate nel volume

Uffici Enpas. Uffici Enpas


Pistoia, 1957-’59, con Abruzzini. Lucca, 1958-’61, con Abruzzini.

Salone per gli uffici Enpas Casa Baldi


Firenze, 1958-’60, con Abruzzini. Roma, 1959-’61

Casa Andreis Casa Bevilacqua


Scandriglia, 1964-’69, con Gigliotti. Gaeta, 1966 -’73, con Gigliotti.

164
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 165

Apparati

Casa Papanice Chiesa della Sacra Famiglia


Roma, 1966 -’70, con Gigliotti. Fratte, 1969-’74, con Gigliotti.

Progetto Royal Court di Amman Moschea e centro islamico


Giordania, 1973, con Gigliotti. Roma, 1974-’95, con Gigliotti e Mousawi.

Facciata della Strada Novissima Alloggi per i lavoratori Enel


Venezia, 1969 -’74 Tarquinia , 1981-’88

Progetto di una piazza Progetto di Piazza Zama


Latina, 1984 Roma, 1988

165
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 166

GIOIA SEMINARIO

Galleria Apollodoro Restauro di Palazzo Corrodi


Roma, 1985, con Massobrio. Roma, 1969-’74, con Gigliotti.

Teatro Nuovo Politeama Ampliamento del Municipio


Catanzaro, 1988-2002. Tregnago (Verona), 1990-2006.

Chiesa di S. Maria della Pace Restauro del Quartiere Latino


Terni, 1997-2003. Treviso, 1998-

Giardino della biblioteca dell’Angelo Torre del Respiro


Calcata, 2002-’06, con Massobrio Shangai, 2005-

166
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 167

Bibliografia

L. ALTARELLI (a cura di), Allestire, Palombi, Roma 2003.


G.C. ARGAN, L’Arte Moderna, Sansoni, Firenze, 1970.
L. BENEVOLO, Introduzione all’architettura, Laterza, Bari 2003.
L. BENEVOLO, L’architettura nell’Italia contemporanea, Laterza, Bari 2006.
L. BENEVOLO, Storia dell’architettura moderna, Laterza, Bari 2005.
W. BENJAMIN, Il dramma barocco tedesco, Biblioteca Einaudi, Torino 1999.
P. BERNITSA, M. ERCADI, (a cura di) Paolo Portoghesi, Skira, Milano 2006.
J. BRIGGS, L’estetica del Caos, RED, Como 1993.
U. CAO, S. CATUCCI (a cura di), Spazi e maschere, Meltemi, Roma 2001.
C. DI STEFANO, D. SCATENA, Paolo Portoghesi designer, Diagonale, Roma 1998.
D. DICKMANN (a cura di), Saper credere in architettura. Paolo Portoghesi, Clean, Napoli 2001.
G. DORFLES, Architetture ambigue, Dedalo, Bari 1984.
M. ERCADI, G. MASSOBRIO, S. TUZI, S. Paolo Portoghesi architetto, Skira, Milano, 2001.
K. FRAMPTON, Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, Bologna, 2003 (III ed.).
S. GIEDON, Spazio, tempo, architettura, Hoepli, Milano 1984.
V. GREGOTTI, L’architettura nell’epoca dell’incessante, Laterza, Bari 2006.
V. GREGOTTI, Sulle orme di Palladio. Ragioni e pratica dell’architettura, Laterza, Bari 2000.
E. GUGLIELMI, Storia dell’architettura, Newton Compton, Roma 2006.
J. HABERMAS, Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Bari 2003.
M. HEIDEGGER, Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002.
M. HEIDEGGER, Essere e tempo, Longanesi, Milano 2005.
M. HEIDEGGER (a cura di A. Caracciolo), In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1973.
C. JENKS, The language of post-modern architecture, Academy Editions, London 1977.
J.F. LYOTARD, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981.
T. MALDONADO, Memoria e conoscenza, Feltrinelli, Milano 2005.
M.D. MORELLI (a cura di), Saper credere in architettura. Franco Purini e Laura Thermes,
Clean, Napoli 2007.
F. MOSCHINI (a cura di), Paolo Portoghesi, progetti e disegni 1949-1979, Centro Di,
Firenze, 1979
F. MUGNAI, F. PRIVITERA (a cura di), Identità dell’architettura italiana – vol. I-II-III (cata-
logo del convegno), Diabasis, Reggio Emilia 2003, ‘04, ‘05.
A. MUNTONI, Lineamenti di storia dell’architettura contemporanea, Laterza, Bari 2005.
C. NORBERG-SCHULZ, Alla ricerca dell’architettura perduta, Officina, Roma 1976.
C. NORBERG-SCHULZ, Genius Loci, Electa, Milano, 1979.
N. PAGLIARA, Dieci lezioni di architettura, CLEAN, Napoli 2007.
M. PERNIOLA, L’estetica del Novecento, Il Mulino, Bologna 1997.

167
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 168

GIOIA SEMINARIO

M. PISANI, Dialogo con Paolo Portoghesi, Officina, Roma 1989.


M. PISANI (a cura di), Paolo Portoghesi. La piazza come “luogo degli sguardi”, Gangemi, Roma 1990.
P. PORTOGHESI, Roma Barocca, Laterza, Bari 1995 (I ed. 1966).
P. PORTOGHESI, Le inibizioni dell’architettura moderna, Laterza, Bari 1974.
P. PORTOGHESI (a cura di), La presenza del passato, catalogo della prima mostra interna-
zionale di architettura, La Biennale di Venezia, 1980.
P. PORTOGHESI (a cura di), La presenza del passato, numero speciale di Controspazio
dedicato alla prima mostra internazionale di architettura della Biennale di
Venezia, Dedalo, Bari, 1980.
P. PORTOGHESI, Dopo l’architettura moderna, Laterza, Bari 1980.
P. PORTOGHESI, L’angelo della storia. Teoria e linguaggi dell’architettura, Laterza, Bari 1980.
P. PORTOGHESI (con Borsi F.), Victor Horta, Laterza, Bari 1982.
P. PORTOGHESI, Postmodern. L’architettura nella società postindustriale, Electa, Milano, 1982.
P. PORTOGHESI, R. SCARANO (a cura di), Il progetto di architettura, Newton, Roma 1999.
P. PORTOGHESI, Natura e Architettura, Skira, Milano 2000.
P. PORTOGHESI, (a cura di C. di Stefano e M. Pisani) I grandi architetti del Novecento,
Newton & Compton, Roma 2001.
P. PORTOGHESI, Geoarchitettura, Skira, Milano 2005.
P. PORTOGHESI, Leggere e capire l’architettura, Newton Compton, Roma 2006.
C. POZZI, Ibridazioni architettura/natura, Meltemi, Roma 2003.
L. PRESTINENZA PUGLISI, Silenziose avanguardie. Una storia dell’architettura 1976-2001,
testo & immagine, Torino 2001.
I. PRIGOGINE, Le leggi del Caos, Laterza, Bari 1993.
G. PRIORI, Simpatia delle cose, Stoà Edizioni d’Arte, Roma 1982.
G. PRIORI (a cura di), Paolo Portoghesi, Zanichelli, Bologna 1985.
G. PRIORI, L’architettura ritrovata, Kappa, Roma 1985.
G. PRIORI, La poetica dell’ascolto, Clear, Roma 1988.
G. PRIORI, Scatena D. (a cura di) Imre Makovecz, Fratelli Palombi, Roma 2001.
G. PRIORI (a cura di), Almanacco di Architettura, Kappa, Roma 2004.
F. PURINI, Sette paesaggi, Electa, Milano 1989.
M. TAFURI, F. DAL CO, Architettura Contemporanea, Electa, Milano 1979.
M. TAFURI, Storia dell’architettura italiana 1944-1985, Einaudi, Torino 1986.
R. VENTURI, D. SCOTT BROWN, S. ISENOUR, Learning from Las Vegas, The MITT Press,
Massacchussets 1972.
R. VENTURI, Complessità e contraddizioni nell’architettura, Dedalo, Bari 2005(VII ristampa).
P. VIRILIO, Lo spazio critico, Dedalo, Bari 1998.
F. Ll. WRIGHT, La città vivente, Einaudi, Torino 1991.
B. ZEVI, Storia dell’architettura moderna, Einaudi, Torino 1996 (I ed. 1950).
B. ZEVI, Cronache di architettura – III volume, Laterza, Bari 1970
B. ZEVI, Architettura della modernità, Newton & Compton, Roma 2004

168
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 169

Indice degli articoli consultati

ABITARE LA TERRA
n. 5 - 2004-’05 P. PORTOGHESI, Un direttore o un governatore? (editoriale)
n. 17 - 2007 P. PORTOGHESI, La chimera decapitata, ovvero: il re è nudo (editoriale)
ARCHITECTURAL REVIEW
n. 747 - 1959 R. BANHAM, Neoliberty – The Italian retreat from modern architecture
ARCHPHOTO - (Rivista Digitale di Architettura, Arti visive e Cultura)
Gen - 2005 F. PURINI, Questioni di paesaggio
AREA
n. 47 - 1999 A. DE POLI, Natura e architettura
CASABELLA
n. 215 - 1957 R. GABETTI e A. ISOLA, L’impegno della tradizione - V. GREGOTTI, L’im-
pegno della tradizione - E. N. ROGERS, Continuità o crisi? (editoriale)
n. 216 - 1957 E. GENTILI, Ortodossia dell’eterodossia
n. 228 - 1959 E. N. ROGERS, L’evoluzione dell’architettura - Risposta al custode
dei frigidaires
n. 242 - 1960 L.BENEVOLO, consuntivo delle recenti esperienze urbanistiche italiane
n. 268 - 1962 F. TENTORI, Stasi e dinamica nel panorama italiano1962
n. 277 - 1963 A. SAMONÀ, Alla ricerca di un metodo per la nuova dimensione
n. 307 - 1966 P. PORTOGHESI scrive a R. Pane, Lettere a Casabella
n. 309 - 1966 P. PORTOGHESI, La mostra “Parabola 66”
n. 314 - 1967 AA.VV., Il patrimonio storico e il mondo moderno: aspetti italiani
n. 318 - 1967 C. GUENZI, con F. BORSI (coordinatore), Revivals e storicismo
nell’architettura italiana contemporanea, dialogo con Gabetti e Portoghesi
n.350 - 1970 P. PORTOGHESI, Atti del Convegno Internazionale di Studi sul Design
n.464 - 1980 T. MALDONADO, Il movimento moderno e la questione ‘post’
O. CALABRESE (a cura di), La tecnica delle avanguardie
Intevista a Tafuri
n.624 - 2001 P. PORTOGHESI, Le possibilità del passato - Recensione alla monografia
su Ezio Bonfanti - Nuovo e Moderno in architettura

169
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 170

GIOIA SEMINARIO

COMUNITÀ
n. 65 - 1958 P. PORTOGHESI, Dal neorealismo al neoliberty
n. 75 - 1959 P. PORTOGHESI, La «scuola romana»
CONTROSPAZIO
n. 2/3 - 1969 P. PORTOGHESI, Una critica della condizione architettonica
n. 7 - 1969 P. PORTOGHESI, Roma senza cuore
n. 6 - 1971 P. PORTOGHESI e V. GIGLIOTTI, Ricerche sulla centralità - Progetti dello stu-
dio di Porta Pinciana
n. 10/11 - 1971 C. MELOGRANI, F. BERLANDA, R. NICOLINI, A. ROSSI, P. PORTOGHESI,
Cronaca di una polemica
n.1 - 1973 R. NICOLINI, Distinguere le ragioni - P. PORTOGHESI,Milano-Une saison en enfer
n. 3 - 1974 G. MURATORE, Gli anni della ricostruzione
n. 4 - 1975 Ch. NORBERG-SCHULZ, di Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti 1971-75
P. PORTOGHESI, La ricerca continua
n. 4/5 - 1977 C. D’AMATO, Memoria, storia e questioni di stile nell’esperienza del neoliberty
P. PORTOGHESI, Dentro la storia e fuori delle storie
n. 1/6 - 1980 P. PORTOGHESI, Il riemergere degli archetipi
CORRIERE DELLA SERA
28/08 - 2000 L. BARZINI, 1900, un sogno viennese
09/07 - 2003 G. PULLARA, Portoghesi: «Qualità e regole, così si usa la città»
25/07 - 2005 P. CONTI, Portoghesi: «Non una, mille moschee per battere il terrore»
03/04 - 2006 P. PORTOGHESI, L' aspirazione allo spazio vuoto
15/12 - 2006 Paolo Portoghesi. Contro il caos, salviamo la memoria
COSTRUIRE
n. 200 - 2000 Il viaggio di Portoghesi. Natura e Architettura
COSTRUIRE IN LATERIZIO
n. 28 - 1992 M. PISANI (a cura di), Paolo Portoghesi «I materiali»
n. 38 - 1994 M. PISANI, Intervista ad Adolfo Natalini
n. 97 - 2004 C. DONATI, Un dialogo con Adolfo Natalini
DOMUS
n. 415 - 1964 A. PICA, Apparato per una nuova lettura di Michelangiolo
n. 447 - 1967 A. PICA, Recensione a Roma Barocca
n. 780 - 1996 P. PORTOGHESI, Verso una nuova architettura organica
n. 818 - 1999 P. PORTOGHESI, Imparare dalla Natura
EDILIZIA MODERNA
n. 82/83 - 1964 AA.VV., Giudizi e Problemi - P. PORTOGHESI, Tipi e simboli

170
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 171

Apparati

EUPALINO
n. 1 - 1982 C. D’AMATO, L’immagine di una fanciulla di Corinto - I. CALVINO,
La città - P. PORTOGHESI, R. GUARINI, Dialoghi – Perché Eupalino
n. 2 - 1982 P. CHESSA, G. AGAMBEN, Dialoghi - Il pensiero dell’epoca
n. 4 - 1982 P. GALLINA, Le strutture silenziose - G. BILANCIONI, Emblemata moderna
n. 5 - 1983 G. PETRASSI, P. GALLINA, Dialoghi - L’usignolo meccanico
n. 6 - 1983 C. OLMO, G. VATTIMO, Dialoghi - Filosofia della città
FLOORNATURE (WWW.FLOORNATURE.IT)
2003 C.VISENTIN, Intervista a Paolo Portoghesi
GEOMETRI
n. 1/2 - 1993 P. PORTOGHESI, Palazzo Corrodi, nuova sede della Cassa
n. 3/4 - 1993 F. LOMBARDI, Palazzo Corrodi, inaugurazione ufficiale
IL MESSAGGERO
07/10 - 1980 E. SALZANO, Il formalismo in architettura
INTERNI
n. 501 - 2000 M. VERCELLONI (a cura di), Natura e Architettura
L’ARCA
n. 145 - 2000 C. STRANO, È pur sempre natura
L’ARCHITETTURA CRONACHE E STORIA
n. 46 - 1959 B. ZEVI, L’andropausa degli architetti moderni italiani
n. 86 - 1962 B. ZEVI, Casa Baldi nell’ansa della Flaminia a Roma
n. 104 - 1964 P. PORTOGHESI, Mostra critica delle opere michelangiolesche al Palazzo
delle Esposizioni di Roma
n. 37 - 1967 P. PORTOGHESI, Casa Andreis a Scandriglia, Rieti
n. 10 - 1980 B. ZEVI, A Venezia lo zombie postmodern (editoriale)
n. 11 - 1980 B. ZEVI, Commenti al postmodern (editoriale)
n. 12 - 1980 B. ZEVI, Post-Industrialism = Organic
LA REPUBBLICA
11/08 - 1980 L. SEMERANI, La Biennale di architettura a Venezia
23/10 - 1980 A. ARBASINO, Cartoline da Venezia. Fa cucù Debussy
tra federe e trapunte
L’ESPRESSO
n. 48 - 1971 P. PORTOGHESI, L’architetto è un fossile, chi lo nega va in castigo

171
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 172

GIOIA SEMINARIO

LEONARDO.IT (WWW.LEONARDO.IT)
20/06 - 2001 F. ORLANDI, F. R. COSSU (a cura di) Architettura compatibile
(intervista)

MATERIA
n. 17 - 1994 P. PORTOGHESI, Natura e Architettura
n. 31 - 2000 A. DE POLI, Paolo Portoghesi: Architettura e Natura
n. 35 - 2001 P. PORTOGHESI, Luoghi di transito (editoriale)
n. 36 - 2001 P. PORTOGHESI, legno (editoriale)
n. 37 - 2002 P. PORTOGHESI, Costruire a secco (editoriale)
n. 38 - 2002 P. PORTOGHESI, Un ospedale umanistico (editoriale)
n. 39 - 2002 P. PORTOGHESI, Pietre di cava e“nuove pietre” (editoriale)
n. 42 - 2003 P. PORTOGHESI, Nuovi materiali (editoriale)
n. 43 - 2004 P. PORTOGHESI, Industrial design e modernità (editoriale)
n. 44 - 2004 P. PORTOGHESI, Preistoria dell’albergo (editoriale)
n. 45 - 2004 P. PORTOGHESI, Il mito Ferrari (editoriale)
n. 46 - 2005 P. PORTOGHESI, Cemento armato (editoriale)
n. 47 - 2005 P. PORTOGHESI, La residenza collettiva (editoriale)
n. 48 - 2005 P. PORTOGHESI, Cuocere la terra (editoriale)
n. 53 - 2007 P. PORTOGHESI, Grandi luci: il ponte (editoriale)

MODO
n. 202 - 2000 G. PELLEGRINI, Natura e Architettura
MODULO
n. 311 - 2005 E. BURRONI, Adolfo Natalini
MONDO
n. 2 - 2006 AA. VV., Natalini Architetti.University of Florence
OPPOSITIONS
n. 10 - 1977 P. JOHNSON, Reflections: on Post-Modernism
UTOPIA, UTOPIA...
1970 M. CASCAVILLA, Frammento radiofonico di un dialogo tra
Portoghesi e Nicolini

ZODIAC
n. 7 - 1960 P. PORTOGHESI, Architettura e ambiente tecnico

172
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 173

Ringraziamenti

L’autrice ringrazia quanti, a vario titolo, hanno contribuito alla stesura di questo testo
ed in particolare:

lo STUDIO PORTOGHESI, soprattutto l’arch. Maria Ercadi, per aver collaborato alla sele-
zione del materiale iconografico presente nel volume;
il prof. Arch. Mario dell’Acqua, Tutor nella ricerca di dottorato, per aver fornito diversi
spunti critici fondamentali alla definizione del presente testo;
il prof. Arch. Alberto Cuomo e tutto il collegio del Dottorato di ricerca in PROGETTA-
ZIONE ARCHITETTONICA E URBANA – COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA dell’UNIVERSITÀ
FEDERICO II DI NAPOLI
il Dott. Ambrogio Ambrogetti, per il materiale iconografico e documentario fornito
per la ricerca
il prof. Arch. Giancarlo Priori ed il prof. Arch. Claudio Roseti, per il costante interes-
samento e la viva collaborazione allo sviluppo della ricerca
infine, il prof. Arch. Lucio Valerio Barbera per la preziosa collaborazione.

173
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 174

Indice generale

NOTA DELL’EDITORE............................................................................................................................................. 9
PRESENTAZIONE........................................................................................................................................................ 11
PREFAZIONE................................................................................................................................................................. 13

PREMESSA: Il riflesso dell’anima


L’architettura come forma espressiva.......................................................................................................... 25
Dove nasce l’ispirazione....................................................................................................................................... 28

PARTE PRIMA: La ricerca dell’armonia


Dopo la “frattura” moderna. La ricerca di una nuova espressività......................................... 43
Dallo spazio al luogo: il segno diventa linguaggio............................................................................... 48
L’interpretazione della prospettiva storica dalla modernità al post-moderno.......................... 65
La riscoperta della semplicità esuberante................................................................................................. 86

PARTE SECONDA: L’armonia nelle forme


Progettare con la memoria viva....................................................................................................................... 105
Il disegno di un istante: la poetica delle dissolvenze incrociate.................................................... 109
Far rivivere i luoghi: un percorso tra memoria e ricerca................................................................. 118
Il progetto negli anni Ottanta come nuova percezione della storia.......................................... 131
Costruire per collaborare con la Terra....................................................................................................... 146

APPARATI
Un’intervista a Paolo Portoghesi.................................................................................................................... 157
Regesto delle opere citate nel volume............................................................................................................. 164
Bibliografia..................................................................................................................................................................... 167
Indice degli articoli consultati........................................................................................................................... 169

174
apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 175

Paolo Portoghesi negli anni ‘70.


apparati:Layout 1 20/01/2009 23.13 Pagina 176

Finito di stampare presso


Cangiano Grafica in Napoli
nel mese di Gennaio 2009

E.S.A. - Edizioni Scientifiche e Artistiche


© 2009 Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata
www.edizioniesa.com info@edizioniesa.com
tel. 081 3593146 - 339 8774962

Potrebbero piacerti anche