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IL DOSSIER DI SAN DOMENICO DI SORA


da Alberico da Montecassino a Giacomo da Varazze

Francois Dolbeau

Domenico di Foligno, morto a Sora nel 1031, è una figura caratteristica di un’epoca
che aspira alla riforma. Violento contro i preti sposati, visse lontano dai centri urbani,
praticando in alternanza la vita anacoretica e di cenobio. Egli fondò dapprima in
Sabina, poi ai confini dell’Abruzzo e del Lazio meridionale vari monasteri, tra i quali
alcuni furono donati in seguito al potere delle abbazie di Farfa e Montecassino. (1)
Il suo dossier agiografico è abbondante e complesso. I Bollandisti nel 1882 ne hanno
proposto una prima interpretazione (2) che la classifica nella BHL sotto i numeri
2241/2246. Don Anselmo Lentini ha suggerito da allora una soluzione differente,
secondo la quale “il testo più autorevole” sarebbe non la vita prima dei Bollandisti
(BHL 2241) ma quella che fu composta verso il 1060 da Alberico di Montecassino
(BHL 2244).(3) A dire il vero la sua analisi è piuttosto imbarazzante, e non ha affatto
convinto gli storici che continuano ad accordare la loro preferenza alla classifica
anteriore.(4) La mia intenzione è di riprendere questa questione su nuovi

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fatti e presentare una soluzione che si distingue radicalmente dalle precedenti,
riprendendo alcuni suggerimenti di Lentini.

1. GLI ELEMENTI DEL DOSSIER AGIOGRAFICO


Nello stato attuale della nostra conoscenza, il dossier di San Domenico è un puzzle di
8 pezzi di cui 3 solamente (BHL 2241, 2242 e 2244) sono da ritenere di interesse. Al
fine di fornirne una descrizione oggettiva, rinuncerò ai termini insidiosi di vita prima,
seconda ecc. e seguirò per maggiore chiarezza la numerazione attribuita dai
Bollandisti. (5)
Al n. 2241 corrisponde una Vita di lunghezza media, (6) sprovvista di miracoli post –
mortem. L’autore, Giovanni, si presenta in epilogo come un discepolo e familiare del
santo. Il suo racconto mette l’accento sulla fondazione di S. Bartolomeo di Trisulti e
dei prodigi compiuti in questo luogo. I Bollandisti l’hanno pubblicata seguendo una
copia oggi andata perduta, che avevano scoperto nei loro archivi e che dipendeva da
una trascrizione appartenuta a Costantino Gaetano (Roma, Bibliot. Aless., 91, pars.2,
f. 326-337v), quest’ultima deriva essa stessa da una copia eseguita nel 1597 da un
prete della Cattedrale di Anagni. (7)

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Il n. 2242 è una copiosa raccolta di miracoli, ante-mortem e post-mortem, che
inquadra una relazione degli ultimi giorni e della morte del santo.(8) Secondo
Lentini, l’autore sarebbe un monaco di Sora, operante nel 1090,(9) datazione
contestata da S. Boesh Gaiano, che preferiva piazzare il testo nel decennio 1060-
1070.(10) L’apografo utilizzato dai Bollandisti, scomparso come il precedente,
derivava da una copia di inizio XVII secolo (Roma, Biblioteca Vallicelliana H18,
f.413-432v). (11)
Il n. 2243 restato inedito racchiude, nello stesso tempo, una vita completa e alcuni dei
Miracoli post mortem. Secondo la classificazione dei Bollandisti, questo insieme
sarebbe la maglia intermedia tra il 2241 - 2242 ed il 2244. Sarebbe dunque anteriore
alla versione d’Alberico di Montecassino, datata verso il 1060.(12) L’unico testimone
reperito è una copia dei primi anni del XVII secolo (Roma, Bibliot. Aless. 91, pars. 2
347-359v), tratta da un manoscritto di Trisulti.(13)
I nn. 2244 e 2245 rinviano a due recensioni nettamente differenti d’una stessa vita,
senza Miracoli post mortem, che è unanimemente

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attribuita al diacono Alberico (14). Lentini, per pubblicare queste due versioni, si è
appoggiato ai manoscritti cassinesi.(15) La Vita 2244 (ms. A) è l’unica a menzionare
Alberico nella sua rubrica iniziale ed a comportare un prologo dove l’agiografo
critica in termini vivaci l’opera di un predecessore: (16) “la nascita, la vita, la morte
del venerabile padre Domenico, ed una scelta di miracoli che la benevolenza celeste
ha degnato di operare tramite la sua intercessione, quando egli gioiva ancora del
soffio vitale o dopo la sua evasione dalla prigione della carne, sono stati riportati da
qualcuno in una lingua molto imbarazzanti e priva di eleganza. Come l’autore ha
raccontato alcuni fatti diversamente da come si sono svolti – ciò che è a mio parere
imputabile al suo informatore -, la sua storia, già difettosa nello stile, è diventata più
difettosa ancora per via della distorsione della verità….”. Ad eccezione di questa
prefazione, la recensione 2245 (ms. D) riproduce in sostanza il tenore della 2244, ma
sotto forma rimaneggiata ed un po’ riassunta, almeno nella sua prima metà; di qualità
mediocre, essa permette ciononostante di colmare una lacuna evidente nel racconto
dell’altra famiglia.(17)
La Vita 2245b non è mai stata stata studiata per se stessa. Il numero che le fu attibuito
nel 1911 (18) mostra che i Bollandisti ci

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videro una terza recensione dell’opera di Alberico. Padre Albert Poncelet scoprì
questo pezzo prima a Roma, poi a Napoli, in due copie del XVII secolo.(19)
Il n.2246 non è una biografia vera e propria, ma un corto sermone esortativo, che
riproduce alcuni episodi tratti da 2241. (20)
Citiamo, infine, in memoria, tre inni in onore di Domenico, che si leggono – sotto il
nome di Alberico – in una raccolta di Montecassino. Il loro primo editore li aveva
restituiti senza esitare al redattore del 2244.(21) Ma Lentini ha mostrato che questi
inni dipendevano essenzialmente dai Miracoli (2242): ha anche suggerito di non
attribuirli ad Alberico, per restituirli all’autore supposto dei suoi Miracoli.(22)
II – PROBLEMI POSTI DAL DOSSIER
I pezzi che fino ad oggi sono stati al centro discussioni, ossia 2241, 2242 e 2244,
sono in relazione molto stretta. Per convincerci, basta mettere a confronto i tre
racconti paralleli degli ultimi giorni del santo. (23)

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(testo latino)
Non solamente i fatti sono del tutto raccontati nella stessa maniera ma esistono anche
delle parentele innegabili anche sul piano del vocabolario. Alcune formule si
ritrovano nelle tre colonne (“ latino “), altre associano strettamente 2241/2244 contro
2242 (“ latino “), altre 2242 e 2244 contro 2241 (“ latino “). Il solo caso di figure che
non si incontrano mai è l’accordo 2241/2242 contro 2244. Queste constatazioni, che
potremo verificare sull’insieme dei tre pezzi, portano a proporre lo schema seguente,
nel quale le sigle alfa e beta simboleggiano i due tipi possibili di relazione bilaterale:
(schema)
Ma come orientare lo schema, perché diventi uno stemma verosimile?
La soluzione proposta nel 1882 consiste a sollevare nello stesso tempo 2241 e 2242;
2244 diventa allora una sorta di risultato dove confluisce l’insieme delle tradizioni
anteriori. Comunque, siccome la Vita criticata da Alberico era completa,(24) non può
trattarsi né di 2241 (che non racchiude alcun

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miracolo post mortem), (25) né del 2242 (dove non figurano né ortus né vita): era
dunque indispensabile per i Bollandisti postulare un’intermediario, identificato da
una semplice deduzione, ma senza vera discussione con il 2243.
Arriviamo così allo schema successivo:
(schema)
Costruzione ingegnosa ma indifendibile, che non spiega affatto gli accordi
2241/2242/2244 (del tipo “ latino”, in passaggi ove il 2243 trasmette un testo
riscritto.(26) La distinzione fatta tra il modello di Alberico e 2241/2242 è in cambio
un acquisizione definitiva.
La soluzione di Lentini è nettamente più coerente. Essa consiste nel sollevare lo
schema relazionale discusso più in alto del posto della sigla alfa. L’archetipo della
nostra tradizione sarebbe la vita perduta, criticata da Alberico, da cui deriverebbero
indipendentemente 2241 e 2244; le sembianze tra 2244 (l’opera meglio documentata)
e 2241 proverrebbero dal ricorso ad uno stesso modello; i Miracoli 2242 sarebbero
più tardivi ed hanno improntati alcuni frammenti del testo di Alberico.
(schema)
Una tale costruzione è plausibile, anche se ignora una grande quantità di problemi e
non prende in molta considerazione il resto del dossier.
Essa obbliga comunque ad abbassare la data dei Miracoli 2242, che S. Boesh Gaiano,
con

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degli argomenti solidi, (27) considera come quasi contemporanei al 2244.
Per spiegare la genesi e l’arricchimento di un dossier agiografico, due condizioni
sono indispensabili: porre correttamente i problemi, prendere conto dell’insieme dei
dati disponibili, senza fare selezioni a priori. Non si tratta, in realtà di classificare tre
testi, ma 8. Solo il compimento di un puzzle dimostra che ognuno dei pezzi vi ha
trovato un posto esatto. Ora due questioni essenziali non sono mai state seriamente
abbordate:
1) i miracoli 2242 sono completi?
Tre motivi obbligano a rispondere di no. Dapprima, la struttura disunita dell’opera
(miracoli ante mortem, morte, miracoli post mortem),(28) poi un inizio “ex abrupto”
del quale non conosco altro esempio (“ latino ”) infine la presenza di quattro rinvii,
sprovvisti di giustificazione interna:
(testo latino)
Il primo di questi rinvii potrebbe al limite spiegarsi dal tenore di 2244, il primo ed il
quarto dal tenore del 2241. Ma che fare degli altri riferimenti e come giustificare la
struttura del testo ed il carattere “abrupt” del suo “incipit”? La soluzione è la più
conveniente mi sembra consistere a formulare una doppia ipotesi:
a) la presunta raccolta dei miracoli non è altro che la parte finale di una vita
completa;
b) l’inizio del testo, non coincidendo né con il 2241 né con il 2244, resta da
identificare.
2) Un problema analogo è posto anche dall’opera che gli anziani

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bollandisti, Mabillon e Lentini hanno divulgato sotto il nome di Alberico. Questa vita
2244 è veramente completa?
Anche qui, molti argomenti massivi forzano a rispondere in modo negativo. Fin dal
XVIII secolo, come l’ha annotato Lentini, (29) la recenzione 2244 è pubblicata
seguendo un unico esemplare: il cassinese 101.
Ora questo manoscritto attesta diverse rubriche liturgiche: “lectio VIII”, davanti al
prologo, “lectio VII”, all’inizio del testo. Si tratta, dunque, di un lezionario, cioè di un
tipo di raccolta dove i pezzi sono spesso troncati e ridotti al bisogno stretto della
funzione monastica. Nel caso particolare del 2244, le tracce dei tagli effettuati sono
ancora evidenti, visto che esiste almeno un salto nel racconto che ha costretto Lentini
a rappezzare il testo con l’aiuto della recensione 2245.(30) Questa seconda versione,
del resto, non offre migliori garanzie, nella misura in cui essa stessa taglia il prologo,
e riassume i primi capitoli.
Fin dal 1643, d’altra parte, nell’introduzione e nelle note della loro edizione principe
(31), gli antichi Bollandisti hanno fatto cenno ad una recensione più sviluppata,
attribuita anch’essa ad Alberico.
(pezzo latino)
Per spiegare questo stato di cose, i gesuiti di Anversa avanzarono due ipotesi,
preferendone la seconda: carattere
16
abbreviato del manoscritto cassinese, carattere interpolato della vita prolissa,
risultante sia da addizioni posteriori, sia da una contaminazione della vita antica di
partenza, citata nella prefazione. (34)
Questa allusione ad una recensione lunga della vita di San Domenico è lontana
dall’essere isolata. Nel suo commento, al De viris illustribus di Pietro Diacono, nel
1655, Giovan Battista Mari menziona espressamente l’esistenza di lacune nella
versione degli Acta Sanctorum di Gennaio.(35) E’ un po’ sorprendente che il Lentini,
i cui lavori su Alberico sono autorevoli,(36) non si sia mai posto questo problema.
Conosceva, però una biografia del Santo elaborata da Jacobilli (37) ove affluiscono
anche alcuni frammenti di tradizione, assenti dalla recensione 2244. (38)
La conclusione di questa fase dell’inchiesta mi sembra chiara. E’ difficile ricostituire
un puzzle, dove mancano alcuni pezzi. Se vogliamo comprendere come si è formato
il dossier di Domenico di Sora, non bisogna limitarsi ai testi pubblicati, ma ricercare
a priori la sezione iniziale del 2242 e questa recensione lunga di Alberico che
circolava tra gli eruditi del XVII secolo.

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III – IL TESTO ORIGINALE DI ALBERICO
Una volta posto in questi termini il problema, il seguito dell’inchiesta diventa un
gioco da bambini. Le due copie conosciute di 2242 sono infatti precedute dal testo
2245b, che non è ancora stato esaminato, ma che è facile procurarsi in microfilm.
D’altra parte, la vita italiana di San Domenico di Sora, che i Bollandisti evocarono di
seconda mano nel 1643, è diventata facilmente accessibile grazie ai lavori dei
biografi moderni: (39) si tratta di un’opera pubblicata a Roma nel 1604 da Gasparo
Spitilli.(40) La consultazione di questa documenti fornisce una risposta a quasi ogni
domanda sollevata finora: l’insieme 2245b+2242 (=Dom) è il modello latino di
Spitilli e corrisponde a ciò che i sapienti del XVII secolo chiamavano vita prolixa di
Alberico. Se Dom. si rivela autentico, la recensione 2244 diventa allora un semplice
estratto, a destinazione liturgica, di un originale molto più esteso: le lunghezze
rispettive delle due opere sono in effetti in un rapporto di 5:1.(41) La mia
ricostituzione di Dom. si appoggia sulle due copie reperite, che risalgono ai primi
anni del XVII secolo (42) e sulla traduzione italiana di Spitilli:
-Roma, Biblioteca Vallicelliana, H 18, f. 407-432v (=R);
-Napoli, Biblioteca Naz. Brancaccio, II B 1, f. 315v-332 (=N);(43)
-G. Spirilli, Vita di San Domenico da Fuligno, Roma, 1604, p. 7-46 (=Sp).
Gli elementi comuni a R. N. Sp. sono i seguenti:

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(testo latino)
La copia napoletana attesta, in più, un prologo identico a quello di 2244:
(testo latino)
L’insieme Dom. così ricostituito - con o senza prologo – non contiene alcun
duplicato, e la sua coerenza è perfetta. Il racconto 2245b, largamente inedito, elimina
la lacuna che è presente nel 2244 (45) e spiega i quattro rinvii interni di 2242. (46) Il
problema posto dall’incipit e la struttura aberrante dei Miracula sparisce, visto che le
sezioni da 2 a 4 non sono autonome. Si rileva inoltre che nella parte iniziale, tutti i
nomi delle persone, tutti gli aneddoti che evocano l’erudizione antica di cui l’origine
resta incognita. Dom. infine, come vedremo più in là, è di uno stile omogeneo e
racchiude dei parallelismi evidenti con le opere di Alberico. Malgrado il carattere
recente delle trascrizioni disponibili, vedo male qualsiasi argomento possa prestarsi
ad incitare al rigetto dell’autenticità globale di questa vita prolixa.
Vi è il dubbio che l’archetipo di R.N. abbia mai posseduto il prologo e menzionato
esplicitamente il nome di Alberico. Le due trascrizioni del XVII secolo sono
mediocri, ma la copia romana è molto superiore

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alla napoletana. Lo scriba di R. penava apparentemente a decifrare le abbreviazioni
medievali, così che un revisore spesso interviene per riempire i bianchi lasciati dalla
prima mano. (47). Questo revisore è anche responsabile, purtroppo, di un certo
numero di cancellature e di addizioni interlineari, destinate a rendere più classico il
vocabolario e la sintassi del modello. Inoltre N. coincide normalmente con i testi di
R. dopo correzione, anche quando queste ultime sono, all’evidenza, delle
banalizzazioni (48): la copia napoletana dipende, dunque, dalla precedente. Secondo
questa rubrica primitiva, R. fu trascritta sulla base di un manoscritto conservato a
Sora: “testo latino“. E’ soltanto in un titolo fabbricato posteriormente e copiato su
una linguetta aggiuntiva che figura il nome dell’agiografo cassinese: “testo
latino“(49). La traduzione italiana fu fatta a partire da una copia senza prologo,
analoga ad R. (50): l’attribuzione del testo a “Alberico Diacono” nella prefazione di
Spitilli, deriva da una deduzione erudita, fondata su un confronto con la Chronica di
Montecassino (51). Nella misura in cui N. dipende da R., per

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tutto il resto,(52) la presenza singolare del prologo vi risulta senza dubbio da una
contaminazione con una delle copie moderne del 2244. (53)
Questa suggestione non rimette per nulla in causa l’attribuzione di Dom. ad Alberico,
visto che la soppressione delle prefazioni è banale nelle leggende medievali. E’
naturale che a Sora, vale a dire dove il culto di Domenico era il più attivo, si è
conservati Vita e Miracoli nella loro integralità (2245b+2242), ad eccezione di un
prologo privo di liturgia. A Montecassino invece, dove Domenico era solamente una
figura secondaria, si è praticati dei tagli importanti nel testo primitivo (da dove deriva
la recensione 2244), ma si conservano le dichiarazioni iniziali dell’agiografo
cassinese. La storia del testo può essere riassunta nello schema seguente:
(schema)
In R e Sp., l’attribuzione ad Alberico è il risultato di un’inchiesta erudita. E’ facile, in
effetti, osservare che, messo da parte il prologo, la recensione firmata 2244 è inclusa
nell’insieme più vasto 2245b+2242. Il copista di N. non ha fatto altro che ristabilire
l’opera originale, combinando astutamente le due tradizioni. Visti i testimoni che
sono stati citati, la data dell’insieme Dom. non può essere affatto inferiore al 1060 –
1065. I Miracoli 2242 non hanno più un’esistenza isolata, anche se fino ad ora erano
stati considerati fino ad oggi come indipendenti ed anonimi: (54) essi ritrovano d’ora
in avanti

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il loro vero autore ed il loro contemporaneo della vita propriamente detta, come
l’aveva supposto a giusto titolo S. Boesh Gaiano.(55)
L’unità dello stile tra le differenti parti di Dom. (prologo, 2245b, 2242) è innegabile.
Se l’opera di Alberico era stata pubblicata sotto questa forma dal XVII secolo, la sua
autenticità non sarebbe probabilmente mai stata discussa. Lentini aveva già notato
che un’espressione del prologo era stata ripresa, per lo stesso personaggio, nel 2242:
(testo latino)
Siccome incontrava delle formulazioni vicine nelle due opere di Alberico, (56) egli
faceva di questi raffronti un indice che confermava “l’anteriorità di Alberico di fronte
ai Miracula”(57). Deduzione errata, visto che ora si tratta, in realtà, di un tic d’autore.
Gli esempi dello stesso tipo potrebbero senza difficoltà essere moltiplicati. Due
miracoli riportati il primo in 2245b, il secondo in 2242, sono esattamente simmetrici:
(testo latino)
Tra i testimoni recensiti nel prologo, figurano dei miracolati esibiti dai monaci di
Sora: “testo latino“ L’epilogo di un miracolo relazionato nel 2242 illustra a
meraviglia questa affermazione preliminare:

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(testo latino)
Ecco del resto il modo di cui i garanti dell’opera agiografica sono menzionati tutto
lungo il lavoro.
(testo latino)
Il ritorno dei sostantivi, testes/personae, degli aggettivi fideles/idonei, del participio
comperta manifesta una continuità perfetta nella scelta del vocabolario.
I raffronti sono ugualmente molto numerosi tra Dom. e gli altri testi di Alberico. Le
opere agiografiche del diacono cassinese debbono essere ripartite in tre serie
differenti.(58) La Vita di Aspreno e la passione di Modesto (BHL 725 e 5983d) sono
scritte in un stile sofisticato e con sinonimi, posti sotto il patronato di Giovanni
Crisostomo.(59) Dom. e la Passione di Cesare (BHL 1514+1518) (60) appartengono
ad un registro meno pedante, che l’autore stesso qualifica come “mediocre”.(61)

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I pezzi in onore di Scolastica rappresentano una forma intermediaria, più vicina alla
seconda che alla prima.(62) E’ dunque, prima di tutto, nella Passione di Cesare
(Caes.) (63) ed in modo minore nella vita di Scolastica (Scol.) (64), che scopriamo i
parallelismi più significativi: (65)
(testo latino)
Nella vita di Scolastica, Lentini aveva rilevato due usi di una parola rara:
“latino“(66). Il termine è effettivamente caro ad Alberico, visto che si legge anche in
Caes. 156a: “latino“. I miracoli di Domenico ne presentano non meno di tre
ricorrenze: “latino“.

24
“latino” (196,239,322). (67)
Tramite la lingua e lo stile, la Vita ed i Miracoli di Domenico formano, dunque,
un’opera omogenea, che si inserisce molto bene nella produzione di Alberico; la
scoperta della sezione 2245b come abbiamo mostrato prima, risolve molti problemi, e
non esiste alcuna ragione di vederci un testo interpolato.
Se dubitavamo ancora dell’autenticità di Dom., è facile organizzare una controprova,
mostrando che la recensione 2244 risulta dall'’intervento metodico ed intellegibile di
un’abbreviatore. Quest’ultimo, desideroso di riportare il testo ad una lunghezza adatta
ai bisogni liturgici, trattiene dapprima le prime 31 frasi di Dom.; pratica in seguito dei
tagli sempre più drastici, con il fine di preservare un po’ di posto per la morte del
Santo: omette così le fasi 32-37, senza preoccuparsi del salto provocato nel racconto,
poi 42/44, 47/50, 56, 58/60, 62, 65/114, 117, 123/124, 131/134, 136/152, 159/203. In
un primo tempo (tra 38 e 65), egli cerca di seguire la trama del racconto, eliminando
soltanto i dettagli inutili; è portato, poi, a rimaneggiare di più il suo modello,
introducendo dei ritocchi stilistici o effettuando alcune trasposizioni; è obbligato
infine a saltare alcuni episodi interi, per arrivare più velocemente agli ultimi giorni di
Domenico (204/214); interrompe il suo lavoro di raccolta fino a dopo l’inumazione
del Santo.(68) Ecco, a titolo di esempio, la sequenza 57/65, nella quale i tagli
effettuati sono impressi in italico:
(testo latino)

25
(latino)
Uno spirito metodico è così all’opera: conserva l’inizio di ogni aneddoto, segnalata
da una transizione temporale (-latino-) ma allontana sistematicamente gli sviluppi
vani (58-59) ed i nomi degli abbati revocati (60) o scelti (62-65) da Domenico. I
passaggi in italico forniscono la fine attesa di ogni paragrafo: sono stati all’evidenza
soppressi nel 2244 e non interpolati nel 2245b. Le informazioni trasmesse nel 62
sono inoltre garantite da un documento datato 1026, la carta di fondazione di San
Pietro Avellana, che non menziona mai Domenico ma un certo Pietro “latino“ come
beneficiario delle donazioni di Borrello. (69)
La recensione 2245 dipende in gran parte da questo stesso lavoro di selezione.
Riassumendo, pertanto, l’inizio del 2244 il revisore ha fatto caso ad alcune lacune
avvenute per via della soppressione delle frasi 32-37, che ha riempito riportandosi
all’originale. Siccome la sua decisione di scartare il prologo gli da una certa ampiezza
verticale, ha approfittato per reintegrare alcuni passaggi , tenendo sempre il
canovaccio generale del 2244. Le due recensioni sono delle “versioni alleggerite” un
po’ differenti, ma apparentati allo stesso modello.
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IV – NUOVA CLASSIFICAZIONE DEL DOSSIER DI SAN DOMENICO
Riprendiamo il nostro schema iniziale, tenendo conto delle osservazioni che sono
appena state fatte. Il n.2242 deve adesso rimpiazzare la sigla Dom. che corrisponde
all’insieme prol+2245b+2242. Le recensioni 2244 e 2245 possono essere riunite
senza difficoltà, visto che la loro parentela ed il loro carattere comune è “versione
alleggerita”. L’orientamento generale dello schema non deve essere più discusso,
visto che sappiamo, d’ora in avanti, che questi due testi dipendono strettamente da
Dom.
(schema)
Per diventare stemma, lo schema deve essere sollevato dalla destra. La semplice
logica obbliga, così, a considerare come tardiva la vita 2241, vale a dire il testo
presunto composto da Giovanni, discepolo e familiare di Domenico. Questa
posizione bassa del 2241, è confermata dalla critica interna che permette di stabilire
una relazione privilegiata tra questo testo e l’abbreviato 2245. In questo passaggio
successivo, assente nel 2244, il Santo organizza la sua nuova fondazione di San
Pietro in Lago. I nomi propri, che costituiscono l’essenziale del fatto, vi sono
impressi in carattere spaziato:
(testo latino)

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Noteremo dapprima la stretta parentela lessicale che unisce i due testi, poi,
l’impoverimento progressivo delle informazioni del 2245b al 2245 e 2241. Nessun
elemento suggerisce una relazione inversa di 2241 a 2245. Gli esempi analoghi
potrebbero essere moltiplicati; mi accontenterò, qui, di menzionare la deformazione
del nome dell’abate vicino al quale Domenico faceva la sua professione:
(schema) (70)
La vita 2241 è dunque posteriore all’abbreviata 2245, che risale al massimo alla terza
parte dell’XI secolo. Ma ci riguarderemo bene dall’abbassare esageratamente la data,
perché è d’altra parte anteriore al sermone 2246 (71), conservato in un manoscritto
della fine dell’XI secolo o dell’inizio del XII. Questo rimaneggiamento, elaborato a
Trisulti, era apparentemente destinato a lottare contro l’accaparramento del culto di
Domenico da parte dei monaci di Sora. Qual è il valore delle informazioni che questa
vita 2241 è unica a fornire? Il carattere pseudo-epigrafico del testo ed un plagio
evidente della vita di San Benedetto, mi porterebbe ad uno scetticismo radicale, ma
potremo, a rigore, supporre la permanenza orale di alcune tradizioni locali e l’utilizzo
delle carte in favore di Trisulti.(73)
In rapporto alle ipotesi anteriori, la classifica del dossier di San Domenico di Sora è
notevolmente modificata. Le Vite redatte

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tra la morte del Santo, nel 1031, e la fine dell’XI secolo, devono d’ora in avanti
essere classificate nell’ordine successivo:
1. Vita e Miracoli perduti, criticati da Alberico di Montecassino;
2. Vita e Miracoli composti da Alberico, poco dopo il 1060, su di un piano identico:
prol.+2245b+2242. Testo salvaguardato, ad eccezione di un prologo, in un
manoscritto di Sora, città dove il culto del Santo era più sviluppato. La prefazione
primitiva, firmata dall’agiografo cassinese, si è conservata unicamente a
Montecassino (in testa del “testo alleggerito” 2244). I tre inni trasmessi sotto il
nome di Alberico dipendono da questo insieme. Lentini aveva proposto, al tempo,
di ritirarli al diacono cassinese, per attribuirli all’autore dei Miracoli, che si
supponeva essere un monaco di Sora(74) la sua argomentazione crolla su se
stessa, visto che il redattore del 2242 è Alberico in persona;(75)
3-4. 2244 e 2245, ritagliati dal testo 2 ad uso liturgico di Montecassino e delle sue
dipendenze;(76)
5. Vita 2241, redatta per San Bartolomeo a Trisulti, a partire da 2245 e forse di
tradizioni locali;
6. Sermone 2246 che usa il testo precedente.

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Rimane da datare la vita 2243 ed a giustificare il mio sottotitolo: “da Alberico di
Montecassino a Jacques de Voragine”. Una lettura attenta del testo nell’unica copia
disponibile,(77) mostra che si tratta di una compilazione tardiva, dipendente allo
stesso tempo da Dom. e da 2241.(78) Ora che è scartata la classificazione errata dei
bollandisti che attribuivano a questo pezzo un ruolo di intermediazione tra 2241 e
2244, possiamo senza pregiudizi abbordare l’esame della sua origine:
(testo latino) (79)
Questa menzione, nella sua parte centrale, riproduce un modello di scrittura
medievale, come supponevano implicitamente i bollandisti, o una sottoscrizione
d’autore? Niente permette a priori di saperlo. La data finale è comunque errata,
perché il 1233 non corrisponde né al primo anno di pontificato di Gregorio II (715-
731) né all’inizio di quello di Gregorio IX (1227-1241).
Un adattamento italiano dello stesso testo è conservata a Bruxelles, nella Collactanea
Bollandiana. (80). E’ purtroppo strettamente apparentata alla nostra copia latina,
perché il titolo riproduce in sostanza lo stato dopo la correzione della nota
precedente:
(testo)

30
La menzione “Giacomo di Genova dell’Ordine dei Predicatori” fa naturalmente
pensare al più famoso degli agiografi del XIII secolo: Giacomo da Varazze. Ma la
data 1233 ed il nome del pontefice sono allora inaccettabili, perché l’autore della
Leggenda Dorata (morto nel 1298) è probabilmente nato tra il 1228 ed il 1229.(81)
L’incoerenza già rilevata dalle informazioni cronologiche, la correzione noni nel testo
latino, lasciano supporre che la versione primitiva si riferiva in un altro papa
Gregorio. Una soluzione relativamente economica consisterebbe, da una parte, a
ristabilire “Gregorio X” papa dal 1271 al 1276, e d’altra parte rettificare la data in
MCCLXXIII. Siccome 1273 è difatti il secondo o terzo anno di pontificato di
Gregorio X, sussisterebbe una leggera inesattezza, ma questa nuova cronologia
sarebbe compatibile con un’attribuzione a Giacomo da Varazze. Sono del tutto
cosciente del carattere circolare della mia argomentazione. Perché se, tra tante
correzioni possibili, sostituisco il 1273 al 1233, accade che elimino deliberatamente
la possibilità di una colofonia del copista, e che sono già arrivato all’identificazione
del domenicano Giacomo da Genova, con l’autore della Legenda Dorata. L’ipotesi è
di certo plausibile, visto che nel 1282, Giacomo da Varazze fu pregato
dall’arcivescovo di Imola di riscrivere la passione di S. Cassiano.(82) Ma, anche se
seducente, essa si appoggia su di una correzione troppo artificiosa, per essere
realmente accettata.
Non avrei evidentemente, mai suggerito questo risultato, se non fosse esistita una
conferma esterna. In testa della vita italiana di Domenico di Sora, pubblicata nel
1645, Ludovico Jacobilli da una lista delle sue fonti stampate e manoscritte; tra le
seconde, menziona successivamente i suoi due esemplari (83):
(testo)

31
(testo)
Malgrado la leggera differenza delle cifre (86/87), il secondo volume deve essere il
modello della nostra copia latina ed il suo adattamento in italiano. E’ associato, nello
spirito dell’autore, ad un testo conservato dalla Cancelleria Episcopale di Sora, che
portava esplicitamente la data del 1273. Dalla descrizione data, questo esemplare
menzionava anche come autore un Jacobus Januensis O.P., che Jacobilli identificava
naturalmente, vista la data, con Giacomo da Varazze. L’ipotesi, che sembrava
all’inizio un castello di carte, si è dunque trasformata in un colpo in un edificio
solido. (84) Resterebbe pertanto di confermare questa attribuzione con l’aiuto della
critica interna, ma una tale dimostrazione ci porterebbe troppo lontano, e ci sembra
adatto di riservarla per un altro studio. Mi basta di aver rivelato qui il verosimile
carattere del testo 2243.
In definitiva, il dossier che abbiamo appena riclassificato corrisponde strettamente al
tipo atteso, nel caso di un culto rimasto al livello locale. Le tre generazioni posteriori
alla morte del santo, nel 1031, hanno conosciuto una grande attività agiografica. La
vita, la più antica, è scomparsa, per via della sue inettitudine, perché un’altra
composizione più elaborata, quella di Alberico, la rendeva inutile. La fase creativa si
interrompe verso la fine dell’XI secolo, perché esiste, d’ora in avanti, una gamma di
testi adattati alle necessità liturgiche. L’evoluzione della lingua e del gusto suscita
una nuova richiesta soltanto 200 anni più tardi, quando un letterato, forse Giacomo da
Varazze, si vide domandare una versione rimaneggiata sul piano stilistico. Ogni
pezzo è caratterizzato da una diffusione restrittiva e la loro sopravvivenza attuale è
spesso passata per delle copie erudite della contro-riforma.

V – L’EDIZIONE DELLA BIOGRAFIA COMPOSTA DA ALBERICO


Tra le risorse della sua “Vita di San Domenico da Foligno”, Jacobilli attribuiva il
posto d’onore all’opera di Alberico, della quale segnalava ancora tre esemplari:
(testo)

32
(testo)(85)
I primo di questi manoscritti, doveva essere menzionato di seconda mano, perché
solo i due ultimi sono regolarmente invocati nei margini come garanti della relazione
in italiano. (86) Il leggendario d’Atina non è stato ritrovato, sembra, nell’epoca
moderna.(87) E’ quasi sicuro che la vita conservata a Montecassino corrisponda al
“testo alleggerito” 2244. Quanto al manoscritto della Cattedrale di Sora è
apparentemente il modello delle due copie di Dom. che ci sono pervenute:
-Roma, Bibl. Vallicelliana, H18, f. 407-432v, “ex Soranae ciuitatis ecclesiasticis
monumentis” (=R);
-Napoli, Bibl. Naz. Brancaccianus II B 1, f.315v-332 (=N).
Salvo per il prologo di cui è l’unico testo a trasmetterlo, N. è senza valore
indipendente, perché coincide sempre con il tenore di R. dopo le correzioni.(88) E’
segnalato apparentemente solo quando la copia romana è lacunosa.

33
R. trascritta da uno scriba incompetente, è stata revisionata da un erudito amatore di
latino classico ed è di qualità mediocre. E’ su di lui, però, che è fondata l’edizione
attuale. Al fine di ristabilire lo stile originale di Alberico, ho accordato di preferenza
alle lezioni di R., prima delle correzioni, laddove esse restavano decifrabili e non si
richiamavano ai lapsus manifestati dallo scriba. Il valore testuale del testo alleggerito
2244 - trasmesso da Montecassino, archivio dell’Abbadia 101, pagg. 491 – 501, XI
secolo (=A) – è difficile da apprezzare. Per le frasi 1-31, ove il redattore si è
accontentato di riprodurre il suo modello, A si rivela molto spesso superiore ad R. ed
N.; ma in seguito i tagli, le trasposizioni, i ritocchi stilistici, vi si moltiplicano a tal
punto che diventa difficile centrare con precisione gli interventi del rimaneggiatore.
Ho, dunque, preso la decisione di considerare A fino alla frase 31 come testimone di
una parte intera;(89) negli episodi posteriori, le varianti di A non servono più alla
costruzione del pezzo, anche se le più significative sono state menzionate
nell’apparato. I tagli effettuati da A sono delimitati tra due doppie parentesi quadre [[
]]. Una volta ristabilita nelle sue veritiere proporzioni, la vita di San Domenico
appare come la più ambiziosa e la più estesa delle opere agiografiche di Alberico di
Montecassino. I passaggi qui pubblicati per la prima volta sono eccezionalmente
ricchi sul piano prosopografico. E’ agli storici che appartiene d’ora in avanti di
metterli in valore, la mia propria annotazione, a disegno leggero non ha nessuna
pretesa di esaustività.

FRANCOIS DOLBEAU

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