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IL RESTAURO
DELLA VITA E DEI MIRACOLI DI SAN DOMENICO DI SORA
DI ALBERICO DA MONTECASSINO

Carmela Vircillo Franklin

Introduzione

Alberico Diacono, "vir disertissimus ac eruditissimus", (1) "vir illis temporibus


singularis",(2) è una delle più importanti figure del recupero intellettuale di Monte
Cassino, sotto l'Abate Desiderio, nella seconda metà dell'undicesimo secolo. Scrittore di
sorprendente grandezza, Alberico è conosciuto come teologo, agiografo, poeta e figura
preminente in studi grammaticali e retorici per il suo ruolo nello sviluppo della “ars
dictaminis”, l’arte della letteratura scritta.(3) Egli fu anche uno dei più influenti
insegnanti della sua epoca. Giovanni di Gaeta, prima monaco di Monte Cassino, poi
cancelliere papale (1089 – 1118) ed infine papa come Gelasio II

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(1118-1119), è il suo allievo più conosciuto.(4) Il “Breviarum de dictamine” fu dedicato
agli allievi Gundfridus (Goffridus) e Guidus, ed il “Flores rhetorici” fu dedicato ai suoi
discepoli Petrus e Gregorius.(5) In aggiunta alla descrizione della sua carriera di
insegnante e scrittore a Monte Cassino, il ruolo polemico di Alberico, nella controversia
eucaristica contro Berengario di Tours tra il 1078 ed il 1079 e la sua partecipazione
appena dopo nella disputa sull’elezione papale contro l’imperatore Enrico IV sono
selezionati nel “Chronicle” dell’abbazia e nelle rassegne biografiche dei suoi più
eminenti monaci del “De viris illustribus”. (6)
Alberico, probabilmente, nacque e fu educato nella regione Beneventana. Il suo primo
insegnante potrebbe essere stato Roffredus, diacono e “bibliotecarius” della chiesa di
Benevento, più tardi vescovo della città.(7) La data del suo arrivo a Monte Cassino
rimane incerta. Fino a poco tempo fa., non c’erano prove che suggerissero che Alberico
fosse arrivato all’abbazia, prima degli inizi del 1060, quando Pier Damiani rispose a
diverse richieste inviategli da Alberico.(8) La scoperta recente della prefazione e
“apologia” della “Vita Caesarii”, comunque, indica che Alberico può già essere un
monaco, quando scrive quest’opera, a tredici anni.(9) Quindi, assumendo che Alberico
era un adulto,
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seppure giovane, quando corrispose con Pier Damiani, nella prima parte del 1060, il
“Vita Caesarii” conduce alla conclusione che Alberico lo fece quando era a Monte
Cassino già da alcuni anni. Egli morì tra il 1094 ed il 1098/99. (10)
Nonostante l’importanza di Alberico e la stima che egli raccolse fuori e dentro Monte
Cassino, una precisa e completa lista dei suoi lavori non poté essere compilato appena
dopo la sua morte. Sia il “De viris illustribus” sia il “Chronicle” riportano che Alberico
aveva composto alcune altre opere che non sono rintracciabili da lungo tempo (“quae in
nostram notitiam non venerant”).(11) L’incertezza intorno all’attività letteraria di
Alberico persiste oggi, anche quando anonimi e lavori erroneamente attribuiti, sono stati
aggiunti al canone Albericoano.(12) Lo studio presente cominciò

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come fatica di restauro di un altro lavoro di Alberico. Io avevo già realizzato
nell’autunno del 1986 che due testi anonimi conosciuti come BHL 2245b, una vita non
pubblicata di San Domenico di Sora, e BHL 2242, una collezione di miracoli, compiuti
da questo santo, sono nei fatti il lavoro di Alberico, che questi costituiscono l’originale
Vita S. Domenicoi, attribuitagli sia nel “Chronicle” sia nel “De Viris illustribus”, e che
la “vita” assegnata ad Alberico, BHL 2244, è un riscrittura successiva del testo originale
di Alberico. Altri impegni, mi obbligarono a rimandare questo progetto fino al 1989 –
1990. Come conclusi la redazione dei miei studi e l’edizione nel maggio 1990, sentii che
M. Francois Dolbeau si era impegnato in un esame di questi testi, e che anche egli
intendeva pubblicare una edizione di BHL 2245b e 2242 come lavoro di Alberico.
Questo rese giocoforza impossibile per me la pubblicazione della mia edizione e
discussione. Adesso che l’articolo di Dolbeau è apparso, (13) voglio offrire il mio
contributo alla studio del dossier di Alberico su Domenico, alla luce delle ricerche e
dell’edizione di Dolbeau.
Domenico nacque a Foligno (Umbria) nella metà del decimo secolo, morì e fu seppellito
nel suo monastero vicino Sora, il 22 gennaio 1031, “cum iam octuaginta fere annos
exegisset aetatis”.(14) Oggi il suo culto focalizzato sul suo potere sui serpenti, è
vastamente celebrato nell’area dove svolse apostolato, nella valle del Liri, in parte della
Campania, negli Abruzzi e nel Lazio. Il suo corpo ed altre reliquie (la sua tonaca
abbaziale e la croce pettorale) sono detenute a Sora, nella chiesa annessa all’attuale
monastero cistercense, dedicato all’Assunta (generalmente chiamato “Santuario di San
Domenico”). La chiesa parrocchiale di Sora
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preserva la reliquia della Mitria di San Domenico che si crede sia stata tenuta nel
monastero di San Bartolomeo a Trisulti, che anche Egli fondò. Nel piccolo paese di
Cocullo, dove è conservato un dente di Domenico, il suo aiuto è invocato contro il
morso dei cani rabbiosi e dei serpenti. E la processione che si tiene il giorno della sua
festa, riportata spesso sulla stampa, con serpenti vivi che ornano l’immagine del Santo,
attrae persone affascinate dai serpenti, da tutte le regioni.
Alcune sfaccettature di questi culti, comunque, sono in continua crescita. Le primissime
fonti storiche enfatizzano altri aspetti della vita di San Domenico: egli fu un santo
eremita, un brillante predicatore contro l’impudicizia del clero, un monaco miracoloso
ed un costruttore di monasteri. Il “Chronicle” di Monte Cassino, riassume le due più
avanzate opere in una concisa introduzione, annunciando la morte del Santo: “….anno
scilicet Domini millesi tricesimo primo, beatus Dominucs mirabilium patrator
magnarum et multorum fundator cenobiorum apud Soram Campanie civitatem iam
ferme octogenarius migravit ad Dominum et sepultus est in monasterio Sore vicino,
quod nunc eiusdem vocabulo nuncupatur.” (15)
Questi stessi due aspetti costituiscono le maggiori “foci” del lavoro di Alberico
restaurato al meglio.

I TESTI CONCERNENTI DOMENICO DI SORA

I clamori su Domenico ebbero un incremento immediatamente dopo la sua morte in un


esteso dossier agiografico, di cui i moderni studi critici ebbero inizio da Jean Bolland
(1596-1665) quando egli pubblicò quello che egli considerava la Vita di Alberico “ex
vetusto codice Cassinensis bibliothecae, litteris Longobardicis exarato.” L’edizione di
Bolland era basata su una copia fatta dal gesuita Antonio Beatillo dal più antico
manoscritto Cassinese (Monte Cassino, archivio della Badia 101), della fine
dell’undicesimo secolo, nel cui titolo era dichiarato Alberico come autore. (16) Inoltre, il
prologo, nella sua discussione sul metodo e sulle fonti, dichiara questo lavoro come
opera di Alberico. Non ci sono ragioni apparenti per dubitare che questa deve essere la
Vita di Domenico che sia il “Chronicle” di Monte Cassino, sia “De viris illustribus”
elenca come lavori di Alberico. Bollando

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annotava, comunque, sia nell’introduzione, sia nelle lunghe note di questa edizione, che
il testo italiano curato da Ludovico Iacobilli sul Santo includeva episodi e dettagli
mancanti dal testo di Alberico così come lo rinvenne. (17) Il significato di questo
commento pervenne successivamente. Nel loro catalogo dei lavori agiografici, i
Bollandisti diedero il numero BHL 2244 a questo pezzo. (18)
Questo stesso testo fu pubblicato negli “Acta Sanctorum Ordinis S. Benedicti” di Jean
Mabillon.(19) Nella sua introduzione, in aggiunta, Mabillon riferisce di una “secunda
vita” proveniente anch’esso dalla libreria di Monte Cassino che è descritta come
“tantisper comprendiosor, sed tamen quaedam continens, quae in prima edita
desiderantur.” Mabillon da lettura di questa “secunda vita” nelle sue note. Quest’opera
fu successivamente numerata BHL 2245.
Nella prima vera emissione della “Analecta Bollandiana” nel 1882, i Bollandisti
ritornarono sul dossier agiografico di Domenico, pubblicando altri due pezzi. Il primo fu
una “vita” il cui autore si dichiara essere Giovanni, un discepolo del Santo. Esso fu
copiato nel diciassettesimo o diciottesimo secolo da un manoscritto della Biblioteca
Alessandrina di Roma, codice 91, che era stata parte della collezione messa insieme da
Costantino Gaetano. (20) A quest’opera fu assegnata la numerazione BHL 2241. Il
secondo lavoro, successivamente numerato 2242, era una collezione di miracoli
anch’essi copiati per la prima volta dai Bollandisti “ e ms. Vallicelliano tom. V.” (21)
L’editore annota che i contenuti dei Miracoli e della vita BHL 2241, rivelavano che
erano stati scritti da un contemporaneo.(22) Un terzo lavoro discusso nell’introduzione
dei Bollandisti non fu pubblicato. Anch’esso fu copiato dalle carte di Gaetano nella
biblioteca Alessandrina. Questo testo, poi numerato BHL 2243, era considerato

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dai Bollandisti una raccolta di BHL 2241 e 2242, così esso narrava tutti gli eventi
contenuti negli altri due lavori “servato in utraque parte eodem narrationis ordine et
identidem etiam iisdem verbis,” ma molto succintamente e senza raccontare i miracoli
che avvennero prima della morte di Domenico (numeri 1-11 nell’edizione BHL 2242
dei Bollandisti) eccetto per uno (n.12).(23) Come Doulbeau dimostra, questa
composizione fu messa insieme nel 1273 da Jacopo de Voragine. (24)
Il prologo alla Vita attribuita ad Alberico, BHL 2244, menziona l’esistenza di ancona
un’altra Vita di Domenico: un testo anonimo scritto “lacinioso impolitoque nimis ….
sermone,” che racconta le origini , la vita e la morte di Domenico, come anche i miracoli
compiuti da lui sia in vita sia in morte, ma mendace e fatta di menzogne.(25) I
Bollandisti del BHL 2241 assegnarono l’identità di questa Vita conosciuta - e
presumibilmente usata – da Alberico. Veniva suggerito che Alberico non poteva aver
conosciuto la “vita” di Giovanni (BHL 2241), perché essa non contiene nessun miracolo
compiuto dopo la morte del Santo. (26) Né poteva Alberico aver conosciuto i Miracoli
che non dicono nulla della vita del Santo. Essi rigettano anche la possibilità che ad
Alberico possa essere riferibile il “breve illud elogium,” successivamente numerato
BHL 2246, al quale nessun moderno editore ha prestato ulteriore attenzione. (27)
L’editore Bollandista discusse anche un’altra maggiore pubblicazione, analizzando la
lettura dei Miracoli. Quest’opera comincia bruscamente, senza una prefazione. Di
seguito, alcune volte nel corpo del lavoro stesso, ci sono riferimenti a popoli e posti
“menzionati sopra” che, comunque, non appaiono precedentemente. Chiaramente,
questo suggerisce che i Miracoli costituiscono solo la seconda parte di un lavoro
completo. Se così, quale dei testi sopravvissuti è la prima parte?
Forse, suggeriscono i Bollandisti, la Vita di Giovanni precedeva il testo dei
Miracoli.(28)
Dom Anselmo Lentini, un rilevante studioso della storia letteraria di Monte Cassino,
ritornò al dossier agiografico di Domenico nel 1951, così

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preparò una nuova edizione della “Vita auctore Alberico”, BHL 2244.(24) Lentini in
maniera convinta rigettò la possibilità che BHL 2241, la “vita” scritta da Giovanni,
possa essere il testo anteposto a BHL 2242, non solo perché alcune citazioni del testo dei
Miracoli non hanno riferimenti in 2241, (30) ma anche per via di un più importante
elemento: i Miracoli ripetono alcuni aventi anche citati nell’opera di Giovanni, a volte
con dettagli differenti.(31) Di seguito, Lentini espresse seri dubbi sull’integrità e la
paternità di BHL 2241, che si differenziava per l’enfasi delle fondazioni di San
Domenico a Trisulti.
Così come Lentini discusse l’identità della Vita riferita ad Alberico, egli indirizzò anche
la questione della relazione tra questi testi in larga scala, quindi, in altre parole, un
semplice tentativo di identificare la Vita iniziale che precedeva i Miracoli. Lentini
annotava che i contenuti di tutti questi testi evidenziano interconnesioni che non possono
essere spiegate dai testi disponibili. Egli postulò, quindi, un altro testo, conosciuto dalla
prefazione di Alberico che aveva accennato all’esistenza infatti di una precedente Vita.
Lentini chiamò questa Vita X e concluse che sia Alberico sia l’autore originale di BHL
2241 usarono esso nella composizione delle loro opere. Un interpolatore modificò BHL
2241 con materiale aggiuntivo sulle fondazioni di Domenico a Trisulti ed assunse
l’identità del discepolo Giovanni per dare autorevolezza a questa rielaborazione.
L’autore di BHL 2245 basò il testo sul BHL 2244 di Alberico ma non aggiunse
materiale da X. Infine X, o un rimaneggiamento di X, fu anche usato dall’autore dei
Miracoli, in aggiunta alla Vita di Alberico. (32)
Un testo cruciale, comunque, manca da questo schema. Questo è BHL 2245b, una Vita
di Domenico conservata in due successivi manoscritti che si approssimano ad essere il
testo presupposto per la collezione dei Miracoli. BHL 2245b e BHL 2242, considerati
fino ad ora due lavoro separati, ne costituiscono infatti uno solo.(33) Questo sarà
provato molto sorprendentemente dalla corrispondenza di BHL 2245b
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con tutti i riferimenti pendenti in BHL 2242 al riguardo di precedenti notizie. E’ anche
supportato dalle prove del manoscritto che tramandano questi due testi come uno. (34)
Allora, come sostiene Dolbeau, questo testo ricostruito deve essere sorgente per il lavoro
attualmente attribuito ad Alberico, BHL 2244.(35) Questa conclusione conduce alla
possibilità che questo testo più lungo, e non BHL 2244, è la composizione originale di
Alberico, e che l’importante prologo, adesso attaccato a 2244, in effetti , apparteneva
originariamente a questo lavoro ricostruito. Il testo di Alberico (Dm) dovrebbe quindi
consistere nel Prologo (attualmente attaccato a BHL 2244) + BHL 2245b (una Vita di
Domenico) + BHL 2244 (Miracoli in vita; morte; miracoli post mortem).
Dolbeau usa due metodi per supportare questa ipotesi. Prima di tutto, egli mostra che
alcuni archeologi del diciassettessimo secolo fanno uso di una “vita prolixa” di
Domenico che essi attribuivano ad Alberico, e che questo lavoro può essere identificato
con Dm. La loro attribuzione di questo lavoro ad Alberico, comunque, era una erudita
congettura. Il testo disponibile di esso non ha prologo e probabilmente nessuna
indicazione dell’autore. L’altro metodo usato da Dolbeau è discutere succintamente
l’unità di stile tra le tre differenti parti di Dm – prologo, vita e miracoli – e le loro
somiglianze con la Vita di S.Scolastica e la Passione di Cesare scritte da Alberico. (36)
Io condivido le conclusioni di Dolbeau che questo testo ricostruito è il lavoro di
Alberico. Numerose obiezioni, comunque, rimangono. L’inizio del Prologo in BHL
2244 nel più antico manoscritto di tutte le recensioni, per esempio, e l’apparente assenza
di tradizione del BHL 2245b necessitano ulteriore approfondimento. Studiosi di lavori
letterari di Alberico non hanno mai dubitato dell’attribuzione di BHL 2244 ad Alberico,
nel fondo stilistico. Il semplice volume di Dm quando viene comparato con gli altri
lavori agiografici di Alberico, la sua attenzione ai dettagli storici, e la sua enfasi nel
miracoloso, fanno questa opera in molti versi simile ad altre Vite di Santi di cui è stato
autore Alberico. Io vorrei esplorare alcune di queste obiezioni a mettere in evidenza la
paternità di Alberico di questi due lavori anonimi e la loro originaria unità. Per primo,
esaminerò molto attentamente il contenuto le Prologo per introdurre la possibilità che
l’antico esemplare di 2245b – 2242 lo contenesse. Quindi, discuterò l’epoca di questo
lavoro restaurato presenterò una analisi del suoi “cursus” e stile per individuare la sua
posizione nel quadro dell’opera agiografica di Alberico. Finalmente, discuterò le
relazioni tra la Vita di Alberico

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e alcuni altri pezzi che costituiscono il ricco dossier agiografico dell’eremita di Sora. Il
sistema delle corrette relazioni tra i vari pezzi di questo dossier è importante non solo
per una appropriata valutazione del contributo di essi nella collocazione storica di
Domenico di Sora, ma anche per un pienissimo apprezzamento degli scopi delle
composizioni di Alberico. Le mie conclusioni sono che Alberico, come Lentini aveva
suggerito, rielaborò una precedente Vita che egli descrive nella sua prefazione come sia
stilisticamente, sia storicamente inadeguata. Sebbene questa vita sorgente sia
probabilmente persa, il suo tenore può essere ricostruito per una certa parte attraverso
uno studio dei testi successivi che la usarono, quella di Alberico, BHL 2241 e BHL
2246. In una appendice, fornisco anche una nuova edizione dei tre inni in onore di San
Domenico, la cui attribuzione ad Alberico è stata discussa, e io discuto i nuovi elementi
che ne assicurano la paternità di Alberico.

IL PROLOGO

Il rivelatore prologo prepara al metodo dell’autore ed è scritto in un linguaggio e stile


che immediatamente palesano la paternità di Alberico,(37) nonostante la mancanza di
qualche specifica indicazione sull’autore, deve essere attaccato ad un testo più lungo se
si accetta come lavoro originale di Alberico. Però questo importante Prologo non è
contenuto nei più autorevoli manoscritti testimoni di Dm. Infatti, Dolbeau dubita che
l’antico archetipo contenga il prologo e menzioni esplicitamente il nome di
Alberico.(38) L’unico antico manoscritto esemplare del Prologo, al contrario, è il più
antico codice dei codici tramandanti BHL 2244, scritto a Monte Cassino stesso, e
riportante “prima facie” l’autore nell’allegato del Prologo al testo più breve (della Vita).
Un’esame completo della tradizione manoscritta di Dm, comunque, permette, per lo
meno, la possibilità che il Prologo originale possa essere stato incluso nel più autorevole
manoscritto testimone di Dm e che, quindi, possa essere contenuto nell’antico archetipo.

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Roma, Biblioteca Vallicelliana codice H 18 (Gallonii V) (R nell’edizione di Dolbeau) è
una collezione di quaderni manoscritti di tutte le dimensioni ed alcuni libretti stampati
alla meglio, che erano parte della libreria di Antonio Gallonio, il sacerdote oratore,
biografo di Filippo Neri e bibliotecario della Vallicelliana. Dopo la sua morte, nel 1605
– che stabilisce un “terminus ante quem” per i copiatori di questi testi – i suoi libri
passarono alla libreria.(39) Il volume fu restaurato e riallacciato nel 1971. L’inchiostro si
era affievolito sulle pagine ed appare attraverso la carta sulle altre, rendendo
problematica ed a volte impossibile, la decifrazione di alcune parti del testo. Quindi, un
correttore revisionò il testo, sia riempiendo le parti erroneamente bianche con la scrittura
originale e sia variando delle scritture. La vita è contenuta nelle pagine 407r – 412v,
questa ultima pagina ha due linee bianche alla fine. (40)
Il titolo della vita, scritto dalla stessa mano che copiò il testo, è istruttivo: “Vita Sancti
Domenicoi Abbatis ex Soranae civitatis Ecclesiasticis monumentis”. Quindi, lo scrittore
aveva copiato questo testo dalla chiesa di Sora. Un secondo titolo, “Vita S. Domenicoi
Abbatis, ordinis S. Benedicti, Cuius exemplar Sorae habetur, per Albericoum eiusdem
religiois monachum conscripta”, non è scritto sulla pagina stessa, ma su un pezzo di
carta incollata ad essa, lungo il margine, così da poter essere sollevato ed il titolo
originale letto chiaramente sotto. Questo secondo titolo fu scritto dalla mano del
correttore, ed è l’informazione fornita dal secondo titolo che è raccolto nell’indice del
volume.(41) Molto verosimilmente, l’assenza del nome dell’autore nel primo titolo,
ispirò l’aggiunta del titolo successivo. I Miracoli occupano i fogli ora numerati 413r-
432v. Il foglio bianco che adesso li separa dalla vita è un’aggiunta successiva (vedi
dopo).
L’altro esemplare è a Napoli, Biblioteca Nazionale, codice Brancaccio II.B.1 (=N).(42)
Pure esso, è una collezione di vari quaderni e libretti, inclusi alcuni in Greco. Nei fogli
315v-332r questo libro contiene non solo BHL 2245b e 2242 ma anche il prologo di
Alberico. La prova testuale –

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il titolo di N che ripete parola per parola il più recente titolo di R eccetto per “Cuius
exemplar Sorae habetur”, e l’attacco dell’inizio del testo, “Vita Sancti Domenicoi
Abbatis/Ordinis Sancti Benedicti”, scritto sulla testata della pagina sia in N sia in R –
indica che N fu copiato direttamente da R. (43) Il manoscritto di Napoli era parte della
libreria fondata dal Cardinale Francesci Maria Brancaccio (1592 – 1675) di Napoli. (44)
Collezionista di libri ed eruditi, Brancaccio spese molti anni a Roma, finché ebbe avuto
difficoltà con il dominio spagnolo nella sua patria. E’ possibile affermare, quindi, che
egli acquistò una copia di questi testi quando era lì, e fu così che questi lavori divennero
parte della sua libreria che volle lasciare in eredità a Napoli.
Allora se R è la fonte di N ed ha maggiore autorevolezza, e se R non contiene
l’importante Prologo, ci si deve chiedere perché R non lo contenga e perché N può
averlo copiato da R. (45) L’impaginazione del quaderno R che contiene BHL 2245b e
2242 indica che alcuni collegamenti sono persi prima del foglio 407r, dove la “vita”
comincia. C’è la possibilità, quindi, che R abbia contenuto il Prologo in un foglio che si
è perso. Non c’è tutta la certezza, comunque, che N possa aver copiato il prologo da R.
Le pagine che contengono la Vita ed i Miracoli di San Domenico in R hanno due
impaginazioni; la più recente è l’impaginazione utilizzata per il codice intero, che, come
annotato prima, è formato da tutto un assortimento di libretti (alcuni di essi stampati)
tenuti insieme. Questa è l’impaginazione seguita

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nella descrizione di Poncelet. I fogli che contengono la Vita di Domenico ed i Miracoli
sono numerati 407 – 432. La seconda impaginazione è la più antica ed è applicata solo a
questo quaderno; al tempo, era utilizzata, ma è ancora riscontrabile in molti posti.
Questa impaginazione va da 42 (dove la vita inizia, recto) a 67 (dove finiscono i
miracoli, verso). Tutti i precedenti 41 fogli ed alcuni che potrebbero essere stati dopo 67
sono persi. (46)
Il più recente set di impaginazione rivela che il quaderno contenente questi lavori era già
monco quando questa più recente impaginazione fu eseguita. Il foglio immediatamente
precedente alla “vita” che comincia con foglio 407r con l’impaginazione recente, infatti
è numerato 401 e contiene una “Passio S. Aurea Virginis”. Il foglio successivo alla fine
dei Miracoli di San Domenico (nel foglio 432v) è numerato 445 e contiene da leggere
“ex officis Ecclesiae Ravennatensis” (con la stessa mano che scrise i Miracoli). Il foglio
406 è sopravvissuto ma è posizionato tra i foglio 412 e 413. E’ la pagina bianca che
separa la Vita dai Miracoli, ma la 406 è chiaramente scritta e noi possiamo assumere che
sia stata posizionata lì per un errore, in qualche epoca. (47)
Fol. 406 non apparteneva al quaderno contenente i lavori di Domenico, quindi, da
quando esso non mostra tracce della più antica impaginazione come gli altri fogli
contenuti in questo testo. Tutto ciò che si può concludere, quindi, è che quando la più
recente impaginazione fu effettuata, l’attuale foglio 406 (trovato tra gli attuali 412 e 413)
precedeva la Vita di San Domenico ma non pare che sia stato parte del quaderno
originale che contiene testi di Domenico.
Il fatto che il foglio bianco che è posto attualmente tra la Vita e Miracoli nel codice della
Vallicelliana sia stato inserito ultimamente, come emerge da una più antica
impaginazione che non rivela alcuna interruzione tra la Vita e Miracoli (confermato
dalla copia della Vallicelliana ora a Napoli), chiaramente indica anche che solo nel
codice di Sora la Vita ed i Miracoli furono scritti come un solo testo. (48)
Ancora più importante, comunque, è il fatto che sia possibile che i vecchi 41 fogli, non
sopravissuti a lungo, possano aver contenuto il Prologo. Se questa era la situazione,
allora esiste la possibilità che l’esemplare di R., il Codice di Sora, contenesse anche
esso. (49)

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Si spera che il Prologo evidenzi chiaramente la sua origine. Sfortunatamente,
non si può giungere a nessuna conclusione certa, su come N possa aver copiato il
Prologo da R. Il Prologo di N. è correlato ad una copia di BHL 2244 preservato in un
tardo manoscritto. Il Codice 91 della Biblioteca Alessandrina di Roma è un triplice
volume leggendario di gennaio e febbraio messo insieme da Costantino Gaetano. È una
raccolta di vari libretti di carta, due dei quali contengono BHL 2244. (50) In definitiva,
la prima copia (=S1) deve derivare dal codice di Montecassino n.101, forse attraverso
una copia intermedia. (51) La seconda copia (=S2) fu molto probabile copiata dalla
prima, (52) ma fu poi corretta (S2-2) da una mano che sembra essere la stessa dello
scrivano principale. Il Prologo tramandato da N è identico a quello tramandato dalla
versione corretta del codice dell’Alessandrina. (53) Non c'è nessun certo modo di
concludere se N copiò il prologo da S2-2 o se lo scrivano corresse S2 usando N o
l’esemplare di N. In favore della prima conclusione c’è un’evidenziazione chiara, fornita
da una nota a margine che lo scriba di N (o del suo esemplare?) aveva accesso a BHL
2244. (54)
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Inoltre, le note marginali del Prologo di N sono le stesse di quello di S2, ma, mentre in
S2 continuano in tutto il resto del testo, in N si fermano subito dopo il Prologo,
suggerendo che abbiano avuto origine in S2.(55) In favore della seconda conclusione, si
può addurre che nessun altro esemplare superstite, a parte N —o le sue sorgenti— possa
essere servito come modello per il correttore. Il Monte Cassino 101 è l'unica copia antica
del Prologo nella tradizione BHL 2244; tutte le copie successive di BHL 2244, in
definitiva corrispondono a lui. Ma in tre casi S2-2 e N differiscono da Monte Cassino
101. In due di questi casi, il correttore lasciò il testo intatto di S2 e non lo corresse in
conformità di Monte Cassino 101; (56) nell'altro caso, è la differenza che attualmente
c’è fra i testi di S2-2 e di N e il testo di Monte Cassino 101. (57) Il Prologo di N, in
conclusione, non porta risposta decisiva alla domande sul Prologo di R.
Un'altra argomentazione notevole che potrebbe essere portata per disputare contro
l'inclusione nell'archetipo di Sora del Prologo di Alberico è il fatto che la traduzione
italiana della Vita di Domenico, pubblicata da Gasparo Spitilli nel 1604 (58), non
contiene il Prologo. Comunque, Spitilli non usò l’esemplare di Sora, nonostante il titolo
del suo libro aggiunga "... estratto dal Latino originale, che si conserva nella Chiesa di
Sora... "; invece lui usò R. Questo è chiarito dalla comparazione della sua traduzione col
testo tramandato da R. Spitilli, infatti, traduce il testo (R2), (59) pressocché

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senza modifiche.(60) Nell’occasione, egli usa anche note aggiunte al margine di R.(61).
Gasparo Spitilli, nato in Campli nel 1561, entrò nel noviziato Gesuita a Roma nel 1584.
Spese il resto di vita sua a Roma, come archivista presso la segreteria generale
dell’ordine, e morì nel 1640. Non è sorprendente che lui possa aver copiato R che era a
Roma ben prima del 1605.
Mentre Spitilli usò la copia Vallicelliana, Lodovico Iacobilli, un laico di Foligno, usò
molti manoscritti e molte versioni per la sua Vita di S. Domenico da Foligno, pubblicata
nel 1645, (62) inclusi BHL 2241, BHL 2243, e la versione più lunga di Alberico,
custodita a Sora. Iacobilli dichiarò nella sua prefazione che lui aveva "di persona
visitato li luoghi eretti dal Santo; e visto lo scritture di e gli antichi Codici che ne
trattano [sic], e 1'altre memorie, che forse per il passato non se n'haveva notitia”(p.4).
Iacobilli cita il lavoro di Alberico prima nel suo elenco di fonti e dichiara che è
“conservata nell’Archivio di Monte Cassino, ed un'antica copia nella chiesa d'Atino [una
piccola città vicino a Sora], e un'altra nella Cattedrale di Sora" (p.5). Comunque, egli
non cita mai dalla Vita di Monte Cassino, ma solamente dalle altre due. Non c'è nessuna
ragione di dubitare che lui infatti usò le fonti che lui cita, compreso che usi anche
Spitilli. lacobilli non riporta il Prologo di Alberico. Non è possibile, perciò, accertare se
qualcuna delle versioni a lui disponibili lo contenessero.(63)
301
L'esistenza del testo originale di Alberico in Atina è confermata ulteriormente da una
storia inedita della chiesa di Atina scritta dallo storico locale Marcantonio Palombo,
all’inizio del diciassettesimo secolo.(64) Era infatti mentre stavo preparando un'edizione
del testo di Palombo che mi resi conto che Palombo aveva disponibile per sé una
versione della Vita di Alberico diversa da quella pubblicata da Lentini.(65) Palombo,
inoltre, ci dice che questo testo che consultò era scritto "charactere longobardico" che
significa scritta Beneventana, e che era incluso nel leggendario anticho di Atina.
La storia di Palombo non indica se il testo di Atina contenesse il Prologo e nessuna
indicazione di origine. Palombo conosceva bene la Cronaca di Monte Cassino, e la sua
attribuzione della Vita ad Alberico può dipendere da quello. La sua specificazione è
importante, non fosse per altro, perché è una testimonianza specifica del carattere
beneventano della scrittura dell’esemplare a sua disposizione, un fatto non menzionato
da Iacobilli.(66) E’ possibile, inoltre, che la copia di Atina possa essere stata fatta su un
modello di Monte Cassino, perché il legame tra la Chiesa di Atina e Monte Cassino era
forte nel dodicesimo secolo e molti testi copiati nell’antico lezionario di Atina vennero
da Monte Cassino. (67)
La più importante conclusione che può essere dedotta dallo studio dei due manoscritti
che preservano Dm e dalla testimonianza degli studiosi di antichità, è che c’erano a Sora
ed Atina, e forse anche a Monte Cassino, copie medievali del testo più lungo che include
la Vita e Miracoli,

302.
di San Domenico, attributi dagli studiosi ad Alberico. È anche possibile, dagli elementi
emersi finora, postulare che il Prologo associato al testo più corto, BHL 2244, era una
volta parte del testo più lungo nel Manoscritto di Vallicelliana e, perciò, del suo
modello, il codice di Sora. E’ chiaro, comunque, che non c'è nessun elemento decisivo
per sostenere questa conclusione.
I contenuti del Prologo, d'altro canto, indicano più esaustivamente che è una
introduzione più appropriata per il testo ripristinato che non per BHL 2244. L’attacco
iniziale (Dm 3) stabilisce gli obiettivi dello scrittore: "ortum uitam mortemque
Domenicoi, et de miraculis quaeque potissima, stilo excultiore et labem mendacii
nesciente, apicibus memoriaeque mandarem.” Certamente questo corrisponde a Dm che
infatti tratta le origini, la vita, e morte di Domenico, ed i miracoli sistemati largamente
nell'ordine elencato nel Prologo. (68) BHL 2244, il testo al quale è stato attaccato
tradizionalmente questo prologo, tratta anch’esso "l'origine, la vita, morte, e miracoli"
dell'abate di Sora. Comunque, i miracoli sono pochi, sono inframmezzati nella
narrazione, e sono citati prima della morte del santo che costituisce l’episodio finale di
questo testo. BHL 2244 si attiene all’ordine narrativo descritto nel Prologo, così come fa
Dm, dove i Miracoli occupano così una parte sostanziale della narrazione. Inoltre, il
Prologo enfatizza, ripetutamente i miracoli che si compirono dopo la morte di
Domenico. L’autore dice, per esempio, come Dodo insisté che si visitasse la tomba.
("ut locum tecum illius sepulturae adirem", Dm 3). Lui descrive anche come i monaci
del monastero di Domenico vicino a Sora portarono testimoni per narrare a questi
visitatori, i miracoli salutari che si compirono sulla tomba del santo uomo ("qui se ad
sancti uiri tumulum contestatione propria diversis astruebent malis ualetudinibus libera",
Dm 9). Non è tale enfasi consona con il testo restaurato cui ultima sezione intera infatti
consiste di miracoli, nei quali la tomba del santo opera un ruolo notevole? In BHL 2244,
d’altronde, questa sezione finale è completamente mancante e non c'è alcun miracolo
post – mortem.(69)

303
Anche nel suo uso retorico di topoi, riconosciuti come luoghi comuni nelle prefazioni
prosastiche Latine, fin dall’antichità, (70) il Prologo è più appropriato al testo più lungo,
per questi luoghi comuni che ritornato nel testo di BHL 2245b e 2242, ma non in BHL
2244. L'autore presenta l’antico topos della richiesta, per esempio, per spostare
l’ispirazione per iniziare il lavoro a “Dodo frater carissime" che pressoché funge da
forza persuasiva a scrivere ("frequenti importunaque a me tandem precum extorsisti
instantia. . . ") . (71) Questo tema è raccolto alla fine della raccolta dei miracoli (Dm
397) dove l'autore spera che abbia adempiuto alla richiesta del suo confratello ("fraternis
nos uel annuisse precibus... "), una frase che è un'eco chiara del Prologo. Il topos della
veracità e l'enfasi concomitante su fonti fidate erano molto ricorrenti in Alberico, per la
sua grande e lunga esperienza nei lavori agiografici.(72) In tutto il Prologo lo scrittore
cerca di enfatizzare la veracità della sua raccolta, descrivendo i suoi informatori come
uomini che erano stati discepoli di Domenico stesso e dai quali aveva appreso la mera
veritas (Dm 3) che egli oppone alla mendacia del testo più antico. Fra loro c’è l'abate
Benedetto che appare nei Miracoli descritti in termini notevolmente simili
("reuerendumque abbatem Benedictum, Domenicoo tam sanguine quam sanctitate
propinquum," Dm 3; “Benedictus reuerendus abbas, Domenicoo et sanguine et sanctitate
propinquus,” Dm 350 [chap. 33]). (73) Più chiaramente, le parole del Prologo
"personarum idonearum testimoniis credibilibus" (Dm 4) sono ripetute alla fine del cap.
13 dei Miracoli, che introducono i miracoli post - mortem ("per idoneos testes sunt
comperta", Dm 215), così come la fine di BHL 2245b che introduce i miracoli in vita
("per testes fideles

304
et idoneos comperta") (74) , ed infine le parole della fine apologica “relazione fidelium
personarum" (Dm 395).
Un altro tema comune — in breve— è presentato alla fine della vita, quando lo scrittore
introduce i miracoli compiuti durante la vita del santo con le parole "per Domenicoum
exhibitis signis scripturus paucissima. .. " (Dm 136). Similmente, i miracoli post -
mortem sono conclusi da un richiamo alle esigenze di brevità, quando la moderazione,
l’estenzione del testo, ed il conforto del lettore impongono allo scrittore di fermarsi
("Verum et omnis demenda nimietas, et libro modus competens adhibendus, et lectoris
est euitandum fastidium" Dm 396). Questo tema che mette insieme anche BHL 2245b e
2242 è presentato anche nel Prologo, quando Alberico rileva una carica di verbosità che
caratterizzava la Vita precedente, scrivendo "lacinioso impolitoque nimis...sermone"
(Dm 1). (75) Le tre parti di questo lavoro — Prologo, Vita e Miracoli — appaiono,
quindi, lavorati a maglia insieme da Alberico, il padrone di retorica, attraverso l'uso di
un comune topoi letterario, confermando che il Prologo fu scritto per il testo più lungo,
e non per BHL 2244 dove risuonano a vuoto queste convenzioni letterarie.

LA PROVA FORNITA DALLE DATE

Un studio cronologico di questo lavoro dovrebbe indirizzare due domande: quando fu


scritto? e, le tre parti furono scritte nello stesso momento? (76) Il Prologo riferisce che
l'autore stava scrivendo quando vivevano monaci che avevano conosciuto Domenico ed
erano stati formati da lui ("sub

305
disciplina olim educatos Domenicoi", Dm 3). Inoltre, uno dei principali informatori di
Alberico è Giovanni, ora "senex grandaeuus fermeque decrepitus, ore prae uetustate
dentibus uacuato balbutiens" che era in compagno di Domenico, avendolo seguito "in
annis adhuc puerilibus" (Dm 7). In altre parole, Alberico sta scrivendo la prefazione
verso la fine della generazione che fu seguace di Domenico che morì nel 1031 a circa
ottanta anni di età. Anche se nessuno di questi discepoli di Domenico può essere
identificato nella Vita come vivente, qualcun altro, invece appartiene alla stessa
generazione. Questo è Oderisio, il conte del Marsi, che si incontra col santo quando era
ancora un "adulescens"; è narrato nel grande dettaglio in Dm 77 ff. Questo stesso
Oderisio, non molto più tardi, nella sua età matura, ora, all’epoca della redazione del
testo, è monaco a Monte Cassino. Quindi, si può trovare una generica indicazione della
contemporaneità tra Prologo e la Vita.
Una continuità simile può essere stabilita tra Prologo e Miracoli. Il Prologo identifica
l'abate corrente di Sora come Benedictus (Dm 3). I Miracoli menzionano solamente due
abati, Giovanni (Dm 296), l'abate che succedette a Domenico, (77) e Benedetto (Dm
350).(78) Nessun altro abate è menzionato nei Miracoli. Data la ricchezza di episodi e
circostanze narrate, è difficile credere che se c'era stato qualche altro abate lui non
l’avrebbe menzionato, per prestare ulteriore credibilità ai poteri miracolosi di Domenico,
come aveva fatto per Giovanni e Benedetto. Sembra esserci, perciò armonia cronologica
e generale fra le tre parti di questo lavoro.
La più recente datazione ha fatto risalire il testo originale a poco dopo il 1060.(79)
Comunque, gli elementi interni del testo mostrano che Dm dove essere stato scritto dopo
il 1067.
Oderisio che appare così vistosamente in due lunghi episodi del testo Vita e Miracoli di
Domenico (Dm 71 ff. e 380 ff) può essere identificato facilmente con Oderisio II, conte
del Marsi, figlio di Berardo II, padre, fra gli altri, di Oderisio I, abate di Monte Cassino
(1087-1105), Trasmondo, un

306.
monaco di Monte Cassino che fu abate di S. Maria in Tremiti prima e più tardi di S.
Clemente a Casauria e vescovo di Valva (fl. 1070s), ed Atto, vescovo dei Marsi e più
tardi di Chieti. (80) Questo deve essere il perché Alberico include i suoi figli, quando
elenca tutte le benedizioni conferite su lui dalla provvidenza divina. Solo la Vita di
Alberico contiene questi episodi, suggerendo che lo scrittore aveva grande interesse in
questo individuo così come nei conti dei Marsi in generale. Il loro coinvolgimento nella
storia dell'abbazia è illustrato ampiamente dalla Cronaca Cassinese. Il lavoro recuperato
di Alberico offre nuovo rilievo alle attività ed alle donazioni del padre di Oderisio II,
Berardo II; ci fornisce anche il nome della moglie di Berardo (Doda) e rivela che
Oderisio si ritirò a Monte Cassino, dove era in corso la scrittura di Dm.(81) Questo è
materiale importante per l’ancora schematico meccanismo di espansione e per la storia
dinastica della potente famiglia dei conti del Marsi che si ritiene discendente del Conte
Berardo il Franco.
Siccome Oderisio incontrò Domenico mentre era ancora un adolescente e prima della
fondazione del monastero di Sora di cui Domenico pare che fu abate per venti anni e
mezzo (BHL 2241, chap. 33), si potrebbe ipotizzare che l’incontro avvenne all’incirca
nel 1010 e che Oderisio nacque, al più presto, nel 995. L’ultima data nella quale appare
come conte è il 1067.(82) Noi possiamo presumere, quindi, che lui entrò in monastero
dopo ciò.
In questo ragionamento, comunque una difficoltà deve essere eliminata. H. Muller, nel
suo Topographische und genealogische Untersuchungen zur Geschichte des Herzogtums
Spoleto (Greifswald, 1930), offre tre esempi supplementari nei quali apparirebbe
Oderisio, nel 1074, 1075, e 1077. Se questo fosse vero, si dovrebbe posticipare il suo
arrivo a Monte Cassino di dieci anni, e quindi ritardare la composizione di Dm. Dai
passaggi in questione, i primi due dal Regesto di Farfa, l'altro da una documento
pubblicato negli Antiquates di Muratori, (83) possono essere costruiti i seguenti alberi
genealogici:

307
(schema)
Il seguente è un albero genealogico semplificato che io ho costruito usando gli indici di
Bloch, Monte Cassino:
(schema)

308
Muller ritiene che Berardus del testo menzionato sopra sia Berardo II, e suo figlio
Oderisio sia Oderisio II, e Rainaldo il figlio di Berardo II. Se si accetta l'ipotesi di
Muller, si dovrebbe accettare che Oderisio II aveva due figli entrambi chiamati Oderisio
(uno l'abate di Monte Cassino, l'altro l'Oderisio citato dei documenti di 1074 e 1077).
Questo non sembra plausibile.(84) Io suggerisco che l’Oderisio del carteggio sia infatti il
figlio di Berardo III, nipote di Oderisio II. Meno importante per gli scopi attuali è
l'identità di Rainaldo, che Muller identifica con Rainaldo III. Sarebbe più adatto
identificarlo con Rainaldo IV, che sarebbe il fratello dell'Oderisius dei carteggi. Ai
posteri "1'ardua sentenza!"
Partendo dall'identificazione corretta del Conte Oderisio, che appare l’ultima volta nei
documenti ufficiali nel 1067, si può presumere, perciò, che la vita fu scritta non molto
più tardi di questo momento. Così, 1067 può essere assurto a terminus post quem.
L'altra indicazione interna precisa che aiuta nella datazione di questo lavoro è che
Leone, vescovo di Sora, era morto (non sappiamo da quanto tempo) quando i Miracoli
erano scritti (Dm 373). Leone era morto al 1059, (85) così questo fornisce un anteriore
terminus post quem per i Miracoli, valido per la Vita.
I Bollandisti datarono i Miracoli a subito dopo la metà dell’undicesimo secolo a causa di
"citata virorum nomina vel facta aliunde nota". (86) Questa datazione è stata sostenuta
dai più recenti studiosi e per ragioni simili. Lentini, al contrario, trasse la conclusione
che BHL 2244 non può dipendere dai Miracoli, cercando di collocarlo più tardi della
metà del decennio 1060s, la data generalmente accettata per la composizione di BHL
2244, ed stabilì anche un terminus post quem nel 1090 per i Miracoli. A supporto di
questo datazione ritardata lui addusse due ragioni. La prima è che Herasmus, il
beneficiario di una guarigione miracolosa nei Miracoli, è indicato come segue:
“tunc presbytero, postmodum vero Signensi episcopo” (Dm 348). Questo suggerì a
Lentini che Herasmus era morto; altrimenti piuttosto che "postmodum '' lo scrittore
avrebbe usato "nunc" o della parola simile. Se uno accetta questo argomento, la data di
composizione dei Miracoli dovrebbe

309
essere collocata dopo il 1071 quando Herasmus era presente alla consacrazione della
basilica Cassinese, sotto Alessandro II (87). L'altra ragione addotta da Lentini è che non
si dice specificamente che quel Leone, vescovo di Gaeta sia vivo negli eventi narrati in
questo stesso capitolo dei Miracoli (Dm 347), e noi dobbiamo concludere perciò che lui
è morto. Leone morì entro il 1090, quando gli successe il cassinese Rinaldo (88). Io
credo, comunque, che non c'è alcuna ragione di sostenere che Leone sia morto; al
contrario, le parole usate per consolidare la veridicità di questo passaggio basato sul
racconto di Leone ("Leone... ore protestatus est proprio") suggerirebbe solo l'opposto,
ovvero, che l'autore stesso ascoltò queste parole, anche se questa conclusione è troppo
incerta per stabilire il 1090 come un terminus ante quem.
In conclusione, perciò, si può dire che le ampie indicazioni cronologiche fornite dai
contenuti sostengono l'integrità dell’intero lavoro; non ci sono discordanze cronologiche
fra le tre parti. Inoltre, le specifiche indicazioni storiche offrono un terminus post quem
nel 1067, forse nel 1071 se si accetta le argomentazioni di Lentini a riguardo di
Herasmus. Questo terminus post quem, inoltre è compatibile col fatto che persone che
avevano conosciuto il Santo ed avevano ricevuto i suoi insegnamenti, erano ancora vive
al tempo della composizione. Ma non c'è certo terminus ante quem, a meno che si accetti
che Leone parlò ad Alberico stesso. Siccome Alberico descrive i discepoli di Domenico
che servirono come suoi informatori come piuttosto vecchi, una data di composizione
nel tardo decennio 1060 o presto 1070 può, io penso, essere molto probabile. È a questo
punto, infatti, che il legame di Domenico a Monte Cassino fu materialmente stabilito,
tramite l'acquisizione dell'abbazia di due delle fondazioni monastiche del santo. Nel
1067/69, S. Pietro del Lago e di Prato Cardoso (nell’odierna provincia di L'Aquila) la
cui fondazione è narrata in Dm 38 ff., è donato a Monte Cassino da Teodino ed
Oderisio, conti di Valva, e Berardo, figlio di Berardo (89). Nel 1069 S. Pietro Avellana,
fondato nel 1026 agli ordini di Borrello Maggiore (Dm 61-62), fu donato da Borrello il
Giovane a Monte Cassino (90). Questo ha fatto emergere che Alberico conobbe dettagli
contenuti nelle carte di fondazione di S. Pietro del Lago (91) e che perciò la scrittura di
Dm dovrebbe essere collocata in contemporanea con queste donazioni, quando
Domenico fu incorporato nella più grande "famiglia di Santi" della casa di San
Benedetto (92).

310
Questa datazione di Dm si adatta perfettamente con le conclusioni raggiunte attraverso
lo studio dei contenuti.

IL CURSUS E STILE
Nel loro studio dei lavori agiografici di Alberico, Lentini ed Engels, così come altri,
hanno evidenziato l’uso molto esteso di ritmo nella prosa di Alberico (93). L’uso di
Alberico del cursus ha implicazioni più ampie a causa della controversia circa la sua
introduzione nell’uso della corte papale, da parte di Giovanni di Gaeta, un alunno di
Alberico di Monte Cassino e futuro Gelasio II. Molto recentemente, Tore Janson ha
dimostrato che quel cursus era osservato nella corte papale prima dell'arrivo di Giovanni
di Gaeta, nell’agosto 1088 alla corte di Urbano II. Con l'elezione di Urbano II nel marzo
1088 ed in particolare con l’arrivo di Giovanni di Gaeta, più tardi, in quell’anno, quindi,
un nuovo tipo di cursus compare nella corte, la cui più caratteristica saliente è il dominio
straordinario del cursus velox. Il cursus tardus preferito dai precedenti papi ora è in
secondo piano, seguito dal planus in terza piazza. È probabile, poi, che Giovanni fu
responsabile nell’enfatizzare l'uso nella corte papale di questa più "au courant" forma di
cursus (94). Dove conobbe questo cursus Giovanni di Gaeta? Qui Janson rifiuta
l'opinione dei precedenti studiosi secondo i quali lui l'aveva imparato da Alberico di
Monte Cassino, perché un studio del Flores rhetorici di Alberico produce la conclusione
che Alberico non vi usò il cursus (95). Janson formulò una teoria che Giovanni potrebbe
aver imparato il cursus prima che venisse a Monte Cassino, forse mentre ancora a
Salerno (96).
Qualsiasi possano essere le ragioni dell'assenza del cursus nel didattico Flores, si è
scoperto da molto che Alberico usò cursus in tutti i suoi lavori agiografici. Il mio esame
conferma lo sviluppo di Alberico nello

311
uso di un cursus notevolmente simile a quello assunto da Giovanni di Gaeta, ed aiuta a
stabilire la posizione propria di Alberico all'interno dello sviluppo dell’uso del cursus
delineato da Janson stesso (97).
Una difficoltà iniziale nella divisione di questo testo in clausole sorge dall'assenza di un
esemplare del manoscritto antico di Dm. Lo scopo della punteggiatura medievale era di
aiutare molto nella lettura ad alta voce e, imporne il moderno uso grammaticale, può
essere anacronistico (98). La miglior cosa, seguire la punteggiatura di R come potrebbe
essere copiato da una fonte antica, è anche problematico, perché una comparazione tra R
e Monte Cassino 101 (99) in quelle sezioni dove il testo è lo stesso, mostra immediati
disallineamenti. Si deve concludere, perciò, o che R segua l’antico esemplare e che ci fu
una modifica nella tecnica della punteggiatura, o che R non segua il suo modello antico.
Siccome R non sembra seguire una tecnica costante, non vi si può discernere quale sia il
modello (100) e R non può essere usato come standard assoluto. Nel mio studio, perciò
io ho diviso le clausole secondo unità grammaticalmente indipendenti. Seguendo la
traccia di Monte Cassino 101, io ho evitato di considerare frasi composte come una
clausola, anche se congiunte da un congiunzione (101), ed ho trattato clausole relative
ed indipendenti come clausole complete. Le uniche eccezioni sono state le clausole
consecutive (spesso il tricola) bene allacciate dal senso e dalla costruzione grammaticale
che così le tengono insieme. Anche se questa non è una soluzione ideale, sembra
migliore in queste circostanze non ottimali. Inoltre, siccome questo è il più lungo testo
agiografico di Alberico, il significato statistico degli errori è minore.
Come risultato di queste pratiche, la mia divisione di clausola varia dal testo di Dolbeau.

312
Mentre il mio dà luogo a 431 clausole, il testo di Dolbeau ne produce 398, o
approssimativamente il 10% meno clausole. Molta di questa differenza può essere
spiegata dai modi diversi con i quali trattiamo le relative clausole. Un'altra maggiore
fonte della differenza deriva dal mio considerare il discorso diretto come soggetto della
stessa divisione di clausola. (104) In alcuni casi, comunque la nostra divisione è diversa
a causa del mio sforzo di tenere il tricola intatto (105).
I risultati del calcolo delle cadenze volute alla fine delle clausole sono compendiati nella
tabella seguente. La "Expected Frequency" indica quante clausole di una particolare
cadenza ci si aspetterebbe statisticamente di trovare in questo lavoro, mentre la
“Observed Frequency” indica quante davvero ne sono state trovate. In sostanza, il
massimo della differenza tra quello che normalmente ci si sarebbe aspettato e quello che
davvero si è osservato nel testo, il massimo grado di preferenza per quella cadenza da
parte dell'autore. La colonna di "Percent" indica la percentuale di una cadenza fra tutte le
clausole del testo. (106)
(schema)

313
Tutte le cadenze oltre a queste quattro hanno un frequenza prevista uguale o maggiore
delle loro frequenze osservate. Solamente le suddette cadenze, in altre parole furono
ricercate da Alberico. Questo grafico indica un uso impressionante di Alberico del
cursus velox che si succede in Dm in più del 40% di tutte le clausole compiute. Il cursus
tardus, a 18.51% è un secondo molto distante, mentre il planus è un vicino terzo. Queste
tre cadenze costituiscono il 77.41% di tutte le clausole compiute. Quando si guarda
inoltre alla frequenza prevista di queste cadenze e le si compara alle frequenze osservate,
la preferenza di Alberico per i cursus compiuti è anche più impressionante. (107)
Se le figure per la vita (Dm 1-136) e Miracoli (Dm 137-398) vengono separate e
confrontate, i risultati possono essere compendiati nelle percentuali seguenti:
(schema)
Come questa grafica mostra, Alberico seguì piuttosto uniformemente il cursus in tutta
l’interezza di questo lavoro, ma fu particolarmente nella sezione di Miracoli che egli fu
libero di appagare il suo gusto per il velox (a spese del planus). La ragione è facile da
capire: la sezione più storica della vita gli presentò maggiori limitazioni nella sua scelta
delle espressioni, anziché i più descrittivi Miracoli.
Si dovrebbe notare anche in questo esame la preferenza straordinaria per la cadenza
dispari pp 5pp. Accade otto volte. Anche se questo non appare straordinario, data la
frequenza delle tre categorie principali, pp 5pp si ripete quasi per il doppio delle volte
rispetto a quanto ci si aspetti statisticamente. Questo è l'unica altra cadenza di cui si è
rilevata una frequenza eccedente a quella aspettata. La conclusione deve essere che
Alberico la ricercò. Giovanni di Gaeta, secondo Janson esibì la stessa preferenza per il
dispari pp 5pp.(108) Alberico condivide un'altra caratteristica

314
con Giovanni di Gaeta nel suo evitare le varianti eterotome pp 3pp e pp 2. (109)
Chiaramente, l'uso di Alberico di cursus in Dm e quello di Giovanni of Gaeta mostra
somiglianze impressionanti.
Quando i risultati suddetti sono comparati con quelli ottenuti da un studio degli altri testi
agiografici di Alberico, si trova che questo lavoro ha somiglianze più forti con le Vita di
Cesare (Ce) e Scolastica (Sc) che con quelli di Modesto (Mo) ed Aspreno (As): (110)
(schema)
Secondo queste figure, Ce, Dm, e Sc formano un gruppo, mentre As e Mo ne formano
un altro. As e Mo sono i più retorici dei lavori agiografici di Alberico, pieni di un
linguaggio talmente dispersivo e straordinariamente adattato ad un esibizionismo
retorico che i lettori moderni li rifiutano. (111) In questi due lavori, Alberico seguì poco
scrupolosamente il cursus, perché le richieste retoriche e la loro applicazione dettarono
la sua scelta di parole e la loro sistemazione. Le altre tre Vite, al contrario, seguirono lo

315

stile "medio", come Alberico stesso definì il suo scritto.(112) Qui, perciò seguì più
liberamente il cursus come già fece con una vastità impressionante in quello che dovette
essere il suo primo lavoro, composto all'età di tredici anni. In questo lavoro, Ce,
Alberico segue un cursus di più "vecchio stile" nel quale il velox non è così
predominante, ed il tardus è un secondo rispettabile. In Dm, rivela un uso più sviluppato
del velox ed un ruolo aumentato del planus, al pari del tardus. Infine, il pezzo di Sc,
mentre mostra ancora una preferenza forte per il velox, impiega il planus pressoché il
doppio delle volte del tardus che è relegato ad una distante terza posizione.
L'uso di Alberico della prosa ritmica come dimostrato in questi lavori di agiografia
segue lo sviluppo del cursus nel tempo. Nel tardo undicesimo secolo, appare un trend
generale nel favorire il velox più delle altre forme. Nel corso del dodicesimo secolo, il
dominio forte del velox continua, mentre il tardus diviene meno favorito e viene ad
essere sostituito da planus. (113) Inoltre, l'uso di varianti eterotome cessa. Queste
compaiono raramente nei lavori di Alberico, ed in Sc non ricorrono affatto. L'uso del
cursus di Alberico in questi pezzi conferma la somiglianza in stile fra Ce, Dm, e Sc da
una parte, ed As e Mo dall’altra. Inoltre, queste opere non solo rivelano che Alberico
era un avido utilizzatore di cursus, ma anche che lui seguì le principali mode in questo
campo che, in effetti, egli stesso potrebbe aver determinato ad imporsi nell’uso.
Non solo nell'uso delle chiusure ritmiche delle clausole e nelle convenzioni letterarie ma
anche nell’implementazione di altre caratteristiche stilistiche e retoriche, la Vita
Domenico di Alberico riflette l'intenzione del suo autore di creare un prodotto letterario.
Le particolari qualità dello stile di Alberico che sono state discusse da molti studiosi
sono ampiamente evidenti in Dm.(114)
Una delle caratteristiche più impressionanti dell'organizzazione di questo lavoro è
l'intervento continuo dell'autore per evidenziare le scene della sua narrazione, seguendo
passaggi retorici che risalgono ad Aristotele. Così Alberico conclude il prologo con
"Verum de his hactenus" (Dm 9). Similmente nella Vita, dopo che Alberico ha interrotto
il flusso del suo racconto per narrare degli eventi miracolosi, ritorna al resoconto
corretto con un altro marcatore (“Haec autem acta sunt,” Dm 59) con il quale aiuta il
lettore
316
a riprendere più facilmente il filo della storia. Anche un'altra interruzione per includere,
proletticamente, la cattiva fine di Pietro di Raniero che disubbidì gli ordini di Domenico
dopo la morte del santo è chiaramente marcata. (115) L'inizio dei miracoli compiuto in
vita è annunciato da una frase intera (Dm 136). Similmente, un marcatore identico è
posizionato all'inizio dell'episodio della sua morte (Dm 203). Un altro segue
naturalmente presentando i miracoli post mortem (Dm 215), ed ancora un'altro alla fine
del lavoro intero. Questa impronta di procedere ad una narrazione o discussione è usato
estesamente in tutta l’opera scritta da Alberico. (116)
Mentre la Vita di Domenico non esibisce la sistemazione penetrante e progressiva delle
parole nella molto più retorica Vita di Sant’Aspreno, (117) essa assume in tutto un
genere di "progressione logica" espresso in un tricolon, come quando il monaco
Giovanni, comprendendo che Domenico morrà presto, l'ammonisce "acceleret reditum,
maturet regressum, festinet fratum congregationi se reddere" (Dm 205); o, nella
decisione di una cura miracolosa, “tumor effluit, dolor euanuit, homo sanatus est” (Dm
360).
Anche antitesi e gioco di parole sono caratteristiche dello stile di Alberico. Esempi
numerosi sono trovati nel lavoro presente, come nel 31 ("meditationem legis domini soli
per dies metiebantur") o 159 ("et absentem carperent et praesentem uerbis mendacibus
lacerarent") o 189 ("qui multis venerat causa mali. . . magis profuturus multis
rediret").(118)
L’anafora, combinata a volte con la sinonimia, un'altra figura stilistica comune nei lavori
di Alberico è frequente in Dm, come, per esempio, nel 159 ("Non defuere inter ista
Domenicoo aemuli, non defuere qui. . . "), o 257 ("ita clarum, ita vulgatum... "), o 259
(decoro di "ut decorum , ut pulchrum, ut

317
praecipuum fieret, omnem artis solertiam, omnem laboris diligentiam adhiberet"), o 267
(". . pannum tamen iterum accipit, iterun abluit itemm soli exsiccandum exponit").

BHL 2244 e 2245(119)


Il testo di BHL 2244 sopravvive completamente o in parte in nove manoscritti. (120) Il
testo di tutti questi, comunque deriva da Monte Cassino 101 (= A nell'edizione di
Lentini), eccetto, forse, per Vallicelliana G 98 circa il quale si dirà più avanti. Anche il
testo come pubblicato da Bolland e Mabillon dipende da A.(121)
Monte Cassino 101 è stato generalmente datato alla fine dell'undicesimo secolo e
potrebbe essere contemporaneo, in altre parole, ad Alberico o scritto poco dopo la sua
morte.(122) Francesco Newton che ha preso parte di uno studio completo dei
manoscritti cassinesi di questo periodo suggerisce che forse questo era uno del codici
prodotti nel decennio 1090s per la dedicazione della chiesa di S. Martino. (123) Questo
codice è stato descritto come un lectionarius ed un homiliarius. Nel testo su Domenico,
la notazione il "lectio VIII" nel

318
margine di cima era fatto da una mano diversa da quello che scrisse il testo principale.
Questa stessa seconda mano sembra essere quello che scrisse ”Incipit prologus Alberici
diaconi et monachi Casinensis in Vitam vel obitum Sancti Dominici Confessoris." La
posizione di questa aggiunta -fuori dal margine superiore – come pure la mano diversa
indica che queste notazioni furono aggiunte più tardi. L'attribuzione di questo testo ad
Alberico, quindi, fu scritta dopo il testo.(124)
Il foglio di Vallicelliana G 98 che contiene sul lato verso i nn. 21 e 22 init. di BHL 2244
è scritto in una grafia Beneventana dell'inizio del dodicesimo secolo, (125) e fu
raggruppato da Gallonio in questo libro che è completamente fatto di frammenti presi da
altri libri. Chiaramente, questo insieme di fogli fu preso da un codice liturgico: contiene
letture dalle Vite di tre santi venerati il 22 gennaio (San Vincenzo, San Domenico di
Sora e San Anastasio il monaco Persiano), inclusa quella lettura intitolata "vita vel
obitus sancti dominici confessoris Lectio VIII." Questo non è un testo frammentario fino
alla fine del foglio dove comincia la lettura dal Vita S. Anastasii (BHL 411). A causa
della brevità di questo testo, nulla può essere concluso riguardo la sua relazione con
A.(126)
Monte Cassino 110 (= C) contiene fondamentalmente lo stesso testo di A eccetto per
alcune "lacunae." Non ha il Prologo. L'evidenza codicologica chiaramente indica che C
fu copiato da A e che queste "lacunae" erano intenzionali. Nel margine su p. 494 di A, a
destra, vicino al posto dove la lacuna di C comincia, la stessa mano che copiò C scrisse
"Interrumpe, "(l27) e su p. 497 di A, a destra alla fine della linea dopo la quale C
riprende, questa stessa mano vi scrisse "Repete." In altre parole, il luogo dove saltare
chiaramente è marcato. Non era un errore nel copiare ma un intenzionale e non
sofisticato tentativo di copiare tanto di A quanto possa adattarsi ad una pagina. C è un
lezionario che contiene letture dalla prima domenica in Avvento all'Ottava di Pentecoste.
Secondo Francesco Newton, questo manoscritto non può essere datato al periodo di
Desiderio, come è stato fatto da Loew. (128) Il manoscritto è del periodo di Oderisio,
forse anche databile alla prima parte del dodicesimo

319
secolo. Il testo di Domenico è contenuto su una sola pagina, vicino la fine, scritto - con
le sue pagine adiacenti (pp. 613-16) - addirittura dopo il testo principale, e segnato con
l'indicazione "Lectio VIII." Probabilmente lo scrivano volle usare queste pagine bianche
per includere letture da testi non contenuti nel corpo principale del codice.
Una comparazione lato per lato del testo di Vita di Dm con BHL 2244 immediatamente
rivela la stretta correlazione tra i due testi e, infatti, quel BHL 2244 è una versione
accorciata della Vita e con parti dei Miracoli nella Vita di Dm.(129) Prima del n. 31,
BHL 2244 segue alla lettera Dm. Poi, BHL 2244 salta alle fondazioni di Domenico dei
due monasteri della SS. Trinità e S. Maria dei Genitricis” alla sollecitazione dei due
possidenti Credenderio e Zatterio. BHL 2244 trascura anche di spiegare come Domenico
era giunto a "Prato Cardoso." Chiaramente, il testo come preservato in A aveva una
lacuna qui, riconosciuta da Lentini stesso che la riempì provvedendo queste sezioni da
Monte Cassino 141 (vedere sotto). Quindi, i due testi proseguono seguono quasi
letteralmente l'un l'altro

320
attraverso numero 38 di BHL 2244. A questo punto, Dm include una sezione intera
omessa in BHL 2244. Infatti, da ora in poi, i testi cominciano a deviare più
significativamente l’uno dall'altro perché Dm contiene dettagli e sezioni intere non
contenute da BHL 2244. Quelle che colpiscono di più fra queste omissioni sono gli
episodi che illustrano Domenico che fa una profezia, i miracoli in vita (la maggior parte
dei quali è omesso) ed i miracoli post mortem (tutti omessi). Inoltre, BHL 2244 cambiò
l'ordine nel quale sviluppa la narrazione, perché il suo redattore volle finire il suo lavoro
con la morte del santo. Così i nn. 46-49 di BHL 2244 anticipano eventi che sono narrati
molto più tardi in Dm, nella sezione riguardo ai miracoli in vita. Si può capire perché il
redattore di BHL 2244 incluse qui questo miracolo della donna guarita dall'acqua santa
spedita a lei da Domenico: perché può essere connesso con l’episodio del ragazzo Leone
che beve acqua con la quale Domenico lava le sue mani durante Messa, narrato nel
precedente n.45.(130)
BHL 2245 è contenuto in due manoscritti. Città di Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana Vat. lat. 1197, scritto in scrittura di Beneventana include vite di martiri e santi
da dicembre a marzo. È stato datato alla fine dell'undicesimo secolo e la sua originale
allocazione è in Abruzzo. Anche se non ci sono nessuno impronte di lectio, questo libro
molto grande dovette avere uso liturgico.(131) Monte Cassino 141 fu composto nel
territorio di Benevento. Francesco Newton lo data più tardo rispetto ai precedenti
studiosi tanto da collocarlo a non prima del 1100. (132) Questi due esemplari hanno
minori differenze testuali tra loro; essi potrebbero essere stati copiati dallo stesso
esemplare.(133)
BHL 2245 è un testo estremamente accorciato. Lentini e Dolbeau, conclusero che è
basato su BHL 2244 del quale sembra compendiare in più luoghi. In aggiunta, 2245
contiene episodi e dettagli non trovati nel 2244, ma che si trovato in Dm.(134) Ma nel
suo linguaggio 2245 chiaramente è più vicino a 2244 che

321
a Dm. Per spiegare questa relazione a tre parti, si può ipotizzare che 2245 è direttamente
dipendente da 2244 con interpolazioni di Dm (come Dolbeau crede) o X (come Lentini
postulò), (135) o si può supporre che ambo 2244 e 2245 sono rimaneggiamenti
indipendenti di un'abbreviazione originale di Dm per scopi liturgici che non è più
esistente da molto tempo. Io credo che la seconda possibilità sia più probabile. Si
dovrebbe, altrimenti, spiegare perché 2245 "ri-aggiunse" degli episodi o dettagli tagliati
di 2244 e non alcuni altri, come, per esempio, nel passaggio seguente
(testo latino)

322
Più significativamente, 2245 conserva la frase "Comedebat... pinguedinis condimento"
(=2244 52) nell'ordine nel quale appare in Dm (46). Nel 2244, d’altro canto, questa frase
è stata inserita in un punto successivo nella sequenza di eventi, forse perché il redattore
fu confuso dalla funzione di queste parole che nel contesto originale di Dm
introducevano il miracolo del cibo celestiale di Domenico, scomparso da questo
esemplare. Lui trovò così un contesto nuovo per questa frase aggiungendola
all'asserzione della vita da santo di Domenico (2244 51). Sembra più semplice
concludere che l'abbreviazione del testo originale di Alberico come ora rappresentato in
A e nelle sue copie non é completo. Nel momento in cui il testo di 2244 in C è una
versione disgregata del testo contenuto in A, così ci sono molte possibilità che il testo
contenuto in A è una versione edita di quello che potrebbe essere chiamato l'originale o
"ur-2244" che includeva, oltre a quello che già è in A, gli episodi e dettagli conservati
nel suo riassunto 2245 e forse altro. BHL 2245 suggerisce, in altre parole, che doveva
esistere una versione di testo abbreviato senza le notevoli lacune contenute adesso in A e
nella sua famiglia.
Poteva l'abbreviazione originale, il "ur-2244" come riportato in entrambi i correnti 2244
e 2245, essere il lavoro di Alberico ? Lentini ed Engels, attraverso il loro studio di stile e
cursus non dubitarono mai che 2244 fossero stati composti da Alberico. La data dei
manoscritti in cui entrambi i testi (2244 e 2245) esistono certamente suggeriscono che
"ur-2244" potrebbe essere stato prodotto entro la vita di Alberico; il più antico esemplare
esistente, A, è un prodotto di Montecassino. Inoltre, la presenza in A del Prologo di
Alberico indica che anche "ur-2244" può averlo contenuto. Il titolo col nome di
Alberico, comunque, fu aggiunto più tardi ad A e può essere stato suggerito dal Prologo
piuttosto che dal testo stesso. (136)
Comunque, io credo che stiano prendendo corpo elementi evidenti contro l'ipotesi che
Alberico era autore di "ur-2244. " Prima di tutti, uno studio del cursus di BHL 2244 e
2245 indicano che fu osservato in minore grado qui, come illustrano da queste
percentuali:
(schema)

323
Queste figure indicano che in 2244 le tre cadenze favorite ricorrono nove punti
percentuali meno che in Dm, e nel 2245 quel ribasso è di più di diciotto punti. Se si
esaminano solamente quelle clausole che cambiano in 2244 (i.e., se si escludono le
clausole che sono lasciate immutate da 2244 o sono completamente nuove), i risultati
sono che di diciannove tali clausole solamente dieci osservano cursus. Ci si aspetterebbe
che Alberico abbia tenuto all'osservanza del cursus, specialmente per un lavoro destinato
alla lettura liturgica.(137)
Infine, la natura di alcuni dei cambiamenti di scelta di parola od ordine di parola è
inesplicabile se si presume che Alberico è l'autore di "ur-2244" come riflesso da BHL
2244 e 2245. Perché Alberico vorrebbe, per esempio, cambiare una parola come
"cacuminibus" (Dm 54) in "summitatibus" nel 2244/2245 n. 43? In un altro esempio,
l’inusuale parola "insinuans" di Dm 128 è trasformato nel comune "enarravit" dei testi
successivi (2244/2245 62).(138) In questo stesso passaggio la frase più elegante "sub
abbate duce ac praeuio" diviene "sub regulari magisterio" (2244/2245 63).(139) Anche
BHL 2244 ("ur-2244"?) eliminò l'insolito "per internuncium" (Dm 126) (140) ed il
Grecismo "pellicibus" (Dm 130).(141) E’ difficile immaginare che Alberico, il maestro
della composizione, avrebbe sacrificato queste parole colorite. Anche meno
convincentemente l'eliminazione del riferimento chiaro al Regula Benedicti (Dm 121)
potrebbe essere attribuita ad Alberico.
Nonostante la sua paternità, ci si potrebbe veramente chiedere quale fu la ragione della
creazione di “ur-2244." Mentre non tutti gli esemplari antichi di 2244 e 2245
contengono impronte di lectio, essi sono inseriti in raccolte di Vite di santi ed altro
materiale omiletico il che suggerisce che il loro scopo era liturgico.(142) Si potrebbe
concludere che lo scopo era offrire un testo più adatto alla funzione liturgica. (143) La
differenza più impressionante tra Dm e "ur-2244", come noi lo ricostruiamo, è l'assenza,
nel secondo, di molti dettagli storici e molti miracoli. È facile capire che

324
molto materiale storico sarebbe stato escluso da un testo voluto per lettura liturgica o
simile. L'assenza dei Miracoli si spiegherebbe particolarmente se questo testo fosse stato
preparato a Monte Cassino o in qualche centro non collegato col monastero di Sora. Se
Monte Cassino 101 fu molto probabilmente scritto a Monte Cassino nel decennio 1090,
sembra plausibile per concludere che il testo di "ur-2244" fu preparato lì per ragioni
liturgiche un po’ di tempo prima. Non ci sarebbe stato un interesse molto forte nel
conservare in tale testo materiale legato così vicino alla tomba del santo. L'evoluzione
dei lavori di agiografici per adattarsi ai vari uditori e scopi ancora rimane da essere
studiata, particolarmente per Monte Cassino che attende un studio comprensivo della sua
liturgia. E’, comunque, evidente che l'accorciamento della Vita di un santo per scopi
liturgici non era non comune. Pietro Diacono, per esempio, nelle sue falsificazioni
monumentali sulla Vita di San Placido ricorse alla creazione sia di un lavoro più lungo
ed originale sia ad un testo più corto e ridotto per essere usato nella liturgia,
testimoniando quello che poteva essere un costume molto diffuso a Monte Cassino
stesso.(144)
BHL 2241 E 2246:
LA LORO RELAZIONE AL TESTO RIPRISTINATO DI ALBERICO ED IL LORO
ESEMPLARE PER LA VITA PERDUTA X

BHL 2241, il "Vita Auctore lohanne eius discipulo", pubblicato dai Bollandisti, (145)
non è riportato da nessun testimone antico. Sopravvive solamente in due manoscritti,
Roma Biblioteca Alessandrina 91, e Roma, Biblioteca Vallicelliana H 12 il primo dei
quali è la copia dal quale l’altro deriva.(146)

325
Il dibattito sulla posizione di BHL 2241 nello stemma del dossier agiografico di
Domenico ed il suo valore per la comprensione storica e corretta dell'eremita continua. Il
suo redattore Bollandista accettò l'attribuzione di paternità al discepolo Giovanni
espressa nel titolo e nel capitolo finale, ed accettò che possa essere identificato col
Giovanni anziano, discepolo del santo, menzionato dal Prologo di Alberico come uno
dei suoi informatori a Sora. Notando la somiglianza tra la Vita di Giovanni ed Alberico,
fu suggerito che BHL 2241, o la vita prima come loro chiamarono questo testo,
attraverso il suo compendio, BHL 2243, potrebbe essere la "laciniosa vite" usata da
Alberico come fonte. Lentini mise in discussione l’autenticità di questo testo. Egli
indicò la discordanza tra la sua apertura nella forma di sermone e l'ultimo capitolo che
contiene il nome dell'autore e riporta come una sottoscrizione. Notando inoltre la
posizione centrale concessa in questo testo alla fondazione di Domenico di S.
Bartolomeo in Trisulti, Lentini concluse che questo era un testo più tardo, preparato per
enfatizzare Trisulti su Sora ed attribuito al discepolo Giovanni per dargli più autorità. Le
somiglianze tra il 2241 ed il 2244 furono spiegate da Lentini dalla loro dipendenza
comune da X, la vita perduta.
Più recentemente, Sofia Boesch Gajano ha affermato l'anteriorità della Vita di Giovanni,
promuovendo le precedenti edizioni che parlano di questo testo e dei Miracoli come un
riflesso della originale tradizione locale di Sora che fu poi elaborata a Monte Cassino per
un pubblico diverso e diversi propositi. (147) La Vita di Alberico, quindi, sembra aver
creato una tradizione “rivale” opposta a quella di Sora. Queste affermazioni ora
sembrano smorzate dalla posizione bassa concessa a 2241 nello stemma testuale
costruito da Dolbeau che considera fondamentalmente la Vita di Giovanni un
rifacimento di 2245 con l'inclusione, forse, di tradizioni locali di Trisulti.(148)
Effettivamente, le somiglianze tra i due testi sono stringenti nel passaggio usato da
Dolbeau per provare la dipendenza di BHL 2241 da 2245.(149) Questo

326
è il primo passaggio nel quale questi due testi hanno somiglianze significative. Ma ci
sono anche differenze. Per esempio, la frase di 2241 "ab ipsius habitatoribus nominatur"
non ha corrispondenza nel 2245 ma ha un parallelo distante nel "cui platanorum densa
frequentia Platanete indidit uetustas uocabulum" di Dm. (42) Di nuovo, il "oratorium
construxit" di 2241 richiama “cellam paruulam et in cella altare costruixit” di Dm (43)
molto più da vicino di "cellam paruulam constituens altare quoque in ea sibi constituit"
di 2245. Numerose altre discrepanze tra 2241 e 2245 e somiglianze tra Dm e 2241
divengono trasparenti quando si sottopongono a comparazione il testo di Dm e 2244.
Questo chiaramente può essere visto nel secondo passaggio nel quale 2241 e 2245 hanno
combacianze notevoli, il passaggio della visione miracolosa di Domenico della colonna
di arcobaleno la cui cima tocca il cielo e di cui il fondo è pressoché incagliato di fronte a
lui come per simboleggiare che cielo e terra sono congiunti dal santo:
(testo latino)

327
(testo latino)

328
(testo latino)
Questi passaggi indicano che questi quattro testi - o tre, se uno considera 2244 e 2245
come un sottogruppo - hanno una relazione più complessa che lineare. Le somiglianze
tra il 2245 ed il 2241 consistono in "columnam immensam", "subito", "mirabilem." Ma
le differenze tra il 2241 ed il 2245, così come le somiglianze tra Dm e 2241 qui, sono
chiare. Dm e 2241, ma non 2245 o 2244 (il quale omette l'ultima parte), specificano il
nome del compagno (compagni in Dm) a cui il santo confidò la sua esperienza, anche se
in contesti lievemente diversi. La frase di 2241 “ad locum …..in quo……morabatur"
richiama il "in loco quo morabatur" di Dm più da vicino del "in eodem commorabatur
loco” di 2245. Inoltre, secondo un stemma lineare l’accezione "summitatibus" di 2245 e
2244 deve essere considerato un "errore" introdotto al livello del 2244, ma come si
spiega l'inversione di 2241, il quale dipende apparentemente da 2245, alla lettura
"corretta" dell'ultima fonte (Dm) il "cacuminibus?"
Il prossimo passaggio che mostra somiglianze tra il 2241 ed il 2245 narra la fondazione
del monastero di Domenico a Sora.(150) Ma, ancora, ci sono anche differenze.
Entrambe 2244 e 2245 hanno eliminato alcune notizie della fondazione della chiesa
della SS. Trinità sulla cima della montagna Petra Imperatoris dopo la fondazione di Sora
(Dm 123). Questo taglio è dovuto accadere così al livello di "ur-2244." 2241 contiene un
racconto della fondazione della SS. Trinità , ma è prima della fondazione del monastero
di Sora e così con una sequenza diversa da quella del testo di Alberico. Ancora l’ "errore
comune" di 2244 e 2245, "pergeret" è messo contro la lettura "corretta" di Dm e 2241,
"tendente/tenderet. " La frase di 2241 "jejuniis et orationibus ceterisque spiritualibus
fructibus [expiaret], et inter ceteros poenitentiae fructus" corrisponde più da vicino a Dm
119 ("inter cetera

329
ieiunia elemosinasque profusas ceterosque dignos paenitentiae fructus") che in 2245 e
2244 il nudo "inter ceteros paenitentiae fructus.”(151)
Mentre partendo dallo stemma lineare concepito da Dolbeau una parola o due
potrebbero essere attribuite al cambiamento o revisione dello scriba o ad errore, la
combacianza tra il 2244 ed il 2245 indica che questi sono in effetti tenaci cambi da Dm,
e non errori causati dallo scriba. (152) Quindi, si deve spiegare la concordanza tra 2241
e Dm contro la tradizione del 2244. Si deve evidenziare che questa concordanza tra 2241
e Dm non è completo: frequentemente questi due testi portano simili ma non la stessa
informazione.(153) Una possibilità, chiaramente è presumere che c'è contaminazione di
Dm sulla trasmissione di 2241. Un'altra possibilità, quello che è sostenuto dall'evidenza,
è presumere che 2241 risale da un'altra fonte dalla quale dipende anche Dm, la vita
perduta condannata da Alberico o X dello stemma di Lentini. Anche BHL 2241, in altre
parole è, come Dm, basato su X. La sua interpolazione arriva al testo presente usando
questo testo base - X o un rifacimento di X - come 2245 in alcune sezioni, con materiale
aggiunto a riguardo di Trisulti.
Questo set di relazioni è confermato aggiungendo al paragone l'ultimo testo
dell'incartamento di Domenico che finora non è stato discusso, BHL 2246. Questo è un
pezzo frammentario e corto pubblicato nel 1879 dal suo esemplare unico, Monte
Cassino 146 scritto, secondo Francesco Newton, nella prima parte del dodicesimo secolo
in un centro provinciale e non a Monte Cassino.(154). E’ molto probabile che lo
scrivano che cominciò a copiare questo lavoro non completò il suo incarico.(155)
Questo testo è stato generalmente giudicato come fosse un semplice epitomio

330
dei primi tre capitoli di 2241, con due lunghe elaborazioni esortative nella forma di un
sermone, come illustra l'esempio seguente:
(testo latino)

331
Questa somiglianza, comunque, non bisogna essere spiegata presumendo che 2246 sia
dipendente da 2241. Ci sono piuttosto, le possibilità rimanenti che 2241 dipenda da
2246, che 2246, in altre parole, sia un frammento della vita perduta, o che entrambi
dipendano dalla stessa fonte alla quale nel tempo essi rimangono estremamente fedeli,
spiegando così questa vicinanza impressionante. Infatti, le ulteriori operazioni di
paragone fanno dubitare che 2246 sia dedotto da 2241 come questo passaggio
dell'apertura, per esempio, indica:
(testo latino)

332
2246 non poteva ottenere l’informazioni sul soggiorno del giovane Domenico nel
monastero “quod dicitur subaseri" da 2241 dove manca. Ma queste notizie sono
conservate anche nella tradizione di Dm. Inoltre, "litterarum studiis" nel 2246, Dm, e
2244 può essere contrapposto a "litterarum studio” nel 2241 (e "litteris inbuendus" nel
2245). Ancora, più diffusamente, si trova eco più vicina tra 2246 e Dm in contrasto a
2241 nella seconda metà del passaggio, dove l'impoverimento di 2241 rispetto a Dm e
2246 sono chiari. 2246 contrappone la maturità delle abitudini da santo di Domenico alla
sua gioventù. Dm elabora l'immagine retorica enfatizzando Domenico in maturazione
che supera quelli che lo superano in età (un giro di parole tipico di Alberico). 2241,
invece, non ha nessuna immagine e nessun paragone. Questo passaggio suggerisce che
2246 ha un collegamento con Dm - o sua fonte - che non si può spiegare postulando che
2246 sia un semplice rimaneggiamento di 2241. (157) Piuttosto, queste relazioni
possono essere espresse meglio da questo stemma:
(schema)
2246 può essere X? Siccome questo un è testo frammentario ed è conservato in un
esemplare povero, la prova piena non è disponibile. Un esame di 2241, capitolo 2 può
essere usato per illustrare come il suo autore potrebbe aver scritto il suo testo se si fosse
basato su 2246 (= X) e su 2245.

333
(testo latino)

334
(testo latino)
L'autore di 2241 cominciò seguendo 2246, prendendo da 2245 i dettagli non contenuti in
2246, vale a dire il nome del monastero e dell'abate sotto il quale Domenico indossò
l’abito monastico.(158) Tenendosi molto vicino a 2246, lui spiegò poi come Domenico
avanzò spiritualmente, divenne un sacerdote e poi un eremita. Egli eliminò poi la lunga
discussione sugli inizi della predicazione apostolare di Domenico di 2246, ma costruì il
modello ancora con l’inclusione della frase che spiega come la notizia della fama di
Domenico provocò molte vocazioni. Poi un'altra frase di 2246 è tagliata; è quella nella
quale narra degli insegnamenti di Domenico ai suoi seguaci. Infine, la frase sulla
fondazione di un monastero e l'istituzione di un abate è inclusa. Questo passaggio
rafforza anche la conclusione che 2246 non è dipendente da 2241. Sarebbe difficile
spiegare perché l’autore di 2246 autore avrebbe scelto di eliminare da 2241
precisamente quei dettagli che vennero a 2241 da 2245.
Inoltre, questi sono degli indizi positivi che 2246 potrebbe essere la maggior fonte di
2241 piuttosto che un testo parallelo dedotto da X. Prima di tutto, c'è la frase "quem
cemitis" di 2241, cap. 22, nel racconto della fondazione di Domenico del monastero
vicino a Sora. Questo è un "scivolone" da parte dell'autore, per la frase indicante che il
narratore è a Sora. L'epilogo di 2241, d'altra parte vuole suggerire che lo scrittore non sia
a Sora e che il testo che lui sta scrivendo non è un sermone. Questa frase, poi, è dovuta
essere parte del modello originale di 2241 che doveva essere stato
335
nella forma di sermone. 2246, anche se sopravvivendo solamente come un frammento,
chiaramente è nella forma di sermone.
C'è anche la caratterizzazione di Alberico di X come essere scritto "lacinioso
impolitoque. . . sermone", e la sua asserzione che il suo autore “stilo historiam uitiosam,
mendaciis uitiosiorem reddiderat" (Dm 1-2). Questa descrizione può applicarsi a 2246?
Questo testo non offre alcuna prova della patente di falsità nel breve frammento che
sopravvive. BHL 2241, d'altra parte, contiene molti episodi narrati differentemente in
Dm, incluso uno che, come avevano indicato i Bollandisti, potrebbe essere stato marcato
come falso da Alberico.(159) Questo è l'episodio in cui due monaci di Monte Cassino,
inviati dall’Abate per portare un regalo di pesci al santo, tennero quattro dei più grandi
per loro e li nascosero in una caverna. Domenico rivela i suoi poteri miracolosi con la
sua conoscenza profetica di questi eventi e trasformando i pesci in serpenti.(160) Se
questa fosse una parte di 2246 - e la sua presenza nel 2241 lo rende possibile – allora
potrebbe essere un esempio del mendacità imputata ad X da Alberico.
Una conclusione meno provvisoria può essere raggiunta in merito alla caratterizzazione
stilistica di Alberico della vecchia vita. BHL 2246 corrisponde alla valutazione negativa
di Alberico. È certamente non limpido, ed in parte sgrammaticato, quindi lasciando
spazio anche alla sua trasmissione corrotta. È anche verboso e ridondante, giustificando
l'uso di Alberico del raro aggettivo "laciniosus" per caratterizzarlo.(161) Date le prove
limitate, comunque, nessuna certa conclusione può essere raggiunta.(162)

CONCLUSIONE
Il dossier di Domenico di Sora offre un esempio delle straordinarie trasformazioni e
manipolazioni che le gesta dei santi subirono nel loro trattamento da parte di autori
diversi. Gli scopi di questi rimaneggiamenti

336
sono spesso multilaterali, per il lavoro di retractatio (163) non solo fu dettato da gusti
letterari e nuovi ma anche dalle diverse sensibilità religiose e il bisogno di altri ideali di
santità. Il dossier di Domenico illustra anche come a tali domande non si può rispondere
pienamente finché tutti i problemi testuali non sono stati sviscerati. Il mio esame testuale
ha condotto alla conclusione che Alberico fece, infatti, come lui dice nel Prologo, la
rielaborazione di una Vita precedente che lui trovava difettosa per ragioni di stile e di
contenuto, e che BHL 2241 e 2246 sono riferiti anche da vicino a X del quale i secondi
probabilmente sono un frammento. Un paragone di questi testi allora aiuta nella
delineazione più chiara dello scopo di Alberico nella costruzione della biografia del
santo di Sora.
Alberico, prima di tutti creò un testo dalle aspirazioni così letterarie che sarebbe andato
bene ai gusti sofisticati del suo pubblico. Questo è illustrato molto chiaramente dall'uso
penetrante del ritmo di prosa discusso sopra. Non sorprendentemente, né la Vita di
Giovanni (BHL 2241) né BHL 2246 osserva cursus. Anche lo sfruttamento di Alberico
del topoi letterario comune ed delle fioriture stilistiche nel Prologo e nel corpo del suo
lavoro non ha nessun parallelo negli altri testi; questi servono anche a creare un prodotto
letterario più sofisticato della tradizione che lui sta revisionando.
Alberico non confinò il suo lavoro di retractatio a contenuti stilistici. Nella sua
raffigurazione di Domenico come un santo monastico, Alberico seguì anche, una
tradizione di vecchia data che avrebbe avuto significato speciale a Monte Cassino.(164)
Fu particolarmente Benedetto come ritratto nei Dialoghi di Gregorio che servì come
modello archetipo di Alberico per l'eremita dell'undicesimo secolo. In questo, il Vita
Domenico è un altro testimone dell'influenza molto estesa che le scritture di Papa
Gregorio hanno esercitato a questo punto a Monte Cassino.(165) Fu durante
l'undicesimo secolo, per esempio, che tutte e tre le leggende concernenti esclusivamente
con le feste della triade di Monte Cassino – Benedetto,

337

Scolastica e Mauro – furono preparate.(166) Il secondo libro dei Dialoghi di Gregorio


direttamente e indirettamente forma la base di molti dei loro contenuti. Il più famoso di
questi. Vat. Lat. 1202, il così definito Codice Benedictus, è di importanza fondamentale
per la storia della miniatura a Monte Cassino.(167) I Dialoghi di Gregorio non solo
offrirono materiale a Monte Cassino per l'elaborazione delle leggende di Benedetto, di
sua sorella Scolastica, ed i suoi discepoli, ma anche la base su cui furono costruite le
Vite di altri santi, come quello dell’eremita del sesto secolo eremita Mennas la cui Vita
e Translatio furono composti da Leone di Ostia.(168) I quattro libri dei Dialoghi di S.
Benedetto, scritti da Desiderio con l'aiuto di Alberico tra il 1076 ed il 1079 costituiscono
in effetti una continuazione del secondo libro dei Dialoghi di Gregorio Magno. Il lavoro
di papa Gregorio fornì ad Alberico anche la definizione di monaco e di santo da
applicare a Domenico di Sora. La Vita e Miracoli di San Domenico molto attentamente
presentano un santo che, benché chiamato all’ideale eremito, tiene fede anche
all’osservanza agli orientamenti di cenobita.(169) La vita di Alberico, per esempio, in
contrasto sia con 2246 e con 2241, elabora le notizie che Domenico condusse la vita
monastica dall'infanzia. Il dettaglio che Domenico era stato affidato da bambino al
monastero di S. Silvestro era molto probabilmente già presente nella fonte scritta
disponibile ad Alberico, tanto che si trova anche in 2246. Ma mentre BHL 2241 trascura
di includerlo nel suo racconto, Alberico lo esalta sviluppando il tema del bambino che è
sia spiritualmente sia intellettualmente superiore, il cui comportamento precorre gli
sviluppi eroici della sua vita adulta, richiamando le parole di Gregorio sul bambino
Benedetto "ab ipso pueritiae suae tempore cor gerens senile. Aetatem quippe moribus
transiens". (170) Mentre questo contrasto è un luogo comune nella letteratura
monastica, (171) nel dossier di Domenico è sviluppa solamente nella vita di Alberico.
Solo il lavoro di Alberico in contrasto con gli altri due testi dà attenzione accurata
all'ascesa graduale di Domenico nella vita di anacoreta, preparato dalla sua pratica
cenobitica dagli insegnamenti dei suoi fratelli nel combattimento spirituale,

338
e supportato dalla benedizione del suo abate (Dm 18). Come Benedetto in Dialoghi 2.1.5
(ed. de Vogué, 2:132), Domenico vive il tempo in solitudine, ma non lontano da una
comunità che gli offre del cibo nei giorni fissi (Dm 45). Sebbene controvoglia, come
Benedetto in Dialoghi 2.3.2 (ed. de Vogué, 2:140) così anche Domenico soccombe alla
richiesta della comunità di divenire il suo abate (Dm 44, 130). Domenico è ritratto nel
lavoro di Alberico come un fondatore di monasteri sotto severa disciplina monastica che
si prese la grande cura nella scelta del superiore monastico fra chi era suo parente, (172)
e che continuò attenta vigilanza sulle sue fondazioni anche durante l’assenza. (173)
Anche se l'amore di Domenico della solitudine di anacoreta è evidente - e la frase usata
nel testo di Alberico (Dm 37) così come in 2241 (cap. 3) è la dilecta solitudo di Gregorio
{Dialoghi 2.3.5, ed. de Vogué, 2:142) come applicato a Benedetto – anche le sue radici
fisse in una vita comunale di preghiera e lavoro sono enfatizzate. Solo il testo di
Alberico, nel descrivere come il monastero che Pietro Raniero costruisce agli ordini del
santo vicino a Sora contiene un giardino, mulini, e tutte le officine necessarie per uso
quotidiano a sostenere la vita stabile dei monaci affinché loro non debbano vagare
lontano, aggiunge "iuxta sancti patris Benedicti mandatum” (Dm 121), ricordandoci,
chiaramente, che questa è l'ingiunzione n. 66 de La Regola di Benedetto.
Un'altra differenza impressionante tra la Vita di Alberico e gli altri testi indipendenti in
questo dossier agiografico è la sua presentazione di Domenico come potente taumaturgo
durante la sua vita, mentre dopo la sua morte, esempi dopo esempi di cure miracolose
effettuate sulla sua tomba sono citati anche come una lunga linea di testimoni che viene
avanti ad attestare i poteri della sua intercessione. Una così particolareggiata ed
avvincente presentazione di eventi miracolosi è ineguagliata negli altri lavori agiografico
di Alberico ma ricorda al lettore la sua parte nella composizione dei Dialoghi di
Desiderio. L'uomo santo è definito qui da segnali visibili, e questo non può non
richiamare i Dialoghi di Gregorio che in Dm echeggiano anche a livello linguistico.
Per esempio, l'introduzione dei miracoli della profezia - "Meruit inter ista uir beatus
prophetiae spiritu fulgere, et sese reuisentibus aliquotiens uentura praedicere" (Dm 66) -
dovrebbe essere comparato alle parole di Gregorio in Dialoghi 2.11.3 (ed. de Vogué,
2:174), “ Coepit uero inter ista uir Dei etiam prophetiae spiritu pollere, uentura
praedicere, praesentibus absentia nuntiare". Due dei miracoli di profezia nella Vita di
Domenico sono molto simili: entrambi

339
riguardano cibi spediti a Domenico come regalo, che in parte vengono nascosti dal
messaggero. In ambo i casi Domenico rivela la sua conoscenza del furto ed avverte il
ladro di non tentare di prendere il cibo rubato perché un serpente ora lo sta proteggendo.
Troviamo un farsetto simile in Dialoghi 2.18(174) e 3.14.9.(175) Queste storie avevano
un genealogia.(176) Ancora, sembra chiaro che Alberico volle ricordare al suo pubblico
che Gregory era il suo modello intenzionale, perché le eco verbali sono, di nuovo,
stringenti. Compariamo, per esempio:
(testo latino)
Come il lavoro composto da Gregorio Magno, i Miracoli di Domenico intesero di
mostrare la continua efficacia del potere divino attraverso i santi e rinforzare i
tradizionali valori monastici.(178) Loro puntano prima di tutti ad illustrare l'efficacia
dell'intercessione del santo per guarire malattie, esorcizzare, e conferire altri benefici.
Ma attraverso loro corre anche un sotto fondo di appoggio per i valori monastici. Molti
di quelli a cui la cura è effettuata, per esempio, entrano in monastero.(179) Uno di
questi è colpito da deformità da vecchiaia quando fugge dall'abbazia ed è guarito
solamente quando "pollicetur ex abbatis consilio stationem perpetuam". (180) Quelli che
rubano dal convento sono rapidamente puniti.(181) Nella sua raffigurazione di
Domenico come religioso riformatore e crociato contro gli abusi, in particolare contro il
matrimonio degli ecclesiastici, questo lavoro di Alberico è notevolmente diverso da
2241 che non contiene nessuna discussione sulla predicazione di Domenico contro
l'impudicizia del clero, il soggetto delle prime storie miracolose in Dm. Il lavoro di
Alberico qui fa l’eco ai Dialoghi di Desiderio. Lo

340
oggetto primario dello spirito riformatore dei loro autori Desiderio ed Alberico era anche
l’impudicizia del clero.(182)
Il Vita e Miracula S.Dominici restaurato di Alberico è parte della grande folata della
retractatio di testi agiografici intrapreso a Monte Cassino durante la sua così definita Età
Dorata. I lavori più vecchi che sembrarono goffi o inattendibili non avrebbero potuto
servire propriamente didattiche, liturgiche o altre necessità per le quali questi testi
furono destinati e perciò furono rifatti. Come le sue Vite di Cesare ed Aspreno, la Vita di
Alberico di Domenico, come lui stesso ci dice, era per sostituire un testo
insoddisfacente. Sia nel suo stile e sia nel suo ritratto di Domenico come riformatore del
clero e come santo monaco nella tradizione che proviene da Gregorio Magno il lavoro di
Alberico fornì un appropriato sostegno per lo sviluppo del culto dell’abate di Sora, il cui
legame a Monte Cassino era stato stabilito attraverso l’acquisizione da parte dell’abbazia
di tre delle fondazioni di Domenico.

APPENDICE
I TRE INNI IN ONORE DI SAN DOMENICO

Nel 1932 Mauro Inguanez pubblicò tre inni in onore di San Domenico di Sora che egli
attribuì ad Alberico.(183) Il testo di Inguanez aveva due fonti. La prima era una raccolta
di inni e gli altri pezzi liturgici messa insieme nel primo diciannovesimo secolo da Dom
Enrico Gattola che fu monaco a Monte Cassino dal 1795 alla sua morte nel 1837. Questi
inni erano stati trascritti da Gattola stesso "ex codice ms. signato n. 199. " L'altra fonte
era il Monte Cassino 618, del sedicesimo secolo (184) Inguanez considerò brevemente
la paternità di questi scritti. Mentre sottolineò che né la Cronaca né il De Viris illustribus
menzionano questi inni fra i lavori di Alberico, egli concluse che la paternità di una Vita
del santo eremita e l’indicazione di paternità nella collezione di Gattola (il quale li
presunse provenienti dal Cod.199) rendevano abbastanza inattaccabile il fatto che
Alberico li aveva scritti. (185)
Dom Anselmo Lentini ritornò a questi inni nel 1951.(186) Lentini non poteva trovare la
Raccolta di Gattola a causa dello stato triste della biblioteca dell'abbazia dopo il

341
bombardamento del 1943. Ma lui aveva il Cod. 618 a sua disposizione e si chiese se in
effetti Gattola avesse usato affatto il 199, dopo che sia il testo di Gattola come
pubblicato da Inguanez sia il cod. 618 contenevano simili “molte lezioni palesemente
errate.”(187) Ma le annotazioni sul volume prese dal cod. 199 gli impedirono di
concludere positivamente. Lentini aveva molte obiezioni più gravi ad un'altra delle
conclusioni di Inguanez, vale a dire la paternità di Alberico. Queste obiezioni furono
basate grandemente sui contenuti degli inni. Owen Blum ribadì i dubbi di Lentini. Egli
non considerò affatto i contenuti degli inni, comunque. Piuttosto, le sue obiezioni furono
basate completamente sul silenzio delle fonti Cassinesi e sull'immunità dei poemi
"all'influenza dei poeti Latini". (188)
Il recente ritrovamento del perduto cod. 199 e la restaurazione presente del testo
autentico del Vita et Miracula S. Dominici di Alberico portano prova supplementare
all’esame di questo problema e richiedono che la questione della paternità di questi tre
inni sia esaminata nuovamente.(189)
L’originale Codice Casinensis 199 che sparì dall'abbazia tra ca. 1845 e 1874 (190) é un
libro magnificamente decorato, scritto in Beneventan datato alla metà del dodicesimo
secolo. Sui fogli 266v-267v, i tre inni in onore di San Domenico sembrano parte di un
innario. Loro sono attribuiti ad Alberico. Il primo infatti è intitolato "In sancti Dominici
ymnus Alberici ad vesp." (fol. 266v). (191) Il recupero di questo codice magnifico
rimuove così una delle obiezioni presentata contro l'attribuzione ad Alberico. Infatti il
codice, scritto approssimativamente cinquanta anni dopo la morte di Alberico
chiaramente sostiene la paternità di Alberico. (192)
Un'altra obiezione rimase sui contenuti dei loro stessi poemi, i quali sono basati così
pesantemente sui Miracoli, particolarmente su quelli compiuti alla tomba (il secondo
inno intero) e, in un frangente, su un evento narrato solamente in BHL 2241 (cap. 21).
(193) Perché Alberico non avrebbe, in altre parole, usato il proprio lavoro - i.e., 2244 -
se avesse scritto gli inni?
342
Inoltre, Lentini aveva datato la composizione dei Miracoli all'anno 1090, mentre datò
BHL 2244 ca. 1060. Concludendo, esattamente, che gli inni sono basati in gran parte sui
Miracoli, egli pensò che se Alberico fosse l'autore degli inni avrebbe dovuto ritornare sul
suo soggetto lungo tempo dopo aver scritto la vita.(194)
Noi ora sappiamo, chiaramente, che i Miracoli sono un lavoro di Alberico stesso e che
infatti lui dedica una sezione intera di storie miracolose a quelli compiuti alla tomba.
Ora possiamo concludere, inoltre, che la referenza in linea 13 del primo poema
(“Absconsa saepe detagit”) non si riferisce all'evento detto nel 2241 (cap.21),
concernente i monaci di Monte Cassino che nascondono il pesce al santo e si
presentarono a lui, (195) ma piuttosto alla lunga serie di miracoli narrata in Dm nel
quale il santo mette in mostra il furto di doni di cibo spediti a lui. Così, il "saepe" del
poema che aveva confuso anche Lentini ha senso, e riproduce l'enfasi della Vita
originale di Alberico sui poteri profetici del santo. Inoltre, la datazione corretta del
lavoro intero al tardo decennio 1060 o al precoce 1070 rimuove un'altra delle obiezioni
di Lentini.
Ora veniamo alla domanda molto più difficile della prova stilistica che Lentini
discusse.(196) I poemi seguono una metrica quantitativa piuttosto che una metrica
ritmica, anche se ci sono alcune "licenze". (197) Il primo è nel comunissimo dimetro
giambico, ed il terzo nel non meno comune Saffico minore. Entrambe queste metriche
sono usate estesamente in pezzi liturgici. L'accurato uso di elisione ed il numero uguale
di sillabe farebbe molto adatti a musica e canto questi pezzi. Il secondo inno è nel molto
meno comune tetrametro dattilico catalettico. Tutti questi poemi usano rima
dappertutto.(198)
Questi inni sono completamente privi di riproduzioni dei poeti classici Latini, e questo è
stato portato come un altro ostacolo alla paternità di Alberico. Finora, anche gli unici
due poemi conclusivamente attribuiti ad Alberico, il "Sponsa decora Dei" in onore di
Santa Scolastica ed il poema acrostico in onore di San Cesare, non esibiscono alcuna eco
classica.(199)
Finalmente, noi veniamo al silentium delle fonti Cassinesi. L'unico punto che può essere
opposto qui (come è stato fatto particolarmente da Inguanez) è che i poemi potrebbero
essere stati classificati sotto l'intestazione "Vitam S. Dominici." Neanche il poema in
onore di Cesare è elencato fra i lavori di Alberico. D’altro canto, i versi su Scolastica
sono menzionati specificatamente dalla Vita e dall’Omelia.

343
In conclusione, la restaurazione del testo originale di Alberico e la prova fornita dal cod.
cas 199 arguiscono molto fortemente per la paterntità di Alberico su questi inni. Ora
sappiamo che gli inni sono una nuova narrazione di eventi contenuti nel più esteso
lavoro di Alberico stesso, e che circa cinquanta anni dopo la sua morte Alberico è stato
citato come il loro autore nell'unico testimone antico di questi inni. Lo stile degli inni è,
inoltre, perfettamente compatibile con gli altri due poemi attribuiti attualmente ad
Alberico.

TESTO
Il mio testo è basato sul cod. Cas. 199. Nell'apparato io ho annotato solo le parti nel
quale io ho emendato cod. Cas. 199 (come anche Lentini fece), ed i due brani nei quali
il testo di Lentini è diverso del mio e dal cod. Cas. 199.
(testo latino)

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