Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
della comunicazione
·.'•
q4{50
ISBN 88-15-08492-4
Copyright © 2002 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nes-
suna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizza-
Ùl o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - se
non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore. Per altre informazioni si
.veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie
Introduzione, di Luigi Ano/li p. IX
l. Introduzione 3
2. n punto di vista matematico: la comunicazione come trasmissione
di informazioni 5
3. L'approccio semiotico: la comunicazione come significazione e
come segno 7
4. L'approccio pragmatico: la comunicazione come interazione fra
testo e contesto 9
5. n punto di vista sociologico: la comunicazione come espressione e
prodotto della società 19
6. L'approccio psicologico: la comunicazione come gioco di relazioni 21
7. Verso una definizione di comunicazione 25
8. Considerazioni conclusive 31
l. Introduzione 63
VI INDICE
l. Introduzione 117
2. La dotazione di partenza 118
3. La comparsa dell'intenzione comunicativa 125
4. La teoria della mente 130
5. Lo sviluppo della comunicazione narrativa 137
6. Considerazioni conclusive 144
1. Introduzione
FlGURAJ.i
.. .. ,,·,.;·
,
Rappresentazione schematica del flusso di trasmissione dell'informazione secondo il modello matematico di
;_;._,
Shannon e Weaver.
Fonte: Shannon e Weaver [1949).
combinazioni come più probabili e altre meno. Occorre che il segnale possieda una
qualità sufficientemente buona e raggiunga una certa intensità per superare la so-
glia di ricezione e per arrivare al destinatario.
·· ····u··--- -·-,·~·--:·: ··1 Questo modello è.stato successivamente integrato con la nozione
Il feedback pos1t1vo ~ d l r db k ( · · come 1a quantlta
), d,ef"1~1ta · ' d"_1 1~
· f orm~~lO-
·
e negativo ; e 1ee ac . o retro~ztone
..· ... ,,. ···-·--·~w·•"""'·····---·~ ne che dal ncevente ntorna ali emittente, consentendogli dt modtftca-
re i suoi messaggi successivi. Per esempio, se in una stanza si desidera mante-
nere la temperatura a 20 gradi, il termostato è in grado di consentire questa
condizione. Infatti, quando la temperatura scende al di sotto dei 20 gradi, esso
invia alla centralina di comando una informazione «di ritorno» che riavvia il
riscaldamento. ,
Il feedback è stato ulteriormente distinto in feedback positivo e in /eedba,ck
negativo (da non confondersi con il rinforzo positivo e con il rinforzo negativo).
Nel primo caso il feedback aumenta l'informazione di ingresso (nel caso di un
pettegolezzo, il commento maligno di A su Z è accentuato da parte di B e diventa
ancora più cattivo). Nel secondo caso il feedback riduce l'informazione di ingresso
e consente di mantenere nel sistema una determinata condizione stabile, chiamata
omeostasi (in una famiglia un commento bonario della madre può ridurre la porta-
ta del rimprovero del padre nei confronti del figlio e contribuire in tal modo a
mantenere accettabile la situazione familiare).
Parimenti il modello matematico (o statistico) ha introdotto il concetto di ru-
more, inteso come l'insieme degli elementi ambientali (e non) che interferiscono
con la trasmissione del segnale. In particolare, la morfologia di un segnale alla
fonte non è mai identica a quella giunta alla destinazione, poiché la sua trasmis-
sione va incontro a diversi fattori di interferenza, quali l'attenuazione e la disper-
sione nell'ambiente (effetto di diffusione ed effetto di assorbimento ambientale),
la presenza (o il riverbero) di altri segnali all'interno del medesimo canale ecc. Le
proprietà strutturali dell'ambiente hanno un impatto diretto sulle caratteristiche
spettrali e temporali del segnale e partecipano attivamente a determinare un de-
finito rapporto segnale/rumore. Quest'ultimo deve essere superiore a zero per
avere una sufficiente probabilità che il segnale giunga al destinatario. Di conse-
guenza, l'emittente deve riuscire a esercitare un certo controllo sulla qualità e
sull'intensità del messaggio prodotto per ottenere un valore positivo nel rapporto
segnale/ rumore.
Shannon e Weaver hanno completato il loro modello con i concetti di ridon-
danza (la ripetizione nell'operazione di codifica del messaggio per favorire la sua
INQUADRAMENTO STORICO E TEORICO 7
Anzi tutto, occorre definire che cosa si intenda per segno in semiotica e in psi-
cologia della comunicazione. A questo riguardo esistono due principali accezioni:
il segno come equivalenza e il segno come inferenza.
• Il segno come equivalenza. In riferimento alla prima, secondo de
Il segno come unio-
ne di significante e ' Saussure [1916] e la prospettiva strutturale, il segno è inteso come
significato l'unione di un'immagine acustica (il significante o espressione; per esem-
pio, la stringa di suoni: /c-a-n-el) e di un'immagine mentale (il significato
o contenuto; nel nostro caso, il significato di cane). Significante e significato, espres-
. sione e contenuto sono due facce della medesima medaglia (il segno), in quanto
non c'è l'uno senza l'altro in un rapporto di interdipendenza reciproca. In quest'ot-
tica occorre parlare di funzione semiotica (o funzione segnica), poiché il segno non
va inteso come una realtà fisica (concezione ingenuamente naturalistica del segno),
bensì come una relazione fra due funtivi.
Nella concezione .strutturale, che riprenderemo nel capitolo 6 sul significato, il
segno è inteso in termini di equival.enza, poiché vi sarebbe una corrispondenza
piena e stabile fra espressione e contenuto, regolata da una relazione di identità. n
segno, così concepito, presenta un carattere arbitrario, cioè convenzionale, in quan-
to legato a una determinata cultura, non motivato dalla realtà a cui fa riferimento.
Infatti, non vi è niente della <duna» nelle stringhe sonore /luna/ (italiano) o /moon/
(inglese) o /Mondi (tedesco). Inoltre, ha un carattere oppositivo, poiché un de-
terminato segno è se stesso non per le proprietà positive che possiede intrinseca-
mente ma per non essere nessun altro segno, in quanto si oppone a tutti gli altri
segni di un determinato sistema di comunicazione. Per esempio, /pera/ si oppone
a /vera/, /cera/, /nera/ ecc., ma anche a /pere/ o /pero/.
. . ~--=,:=~,~~: La lingua, pertaqto, in quanto «sistema di segni», è definita da de
La ltngua e un stste , S . d. d:a d. . b. . . .
ma di differenze r aussure come un s1stema 1 ZJJerenze 1 suonz com matt a un msteme
, ...... - - · . -·=·-···· 1 di differenze di signzficati. Poiché l'interesse di studio di de Saussure e
dello strutturalismo è stato <da lingua per se stessa ~ in se stessa», egli ha proce-
duto alla distinzione fra la linguistica interna (o primaria, che ha come oggetto di
analisi la langue, intesa come l'insieme delle norme che permettono l'attività lin-
guistica) e la linguistica esterna (o secondaria, che si occupa della parole, vale a
dire l'atto concreto e reale di applicare un determinato codice linguistico da par-
te di un soggetto). In tal modo la teoria strutturale ha sottolineato fin dall'inizio
la stabilità dei segni, racchiusi in un codice statico e teoricamente immutabile e
ha escluso l'esame degli aspetti contestuali e i riferimenti contingenti nei processi
di comunicazione.
La concezione strutturale di de Saussure è stata approfondita dalla glossemati-
ca di Hjelmslev [1943], secondo il quale ogni segno pone in correlazione il piano
dell'espressione (E) e il piano del contenuto (C), entrambi opponendo- alloro
livello- sostanza (s) e forma (j), secondo il seguente schema:
INQUADRAMENTO STORJCO E TEORJCO 9
Hjelmslev in base a queste relazioni sostiene che la lingua è forma e non so- ?
stanza, poiché la sostanza determina la forma ma non viceversa. ~
e Il segno come inferenza. Per contro, Peirce [1868; 1894] ha definito , 11 segno come indi-
il segno come qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcos'altro, sotto ' zio
qualche rispetto o capacità. In quanto tale, il segno assume la funzione di L~~- ..-. ......,
rimandare a qualcosa di diverso da sé (funzione di rimando). A questo riguardo un
segno tipico è quello di indicare, in cui non conta l'indice puntato, bensì l'oggetto
verso cui il dito è puntato. Sulla base del rapporto con il referente, Peirce indivi-
dua tre tipi di segni:
-le icone, caratterizzate da una relazione di somiglianza con le proprietà del
referente;
- gli indici, caratterizzati da un rapporto di contiguità fisica con l'oggetto o con
l'evento cui si riferiscono;
- i simboli, per i quali la connessione con il referente è stabilita per contiguità
ed è appresa; risulta quindi arbitraria.
In questa prospettiva il segno è inteso come inferenza, poiché costituisce un
indizio da cui trarre una conseguenza, così come le nuvole sono segno di pioggia o
come il fumo è indizio di fuoco. Il segno come indizio comporta la presenza di
modelli mentali che, sulla base di schemi tratti dalla logica o dall'esperienza, con-
sentono di individuare gli aspetti mancanti o carenti e di cogliere il senso dei mes-
saggi (frasi, gesti, espressioni mimiche ecc.).
La concezione di segno come inferenza consente di spiegare la variabi- fsi~;;~-~·:··~· d~più ·.·
lità e la plasticità nell'impiego dei segni stessi, per cui, in determinate cir- ~di quanto~~ dic~ .
costanze, uno può usare uno specifico segno al posto di un altro, anche se L".-..•,........~,~,~. "~ ··"~' · · ·. ·
in modo provvisorio. Per esempio, in una situazione di trasloco e con l'appartamento
ancora vuoto, uno può chiamare «sedia» una cassa contenente libri, anche se non lo
è affatto (fenomeno della risemantizzazione contestuale, cfr. cap. 6). Inoltre, il segno
come inferenza contribuisce a spiegare lo scarto fra ciò che è detto e ciò che è impli-
cato da quanto è stato detto. Infatti, in linea di principio, un soggetto comunica di più
n
di quanto dica. concetto di segno, pur costituendo un aspetto fondamentale della
comunicazione, si inserisce in un processo più esteso. In particolare, il segno come
equivalenza implica la nozione di codice, mentre il segno come inferenza rimanda
alla nozione di contesto (cfr. cap. 6).
M?rris [1938], rip~en~endo antiche ripartizi<?n~ n~llo studio dellin- r·L~ p~a;m;l~~c~~-;)
guagg10 e della comumcaztone, ha proposto la dtstmztone fra la seman- ~so dei significati 1
tica (che si occupa dei significati dei segni), la sintassi (che studia le re- ~~-~~~--J
!azioni formali fra i segni) e la pragmatica (che esplora la relazione dei segni con
gli attori). In questo senso la pragmatica si occupa dell'uso dei significati, vale a
dire dei modi con cui i significati sono impiegati dai comunicanti nelle diverse
circostanze. Per sua natura, essa pone in evidenza la relazione fondamentale fra
segni e interpretanti, basata su uno scambio comunicativo storicamente definito.
In particolare, la pragmatica esamina i rapporti che intercorrono fra un testo e il
10 PREMESSE
Significato naturale · Grice [ 1975], filosofo del linguaggio, parte nella sua analisi della co-
, e significato conven- municazione umana distinguendo fra il significato naturale (per esempio, il
zionale. . _, .. ·.·.. ,, ,. fumo è un indizio naturale della presenza del fuoco) e il significato con-
venzionale (o significato n-n, non naturale: per esempio, qualsiasi parola
della lingua italiana o di qualsiasi altra lingua). In particolare, il significato h-n è in-
teso da Grice come il «voler dire» qualcosa da parte del parlante a qualcun altro.
La comunicazione, pertanto, è un processo costituito da un soggetto che ha
intenzione di far sì che il ricevente pensi o faccia qualcosa, operando in modo che
il ricevente riconosca che l'emittente sta cercando di causare in lui quel pensiero o
quell'azione. In altri termini, P sa che A sà che P sa che A sa (e così all'infinito)
che P ha Un'intenzione particolare. Di conseguenza, la comunicazione è possibile
soltanto se si attua questo processo di conoscenza reciproca e condivisa, che impli-
ca la mutua consapevolezza di una intenzionalità comune fra i partecipanti. Siamo
qui nell'ottica di una trasparenza intenzionale (cfr. cap. 7).
Per Grice non è qui in gioco soltanto un'intenzionalità informativa, in cui A
trasmette a B qualcosa che non sa, ottenendo in tal modo un aumento delle sue
informazioni secondo le modalità di codifica e di decodifica. Per contro, è in gioco
una intenzionalità comunicativa, intesa come voler rendere consapevole B di qual-
cosa di cui prima non era consapevole.
Su questa base pragmatica occorre procedere alla distinzione fra comunicazione
e informazione. La prima consiste in uno scambio nel quale A intende in maniera
consapevole rendere B consapevole di qualcosa di cui non era prima consapevole,
facendo ricorso a un sistema di significazione e di segnalazione condiviso dai due
partecipanti. La seconda, invece, consiste nella trasmissione involontaria di A di un
segnale che è percepito in maniera autonoma da parte di B, indipendentemente
dall'intenzione di A e senza la partecipazione di quest'ultimo. Di conseguenza, una
gaffe, un atto di sbadataggine o di disattenzione, un lapsus sono segnali informati-
vi, non comunicativi (sull'intenzione cfr. cap. 7).
~~--:--:~--'"' '"'"""l Entro questa prospettiva pragmatica il successo della comunicazione
Pn~clplo di Co~pe- si fonda, allora, sul principio di Cooperazione, inteso come: Dai il tuo
l raz1one e mass1me 'b l , ,, ·h·
~ della conversazio~ contrt uto a momento opportuno, cost com e ne testo ag z scopt e a -
d 1· · dt
E.,..,,._. · -·.. -~- - l'orientamento della conversazione in cui sei impegnato. Questo principio
generale è stato declinato da Grice secondo quattro massime che dovrebbero gui-
dare la condotta dei partecipanti:
(8) Michele ha lavorato a lungo a Roma (lmplicatura: egli non lavora più a Roma)
(9) Fabrizia finirà il lavoro per domani (lmplicatura: Fabnzia non ha ancora finito il lavoro)
~nunciato
in
~
modo CONVENZIONALE in modo CONVERSAZIONALE
in GENERALE in PARTICOLARE
Questo enunciato può significare che Sergio è freddo, o efficiente, o che non si
ferma mai per lavorare, o che soffia e sbuffa ecc. A questo riguardo le implicature
hanno una certa indeterminatezza semantica e prevedono una notevole flessibilità
dei significati (sul rapporto fra stabilità e instabilità del signifkato cfr. cap. 6).
Grice ha inteso il concetto di «implicatura» in senso abbastanza ampio e lo
INQUADRAMENTO STORICO E TEORICO 15
qualsiasi scambio comunicaiivo (sul contesto cfr. cap. 6). È interessante osservare
che per Sperber e Wilson non vi è un contesto unico, fisso e dato a priori, ma che
il contesto è il risultato di una scelta fatta dall'interlocutore all'interno di una mol-
teplicità di possibili definizioni di contesto che egli ha a sua disposizione. Di con-
seguenza, il contesto si può ampliare o restringere a seconda delle esigenze dell'in-
terazione comunicativa in corso.
In questa prospettiva la pertinenza ottimale è data dalla capacità degli interlo-
cutori di seguire l'ipotesi comunicativa che ottimizza gli effetti contestuali e che
minimizza l'impegno cognitivo. Tuttavia, gli scambi comunicativi non necessaria-
mente devono perseguire in ogni circostanza i valori ottimali di pertinenza; essi
possono avvenire lungo tutta la scala della pertinenza.
TI modello pragmatico di Sperber e Wilson è indubbiamente degno di attenzio-
ne, poiché propone una teoria globale e parsimoniosa basata su un principio sol-
tanto (quello di pertinenza). Tuttavia, il loro rifiuto di ogni forma di codice e la
loro eccessiva contestualizzazione della comunicazione rendono difficile capire in
che modo si produca la stabilità dei significati e in che modo si crei ~a piattaforma
semantica necessaria per intendersi e per comunicare. Se si accentua troppo il con-
tingente dei processi comunicativi (il fatto che essi avvengano sempre hic et nunc e
che non siano mai esattamente ripetibili) si rischia di cadere in una torre di Babele,
dove ognuno comunica soltanto per sé.
(14) C'è una piramide blu sul cubo rosso (inferenze ammesse: non c'è un cono sul cubo ros-
so; non c'è una piramide verde sul cubo rosso)
(15) La piramide blu è sul cubo rosso (inferenze ammesse: la piramide è a base quadrata
piuttosto che ottagonale,· la piramide è collocata centralmente sul cubo,· la piramide ha
una posizione canonica e non è, per esempio, capovolta)
c) Terza euristica: «quello che è detto in modo non usuale, non è usuale,· cioè: il
messaggio marcato si rz/erisce a una situazione marcata» come in (16):
(16) Il blocco blu a forma di cuboide è sostenuto dal cubo rosso (inferenze ammesse: Il bloc-
co blu non è un cubo regolare; il cuboide non è sostenuto centralmente dal cubo rosso)
'' Principio Q
;; Massima per il parlante: Non fare un'affermazione che sia più debole a livello informa-
. tivo di quanto la tua conoscenza lo consenta, a meno che il fatto di fornire un' affer-
, mazione più ricca sul piano informativo vada contro il principio I. In particolare, sce-
gli l'alternativa più forte a livello informativo che sia coerente con i fatti.
:>..;,
Corollario per il destinatario: Assumi che il parlante faccia l'affermazione più consi-
)o; stente con quanto egli conosce.
~2:
~ Principio I ~-
~
M
~ Massima per il parlante: Di' il minimo indispensabile, necessario per raggiungere i tuoi
~'scopi comunicativi, tenendo a mente il principio Q (massima di minimizzazione).
~ Corollario per il destinatario: Amplia il contenuto informativo dell'enunciato del par-
~ lante, facendo l'interpretazione più specifica al fine di individuare la sua intenzione ~
~ comunicativa (regola di arricchimento). Z•.
~
~ Principio M ~
;;,
ilt
Massima per il parlante: Segnala una situazione non usuale facendo ricorso a espressio- i..,-.
ni marcate che contrastino con quelle impiegate per descrivere corrispondenti situa- ~
i
~
zioni usuali.
Corollario per il destinatario: Ciò che è comunicato in modo non usuale indica una si-
~
j
~ tuazione non usale (cioè, un messaggio marcato indica una situazione marcata). !
li modello pragmatico di Levinson traccia una traiettoria intermedia fra il con-
testualismo forte previsto dalla teoria ostensivo-inferenziale di Sperber e Wilson e
la semantica tradizionale. Esso consente di spiegare numerosi fenomeni linguistici
come i fenomeni scalari degli aggettivi qualitativi (come sufficiente, buono, ottimo,·
eccellente), le forme lessicalizzate e le perifrasi, la litote (quando due forme negative
non fanno un positivo, come in: Non è infelice non è l'equivalente di: È felice),
l'anafora, le lingue senza forme riflessive ecc.
In sintesi, la prospettiva pragmatica, nel suo insieme, si configura come ricca
INQUADRAMENTO STORICO E TEORICO 19
Egli si mostra interessato a una serie di fenomeni comunicativi della vita quotidiana
che erano ignorati dalla sociologia tradizionale, ed elabora una «sociologia delle
occasioni» e delle «situazioni trascurate» come studio delle circostanze in cui han-
no luogo le esperienze quotidiane e ricorrenti.
In particolare, egli sceglie come luogo emblematico di interazione la conver-
sazione nella quale si combinano «comunicazioni verbali» e «mosse non verba-
li». Poiché la conversazione è una «situazione sociale», a Goffman interessa ve-
rificare in che modo la dimensione sociale influenzi l'organizzazione della con-
versazione e gli scambi comunicativi che in essa hanno luogo. Egli si è prefissa-
to l'obiettivo di comprendere in che modo si generi e si mantenga «l'ordine
dell'interazione».
A suo modo di vedere, esistono delle «regole» precise entro cui in-
Il f rame deIl o scam- d l . · · d d' d f'
bio comunicativo ' qua rare e propne sequenze comumcauve e esse consentono 1 « e 1-
. .. -.,.._.....". -.: nire» la situazione, stipulando congiuntamente il significato e la struttura
dell'interazione e della comunicazione in corso. Tali regole organizzano, per esem-
pio, il modo di iniziare e di terminare uno scambio comunicativo, il comportamen-
to adeguato in relazione allo spazio, al tono della voce ecc. La scelta delle regole è
determinata dal frame, vale a dire dalla cornice (o contesto) entro cui si realizza lo
scambio comunicativo. Il /rame consent~, pertanto, ai partecipanti a una conversa-
zione di sapere in ogni momento che cosa stia accadendo o quale sia la condotta
appropriata da seguire.
Sotto questo profilo la comunicazione risulta essere un processo ritualizzato,
poiché è regolato da rituali. Si tratta di sequenze di atti attraverso i quali un sog-
getto controlla e rende visibili le implicazioni simboliche del suo comportamento
quando si trova direttamente esposto a un altro soggetto. Gli atti del rituale svol-
gono una funzione comunicativa, poiché forniscono informazioni sul carattere e sul
giudizio dei partecipanti, nonché sugli eventi in corso.
Secondo Goffman lo scambio comunicativo rimanda ai sistemi di comunica-
zione stabiliti all'interno di un certo gruppo di partecipanti (per esempio, comu-
nicazione esplicita o implicita, simmetrica o asimmetrica), ed è regolato da stra-
tegie di comunicazione adottate dai comunicanti negli scambi reciproci. T ali stra-
tegie, a loro volta, sono selezionate in funzione delle costrizioni comunicative, __ ·_
intese come i vincoli ecologici, cognitivi ed emotivi che limitano la scelta delle
strategie, nonché delle condizioni del /rame o cornice interpretativa, definita
come il contesto di riferimento entro cui si realizza concretamente un determina-
to scatnbio comunicativo.
c;;;,. Con questi presupposti e adottando una prospettiva drammaturgica, Goffman
'::7 esplora ed esamina in modo innovativo una serie di fenomeni sociali della vita
quotidiana come l'etichetta, contrapposta a etica e intesa come il codice formale
che governa gli incontri e come pratica in cui gli attori hanno modo di coniugare
in modo contingente aspetti etici e aspetti estetici. Parimenti egli si sofferma a lun-
go sul concetto di «salvare la faccia» definito come un insieme di modalità per
proteggere la propria immagine, per recuperare gli errori e le gaffe commesse,
nonché per «salvare» la situazione.
Il pensiero di Goffman, pur esasperando la metafora drammaturgica della vita
quotidiana come rappresentazione teatrale, ha rappresentato una svolta innovativa
nello studio sociale della comunicazione, in quanto ha individuato categorie espli-
cative alternative a quelle dell'impostazione sociologica tradizionale.
INQUADRAMENTO STORICO E TEORICO 21
personali, bensì anche come dimensione intrinseca che fonda e che esprime l'iden-
tità personale e la posizione sociale di ogni soggetto (individuale e collettivo). Sotto
questo profilo la psicologia ha riservato particolare attenzione allo studio dei pro-
cessi ontogenetici di acquisizione e di sviluppo delle competenze comunicative nel
neonato e nel bambino (cfr. cap. 5).
Fra i primi Bateson [1972] ha posto in evidenza che gli individui non soltanto
«si mettono in comunicazione» (approccio centrato sulla trasmissione delle infor-
mazioni), né semplicemente che «prendono parte alla comunicazione» (approccio
interazionista), ma «sono in comunicazione» e attraverso la comunicazione giocano
se stessi e la propria identità. Dal punto di vista psicologico «essere in comunica-
zione» significa che nella e mediante la comunicazione le persone costruiscono,
alimentano, mantengono, modificano la rete delle relazioni in cui sono costante-
mente immerse e che esse stesse hanno contribuito a tessere.
. t· . f
DIS lnZIOne ra «nOti •
._" Attraverso lo studio degli scambi comunicativi fra i delfini e l'uomo
ll' . · d 11 · · d · · . f ·1· .
. zia» e «comando» : e ne ana 11s1 e a comumcazwne e1 s1stem1 ami 1an carattenzzau a
. .d
.,e,, ., .-·c• ;. transazioni schizofreniche, egli osservò che il comunicatore procede in
ogni atto comunicativo su due livelli distinti e interdipendenti nel medesimo tem-
po: a) il livello di «notizia», ossia le cose che dice, i contenuti che manifesta, gli
enunciati che produce; b) il livello di «comando», ossia l'indicazione all'interlocu-
tore di come intendere le cose che dice e con quale valore comunicativo.
Sotto questo profilo il comunicatore esercita sempre, per definizione, un certo
grado di controllo su quanto manifesta e indirizza il suo messaggio secondo una
determinata direzione comunicativa, in linea con la sua intenzione comunicativa. A
fronte di un'azione maldestra di B, A può fare un commento come in (17):
ma, a seconda del modo con cui pronuncia questo enunciato (tono e intensità della
voce, sguardo e mimica del volto, gesti delle mani, posizione del corpo ecc.), A
può comunicare a B significati e valori comunicativi assai diversi fra loro come in
(18):
il marito può cogliere il tono seccato della moglie e fornire una risposta che segna
il passaggio alla metacomunicazione e che sposta lo scambio comunicativo sulla
loro relazione come in (20):
(20) Marito: Anche quando mi devi dire qualcosa, continui a /armi dei rimproveri e a trattar-
mi come un bambino
a1
a2
a3
a4
a5 aB
a6
a7
bO b1 b2 b3 b4 b5 b6 b7
FIGURA 1:4';· Flusso degli scambi comunicativi fra A e B. al è contemporaneamente una risposta (output)
a bO, uno stimolo (input) per bl e un rinforzo per la triade bO-al-bl. Da osservare il diverso
andamento della «spirale» degli scambi comunicativi in funzione del tempo.
MARITO 3 5 7 9 11
l
" l. "' l.l
l eu:: l eu: eu:
o! 1 o! o!
l l
E:
e: c:
e: E!
.....
O•
l l
.o! l .o! .o!
jjf
_.,
_\
C•
~·
~~.
~l
<'
O\
().
(l) l
l
~f
MOGLIE 2 4 6 8 10
-·~-\~,~}}]~ Arbitrarietà nella segmentazione della sequenza circolare fra marito e moglie. il marito consi-
dera le triadi 2-3-4, 4-5-6 e così via; la moglie invece considera le triadi 1-2-3, 3-4-5 e così via.
Da quanto è stato finora esposto, emerge che la comunicazione, oltre che esse-
re una dimensione complessa ed essenziale per la specie umana come per altre
specie animali, costituisce una categoria di fenomeni e di processi che sfumano in
altre categorie concettuali simili. Occorre, pertanto, procedere a opportune distin-
zioni, al fine di evitare pericolose confusioni. Dire che i fiori «comunicano» con gli
insetti per favorire l'impollinazione è un grave equivoco, oltre a essere un evidente
errore. In particolare, occorre distinguere il concetto della comunicazione da quelli
del comportamento e dell'interazione.
Il comportamento può essere definito come qualsiasi azione motoria Distinzione fra com-
di un individuo, percepibile in qualche maniera da un altro. Esso può , portamento e comu-
avere luogo a qualsiasi titolo, sia per ragioni coscienti e volontarie, sia in nicazione
maniera automatica e riflessa. Sotto questo aspetto una dichiarazione di
amore e l'estensione della gamba come risposta al colpo del martelletto sul ginoc-
chio sono entrambe comportamenti. È una categoria generica, estremamente vasta,
teoricamente onnicomprensiva.
Come conseguenza, comportamento e comunicazione costituiscono due catego-
rie mentali distinte, anche se fra loro vi è un rapporto di inclusione: la prima inclu-
de la seconda ma non viceversa. Infatti, ogni comunicazione è un comportamento,
in quanto si esprime attraverso azioni manifeste; ma non ogni comportamento è
una comunicazione, in quanto esistono numerose forme di comportamento che
possono essere informative ma non comunicative.
La sovrapposizione concettuale fra comportamento e comunicazione, radicaliz-
26 PREMESSE
dipende sia dall'ordine con sui sono disposte le parole sia dal valore semantico
delle singole parole (il piccolo, Cesare, guardava, Olimpia). Si ha un significato to-
talmente diverso cambiando la struttura dell'enunciato come in (22):
sorriso, un certo tono della voce, una sequenza di gesti e una data postura del
corpo, la mutualità e la sintonizzazione del ritmo del parlato ecc.) possono favorire
l' awio di uno scambio e di una conoscenza fra estranei, anche se awiene in modo
casuale. In funzione della disponibilità reciproca tale awio può proseguire nel cor-
so del tempo e può diventare un rapporto più regolare e, a seconda delle circostan-
ze, può assumere forme più o meno profonde di vicinanza e di intimità.
Oltre a generare e a sviluppare una interazione con gli altri, la comunicazione,
nel suo complesso, risulta fondamentale nel mantenere e rinnovare le relazioni nel
corso del tempo. Una volta stabilita una relazione con una certa persona, essa va
alimentata in continuazione attraverso gli scambi comunicativi. Una relazione non
può vivere nel vuoto ma va costantemente sostenuta con segnali e con messaggi
che confermino e rafforzino il tipo di relazione in atto fra due o più persone, sia
essa 'uria relazione di dominanza o di amore o di cooperazione. In questo senso la
comunicazione svolge altresì la funzione espressiva, poiché consente di manifestare
le emozioni, i desideri, le intenzioni ecc. che uno awerte nel proprio interno.
Parimenti, gli atti comunicativi sono particolarmente efficaci nel cambiare una
relazione in corso. Non è detto che un certo tipo di relazione debba rimanere im-
mutata nel corso del tempo. Spesso in ambito familiare, in un'organizzazione azien-
dale, ospedaliera o scolastica, nell'esercito e nelle forze militari, all'interno di un
partito politico vi è l'esigenza di modificare il sistema delle relazioni per l'awicen-
damento dei vertici, per impedire o prevenire modi sterili di attività o per curare
manifestazioni patologiche di interazione (forme più o meno conclamate di follia).
Infine, anche l'estinzione di una relazione, di norma, è gestita e regolata dalla
comunicazione. In questa condizione si assiste a una riduzione progressiva o a una
interruzione repentina dei contatti, a una presa di distanza fisica, a una diminuzio-
ne degli aspetti affettivi ecc. Di solito, la separazione e la rottura di una relazione
sono assai più difficili e impegnative di quanto non sia la sua costruzione. Anche in
questo frangente la comunicazione svolge una funzione fondamentale nel processo
di mediazione per la separazione, in qUanto può favorire un processo graduale di
distanziamento reciproco, come è ben noto alle agenzie di mediazione.
ror-~- ··-- · : --.. ··"'"~· ,~,.--~ In generale, l'efficacia relazionale della comunicazione dipende dalla
~ ccorre d1st1nguere '
t fra interazione e re- t stretta connessiOne ·
che estste
· f ra mteraztone
· · e re1aztone,
· che appartengo-
~ lazione l. no tuttavia a due livelli concettuali diversi. L'interazione è una realtà tan-
L.~~~-,.--.,- ... -.. ,~.,.,_._,,j gibile e consiste in un evento circoscritto in termini temporali e·spaziali,
nonché in uno scambio comportamentale direttamente osservabile fra i partecipan-
ti. Può essere uno sguardo reciproco, i saluti, una conversazione al telefono, una
riunione, un consiglio di classe o di amministrazione ecc. La sequenza regolare e
continua del medesimo tipo di interazioni genera nel tempo prevedibilità e, come
risultato, produce la formazione di un modello interattivo fra i partecipanti mede-
simi che prende il nome di relazione. Quest'ultima, quindi, è un modello intangi-
bile che costituisce il prodotto cumulativo della storia delle interazioni, in grado di
generare e alimentare credenze, aspettative e vincoli sulle specifiche interazioni in
corso o future. La relazione concerne il modo con cui sono percepite e interpretate
le interazioni in essere.
Pur appartenendo a due livelli logici differenti, interazione e relazione sono in
stretta interdi'pendenza recz'proca. Infatti, le singole interazioni sono in grado di con-
fermare e rafforzare, attenuare, modificare o smentire una certa relazione. Vi è
quindi la possibilità di un cambiamento relazionale entro una prospettiva di conti-
INQUADRAMENTO STORICO E TEORICO 31
8. Considerazioni conclusive
., Per affrontare l'ambito generale della psicologia della comunicazione si può far riferi-
;i mento a Anolli e Ciceri [1995a]; Bara [1999]; Mininni [1995, 2000]; Villamira e Brac-
;~ co [1995]; Villamira e Roggeroni [1999]. Per la semantica e la pragmatica si vedano
~ Chierchia [1997]; Grice [1989]; Levinson [1983]; Rigotti [19~9]; Sbisà [1989, 1995].
~ Per la sociologia della comunicazione si rimanda a Bovone [2000]; Livolsi [2000]; Ro-
{ sengren [2000].
,,
;,r~.~Y""'~{':~f:;r~~·;:7·~~:o-:,:.,o.s_:~~·~::''-~----= -~,:..--· ,,~~--~;!/"'"~~·;;)_;r;i:~~-J~.::-~:.:;.~-,:-?.::.~?:7-_r;.;.::":.·~~;:.., s-~~~~~?f;;E";>.~~·r.:._:.:,_~ :;-:.::-J:-::"""fi!:,»:::.;;-;r.;;:-:;.~~~~,~~~;) ::~;_;;;,:;:';-.:~r.~,-:-.:-~:-~.fi~:~:.~:;.::.i~·:...;;·.~,-.;;:; -::···-.::::-::t~:,·
La comunicazione non verbale
Occorre anzi tutto indagare l'origine della CNV. Secondo la psicologia ingenua
essa è ritenuta più spontanea e «naturale» della comunicazione verbale, più «rive-
latrice» degli stati d'animo dell'individuo, in quanto lascerebbe trapelare in modo
inconsapevole le sue intenzioni, anche in contrasto con quanto sta dicendo. Inoltre
la CNV rappresenta una sorta di «linguaggio del corpo» e, in quanto tale, universa-
le, esito dell'evoluzione filogenetica e regolato da precisi processi e meccanismi
nervos1.
A questo riguardo sono state assunte diverse posizioni.
• La concezione innatista e la teoria neuroculturale. ·La concezione innatista
della CNV fa riferimento alla prospettiva di Darwin secondo cui le espressioni fac-
ciali sono il risultato dell'evoluzione della specie umana e hanno un carattere di
universalità. Esse sono «inutili vestigia di abitudini ancestrali», in quanto i movi-
menti che all'origine servivano a qualche scopo e che svolgevano una data funzione
nelle esperienze emotive (attacco, difesa ecc.) sono stati mantenuti come abitudini
che si svolgono in modo automatico anche quando non ve n'è più necessità. Que-
ste abitudini acquisiscono, di conseguenza, lo status di segnali di quelle emozioni e
hanno lo scopo di comunicarle ai consimili.
La concezione di Darwin fu ripresa da Tomkins [1962; 1963] e dai suoi allievi
Ekman [1972; 1984; 1994] e lzard [1977; 1982; 1994]. Quest'ultimo ha proposto la
teoria differenziale delle emozioni, le quali, attraverso l'esecuzione di programmi ner-
vosi innati, producono la configurazione di determinate espressioni facciali e di mo-
vimenti corporei. Il feedback generato da tali azioni è trasformato in un processo
consapevole e si conclude nell'esperienza emotiva corrispondente. A sua volta, Ek-
man ha elaborato la teoria neuroculturale, secondo cui esiste un «program-
La teoria neurocul-
turale ma nervoso» specifico per ogni emozione, in grado di attivare attraverso
un insieme di istruzioni l'azione coordinata di determinati muscoli facciali.
Tale «programma» assicura l'invariabilità e l'universalità delle espressioni facciali
associate a ciascuna emozione. Rispetto a questo «programma» i processi cognitivi di
valutazione possono intervenire a seconda delle circostanze e sono in grado di indur-
re la comparsa di «interferenze» e di modificazioni, definite da Ekman regole di esi-
bizione (display rules). Queste ultime, culturalmente apprese, possono modificare la
manifestazione non verbale delle emozioni attraverso quattro modalità: intensi/icazio-
ne delle espressioni, attenuazione, inibizione (o soppressione), mascheramento (o si-
mulazione). In ogni caso prevale la forza del «programma nervoso» garantendo una
manifestazione e un riconoscimento automatico e universale delle emozioni. La pro-
spettiva innatista è quindi una prospettiva biologica che enfatizza la rilevanza deter-
minante del corredo genetico e dei processi legati all'ereditarietà per spiegare i diversi
sistemi di CNV, in particolare delle espressioni facciali.
•~La prospettiva culturalista. Secondo la prospettiva culturalista, «ciò che è
mostrato dal volto è scritto dalla cultura». Questo aforisma sintetizza la posizione
culturalista, secondo cui la CNV è appresa nel corso dell'infanzia al pari della lin-
gua e presenta variazioni sistematiche da cultura a cultura, dal sistema dei gesti alle
espressioni facciali. In questa prospettiva l'enfasi è posta sui processi di differenzia-
zione, che conducono a forme non verbali uniche ed esclusive, sottese a differenze
qualitative irriducibili. Questa posizione, sostenuta in particolare da Birdwhistell
[1970] e Klineberg [1935], finisce per cadere in una forma radicale di relativismo
culturale, difficilmente sostenibile e oggi non più seguita praticamente da nessuno
studioso.
• La prospettiva dell'interdi'pendenza fra natura e cultura. Tuttavia, sia la pro-
spettiva innatista sia quella culturalista si sono dimostrate parziali e unilaterali nel-
l' enfatizzare un unico punto di vista. Oggi è diventata prevalente la prospettiva
L\ (tl;'vlUNIC,\t:IONL NON \'IIU3!\LL 209
della interdipendenza fra natura e cultura per spiegare la CNV. Le strut- lnterdipendenza tra
wre nervose e i processi neurofisiologici condivisi in moJo universale a natura e cultura
livello di specie sono organizzati in configurazioni differenti secondo le
culture di appartenenza.
La CNV si fonda su circuiti nervosi specifici (cfr. cap. 3) deputati all'attivazione
e alla regolazione dei movimenti sottesi alle diverse forme della CNV (dalla mimica
facciale ai gesti, all'aprica ecc.). Intervengono a questo riguardo sia il sistema pirami-
dale (che comprende l'area motoria e l'area premotoria) sia il sistema extrapiramzdale
(situato nel corpo striato e nel tronco encefalico) ad attivare, a gestire e a controllare·
l'enorme varietà dei movimenti nelle loro diverse configurazioni in termini di esten-
sione, di precisione, di intensità, di plasticità ecc. I sistemi piramidale ed extrapirami-
dale agiscono in modo coordinato e sincrono attraverso una serie di circuiti funzio-
nalmente interconnessi e di meccanismi interdipendenti che facilitano o inibiscono
l'attività dei motoneuroni per l'esecuzione e gli aggiustamenti progressivi dei movi-
menti volontari, nonché per l'influenza sulle reazioni motorie automatiche (riflessi
miotattici) o semi-volontarie che accompagnano tali movimenti.
In questa attività nervosa si integrano processi elementari automatici, di ordine
inferiore, con processi volontari e consapevoli, di ordine superiore. Pertanto, la
CNV, pur essendo vincolata da meccanismi automatici di base, non esula dal con-
trollo dell'attenzione e della coscienza ed è soggetta a forme più o meno consistenti
di regolazione volontaria nelle sue espressioni. Questa variabilità del grado di con-
trollo procede secondo un continuum neuropsicologico, da manifestazioni involon-
tarie (come la dilatazione della pupilla in caso di attrazione sessuale) a manifesta-
zioni pienamente consapevoli ed esplicite (il gesto emblematico dell'autostop o di
OK in caso di successo).
Questa plasticità della CNV pone le condizioni per l'apprendimento di diverse
forme della CNV. Per alcune di esse, come i gesti, si possono avere forme di ap-
prendimento assai simili a quelle che si realizzano per il linguaggio (come per il
linguaggio dei segni dei sordomuti); per altre l'apprendimento, pur essendo presen-
te, è meno consistente (come la mimica facciale). Anche per i diversi sistemi di si-
gnificazione e di segnalazione della CNV si attivano i processi di condivisione con-
venzionale all'interno di ogni comunità di partecipanti. Le predisposizioni geneti-
che sono declinate, di volta in volta, secondo linee e procedure distinte e differen"
ziate che conducono a modelli comunicativi diversi e, talvolta, assai distanti fra
loro. È sufficiente pensare alla grande distanza culturale fra la CNV dei giapponesi
e quella delle popolazioni latine. Nella scuola dei samurai vige l'ideale della sop-
pressione delle emozioni e il volto assume il valore di una maschera immobile alla
luce di una severa autodisciplina. La cultura giapponese è la cultura del silenzio (e
non della parola) e della distanza (e non della vicinanza). Per contro, nelle società
latine la manifestazione delle emozioni è incoraggiata e sostenuta in base al princi-
pio della spontaneità e della naturalezza. Le culture latine sono culture della parola
(e non del silenzio) e della vicinanza (e non della distanza).
-j
210 FOND,\,\IFNTI
della comunicazione (il «che cosa» viene detto). Per contro, il non verbale ha una
funzione espressiva, caratterizzata dal fatto di essere spontanea e poco controllata,
per lo più come riproduzione ecoica e mimesi degli stati interni dell'individuo.
Essa riguarda le modalità con cui i contenuti sono veicolati (il «come» viene detto).
Al verbale sarebbe di pertinenza l'informazione semantica, mentre al non verbale
spetterebbe l'informazione affettiva.
In realtà, si tratta di una ipotesi poco sostenibile. Infatti, il significato è la con-
vergenza di una molteplicità di componenti - verbali e non verbali - ciascuna delle
quali contribuisce a definire una determinata configurazione semantica di una pa-
rola, di un gesto o di una frase (cfr. la sintonia semantica cap. 7).
+ Arbitrario vs. motivato. La seconda distinzione riguarda la dimen- Arbitrario vs. motiva-
sione fra gli aspetti arbitrari e quelli motivati della comunicazione. I pri- to
mi, caratteristici del linguaggio, sono generati dalla relazione convenzio-
nale fra l'immagine acustica (significante) e la rappresentazione mentale (significa-
to). Il segno linguistico è arbitrario, poiché è regolato da un rapporto di semplice
contiguità. Non vi è nulla della realtà luna nella stringa di suoni Il-u-n-al (o /m-o-
o-n/); è sufficiente cambiare un fonema (per esempio, il fonema /a/ al posto di /u/)
affinché cambi totalmente significato (da luna a lana). Per contro, gli elementi della
CNV hanno un valore motivato e iconico nell'esprimere un certo eve~to e tratten-
gono in sé degli aspetti della realtà che intendono evocare. In questo senso essi
sarebbero «motiva-ti», in quanto vi sarebbe un rapporto di similitudine fra l'unità
non verbale e quanto viene espresso. Per esempio, un urlo di dolore esprime lo
strazio di questa emozione, e tanto più lo strazio è forte quanto più l'urlo diventa
lacerante (fino a giungere all'urlo dipinto da Munch). Da notare che l'urlo di do-
lore è diverso dall'urlo di rabbia o di paura. Ognuna di queste manifestazioni non
verbali conterrebbe in sé aspetti specifici (cioè, motivati) delle diverse emozioni
menzionate.
Ma questa distinzione dicotomica è stata superata dallo studio sull'iconismo 7
fonosimbolico, secondo cui i suoni di una lingua, oltre al carattere di arbitrarietà, ··~
hanno anche una funzione evocativa [Dogana 1990]. Basta pensare alle onomato-
pee e alle sinestesie, nelle quali un suono richiama eventi che riguardano altre di-
mensioni sensoriali (per esempio, la vocale anteriore /i/ è associata a qualcosa di
piccolo, sottile, acuto, chiaro, pulito, fresco e allegro; per contro, la vocale posterio-
re /u/ è associata come suono a qualcosa di grande, pesante, piatto, grave, sporco,
triste e lugubre). Nell'ambito della comunicazione di marketing o della psicologia
politica questo diverso valore espressivo dei fonemi è ampiamente utilizzato per
creare il nome di prodotti slogan o sigle. Per esempio, per evocare leggerezza, lu-
minosità e pulizia si fa ricorso alle vocali anteriori /i/ ed /e/ o la consonante /11,
mentre per evocare forza, potere, durezza e grandezza si fa ricorso alle vocali po-
steriori /a/ e /o/ e alle consonanti occlusive sorde /p/, /t/, /k/ e alle occlusive so-
nore /b/, /d/ e /g/.
+ Digitale vs. analogico. Di solito, la distinzione fra digitale e analo- Digitale vs. analogi-
gico è associata a quella fra arbitrario e motivato. Secondo la psicologia co
tradizionale il codice linguistico è considerato digitale, poiché i fonemi
sono ritenuti tratti diacritici distintivi e oppositivi (vedi l'esempio di prima fra luna
e lana). Per contro, gli aspetti non verbali hanno un valore analogico, in quanto
presentano variazioni continue e graduate in modo proporzionale («analogo») a ciò
che intendono esprimere, così come la colonnina di mercurio del termometro si
212 f'ONDMvlENTI
VERBALE
LINGUISTICO
PROSODICO
VOCALE PARALINGUISTICO
OUALIT À VOCALI NON
EXTRALINGUISTICO LINGUISTICO
a) MIMICA FACCIALE
b) SGUARDO
• direzione dello sguardo
• durata
• reciprocità
• fissazione oculare
C) GESTI E POSTURA
• gesticolazione (gesti iconici)
• pantomima
• emblemi (gesti simbolici)
• gesti deittici
• gesti motori
• linguaggio dei segni
• postura del corpo
d) PROSSEMICA E APTICA
• territorialità
• contatto corporeo
• distanza spaziale
{HGURA
:..-..,:··
8.1. Rappresentazione schematica della pluralità e dell'articolazione dei sistemi di significazione e
di segnalazione verbali e non verbali.
di norma, confini precisi. Pertanto, all'interno del medesimo sistema di segnali non
verbali non è possibile separare in modo netto e discreto una categoria rispetto a
quelle contigue. Di conseguenza, questa graduabilità consente al soggetto di «misu-
rare» l'estensione e l'intensità dei suoi segnali non verbali.
lnterdipendenza e sintonia semantica, focalizzazione comunicativa e
ed efficacia comuni-
cativa calibrazione situazionale sono alla base dell'efficacia comunicativa. Que-
st'ultima può essere considerata come un indice di sintesi del valore co-
municativo di un messaggio e consiste nella capacità di individuare un percorso co-
municativo che massimizzi le opportunità e che minimizzi i rischi contenuti all'in-
terno di un'interazione. La massimizzazione è associata a una comunicazione per-
suasiva in grado di aumentare la fiducia, la credibilità e la forza di attrazione del
comunicatore (cfr. cap. 11); per contro, la minimizzazione è associata all'evitamen-
to di condizioni comunicative imbarazzanti e incresciose, come una gaffe, un mes-
saggio inopportuno ecc. Parimenti, questi fattori contribuiscono in modo efficace
a illustrare l'oscillazione del significato fra stabilità e instabilità (cfr. cap. 6). Non vi
è mai un significato completamente stabile né uno completamente instabile, ma un
signz/icato stabile che presenta aree di instabilità. Questa mescolanza fra fissità e
variabilità, fra prevedibilità e imprevedibilità è il fattore principale che rende intri-
gante la comunicazione umana. Analizziamo ora i principali sistemi non verbali di
significazione e di segnalazione.
3. Il sistema vocale
La voce va intesa come una sostanza fonica, composta da una serie di fenome-
ni e processi vocali. Fra di essi ricordiamo i principali: a) i riflessi (come lo starnu-
to, la tosse, il russare, il rutto, lo sbadiglio), i caratteri'zzatori vocali (come il riso, il
pianto, il singhiozzo) e le vocalizzazioni (i suoni vocalizzati come mhm, ah, eh che
costituiscono le cosiddette «pause piene»); b) le caratteristiche extra-linguistiche
intese come l'insieme delle caratteristiche anatomiche permanenti ed esclusive del-
l'individuo; esse sono ulteriormente suddivise in caratteristiche organiche (cioè, la
1..\ ((J~Il'Nl<.Vl<lNJ: NllN \T.I\1\.\1.1 215
a) Gioia
nonè p o s s b l e non o r a
b) Paura
·.- ~:
nonè p o s s i b i l e n o n o a
c) Tristezza
·~t:~ ---- -
nonèp o ss i b il e n o n ora
'FIGURA 82_ Esempi di tracciati sonografici a bande strette di gioia (a), di paura (b) e di rristezza (c) in ri-
ferimento alla medesima frase: «non è possibile, non ora». Si osservi la voce piena e vibrante
nella gioia; la voce tremante e acuta nella paura (interrotta da pause dovute alla respirazione); la voce debole
e piatta nella tristezza.
3.3. Il silenzio
Nello studio del sistema vocale il silenzio merita particolare attenzione. Infatti,
in quanto assenza di parola, esso costituisce un modo strategico di comunicare e il
suo significato varia con le situazioni, con le relazioni e con la cultura di riferimen-
to. In generale, il valore comunicativo del silenzio è da attribuire alla sua ambiguità,
poiché può essere l'indizio di un ottimo rapporto e di una comunicazione intensa
oppure il segnale di una pessima relazione e di una comunicazione deteriorata. I
valori comunicativi positivi o negativi del silenzio riguardano molti aspetti, quali: a)
i legami affettivi (il silenzio può unire due persone in una profonda condivisione di
affetti o può separarli attraverso sentimenti di ostilità e di odio); b) la funzione di
valutazione (il silenzio può indicare consenso e approvazione o segnalare dissenso
e disapprovazione); c) il processo di rivelazione (il silenzio può rendere manifesto
qualcosa a qualcun altro o può essere una barriera opaca rispetto a una data infor-
mazione); d) una funzione di attivazione (il silenzio può indicare una forte concen-
trazione mentale o può segnalare una dispersione mentale).
Data la sua natura intrinsecamente ambigua, il silenzio è governato
l significati del silen-
zio da un insieme complesso di standard sociali definiti come le regole del si-
lenzio. Esse concernono dove, quando, come e per che cosa usarlo, e
vanno imparate dal bambino piccolo, al pari del linguaggio e degli altri sistemi di
segnalazione. In generale, si è osservato che il silenzio è associato a situazioni socia-
li in cui la relazione fra i partecipanti è incerta, poco conosciuta, vaga o ambigua. In
tali situazioni è prudente non esporsi. Infatti si insegna ai bambini di non parlare
con gli estranei.
Parimenti, si. è verificato che il silenzio è un atto comunicativo associato a si-
tuazioni sociali in cui vi è una distribuzione nota e asimmetrica di potere sociale fra
i partecipanti. Nel caso di discrepanza di status sociale, l'individuo che occupa la
posizione subalterna tende a mantenersi in una condizione di silenzio e di ascolto.
Per esempio, fra i wolof del Senegal il silenzio è una strategia comunicativa per
assumere uno status superiore nello scambio dei saluti: saluta per primo chi si
percepisce di livello sociale inferiore. Quando si incontrano due persone che si ri-
tengono di pari posizione, dopo un certo periodo di silenzio e un saluto ritualistico
abbreviato, si chiedono reciprocamente conto delle ragioni per cui ciascuno non ha
iniziato a salutare. Anche fra i maori della Nuova Zelanda il silenzio costituisce un
importante atto comunicativo per regolare i rapporti sociali: in una conversazione
hanno diritto di parola le persone che hanno maggiore potere sociale, mentre chi è
giovane o in una posizione subalterna rimane in silenzio per deferenza e rispetto.
Situazioni analoghe succedono anche nelle culture occidentali, dove in un'azienda,
in un partito, in una scuola parla di più chi ha maggiore peso decisionale e sta più
in silenzio chi è in una posizione subordinata.
In funzione della sua complessità, il silenzio presenta importanti variazioni eu!-
l.\\.\ l;'-.ll 10il< .X/1< l~ L N< >è-J VIJ\13;\l.L 219
4. Il sistema cinesica
t ~.,;t.. ·r
sione facciale di un soggetto per «leggere» l'emozione che egli sta provando. Da
qui discendono i corollari della invariabilità culturale delle espressioni facciali e
della universalità della loro produzione e riconoscimento.
Questa concezione è stata, almeno in parte, ripresa da Wierzbicka [1999] in
termini di semantica delle espressioni facciali, in quanto le espressioni facciali mani-
festano un significato oggettivo, indipendente dal contesto e universalmente intel-
ligibile. Tale significato è di natura iconica (più che simbolica), generato dalla com-
binazione componenziale di otto unità motorie minime (come le sopracciglia solle-
vate), su base autoriferita (le espressioni facciali sono sempre in «prima persona,
singolare, al tempo presente», in quanto sono le mie espressioni in una data situa-
zione e manifestano quello che io sento). Sotto questo aspetto esse sono analoghe
alle esclamazioni e alle interiezioni.
A sostegno della prospettiva emotiva Ekman e F riesen [ 1971] hanno verificato
che soggetti appartenenti a culture diverse (culture occidentali, giapponese, culture
preletterate come i fore meridionali della Nuova Guinea e i dani dell'Iran) presen-
tavano valori simili e concordanti nella capacità di riconoscere le emozioni attraver-
so le corrispondenti espressioni facciali volontarie (o mimate), anche se nelle popo-
lazioni preletterate si è osservata la confusione fra paura e sorpresa. In base a tali
dati Ekman ha sostenuto che le espressioni facciali costituiscono «un segnale pan-
culturale distintivo per ogni emozione». Tale segnale, di natura discreta, sorge in
maniera rapida, automatica e «non richiesta» e corrisponde in modo biunivoco e
«naturale» all'emozione corrispondente. Tuttavia, queste ricerche non sono esenti
da critiche sia per quanto concerne gli aspetti teorici (per le osservazioni riportate
poc' anzi), sia per quanto riguarda gli aspetti metodologici. Infatti, si sono usate
foto di espressioni facciali «posate» e volontarie che accentuano i movimenti faccia-
li in modo stereotipato; si è fatto ricorso a un disegno sperimentale within-subject
che favorisce l'addestramento e l'apprendimento; i soggetti dovevano scegliere la
loro risposta entro un elenco limitato di etichette emotive e questa tecnica della
«scelta forzata» aumenta di molto la percentuale delle risposte corrette rispetto alla
tecnica della «scelta libera»; è molto probabile infine che i soggetti preletterati
siano stati influenzati dai feedback forniti dai mediatori culturali [Russell 1994].
In sostanza, i dati osservati sono assai inferiori a quanto ci si aspetterebbe sulla
base dell'ipotesi universalista e della teoria neuroculturale (cfr. fig. 8.5). Essi sono
~ comunque superiori a valori semplicemente dovuti al caso. Su questa base Russell
e Fernandez-Dols [1997] hanno avanzato l'ipotesi dell'universalità minima, secon-
do cui esiste un certo grado di somiglianza fra le culture nell'interpretazione delle
espressioni facciali, senza tuttavia prevedere un sistema innato di segnalazione degli
stati psicologici (emozioni, stati mentali, intenzioni ecc.), anche se si riconosce la
probabilità che in certe condizioni si possano compiere inferenze accurate.
A fronte della prospettiva emotiva, in tempi recenti diversi studiosi
La prospettiva co- (fra cui in modo preminente Fridlund [1994] con la teoria dell'ecologia
municativa
comportamentale) hanno sostenuto la prospettiva comunicativa delle
espressioni facciali. Queste ultime hanno un valore eminentemente comunicativo,
poiché manifestano agli altri le intenzioni del soggetto. In funzione del contesto si
hanno manifestazioni facciali qualitativamente differenti: uno può sorridere perché
è felice ma anche perché è incerto, ansioso, pauroso o perché prova vergogna. Le
espressioni facciali hanno un valore sociale, poiché consentono di comunicare agli
altri i propri obiettivi e per questa ragione esse sono assai più frequenti e accentua-
r 1 1 , •lit '-:Il 111, ''-i '' '' \ r r;r; 11 r 22)
100
80
o
-eo
u
u
co
'6 60
co
c
co
-o
O)
E
O)
tU 40
::l
cO)
2
O)
CL
20
o
Letterati occidentali Letterati non occidentali Letterati isolati
(N= 20) (N= 11) (N= 3)
Gruppi culturali
Espressioni:
FIGURA 8.5. Valori mediani di riconoscimenro Jelle espressioni facci,lli Ji sei emozioni. Il trattino in bi,mco
orizzont,de indie<! il]i,·ello Jei ,·alori attesi per le risposte casuali: N e il numero dci gruppi
culturali esaminati.
~N\O)J3
~Q\ )\')
N\OG~~
\\'-'-
FIGURA 8.6. Illustrazione dell'importanza del contesto per un riconoscimento corretto delle espressioni emotive. Gwen
Torrance, medaglia d'oro alle olimpiadi, è ripresa sul podio in uno dei momenti più felici della sua vita; il
soldato americano tenuto in ostaggio dagli iraniani per 444 giorni è ripreso al suo arrivo in una base americana appena
è stato liberato. I dettagli riportati in alto, presi da soli, sono stati interpretati come espressioni di diverse emozioni (quali
gioia, tristezza, timore, collera ecc.); quando queste espressioni parziali sono ricomposte nel loro contesto scompare ogni
ambiguità.
~ )
'." . i'J.
··~·.·9,
' )
.. / -. . ·~
lFIGURA 8.7. Tre espressioni di gioia in diverse situazioni: un nuotatore al momento in cui si rende conto di aver vinto (a
sinistra), un torero subito dopo aver colpito il toro («uno dei momenti più felici della vita», al centro), il vinci-
tore di una medaglia d'oro alle olimpiadi durante la cerimonia (a destra).
sionale della mano destra (per illustrare la Madonnina), egli fornisce una rappre-
sentazione spaziale, contestualmente definita, di ciò che sta dicendo. Parimenti, i
gesti possono aggiungere importanti porzioni di significato alle parole. Per esem-
pio, se uno dice criticando un «graffitaro» metropolitano un enunciato come in (2):
(2) Lui sporcava il muro con lo spray, lei lo guardava e non gli diceva: «com fai, cretino», ma
stava zitta. Allora gli stava bene anche a lei
e nello stesso tempo accosta in senso longitudinale i due indici delle mani per in-
dicare che «lui e lei sono eguali», il parlante integra il significato dell'enunciato con
il significato del gesto. Inoltre, i gesti hanno un valore pragmatico, poiché costitui-
scono dei marca tori dell'atteggiamento del parlante nei confronti di ciò che sta di- ,
cendo e, in parallelo, manifestano le sue aspettative sul modo con cui il destinatario
deve intendere ciò che sta dicendo. Per esempio, nella cultura napoletana il gesto
della mano a borsa è comunemente associato a frasi del tipo (3 ):
(4) Ma io bo una riunione fra un minuto (per evitare la richiesta di fare una telefonata)
(5) Di 'sta cosa abbiamo parlato per tutta la riunione l'altra volta (per rifiutare di discutere
di un certo argomento)
Già nel 1832 de }orio aveva pubblicato un volume sul «gestire napoletano»;
alcune espressioni di tale «gestire» sono riportate nella fig. 8.8.
I gesti iconici accompagnano il discorso in modo sistematico e sincronizzato
e, di solito, non sono ridondanti rispetto ai significati espressi dalle parole ma ag-
giungono porzioni rilevanti di significato per la determinazione del percorso di
.senso dell'enunciato nella sua globalità (sintonia semantica cfr. cap. 7). Parimenti,
. se il parlante interrompe all'imp-rovviso il proprio discorso perché si accorge di
fare un errore, interrompe simultaneamente il gesto che lo accompagna. Di con-
seguenza, gesto e discorso sono generati dalla medesima rappresentazione di ciò
che si comunica, manifestano la medesima intenzione comunicativa, sono piani-
ficati dal medesimo processo e sono realizzati in modo sincronico in riferimento
a un dato contesto di uso. Queste condizioni costituiscono una conferma indiret-
ta dell'ipotesi del processare comunicativo centrale precedentemente considerato
(cfr. cap. 7).
e Gesti e culture. I gesti, più ancora di altri sistemi non verbali, pre- . 1gesti nelle culture
sentano rilevanti variazioni culturali, soprattutto in riferimento agli em-
blemi e al linguaggio dei segni. Se prendiamo in esame l'Europa occidentale, vi
sono pochi emblemi in comune nelle quaranta regioni studiate da Morris e colleghi
[Morris et al. 1979]. Neppure i cenni del capo per dire sì o per dire no sono uni-
versali. Infatti, mentre nelle regioni settentrionali dell'Europa si scuote il capo in 7
avanti (in senso verticale) per dire sì e di lato (in senso orizzontale) per dire no, in ~
2}2 HJ~DA/v!ENTI
®(~
se si tiene il palmo rivolto al parlante,
mentre significa vittoria con il palmo
~-1~ '~
rivolto verso l'interlocutore; nelle altre
culture il gesto V vuoi dire vittoria
9 comunque si tenga il palmo. L'anello
formato da pollice e indice che signifi-
ca OK negli Stati Uniti e nell'Europa
settentrionale, vuoi dire una cosa che
conta zero in Francia meridionale.
Anche per i gesti iconici (o lessicali)
esistono notevoli differenze culturali.
Gli italiani del sud, per esempio, fan-
no ampio uso di gesti fisiografici, do-
FIGURA 8.8. Esempi di gesti napoletani registrati nel-
la prima metà dell'Ottocento. tati di un elevato valore pittorico e
descrittivo, gli ebrei di lingua yiddish
Fonte: De ]orio [1832].
impiegano gesti ideografici per sottoli-
. _uear.eJa .direzione ~~l-p€Hlsier-o c-olle-
gando una fràse all'altra: si tratta di gesti contenuti e di estensione limitata, disposti
lungo l'asse verticale [Efron 1941].
L'uso dello spazio e della distanza implica un equilibrio instabile fra processi
affiliativi (di avvicinamento) ed esigenze di riservatezza (di distanziamento). Abbia-
L.\ tll:\llJ0Jil .\ZIO:\ L NON \'I:RBAU: 23 3
mo bisogno di mantenere dei contatti con gli altri e la vicinanza spaziale Territorio pubblico e
costituisce una premessa in questa direzione. Nel contempo, abbiamo bi- domestico
sogno di definire e di proteggere la nostra privatezza e la distanza fisica
rappresenta una condizione importante a questo riguardo. La regia di queste oscil-
lazioni fra affilinione/vicinanza e riservatezza/ distanza è mediata attraverso la ge-
stione della propria territorialità. Il territorio è un'area geografica che assume ri-
svolti e significati psicologici nel corso degli scambi di comunicazione. Occorre
distinguere fra territorio pubblico e territorio domestico. Il primo è il territorio dove
gli individui hanno libertà di accesso, ma che è regolato da norme e vincoli ufficiali
e convenzionali. La loro trasgressione è sanzionata. Nel territorio pubblico una
certa porzione di spazio è marcata a livello di CNV come propria attraverso segnali
e indicatori (come oggetti) e può essere rivendicata come appartenente a sé in
quella data circostanza. Il territorio domestico è il territorio in cui l'individuo sente
di avere libertà di movimento in maniera regolare e abituale; in esso prova un sen-
so di agio e ne possiede il controllo; può essere la propria casa, l'ufficio o il club
degli amici. Di norma, il territorio domestico è nettamente distinto da quello pub-
blico attraverso precisi confini sia fisici (per esempio, la porta di casa), sia legali
(per esempio, la proprietà privata), sia psicologici (per esempio, le reazioni a una
invasione di tale territorio).
Inoltre la gestione del territorio personale concerne anche la regola- La distanza interper-
zione della distanza spaziale che rappresenta un buon indicatore della sonale
distanza comunicativa fra le persone. A questo proposito si è soliti distin-
guere diversi tipi di distanza.
+ Zona intima (fra O e 0,5 m circa): è la distanza delle relazioni intime; ci si
può toccare, sentire l'odore del partner, avvertire l'intensità delle sue emozioni,
parlare sottovoce.
+ Zona personale (fra 0,5 e l m circa): è l'area invisibile che circonda in
maniera costante il nostro corpo; è una sorta di «bolla spaziale personale» che ci
accompagna in continuazione e la cui distanza varia da interazione a interazione; è
possibile toccare l'altro, vederlo in modo distinto, ma non sentirne l'odore.
+ Zona sociale (fra l e 3,5/4 m): è la distanza per le interazioni meno perso-
nali; è il territorio in cui l'individuo sente di avere libertà di movimento in maniera
regolare e abituale; in esso prova un senso di agio e ne possiede il controllo; può
essere la propria casa, l'ufficio o il club degli amici.
+ Zona pubblica (oltre i 4 m): è la distanza tenuta in situazioni pubbliche
ufficiali che comporta una enfatizzazione dei movimenti e una intensità elevata
della voce.
La regolazione dello spazio assume, pertanto, importanti significati a livello
comunicativo, in quanto può favorire i processi di intimità, di dominanza, di mani-
polazione del partner per metterlo a suo agio (o disagio). In generale, vige il prin-
cipio secondo cui tanto più spazio uno ha a propria disposizione, tanto più gode di
una posizione sociale elevata. Tale principio non vale soltanto per le abitazioni
private ma soprattutto per gli uffici nelle aziende (private o pubbliche) dove il
confronto sociale è assai forte. All'opposto, la violazione del proprio spazio suscita
consistenti reazioni di difesa, in quanto essa è percepita come una forma di invasio-
ne, nonché come una minaccia.
Esistono, altresì, rilevanti dil.ferenze culturali nella prossemica. Alcune Cultura della distan-
'JJC za e della vicinanza
Popolazioni come quelle europee settentrionali, quelle asiatiche e indiane
234 HlNDMdLNTI
L' aptica concerne le azioni di contatto corporeo nei confronti di altri. Si tratta
di uno dei bisogni fondamentali della specie umana, al pari di altre specie animali.
Infatti, nei primati non umani una percentuale rilevante del tempo è trascorsa nel-
l'attività di grooming che comporta un prolungato contatto fisico e che serve a
mantenere le relazioni di affiliazione, di dominanza e di sottomissione (cfr. cap. 2).
Nel corso del periodo neonatale e dell'infanzia, il tatto è uno dei canali più
importanti di comunicazione e i bambini piccoli manifestano un bisogno innato di
contatto corporeo per ragioni sia fisiologiche (come l'allattamento) sia psicologiche
(per rassicurazione). Su questa base si crea, fra l'altro, il legame di attaccamento.
Di solito, nella cultura occidentale le madri toccano più a lungo le bambine che i
bambini. Man mano che cresciamo, abbiamo una esigenza minore di essere toccati
dagli altri e, a eccezion fatta di specialisti (come il massaggiatore e il medico), rara-
mente siamo toccati dagli altri, soprattutto da parte di estranei.
Nell'ambito dell'aprica si è soliti distinguere le sequenze di contatto reciproco
dai contatti individuali. Le prime sono formate da due o più azioni di contatto
compiute in modo reciproco nel corso della medesima interazione. Questa ripeti-
zione dell'azione del toccarsi comporta una condivisione del suo significato e svol-
ge una funzione di «supporto» affettivo all'interno di. una relazione di parità. Il
contatto,: individuale è unidirezionale ed è rivolto da un soggetto a un altro. Per
entrambi i tipi di contatto vi sono regioni del corpo «non vulnerabili» come le
mani, le braccia, le spalle e la parte superiore della schiena che possono essere toc-
cate anche da estranei; per contro, le altre regioni sono considerate «vulnerabili» e,
di norma, sono toccate soltanto da poche persone (gli intimi e gli specialisti).
In ogni caso il toccare un altro è un atto comunicativo non verbale
Funzioni del contat-
to corporeo primario che influenza la natura e la qualità della relazione e che esprime
diversi atteggiamenti interpersonali. In particolare riguarda i rapporti
amorosi, poiché il contatto corporeo invia messaggi di affetto, di coinvolgimento e
di attrazione sessuale. In pubblico, il contatto reciproco assume il valore comuni-
cativo di segno di legame che individua la coppia medesima in quanto coppia e che
segnala il desiderio di essere lasciata da sola. Nello sviluppo del rapporto amoroso
la coppia innamorata presenta manifestazioni pubbliche più frequenti e intense di
L\ Ul~lUì\ICt\ZIONE :-.!ON VEIU3t\LE 235
contatto fisico rispetto alle coppie casuali e alle medesime coppie di sposati. Inol-
rre, nei rapporti amorosi si osserva una reciprocità speculare e sincronizzata di
contatto corporeo e tale reciprocità aumenta il grado di attrazione sessuale. Non
esistono differenze di genere fra uomini e donne nella quantità globale dei contatti
corporei, mentre, di solito, sono gli uomini a iniziare e ad avviare il primo contatto
fisico. Alle donne infatti piac~ essere toccate più che agli uomini e il contatto svol-
ge una funzione fondamentale per sviluppare un rapporto di intimità. Parimenti il
toccare l'altro serve a manifestare un rapporto affettivo positivo in termini di sup-
porto, di appartenenza, di apprezzamento e di affiliazione, spesso anche in modo
aiocoso. Il contatto corporeo serve anche a comunicare una relazione di dominanza
:?
e di potere, poiché, di norma, le persone che occupano una posizione sociale domi-
nante hanno la libertà di toccare coloro che sono in posizione con minor potere, e
non viceversa. In questo senso il contatto corporeo può manifestare incoraggiamen-
to, approvazione, incitamento o un rimprovero scherzoso.
In numerose altre circostanze sociali il contatto fisico è regolato attraverso ri-
tuali che vi attribuiscono uno specifico significato legato al contesto di uso. Pensia-
mo ai saluti di benvenuto e di commiato: in questo caso il contatto corporeo è una
sorta di rito per ristabilire un rapporto dopo un periodo più o meno lungo di as-
senza o per gestire una situazione di partenza e di separazione. Pensiamo alle con-
gratulazioni che nello sport o in altre attività umane comportano un contatto cor-
poreo co_me un bacio, un abbraccio, una stretta di mani ecc. Pensiamo alle cerimo-
nie (religiose o laiche) nelle quali sono previsti atti simbolici di contatto fisico (dal
battesimo e dalla cresima alla laurea, al conferimento di un premio).
Il contatto corporeo ha una molteplicità di effetti, spesso fra loro contrapposti.
La persona che tocca, in generale, è ritenuta cordiale, disponibile ed estroversa e,
di norma, suscita simpatia. Questa condizione è stata verificata sia con i camerieri
(quelli che toccano brevemente i clienti ottengono più mance), sia con i bibliotecari
(quelli che toccano la mano di chi restituisce i libri sono giudicati più simpatici) sia
con gli intervistatori (quelli che toccano estranei sono più frequentemente aiutati a
raccogliere i fogli caduti per terra). Sotto questo aspetto il contatto corporeo sem-
bra favorire forme di accondiscendenza e di empatia. Al contrario, il contatto cor-
poreo può suscitare reazioni negative di fastidio e di irritazione fino a giungere alla
collera nella situazione in cui sia percepito come una forma di invasione, di sopru-
so e di violenza. Infatti, in queste condizioni il contatto è valutato come una costri-
zione e una riduzione della propria libertà di movimento.
Al pari della prossemica, esistono rilevanti differenze culturali anche per l'apri-
ca. Accanto a culture del contatto come la cultura araba e quella latina, vi sono
culture del non contatto come le culture nordiche, quella giapponese e quella india-
na. In ogni caso il contatto corporeo rimane un atto comunicativo ambiguo, so-
prattutto nelle culture occidentali, poiché trasmette contemporaneamente diversi
valori semantici e l'attuale attenzione agli aspetti delle molestie sessuali ha reso più
problematica questa modalità comunicativa.
6. Il sistema cronemico
area di ricerca sulla CNV è ancora agli inizi, ma il tempo è una variabile basilare
per la comunicazione. La cronemica, che fa parte della cronobiologia, è influenzata
dai ritmi circadiani che riguardano i cicli fisiologici e psicologici del soggetto nel
periodo delle 24 ore, come l'alternanza sonno-veglia. Vi sono cicli in/radiani (con
un ciclo superiore a un giorno, come il ciclo mestruale) e cicli ultradiani (con diver-
si cicli al giorno, come il ritmo respiratorio). I ritmi circadiani mantengono la loro
periodicità grazie alla presenza di fattori ambientali, il più importante dei quali è il
ciclo di luce e buio. Questi agenti sincronizzatori ambientali (i cosiddetti Zeitgebers)
forniscono una configurazione temporale ai ritmi circadiani. Questi.ultimi sono in-
fluenzati dall'azione di un orologio biologico interno (il cosiddetto orologio circadia-
no) che va più lentamente quando non è governato dai fattori ambientali. Ma essi
presentano altresì rilevanti variazioni connesse con i fattori culturali (sincronizzato-
ri). In questo ambito si è soliti distinguere le culture veloci da quelle lente.
Le culture veloci sono caratterizzate da un alto grado di industrializ-
Culture veloci e cul-
ture lente zazione, dal benessere economico, da condizioni climatiche fredde, dal-
l' orientamento all'individualismo e al successo, nonché da una elevata
densità della popolazione. Esse hanno una prospettiva temporale orientata al futu-
ro, qualificata dalla pianificazione di un traguardo a medio e a lungo termine
(obiettivo distale). In questo tipo di società i vincoli temporali sono forti e favori-
scono un'organizzazione delle attività secondo una scansione temporale che preve-
de di realizzare un'attività per volta (monocronia). In esse domina la concezione
che equipara il tempo al denaro, spingendo all'accelerazione dei ritmi di vita, soste-
nuta da innovazioni tecnologiche sempre più potenti. Per contro, le culture lente
sono caratterizzate da povertà, da condizioni climatiche calde, da un modesto gra-
do di industrializzazione, dall'orientamento alla collettività e all'armonia, nonché da
una limitata densità della popolazione. Esse hanno inoltre una prospettiva tempo-
rale orientata al passato (tradizione) e al presente, senza l'esigenza di una program-
mazione anticipata che comprenda un esteso arco temporale (obiettivi prossima/i).
Nelle culture lente, inoltre, la modesta suddivisione dei lavori e la limitata specia-
lizzazione del tempo consentono la compresenza di diverse attività svolte nel mede-
simo tempo (policronia).
Di conseguenza, ogni soggetto è portatore - spesso inconsapevole - di uno
spect/ico ritmo personale che dà per scontato sia eguale a quello degli altri. Di nor-
ma, le cose non awengono in questo modo, e la comunicazione con soggetti che
hanno ritmi biologici e psicologici differenti può generare distonie, sfasamenti e
condiziopi di disagio. Per esempio, nelle culture veloci i turni di parola nella con-
versazione sono rapidi, efficienti, con pause limitate. Per contro, nelle culture lente
le persone trovano offensivo affrettare la conversazione, e fra uno scambio e l'altro
amano rispettare lunghe pause e silenzi di meditazione. Ma anche all'interno della
medesima cultura individui diversi hanno ritmi circadiani differenti, dal ciclo son-
no-veglia alla velocità (o lentezza) nell'assunzione del cibo, nel camminare, nel leg-
gere, nel parlare ecc. Tale condizione è alla base di incomprensioni, di frustrazioni
e di delusioni reciproche, nonché di fraintendimenti comunicativi.
La cronemica indica la presenza di tempi e di ritmi diversi nell'interazione
comunicativa. Non soltanto vi è l'esigenza della sintonia semantica per generare un
atto comunicativo coerente e unitario (cfr. cap. 7); ma vi è altresì la necessità della
sincronia comunicativa come capacità di sintonizzare il flusso comunicativo al fine
di ottenere una sequenza regolare e fluida di scambi (cfr. cap. 7). Si tratta di pro-
U\ COivtUNtCAZ!(lNE NON VERBALE 23 7
cessi fondamentali, fra l'altro, per generare attrazione e interesse, per creare armo-
nia reciproca, nonché per stabilire una interazione globalmente soddisfacente.
La CNV partecipa in modo attivo e autonomo, assieme al sistema lin- Limiti della CNV
guistico, a generare e a produrre il significato di qualsiasi atto comunica-
- tivo. Risulta quindi importante esaminare in che termini e con quale funzione la
CNV dia il suo contributo nella generazione ed elaborazione del significato. In ge-
nerale, la CNV, pur facendo riferimento a referenti precisi e definiti, fornisce una
rappresentazione spaziale e motoria della realtà, non una rappresentazione propo-
sizionale. Quest'ultima rimane sostanzialmente esclusiva del linguaggio verbale e
del linguaggio dei segni (cfr. cap. 1). Come esito di questa condizione, la CNV-
eccetto il linguaggio dei segni - risulta poco idonea a definire e a trasmettere cono-
scenze. Concetti e idee astratte (come, per esempio, eventualità, libertà, verità ecc.)
sono pressoché impossibili da rappresentare e significare attraverso i segni non
verbali. Ma anche eventi od oggetti concreti (come, per esempio, duomo, capanna,
foglia, cuocere ecc.) sono assai difficili da far capire facendo ricorso esclusivamente
ai segni non verbali. La situazione è ancora peggiore se pensiamo di rappresentare
aspetti qualitativi degli oggetti o degli eventi (come, per esempio, casa vecchia) at-
traverso i segni non verbali.
Questa condizione è dovuta al fatto che la CNV presenta un grado limitato di
convenzionalizzazione. In nessuna cultura si osserva un insegnamento sistematico
dei sistemi non verbali di significazione e di segnalazione, né vi sono l'attenzione e
la cura riservate all'apprendimento esplicito e prolungato della lingua di apparte-
nenza. Eccetto che per alcune norme di galateo, la CNV è lasciata invece a forme
di apprendimento latente e implicito, che avviene attraverso il flusso delle intera-
zioni quotidiane. Oltre al linguaggio dei segni per i sordomuti, soltanto gli emblemi
raggiungono un consistente livello di convenzionalizzazione.
Resta da chiedersi allora per quale ragione facciamo ricorso in maniera La funzione relazio-
continua e sistematica alla CNV negli scambi quotidiani. Non può essere naie della CNV
soltanto per ragioni di memoria filogenetica, come «inutili vestigia di abi-
tudini ancestrali» per dirla con Danvin. A fronte di questo problema si può afferma-
re che la specie umana, al pari di altre specie animali, fa ricorso alla CNV per ragioni
relazionali. Infatti, alla CNV è affidata in modo predominante la componente relazio-
nale della comunicazione (cfr. cap. 1). Infatti, la comunicazione riguarda non soltanto
le conoscenze e le informazioni da partecipare con altri («che cosa» è comunicato;
componente proposizionale), ma anche (e soprattutto) le relazioni interpersonali
(«come» è comunicato; componente re/azionale). Nella comunicazione e attraverso la
comunicazione noi creiamo e giochiamo le nostre relazioni con gli altri.
238 FOND:\\li:NTI
s. Considerazioni conclusive
L
t 1992]; Diodato e Allasia [ 1998]; Guglielmi [ 1999]; Morris [ 1977, tra d. it. 1990];
Poggi [1981]; Poggi e Magno Caldogneno [1997]; Ricci Bitti [1987].