Gioco: è il tema centrale del volume e verrà analizzato da un punto di vista diacronico
cioè storico e sincronico cioè contemporaneo.
Inteso come fenomeno camaleontico
«Riesce ad insinuarsi in ogni cultura ed in ogni regime, ogni volta cambiando
pelle ed adattandosi al contesto […]. È un fenomeno che cambia sempre e ci
sfugge»1
Occidente: Questo volume prende in considerazione il tema del ludus a partire dalla
società dell’Antica Roma fino ad arrivare ai giorni nostri e quindi alla post-modernità.
Storie, teorie e pratiche: «Il percorso seguito è quello “storico, teorico, pratico”, come
sottolinea il sottotitolo stesso. Percorso che intende, così, fissare il significato attuale
dell’esperienza ludica, fissandola nella sua identità più propria e complessa.»2
Il libro di testo è, appunto, suddiviso in tre capitoli, ognuno dei quali tratta uno di questi
argomenti: nel primo troviamo un approccio storico, nel secondo un approccio teorico e
nel terzo un approccio pratico.
Il volume è frutto di una curatela e quindi l’argomento del gioco viene trattato
multidisciplinarmente. Alcune di queste discipline sono: antropologia, filosofia, storia,
sociologia, ecc…
Ludus = singolare di LUDI, riferimento ai giochi e agli spettacoli che si tenevano nell’antica
Roma.
Il ludus va oltre l’ambito del gioco infantile e quello dell’istruzione: esso fu un apprendistato
sociale.
Il ludus produceva e sperimentava l’ambizione sociale nella sua forma civica.
Il ludus segnava e insegnava anche il senso del rango.
Per molti anni della storia di Roma, il ludus era usato come dispositivo pedagogico
all’interno della famiglia.
Le regole erano insegnate, apprese ed esercitate nel ludus. Questo quindi diventava un
regolatore di arti e, attraverso queste, diventava il gioco stesso un’arte.
1 (A cura di) Cambi F., Staccioli G., Il gioco in Occidente: Storia, teorie, pratiche, dove, casa, anno,
p.9
2 Op. cit., p. 8
- Usi del gioco nelle questioni pubbliche
Panem et circenses
LUDI “scaenici ac circenses” si distinguono in categorie: scenici, circensi, venatori ed
atletici.
Nacquero come manifestazione religiosa. I LUDI CIRCENSI erano dedicati al Sole, alla
Luna e ad Ercole, mentre quelli equestri a Conso e Marte.
In seguito, siccome avevano avuto molto successo, venivano fatti per qualsiasi tipo di
attività pubblica, come matrimoni, vittorie militari, nascite, morti, ecc.
Con l’aumentare dell’interesse del popolo, oltre che aumentare le occasioni in cui venivano
fatte, aumentavano anche di numero, sfarzo, ricchezza e varietà di specialità.
La posizione di spicco che i ludi avevano nelle occasioni mediatiche si mantenne alta
durante l’età repubblicana e imperiale, ma nel Basso Impero (periodo di declino dell’Impero
Romano, da Costantino alla caduta dell’Impero Romano di Occidente) si assiste al loro
declino.
Amando luditur
Per Ovidio, un gioco era anche l’arte di amare. La dimensione ludica dell’amore è
sottolineato nella letteratura come elemento facente parte dell’atteggiamento con cui lo si
vive e delle tecniche necessarie per porlo in atto.
Pila luditur
Pila = pallone.
I romani usavano molto giocare a palla, che poteva essere di dimensioni e tipologie diverse
così da poter essere usata per tutte le età e per tutti i generi.
Giocavano in ogni luogo dove era possibile giocare, come le terme, le piazzole, lungo il
Tevere o sotto i porticati. Molti sono infatti i documenti che attestano questi giochi.
Altri giochi documentati erano: l’harpastum (progenitore dell’attuale Rugby): un gioco
violento e polveroso, a cui pare giocassero i soldati negli accampamenti invernali; la pila
paganica preferita dalla popolazione di campagna; il follis adorato da bambini e anziani
in quanto era una palla leggera che poteva essere usata senza troppi sforzi.
Pueri ludant
I genitori non avevano l’abitudine di giocare con i loro figli perché era ritenuta una cosa
disonorevole, quindi, i bambini si ritrovavano a dover giocare con i famigli (persone esterne
alla famiglia ma che ne sono entrate a far parte) oppure con giochi come: astragali,
carrettini, noci, dadi, cavallini di legno e spadini (maschi); bambole, riproduzione di
suppellettili e oggetti relativi alle mansioni domestiche (femmine).
Comunque, i compagni di gioco preferiti da entrambi i sessi erano gli animali domestici.
I bambini giocavano principalmente in casa o negli spazi all’aperto poco distanti, invece i
più grandicelli potevano andare a giocare nelle strade vicine: in questi momenti, anche
giochi e giocattoli definivano l’appartenenza dei bambini, che per le strade erano misti, ai
loro rispettivi status sociali.
- Conclusioni
Con il nome ludus venivano indicati il corso scolastico, la scuola come istituzione e il
locale in cui si svolgeva l’insegnamento.
Però, tra didattica lenta, promiscuità, chiasso, sistemi coercitivi e repressivi violenti,
generalizzante disinteresse e demotivazione, la scuola a Roma era tutt’altro che
divertente.
Debora Balestri
Johan Huizinga, storico olandese, nel 1938 scrisse un libro intitolato “Homo Ludens” dove
esamina il gioco come fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale. Evidenzia
anche il fatto che pure gli animali giocano, quindi il gioco rappresenta un fattore
preculturale. Da qui l’uomo ludens non è stato più escluso dallo studio del passato.
Qui viene riesaminato anche l’idea del loisir (tempo libero) che era considerata, fino a questi
anni, marginale e complementare rispetto al lavoro e allo studio.
La ferma convinzione della superiorità del dovere sul piacere ha finito per incoraggiare
la contegnosa serietà degli studiosi che non si sono lasciati attrarre dalla storia sfuggente
e indecifrabile del mondo ludico.
L’attenzione degli studiosi dell’ambito storico-educativo è stata rivolta solo verso
determinati periodi storici: età classica, Rinascimento, teorie educative di Locke (1632-
1704) (fermo sostenitore del binomio gioco-istruzione), immaginazione creativa di Schiller
che aveva elevato il gioco a principio motore dell’umanità, l’Ottocento conosciuto anche
come il secolo che si è impadronito del gioco, considerandolo l’impegno principale
dell’infanzia.
Senza l’eredità teorica lasciata da Huizinga e Batchin non si sarebbe recuperato il senso
ludico di alcuni periodi storici.
Grazie all’indagine di Batchin a metà degli anni Sessanta si è scoperto che nella tradizione
popolare medievale e rinascimentale, nelle lunghe settimane di feste carnevalesche, nei
banchetti e nei divertimenti da strada, i valori, le gerarchie sociali e le regole sessuali
venivano sospesi e ribaltati. La partecipazione a questi festeggiamenti, faceva sì che tutte
le persone di tutti i ceti sociali potessero parteciparvi, senza rimanere semplici osservatori,
ma sentendo queste attività mimentiche come vera vita vissuta attraverso il gioco.
Quando si parla di gioco ci si trova davanti a un termine che evoca molte idee e concetti
diversi.
Questa incertezza di lucidità, osservava Caillois nel 1958, ha prodotto diverse
problematiche, fino ad avere l’impressione che non ci fosse un oggetto di studio ben
specifico.
Il gioco sembrava condannato dalla sua natura a non produrre nulla se non se stesso.
Queste difficoltà hanno finito per far relegare il gioco nell’ambito della petite histoire, o
almeno, fino a 30 anni fa. Ma adesso si è riscoperto un Medioevo ludico.
- Medioevo ludico
Le norme religiose del primo Medioevo cercarono di contenere questa gioia di vita. E questo
ha dato spunto agli studiosi che hanno scoperto come i contadini si divertivano con i dadi
(contavano più sulla fortuna che sulle capacità) e i nobili con gli scacchi e i giochi da
tavolo.
Gli scacchi soprattutto furono accolti con favore dai trattatisti del Cinquecento che
perfezionarono le mosse e rafforzarono lo spirito agonistico.
In questo caso la competizione ludica era funzionale al controllo di sé, ricercato dalle
classi alte.
- Ma ci piaceva giocare…
Nel quadro dell’Impero Romano in rovina, Girolamo (San Girolamo) legittimava fin dai
primi anni di vita il gioco come mezzo per l’apprendimento però non contemplava i
giochi in comune con l’altro sesso e proibiva alle bambine che sarebbero diventate
monache di partecipare ai divertimenti chiassosi di servitù e delle feste di famiglia.
Conservava il principio di insegnare la lettura e la scrittura con metodi divertenti.
Nella Regola di San Benedetto non compare affatto il termine ludere. Addirittura in alcuni
capitoli si metteva al bando il gioco comune e il riso individuale.
La ricerca del mondo interiore escludeva i piaceri e gli svaghi.
Fiorirono nel 13° secolo nuove forme di evasione con lo sviluppo delle lingue volgari, le
quali, a loro volta, fecero fiorire le attività di lettura e ascolto di novelle, romanzi, ballate e
cronache.
Da questo periodo, i laici cominciarono ad apprezzare il fatto di riunirsi tutti assieme per
ascoltare storie, traendo da loro piacere.
Dal 16° secolo i giullari intrattenevano il pubblico analfabeta nelle piazze, raccontando
storie con recite e canti.
La lettura era praticava ovunque.
Anche nella società toscana avveniva questo, ma Francesco da Barberino, esponente della
letteratura educativa urbana, negava questo godimento alle bambine e alle ragazze in
nome della morale.
Don Juan Manuel, esponente della letteratura didattica castigliana, teorizzava che coloro
che non sapevano trarre piacere dai libri, non potevano né apprendere né conoscere: in
quanto precettore di corte (tra i suoi allievi spiccano Ferdinando IV e Alfonso I) utilizzava
la lettura come attività ricreativa che favoriva la crescita intellettuale.
Dal Medioevo, poi, ha inizio un’immensa ondata favolistica che si riversò nei secoli
successivi, assicurando a questo genere letterario un grande successo.
Nonostante i divieti papali, i tornei diventarono talmente popolari da diffondersi anche nei
piccoli villaggi e, addirittura, i bambini che dalla prima infanzia mostravano un interesse
per la cavalleria e le armi, erano spronati a partecipare ai giochi militari.
Quindi, le partite venatorie e i tornei sono state le attività ludiche più cariche di
significati educativi.
In Francia, l’ars nova si sviluppò molto e si diffuse anche nell’Italia settentrionale dove si
perfezionò con la creazione di ballate e madrigali.
In Italia, la musica secolare faceva parte del tessuto della vita. Ad esempio, a Firenze,
durante l’epoca di Lorenzo il Magnifico (1449-1469-Rinascimento), si ascoltavano i canti
carnascialeschi (dei quali il più famoso è senza dubbio la “Canzona di Bacco”, scritta dal
Magnifico stesso, nella quale è contenuta la storia frase “Quant’è bella giovinezza, che si
fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non v’è certezza”) durante la sfilata dei
carri per il carnevale.
La produzione dei tanti strumenti e la presenza dei musici professionisti testimoniano che
la musica faceva parte del quotidiano ed allietava ogni tipo di festeggiamento sia pubblico
che privato.
I balli femminili in cerchio, poi, alludono a un nuovo modello di vita: quella collettiva.
- Il gioco nella teoria medievale umorale
Quindi cosa era utile alla salute? Rendersi la vita gradevole con passeggiate, lotte, bagni,
profumi, canti, gradevoli compagnie e pensieri lieti.
Per la letteratura medica, il gioco era un fenomeno naturale, una sorta di benefico antidoto
agli umori nocivi, un mezzo efficace per lottare contro gli stati negativi dell’animo.
Un famoso dipinto del 1560 di Bruegel “I giochi dei fanciulli” presenta molti bambini in
diversi luoghi di un paese, alle prese con diverse attività: piastrelle, maschere, biglie
acchiappino, trampoli, birilli, trottole, ecc...
Il piacere del movimento sembra essere al primo posto, ma è anche evidente il desiderio
di competere con sé stessi e con gli altri, traspare anche il bisogno di immedesimarsi in
altri ruoli e il gusto della creatività. Inoltre, la piazza, la strada e i giardini, senza la
presenza di adulti, sono i luoghi privilegiati dell’aggregazione infantile e della messa in
scena di giochi e passatempi tradizionali
Filippo da Novara accoglieva, nel XIII secolo il gioco come esigenza umana e annotava
coscienziosamente i comportamenti quotidiani e riconoscenza manifestata dai bambini
verso gli adulti che li facevano divertire.
Nel 1256 il medico italiano Aldobrandino da Siena, invocando la teoria umorale, chiedeva
ai genitori e ai precettori di lasciare spazio per il gioco al figlio.
Fra le cure che le balie dovevano assicurare alle famiglie egemoni, rientrava anche quella
della play-worker cioè creare e mantenere degli spazi di gioco per i bambini.
In questo periodo, si intuiva anche che il gioco lasciato a se stesso, senza regole, spingeva
i bambini a comportamenti violenti e che soltanto i giochi ben fatti suscitavano la
competizione positiva.
Su queste basi, si insegnava che chi non sapeva offrire all’infanzia giochi e risa era
responsabile del fallimento dell’educazione.
- Conclusioni
La capillare produzione educativa del XVI secolo ha coagulato il lavoro fatto tra i secoli XIII
e XV, i quali non sono stati estranei ai contributi della cultura orale femminile.
Le donne hanno dato diverse prove di originalità e di humour. Non solo artisti e artigiani
erano grati alle loro spinte creative, ma anche le opere dei trattatisti della letteratura
medica e didattica erano debitrici alle loro sollecitazioni.
Il tema del gioco, negli orizzonti mentali del secolo XIII acquisiva un nuovo significato: era
una preziosa risorsa fin dalla nascita per salvaguardare il corpo,la mente e i legami sociali.
In definitiva, gli esponenti della letteratura didattica, giudicavano l’attività ludica da un
punto di vista naturalistico e riflettevano sul gioco a partire dagli effetti corporei.
Debora Balestri
La ragione si dispone come principio/valore guida in ogni campo al posto della religione.
In questo periodo storico prende corpo la società moderna, che fa emergere la classe
borghese, che apre una dialettica tra popolo ed élite, che si struttura intorno al governo e
alla libertà.
Resta netta, però, la divisione tra l’élite e il popolo e la contrapposizione delle loro culture:
la prima innovativa, della ragione, della scoperta, del rinnovamento e della critica; e la
seconda tradizionalista.
Per delineare una storia del gioco nella società moderna bisogna tenere fermi alcuni punti:
che essa è contrassegnata da due società contrapposte e parallele che assieme
producono nuovi spazi di aggregazione sociale e nuove pratiche di ludus e assegnano al
gioco un ruolo sociale fondamentale, favorendo con esso la vita di società (prodotto tipico
del Moderno).
Un altro aspetto che va considerato del gioco nel Moderno è dar corpo a spazi nuovi per
attività ludiche.
Un esempio sono le buone maniere sono un ludus socialmente produttivo perché produce
socializzazione (anche tra ceti diversi) e civilizzazione. Le buone maniere sono anche
controllo e cura di sé, sono esercizio sperimentale che vigila, impone norme e crea auto-
dominio. Era anche un modello di comportamento.
Altro spazio ludico-formativo della socializzazione sono i salotti. Lì, in un panorama quasi
tutto al femminile, si matura la civiltà della conversazione. La conversazione si dipana
come gioco verbale e gioco relazionale.
Anche nei caffè e nei club il gioco appare centrale sia come conversazione che come
intrattenimento. Sono spazi di incontro, di scambio di idee, di cerimonie sociali e di gioco
comunitario.
Anche nell’ambiente familiare il gioco viene ad occupare spazi precisi: infatti, nelle case
medio-borghesi era presente la stanza dei giochi dei bambini.
Ma quali giochi si giocano negli ambienti borghesi? C’è il gioco della stessa vita sociale e
ci sono gli intrattenimenti. Intrattenimenti come giochi sociali (nei salotti, ad esempio, il
pezzo forte era il pianoforte). In questi tipi di casa, i libri sono quasi assenti. Nelle stanze
più aperte al pubblico, invece, si fanno giochi di carte, intrattenimento e mascheramenti.
Anche il libro entra a far parte delle attività ludiche, strumento di una speciale cura di sé
che si scandisce attraverso l’atteggiamento di meditazione. La lettura collettiva esalta l’Io
e lo fa entrare nel Grande Gioco della Cultura. Poi c’è, ovviamente, anche la cerimonia
della lettura solitaria o in comune.
Il leggere si fa, con lo sviluppo dell’alfabetizzazione, un gioco fondamentale dell’uomo
moderno e un gioco altamente produttivo.
- Teorie del gioco: approfondimenti
La crescita del gioco è dovuta anche a una rivalutazione culturale del gioco. Nel
Moderno, al gioco viene sempre più riconosciuto un valore formativo. Ma è il Settecento
che fissa la svolta: con la fantasia di Vico e l’educazione estetica di Schiller.
Il gioco fa parte della formazione di ogni ragazzo e di ogni giovane, purchè ludus civilis.
La valorizzazione del gioco tocca il suo apice nell’Illuminismo. Sarà lo Sturm und Drang
con Schiller a rilanciare il gioco come stemma della formazione umana.
Perfino in Kant l’estetico e il ludico trovano spazio come accordo della ragione nei suoi
domini cognitivi e valutati.
Nelle arti il libero sviluppo è dato dal disegno che si fa figura e gioco.
Quindi, possiamo dire che nella Modernità si ha sempre una più alta attenzione al
gioco e al suo tipo di attività, al suo valore intrinseco per l’uomo, per la mente, per la
società e per la cultura.
- Per concludere
La Modernità ha rilanciato il gioco come attività sempre più centrale nella società: lo ha
reso capillarmente presente dentro la vita sociale di tutti e lo ha reso esperienza di tutti i
giorni.
Il gioco va compreso e coltivato: questa è la lectio più alta e profonda del Moderno.
Debora Balestri
La borghesia dell’800 eredita in parte la concezione del gioco delle corti ed in parte da una
nuova concezione di gioco utile, non più come fine a se stesso per vincere la noia, bensì
come pausa ricreativa dopo il lavoro. Il gioco borghese si differenziava da quello
aristocratico in quanto vi era dedicato un intervallo limitato di tempo. Attraverso il gioco
(che non doveva essere sfrenato, né d’azzardo) ci si educava al rispetto delle regole e dei
limiti. Ogni gioco-presentato nei galatei- era accompagnato dalla sua giustificazione
(irrobustimento, mostrare delle proprie capacità, svago necessario al gioco, incontro con
l’altro sesso). Nei salotti borghesi, oltre alle conversazioni, si giocava (giochi da tavola e
giochi di parole, balli, piccole rappresentazioni teatrali). Lo scopo era quello di favorire
incontri tra giovani in età da matrimonio. I giochi erano semplici e con materiale reperibile,
qui si ha il coinvolgimento della corporeità dei giocatori inoltre se il concorrente è
sfortunato si ha la conseguenza di una penitenza. C’erano anche i giochi all’aperto, durante
le villeggiature (tennis, bocce, pallone …). Con Rousseau e poi con Froebel si ha il concetto
della centralità del gioco nella formazione del bambino. Attraverso il gioco avviene
l’assimilazione dei ruoli sociali: bambole per le bambine (apprendimento del ruolo materno)
e soldatini per i bambini (modello di forza e coraggio). Il gioco così, diventa un aspetto da
curare e da investire ed è favorevole alla crescita del fanciullo. Il gioco disciplinato e
regolato nei tempi e nella modalità non ammette capricci e così si vogliono solo bambini
bravi: ENRICHETTO (ragazzo gentile e garbato) è un esempio di un bambino modello da
prendere in considerazione.
“Enrichetto: il più bel gioiello della casa, la più cara consolazione dei genitori, rispettoso
col padre e con la madre, amorevole coi fratelli e colle sorelle non giocava come le torme di
discoli che sui crocicchi delle vie, e sui canti delle piazze in agguato aspettavano altre torme
di non meno discoli appartenenti ad altre scuole per attaccar briga. Enrichetto, pacato e
gentile, sotto lo sguardo vigile dei genitori, si metteva a saltar la funicella o a ballare con
gli altri fanciuletti della sua età sulla piazzola dei giardini pubblici. Divenuto più adulto,
stava raccolto col babbo o colla mamma e con loro si sedeva e gli sanguinava il cuore
quando vedeva qualche gruppo di bravacci cacciarsi in mezzo a quelle semplici ragazzine,
che danzavano sulla spianata del caffè e con mal garbo, facendo le vista di ballare pur essi,
dare calci qua, gomitate là, spintoni in ogni senso; per ismania brutale un innocente
sollazzo” (p.71)
Gli adulti plasmano i bambini per farne degli Enrichetti: disciplinati e cortesi, pronti per
divenire un giorno uomini di successo, laboriosi ed onesti, compagni piacevoli ed amabili
di veglie, conversazioni e salotti (il dover essere).
Nasce l’industria del giocattolo prodotto in serie, spesso costoso, diviene stastus symbol:
presentato al bambino come bene prezioso, da conservare a lungo, tenuto sotto chiave
dagli adulti. Questo era il simbolo evidente della distanza economico-sociale rispetto ai
bambini poveri che non potevano averlo. Il gioco da comune denominatore della condizione
infantile, diventa il segno distintivo e caratterizzante dell’appartenenza alla classe
borghese, ciò però non faceva diminuire la creatività, la fantasia dei bambini
indipendentemente dall’età, genere, classe sociale e dal tempo storico.
Michela Barbieri
Negli studi sulle culture popolari nel mondo, una parte è dedicata all’attività umana del
gioco. Le definizioni di gioco sono molteplici ma quello che accomuna è la ricerca di
divertimento di piacere fine a sé stesso. Definire l’importanza sociale del gioco non è facile
in quanto Goffman in sociologia, lo vede interazione umana come un gioco, Heidegger in
filosofia: il gioco è metafora del mondo, Lanternari in etnoantropologia: le metafore relative
al gioco variano con il variare delle prospettive teoriche. In altri termini il gioco viene inteso
come l’essere nel mondo. Lo studio del gioco come attività sociale nasce in Germania con
gli studi folkloristici all’inizio dell’800 8volontà di raccogliere le tradizioni di “cultura
popolare” affinchè non vadano perse). In Italia gli studi folkloristici si sviluppano nella
seconda metà dell’800’ (ricordiamo Giuseppe Pitrè); ci si accorge che un gioco può essere
comune a più popoli (ex = gioco delle string figures) e si cercava quindi un’origine comune
alla maniera evoluzionistica. In realtà questi giochi, apparentemente identici, non lo sono
da un punto di vista socio-culturale (c’è una diversa interpretazione a seconda della
cultura che li h prodotti). Ogni gioco riflette le caratteristiche della società in cui si produce.
Secondo Huizinga addirittura è il gioco stesso che sta all’origine della cultura (la cultura
nasce in forma ludica). C’è un rapporto stretto sia fra il gioco ed altri eventi sociali ed
economici sia con la visione del mondo, le mitologie e le cosmologie. Lo studio del gioco è
un mezzo per analizzare processi socioculturali più ampi. Dopo l’analisi evoluzioniste le
tradizioni popolari sono intese come sopravvivenze, prima della metà del 900’: Cocchiara
si distacca da Pitrè e assume il punto di vista del popolo che invece di teorizzarle viveva le
cosiddette “sopravvivenze”, mostrando come esse fossero attualità, storia contemporanea
e come tali avessero una forza simbolica effettiva, della quale mette in evidenza il divenire,
la dinamicità, le continue e attive rielaborazioni. Come sostiene Ernesto De Martino, la
simulazione della realtà attraverso il gioco si tratta di una pantomina ovvero una
simulazione culturalmente organizzato dove c’è l’aggressività sovventrice in quanto il gioco-
rito ha una conclusione prestabilita (la finzione è meglio della realtà). Con questo il popolo
costruiva una sua particolare storia e una propria posizione nella società, distinta da
quella delle classi abbienti. Questo non è uguale per il cricket: indigenizzazione e
decolonizzazione di questo sport “tipicamente inglese”. Appadurai sostiene che il cricket
dà uno spirito cavalleresco, la tenacia il controllo delle emozioni, solidarietà di gruppo,
fedeltà. I giochi possono essere esportati ad esempio il cricket portato dall’Inghilterra
all’India come mezzo per inculcare nei nativi i valori inglesi che esso rappresentava, e usato
come strumento informale della costruzione coloniale. I diversi giochi mettono in evidenza
la varietà delle modalità di relazione tra giochi e costruzione socioculturale in particolare
la classe sociale: i giochi d’azzardo e i giochi di simulazione. I primi si fondano sulla fiducia
che la fortuna è cieca e non tiene conto delle classi sociali, rappresenta uno dei pochi punti
di intersezione tra classi altrimenti separate e la possibilità di passare da un ceto all’altro,
in entrambi i sensi. Nei giochi di simulazione il legame con la società è chiara (si gioca “alla
famiglia”, “ai dottori”, “alla guerra”).
Alcuni autori sostengono che la lotteria e il gioco d’azzardo sia un’illusione e che
quest’ultima deriva da ludus: in-ludere, significa “nel giocare”, “restare dentro il gioco” e
in italiano assume la connotazione di “restarci troppo”, non uscire dalla sua cornice; chi
parla di illusione pensa in genere ad un atteggiamento passivo; però tale atteggiamento
apre proprio attraverso se stesso, attraverso lo stare a questo gioco, il mettersi in gioco,
una possibilità di modificazione del proprio status sociale, l’illusione è, come tutti gli stati
emotivi, culturale.
«Ognuno si illude con modalità e contenuti suoi e del gruppo e come ogni stato emotivo
può stimolare azione sociale».3
Dalle scommesse sui galli e galline si passa alla virtualizzazione che porta performatività
cioè ha effetti, ricadute sulla realtà sociale e quindi considerato costruttivo di realtà sociali:
l’uomo da homo ludens diventa homo game, qui si ha più competizione che partecipazione.
Nella seconda metà degli anni 90’si ha la creazione dei tamagotchi che viene programmato
più come sfida che come pratica di cura: in caso di sbadataggine si ha la morte del soggetto
virtuale. Nei giochi di simulazione il legame con la società è chiara (si gioca “alla famiglia”,
“ai dottori”, “alla guerra”). È interessante inoltre vedere cosa accade presso i bambini
poveri, i quali attraverso questi giochi costruiscono in maniera simbolica un futuro
migliore (si fingono “cantanti” o “sciamani” in modo da poter emigrare in un luogo più
felice, oltre l’oceano). Nella concezione occidentale del gioco invece la religione è un
contesto separato da quello del gioco.
3 Op. cit. p. 92
Michela Barbieri
Nel postmoderno la parola gioco compare molto spesso negli studi sul postmoderno. Dal
punto di vista stilistico il gioco è la cittadinanza nell’estetica postmoderna, ed è un modo
per sfuggire alle costrizioni della realtà. Nella società postmoderna il gioco è sinonimo di
superficialità, di leggerezza in quanto il mondo postmoderno è fatto d’identità provvisorie
e multiple. È un mondo incerto, provvisorio che incoraggia una personalità “liquida”
(termine dovuto al sociologo Zygmunt Bauman). Il gioco soddisfa alcune caratteristiche del
postmoderno e Caillois sintetizza delle riflessioni sul gioco: attività libera, separata, incerta,
improduttiva, regolata e fittizia. La nostra società è incerta e quindi ci spinge a cambiare
ruolo con frequenza e ci porta a vivere la nostra vita in molti ambiti separati e diversamente
regolati. Il gioco diventa alternativa della narrazione.
«Quello che ci sta intorno può essere più facilmente spiegato in termini di gioco anziché
come storia»4
Il gioco come nella vita quotidiana cambia il mondo e può anticipare dei cambiamenti. È
espressione della società che lo produce e può anche essere studiato come oggetto
antropologico (BRIAN SUTTON SMITH, 1986= il paese dei balocchi dove studia il modo in
cui i giocattoli e gli strumenti di gioco vengono usati dai bambini ed entrino in senso più
ampio nella società. Inoltre i giocattoli regalati ai bambini da adulti servono per mettersi
la coscienza in pace e guadagnare ore libere. Con la nascita dell’industria del giocattolo
(già nell’800); i giocattoli postmoderni sin adattano alla frammentazione del tempo e degli
spazi, rientrano nei ritagli di tempo del quotidiano (spariscono i giochi che richiedono
tempo e spazio). In seguito si sviluppano i giochi in scatola (puzzle Ravensburger), la
settimana enigmistica e l’affermazione degli sport professionistici. In questo periodo il gioco
diviene prodotto che deve conquistare il mercato, da rinnovarsi, da vendere e comprare;
tutto questo dipende dal mezzo di comunicazione. I giochi del postmoderno diventano
simbolo dell’ubiquità e sono luoghi di incontro occasionale e provvisorio, e non spazio
dedicato al tempo libero. Nel libro di Ermanno Bencivenga Giocare per forza, si sottolinea
come in molte attività ci si allontana in molte maniere dal senso profondo del gioco.
Dice Bencivenga:
«Il gioco è il nostro più prezioso meccanismo adattivo. Svilirlo, mortificarlo, snaturarlo, ci
renderà più stupidi e più deboli»5
«Il gioco è divenuto parassita, ma lo è sempre stato, oggetto perfetto per interpretare i
sintomi della società, per trasformare qualcosa in qualcos’altro»6 7 (p.111)
Il senso del gioco per una comunità è stata studiata da Clifford Geertz, a lui si deve il
concetto di “gioco profondo”. Il concetto di “gioco profondo” entra in crisi (gioco profondo,
esempio: combattimento di galli a Bali, dove il gioco forma modi di dire presi dal
combattimento che diventano argomento di conversazione, s’intreccia con le relazioni
sociali) in quanto l’appartenenza ad un gruppo è sempre provvisoria e fluida. Nascono
comunità che sono frutto dei giochi (vedi videogiochi online, giochi di ruolo, ecc…) dove il
giocatore viene chiamato alla costruzione di una realtà virtuale e indossa una maschera e
si mostra agli altri giocatori solo come un personaggio (avatar).
Michela Barbieri
Nel corso del Novecento, sul gioco, che è stato portato a completa emersione attraverso un
insieme di prospettive disciplinari: dalla psicologia alla sociologia, dall’antropologia alla
pedagogia, dalla storia alla filosofia così via articolate in molteplici profili e sollecitate da
una serie di nuove istanze. E’ un lavoro intrecciato con il potenziamento degli studi sull’età
evolutiva, che si sono focalizzati sull’infanzia vista come età portatrice di attività proprie,
specifiche e fortemente connesse alla ludicità. Questo spiega sia l’attenzione rivolta da
parte dei vari campi delle scienze umane/sociali al gioco, sia la ricerca sempre più
sofisticata che si è organizzata e sviluppata attorno al gioco stesso.
p.111
Da qui emersa una lettura strutturale del gioco, una capacita di tenerlo fermo nell’ambito
della cultura, di leggerlo come un esperienza fondamentale ricorrente,di tutelarne la sua
dimensione pedagogica, di coglierlo nella sua potenzialità formativa. Una lettura
attualissima, che oltrepassa il XX secolo e giunge fino allo scenario attuale, dove i media e
la tecnologizzazione dell’esperienza ludica manipolano l’individuo impoverendo il gioco
stesso, espropriandolo dei suoi connotati basici, depotenziando la sua capacità formativa.
Da almeno un decennio, anche in Italia, per impulso della normativo nazionale e per
iniziativa degli enti locali sono state promosse opportunità per l’infanzia e adolescenza e
sono aumentate le attività strutturate, insieme agli spazi formali e informali dedicati al
loisir dei minori. In particolare, i numerosi progetti e interventi hanno privilegiato azioni
tese a favorire la cultura/pratica del gioco mediante iniziative che si sono concretizzate in
proposte strutturate: organizzazione di spazi urbani e di ambiti di socializzazione come
giardini, piazze, spazi pubblici, centri ricreativi, ludoteche, ludo bus così via. Sono segnali
che, pur nella loro eterogeneità e disseminazione, permettono di guardare ad un rilancio
del gioco, ad una sua ri-fondazione concreta e organizzativa collegata il più possibile con
la quota che proviene dai contributi teorici che il Novecento ci ha consegnato.
Perché il Novecento è stato così fertile di teorie sul gioco anche sull’ambito della ricerca
educativa: si pensi agli studi sul nesso tra gioco e civiltà, sulla civiltà letta/interpretata
come convenzione e come gioco, sul gioco osservato come elemento”creatore della cultura”
guidato dalla sua “immanenza” storico-culturale, sull’estensione semantica del gioco, sulle
varie forme della ludicità(arte, poesia, ritualità, sapere, fantasia, creativa, esplorazione,
sperimentazione, immaginazione così via). Ma si pensi anche alle ricerche sul rapporto tra
gioco ed età infantile/adolescenziale, sul ruolo sviluppato da gioco per lo sviluppo
cognitivo/meta cognitivo, mentale/affettivo, personale/relazionale, sul gioco come
simulazione, immaginazione, paradossalità e “apertura al mondo”, sul gioco come “attività
combinatoria” per la soluzione dei problemi, su su fino alla recente “tecnologizzazione” del
gioco accostata alla “scomparsa dell’infanzia”, all’attuale depotenziamento della capacità
formativa del gioco e alla necessità di pensare criticamente il gioco e di rilanciarlo per
recuperare alcune forme ludiche, come il gioco fantastico, narrativo, libero, di esplorazione,
di gruppo così via.
Johan Huizinga (nato a Groninga nel1872 e deceduto a De Steeg nel 1945)si avvale di una
formazione culturale poliedrica. Una prima fase delle sue ricerche è dedicata,
prevalentemente, al tema della formazione della coscienza nazionale olandese. Il studioso,
arriva ad una sistemazione e ad una spiegazione di molti aspetti della vita culturale di
un’epoca secondo modello storicografico che privilegia il modo di pensare rispetto alla
storia politica e militare. Un metodo d’indagine che si fonda su uno stretto rapporto con le
acquisizioni dell’antropologia, della filosofia, e della psicologia del profondo. La sua
metodologia storiografica, contro ogni illusione positivista, intende l’attività dello storico
come ricostruzione intuitiva dello “stile di vita” di un’epoca, in quanto presupposto che
rende comprensibili le varie manifestazioni dell’epoca storica: arte, religione, filosofia, vita
quotidiana così via. Infatti, in tutti i suoi studi Huizinga guarda ad una storia della cultura
come storia delle forme di civiltà.
La sua riflessione trova espressione in uno dei suoi volumi più famosi, Homo ludens (1983).
In questa opera storico, filosofica e antropologica, Huizinga sviluppa una teoria del
rapporto tra gioco, festa e cultura e propone un’idea di civiltà come convenzione e come
gioco. In altri termini, Huizinga introduce un’idea di cultura come complesso di fenomeni
sociali utilizzando l”invariante” storico-culturale del gioco. Secondo lo storico olandese
tutti sappiamo che cosa è il gioco, ma con un’analisi elegantissima egli scopre nella nozione
di gioco degli elementi che l’uomo sperimenta senza rendersene conto: serietà, solennità,
ordine, delimitazione spazio-temporale, così via. Cosi egli dimostra che questi
elementi/fattori intervengono non solo alla base delle forme competitive come la guerra,
ma anche delle più alte manifestazioni di vita: ritualità, cultura, sapere, giustizia, poesia
così via. Secondo Huizinga dobbiamo giungere a riconoscere che ogni azione umana appare
come un gioco, poiché la civiltà sorge e si sviluppo nel gioco, come manifestazione umana
sub specie ludi. In altre termine , si tratta di integrare il concetto di gioco con quello di
cultura: il gioco è un fenomeno culturale ed è trattato coi mezzi della biologia, della
sociologia, dell’antropologia, della storia, della psicologia della stessa filosofia. Ovvero, il
gioco è per l’uomo/umanità un “concetto primario” è una “funzione piena di senso” che
mostra la sua “grandezza culturale” poiché è un “fatto dello spirito” che sta dentro la civiltà
e la sua evoluzione/trasformazione.
Gregory Bateson (nato a Granchester nel 1904 e morto a san Francisco nel 1980)
inizialmente studia scienza naturali e antropologia. In seguito si occupa di psichiatria e
diviene l’ispiratore e l’animatore della “Scuola di Palo Alto” formulando la teoria del “doppio
legame” (che spiega la frequente incongruità/contraddizione tra la comunicazione affettiva
e quella pronunciata verbalmente). Si dedica, infatti, a studi e ricerche sulla
comunicazione. tra i suoi interessi c’è anche il gioco.
Bateson mostra come il gioco corrisponda ad una specie emozione, che viene “radiografata”
attraverso la fantasia. In The Messege “This Is Play” (1956) si possono trarre alcune ipotesi
sugli scopi individuali e sociali attivati dal gioco (come suggerisce anche la lingua inglese
“play” ha un significato diverso da “game”, gioco come insieme di regole, e “to play” vuol
dire, oltre che “giocare” anche “suonare” e “recitare”). A partire da questo assunto, Bateson
sviluppa la teoria del gioco insieme a quella fantasia, interrogandosi sulla natura profonda
di tutto ciò che è simulazione e immaginazione, riconoscendovi un tratto comune di
paradossalità. L’asserzione “questo è un gioco” mostra che tutti gli animali, essendo capaci
di giocare, sono anche capaci di comunicare, nel in cui fanno gesti stanno utilizzando
segnali meta comunicativi. Esempi di giochi fra animali sono mordicchiare amichevole del
cane o il gioco minaccioso e non aggressivo che si trova fra i gatti, le scimmie e alcuni
cuccioli. Analizzando la struttura del “morso amichevole”, vediamo la natura doppiamente
paradossale del gioco, dato che questo gesto non è aggressione e non è un morso. In questo
senso il gioco il messaggio “questo è gioco” è tipicamente meta comunicativo perché
propone la “cornice” che permetterà la comprensione dei messaggi in essa racchiusi; tale
aspetto è per definizione paradossale (in quanto insieme di tutti gli elementi che non sono
quello che sembrano). Possiamo provare a descrivere il gioco come un specie di emozione,
che coinvolge relazione fisiche specifiche e percepibili, come il divertimento ola catarsi.
Inoltre, possiamo notare alcune affinità superficiali “di sintassi”, non si può mai dire a
qualcuno “gioca!” o “ridi!”, così come non si può dire “piangi!” o “senti in colpa!”, nemmeno
a noi stessi; una tale comunicazione non può avvenire se non meta-comunicando. Come
nota Bateson, il gioco può essere sicuramente un’attività terapeutica(così come anche, ora
e da sempre, l’arte, il rituale, il sogno così via) ma un’attività impossibile da prescriversi in
termini imperativi o autoritari.
Eugen Fink (nato a Konstanz nel 1905 e morto a Freiburg nel 1975) è stato allievo di
Husser e di Heidegger e uno dei maggiori esponenti dei movimento fenomenologico.
Nel suo opere, tre elementi da recuperati in un rinnovato pensiero(non più metafisico) del
mondo. L’opere di Fink mira ad un’inclusione del campo delle emozioni all’interno del
discorso filosofico. Nelle l’opere ha esplicitato su fenomeni dell’esistenza come il gioco, il
conflitto, il mito o la gioia, si scrive nel più ampio quadro delle applicazioni del discorso
fenomenologico e presenta come un punto di partenza per riflessioni che possono spaziare
dalla filosofia alla poesia, dall’arte alla religione. Nel sue opere Spiel als Weltsymbol del
1960, la tesi di Fink è che il fenomeno umano del gioco acquista un significato universale,
una “trasparenza cosmica” e che sia il gioco sia il mondo si prestano ad essere chiariti
l’uno alla luce dell’altro, cioè che il gioco umano possa venire assunto come simbolo del
gioco cosmico. Nel gioco come in altre condotte fondamentali, quali il lavoro, la lotta,
l’amore- l’uomo realizza la sua fondamentale apertura al mondo. questo viene
caratterizzato dalla totale gratuità, dall’irrealtà, da senso di gioia per il sensibile, in cui
viene sperimentato il “piacere dell’apparenza”. Il gioco come “simbolo del mondo” del suo
essere senza fondamento, scopo, senso, progetto, ma insieme del suo tenere aperti gli spazi
e tempi per l’essere delle cose, il quale ha una ragione e un fine, è ricco di significato e di
valore.
Les jeux et les hommes (del 1958), l’unico tentativo di fornire una teoria sistematica dei
giochi. Accogliendo le testi fondamentali di Huizinga, Caillois sviluppa prima di tutto
un’analisi che permette di determinare, per contrapposizione al resto della realtà, gli ambiti
entro cui è possibile definire il gioco. Per Caillois il gioco , corrisponde ad un’attività con
molteplici caratteristiche: libera (un giocatore non può essere obbligato); separata (ha dei
limiti di spazio e di tempo): incerta (il svolgimento e il risultato non possono essere
conosciuti in anticipo); improduttiva (non crea i beni o ricchezza, salvo un spostamento di
proprietà nella cerchia dei giocatori d’azzardo); regolata(risponde al regole proprie che
sospendono momentaneamente le leggi ordinarie); fittizia (il giocatore è consapevole delle
differenze rispetto la vita normale).
Caillois ha classifichi i giochi ; una sorta di indagine sugli “universali ludici”, suddivisione
in quattro categorie fondamentali:
2. Alea (dal latino:”gioco di dadi”). Sono i giochi dove il destino (o il caso se si preferisce) è
il solo artefice della vittoria (i dadi, le lotterie). Il giocatore non può che aspettare il verdetto
della sorte, nessun qualità o impegno può aiutarlo.
4. Ilinx (dal greco:”vortice”, “gorgo”). I giochi in cui si crea di ottenere la vertigine, perdendo
per un attimo la stabilità e la lucidità e accedendo a un momentaneo stato di trance o
smarrimento percettivo.
Caillois, segnala anche l’esistenza di una” vertigine di ordine morale” riscontrabile in alcuni
giochi che improvvisamente possono degenerare in una rissa disordinata. Naturalmente,
molti giochi possono essere combinate in percentuali variabili, di due o più categorie, ad
esempio il gioco di l’agon potrebbe combinati insieme con il gioco dell’ alea.
Caillois analizza anche la funzione delle “potenze” o “modi di giocare”. Sono la paidia e il
ludus. Il gioco è nella paidia quando è ancora “potenza primaria d’improvvisazione e
spensieratezza” quando è ancora esigenza incontrollata di distrazione e fantasia (il chiasso
dei bambini in un cortile), questa esigenza generica ma potente, di giocare comincia ad
organizzarsi- cioè porsi degli obiettivi e delle regole, qui interviene il ludus. Si può dire che
il ludus appare come il “complemento” della paidia che disciplina e arricchisce il gioco.
Jerome Seymour Bruner (nato a New York nel 1915, viventte). In Play(l’opera dedicate al
gioco, pubblicato nel 1976 insieme a Alison Jolly e Kathy Sylva) Bruner evidenza la
caratteristica principale del gioco, la sua vera sostanza: il prevalere dei mezzi sui fini. Esso
descrive il bambino che gioca con un oggetto, un tazza, adattandolo ad una varietà di
programmi di azioni: la porta alle labbra, la lancia sul tavolo , la fa cadere. Da questa
caratteristica deriva al gioco l’essere un esercizio che consiste nel collegare segmenti di
comportamento (o mezzi) derivati da modi non propri del gioco in sequenze inusuali. Per
lo studioso, la seconda caratteristica del gioco, che consegue direttamente alla prima, è la
riduzione del rischio d’insuccesso, poiché i comportamenti nell’ambito del gioco sono
spesso derivati da sequenze che non sono proprie del gioco. Una terza caratteristica del
gioco, secondo Bruner, è la sospensione temporanea della frustrazione che esso offre a chi
lo pratica. Poiché il procedimento ha la preminenza sul risultato, un ostacolo, che sarebbe
d’intralcio se venisse incontrato ne corso della soluzione di un problema, durante il gioco
viene affronto con serenità e perfino con allegria. Il gioco offre anche altro tipo di libertà,
cioè un atteggiamento di disponibilità nei confronti del mondo che lo circonda. Una quarta
caratteristica del gioco, è il suo invito alle possibilità inerenti alle cose e agli avvenimenti.
La quinta caratteristica del gioco è alla base di tutte le altri è la sua natura volontaria. Chi
gioca è libero da minacce ambientali e da necessità urgenti.
Il frutti del gioco , sia le persone sia animale che giocano con oggetti e con azioni:
acquistano abilità nel connettere tra loro in modi insoliti, la natura ha basso rischio del
gioco, gli consente di fare esperimenti e riduce la frustrazione. Dal gioco, i bambini
imparano progressivamente il meccanismi di risolvere delle problemi posti dall’usi delle
materie del giochi.
Nel 1979 il filosofo Jean-Franҫois Lyotard (nato a Paris nel 1924 e moto a Paris nel 1998)
pubblica un “rapporto sul sapere” attraverso il quale avrà un successo planetario. L’autore
analizza gli aspetti che caratterizzano la cultura contemporanea, l’età postmoderna.
Lyotard è contrassegnata dal venir meno della legittimazione di livelli diversi d’esistenza e
dall’emergere di una molteplicità di linguaggi irriducibili tra loro. Attraverso la sua teoria
in cui introduce il problema, in seguito illuminato da altri studiosi, della “disseminazione”
etico-valoriale e del “disincanto” nella società contemporanea, come pure della presenza di
quella “cultura narcisismo” e della tecnologia che contraddistingue il nostro tempo.
Su questi fronti deve entrare in gioco una educazione ai media, la media education può
assumere un ruolo pedagogicamente centrale in questa fase, proprio per recupero/rilancio
di una ludicità dal volto umano e, dunque, autenticamente formativa. Naturalmente,
l’alfabetizzazione digitale deve iniziare con alcune conoscenze basilari, questo è una sfida
significativo per gli educatori; ad esempio i bambini devono imparare a trovare e
selezionare i materiali, usare i browser,gli hyperlink e i motori di ricerca, conoscere le
misure di sicurezza che emergono come fondamentali nel dibattito pubblico su questo
argomento, l’importanza della filosofia dell’educazione che alimenta una riflessione
rigorosa, critica e antidogmatica rispetto alle nuove tecnologie e alla ragione informatica.
Una riflessività che coordini e ispiri le professionalità formative(genitori, educatori ecc) per
non guardare soltanto ai mezzi(le strutture, le tecniche, i contenitori ecc), ma anche ai
fini(l’articolazione, gli obiettivi, i contenuti ecc) che governano tali strumenti. Questo
riporta nel tema di axiologia in discorso formativo che altrimenti rischia di perdere la quota
di riflessività pedagogica e divenire meramente applicativo ed esecutivo. Le capacità in cui
i bambini devono disporre in relazione ai media digitali non sono limitate a quelle di
reperimento delle informazioni. L’alfabetizzazione ai media implica tanto il sapere “
produrre “ i media quanto il saperli “leggere” questo è la sfida nella tecnologia digitale sia
per i bambini che educatori.
Joy Agbetosa
Calvino inserisce fra gli luoghi che Marco Polo descrive a Kubali Kan; Ottavia come la città
sottile in cui i buoni giocatori sano che “più tanto la corda non regge” cioè che un gioco
sono sospesi fra due picchi scoscesi( cioè tra la realtà e fantasia) che devo tengono
costantemente in equilibrio fra questi poli di relazione con altri persone o personaggi. Il
senso della realtà che li circonda e non sano rischiare più di tanto né con le cose né con le
persone. Ed avvertono, nello stesso tempo, la possibilità di essere sganciati dal tempo e
dallo spazio, dando vita anche a imprese impossibili, improbabili, irreali. Perché
camminando sulle corde sospese(che si muovono a seconda del speso o del movimento di
chi le percorre) richiede destrezza e competenza, richiede la consapevolezza di essere in un
luogo protetto e nello stesso tempo rischioso. Proprio questa consapevolezza ambivalente,
ci dice Calvino, che fa di Ottavia una città sicura.
Il gioco è stato descritto da molti come un luogo sicuro, uno spazio ‘altro’, distanziato, dove
le cose ‘reali’ vengono messa a distanza, almeno per il tempo che ci si trova dentro gioco
con le regole vigente che sono diversi da quelle quotidiane. Più che giocare in un spazio e
in tempo separato il giocatore si comporta come se stesse sulle linee di demarcazione di
quel luogo ludico o sui suoi bordi, stare in linea, e per di più su una linea instabile ( il piedi
fuori come chiedi l’aiuto di un adulto, o all’interno come quando si coinvolge emotivamente)
in gioco, mantenersi in equilibrio sulle funi di questa città invisibile chiamata gioco,
richiede un impegno effettivi(cognitivo, affettivo, relazionale) e richiede la contemporanea
consapevolezza che si è sostenuti da tutti e due gli speroni di roccia (il fantastico e il reale),
contemporaneamente. Il gioco è contemporaneamente reale e immaginario, vero e falso,
dentro e fuori. Il gioco è un costante ‘come se’, anche quando non lo si riconosce come
gioco simbolico, gioco drammatico, gioco teatrale.”le domain du jeu est le paradis du comme
si” ha detto Claparéde8
Nel rielaborare il reale, nel giocare, il bambino compie un atto interpretativo, ermeneutico,
elaborativo e nel fare questo, immette quei valori, quei regole sociali, quegli apprezzamenti
o quelle negazioni che avrà imparato a leggere dagli adulti sono elementi simbolico “come
se”. Il bambino interpreta il mondo e logica; il gioco stesso diventa interprete del mondo
perché mescola diversi piani di esigenze e di stimolazioni e va ad influenzare altri
comportamenti, altre costruzioni cognitive9 (Fink)
Essere ‘come se ’ è sapere che si è come se si fosse( trovarsi dentro una fantasia) al tempo
come si è ( dentro la realtà di noi stessi) insomma è un bel paradosso. Il gioco è un
paradosso elevato a potenza in cu serie di paradossi si intrecciano l’uno all’altro.
Il primo livello di paradosso come lo spiega Bateson quando descrive le due scimmie che
giocano a fare la lotta. Le loro azioni nelle quali impegnate non denotano ciò che
denoterebbero quelle azioni che esse rappresentano cioè le azione di un bambino che gioca
seguono una logica illogica, una logica ‘altra’, un logica che non si muove con i meccanismi
del ragionare attraverso operazioni, classificazioni, negazioni, esclusioni. La logica di gioco
è una logica creativa. Il gioco è un atto bisoassociato(bisociation) nel quale una percezione
8 Anche Vygotskij sottolinea la ‘naturalità’ del gioco come gioco simbolico:” A me sembra che si
potrebbe proporre l’inesistenza del gioco senza regole e senza un particolare atteggiamento del
bambino nei confronti di esse… Io credo che ogniqualvolta si presenta una situazione immaginaria,
vi siano anche delle regole. Non regole che sono formulato in anticipo e che mutano nel corso del
gioco, ma regole che derivano dalla situazione immaginaria stessa. Perciò immaginare che un
bambino si comporti in una situazione immaginaria senza regole, come cioè si comporta in una
situazione reale, è semplicemente impossibile. Se una bambina gioca al ruolo della madre, ella deve
aver presenti le regole del comportamento materno. Il ruolo che il bambino svolge, il suo rapporto
con l’oggetto se l’oggetto ha mutato il proprio significato, deriveranno sempre dalle regole, cioè la
situazione immaginaria conterà sempre delle regole. Nel gioco il bambino è libero. Ma si tratta di
una “libertà illusoria” (Vygotskij L.S.(1981), il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino, in
Bruner J.S. et alii, Il gioco, vol IV, Armando, Roma, pp 662-663)
9 Il filosofo Eugen Fink ha soottolineato come il gioco non rappresenti solo un atto della quotidianità,
bensi un mezzo per comprendere il mondo. Il gioco non va posto “solo accanto agli altri fenomeni
della vita, ma … sta di fronte ad essi, per raccoglierli in sé rappresentandoli. Noi giochiamo la
serietà, giochiamo la vita e la morte. E giochiamo ancora perfino il gioco” Fink E., Oasi della gioia.
Idee per ontologia dei gioco, Eumma, Salerno,1969 (1957), p. 24. Il” tutto universale” si trova riflesso
in gioco. L’ambiguità “enigmatica” del ludico rappresenta per Fink “un’oasi della gioia”, di fronte
all’invasione di modelli culturali troppo razionali del mondo, il gioco diventa un rifugio dove vive “un
presente quietato” che permette all’uomo di essere disponibile per aprirsi al cosmo e ai significati
dell’esistenza.
, un’azione o una idea si possono inserire in due schemi di riferimento coerenti ma anche
incompatibili fra loro.
2. Il gioco a dondolo
Il giocatore viaggiante che si avventura lungo la coda ‘sottile’ che unisce le sponde del reale
e dell’immaginario, incontra non solo paradossi ludici, ma si trova a doversi districare
anche all’interno di un altro binomio che accompagna il gioco, il binomio serio/faceto,
ovvero utile/futile, o anche come si usava dire nelle scienze pedagogiche fino qualche
tempo fa – lavoro/gioco. E’ un binomio che noi troviamo difficile da superare anche perché
nella lingua italiana il termine gioco unisce sia il senso di ludus (indica il gioco più
complesse, più sociali dell’antiche romani) sia quello di iocus(latino significa scherzo,
divertimento ilare, spiritosaggine, impertinenza verbale che veniva usata per ottenere un
risus da parte dell’ascoltatore).
Pensiamo al gioco come un viaggio, come un’avventura che al tour turistico, un avventura
come un elemento fondate l’imprevedibilità e l’incertezza. Nel momento in cui ci si mette in
condizione di giocare veramente, non si può evitare l’oscillazione della corda che dondola
fra reale e non reale, fra conosciuto e non conosciuto, fra certo e incerto. Che nel gioco vi
siano regole esplicite o implicite, che vi siano o meno altri giocatori, che si usino oggetti di
un tipo o di un altro, poco conta. Il gioco non si può ripetere mai uguale e se stesso o nella
stesso sequenza, perché sono legate a un viaggio interiore, cioè dialogo continuamente con
proprio capacità o incompetenze , alla paura di perdere o ai desiderio di prevalere alla
sfida con se stessa o mettere in misura con gli altri.
Il gioco si basa sull’Agon(cioè campo di battaglia) in cui cercano di essere in parità con
condizioni che regolano i giocatori. L’Agon è un competizione fra cui ci sono un vincitore e
un sconfitto, il gioco prevede di essere giocato nello spazio e nel tempo preavvisato, che un
ideale per un confronto tra le squadra. Nella ricerca assoluta parità, i giochi sportivi di oggi
si trovano a dover negare l’avventura , la incertezza, il dondolo fra il certo e l’incerto,
l’oscillazione fra il reale e il non. La standardizzazione e omogeneizzato dei tempi , luoghi,
dei perfomance fa diventare un luogo delle illusioni, non in senso etimologico del termine
(in-ludere, cioè entrare in gioco) ma nel senso letterale (in-ludere cioè prendersi gioco).
L’illusione definitoria è legata all’idea di performance che a sua volta connessa a due altri
concetti: a) avere un limite da superare, b) dare un conclusione al gioco.
La performance costringe il gioco entro una regolamentazione stratta esempio tira alla
corda
L’illusione egualitaria è quella che costringe il gioco motorio entro regolamentazioni che
divengono sempre più minuziose, alla ricerca del superamento di ogni possibile disparità
fra i giocatori (differenze di peso, sesso, di età ecc) questa spinta è il fatto che tutti giochi
occidentali di oggi sono simmetrici.
L’esempio delle illusioni che attraversano i giochi sportivi ci sembra mostri con evidenza
come non sia pedagogicamente e umanamente utile costringere il gioco giocato in una
dimensione astratta, innaturale, atemporale. Occorre che il gioco mantenga la sua ‘natura’
ambivalente e oscillante, perché possono essere utilizzati gli aspetti propri attività ludica,
che riguarda il benessere della persona, la sua capacità di interesse rapporti con gli altri
con tutta la sua leggerezza pensosa come insegnamento che vengono da Calvino.
Il gioco è una cosa seria a stesso tempo ha la natura di leggerezza binomio perfetta.
Una carta di identità di un gioco può essere fatta secondo modalità di somiglianza generica
o attraversa o l’analisi dei sistemi di interazione che le regole del gioco preso in
considerazione possono mettere in movimento. E’ il corpo delle regole che mette in gioco le
regole del corpo. Il corpo delle regole suscita una organizzazione finalizzata delle azioni
motorie la cui coerenza interna può essere rappresenta con modelli operatori che
rappresentano le strutture di base dell’andamento del gioco. Questo modelli chiamati
universali e rappresentano le diverse strutture di ogni logica del singolo gioco.
Come sono stati evidenziate nelle precedente, che i giochi contengono regole di
comportamento, di modalità di relazionale, i costumi sociali, scelte etiche, modelli di azione
che mettono in movimento meccanismi legati al prestigio, all’onore, al coraggio, alla
sicurezza sé ecc.
I giochi giocati mostra molto di più di quanto può apparire ad uno sguardo concentrato
sull’osservazione comportamentale della persona che gioca. Ci sono giochi moderni che
hanno strutture interessanti che permettono di recitare una maschera di finzione come in
Loup- Garous o di sfidare la prontezza (Speed) o l’intelligenza combinatoria (Set), giochi
che sviluppano atteggiamenti creativi, giochi che orientano e che disorientano, giochi
umoristici o narrativi così via. Questi varietà di giochi non mancano ad oggi, ma la
competenza per riconoscere gli aspetti specifici dei giochi e la capacità di leggere gli
elementi della logica interna di ogni singolo gioco. E’ questa competenza che può affinare
la capacità di proporli in situazioni differenziate e stimolanti. Anche la competenza di saper
costruire un contesto che possa favorire nei giocatori l’immersione in modelli ludici
culturalmente dissonanti, con le regole strutturalmente dissimili da quelle usuali.
“I giochi sono attività che costruiscono mondi” scrive Goffman. Le regole che definiscono
un gioco solo in parte funzionali allo svolgimento del game .
-perché alcune regole provengono dal contesto sociale e si infiltrano dentro le regole del
gioco.
Le regole sono sempre presente quando c’è un gioco anche quando gioco in solitario.
Vygotskij proponga “l’inesistenza del gioco senza regole”, sappiamo che gioca solo non perdi
mai perché le regole lo aggiusta da sola. Nei giochi di tradizione infantile, le regole sono i
giocatori e parte del gioco viene dedicato alle discussioni in modo vivaci sulle regole. In
questo senso si capisce perché i giochi sportivi interessantissimi come Le barriere. Le
barriere sono in arbitrabili e incomprensibili per gli spettatori. Sono chi gioca capisce cosa
stia avvenendo e solo chi gioca fa arbitro degli eventi, complessi, che avvengono durante
la partita.
• https://www.youtube.com/watch?v=SFWhjqFkVEg
• Per educare questi ragazzi serve la capacità di unire la mente e il corpo insieme
attraverso il gioco per trovare un equilibro di tirare fuori le tesori che hanno dentro
come ha fatto Clément Mathieu, insegnante di musica , disoccupato e ammareggiato
che viene assunto come sorvegliante dell’Istituto del Fondo de l’etang (Fondo dello
stagno).
• Alla fine di concetto les Choristes, i ragazzi sono diventati un modello da seguire a
loro epoca, hanno aggiunto valori-etica nel loro istituto.
Joy Agbetosa
Premesso che il ludus significa spontaneità giocosa (come afferma Caillois) perciò come
calcolo, pazienza e vittoria sugli ostacoli, dal punto di vista sociologico, il ludus e il gioco
hanno carattere universale (globale, uniforme) in quanto rappresentano la pura forma
(struttura) più elevata e raffinata della reciprocità individuale e della coesione sociale.
Nel 1917 Simmel analizzando Forme e giochi di società le relazioni che si stabiliscono tra
individuo e società precisa che la soggettività assume varie differenze (intellettuali,
sensibili, di comportamento) che ogni individuo ne è portatore mentre la società genera
uguaglianza come ad esempio la cultura di appartenenza e le tradizioni.
Il concetto di società in chiave sociologica deve essere studiata nei particolari contenuti
che le società hanno subìto nel tempo, nello spazio in tutte le sue dimensioni unitarie che
secondo Simmel sono: la reciprocità, la compartecipazione, il comune sentire come senso di
appartenenza e di partecipazione consapevole ad aspettative comuni, termini che lo stesso
autore li definisce "socievolezza" intesa come superiore esistenza sociale, razionalità
significativa e simbolica sotto un'unica forma dove si dà regole e obiettivi propri, autonomi
e autosufficienti.
Secondo Caillois il gioco ha scopi e funzioni incompatibili con la quotidianità.
Sara Montagnani
1 Labirinti
Tra le molte interpretazioni date ai labirinti ricordiamo quello di Santarcangeli che si
richiama al suffisso -inda per definire i giochi dei bambini.
L'etimologia(la disciplina che studia le origini e la derivazione delle parole di una lingua)
restituisce il labirinto all'enigma (discorso oscuro) della narrazione, alla creazione di un
mondo artificiale che si affianca al mondo naturale.
Il labirinto è un luogo di ostacoli e di smarrimenti; è un'apparenza che crea una rete di
inganni e di illusioni. Il labirinto appartiene all'ordine dei mondi possibili che sono
creazioni dell'intelletto umano, e può avere una forma (muri, stanze, corridoi) o no (dubbi,
indecisioni, scelte).
Il labirinto nella metafora di Borges è una condizione mentale, il punto di incontro di
nozioni quali realtà, virtualità e illusione.
2 Reale e virtuale
La fantasmagoria di Ligeja viene descirtta da Poe in un racconto emozionante in cui la
volontà di esistere riesce a ingannare la Morte e a trionfare su di essa.
Si tratta di una metamorfosi, effetto ottico diffuso nel XVII-XVIII secolo che permette di
realizzare delle immagini che cambiano muovendosi verso o intorno ad esse.
All'inganno dei sensi, al fine di dare una rappresentazione verosimile del mondo si
sostituisce l'invenzione di un mondo inverosimile al quale i sensi attribuiscono
un'apparenza della realtà.
L'anamorfosi presenta alcune caratteristiche: rivela esplicitamente il suo artificio; per
manifestare il suo soggetto, richiede una partecipazione attiva dell'osservatore; è una delle
anticipazioni più esplicite della "realtà virtuale" contemporanea, è più di una
rappresentazione perché richiede l'impegno del corpo e delle sue facoltà percettive. E' una
tecnica interattiva che invita l'osservatore a farsi attore e a risolvere l'enigma sperando la
soglia ingannevole della rappresentazione per accedere volontariamente all'inganno della
simulazione.
Il "reale" è associato a ciò che è tangibile, dotato di materialità, dominio del vero; mentre il
"virtuale" appare in una luce illusoria come qualcosa di immateriale ed è connotato al falso.
Negli anni '70 l'IBM introdusse il termine "memoria virtuale" come concetto nell'ambito
della gestione della memoria nei grandi computer (mainframe); questa era uno stato della
memoria di elaborazione (memoria veloce) che utilizzava un artificio per ottimizzare lo
scambio tra di essa e la memoria di conservazione dei dati (memoria lenta).
5 La fiction interattiva
I personal computer muovono i primi passi quando appaiono sul mercato e nascono le
reti informatiche.
Tutto inizia da Adventure di Crowther e Woods, un programma scritto con linguaggio
Fortran a metà anni '70 che si diffuse principalmente nelle università americane su
computer mainframe collegati alla rete Arpanet (rete internet).
La narrazione è generata da un programma in cui il giocatore esercita delle scelte il base
alle opzioni che gli vengono date al termine di ogni "blocco" di testo.
Il vocabolario dell'avventura si chiama "parser"comprende verbi e aggettivi. Attraverso la
costruzione di nuovi giochi si rinnova la grafica ed altri stili.
In Italia la fiction interattiva è stata prodotta introdotta da Colombini e Tovena, con
Avventura nel Castello, primo adventure in italiano pubblicato nel 1982.
The black Cauldron (1987) sostituisce l'interfaccia a input testuale con un set di comandi
da selezionare che anticipano gli sviluppi successivi del "punta-e-clicca" che dagli anni '90
sarà la strada più seguita dagli sviluppatori.
Con l'avvento di computer più sofisticati, le case produttrici puntarono più sulla grafica,
sulla ricostruzione tridimensionale degli ambienti e sul suono.
Sara Montagnani
Infanzia e gioco
(Emma Baumgartner)
Sara Montagnani
4 Conclusioni
Gli elementi che possano caratterizzare una didattica ludica possiamo saperla rispondendo
a 5 domande:
1) Quale tipo di gioco? Tutti tipi di giochi sono utili e interessanti;
2) Come si deve giocare? Il gioco deve avere un senso per chi gioca, Vives diceva che
gli allievi dovrebbero imparare a vincere a perdere con naturalezza;
3) Con chi giocare? Le regole richiedano la necessità di mettere in atto situazioni
ludiche e la seconda è che si deve giocare in poche pesone alla volta;
4) Quale è il momento più adatto per giocare? Se il contesto scolastico riconosce come
"ricreative" le attività legate all'apprendimento, il gioco didattico cade ed il momento
di gioco diventa diffuso in tutto il tempo scolastico;
5) Quanto tempo deve durare il gioco? Se il gioco diventa quotidiano, se le attività
relative alla scuola si sviluppano secondo ritmi e spai che corrispondono alle
esigenze degli individui, allora non c'è un tempo di gioco.
Sara Montagnani
Il gioco accompagna la vita dell'uomo dalla nascita sino alla morte, si gioca con il corpo,
con il linguaggio, con gli altri strumenti ed è in relazione sia con la società sia con la cultura
nella quale si sviluppa.
Poco conosciuta è la storia, lutilizzo e lo sviluppo del giocattolo. Nell'Enciclopedia italiana
redatto da Farné la voce "giocattolo" assume vierie connotazioni, significati, definizioni,
concettualizzazzioni ed elaborazioni teoriche derivanti da più ambiti di studio.
Farné evidenzia il rapporto che lega il binomio gioco/giocattolo, dove il gioco viene
considerato un "campo di attivazione o modalità di interazione che può comprendere l'uso
di giocattoli".
Il ter mine giocattolo si articola attraverso due serie di tipologie di oggetti : una che
comprende gl ioggetti creati appositamente dall'adulto per il gioco infantile: una bambola,
soldatini assumono significati e valori ludici diversi a seconda del campo di relazione, di
regole ed attribuzioni di senso che caratterizzano un certo gioco.
Alla seconda categori appartengono oggetti che divengono giocattoli, ma no sono
orginariamente tali (bottone, molletta..). Entrambi le categorie ci mostrano come il
giocattolo svolga un compito che fa da tramite, intermediazione tra il bambino e il mondo
e come attraverso questo mezzo il bambino e l'adulto esprime emozioni, problemi e stati
d'animo.
I giocattoli svolgono un'azione di tipo omologante e permettono la trasmissione dei ruoli e
delle regole sociali necessarie per vivere e integrarsi nella società. Il giocattolo, come luogo
di riproduzione dei ruoli sociali appare evidente ad esempio quando pensiamo alla divisione
dei giochi per genere sessuale.
4 Riflessioni educative
I giocattoli prodotti in serie, bambole e soldati, non sono mai piaciute a edagogisti ed
educatori. I giochi e giocattoli fanno parte della vita dei bmbini e degli adulti come se essi
rappresentano meglio degli altri oggetti il contesto sociale, l'evoluzione sociale e culturale
e rappresentano valori e modelli he la società tramanda. Dobbiamo riflettere
sull'espropriazione ludica dell'infniza da part edel mercato e delle sue logiche, che ha
portato al giocattolo il conseguente gioco ad essere regolato dall'adulto limitandone
l'inventiva, creatività e la scoperta da parte del bambini. Bartolini ci ricorda che i giocattolo
serve all'adulto per disimpegnarsi da un rapporto col babino vissuto come troppo
defaticante; il giocattolo come baby-sitter.
Sara Montagnani
Gioco e felicità
(Franco Cambi)
Sara Montagnani