Sei sulla pagina 1di 37

IL GIOCO IN OCCIDENTE: STORIE, TEORIE, PRATICHE

Gioco: è il tema centrale del volume e verrà analizzato da un punto di vista diacronico
cioè storico e sincronico cioè contemporaneo.
 Inteso come fenomeno camaleontico
 «Riesce ad insinuarsi in ogni cultura ed in ogni regime, ogni volta cambiando
pelle ed adattandosi al contesto […]. È un fenomeno che cambia sempre e ci
sfugge»1

Occidente: Questo volume prende in considerazione il tema del ludus a partire dalla
società dell’Antica Roma fino ad arrivare ai giorni nostri e quindi alla post-modernità.

Storie, teorie e pratiche: «Il percorso seguito è quello “storico, teorico, pratico”, come
sottolinea il sottotitolo stesso. Percorso che intende, così, fissare il significato attuale
dell’esperienza ludica, fissandola nella sua identità più propria e complessa.»2
Il libro di testo è, appunto, suddiviso in tre capitoli, ognuno dei quali tratta uno di questi
argomenti: nel primo troviamo un approccio storico, nel secondo un approccio teorico e
nel terzo un approccio pratico.

Il volume è frutto di una curatela e quindi l’argomento del gioco viene trattato
multidisciplinarmente. Alcune di queste discipline sono: antropologia, filosofia, storia,
sociologia, ecc…

I. PER UNA STORIA DEL GIOCO

Dimensione ludica nella società Romana antica


(Rosella Frasca)

Ludus = singolare di LUDI, riferimento ai giochi e agli spettacoli che si tenevano nell’antica
Roma.

- Ludus come gioco sociale

Il ludus va oltre l’ambito del gioco infantile e quello dell’istruzione: esso fu un apprendistato
sociale.
Il ludus produceva e sperimentava l’ambizione sociale nella sua forma civica.
Il ludus segnava e insegnava anche il senso del rango.
Per molti anni della storia di Roma, il ludus era usato come dispositivo pedagogico
all’interno della famiglia.

Il ludus appare quindi il luogo e lo strumento di legame tra la trasmissione di teorizzazioni


e la loro messa in atto. Esso è il modello di riferimento e la palestra di esercitazione di
regole socialmente codificate e condivise.

Le regole erano insegnate, apprese ed esercitate nel ludus. Questo quindi diventava un
regolatore di arti e, attraverso queste, diventava il gioco stesso un’arte.

Quindi, credere che il ludus sia semplicemente un’azione diretta al divertimento, è


riduttivo.

1 (A cura di) Cambi F., Staccioli G., Il gioco in Occidente: Storia, teorie, pratiche, dove, casa, anno,
p.9
2 Op. cit., p. 8
- Usi del gioco nelle questioni pubbliche

Riguardavano prevalentemente spettacoli celebrati con rito solenne.


Il ludus si contestualizza in una dimensione liturgica: questo ne esalta la portata,
coinvolgendo tutti i presenti all’evento e quindi diventa lo strumento capace di trasformare
la gente in corpo sociale (nda. tema affrontato anche a lezione quando parlavamo di
relazione tra corpo e politica).

Panem et circenses
LUDI “scaenici ac circenses” si distinguono in categorie: scenici, circensi, venatori ed
atletici.
Nacquero come manifestazione religiosa. I LUDI CIRCENSI erano dedicati al Sole, alla
Luna e ad Ercole, mentre quelli equestri a Conso e Marte.
In seguito, siccome avevano avuto molto successo, venivano fatti per qualsiasi tipo di
attività pubblica, come matrimoni, vittorie militari, nascite, morti, ecc.
Con l’aumentare dell’interesse del popolo, oltre che aumentare le occasioni in cui venivano
fatte, aumentavano anche di numero, sfarzo, ricchezza e varietà di specialità.
La posizione di spicco che i ludi avevano nelle occasioni mediatiche si mantenne alta
durante l’età repubblicana e imperiale, ma nel Basso Impero (periodo di declino dell’Impero
Romano, da Costantino alla caduta dell’Impero Romano di Occidente) si assiste al loro
declino.

- Usi nelle questioni private

Dicendo, scribendo, legendo luditur


Le testimonianze maggiori di usi di giochi in queste occasioni, si ritrovano nelle commedie,
soprattutto in quella di Plauto, dove la giocosità dell’impianto teatrale e la comicità delle
situazioni rappresentate si avvalgono anche del gioco verbale.
Qui il ludus viene inteso anche come scherzo e cattiveria. Ma vengono anche coinvolti gli
spettatori che si identificano e si ritrovano con i personaggi in scena e le situazioni che
vivono.

Amando luditur
Per Ovidio, un gioco era anche l’arte di amare. La dimensione ludica dell’amore è
sottolineato nella letteratura come elemento facente parte dell’atteggiamento con cui lo si
vive e delle tecniche necessarie per porlo in atto.

Corpore movendo luditur


Il gioco produce un’alta performance nell’arte dell’espressività motoria. In tali casi il
ludus diviene di volta in volta ars psallendi (arte di suonare), ars saltandi (arte di ballare)
e ars gladiatoria (arte di gladiatura).
La danza viene descritta e giudicata sia valutando i modi e i contesti di esecuzione, sia in
relazione al diletto che provoca in chi la esegue e in chi ne è spettatore. Alcuni esempi di
situazioni socializzanti sono: i balli rituali dei Salii (collegio sacerdotale istituito da Numa
Pompilio), l’austerità marziale della danza pirrica (danza di guerra in armi), la sfrenatezza
del ludus talarius (balli con movenze oscene e scomposte), il ludus troianus (giostra di
giovani cavalieri). Quest’ultimo, soprattutto, assunse un’impronta elitaria molto forte. I
ragazzi che ne prendevano parte, si giocavano il prestigio delle famiglie di appartenenza,
questo lo rendeva un gioco assai serio.
Qui la dimensione ludica si svela nei due aspetti che la caratterizzano di più nell’età
romana: come gioco di ruoli (espressione delle potenzialità e della speranza delle
generazioni nuove) e quello di egemonia e potere con il quale i ragazzi si preparano a
ricoprire nell’immediato futuro. Inoltre, lo vediamo anche come ambito simbolico,
contesto logistico e palestra di assimilazione e rispetto delle regole sociali.
Convivendo luditur
Nel corso delle occasioni conviviali serali, si ricercava sempre un’atmosfera giocosa e gaia,
la quale veniva creata grazie alla conversazione, alla compagnia delle donne di piacere, ai
mimi, ai lettori e lettrici e ai musici. Accanto a questo, aiutavano anche le abbondanti
libagioni.
Il convivio è un agglomerato di svariati giochi, da quelli di osteria a quelli che danno sfogo
alle varie espressioni del genere umano.

Pila luditur
Pila = pallone.
I romani usavano molto giocare a palla, che poteva essere di dimensioni e tipologie diverse
così da poter essere usata per tutte le età e per tutti i generi.
Giocavano in ogni luogo dove era possibile giocare, come le terme, le piazzole, lungo il
Tevere o sotto i porticati. Molti sono infatti i documenti che attestano questi giochi.
Altri giochi documentati erano: l’harpastum (progenitore dell’attuale Rugby): un gioco
violento e polveroso, a cui pare giocassero i soldati negli accampamenti invernali; la pila
paganica preferita dalla popolazione di campagna; il follis adorato da bambini e anziani
in quanto era una palla leggera che poteva essere usata senza troppi sforzi.

Pueri ludant
I genitori non avevano l’abitudine di giocare con i loro figli perché era ritenuta una cosa
disonorevole, quindi, i bambini si ritrovavano a dover giocare con i famigli (persone esterne
alla famiglia ma che ne sono entrate a far parte) oppure con giochi come: astragali,
carrettini, noci, dadi, cavallini di legno e spadini (maschi); bambole, riproduzione di
suppellettili e oggetti relativi alle mansioni domestiche (femmine).
Comunque, i compagni di gioco preferiti da entrambi i sessi erano gli animali domestici.
I bambini giocavano principalmente in casa o negli spazi all’aperto poco distanti, invece i
più grandicelli potevano andare a giocare nelle strade vicine: in questi momenti, anche
giochi e giocattoli definivano l’appartenenza dei bambini, che per le strade erano misti, ai
loro rispettivi status sociali.

- Conclusioni

Con il nome ludus venivano indicati il corso scolastico, la scuola come istituzione e il
locale in cui si svolgeva l’insegnamento.
Però, tra didattica lenta, promiscuità, chiasso, sistemi coercitivi e repressivi violenti,
generalizzante disinteresse e demotivazione, la scuola a Roma era tutt’altro che
divertente.

Debora Balestri

Tra Medioevo e Rinascimento: storia sociale del gioco


(Angela Giallongo)

- Homo faber o ludens?

Johan Huizinga, storico olandese, nel 1938 scrisse un libro intitolato “Homo Ludens” dove
esamina il gioco come fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale. Evidenzia
anche il fatto che pure gli animali giocano, quindi il gioco rappresenta un fattore
preculturale. Da qui l’uomo ludens non è stato più escluso dallo studio del passato.
Qui viene riesaminato anche l’idea del loisir (tempo libero) che era considerata, fino a questi
anni, marginale e complementare rispetto al lavoro e allo studio.

La ferma convinzione della superiorità del dovere sul piacere ha finito per incoraggiare
la contegnosa serietà degli studiosi che non si sono lasciati attrarre dalla storia sfuggente
e indecifrabile del mondo ludico.
L’attenzione degli studiosi dell’ambito storico-educativo è stata rivolta solo verso
determinati periodi storici: età classica, Rinascimento, teorie educative di Locke (1632-
1704) (fermo sostenitore del binomio gioco-istruzione), immaginazione creativa di Schiller
che aveva elevato il gioco a principio motore dell’umanità, l’Ottocento conosciuto anche
come il secolo che si è impadronito del gioco, considerandolo l’impegno principale
dell’infanzia.

Senza l’eredità teorica lasciata da Huizinga e Batchin non si sarebbe recuperato il senso
ludico di alcuni periodi storici.
Grazie all’indagine di Batchin a metà degli anni Sessanta si è scoperto che nella tradizione
popolare medievale e rinascimentale, nelle lunghe settimane di feste carnevalesche, nei
banchetti e nei divertimenti da strada, i valori, le gerarchie sociali e le regole sessuali
venivano sospesi e ribaltati. La partecipazione a questi festeggiamenti, faceva sì che tutte
le persone di tutti i ceti sociali potessero parteciparvi, senza rimanere semplici osservatori,
ma sentendo queste attività mimentiche come vera vita vissuta attraverso il gioco.

- Complessità del concetto di gioco

Quando si parla di gioco ci si trova davanti a un termine che evoca molte idee e concetti
diversi.
Questa incertezza di lucidità, osservava Caillois nel 1958, ha prodotto diverse
problematiche, fino ad avere l’impressione che non ci fosse un oggetto di studio ben
specifico.
Il gioco sembrava condannato dalla sua natura a non produrre nulla se non se stesso.
Queste difficoltà hanno finito per far relegare il gioco nell’ambito della petite histoire, o
almeno, fino a 30 anni fa. Ma adesso si è riscoperto un Medioevo ludico.

- Medioevo ludico

Ricce documentazioni ci mostrano che nobili, ecclesiastici, contadini, borghesi ed artigiani


si divertivano, si dedicavano ai piaceri del corpo e dello spirito con travestimenti, bevute,
canti e balli, si svagavano alle feste liturgiche, accoglievano con esultanza le stagioni,
praticavano per diletto caccia e pesca, festeggiavano vittorie, matrimoni, morti, nascite e
contestavano con le “feste dei folli” l’ordine sociale prestabilito.
In pratica, la civiltà del lavoro conviveva con la civiltà degli svaghi.

Le norme religiose del primo Medioevo cercarono di contenere questa gioia di vita. E questo
ha dato spunto agli studiosi che hanno scoperto come i contadini si divertivano con i dadi
(contavano più sulla fortuna che sulle capacità) e i nobili con gli scacchi e i giochi da
tavolo.
Gli scacchi soprattutto furono accolti con favore dai trattatisti del Cinquecento che
perfezionarono le mosse e rafforzarono lo spirito agonistico.
In questo caso la competizione ludica era funzionale al controllo di sé, ricercato dalle
classi alte.

- Ma ci piaceva giocare…

Con l’avvento del cristianesimo inizia un lungo processo di cambiamento.


Sant’Agostino nelle Confessioni non aveva difficoltà ad ammettere i piaceri che aveva
vissuto nella vita (gioco con noci, palline e pallone praticati a scuola con gli istitutori) ma
rimpiangeva di essersi esaltato alle gare, all’ascolto di storie fantastiche e alla visione degli
spettacoli. Per amore del gioco disubbidiva, trascurava lo studio e invidiava chi vinceva.
L’aver assecondato questi impulsi ludici, costituiva per lui la colpevolezza dell’età bambina
e l’imperfezione della natura umana, la cui inclinazione al gioco nasceva dall’ansia del
male.

Nel quadro dell’Impero Romano in rovina, Girolamo (San Girolamo) legittimava fin dai
primi anni di vita il gioco come mezzo per l’apprendimento però non contemplava i
giochi in comune con l’altro sesso e proibiva alle bambine che sarebbero diventate
monache di partecipare ai divertimenti chiassosi di servitù e delle feste di famiglia.
Conservava il principio di insegnare la lettura e la scrittura con metodi divertenti.

Nella Regola di San Benedetto non compare affatto il termine ludere. Addirittura in alcuni
capitoli si metteva al bando il gioco comune e il riso individuale.
La ricerca del mondo interiore escludeva i piaceri e gli svaghi.

- Giochi della narrazione

Fiorirono nel 13° secolo nuove forme di evasione con lo sviluppo delle lingue volgari, le
quali, a loro volta, fecero fiorire le attività di lettura e ascolto di novelle, romanzi, ballate e
cronache.
Da questo periodo, i laici cominciarono ad apprezzare il fatto di riunirsi tutti assieme per
ascoltare storie, traendo da loro piacere.
Dal 16° secolo i giullari intrattenevano il pubblico analfabeta nelle piazze, raccontando
storie con recite e canti.
La lettura era praticava ovunque.

Anche nella società toscana avveniva questo, ma Francesco da Barberino, esponente della
letteratura educativa urbana, negava questo godimento alle bambine e alle ragazze in
nome della morale.

Don Juan Manuel, esponente della letteratura didattica castigliana, teorizzava che coloro
che non sapevano trarre piacere dai libri, non potevano né apprendere né conoscere: in
quanto precettore di corte (tra i suoi allievi spiccano Ferdinando IV e Alfonso I) utilizzava
la lettura come attività ricreativa che favoriva la crescita intellettuale.
Dal Medioevo, poi, ha inizio un’immensa ondata favolistica che si riversò nei secoli
successivi, assicurando a questo genere letterario un grande successo.

I generi letterari che distraevano il pubblico rinascimentale, furono annunciate dal


Boccaccio nel Decameron (1350 circa).
Il gioco del novellare era lo svago che più di altri salvava la vita, allietando lo stato d’animo
di tutti i partecipanti.

Ma come si divertiva la gente comune?


In Italia, ad esempio, si divertiva con Sacchetti, rappresentante della letteratura
municipale fiorentina. Gli aneddoti, le battute di spirito, le buffe, i motti, gli scherzi sconci,
le irriverenti grossolanità aiutavano i fiorentini a migliorare la loro coscienza etica e civile,
a mantenere in vita le libertà comunali, a ridersela dei soprusi dei ricchi e dei politicanti
guerrafondai, delle prepotenze degli ottusi rappresentanti dell’autorità religiosa e laica.
L’inimitabile gusto toscano per la battuta arguta e mordente affonda dunque le sue radici
nel fertile spirito edonistico dei secoli XXII-XIV.
- Giochi all’aperto

Passatempi aristocratici e virili erano: la giostra, i tornei, l’arco, la balestra, la scherma, la


caccia e le corse con i cavalli.
Ma la più specializzata e aristocratica forma ludica era quella venatoria. Questo svago si
trasformerà poi in strumento di conoscenza della natura.
È nell’ambito delle attività ludiche che troviamo anche un atteggiamento più umano nei
confronti del regno animale.
Conoscenza ed evasione sono due facce della stessa medaglia: l’intrattenimento andava a
braccetto con l’arte e con la scienza.
Di tono opposto è l’altro aspetto ludico della caccia, quello del training bellico, dove i
giovani iniziavano a familiarizzare con le armi.

Nonostante i divieti papali, i tornei diventarono talmente popolari da diffondersi anche nei
piccoli villaggi e, addirittura, i bambini che dalla prima infanzia mostravano un interesse
per la cavalleria e le armi, erano spronati a partecipare ai giochi militari.

Quindi, le partite venatorie e i tornei sono state le attività ludiche più cariche di
significati educativi.

In questa società gerarchizzata, i bambini comuni avevano numerose occasioni di giocare


all’aria aperta, come lanciare pietre, giocare a palle di neve, correre, saltare, giocare a
calcio, fare battaglie fittizie con animali o altri bambini, pescare, ecc… Erano prove virili
nelle quali non servivano equipaggiamenti particolari dove venivano mostrate solo la forza
e le abilità.

- Fra intrattenimenti musicali e danzanti

Il gioco e l’educazione nel Medioevo sarebbero stati inconcepibili senza la musica.


Con il proclama di Carlo Magno del 787, i monasteri rendevano obbligatorio anche lo studio
del canto. I cori angelici nelle Chiese ricordavano ai fedeli la perfezione divina.
Le abilità musicali erano basilari nella formazione religiosa di entrambi i sessi.

In Francia, l’ars nova si sviluppò molto e si diffuse anche nell’Italia settentrionale dove si
perfezionò con la creazione di ballate e madrigali.
In Italia, la musica secolare faceva parte del tessuto della vita. Ad esempio, a Firenze,
durante l’epoca di Lorenzo il Magnifico (1449-1469-Rinascimento), si ascoltavano i canti
carnascialeschi (dei quali il più famoso è senza dubbio la “Canzona di Bacco”, scritta dal
Magnifico stesso, nella quale è contenuta la storia frase “Quant’è bella giovinezza, che si
fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non v’è certezza”) durante la sfilata dei
carri per il carnevale.

La produzione dei tanti strumenti e la presenza dei musici professionisti testimoniano che
la musica faceva parte del quotidiano ed allietava ogni tipo di festeggiamento sia pubblico
che privato.

I medici e gli educatori secolari accoglievano la musica e la danza come passatempi


prettamente femminili, anche se il ballo occupava un posto elevato nella vita sociale del
Medioevo e del Rinascimento.

I balli femminili in cerchio, poi, alludono a un nuovo modello di vita: quella collettiva.
- Il gioco nella teoria medievale umorale

Nel corpo umano, ci sono 4 umori essenziali al funzionamento dell’organismo: sangue,


flemma, bile e bile nera.
Su questo si basa la teoria medica umorale, che insegnava come mantenere la salute e
l’armonia psico-fisica.
Nacquero anche dei regimina cioè delle raccolte letterarie di tipo medico-igienico. La
traduzione di queste, enciclopedie, fu tradotta in volgare per offrire anche alla gente
comune dei precetti igienici. Comunque, chi non poteva permettersi i libri, osservava tre
regole fondamentali: cercare la quiete, mangiare moderatamente e allietare l’animo.

Quindi cosa era utile alla salute? Rendersi la vita gradevole con passeggiate, lotte, bagni,
profumi, canti, gradevoli compagnie e pensieri lieti.

Per la letteratura medica, il gioco era un fenomeno naturale, una sorta di benefico antidoto
agli umori nocivi, un mezzo efficace per lottare contro gli stati negativi dell’animo.

- Concetto di gioco infantile nella letteratura educativa dei secoli XII-XV

Un famoso dipinto del 1560 di Bruegel “I giochi dei fanciulli” presenta molti bambini in
diversi luoghi di un paese, alle prese con diverse attività: piastrelle, maschere, biglie
acchiappino, trampoli, birilli, trottole, ecc...
Il piacere del movimento sembra essere al primo posto, ma è anche evidente il desiderio
di competere con sé stessi e con gli altri, traspare anche il bisogno di immedesimarsi in
altri ruoli e il gusto della creatività. Inoltre, la piazza, la strada e i giardini, senza la
presenza di adulti, sono i luoghi privilegiati dell’aggregazione infantile e della messa in
scena di giochi e passatempi tradizionali

Filippo da Novara accoglieva, nel XIII secolo il gioco come esigenza umana e annotava
coscienziosamente i comportamenti quotidiani e riconoscenza manifestata dai bambini
verso gli adulti che li facevano divertire.

Nel 1256 il medico italiano Aldobrandino da Siena, invocando la teoria umorale, chiedeva
ai genitori e ai precettori di lasciare spazio per il gioco al figlio.

Fra le cure che le balie dovevano assicurare alle famiglie egemoni, rientrava anche quella
della play-worker cioè creare e mantenere degli spazi di gioco per i bambini.

In questo periodo, si intuiva anche che il gioco lasciato a se stesso, senza regole, spingeva
i bambini a comportamenti violenti e che soltanto i giochi ben fatti suscitavano la
competizione positiva.

Su queste basi, si insegnava che chi non sapeva offrire all’infanzia giochi e risa era
responsabile del fallimento dell’educazione.

- Conclusioni

La capillare produzione educativa del XVI secolo ha coagulato il lavoro fatto tra i secoli XIII
e XV, i quali non sono stati estranei ai contributi della cultura orale femminile.
Le donne hanno dato diverse prove di originalità e di humour. Non solo artisti e artigiani
erano grati alle loro spinte creative, ma anche le opere dei trattatisti della letteratura
medica e didattica erano debitrici alle loro sollecitazioni.

Il tema del gioco, negli orizzonti mentali del secolo XIII acquisiva un nuovo significato: era
una preziosa risorsa fin dalla nascita per salvaguardare il corpo,la mente e i legami sociali.
In definitiva, gli esponenti della letteratura didattica, giudicavano l’attività ludica da un
punto di vista naturalistico e riflettevano sul gioco a partire dagli effetti corporei.

Debora Balestri

Il gioco nella modernità: le prassi e le teorie


(Franco Cambi)

- Il Moderno come “svolta”

Si comincia a parlare di Modernità a partire dal XV/XVI secolo.


In quest’epoca troviamo:
La famiglia che si fa sempre più nucleare, ma anche specchio delle regole e dei
conflitti della società.
Crescita della sensibilità verso l’infanzia: viene scoperta nella sua specificità e
coinvolta in un rapporto affettivo che la cura e la sorveglia. Diventa emblema di
futuro e speranza.
La scuola che si ridefinisce secondo i paradigmi del disciplinare e conformare
La letteratura che si apre a nuove forme di espressione
La filosofia che rimette sempre più al centro il soggetto, la sua coscienza e le sue
esperienze

In questo processo socio-politico-culturale si determina anche una mentalità:


scolarizzata, laica, tendenzialmente liberale e democratica.
Nella Modernità troviamo un soggetto cosciente di sé e della propria libertà, più
consapevole della propria unicità.

La ragione si dispone come principio/valore guida in ogni campo al posto della religione.

In questo periodo storico prende corpo la società moderna, che fa emergere la classe
borghese, che apre una dialettica tra popolo ed élite, che si struttura intorno al governo e
alla libertà.

Resta netta, però, la divisione tra l’élite e il popolo e la contrapposizione delle loro culture:
la prima innovativa, della ragione, della scoperta, del rinnovamento e della critica; e la
seconda tradizionalista.

- Vita sociale e pratiche di gioco

Per delineare una storia del gioco nella società moderna bisogna tenere fermi alcuni punti:
che essa è contrassegnata da due società contrapposte e parallele che assieme
producono nuovi spazi di aggregazione sociale e nuove pratiche di ludus e assegnano al
gioco un ruolo sociale fondamentale, favorendo con esso la vita di società (prodotto tipico
del Moderno).

Le feste rinnovano l’aspetto di ludicità.


Le feste del potere valorizzano cortei e carri simbolici ma anche feste di piazza, balli, canti
e giochi collettivi.
Le feste del privato ruotano intorno al ricevere e conversare, accompagnando queste
riunioni con musica e balli.
Tra feste e gioco corre in legame stretto: la festa è di per sé ludica e produce spirito ludico.
La città e i suoi spazi offrono occasioni di ludi festivi.

Ma che giochi troviamo in queste feste?


Quelle rivoluzionarie si inseriscono in un sistema preesistente e la loro ludicità è fatta
ancora di gesti rituali, abbigliamenti simbolici. Il gioco sta nell’apparato,
nell’organizzazione del tempo e dello spazio, nel coordinamento scenico dell’operazione.
Quelle nazionaliste implicano il gioco. Attorno ai monumenti si organizzano parate con la
presenza di gruppi di tiratori, corali e ginnasti che partecipano a tornei e spettacoli.
Nelle campagne le feste religiose e agricole sono le più diffuse, assieme ai giochi d’amore
fatto da canti, stornelli e serenate.

Il Moderno riarticola il gioco, si pensi solo ai giocattoli per bambini. In quest’ottica


vediamo che la strategia seguita è quella di cercare di portare alcuni giochi del mondo
adulto a quello dei bambini, come la palla, i birilli o il cerchio.
Nasce anche un’industria artigianale del giocattolo che si fa protagonista dell’esperienza
infantile.

Un altro aspetto che va considerato del gioco nel Moderno è dar corpo a spazi nuovi per
attività ludiche.
Un esempio sono le buone maniere sono un ludus socialmente produttivo perché produce
socializzazione (anche tra ceti diversi) e civilizzazione. Le buone maniere sono anche
controllo e cura di sé, sono esercizio sperimentale che vigila, impone norme e crea auto-
dominio. Era anche un modello di comportamento.

Poi vengono i luoghi nuovi dove il gioco si articola e si sviluppa.


A corte ad esempio troviamo il gioco sociale del rango. A Versailles, ad esempio, risponde
a una precisa mossa politica. E anche qu il gioco si fa modello di una comunità, con feste,
spettacoli, balli e gite.

Altro spazio ludico-formativo della socializzazione sono i salotti. Lì, in un panorama quasi
tutto al femminile, si matura la civiltà della conversazione. La conversazione si dipana
come gioco verbale e gioco relazionale.

Anche nei caffè e nei club il gioco appare centrale sia come conversazione che come
intrattenimento. Sono spazi di incontro, di scambio di idee, di cerimonie sociali e di gioco
comunitario.

Anche nell’ambiente familiare il gioco viene ad occupare spazi precisi: infatti, nelle case
medio-borghesi era presente la stanza dei giochi dei bambini.
Ma quali giochi si giocano negli ambienti borghesi? C’è il gioco della stessa vita sociale e
ci sono gli intrattenimenti. Intrattenimenti come giochi sociali (nei salotti, ad esempio, il
pezzo forte era il pianoforte). In questi tipi di casa, i libri sono quasi assenti. Nelle stanze
più aperte al pubblico, invece, si fanno giochi di carte, intrattenimento e mascheramenti.

Anche il libro entra a far parte delle attività ludiche, strumento di una speciale cura di sé
che si scandisce attraverso l’atteggiamento di meditazione. La lettura collettiva esalta l’Io
e lo fa entrare nel Grande Gioco della Cultura. Poi c’è, ovviamente, anche la cerimonia
della lettura solitaria o in comune.
Il leggere si fa, con lo sviluppo dell’alfabetizzazione, un gioco fondamentale dell’uomo
moderno e un gioco altamente produttivo.
- Teorie del gioco: approfondimenti

La crescita del gioco è dovuta anche a una rivalutazione culturale del gioco. Nel
Moderno, al gioco viene sempre più riconosciuto un valore formativo. Ma è il Settecento
che fissa la svolta: con la fantasia di Vico e l’educazione estetica di Schiller.

Il gioco fa parte della formazione di ogni ragazzo e di ogni giovane, purchè ludus civilis.

La valorizzazione del gioco tocca il suo apice nell’Illuminismo. Sarà lo Sturm und Drang
con Schiller a rilanciare il gioco come stemma della formazione umana.
Perfino in Kant l’estetico e il ludico trovano spazio come accordo della ragione nei suoi
domini cognitivi e valutati.

Nelle arti il libero sviluppo è dato dal disegno che si fa figura e gioco.

Quindi, possiamo dire che nella Modernità si ha sempre una più alta attenzione al
gioco e al suo tipo di attività, al suo valore intrinseco per l’uomo, per la mente, per la
società e per la cultura.

- Per concludere

La Modernità ha rilanciato il gioco come attività sempre più centrale nella società: lo ha
reso capillarmente presente dentro la vita sociale di tutti e lo ha reso esperienza di tutti i
giorni.

Il gioco va compreso e coltivato: questa è la lectio più alta e profonda del Moderno.

Debora Balestri

La borghesia e i suoi giochi


(Laura Vanni)

La borghesia dell’800 eredita in parte la concezione del gioco delle corti ed in parte da una
nuova concezione di gioco utile, non più come fine a se stesso per vincere la noia, bensì
come pausa ricreativa dopo il lavoro. Il gioco borghese si differenziava da quello
aristocratico in quanto vi era dedicato un intervallo limitato di tempo. Attraverso il gioco
(che non doveva essere sfrenato, né d’azzardo) ci si educava al rispetto delle regole e dei
limiti. Ogni gioco-presentato nei galatei- era accompagnato dalla sua giustificazione
(irrobustimento, mostrare delle proprie capacità, svago necessario al gioco, incontro con
l’altro sesso). Nei salotti borghesi, oltre alle conversazioni, si giocava (giochi da tavola e
giochi di parole, balli, piccole rappresentazioni teatrali). Lo scopo era quello di favorire
incontri tra giovani in età da matrimonio. I giochi erano semplici e con materiale reperibile,
qui si ha il coinvolgimento della corporeità dei giocatori inoltre se il concorrente è
sfortunato si ha la conseguenza di una penitenza. C’erano anche i giochi all’aperto, durante
le villeggiature (tennis, bocce, pallone …). Con Rousseau e poi con Froebel si ha il concetto
della centralità del gioco nella formazione del bambino. Attraverso il gioco avviene
l’assimilazione dei ruoli sociali: bambole per le bambine (apprendimento del ruolo materno)
e soldatini per i bambini (modello di forza e coraggio). Il gioco così, diventa un aspetto da
curare e da investire ed è favorevole alla crescita del fanciullo. Il gioco disciplinato e
regolato nei tempi e nella modalità non ammette capricci e così si vogliono solo bambini
bravi: ENRICHETTO (ragazzo gentile e garbato) è un esempio di un bambino modello da
prendere in considerazione.

“Enrichetto: il più bel gioiello della casa, la più cara consolazione dei genitori, rispettoso
col padre e con la madre, amorevole coi fratelli e colle sorelle non giocava come le torme di
discoli che sui crocicchi delle vie, e sui canti delle piazze in agguato aspettavano altre torme
di non meno discoli appartenenti ad altre scuole per attaccar briga. Enrichetto, pacato e
gentile, sotto lo sguardo vigile dei genitori, si metteva a saltar la funicella o a ballare con
gli altri fanciuletti della sua età sulla piazzola dei giardini pubblici. Divenuto più adulto,
stava raccolto col babbo o colla mamma e con loro si sedeva e gli sanguinava il cuore
quando vedeva qualche gruppo di bravacci cacciarsi in mezzo a quelle semplici ragazzine,
che danzavano sulla spianata del caffè e con mal garbo, facendo le vista di ballare pur essi,
dare calci qua, gomitate là, spintoni in ogni senso; per ismania brutale un innocente
sollazzo” (p.71)

Gli adulti plasmano i bambini per farne degli Enrichetti: disciplinati e cortesi, pronti per
divenire un giorno uomini di successo, laboriosi ed onesti, compagni piacevoli ed amabili
di veglie, conversazioni e salotti (il dover essere).

Nasce l’industria del giocattolo prodotto in serie, spesso costoso, diviene stastus symbol:
presentato al bambino come bene prezioso, da conservare a lungo, tenuto sotto chiave
dagli adulti. Questo era il simbolo evidente della distanza economico-sociale rispetto ai
bambini poveri che non potevano averlo. Il gioco da comune denominatore della condizione
infantile, diventa il segno distintivo e caratterizzante dell’appartenenza alla classe
borghese, ciò però non faceva diminuire la creatività, la fantasia dei bambini
indipendentemente dall’età, genere, classe sociale e dal tempo storico.

Michela Barbieri

Il gioco nella cultura popolare: dal folklore alla costruzione sociale


(Silvia Lelli)

Negli studi sulle culture popolari nel mondo, una parte è dedicata all’attività umana del
gioco. Le definizioni di gioco sono molteplici ma quello che accomuna è la ricerca di
divertimento di piacere fine a sé stesso. Definire l’importanza sociale del gioco non è facile
in quanto Goffman in sociologia, lo vede interazione umana come un gioco, Heidegger in
filosofia: il gioco è metafora del mondo, Lanternari in etnoantropologia: le metafore relative
al gioco variano con il variare delle prospettive teoriche. In altri termini il gioco viene inteso
come l’essere nel mondo. Lo studio del gioco come attività sociale nasce in Germania con
gli studi folkloristici all’inizio dell’800 8volontà di raccogliere le tradizioni di “cultura
popolare” affinchè non vadano perse). In Italia gli studi folkloristici si sviluppano nella
seconda metà dell’800’ (ricordiamo Giuseppe Pitrè); ci si accorge che un gioco può essere
comune a più popoli (ex = gioco delle string figures) e si cercava quindi un’origine comune
alla maniera evoluzionistica. In realtà questi giochi, apparentemente identici, non lo sono
da un punto di vista socio-culturale (c’è una diversa interpretazione a seconda della
cultura che li h prodotti). Ogni gioco riflette le caratteristiche della società in cui si produce.
Secondo Huizinga addirittura è il gioco stesso che sta all’origine della cultura (la cultura
nasce in forma ludica). C’è un rapporto stretto sia fra il gioco ed altri eventi sociali ed
economici sia con la visione del mondo, le mitologie e le cosmologie. Lo studio del gioco è
un mezzo per analizzare processi socioculturali più ampi. Dopo l’analisi evoluzioniste le
tradizioni popolari sono intese come sopravvivenze, prima della metà del 900’: Cocchiara
si distacca da Pitrè e assume il punto di vista del popolo che invece di teorizzarle viveva le
cosiddette “sopravvivenze”, mostrando come esse fossero attualità, storia contemporanea
e come tali avessero una forza simbolica effettiva, della quale mette in evidenza il divenire,
la dinamicità, le continue e attive rielaborazioni. Come sostiene Ernesto De Martino, la
simulazione della realtà attraverso il gioco si tratta di una pantomina ovvero una
simulazione culturalmente organizzato dove c’è l’aggressività sovventrice in quanto il gioco-
rito ha una conclusione prestabilita (la finzione è meglio della realtà). Con questo il popolo
costruiva una sua particolare storia e una propria posizione nella società, distinta da
quella delle classi abbienti. Questo non è uguale per il cricket: indigenizzazione e
decolonizzazione di questo sport “tipicamente inglese”. Appadurai sostiene che il cricket
dà uno spirito cavalleresco, la tenacia il controllo delle emozioni, solidarietà di gruppo,
fedeltà. I giochi possono essere esportati ad esempio il cricket portato dall’Inghilterra
all’India come mezzo per inculcare nei nativi i valori inglesi che esso rappresentava, e usato
come strumento informale della costruzione coloniale. I diversi giochi mettono in evidenza
la varietà delle modalità di relazione tra giochi e costruzione socioculturale in particolare
la classe sociale: i giochi d’azzardo e i giochi di simulazione. I primi si fondano sulla fiducia
che la fortuna è cieca e non tiene conto delle classi sociali, rappresenta uno dei pochi punti
di intersezione tra classi altrimenti separate e la possibilità di passare da un ceto all’altro,
in entrambi i sensi. Nei giochi di simulazione il legame con la società è chiara (si gioca “alla
famiglia”, “ai dottori”, “alla guerra”).

Alcuni autori sostengono che la lotteria e il gioco d’azzardo sia un’illusione e che
quest’ultima deriva da ludus: in-ludere, significa “nel giocare”, “restare dentro il gioco” e
in italiano assume la connotazione di “restarci troppo”, non uscire dalla sua cornice; chi
parla di illusione pensa in genere ad un atteggiamento passivo; però tale atteggiamento
apre proprio attraverso se stesso, attraverso lo stare a questo gioco, il mettersi in gioco,
una possibilità di modificazione del proprio status sociale, l’illusione è, come tutti gli stati
emotivi, culturale.

«Ognuno si illude con modalità e contenuti suoi e del gruppo e come ogni stato emotivo
può stimolare azione sociale».3

Dalle scommesse sui galli e galline si passa alla virtualizzazione che porta performatività
cioè ha effetti, ricadute sulla realtà sociale e quindi considerato costruttivo di realtà sociali:
l’uomo da homo ludens diventa homo game, qui si ha più competizione che partecipazione.
Nella seconda metà degli anni 90’si ha la creazione dei tamagotchi che viene programmato
più come sfida che come pratica di cura: in caso di sbadataggine si ha la morte del soggetto
virtuale. Nei giochi di simulazione il legame con la società è chiara (si gioca “alla famiglia”,
“ai dottori”, “alla guerra”). È interessante inoltre vedere cosa accade presso i bambini
poveri, i quali attraverso questi giochi costruiscono in maniera simbolica un futuro
migliore (si fingono “cantanti” o “sciamani” in modo da poter emigrare in un luogo più
felice, oltre l’oceano). Nella concezione occidentale del gioco invece la religione è un
contesto separato da quello del gioco.

3 Op. cit. p. 92
Michela Barbieri

Gioco e ludicità nel postmoderno


(Beniamino Sidoti)

Nel postmoderno la parola gioco compare molto spesso negli studi sul postmoderno. Dal
punto di vista stilistico il gioco è la cittadinanza nell’estetica postmoderna, ed è un modo
per sfuggire alle costrizioni della realtà. Nella società postmoderna il gioco è sinonimo di
superficialità, di leggerezza in quanto il mondo postmoderno è fatto d’identità provvisorie
e multiple. È un mondo incerto, provvisorio che incoraggia una personalità “liquida”
(termine dovuto al sociologo Zygmunt Bauman). Il gioco soddisfa alcune caratteristiche del
postmoderno e Caillois sintetizza delle riflessioni sul gioco: attività libera, separata, incerta,
improduttiva, regolata e fittizia. La nostra società è incerta e quindi ci spinge a cambiare
ruolo con frequenza e ci porta a vivere la nostra vita in molti ambiti separati e diversamente
regolati. Il gioco diventa alternativa della narrazione.

«Quello che ci sta intorno può essere più facilmente spiegato in termini di gioco anziché
come storia»4

Il gioco offre immediatezza della comprensione e suggerisce nuovi modi di pensiero e


applicazioni impensate. (libro-gioco = ipertesti su carta).

Il gioco come nella vita quotidiana cambia il mondo e può anticipare dei cambiamenti. È
espressione della società che lo produce e può anche essere studiato come oggetto
antropologico (BRIAN SUTTON SMITH, 1986= il paese dei balocchi dove studia il modo in
cui i giocattoli e gli strumenti di gioco vengono usati dai bambini ed entrino in senso più
ampio nella società. Inoltre i giocattoli regalati ai bambini da adulti servono per mettersi
la coscienza in pace e guadagnare ore libere. Con la nascita dell’industria del giocattolo
(già nell’800); i giocattoli postmoderni sin adattano alla frammentazione del tempo e degli
spazi, rientrano nei ritagli di tempo del quotidiano (spariscono i giochi che richiedono
tempo e spazio). In seguito si sviluppano i giochi in scatola (puzzle Ravensburger), la
settimana enigmistica e l’affermazione degli sport professionistici. In questo periodo il gioco
diviene prodotto che deve conquistare il mercato, da rinnovarsi, da vendere e comprare;
tutto questo dipende dal mezzo di comunicazione. I giochi del postmoderno diventano
simbolo dell’ubiquità e sono luoghi di incontro occasionale e provvisorio, e non spazio
dedicato al tempo libero. Nel libro di Ermanno Bencivenga Giocare per forza, si sottolinea
come in molte attività ci si allontana in molte maniere dal senso profondo del gioco.

Dice Bencivenga:

«Il gioco è il nostro più prezioso meccanismo adattivo. Svilirlo, mortificarlo, snaturarlo, ci
renderà più stupidi e più deboli»5

Il gioco snaturato diventa passatempo, sfogo energetico fine a sé stesso con un


funzionamento già tutto previsto, anziché l’esplorazione di possibilità e stimolo per
l’originalità (ex = mantello di Superman già pronto al supermercato, anziché realizzarlo

4 Op. cit, p.102


5 Bencivenga E., Giocare per forza, Mondadori, Milano, 1995, p.182
originalmente). Il gioco si fa postmoderno quando anche il mondo delle idee si adegua alla
riproduzione in serie. Con Bencivenga il gioco viene inteso come il voler vincere: non
importa conoscere il gioco, ma volere vincere 8importante è la tenacia). Il gioco
postmoderno tende a standardizzare gli usi, il diminuire i tempi di gioco a disposizione, e
si infiltra nella vita di ogni giorno cessando di esistere come spazio autonomo. Molti giochi
scompaiono e la società premia i giochi divertenti, il divertimento o l’intrattenimento
diventano un suggerimento per il tempo libero. Inoltre trionfa il gioco che si capisce
rapidamente, semplice, che dia immediato divertimento: l’importante è non confondere
l’intera società attuale con una società del divertimento. In un mondo frammentato, non
esiste più separatezza e quindi si ha la presenza di giochi parassiti: giochi ricchi di citazioni
e ammiccamenti, che usano come materiale di gioco qualcosa che nel gioco non è: i giochi
di domande e quiz, come trivial pursuit, i pupazzi che fanno riferimento a un personaggio
televisivo, i costumi di supereroi che fa da incastro fra l’immaginazione e un personaggio
dell’industria culturale, i parchi giochi, i gameboy, tamagotchi...).

«Il gioco è divenuto parassita, ma lo è sempre stato, oggetto perfetto per interpretare i
sintomi della società, per trasformare qualcosa in qualcos’altro»6 7 (p.111)

Il senso del gioco per una comunità è stata studiata da Clifford Geertz, a lui si deve il
concetto di “gioco profondo”. Il concetto di “gioco profondo” entra in crisi (gioco profondo,
esempio: combattimento di galli a Bali, dove il gioco forma modi di dire presi dal
combattimento che diventano argomento di conversazione, s’intreccia con le relazioni
sociali) in quanto l’appartenenza ad un gruppo è sempre provvisoria e fluida. Nascono
comunità che sono frutto dei giochi (vedi videogiochi online, giochi di ruolo, ecc…) dove il
giocatore viene chiamato alla costruzione di una realtà virtuale e indossa una maschera e
si mostra agli altri giocatori solo come un personaggio (avatar).

Michela Barbieri

II. PER UNA TEORIA DEL GIOCO


Teorie del gioco oggi
(Alessandro Mariani)

1. La fertilità del Novecento

Nel corso del Novecento, sul gioco, che è stato portato a completa emersione attraverso un
insieme di prospettive disciplinari: dalla psicologia alla sociologia, dall’antropologia alla
pedagogia, dalla storia alla filosofia così via articolate in molteplici profili e sollecitate da
una serie di nuove istanze. E’ un lavoro intrecciato con il potenziamento degli studi sull’età
evolutiva, che si sono focalizzati sull’infanzia vista come età portatrice di attività proprie,
specifiche e fortemente connesse alla ludicità. Questo spiega sia l’attenzione rivolta da
parte dei vari campi delle scienze umane/sociali al gioco, sia la ricerca sempre più
sofisticata che si è organizzata e sviluppata attorno al gioco stesso.

6 Staccioli G., Il gioco e il giocare, Carrocci, Roma, 1998


Staccioli G. Culture in gioco, Carrocci, Roma, 2004
7 (A cura di) Cambi F., Staccioli G., Il gioco in Occidente: Storia, teorie, pratiche, dove, casa, anno,

p.111
Da qui emersa una lettura strutturale del gioco, una capacita di tenerlo fermo nell’ambito
della cultura, di leggerlo come un esperienza fondamentale ricorrente,di tutelarne la sua
dimensione pedagogica, di coglierlo nella sua potenzialità formativa. Una lettura
attualissima, che oltrepassa il XX secolo e giunge fino allo scenario attuale, dove i media e
la tecnologizzazione dell’esperienza ludica manipolano l’individuo impoverendo il gioco
stesso, espropriandolo dei suoi connotati basici, depotenziando la sua capacità formativa.

Addirittura, il mercato ha ormai irreversibilmente “catturato” il gioco,simplificandolo nella


gara sempre più tribale e nella tecnicizzazione di un gioco sempre più “eterodiretto” e
spettacolare. Basti pensare ai due poli d’oscillazione che si sono imposti nell’attuale
“pedagogia ludico-sportiva”: da un lato, il corpo ludico-sportivo come di sportivo
pubblicitario, ispirato ad un edonismo diffuso, legato ad un’immagine di sé e finalizzato ad
un uso prevalentemente mercantile; dall’altro lato, il corpo ludico-sportivo come dispositivo
formativo, come strumento necessario per la percezione di sé, come tessuto emotivo dell’io
in grado di esprimere in tot la dimensione umana dell’uomo. La necessità di sviluppare -
in un orizzonte teorico-educativo- il nesso tra cultura ludico-sportiva e processi formativi,
indispensabile per “rinaturare” il gioco e ri-collocarlo – insieme allo sport – a centro di una
prospettiva autenticamente comunicativa e formativa.

Si tratta, dunque, di recuperare urgentemente le forme ludiche, sottraendole al controllo


della tecnica e del mercato: il gioco fantastico e quello narrativo, ma anche quello libero,
di esplorazione e di gruppo, come pure quello legato alle tradizioni culturali. Tutto ciò va
fatto senza ignorare la tecnologia, ma guardando ad essa come ad una risorsa da utilizzare
criticamente e da impostare su un piano autenticamente formativo. Decostruendola e
pensandola come mezzo e non come fine.

Da almeno un decennio, anche in Italia, per impulso della normativo nazionale e per
iniziativa degli enti locali sono state promosse opportunità per l’infanzia e adolescenza e
sono aumentate le attività strutturate, insieme agli spazi formali e informali dedicati al
loisir dei minori. In particolare, i numerosi progetti e interventi hanno privilegiato azioni
tese a favorire la cultura/pratica del gioco mediante iniziative che si sono concretizzate in
proposte strutturate: organizzazione di spazi urbani e di ambiti di socializzazione come
giardini, piazze, spazi pubblici, centri ricreativi, ludoteche, ludo bus così via. Sono segnali
che, pur nella loro eterogeneità e disseminazione, permettono di guardare ad un rilancio
del gioco, ad una sua ri-fondazione concreta e organizzativa collegata il più possibile con
la quota che proviene dai contributi teorici che il Novecento ci ha consegnato.

Perché il Novecento è stato così fertile di teorie sul gioco anche sull’ambito della ricerca
educativa: si pensi agli studi sul nesso tra gioco e civiltà, sulla civiltà letta/interpretata
come convenzione e come gioco, sul gioco osservato come elemento”creatore della cultura”
guidato dalla sua “immanenza” storico-culturale, sull’estensione semantica del gioco, sulle
varie forme della ludicità(arte, poesia, ritualità, sapere, fantasia, creativa, esplorazione,
sperimentazione, immaginazione così via). Ma si pensi anche alle ricerche sul rapporto tra
gioco ed età infantile/adolescenziale, sul ruolo sviluppato da gioco per lo sviluppo
cognitivo/meta cognitivo, mentale/affettivo, personale/relazionale, sul gioco come
simulazione, immaginazione, paradossalità e “apertura al mondo”, sul gioco come “attività
combinatoria” per la soluzione dei problemi, su su fino alla recente “tecnologizzazione” del
gioco accostata alla “scomparsa dell’infanzia”, all’attuale depotenziamento della capacità
formativa del gioco e alla necessità di pensare criticamente il gioco e di rilanciarlo per
recuperare alcune forme ludiche, come il gioco fantastico, narrativo, libero, di esplorazione,
di gruppo così via.

Da Huizinga a Winnicott, da Piaget a Bateson, da Fink a Caillois(per fare solo alcuni,


autorevolissimi esempi) le immagini teoriche sul gioco sono state molteplici e differenziate.

Huizinga teorico del gioco come funzione sociale:

Johan Huizinga (nato a Groninga nel1872 e deceduto a De Steeg nel 1945)si avvale di una
formazione culturale poliedrica. Una prima fase delle sue ricerche è dedicata,
prevalentemente, al tema della formazione della coscienza nazionale olandese. Il studioso,
arriva ad una sistemazione e ad una spiegazione di molti aspetti della vita culturale di
un’epoca secondo modello storicografico che privilegia il modo di pensare rispetto alla
storia politica e militare. Un metodo d’indagine che si fonda su uno stretto rapporto con le
acquisizioni dell’antropologia, della filosofia, e della psicologia del profondo. La sua
metodologia storiografica, contro ogni illusione positivista, intende l’attività dello storico
come ricostruzione intuitiva dello “stile di vita” di un’epoca, in quanto presupposto che
rende comprensibili le varie manifestazioni dell’epoca storica: arte, religione, filosofia, vita
quotidiana così via. Infatti, in tutti i suoi studi Huizinga guarda ad una storia della cultura
come storia delle forme di civiltà.

La sua riflessione trova espressione in uno dei suoi volumi più famosi, Homo ludens (1983).
In questa opera storico, filosofica e antropologica, Huizinga sviluppa una teoria del
rapporto tra gioco, festa e cultura e propone un’idea di civiltà come convenzione e come
gioco. In altri termini, Huizinga introduce un’idea di cultura come complesso di fenomeni
sociali utilizzando l”invariante” storico-culturale del gioco. Secondo lo storico olandese
tutti sappiamo che cosa è il gioco, ma con un’analisi elegantissima egli scopre nella nozione
di gioco degli elementi che l’uomo sperimenta senza rendersene conto: serietà, solennità,
ordine, delimitazione spazio-temporale, così via. Cosi egli dimostra che questi
elementi/fattori intervengono non solo alla base delle forme competitive come la guerra,
ma anche delle più alte manifestazioni di vita: ritualità, cultura, sapere, giustizia, poesia
così via. Secondo Huizinga dobbiamo giungere a riconoscere che ogni azione umana appare
come un gioco, poiché la civiltà sorge e si sviluppo nel gioco, come manifestazione umana
sub specie ludi. In altre termine , si tratta di integrare il concetto di gioco con quello di
cultura: il gioco è un fenomeno culturale ed è trattato coi mezzi della biologia, della
sociologia, dell’antropologia, della storia, della psicologia della stessa filosofia. Ovvero, il
gioco è per l’uomo/umanità un “concetto primario” è una “funzione piena di senso” che
mostra la sua “grandezza culturale” poiché è un “fatto dello spirito” che sta dentro la civiltà
e la sua evoluzione/trasformazione.

Bateson e il “paradosso” nel contesto ludico:

Gregory Bateson (nato a Granchester nel 1904 e morto a san Francisco nel 1980)
inizialmente studia scienza naturali e antropologia. In seguito si occupa di psichiatria e
diviene l’ispiratore e l’animatore della “Scuola di Palo Alto” formulando la teoria del “doppio
legame” (che spiega la frequente incongruità/contraddizione tra la comunicazione affettiva
e quella pronunciata verbalmente). Si dedica, infatti, a studi e ricerche sulla
comunicazione. tra i suoi interessi c’è anche il gioco.
Bateson mostra come il gioco corrisponda ad una specie emozione, che viene “radiografata”
attraverso la fantasia. In The Messege “This Is Play” (1956) si possono trarre alcune ipotesi
sugli scopi individuali e sociali attivati dal gioco (come suggerisce anche la lingua inglese
“play” ha un significato diverso da “game”, gioco come insieme di regole, e “to play” vuol
dire, oltre che “giocare” anche “suonare” e “recitare”). A partire da questo assunto, Bateson
sviluppa la teoria del gioco insieme a quella fantasia, interrogandosi sulla natura profonda
di tutto ciò che è simulazione e immaginazione, riconoscendovi un tratto comune di
paradossalità. L’asserzione “questo è un gioco” mostra che tutti gli animali, essendo capaci
di giocare, sono anche capaci di comunicare, nel in cui fanno gesti stanno utilizzando
segnali meta comunicativi. Esempi di giochi fra animali sono mordicchiare amichevole del
cane o il gioco minaccioso e non aggressivo che si trova fra i gatti, le scimmie e alcuni
cuccioli. Analizzando la struttura del “morso amichevole”, vediamo la natura doppiamente
paradossale del gioco, dato che questo gesto non è aggressione e non è un morso. In questo
senso il gioco il messaggio “questo è gioco” è tipicamente meta comunicativo perché
propone la “cornice” che permetterà la comprensione dei messaggi in essa racchiusi; tale
aspetto è per definizione paradossale (in quanto insieme di tutti gli elementi che non sono
quello che sembrano). Possiamo provare a descrivere il gioco come un specie di emozione,
che coinvolge relazione fisiche specifiche e percepibili, come il divertimento ola catarsi.
Inoltre, possiamo notare alcune affinità superficiali “di sintassi”, non si può mai dire a
qualcuno “gioca!” o “ridi!”, così come non si può dire “piangi!” o “senti in colpa!”, nemmeno
a noi stessi; una tale comunicazione non può avvenire se non meta-comunicando. Come
nota Bateson, il gioco può essere sicuramente un’attività terapeutica(così come anche, ora
e da sempre, l’arte, il rituale, il sogno così via) ma un’attività impossibile da prescriversi in
termini imperativi o autoritari.

Fink e l’”ontologia del gioco”:

Eugen Fink (nato a Konstanz nel 1905 e morto a Freiburg nel 1975) è stato allievo di
Husser e di Heidegger e uno dei maggiori esponenti dei movimento fenomenologico.

Nel suo opere, tre elementi da recuperati in un rinnovato pensiero(non più metafisico) del
mondo. L’opere di Fink mira ad un’inclusione del campo delle emozioni all’interno del
discorso filosofico. Nelle l’opere ha esplicitato su fenomeni dell’esistenza come il gioco, il
conflitto, il mito o la gioia, si scrive nel più ampio quadro delle applicazioni del discorso
fenomenologico e presenta come un punto di partenza per riflessioni che possono spaziare
dalla filosofia alla poesia, dall’arte alla religione. Nel sue opere Spiel als Weltsymbol del
1960, la tesi di Fink è che il fenomeno umano del gioco acquista un significato universale,
una “trasparenza cosmica” e che sia il gioco sia il mondo si prestano ad essere chiariti
l’uno alla luce dell’altro, cioè che il gioco umano possa venire assunto come simbolo del
gioco cosmico. Nel gioco come in altre condotte fondamentali, quali il lavoro, la lotta,
l’amore- l’uomo realizza la sua fondamentale apertura al mondo. questo viene
caratterizzato dalla totale gratuità, dall’irrealtà, da senso di gioia per il sensibile, in cui
viene sperimentato il “piacere dell’apparenza”. Il gioco come “simbolo del mondo” del suo
essere senza fondamento, scopo, senso, progetto, ma insieme del suo tenere aperti gli spazi
e tempi per l’essere delle cose, il quale ha una ragione e un fine, è ricco di significato e di
valore.

Caillois e il gioco come “atteggiamento fondamentale”:


Roger Caillois (nato a Reims nel 1913 e morto a Paris nel1978), l’interesse è rivolto
all’estetica, alla sociologia, all’etologia, alle scienze naturali e soprattutto ai temi del gioco,
dei mito, della poesia, dell’immaginazione e del sacro.

Les jeux et les hommes (del 1958), l’unico tentativo di fornire una teoria sistematica dei
giochi. Accogliendo le testi fondamentali di Huizinga, Caillois sviluppa prima di tutto
un’analisi che permette di determinare, per contrapposizione al resto della realtà, gli ambiti
entro cui è possibile definire il gioco. Per Caillois il gioco , corrisponde ad un’attività con
molteplici caratteristiche: libera (un giocatore non può essere obbligato); separata (ha dei
limiti di spazio e di tempo): incerta (il svolgimento e il risultato non possono essere
conosciuti in anticipo); improduttiva (non crea i beni o ricchezza, salvo un spostamento di
proprietà nella cerchia dei giocatori d’azzardo); regolata(risponde al regole proprie che
sospendono momentaneamente le leggi ordinarie); fittizia (il giocatore è consapevole delle
differenze rispetto la vita normale).

Caillois ha classifichi i giochi ; una sorta di indagine sugli “universali ludici”, suddivisione
in quattro categorie fondamentali:

1. Agon( dal greco:”campo di battaglia”). I giochi di competizione, i giochi in cui vengono


create artificialmente condizione di parità tra i giocatori perché emerga, incontestabile in
una particolare qualità, il valore del vincitore. L’Agon può avere carattere “muscolare”
(incontro sportivo) o “cerebrale” (gli scacchi).

2. Alea (dal latino:”gioco di dadi”). Sono i giochi dove il destino (o il caso se si preferisce) è
il solo artefice della vittoria (i dadi, le lotterie). Il giocatore non può che aspettare il verdetto
della sorte, nessun qualità o impegno può aiutarlo.

3. Mimicry (dall’inglese: “imitazione”,”illusione”). I giochi in cui si assume un’identità


fittizia. Ci si muove in un mondo fittizio in cui si gioca (si entra in gioco: in-lusio) a credersi
o a far credere agli altri di essere un altro(il bambino che fa “finta di” , ma anche il
travestimento carnevalesco dei ragazzi e degli adulti).

4. Ilinx (dal greco:”vortice”, “gorgo”). I giochi in cui si crea di ottenere la vertigine, perdendo
per un attimo la stabilità e la lucidità e accedendo a un momentaneo stato di trance o
smarrimento percettivo.

Caillois, segnala anche l’esistenza di una” vertigine di ordine morale” riscontrabile in alcuni
giochi che improvvisamente possono degenerare in una rissa disordinata. Naturalmente,
molti giochi possono essere combinate in percentuali variabili, di due o più categorie, ad
esempio il gioco di l’agon potrebbe combinati insieme con il gioco dell’ alea.

Caillois analizza anche la funzione delle “potenze” o “modi di giocare”. Sono la paidia e il
ludus. Il gioco è nella paidia quando è ancora “potenza primaria d’improvvisazione e
spensieratezza” quando è ancora esigenza incontrollata di distrazione e fantasia (il chiasso
dei bambini in un cortile), questa esigenza generica ma potente, di giocare comincia ad
organizzarsi- cioè porsi degli obiettivi e delle regole, qui interviene il ludus. Si può dire che
il ludus appare come il “complemento” della paidia che disciplina e arricchisce il gioco.

La paidia è tumulto ed esuberanza, il ludus crea le occasioni e le strutture attraverso le


quali il desiderio primitivo di giocare può essere appagato.
Bruner interprete delle “combinazioni comportamentali”

Jerome Seymour Bruner (nato a New York nel 1915, viventte). In Play(l’opera dedicate al
gioco, pubblicato nel 1976 insieme a Alison Jolly e Kathy Sylva) Bruner evidenza la
caratteristica principale del gioco, la sua vera sostanza: il prevalere dei mezzi sui fini. Esso
descrive il bambino che gioca con un oggetto, un tazza, adattandolo ad una varietà di
programmi di azioni: la porta alle labbra, la lancia sul tavolo , la fa cadere. Da questa
caratteristica deriva al gioco l’essere un esercizio che consiste nel collegare segmenti di
comportamento (o mezzi) derivati da modi non propri del gioco in sequenze inusuali. Per
lo studioso, la seconda caratteristica del gioco, che consegue direttamente alla prima, è la
riduzione del rischio d’insuccesso, poiché i comportamenti nell’ambito del gioco sono
spesso derivati da sequenze che non sono proprie del gioco. Una terza caratteristica del
gioco, secondo Bruner, è la sospensione temporanea della frustrazione che esso offre a chi
lo pratica. Poiché il procedimento ha la preminenza sul risultato, un ostacolo, che sarebbe
d’intralcio se venisse incontrato ne corso della soluzione di un problema, durante il gioco
viene affronto con serenità e perfino con allegria. Il gioco offre anche altro tipo di libertà,
cioè un atteggiamento di disponibilità nei confronti del mondo che lo circonda. Una quarta
caratteristica del gioco, è il suo invito alle possibilità inerenti alle cose e agli avvenimenti.
La quinta caratteristica del gioco è alla base di tutte le altri è la sua natura volontaria. Chi
gioca è libero da minacce ambientali e da necessità urgenti.

Il frutti del gioco , sia le persone sia animale che giocano con oggetti e con azioni:
acquistano abilità nel connettere tra loro in modi insoliti, la natura ha basso rischio del
gioco, gli consente di fare esperimenti e riduce la frustrazione. Dal gioco, i bambini
imparano progressivamente il meccanismi di risolvere delle problemi posti dall’usi delle
materie del giochi.

Il gioco nella “postmodernità” tra media e nuove tecnologie

Nel 1979 il filosofo Jean-Franҫois Lyotard (nato a Paris nel 1924 e moto a Paris nel 1998)
pubblica un “rapporto sul sapere” attraverso il quale avrà un successo planetario. L’autore
analizza gli aspetti che caratterizzano la cultura contemporanea, l’età postmoderna.
Lyotard è contrassegnata dal venir meno della legittimazione di livelli diversi d’esistenza e
dall’emergere di una molteplicità di linguaggi irriducibili tra loro. Attraverso la sua teoria
in cui introduce il problema, in seguito illuminato da altri studiosi, della “disseminazione”
etico-valoriale e del “disincanto” nella società contemporanea, come pure della presenza di
quella “cultura narcisismo” e della tecnologia che contraddistingue il nostro tempo.

Se la scuola è rimasta relativamente inalterata dall’avvento della tecnologia digitale, non


si può dire lo stesso della vita dei bambini al di fuori del contesto scolastico. Al contrario,
l’infanzia contemporanea è oggi permeata, in molti casi definita e orientata, dai media
moderni e dall’enorme varietà di “oggetti ludici” di uso quotidiano collegati ai media che
compongono la contemporanea cultura dei giovani consumatori (videogiochi, Internet,
telefoni cellulari così via). Tecnologie digitali è stato accompagnato da alcuni significativi
cambiamenti nelle esperienze ludiche dei bambini: la proliferazione dei giochi informatici;
l’individualizzazione dell’accesso ai media; l’avvento dei cosiddetti media interattivi; la
potenzialità crescente di utilizzo dell’uso dei media per la comunicazione e la
partecipazione; la crescente commercializzazione dei videogiochi ecc.
Questi cambiamenti hanno avuto implicazioni significative nei termine della concezione
dell’infanzia. Da un lato, gli “apocalittici” hanno sostenuto che i media moderni stanno
realmente annullando l’infanzia o, comunque, stanno confondendo i confini tra infanzia,
giovinezza e età adulta. D’altro lato, gli “intergrati” considerano la tecnologia come una
forza di liberazione per i bambini, un mezzo per superare la vincolante influenza degli
adulti e per creare nuove e autonome comunità e forme di comunicazione. Ad esempio
chattano su internet, sms,mms, collocano foto su internet e su blog, fanno shopping,
partecipano su realty show ecc.

Su questi fronti deve entrare in gioco una educazione ai media, la media education può
assumere un ruolo pedagogicamente centrale in questa fase, proprio per recupero/rilancio
di una ludicità dal volto umano e, dunque, autenticamente formativa. Naturalmente,
l’alfabetizzazione digitale deve iniziare con alcune conoscenze basilari, questo è una sfida
significativo per gli educatori; ad esempio i bambini devono imparare a trovare e
selezionare i materiali, usare i browser,gli hyperlink e i motori di ricerca, conoscere le
misure di sicurezza che emergono come fondamentali nel dibattito pubblico su questo
argomento, l’importanza della filosofia dell’educazione che alimenta una riflessione
rigorosa, critica e antidogmatica rispetto alle nuove tecnologie e alla ragione informatica.
Una riflessività che coordini e ispiri le professionalità formative(genitori, educatori ecc) per
non guardare soltanto ai mezzi(le strutture, le tecniche, i contenitori ecc), ma anche ai
fini(l’articolazione, gli obiettivi, i contenuti ecc) che governano tali strumenti. Questo
riporta nel tema di axiologia in discorso formativo che altrimenti rischia di perdere la quota
di riflessività pedagogica e divenire meramente applicativo ed esecutivo. Le capacità in cui
i bambini devono disporre in relazione ai media digitali non sono limitate a quelle di
reperimento delle informazioni. L’alfabetizzazione ai media implica tanto il sapere “
produrre “ i media quanto il saperli “leggere” questo è la sfida nella tecnologia digitale sia
per i bambini che educatori.

Joy Agbetosa

Modelli, norme e pratiche ludiche


(Gianfranco Staccioli)

4. Viaggio lungo una corda sottile:

Calvino inserisce fra gli luoghi che Marco Polo descrive a Kubali Kan; Ottavia come la città
sottile in cui i buoni giocatori sano che “più tanto la corda non regge” cioè che un gioco
sono sospesi fra due picchi scoscesi( cioè tra la realtà e fantasia) che devo tengono
costantemente in equilibrio fra questi poli di relazione con altri persone o personaggi. Il
senso della realtà che li circonda e non sano rischiare più di tanto né con le cose né con le
persone. Ed avvertono, nello stesso tempo, la possibilità di essere sganciati dal tempo e
dallo spazio, dando vita anche a imprese impossibili, improbabili, irreali. Perché
camminando sulle corde sospese(che si muovono a seconda del speso o del movimento di
chi le percorre) richiede destrezza e competenza, richiede la consapevolezza di essere in un
luogo protetto e nello stesso tempo rischioso. Proprio questa consapevolezza ambivalente,
ci dice Calvino, che fa di Ottavia una città sicura.
Il gioco è stato descritto da molti come un luogo sicuro, uno spazio ‘altro’, distanziato, dove
le cose ‘reali’ vengono messa a distanza, almeno per il tempo che ci si trova dentro gioco
con le regole vigente che sono diversi da quelle quotidiane. Più che giocare in un spazio e
in tempo separato il giocatore si comporta come se stesse sulle linee di demarcazione di
quel luogo ludico o sui suoi bordi, stare in linea, e per di più su una linea instabile ( il piedi
fuori come chiedi l’aiuto di un adulto, o all’interno come quando si coinvolge emotivamente)
in gioco, mantenersi in equilibrio sulle funi di questa città invisibile chiamata gioco,
richiede un impegno effettivi(cognitivo, affettivo, relazionale) e richiede la contemporanea
consapevolezza che si è sostenuti da tutti e due gli speroni di roccia (il fantastico e il reale),
contemporaneamente. Il gioco è contemporaneamente reale e immaginario, vero e falso,
dentro e fuori. Il gioco è un costante ‘come se’, anche quando non lo si riconosce come
gioco simbolico, gioco drammatico, gioco teatrale.”le domain du jeu est le paradis du comme
si” ha detto Claparéde8

Nel rielaborare il reale, nel giocare, il bambino compie un atto interpretativo, ermeneutico,
elaborativo e nel fare questo, immette quei valori, quei regole sociali, quegli apprezzamenti
o quelle negazioni che avrà imparato a leggere dagli adulti sono elementi simbolico “come
se”. Il bambino interpreta il mondo e logica; il gioco stesso diventa interprete del mondo
perché mescola diversi piani di esigenze e di stimolazioni e va ad influenzare altri
comportamenti, altre costruzioni cognitive9 (Fink)

Essere ‘come se ’ è sapere che si è come se si fosse( trovarsi dentro una fantasia) al tempo
come si è ( dentro la realtà di noi stessi) insomma è un bel paradosso. Il gioco è un
paradosso elevato a potenza in cu serie di paradossi si intrecciano l’uno all’altro.

Il primo livello di paradosso come lo spiega Bateson quando descrive le due scimmie che
giocano a fare la lotta. Le loro azioni nelle quali impegnate non denotano ciò che
denoterebbero quelle azioni che esse rappresentano cioè le azione di un bambino che gioca
seguono una logica illogica, una logica ‘altra’, un logica che non si muove con i meccanismi
del ragionare attraverso operazioni, classificazioni, negazioni, esclusioni. La logica di gioco
è una logica creativa. Il gioco è un atto bisoassociato(bisociation) nel quale una percezione

8 Anche Vygotskij sottolinea la ‘naturalità’ del gioco come gioco simbolico:” A me sembra che si
potrebbe proporre l’inesistenza del gioco senza regole e senza un particolare atteggiamento del
bambino nei confronti di esse… Io credo che ogniqualvolta si presenta una situazione immaginaria,
vi siano anche delle regole. Non regole che sono formulato in anticipo e che mutano nel corso del
gioco, ma regole che derivano dalla situazione immaginaria stessa. Perciò immaginare che un
bambino si comporti in una situazione immaginaria senza regole, come cioè si comporta in una
situazione reale, è semplicemente impossibile. Se una bambina gioca al ruolo della madre, ella deve
aver presenti le regole del comportamento materno. Il ruolo che il bambino svolge, il suo rapporto
con l’oggetto se l’oggetto ha mutato il proprio significato, deriveranno sempre dalle regole, cioè la
situazione immaginaria conterà sempre delle regole. Nel gioco il bambino è libero. Ma si tratta di
una “libertà illusoria” (Vygotskij L.S.(1981), il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino, in
Bruner J.S. et alii, Il gioco, vol IV, Armando, Roma, pp 662-663)
9 Il filosofo Eugen Fink ha soottolineato come il gioco non rappresenti solo un atto della quotidianità,

bensi un mezzo per comprendere il mondo. Il gioco non va posto “solo accanto agli altri fenomeni
della vita, ma … sta di fronte ad essi, per raccoglierli in sé rappresentandoli. Noi giochiamo la
serietà, giochiamo la vita e la morte. E giochiamo ancora perfino il gioco” Fink E., Oasi della gioia.
Idee per ontologia dei gioco, Eumma, Salerno,1969 (1957), p. 24. Il” tutto universale” si trova riflesso
in gioco. L’ambiguità “enigmatica” del ludico rappresenta per Fink “un’oasi della gioia”, di fronte
all’invasione di modelli culturali troppo razionali del mondo, il gioco diventa un rifugio dove vive “un
presente quietato” che permette all’uomo di essere disponibile per aprirsi al cosmo e ai significati
dell’esistenza.
, un’azione o una idea si possono inserire in due schemi di riferimento coerenti ma anche
incompatibili fra loro.

Il gioco è un paradosso e dentro questo paradosso si rifugia il giocatore, dentro questo


rifugio, ogni giocatore può scegliere in ogni momento con chi deve allearsi o di opporsi,
amici/nemici perché ogni azione devono compiere velocemente le loro scelte, che diventa
un paradosso di secondo livello.

Un altro gioco paradossali studiati da Parlebas, si tratta di un particolare tipo di giochi le


cui regole conducono i giocatori “a relazioni che mostrano ambiguità e ambivalenze e
portano ad effetti contradditori e irrazionali esempio i giochi tradizionale in cui all’interno
dei quali si riscontrano paradossi relazionali, paradosso spaziali, paradosso temporali ed
altri paradossi che mettono il discussione l’idea di gruppo, di squadra di vittoria.

2. Il gioco a dondolo

Il giocatore viaggiante che si avventura lungo la coda ‘sottile’ che unisce le sponde del reale
e dell’immaginario, incontra non solo paradossi ludici, ma si trova a doversi districare
anche all’interno di un altro binomio che accompagna il gioco, il binomio serio/faceto,
ovvero utile/futile, o anche come si usava dire nelle scienze pedagogiche fino qualche
tempo fa – lavoro/gioco. E’ un binomio che noi troviamo difficile da superare anche perché
nella lingua italiana il termine gioco unisce sia il senso di ludus (indica il gioco più
complesse, più sociali dell’antiche romani) sia quello di iocus(latino significa scherzo,
divertimento ilare, spiritosaggine, impertinenza verbale che veniva usata per ottenere un
risus da parte dell’ascoltatore).

Pensiamo al gioco come un viaggio, come un’avventura che al tour turistico, un avventura
come un elemento fondate l’imprevedibilità e l’incertezza. Nel momento in cui ci si mette in
condizione di giocare veramente, non si può evitare l’oscillazione della corda che dondola
fra reale e non reale, fra conosciuto e non conosciuto, fra certo e incerto. Che nel gioco vi
siano regole esplicite o implicite, che vi siano o meno altri giocatori, che si usino oggetti di
un tipo o di un altro, poco conta. Il gioco non si può ripetere mai uguale e se stesso o nella
stesso sequenza, perché sono legate a un viaggio interiore, cioè dialogo continuamente con
proprio capacità o incompetenze , alla paura di perdere o ai desiderio di prevalere alla
sfida con se stessa o mettere in misura con gli altri.

Il gioco si basa sull’Agon(cioè campo di battaglia) in cui cercano di essere in parità con
condizioni che regolano i giocatori. L’Agon è un competizione fra cui ci sono un vincitore e
un sconfitto, il gioco prevede di essere giocato nello spazio e nel tempo preavvisato, che un
ideale per un confronto tra le squadra. Nella ricerca assoluta parità, i giochi sportivi di oggi
si trovano a dover negare l’avventura , la incertezza, il dondolo fra il certo e l’incerto,
l’oscillazione fra il reale e il non. La standardizzazione e omogeneizzato dei tempi , luoghi,
dei perfomance fa diventare un luogo delle illusioni, non in senso etimologico del termine
(in-ludere, cioè entrare in gioco) ma nel senso letterale (in-ludere cioè prendersi gioco).

Tre illusioni dominano, nella nostra epoca,

L’illusione definitoria è legata all’idea di performance che a sua volta connessa a due altri
concetti: a) avere un limite da superare, b) dare un conclusione al gioco.
La performance costringe il gioco entro una regolamentazione stratta esempio tira alla
corda

L’illusione egualitaria è quella che costringe il gioco motorio entro regolamentazioni che
divengono sempre più minuziose, alla ricerca del superamento di ogni possibile disparità
fra i giocatori (differenze di peso, sesso, di età ecc) questa spinta è il fatto che tutti giochi
occidentali di oggi sono simmetrici.

L’illusione demiurgica è l’idea che si debba e si possa controllare completamente il gioco


dal suo esterno: da qui la semplificazione dei comportamenti motori, la presenza di
arbitraggi, l’esclusione delle discussioni fra giocatori, l’allontanamento della dimensione
affettiva, ossessione per il rispetto delle regole, il rispetto che trasforma il gioco da mezzo
a fine.

L’esempio delle illusioni che attraversano i giochi sportivi ci sembra mostri con evidenza
come non sia pedagogicamente e umanamente utile costringere il gioco giocato in una
dimensione astratta, innaturale, atemporale. Occorre che il gioco mantenga la sua ‘natura’
ambivalente e oscillante, perché possono essere utilizzati gli aspetti propri attività ludica,
che riguarda il benessere della persona, la sua capacità di interesse rapporti con gli altri
con tutta la sua leggerezza pensosa come insegnamento che vengono da Calvino.

Il gioco è una cosa seria a stesso tempo ha la natura di leggerezza binomio perfetta.

3. Alla ricerca di una logica interna.

Una carta di identità di un gioco può essere fatta secondo modalità di somiglianza generica
o attraversa o l’analisi dei sistemi di interazione che le regole del gioco preso in
considerazione possono mettere in movimento. E’ il corpo delle regole che mette in gioco le
regole del corpo. Il corpo delle regole suscita una organizzazione finalizzata delle azioni
motorie la cui coerenza interna può essere rappresenta con modelli operatori che
rappresentano le strutture di base dell’andamento del gioco. Questo modelli chiamati
universali e rappresentano le diverse strutture di ogni logica del singolo gioco.

La ricerca di ‘universali’ viene descritto dalla praxeologia motoria o scienza dell’azione


motoria, è stato sviluppo non solo in relazione al gioco, ma anche in rapporto a settori
diversi della conoscenza. Esempio Chomsky e la sua ‘grammatica universale’ o la ricerca
volta a individuare dei ‘comportamenti universali’, Piaget: giochi di esercizio, simbolici e
giochi di regola, Propp, il suo lavoro sulla morfologia della fiaba. Parlebas evidenzia l’ordine
profondo che regna dentro le regole dei giochi sportivi, l’ordine legato alla logica interna
del gioco, agli elementi(le comunicazioni e le interazioni motorie, i ruoli e l’uso dello spazio,
l’organizzazione del tempo nella partita, i punteggi, gli strumenti di gioco, sono autore di
base) invarianti che si ritrovano nel contratto ludico, nelle regole del gioco.

Le interazioni motorie prese in considerazione della scienza dell’azione motoria, rivelano


tre diversi caratteri delle relazioni ludiche possibili: le relazioni di alleanza (cooperazione),
quelle di opposizione e quelle di ambivalenza.

La cooperazione ludica è rara (cooperazione, quando tutti i giocatori cercano di compiere


un azione comune senza che ci sia qualcuno in opposizione).
La relazione ambivalenza nel gioco porta con se i preconcetti etici o morali che la tengono
a distanza dalle scuole o dall’educazione in genere.

4. Cambiare per crescere

Come sono stati evidenziate nelle precedente, che i giochi contengono regole di
comportamento, di modalità di relazionale, i costumi sociali, scelte etiche, modelli di azione
che mettono in movimento meccanismi legati al prestigio, all’onore, al coraggio, alla
sicurezza sé ecc.

I giochi giocati mostra molto di più di quanto può apparire ad uno sguardo concentrato
sull’osservazione comportamentale della persona che gioca. Ci sono giochi moderni che
hanno strutture interessanti che permettono di recitare una maschera di finzione come in
Loup- Garous o di sfidare la prontezza (Speed) o l’intelligenza combinatoria (Set), giochi
che sviluppano atteggiamenti creativi, giochi che orientano e che disorientano, giochi
umoristici o narrativi così via. Questi varietà di giochi non mancano ad oggi, ma la
competenza per riconoscere gli aspetti specifici dei giochi e la capacità di leggere gli
elementi della logica interna di ogni singolo gioco. E’ questa competenza che può affinare
la capacità di proporli in situazioni differenziate e stimolanti. Anche la competenza di saper
costruire un contesto che possa favorire nei giocatori l’immersione in modelli ludici
culturalmente dissonanti, con le regole strutturalmente dissimili da quelle usuali.

“I giochi sono attività che costruiscono mondi” scrive Goffman. Le regole che definiscono
un gioco solo in parte funzionali allo svolgimento del game .

-perché alcune regole provengono dal contesto sociale e si infiltrano dentro le regole del
gioco.

- i giocatori costruiscono un mondo ludico ma questo mondo non è un luogo isolato,


autonomino e libero, ma in un contesto è condizionato dai modelli impliciti che sottostanno
alle regole.

Le regole, la loro natura, la loro trasformazione, l’intervento che i giocatori possono


compiere su di esse, rappresentano un altro tema di riflessione dal quale non si può
sfuggire. Le regole possono essere oggetto di osservazione e di analisi, ma sono anche di
‘affetti’. Lo sviluppo delle capacità relazionali, lo sviluppo della conoscenza di sé e del
proprio essere con gli altri, sono potenzialità da salvaguardare a da accrescere .

Le regole sono sempre presente quando c’è un gioco anche quando gioco in solitario.
Vygotskij proponga “l’inesistenza del gioco senza regole”, sappiamo che gioca solo non perdi
mai perché le regole lo aggiusta da sola. Nei giochi di tradizione infantile, le regole sono i
giocatori e parte del gioco viene dedicato alle discussioni in modo vivaci sulle regole. In
questo senso si capisce perché i giochi sportivi interessantissimi come Le barriere. Le
barriere sono in arbitrabili e incomprensibili per gli spettatori. Sono chi gioca capisce cosa
stia avvenendo e solo chi gioca fa arbitro degli eventi, complessi, che avvengono durante
la partita.
• https://www.youtube.com/watch?v=SFWhjqFkVEg

• In questo film impariamo che :

• I ragazzi più difficili nascondo un tesoro da valorizzare.

• Per educare questi ragazzi serve la capacità di unire la mente e il corpo insieme
attraverso il gioco per trovare un equilibro di tirare fuori le tesori che hanno dentro
come ha fatto Clément Mathieu, insegnante di musica , disoccupato e ammareggiato
che viene assunto come sorvegliante dell’Istituto del Fondo de l’etang (Fondo dello
stagno).

• Attraverso questo film possiamo imparare che il gioco all’aperto crea:


socializzazione, relazione frontale in un campo condivisi, la specificità del rapporto
in gioco, imitazione, competizione, controllo di sé e cura di sé, la governamentalità
sia della parte dei ragazzi anche da parte di istituzione .

• Molto evidente in questo film, la capacità di ragionamento critica e riflessiva di


maestro ad aiutato nella ricostruzione relazionale tra figlio e madre, perché il
maestro non lascia nulla a caso, riusciva accogliere l’opportunità di dare nome ai
ragazzi voci.

• Alla fine di concetto les Choristes, i ragazzi sono diventati un modello da seguire a
loro epoca, hanno aggiunto valori-etica nel loro istituto.

Joy Agbetosa

Per una prospettiva del gioco: la prospettiva socio-antropologica


(Daniela Sarsini)

Premesso che il ludus significa spontaneità giocosa (come afferma Caillois) perciò come
calcolo, pazienza e vittoria sugli ostacoli, dal punto di vista sociologico, il ludus e il gioco
hanno carattere universale (globale, uniforme) in quanto rappresentano la pura forma
(struttura) più elevata e raffinata della reciprocità individuale e della coesione sociale.
Nel 1917 Simmel analizzando Forme e giochi di società le relazioni che si stabiliscono tra
individuo e società precisa che la soggettività assume varie differenze (intellettuali,
sensibili, di comportamento) che ogni individuo ne è portatore mentre la società genera
uguaglianza come ad esempio la cultura di appartenenza e le tradizioni.
Il concetto di società in chiave sociologica deve essere studiata nei particolari contenuti
che le società hanno subìto nel tempo, nello spazio in tutte le sue dimensioni unitarie che
secondo Simmel sono: la reciprocità, la compartecipazione, il comune sentire come senso di
appartenenza e di partecipazione consapevole ad aspettative comuni, termini che lo stesso
autore li definisce "socievolezza" intesa come superiore esistenza sociale, razionalità
significativa e simbolica sotto un'unica forma dove si dà regole e obiettivi propri, autonomi
e autosufficienti.
Secondo Caillois il gioco ha scopi e funzioni incompatibili con la quotidianità.

Struttura del gioco e della società


Huizinga sosteneva che la cultura proviene dal gioco per tre motivi:
1) comprende in se tutte le manifestazioni che caratterizzano la cultura (fantasia,
invenzioni, ricerca);
2) giochi e giocattoli cambiano i loro significati e funzioni in rapporto ai mutamenti
culturali
3) l'esperienza ludica è comune a tutti gli uomini, a tutte le culture nei vari processi.
Lo spirito del gioco è essenziale alla cultura, trae da questa alimento e forme di
riproduzione rispondendo a una dinamica interna. Dinamica che è espressione delle
dimensioni umane (del soggetto e della comunità) assumendo una forma pura, meta (oltre)
perché tutte le combinazioni della vita si manifestano nelle loro idealità universale.
L'aspetto della collaborazione è innato e assume il bisogno dell'altro per condividere finalità
ludiche. Alla competizione, alla violenza e all'aggressività che dominano il "mondo reale"si
affianca uno spirito di ricerca, di ascolto e di attenzione verso l'altro che non è più l'altro
da battere ma è il compagno da coinvolgere in un compito comune, con il quale costruire
uno "spazio di socialità".
Nei giochi di collaborazione, dice Staccioli "collaborare risponde all'esigenza di sentirsi
uniti all'altro, di prendere e dare confidenza, di ricevere ed ottenere aiuto, di poter accettare
e di essere accettati" (1998, p.91).
Parlebas (1981) precisa che ci sono varie forme di reciprocità, esse non hanno una specifica
struttura perché sono mutevoli, stabili e instabili, esclusive o ambivalenti.
Per quanto riguarda l'adesione alle regole del gioco, all'utilizzo del tempo e dello spazio e
alle modalità di partecipazione, questi aspetti implicano nozoni di totalità e libertà, di limite
e di convergenze ideali, di universo regolato e di predominanza del magico.
Rispetto alle regole, il gioco ha la funzione di sottomettere a convenzioni che "sospendono
le leggi ordinarie e instaurano momentaneamente una legislazione nuova che è la sola a
contare".
(Caillois, 1995) e norma il comportamento dei giocatori sulla base di un contratto di lealtà
e di uguaglianza condiviso.
Il soggetto si fa produttore di una nuova cultura che tenta di rompere i vincoli dell'ordinario
per attivare una socialità diversa che nonvva oltre i limiti del gioco stesso.
Regole del gioco e il gioco delle regole fissano, da una parte la norma come qualcosa di
oggettivo e durevole, fondamento della complicità simpatetica e attenta dei partner, e
dall'altra liberano la volontà del soggetto nell'adottare la norma a proprio vantaggio.
Le norme, le relazioni, le convenzioni e le forme simboliche del ludico manifestano la loro
natura contrattuale e una socialità che non ricalca la vita collettiva ma la riconfigura
secondo processi che costituiscono la premessa e la riscrittura di un agire collettivo nel
quale l'attore occupa uno spazio centrale.
Il gioco mostra i limiti di un modello di società troppo sbilanciato sul potere del mercato,
della tecnica e dei media e poco centrato sui valori dell'humanitas e della solidarietà.

L'apporto meta-interpretativo dell'antropologia al gioco


La presenza continua del ludico nelle attivtà umane e il suo presentarsi in una molteplicità
di forme che vanno dal rito alla danza alla lettura e altro, conducono molti antropologi a
ricercare origini, usanze e credenze per spiegare tali evoluzioni decaduti con il mutare dei
costumi.
Nel '900 a partire da Malinowski (1931) si ha una diversa sensibilità verso l'aspetto ludico
sottoposta a scarti, innovazioni e mutamenti che il gioco esplicita.
La capacità del gioco di denotare significati impliciti nei comportamenti sta nella forza e
nella natura meta-simbolica che ha consentito di trasformare il costume individuale e
sociale.
Facendo riferimento ad un esempio condotto da Bateson con delle scimmie, egli rivela che
usando azioni e segnali simili ma non identici al combattimento stesso, è necessaria la
meta-comunicazione per comprendere questi segnali per riconoscerli come gioco, per cui
solo mediante una competenza meta-simbolica è possibile comprendere che "le azioni che
in questo momento stiamo compiendo non denotano ciò che denoterebbero le azioni per
cui esse stanno" (1976).
La svolta interpretativa del gioco in antropologia avviene negli anni '80 quando Bateson,
Berger e Luckmann, Goffman e Geertz riscoprono la dimensione empirica della ricerca
sociale ed elaborano un nuovo concetto di cultura, con taglio problematico e relazionale,
riletta in chiave meta-interpretativa, cioè come interpretazione dell'interpretazione che una
società costruisce di se stessa.
L'interpretazione della dinamica del gioco, si colloca ad un livello meta, cioè a un livello
interpretativo delle forme gerarchiche come costruzione dell'esistenza collettiva e della
semantica socio-individuale.
La lettura meta-simbolica e meta-cognitiva mette in luce la forza strutturante delle forme
simboliche nella costruzione identitaria individuale e collettiva.
Riti, giochi e le forme simboliche, mentre creano senso di appartenenza e di
comunicazione, costruiscono e danno forza all'intimità del soggetto che si forma e
trasforma.
Il gioco se proposto in forma "profonda", ovvero come comunicazione delle esperienze
soggettive come narrazioni genealogiche delle situazioni collettive, costituiscono uno
strumento educativo indispensabile per rendere comprensibile e significativa l'esperienza
quotidiana e per presentarla in termini di azioni e di oggetti le cui conseguenze pratiche
sono state rimosse perché innalzate ad un livello meta e delle quali è possibile cogliere il
significato latente senza un risvolto immediato nella vita dei partecipanti.

Sara Montagnani

Il gioco fra reale e virtuale


(Luca Giuliano)

1 Labirinti
Tra le molte interpretazioni date ai labirinti ricordiamo quello di Santarcangeli che si
richiama al suffisso -inda per definire i giochi dei bambini.
L'etimologia(la disciplina che studia le origini e la derivazione delle parole di una lingua)
restituisce il labirinto all'enigma (discorso oscuro) della narrazione, alla creazione di un
mondo artificiale che si affianca al mondo naturale.
Il labirinto è un luogo di ostacoli e di smarrimenti; è un'apparenza che crea una rete di
inganni e di illusioni. Il labirinto appartiene all'ordine dei mondi possibili che sono
creazioni dell'intelletto umano, e può avere una forma (muri, stanze, corridoi) o no (dubbi,
indecisioni, scelte).
Il labirinto nella metafora di Borges è una condizione mentale, il punto di incontro di
nozioni quali realtà, virtualità e illusione.

2 Reale e virtuale
La fantasmagoria di Ligeja viene descirtta da Poe in un racconto emozionante in cui la
volontà di esistere riesce a ingannare la Morte e a trionfare su di essa.
Si tratta di una metamorfosi, effetto ottico diffuso nel XVII-XVIII secolo che permette di
realizzare delle immagini che cambiano muovendosi verso o intorno ad esse.
All'inganno dei sensi, al fine di dare una rappresentazione verosimile del mondo si
sostituisce l'invenzione di un mondo inverosimile al quale i sensi attribuiscono
un'apparenza della realtà.
L'anamorfosi presenta alcune caratteristiche: rivela esplicitamente il suo artificio; per
manifestare il suo soggetto, richiede una partecipazione attiva dell'osservatore; è una delle
anticipazioni più esplicite della "realtà virtuale" contemporanea, è più di una
rappresentazione perché richiede l'impegno del corpo e delle sue facoltà percettive. E' una
tecnica interattiva che invita l'osservatore a farsi attore e a risolvere l'enigma sperando la
soglia ingannevole della rappresentazione per accedere volontariamente all'inganno della
simulazione.
Il "reale" è associato a ciò che è tangibile, dotato di materialità, dominio del vero; mentre il
"virtuale" appare in una luce illusoria come qualcosa di immateriale ed è connotato al falso.
Negli anni '70 l'IBM introdusse il termine "memoria virtuale" come concetto nell'ambito
della gestione della memoria nei grandi computer (mainframe); questa era uno stato della
memoria di elaborazione (memoria veloce) che utilizzava un artificio per ottimizzare lo
scambio tra di essa e la memoria di conservazione dei dati (memoria lenta).

3 Gioco e ambienti virtuali


Artificio e convenzioni sono alla base delle attività ludiche. Attraverso il gioco si esplora, si
ricombina e si ristruttura ciò che la nostra cultura definisce come realtà. Il gioco è un
insieme di forme, tecniche e convenzioni che permettano di raccontare una storia (Wilson,
1990).
Ogni storia è l'attualizzazione di un mondo possibile. Essi sono degli artefatti, costruiti
dall'uomo attraverso il linguaggio e traggono origine da pulsioni affettive, bisogni di
conoscenza e giudizi di valore. Alcuni mondi sono il prodotto delle relazioni interpersonali
e delle interpretazioni che noi diamo di esse.
Altri sono modelli cognitivi che permettono di fare delle asserzioni sul mondo, si sviluppano
narrazioni che sono sottoposte al vaglio della falsificazione scientifica e al vincolo
dell'adattamento al mondo delle nostre esperienze. Altre ancora sono il prodotto delle
nostre scelte di valore che risponde al valore più alto.
Ma vi possono essere mondi la cui esistenza è il prodotto di attività estetiche: poesia,
musica, lettura. Sono i modni possibili della fiction che esistono solo grazie alla volontà e
al piacere di credere, sono il prodotto dell'immaginazione.
Il gioco non si limita a una rappresentazione del mondo possibile, a mostrare com'è ciò che
non è, ma evoca una simulazione del mondo possibile, ci chiede di agire all'interno di esso
con i nostri sensi al fine di riprodurre com'è iò che non è fino a "far credere che ciò che non
esiste esiste".
I mondi possibili del gioco sono:
1) Labirinti agonistici: il giocatore entra accettandone la sfida al fine di scegliere
l'enigma, per vincere, per dimostrare a se stesso che, in condizioni di eguaglianza
delle opportunità egli sarà in grado con le sue abilità di sconfiggere l'avversario e di
imporre sul modnno la propria razionalità.
2) Labirinti aleatori: le regole creano condizioni di uguaglianza che permettono a
giocatore di sottomettersi all'arbitrio del caso e di sfidare il detino.
3) Labirinti della vertigine: il giocatore si abbandona allo smarrimento per sottomettere
la volontà all'emozione o per costringere l'emozione a subire le regole della volontà.
4) Labirinti della mimesi: il giocatore si abbandona all'inganno e all'illusione per il
paicere di assumere uno stato diverso nel mondo.

4 Il gioco di ruolo come fantasia socialmente condivisa


L'esperienza di immergersi con un proprio personaggio in un mondo prodotto dalla fantasia
e di viverne all'interno delle avventure come l'eroe protagonista di un romanzo nasce nel
1974 quando viene dato alle stampe il regolamento di Dungeons&Dragons, di Gygaxe
Arneson,noto con la siglia D&D.
I fondamenti generali del nascente gioco di ruolo erano: un narratore in gradi di controllare
l'ambiente, regolare gl iobiettivi divergenti e applicare le regole: un gruppo di giocatori in
cui ciascuno interpreta un singolo personaggio.
Ciò che caratterizza il gioco di ruolo e la sua portata innovativa, è l'interattività (necessaria
in qualsiasi ambiente) e la costruzione di un immaginario condiviso sotto la guida di un
narratore che rappresenta la continuità della narrazione stessa, l'entità collettiva della
comunità dei giocanti che esprimono la volontà di dare una coerenza alle loro azioni, di
attribuire un senso alle loro inter-azioni.
Il linguaggio delle regole permette la costruzione di un immaginario collettivo condiviso;
possono essere più o meno complesse secondo il grado di simulazione che i giocatori hanno
propoto o secondo lo stile del narratore;
Il narratore presenta il punto di mediazione tra l'ambiente e i personaggi, tra lo spazio di
simulazione e lo spazio dell'intepretazione, tra il game e il play.
Il narratore nel processo di interazione, diventa il "luogo sociale" in cui la fantasia di
ciascuno si confronta e si incontra con quella degli altri per diventare condivisa.
L'autore di un testo finzioanle letterario scrive delle istruzioni per un lettore, affinché
questo possa procedere alla ricostruzione del mondo fino a farlo proprio e integrarlo nella
propria esperienza.
Il narratore di un gioco di ruolo invece è l'autore di un'opera aperta che ha larghi margini
di indeterminatezza, sia nella definizione degli elementi che compongono il mondo, che
dello svolgimento degli eventi fino alla sua conclusione.

5 La fiction interattiva
I personal computer muovono i primi passi quando appaiono sul mercato e nascono le
reti informatiche.
Tutto inizia da Adventure di Crowther e Woods, un programma scritto con linguaggio
Fortran a metà anni '70 che si diffuse principalmente nelle università americane su
computer mainframe collegati alla rete Arpanet (rete internet).
La narrazione è generata da un programma in cui il giocatore esercita delle scelte il base
alle opzioni che gli vengono date al termine di ogni "blocco" di testo.
Il vocabolario dell'avventura si chiama "parser"comprende verbi e aggettivi. Attraverso la
costruzione di nuovi giochi si rinnova la grafica ed altri stili.
In Italia la fiction interattiva è stata prodotta introdotta da Colombini e Tovena, con
Avventura nel Castello, primo adventure in italiano pubblicato nel 1982.
The black Cauldron (1987) sostituisce l'interfaccia a input testuale con un set di comandi
da selezionare che anticipano gli sviluppi successivi del "punta-e-clicca" che dagli anni '90
sarà la strada più seguita dagli sviluppatori.
Con l'avvento di computer più sofisticati, le case produttrici puntarono più sulla grafica,
sulla ricostruzione tridimensionale degli ambienti e sul suono.

6 Gli ambienti sociali digitali


La navigazione o esplorazione dello spazio virtuale condiviso è una caratteristic del MUD
(Multi-User Dimension o Multi-User Dungeons) un programma che crea un ambiente
virtuale, basato su messaggi di testo, reso accessibile su Internet cioè tramite un protocollo
di comunicazione con il quale un utente entra in collegamento con un computer ospitante.
Il MUD è una chat che permette di muoversi tra i canali collegati tra loro da "porte" fino a
costruire uno spazio esplorabile.
Le avventure testuali non richiedono la creazione di un personaggio, mentre viene chiesto
a un utente come giocatore di creare il proprio personaggio. Ciò che attira un MUD è la
possibilità di diventare "autori di se stessi" e di costruire delle nuove identità attraverso
l'interazione sociale.
L'Habitat è stato il primo tentativo di creare un ambiente per l'interazione sociale su rete
informatica accessibile all'utenza privata e non specializzata.
In qusto cyberspazio condiviso gli utenti avevano la possibilità di comunicare, vivere delle
avventure, risolvere enigmi, innamorarsi, fare affari ecc..

7 I giochi di ruolo online


Ultima Online nel 1997 apre una nuova stagione per i giochi di ruolo in rete. Ultima era
un computer role playing game ideato da Garriott. La serie ultima era dotata di una grafica
isometrica adatta al gioco di esplorazione fino ad arrivare alla creazione di un nuovo
acronimo MMORPG (Massive Multiplayer Online Role Playing Game). Essi portano in rete
la grafica e il senso di immersione nel mondo suggerito dai videogiochi più popolari. Alla
interattività con il computer si aggiunge l'interazione con gli altri giocatori.
Ultima Online aveva tentato di sviluppare un gioco più evoluto, come una vera e propria
società virtuale, con gerarchie sociali, organizzazioni comunitarie e un sistema economico.
Il sistema di gioco PvP (Player vs Player), in cui i personaggi dei giocatori possono sfidarsi
tra loro, tende a generare aggressività scoraggiando la cooperazione tra giocatori.
In alcuni MMORPG come in Everquest, gli sviluppatori hanno previsto il sistema P vs E
(Player vs Environments/Monsters) in cui i personaggi dei giocatori sono spinti a
confrontarsi solo con le difficoltà poste dall'ambiente del gioco stesso (mostri o altro).
Inoltre i MMORPG suggeriscono l'idea dell'esplorazione e della scoperta, caratteristica
propria degli ambienti virtuali, configurazioni potenziali di eventi che si attualizzano in
risposta alle sollecitazioni dell'utente e che portano i mondi virtuali del gioco a coincidere
sempre più coi mondi sociali virtuali come ad esempio Second Life.

Sara Montagnani

III. PER UNA DIDATTICA DEL GIOCO

Infanzia e gioco
(Emma Baumgartner)

Il tempo del gioco


Il gioco compare nell'esperienza umana sin dalla sua nascita.
Eraclito raffigura Aion, il tempo, come un bambino che gioca con i dadi e definisce "regno
di bimbo" la dimensione rappresentata dal gioco. Nei testi omerici la parola Aion cambia
significato divenendo forza vitale e duratura.
I bambini diventano maestri nello slalom quotidiano cui spesso li costringiamo a fare altre
attività e ridurre il tempo di gioco e sono abili nel liberare tempo per il gioco, anche quando
sono costretti ad altre occupazioni.
Frigerio (2006) osserva che temiamo lasciare troppo tempo libero, distragga o annoi o renda
passivi i bambini addormentando le loro energie.
Nel 1946 a Budaperst a Loczy fu fondato un Istituto che accoglieva neonati abbandonati e
che adottò la lentezza, la pratica di dare ai bambini tutto il tempo di cui avevano bisogno
come principio educativo originale e caratterizzante di tale esperienza.
"Datemi tempo" è un volume dedicato all'Istituto sintetizzando efficacemtne la filosofia
educativa che ha ispirato l'azione delle psicologhe e delle educatrici dell'Istituto: ai bambini
veniva lasciata la totale libertà motoria, dedicando massima attenzione alla relazione
adulto-bambino. La regola principale era quella di non anticipare mai lo sviluppo, forzando
il bambino ad assumere posizioni non autonomamente raggiunte e controllate.
Spesso i bambini di oggi sono rincorsi dagli adulti, le tappe devono essere raggiunte in
tempi ristretti: prima il bambino si adegua alla vita dell'adulto, meglio è.
Goldschiemed (2006) mette in guardia da un eccesso di idealizzazione delle funzioni
evolutive del gioco, nel senso che non è stato provato che il gioco intensifichi lo sviluppo
del linguaggio, dell'apprendimento o il saper fare sociale. Si tratta di dare maggiore valore
ad lcuni giochi rispetto ad altri, di creare situazioni nelle quali i bambini possono scegliere
e concentrarsi su una attività piuttosto che passare senza scopo da una cosa all'altra. Si
tratta di garantire loro un tempo per giocare, senza interferenze preoccupandosi
ugualmente di assicurare spazi e tempi per altre esperienze, in primo luogo l'attenzione e
l'interesse degli adulti.

2 Gioco e sviluppo: le teorie classiche


L'attività ludica è proposta come un contesto dove esaminare specifici problemi evolutivi
riguardanti altri ambiti di sviluppo, quali l'acquisizione del genere, il rapporto con il
linguaggio, la competenza sociale. Vari autori che studiano il bambino in relazione al gioco
(e alla sua importanza/funzione) sono:
Piaget: individua un collegamento tra fenomeni apparentemente distanti fra loro, quali il
gioco simbolico, l'imitazione differita e il linguaggio: ciò che li accomuna è la funzione
simbolica ovvero la capacità di rappresentare la realtà simbolicamente.
Il gioco di finzione costituisce la palestra nella quale il bambino affina le proprie capacità
simboliche, prima di misurarsi con il linguaggio.
Vygotskij :(1996) afferma che il gioco permette al bambino di affrontare la tensione tra i
suoi desideri e l'impossibilità di soddisfarli immediatamente. La realtà immaginaria è puro
pensiero; il gioco rappresenta quaindi una fase di transizione nel processo di separazione
del significato dell'oggetto reale. Il gioco collegandosi nell'ambito del possibile apre una
zona di "sviluppo prossimale".
Winnicott : parla di bambini "perduti" nel gioco e definisce lo spazio-tempo del giocare
"un'area che non può essere facilmente lasciata e che non ammette intrusioni". L'autore
approda alla Teoria del gioco attraverso lo studio degli oggetti transizionali che permettono
ai bambini di affrontare sentimenti di ansia connessi alla separazione.
Mead: (1934) analizza il gioco come una delle condizioni sociali al cui interno emerge il Sé;
l'autrice fa riferimento al gioco simbolico e ai processi di assunzione di ruolo. Giocando, il
bambino si confronta con gli altri e identifica le differenze e le somiglianze: due sono i
processi
socio-cognitivi implicati nel gioco simbolico: assunzione di ruolo e assunzione di
prospettiva.
Si crea un processo di azione e reazione attraverso il quale si consolidano le nozioni di Sé
e degli Altri: il Sè rappresenta il centro delle varie prospettive e la funzione che svolge è
quello di dare senso ai diversi ruoli e scenari immaginari che si creano.
Bateson: (1972) individua nel gioco una specie di palestra per l'esercizio delle abilità
metacomunicative. Alla base del gioco stà un paradosso in ragione del quale tutti i
messaggi scambiati all'interno della cornice comunicativa creata nel gioco non
corrispondono al vero. Il bambino giocando impara l'arte sottile della metacomunicazione,
che utilizzerà anche in contesti diversi e distanti dal gioco.

Gioco e sviluppo. Le teorie più recenti


Secondo gli studi delle Teorie della Mente infantili, dai due ai quattro anni il bambino
piccolo acquisisce la capacità di "pensare il pensiero", ovvero di immaginare la propria e
altrui mente.
Lillard (1994) definisce la finzione sulla base di sei caratteristiche. E' necessario un
soggetto che "faccia finta di", deve esistere una situazione reale da contrastare con una
fittizia e colui che finge deve farsi una rappresentazione mentale dello scenario per finta:
la finzione è consapevole e intenzionale; solo i bambini più grandi si rendono conto che
"fare finta di" significa avere una rappresentazione mentale di qualcosa. Questa fase
consente al bambino di immaginare, costruirsi un mondo originale di esperienza mentale.
Leslie (2002) osserva che il gioco di finzione rappresenta la prima manifestazione
dell'abilità tipicamente umana di manipolare stati mentali. Il sistema cognitivo è in grado
di produrre e di separare le rappresentazioni primarie corrette della realtà, e le
rappresentazioni secondarie, quali sono gli stati mentali che indicano atteggiamenti,
attitudini verso la realtà effettiva. La finzione è uno stato soggettivo, rappresentazionale,
mentalistico.
Il bambino è capace di credenze solitarie, ma non è in grado di riconoscere le proprie e
altrui credenze, in quanto stati mentali.
Per far si che il bambino acquisisca la natura rappresentazionale deve operare un processo
di selezione e inibizione delle informazioni per avere successo nei compiti di falsa credenza,
il bambino deve selezionare l'ipotesi corretta, dopo aver imparato ad inibire la propria
credenza.

Sara Montagnani

I giochi vanno a scuola


(Gianfranco Staccioli)

1. Tre tipi di giochi


Interessante è ricordare la storia dell'educazione e dell'istruzione seguendo il filo del gioco
e dei giocattoli usati come mezzi di apprendimento oppure rileggere i testi pedagogici che
fanno una breve spiegazione al ruolo del gioco e che lo considerano come attività
preparatoria alla vita adulta anche in relazione con il ruolo sociale dato a ciascuno.
Inizialmente la chiesa ufficiale nega il gioco (nel IV secolo Crisostomo predicava: "Non enim
Deus id dat ut ludamus, sed diabolus ( non è Dio che ci permette di giocare, ma il diavolo),
su un altro versante troviamo "San Girolamo (347-420 d.C) che ci racconta come le sue
figlie imparavano tutto giocando, pure a leggere e a scrivere.
Il dibattito sull'utilità o meno sul gioco prende forma in Occidente a partire dal 1300 dove
iniziarono a diffondersi le attività ludiche nelle città e nelle campagne in relazione alla
scoperta di una dimensione comune più terrena, corporea, festiva, materiale e spirituale.
A ciò si oppone la Chiesa cattolica cercando di negare completamente il gioco definendo
poi dei compromessi possibili.
A Firenze durante durante una predica nel 1424 aveva indicato nel gioco l'undicesimo
peccato accostandolo al più grande dei peccati dell'uomo contro Dio, la blasfemia (in nullo
peccato ita blasfemat peccator Deum suum creatorem quam in ludo). Fra tutti i giochi il
Gioco d'Azzardo provoca maggiore avversione perché viene considerato come furto
continuto da un cattivo esempio ai giovani, produce violenza ecc...

I legislatori fra il XII e il XIV distinguano i giochi in tre gruppi:


1) il primo riguarda le pratiche basate sull'intelligenza (ex ludus scachorum) che
vengono quasi sempre autorizzate; Cessolis scrisse De Ludo scachorum, libro di
morale contenente ammaestramenti spirituali;
2) Il secondo gruppo comprende le pratiche aleatorie (come i giochi dei dadi tipo zara,
ludus taxillo cum:gnaffum, gregastum).Giochi dove prevale il caso e la
scommessa.Vengono previste negli statuti comunali delle regolamentazioni.
3) Pratiche poco pericolose, giochi misti, praticalmente aleatori (giochi delle tavole) che
prevedono l'uso dei dadi e di una strategia da costruire da parte del giocatore. Il più
famoso è il Ludus Duodecim Scriptorum. Molti di questi giochi saranno accolti dalle
classi nobili e dalle classi emergenti e diventeranno uno status simbol di
nobiltà,raffinatezza e cultura aprendo la strada alle pratiche ludico adestrative nella
educazione dei giovni e delle ragazze.

I giochi vanno ascuola


Nel 400 la Chiesa offre dignità al gioco e dichiara che un buon gioco è"sollazzo del corpo e
della mente e dell'anima"(a condizione) che non dispiacesse a Dio e che educasse alla virtù
e alla rieducazione.
Da Feltre (1377-1460) nella sua "Scuola giocosa"di Mantova oltre alle attività ludico-
corporea preponeva anche un alfabeto figurato per imparare a leggere e a scrivere.Le carte
iniziano un percorso legato alla didattica e all'educazione in genere.
Nel 500 europeo le istituzioni che riconoscono il gioco sono principalmente quelle religiose
(collegi dei gesuiti) o le Accademie ( dove la borghesia poteva esercitare le critiche più
svariate al potere).Il ludus licitus che corrispondeva a rappresentazioni teatrali sacre si
aggiungevano il gioco, le capacità ela ricreazione.
Le carte educative che esistevano già nel 400 venivano usate da alcuni precettori
nell'istruzione dei giovani delle classi agiate e i tarocchi esistente a Firenze già nel 1300
dette (carticellas o naibes o minchiate)diventarono uno strumento educativo. Le carte di
Murnersono anche un esempio di "Ars menorativa"che è un arte che si trova in vari trattati
nel 400; Fra i giochi di intelligenza ricordiamo il gioco matematico più conosciuto nel 500,
che era la Rithmomachia, che con a Metomachia (1563) rappresentavano un modelo alto
di apprendimento e di uso nella matematica attraverso il gioco.spesso sono uno scontro
simmetrico fra due giocatori, un duello "asomma nulla".Nel 500 nasce il gioco più famoso
e diffuso nelle istruzioni scolastiche il gioco dell'Oca

3 Il gioco nella didattica


L'arrivo del gioco nella didattica ha concetti significativi che si affermano sempre di più:
1.L 'uomo gioca a tutto come nella favola del Sercambi (1374).Nell'educazione di
Gargantua (1532) ricorda più di 200 giochi che si caratterizzano per alea,
intelligenza o misti.
2 ) Il gioco infantile è conosciuto come elemento notevole nella crescita dei ambini.
Esso giocavano indipendentemente dall'educazione. La scoperta del bambino giocante è
ben rappresentato da Bruegel (1525-1569) nei giochi di bimbi (1560):nel nel 1585 e Be
stampa fa 36 figure di giochi infantili.
3) Il gioco viene usato per la formazione dei gentiluomini.Castiglione (1478-1528)
presenta nel 1528 alla Corte di Urbino il libro di Gentiluomo punto di
riferimentonella formazione dei giovani.
4) 'inevitabilità del gioco, il riconoscimento del gioco nell'infanziae l'uso del gioco per
l'educazione degli adulti conducano ad una utilizzazione consapevole del gioco nei
collegi e nell'istruzioni educative
La didattica è legata agli apprendimenti, può essere considerata in senso stretto (specifico
contesto) o in senso ampio (modello di vita).
Nel collegio francese della Trinità, Jouveny., nella seconda metà del 600 insegnava la
Manière d' apprendere et aussi d'enseignier utilizzando rebus ed enigm.
Nel 1767 nascono i primi giochi dell'alfabeto come il gioco delle spine che diventano rose.
Nel 1730 Dumas presenta l'ufficio tipografico.
Il testo di didattica più conosciuto nel 700 è nuove ricreazioni fisiche e matematiche di
Gioyot (1769). Si tratta di uno dei testi di "fisica divertente".

4 Conclusioni
Gli elementi che possano caratterizzare una didattica ludica possiamo saperla rispondendo
a 5 domande:
1) Quale tipo di gioco? Tutti tipi di giochi sono utili e interessanti;
2) Come si deve giocare? Il gioco deve avere un senso per chi gioca, Vives diceva che
gli allievi dovrebbero imparare a vincere a perdere con naturalezza;
3) Con chi giocare? Le regole richiedano la necessità di mettere in atto situazioni
ludiche e la seconda è che si deve giocare in poche pesone alla volta;
4) Quale è il momento più adatto per giocare? Se il contesto scolastico riconosce come
"ricreative" le attività legate all'apprendimento, il gioco didattico cade ed il momento
di gioco diventa diffuso in tutto il tempo scolastico;
5) Quanto tempo deve durare il gioco? Se il gioco diventa quotidiano, se le attività
relative alla scuola si sviluppano secondo ritmi e spai che corrispondono alle
esigenze degli individui, allora non c'è un tempo di gioco.

Sara Montagnani

Il giocattolo nell’era Postindustriale


(Romina Nesti)

Il gioco accompagna la vita dell'uomo dalla nascita sino alla morte, si gioca con il corpo,
con il linguaggio, con gli altri strumenti ed è in relazione sia con la società sia con la cultura
nella quale si sviluppa.
Poco conosciuta è la storia, lutilizzo e lo sviluppo del giocattolo. Nell'Enciclopedia italiana
redatto da Farné la voce "giocattolo" assume vierie connotazioni, significati, definizioni,
concettualizzazzioni ed elaborazioni teoriche derivanti da più ambiti di studio.
Farné evidenzia il rapporto che lega il binomio gioco/giocattolo, dove il gioco viene
considerato un "campo di attivazione o modalità di interazione che può comprendere l'uso
di giocattoli".
Il ter mine giocattolo si articola attraverso due serie di tipologie di oggetti : una che
comprende gl ioggetti creati appositamente dall'adulto per il gioco infantile: una bambola,
soldatini assumono significati e valori ludici diversi a seconda del campo di relazione, di
regole ed attribuzioni di senso che caratterizzano un certo gioco.
Alla seconda categori appartengono oggetti che divengono giocattoli, ma no sono
orginariamente tali (bottone, molletta..). Entrambi le categorie ci mostrano come il
giocattolo svolga un compito che fa da tramite, intermediazione tra il bambino e il mondo
e come attraverso questo mezzo il bambino e l'adulto esprime emozioni, problemi e stati
d'animo.
I giocattoli svolgono un'azione di tipo omologante e permettono la trasmissione dei ruoli e
delle regole sociali necessarie per vivere e integrarsi nella società. Il giocattolo, come luogo
di riproduzione dei ruoli sociali appare evidente ad esempio quando pensiamo alla divisione
dei giochi per genere sessuale.

1 Il giocattolo: una storia che nasce con l'uomo


Scavi archeologici e ricerca ntropologica hanno mostrato come i giocattoli fanno parte della
storia, dell'uomo e della civiltà umana. La bambola puà essere un esempio illuminante
della natività del giocattolo nella storia della civiltà, appartiene a tutte le culture e tempi.
Una volta perso il significato mitico-religioso, la bambola diventa il gioco di eccellenza delle
bambine.
Le fonti iconografiche e letterarie spesso rappresentano gioci e giocattoli appartenenti ad
un ceto sociale elevato. Dal Medioevo al 700 si vedrà uno sviluppo del giocattolo artigianale,
anche se il suo ocmmercio fino al 1800 avveniva tramite le fiere e i mercati popolari dove
si trovavano bambole di poco pregio e giocattoli di legno. I giochi dei ceti alti sono delle
opere d'arte dove i bambini potevano giocare solo in presenza dell'adulto e che svolgono
funzioni più di tipo educativo che ludico. Nell'800 si inizia a vedere la produzione del
giocattolo per far fronte ad una aumentata attenzione all'infanzia e per la possibilità di
utilizzare nuovi materiali e tecniche di produzione. In Italia, la produzione del giocattolo è
bassa ed è racchiuso in ambiti artigianali e in e in piccole fabbriche ad induzione familiare.
Il 900 vedrà la nascita del giocattolo di massa, dell'affrmazione definitiva dell'industria del
giocattolo come settore produttivo e l creazione di nuovi giocattoli legati alla tecnologia e
conquiste sociali.

2 IL 900: Secolo del giocattolo


Il primo giocattolo considerato di massa è Teddy Bear, lì'orsachiotto che rappresenta uno
dei giochi più amati e venduti. Fu il primo tentativo riuscito di unire all'idea di giocattolo
come necessario per lo sviluppo dell'infanzia. Le tecniche della promozione e della pbblicità
furono legate solo negli oggetti indirizzati agl iadulti.
I giocattoli divengono esempi e simboli della modernità .Il mercato del giocattolo diviene
industriale alla portata di tutti, si riconoscono capacità educative importanti legate allo
sviluppo armonico del bambino.
Il più grande cambiamento del mondo dei giocattoli è la Barbie famosa bambola, la prima
fashion doll (bambola alla moda) alla quale le bambini si ispirano.
La Barbie rappresenta la vera società industriale e postindustriale. Poi l'importanza della
pubblicità, il potere del merchandising. Un tentativo di imitazione sono le Bratz, bambole
adolescenti alla moda. Tale cambiamento è legato alla nascita e allo sviluppo di programmi
televisivi dedicati ai bambini e alla diffusione dei cartoons.
Esempio interessante di giocattoli provenienti dal mondo televisivo sono i Robot i quali
hanno dato vita al collezionismo.
Il merchadising trova nel giocattolo un terreno fertile, come ad esempio a come i personaggi
di film appaiono sulle scatole dei giocattoli da costruire divenendo giocattoli essi stessi,
pupazi e altri giochi come ad esempio i personaggi Disney, Harry Potter e Pirati dei caraibi.
Si sono venuti a creare due correnti culturali: la prima è quella che riguarda al giocattolo
come luogo di "addestramento" alla società ipertecnologica del futuro, che accoglie giochi
più complessi; la seconda corrente propone la riscoperta dei giocattoli di una volta e dei
materiali naturali, spingendo nell'acquisto di giochi o altri prodotti naturali.

3 La nascita della cultura della simulazione: i videogiochi


La storia del videogioco sta tra la realtà e la leggenda. La nascita del primo gioco nacque
nei laboratori dei MIT nel 1962 da ricercatori nei quali lavoravano sul PDP -1, una delle
prime macchine informatiche. Da una demo dimostrativa "ambientata" nello spazio nasce
il primo videogioco. Nel 1971 viene prodotto il primo videogioco gettoni con il susseguirsi
di novità e altri produzioni e l'evolversi delle vecchie console ad esempio dal vecchio ATARI
alla nuov Playstation 3 alla nuova console da viaggio Game Boy.
La varietà dei giochi si distruibuiscon oin alvune categorie che richiedono capacità e abilità
dei vari tipi: gli "sparatutto", giochi di strategia e abilità, gli Sport Games, i Platform Games
e i Role Play Games e in fine i God Games. Le capacità necessarie vanno da quelle motorie
a quelle logiche e organizzative.
Un'evoluzione dei giochi si è avuta grazie alla diffusione di Internet. Due sono le categorie
principali dei giochi online diffusi: i MUD (Multi User Dounges) nati negli anni '80 e sono
programmi di avventure narrativa/testuali dove un giocatore poteva esplorare varie
ambientazioni e incontrare vari ostacoli da superare. I mmorpg (Massive Multiplayer
Online Role Play Games) sono nati negl ianni '90 con l'evoluzione dell'interfaccia da
testuale a grafica. Il divertimento nobile è un'altra componente di consoe portatili e legato
alla possibilit di giocare attraverso lìutilizzo di telefoni/cellulari i quali offrono giochi online
e offline.
Dal punto di vista culturale e intellettuale si sono schierati due fronti: gl iapocalittici che
vedono nel videogioco l'ultima generazione del pensiero umano e lo incolpano di generare
violenza, alienazione, dipendenza.. e gli integrati che vedono il videogioco come risorsa,
come luogo di apprendimento per familiarizzare con le tecnologie necessarie per vivere nel
mondo . I videogiochi modificano immaginazione dell'uomo, hanno permesso la diffusione
e la conoscenza delle tecnologie informatche, rendendo i soggetti più adatti alla realtà con
la quale interagiscono.

4 Riflessioni educative
I giocattoli prodotti in serie, bambole e soldati, non sono mai piaciute a edagogisti ed
educatori. I giochi e giocattoli fanno parte della vita dei bmbini e degli adulti come se essi
rappresentano meglio degli altri oggetti il contesto sociale, l'evoluzione sociale e culturale
e rappresentano valori e modelli he la società tramanda. Dobbiamo riflettere
sull'espropriazione ludica dell'infniza da part edel mercato e delle sue logiche, che ha
portato al giocattolo il conseguente gioco ad essere regolato dall'adulto limitandone
l'inventiva, creatività e la scoperta da parte del bambini. Bartolini ci ricorda che i giocattolo
serve all'adulto per disimpegnarsi da un rapporto col babino vissuto come troppo
defaticante; il giocattolo come baby-sitter.

Sara Montagnani

Gioco e felicità
(Franco Cambi)

1 La felicità: un'esperienza limite


La felicità è uno stato d'animo telos esistenziale, un concetto filosofico è un idea politico-
sociale. Nella cultura espressa dell'Homo sapiens sapiens la felicità ricopre un ruolo
rivelativo e regolativo, individuale, collettivoassegnandole un valore simbolico.
La storia della felicità è un richiamo alla sua presenza costante, e alla sua articolazione
come complicazione nello stesso sviluppo culturale.
Si parla di felicità nell'andamento diacronico(storico)facendo riferimento sin dgli antichi
greci che sottiliniavano il ruolo del "benessere"nella vita etica legato alla ricerca della
felicità e sincronico cioè attuale sottilineando anche la felicità che pone l'impossibilità
stessa di uno stato di felicità.
Secondo antichi autori come Epicuro, Senaca, Marco Aurelio l'etica antica richiama al
dovere verso sestesso della felicità e lega questa al dominio di se e alla coltivazione della
condizione in cui il vissuto si fa esperienza interiore regolata dalla richezza e dalla
temperanza.
Con il cristiaesimo la felicità è "vita beata" si sposta oltre il confine del tempo attiene
all'esperienza dell'oltre, alla felicità terrena viene data l'illusione e la condanna.
Nell'illuminesimo/ Rinascimento solleva una nuova lettura laica e costruttiva, come valore
per la vita individuale etraguardo per la vita collettiva.
Nel Moderno la nozione di felicità si disaggrega, si articola,si fenomenologizza rispetto
all'anthropos all'ethos alla polis.
Alla base sta l'esperienza di felicità di ognuno che generalmente avviene nell'infanzia ha il
suo impriting il suo momento vissuto partecipato.
Tra e forme del'esperienza infantile è il gioco,libero e spontaneo, individuale o di gruppo
che da evidenza e "mette in forma" il principio della felicità.
I caratteri che strutturano la felicità sono: la sospensione, l'autoriferimento,la ripetitività,la
tensione empatica,la pienezza. Essa va riconosciuta come esperienza sia come simbolo di
felicità.

2 La lucidità della felicità


La felicità si trova nelle sue condizioni di spaesamento nel reale di fruizione vissuta di
ludus.
Il gioco produce avvicinamento e fusione nutrita da empatia.Il ludus può essere un buon
viatico per entrre nella felicità per capirla e riprodurla.
L'atto del gioco codificato,regolato riapre nel suo disporsi nel tempo (come sospensione) nel
sociale (come condizione di comunità), nel soggetto (come gratificazione), l'esperienza
gioiosa di una libertà autonomamente impegnata e soddisfatta di sè.
C'è il nesso simbolico,empirico/vissuto, pre-monitore che ci portano alla felicità.
Il gioco è connesso al riso, atto fisiologico di soddisfazione e di benessere .
La pedagogia ha l'obbligo di teorizzare la formatività del gioco e il nesso tra soggetto e
lucidità, in un modo da dare corpo a una riflessione nel valore,persistenza,centralità
dell'attività ludica,di proporre e orientare spazi ad hoc l'esperienza del gioco
riconoscendone la capacità formativa.

3 La felicità nel giocare


Per rieducare il gioco dobbiamo scomporre i giochi spuri e standardizzati rilasciando giochi
liberi partecipati attivi riaffermando il ludus comeesplorazione,comunicazione aperta. Si è
cercato e si cerca di ristituire dignità al gioco spontaneo infantile e di rieducare ai giochi,al
gioco tradizionale.
Anche la scuola ha rilancato capacità di giocare-con-la-fantasia, di giocare-on-le-parole,
attivando processi di ideazione che valorizzano e stimolano il fantastico e il ludico.
Al di la dei vari giochi è necessario ritornare a favorire l'epserienza del giocare con inizitive
dotate di regole e di fantasia. Nell'età adulta il gioco va rilanciato e coltivato, come ricorda
Galli, riconoscendo la fondamentalità del gioco nelle varie culture e ci invita riattivarlo
come centro della vita individuale e sociale.
Gioco che divent multiforme, dal gioco sociale a quello di conversazione alla coltivazione
degli hobby.

4 Gioco, società e felicità


Nella cultura del moderno, al gioco è stato assegnato un ruolo più simbolico cioè quello di
farsi modello di una vita sociale più umano connessa a organizzazioni socio-politica capace
di rimettere al centro l'uomo e i suoibisogni più profondi e la logica del produrre e del
consumare in cui il gioco viene ridotto o fatto estraneo.
Fourier, nel suo mondo sociale di Armonia assegna un ruolo fondamentale al gioco sia nel
"movimento amoroso" sia nel vissuto individuale e sociale riducendo il tempo della fatica,
del lavoro e dando alla città una faccia armonica e gratificante connessa al ludus della vita
di comunicazione sociale.
In Marx le cose cambiano: il tempo libero si idstacca dal tempo di lavoro, facendosi tempo
di coltivazione umana di ciascuno: tempo di cultura, tempo di socializzazione
comunicativa, tempo di gioco...
E' stato Marcuse, nel suo Eros e Civiltà a valorizzare al massimo il gioco come paradigma
di una società necessaria per oltrepassare esclusioni che contrassegnano l'uomo
contemporaneo per portarlo più verso se stesso e verso attività umane più degne.
E' sul dove dovremmo andare che Marcuse, con gli altri autori, ci ha richiamati a tener
fisso lo sguardo,su un orizoznte di vita più nobile, umano, libero, fruitivo, erotico di cui il
ludus è criterio e l'annuncio.

Sara Montagnani

Potrebbero piacerti anche