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Ci sono state persone prima di me, che hanno discusso i contenuti del libro Testo Junkie, di allora

Beatriz, oggi Paul B. Preciado (la traduzione del titolo in italiano secondo me non rende bene), il
suo tema principale, ossia la questione dell’identità di genere, da un punto di vista sicuramente
più competente. Posso solo ri-sottolineare che, alla lettura di una teorica donna/eterosessuale,
l’aspetto che principalmente si evidenzia in questo libro è quello della fluidità di questa identità di
genere e, al di là o contro le alter-determinazioni identitarie (definizioni identitarie imposte) che
agiscono come veri e propri modelli di controllo sociale, l’importanza nell’auto-determinazione di
questa fluidità. (Preciado: in inglese, Post-identity drift) Essendo il risultato di costruzioni e
decostruzioni, di performance e di vere e proprie operazioni (nel senso scientifico e matematico
del termine) corporee, fisiche, tecno-chimiche, linguistiche, culturali, mediatiche, etc., l’identità è
in realtà sfumabile in un continuum di gradazioni, proprio come i colori; mentre viene
contemporaneamente catturata nelle rigide posizioni, ben determinate, di maschio/femmina,
uomo/donna, etero/gay, etc (come il bianco e il nero, riconoscibili pur senza davvero esistere). Se
l’identità è un continuum di gradazioni, non è detto, sembra suggerire Preciado, anzi è auspicabile,
che non ci soffermiamo (almeno non troppo) in una qualche posizione precisa. Così come, almeno
all’epoca della scrittura di questo testo, non intende soffermarvisi Paul B., che aspira
semplicemente a sentire, ad assumere su di sé, gli effetti trans-generici del testosterone (effetti
che fanno attraversare il continuum generico, più che passare da una identità all’altra: irsutismo,
modificazione del timbro vocale, accresciuta potenza muscolare e libido), senza appunto voler
sottostare alla determinazione identitaria del trans-genere come donna disfunzionale da un punto
di vista psico-corporeo e sessuale, e che quindi vuole diventare uomo. Che è poi un paradosso
filosofico: voler auto-determinarsi nel diritto all’in-determinato, o meglio al non-determinato. Mi è
piaciuto molto questo paradosso. Peccato che, come vediamo dall’articolo pubblicato più di
recente da Preciado sull’Internazionale, Paul B. abbia deciso infine di rispondere mitigando il
paradosso, quasi concludendo quel percorso con una rivendicazione di nome e pronome maschili
(il nome giusto, il nome vero, il nome scelto come appropriato). Un innegabile importantissimo
diritto, ma che sottrae fascinazione all’estetica del ‘trans’.

Tantomeno vorrei soffermarmi, almeno non troppo, sulla importanza indiscussa di questa figura.
Del suo percorso biografico e teorico, in una delle traiettorie di ricerca che sono fondamentali per
gli Studi Culturali: ossia gli studi sul sesso, la sessualità, o ancora meglio i cosiddetti gender (o post-
gender) studies. Le traiettorie, come stiamo vedendo in questa serie di incontri anti-fascisti, in
effetti si moltiplicano: fondante è per Mbembe e Da Silva il concetto di razza, la sua costruzione, la
sua labilità; fondante è per Preciado quello di genere, la sua costruzione, la sua labilità. E gli
approcci si alternano, nell’affermare come il proprio oggetto di studio sia (cito Preciado) ‘l’oggetto
principale dell’attività economica e politica’ di questa fase del tardo capitalismo; e che questo
oggetto di potere svolga quindi la funzione di modello per gli altri (Preciado vede ad esempio una
schiavitù economica fatta da chi eiacula e da chi facilita l’eiaculazione, oppure definisce come
farmacopornificazione, quello che per Mbembe era il divenire nero del mondo). Tra l’altro, a
Preciado va riconosciuto il merito di una consapevolezza (sicuramente breve, fulminea, ma non
per questo meno significativa), riguardo un’altra di queste traiettorie, che è stata quella per così
dire ‘primaria’, alle origini degli Studi Culturali, e cioè quella della classe. Ad esempio quando si
sofferma, in vari punti del testo, sulla sua posizione ancora in qualche modo privilegiata, ossia sulla
possibilità di spendere più o meno facilmente quelle decine di Euro (precisamente 75) per
acquistare il testosterone, condizione che probabilmente non accomuna tuttu u transgender, (lui
stesso definisce la sua come una ‘arroganza politica’) A questo proposito, proporrei di ampliare,
per sviluppi successivi, i percorsi per una vita non fascista, includendo i non meno importanti studi
sugli sviluppi del concetto di classe in epoca postindustriale, o anche i disability studies, etc.. Altre
traiettorie di esclusione, marginalizzazione e dominio, non meno urgenti nell’attuale regime di
potere.
Nell’ambito dei Gender Studies, Preciado (o meglio il suo lavoro) mi sembra incarnare molto bene
la cosiddetta ‘svolta affettiva’ (affective turn) che da alcuni anni (forse un decennio o più) di questi
studi, che ha fatto loro superare la precedente linguistic turn, svolta linguistica, ponendo
soprattutto l’accento sulle dinamiche corporee che sono alla base di ogni costruzione, quindi
anche di quella linguistica: e in Testo Junkie, infatti, si vede bene come l’identità, la sua
costruzione da parte del regime farmacopornografico, e la sua decostruzione da parte del trans-
genere (come transito attraverso i generi), siano soprattutto una faccenda di corpi, affetti,
molecole, atomi, sensazioni, chimiche e tecnologie, piuttosto che faccende semplicemente
linguistiche. E’ da questo punto di vista, che la ‘teoria del sé’ che emerge dal testo, è una teoria di
formazione del sé, o individuazione, di matrice deleuzo-guattariana. Se è ai filosofi Gilles Deleuze e
Fèlix Guattari che possiamo riferirci, per trovare uno dei precedenti del concetto di ‘continuum’
come gradazione di intensità, è sempre a questi due filosofi che deriva l’impronta molecolare,
l’interesse per quegli affetti attraverso cui si passa nella traversata del genere, interessa che
trasuda dalle parole di Preciado. Come lui stesso del resto cita. Ma non mi sembra il caso, parlando
di un testo multiforme, composito, come questo (un verso e proprio collage di intenti, interessi,
stili), limitarci al suo approccio filosofico. Ancora più riduttivo, sarebbe limitare quest’approccio
filosofico alla rigorosa applicazione del metodo di ragionamento di questo o quel predecessore.
Piuttosto, mi sembra di percepire la volontà di Preciado di scegliersi, nel suo passaggio o
attraversamento, dei compagni, compagne, compagnu, che possono scomparire e riapparire (o
meno), proprio come nella sua vita le varie meteore V, S, etc.
All’inizio, il viaggio comincia con una citazione post-introduttiva di Derrida, che segue
immediatamente un riferimento alla costruzione e decostruzione dell’identità. Ma il filosofo
Derrida non è che una prima figura, uno di quei personaggi che progressivamente il testo aggancia
e sgancia, proprio come i pezzi di un missile lanciato oltre l’orbita terrestre. A Derrida, infatti, nel
testo si succedono Deleuze e Guattari (per citarne solo alcuni, ma potremmo dire anche Butler,
Haraway, De Lauretis), in una combinazione che, se avessimo voluto soffermarci sul rigore e
l’identità disciplinare di questo teorico, sarebbe risultata a dir poco superficiale, se non
contraddittoria (come spesso è stato affermato di testi che mettono insieme questi autori,
apparentemente inconciliabili per tanti motivi ‘concettuali’ che non sto qui a riferire; ma ci
possiamo tornare, anche se io stessa non sono un’esperta). Penso a Nancy sul parallelismo di
Derrida e Deleuze. Ma, abbiamo detto, non è questo che ci/lo interessa. E a Derrida quindi
possono fare tranquillamente seguito Deleuze e Guattari. O anche Foucault (ad esempio
nell’interessantissimo parallelismo tra la confezione della pillola anciconcenzionale a forma di
disco, simile ad un orologio, il Dialpak, e l’analisi foucaultiana del panottico).

Il testo è ricco di nomi e immagini. Preciado stesso lo definisce come fiction, una finzione somato-
politica,. Letteratura. Possiamo quindi continuare a rifarci a uno dei filosofi amati da Preciado,
ossia Deleuze. In particolare, al testo scritto da Deleuze, Marcel Proust e i segni. In questo testo, la
domanda del filosofo non è tanto sul significato, sul contenuto dell’opera di Proust, Alla ricerca del
tempo perduto, ma sulla forma. Come si organizza la produzione del testo. E a questo proposito
potremmo citare le parole di Deleuze, che nel descrivere il testo dello scrittore francese, ci sembra
parlare anche di Testo Junkie, un testo fatto di diverse parti, o ‘macchine’: “Nessuna di esse è
dotata di una funzione totalizzante. Ciò che conta è che alle diverse parti [del Testo], che
rimangono tuttavia spezzettate, frammentate, non manca nulla: parti eternamente parziali, …
senza formare un tutto né presupporlo, cui non manca nulla pur nella loro frammentazione…”. Si
potrebbe sistematizzarlo a partire dal suo contenuto significante, conferirgli un ordine a partire dal
suo significato ideale (e da cui deriverebbe una inevitabile gerarchia tra le parti, della riflessione
filosofica, della ricognizione storica, della descrizione scientifica, del racconto… Cosa costituisce
allora l’unità di quest’opera, quasi come un effetto, piuttosto che come una unità prestabilita
dall’autore? Sembra coerente con la matrice deleuziana (una delle matrici) del pensiero di
Preciado, rintracciare l’unità di quest’opera non nel contenuto ma nello stile. Una sintassi e un
vocabolario riconoscibili, designabili con un nome. In questo caso, mi sembra di poter rintracciare
l’unità, l’identità stilistica di questo libro, la possibilità, nonostante la fluidità del genere (inteso sia
come genere sessuale che di scrittura), di riportarlo ad un nome (Beatriz), con la volontà dichiarata
di descrivere, o meglio ‘spiegare’ qualcosa. Una sorta di intento chiarificatore ed esplicativo, la
volontà di fornire un resoconto molto dettagliato. Della fluidità dell’identità, come concetto. Degli
effetti del testosterone, come esperienza empirica. (How can I explain what is happening to me?
P.21) La iper-lucidità provocata dal testosterone deve soprattutto servire a spiegare chiaramente
una metamorfosi che da personale si fa epocale, una costruzione e decostruzione di soggettività
non solo individuali ma collettive. Come Balzac (Preciado mi perdonerà il paragone), Beatriz spiega
per immagini.
E’ vero che anche lo stile emerge qui come un patchwork, siamo ancora una volta in un continuo
passaggio, una trans-izione, tra il narrativo (direi narrativo più che di finzione), lo storico, il
filosofico, il teorico, lo scientifico…. Una interessante modulazione di linguaggi, o formati di
scrittura. Ma è la necessità esplicativa a tenerli insieme. Se, come afferma Deleuze su Proust, lo
stile è il trattamento che si fa subire ad una lingua, al suo vocabolario ed alla sua sintassi, facendoli
più o meno balbettare, notiamo in Preciado una chiarezza di stile, da parte di chi, nel tentativo di
raccontarci una esperienza di corpo e di pensiero, ci tiene ad usare la massima precisione
possibile. Se per Deleuze lo stile è la balbuzie della grammatica, la precisione di Preciado appare,
più che come mancanza di stile, come il grado 0 dello stile.

La stessa disarmante lucidità, e chiarezza, si riscontra fin dalla prima scena narrativa: l’atto della
videopenetrazione. Una nudità di immagini, da subito, esplicitamente pornografica. Ora, a quello
sguardo che inizialmente ho definito come femminile/eterosessuale, e che è uno sguardo
filosofico/estetico, la pornografia appare soprattutto come uno stile. Un posizionamento preciso,
sulla scala delle diverse modalità di rappresentazione della sessualità. Mi spiego.
L’universo mediatico farmacopornografico (e prima anche disciplinare, se è vero che i due sistemi
coesistono) ci presenta continuamente l’esigenza di posizionamenti precisi, non solo sulle identità
rappresentate, ma anche sulle modalità, o gli stili, della loro rappresentazione. Da questo punto di
vista, alla diade maschile/femminile (e patodialetticamente trans) o eter/omo (eccezionalmente
bisex), l’universo immaginifico-mediatico ossessivamente riprodotto dalle principali industrie
cinematografiche e televisive (ma più in genere culturali) si è imperniato principalmente su una
triade stilistica (di generi rappresentativi) di romantico, porno, ed erotico: il romanticismo di una
rappresentazione sessuale del tutto assente, o lo stile ‘fiaba’, nei film destinato di solito alla
fanciulla adolescente pura e sognante; una rappresentazione focalizzata sulla descrizione esplicita
di una sessualità senza mezzi termini, visioni ravvicinate di organi come su un tavolo di laboratorio,
sotto lente di ingrandimento, e gesti meccanici, nei film solitamente personificata dai cattivi e dalle
cattive. Il recente premio Oscar La Forma dell’Acqua mi sembra un esempio alquanto interessante
da questo punto di vista. Un film dove, in maniera appunto interessante, la rappresentazione
dell’alterità, o delle minoranze emarginate, svincola dal binomio razza/sessualità, per abbracciare
l’asse della classe sociale, della disabilità, e addirittura della specie (la protagonista è una donna
delle pulizie povera, muta, e che si innamora di un essere ibrido tra l’umano e l’animale). Ma la
cosa davvero interessante (o più che altro esemplificativa) è che questa abbondanza di
‘minoritarismo’ viene ricondotta, stilisticamente, ad una semplice visione polarizzata della
sessualità, laddove la storia dei due protagonisti si risolve in una vera e propria fiaba che non
mostra niente se non un nudo ‘posteriore’ di donna ed un casto abbraccio (aneddoto del pene
nascosto), mentre l’oscenità mostruosa del rapporto sessuale tra il cattivo e sua moglie, è una
sessualità fatta di seni offerti in cambio di soldi e prestigio sociale (la Cadillac), e di oscillazioni
pelviche accelerate. Ma in realtà, è un altro l’ideale sessuale della rappresentazione mainstream
nell’universo disciplinare e farmacopornografico: si tratta dell’ideale incarnazione dell’equilibrio
perfetto, la via di mezzo non facilmente descrivibile, il cosiddetto erotismo, in quanto diverso dalla
vera e propria pornografia, perché fatto di sensualità più che sessualità, di non detto oltre che di
detto, di velamenti e svelamenti; e a questo proposito gli esempi abbondano, in quanto
costituiscono la quasi totalità delle rappresentazioni di un rapporto sessuale, sia esso etero, omo,
trans etc. (Anais Nin: Voglio innamorarmi in modo che la sola vista di un uomo, anche a un
isolato di distanza, mi faccia tremare, penetrandomi tutta, mi indebolisca, mi faccia sussultare
addolcendomi e sciogliendomi qualcosa tra le gambe. È così che voglio innamorarmi, così
totalmente che il solo pensiero di lui mi porti all'orgasmo. —  Anaïs Nin , p. 82; 2012) Quel
gioco del detto/non detto mitizzato da 9 Settimane e ½, icona dell’erotismo della mia generazione
e genere e orientamento sessuale, per arrivare ad esempi più artisticamente impegnati come Il
Danno di Louis Malle, con Juliette Binoche. Se lo stile di rappresentazione della sessualità è il modo
in cui si tratta un linguaggio, in questo caso il linguaggio è l’insieme di gesti, velocità, posizioni, luci,
oltre che parole. Per cui si va dallo sfioramento, al palpeggiamento, passando per la perfezione
della carezza sensuale e appassionata. Una modulazione stilistica non priva di valenza morale.
In realtà, ancora una volta siamo in presenza di un continuum, una continua gradazione stilistica,
in cui non necessariamente occorre prendere posizione. (Tra l’altro, tra parentesi, una storia
sicuramente criticabile da molti punti di vista, ma che costituisce una sorta di interessante
modulazione di stili rappresentativi sulla sessualità, è il romanzo a fumetti Il blu è un colore caldo,
di Julie Maroh, che il regista Abdellatif Kechiche ha cercato di portare sullo schermo nel criticato
Palma d’Oro di Cannes La Vie d’Adele).
Allora da questo punto di vista, Testo Junkie mi sembra costituire una interessante e decisa, e
precisa, presa di posizione: alla fluidità del contenuto, si associa la precisione della forma. Una
voluta acquisizione di quella che diventa, attraverso il porno, una vera e propria identità stilistica.
Allora, ha ragione Nina che, nel suo saggio, pone la pornografia queer come una ‘interruzione’
nella storia delle rappresentazioni. Ma solo se interpretiamo il termine ‘interruzione’ nel suo
significato più letterale di fermo immagine, che fa apparire una volontà e una identità precisa, non
tanto nel ciò che si dice, o nel chi lo dice a chi, che restano significativamente ambigui, ma nel
come è stato detto.

Il controllo di oggi ha un range di tolleranza abbastanza ampio (mancanza di definizione,


modulazione), che è in grado di incorporare quei ‘desideri, pratiche ed estetiche’, quelle sensibilità
molecolari, che Preciado ci racconta come liberatori, rivoluzionari, e anche probabilmente di
metterli in qualche modo al lavoro. Mi chiedo se la facile identificazione stilistica del porno non
possa divenire motivo di più facile cattura, nel regime farmacopornografico.

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