Nel poema epico dell’Odissea la parola (epos in greco)
assume un’importante funzione all’interno della narrazione. I discorsi costituiscono infatti gran parte del poema stesso; molti fatti vengono narrati attraverso la voce dei personaggi stessi. L’utilizzo della parola ha diversi scopi, tra cui quello di informare; ne sono un esempio lampante i discorsi di Nestore, re di Pilo, e Menelao re di Sparta, rivolti a Telemaco, che narrano la fine della guerra di Troia e le successive peripezie dei vari eroi greci, tra la cui la celebre e triste fine di Agamennone, ucciso da Egisto, l’amante della moglie Clitemnestra. Tramite questi racconti infatti Telemaco viene informato della situazione del padre, che fino a quel momento era creduto morto da tutti gli Itacesi. Ma la semplice funzione di mettere al corrente dei fatti non è l’unica svolta dalla parola; spesso essa viene utilizzata anche per scopi personali, al fine di persuadere qualcuno. Atena, all’inizio del poema, dialoga con il padre Zeus durante il concilio degli dei. In questa occasione, la dea, dopo aver adulato Zeus e la sua potenza, cerca di convincere il padre a liberare Odisseo dalla prigionia della ninfa Calipso. Anche Odisseo sfrutta la sua eccezionale dialettica per convincere la bella Nausicaa, a farsi dare cibo e qualcosa con cui coprirsi, chiedendole anche di indicargli la strada per la dimora del re Alcinoo. Di nuovo Odisseo, quando sotto mentite spoglie si ritrova nell’umile capanna del porcaro Eumeo, attraverso un racconto contenente un messaggio persuasivo indiretto (ainos), gli fa capire il suo desiderio di avere un mantello per riscaldarsi. Anche Telemaco fa uso della parola al fine di persuadere i Proci durante l’assemblea degli Itacesi. Egli vuole convincerli a lasciarlo partire alla ricerca del padre, ma alla fine del suo accorato discorso non riceve alcun consenso, anzi, viene spesso interrotto mentre parla con commenti sgarbati e acidi. Uno dei più celebri dialoghi è di certo quello tra Odisseo e il ciclope Polifemo, in cui l’astuto eroe utilizza la parola per ingannarlo con furbizia. Prigioniero nella caverna del terribile mostro che non brilla per intelligenza, Odisseo lo convince ad accettare come dono di ospitalità una botte di vino, che ben presto lo fa ubriacare. Dopodichè, con l’ausilio di un bastone infuocato, acceca l’unico occhio del ciclope; quando gli altri ciclopi giungono in aiuto di Polifemo, questo dice che “Nessuno l’ha colpito”, poiché in precedenza Odisseo gli aveva detto di chiamarsi “Nessuno”. Gli altri ciclopi, credendolo pazzo, se ne vanno senza interessarsi troppo. Così Odisseo non più ostacolato riesce a sfuggire all’orrenda creatura e a mettersi in salvo per mare. Tuttavia successivamente Odisseo usa anche la parola in modo azzardato e tracotante, beffandosi del ciclope una volta che si trova sull’imbarcazione col quale stava fuggendo. Ma la arroganza viene punita da un masso scagliato contro la nave da Poliremo, adirato. Infine l’arma per eccellenza della ninfa Calipso è la seduzione, che si esprime soprattutto nei suoi discorsi. Essendo costretta da Ermes a liberare Odisseo, ella accetta di buon grado la volontà divina ma non si dà per vinta. Cerca infatti di sedurre nuovamente Odisseo, affinché quello dimentichi la sua patria e rimanga con lei sull’isola di Ogigia, in cambio dell’immortalità. La forza della parola è talmente potente da essere in grado di suscitare forti emozioni; l’aedo Femio, narrando le gesta degli eroi durante la guerra di Troia, riesce addirittura a commuovere Penelope, la moglie di Odisseo, che al ricordo del marito scomparso non trattiene le lacrime. In conclusione possiamo dire che nell’Odissea il ruolo della parola sia sempre fondamentale, anche se in situazioni diverse e con scopi diversi.