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Ed il Pelíde un lagno mandò, gli occhi al cielo rivolse:
«Deh!, Giove padre, perché nessuno dei Numi m’assiste,
sì ch’io mi salvi dal fiume? Poi venga qualsiasi sciagura!
275Niun altro dei Beati d’Olimpo è cagione di questo,
ma la mia madre stessa, che me lusingò con inganni,
quando mi disse che presso le mura dei Teucri guerrieri
io sarei morto sotto le rapide frecce d’Apollo.
Ettore ucciso m’avesse, che tutti qui vince in valore!
280Un prode avrebbe ucciso, un prode sarebbe caduto.
Ora è destino invece che a misera morte io soccomba,
chiuso nel fiume grande, al par d’un garzone porcaro,
via dal torrente travolto, mentr’egli d’inverno lo guada!».
Disse; e di súbito a lui vicini Posídone e Atena
285vennero, e stettero, assunta sembianza mortale; e la mano
strettagli nelle mani, conforto gli diêr di parole.
E cominciò Posídone, il dio dei tremuoti, e gli disse:
«No, non tremare cosí, non ti sgomentare, Pelíde!
Tali noi due Celesti siam qui per te giunti al soccorso:
OMERO - Iliade
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)
Gli altri già sono alle prese. Vergogna per noi, se torniamo
senza azzuffarci, all’Olimpo, di Giove alla bronzea dimora.
Comincia tu, che sei piú giovine: a me non conviene,
440ché nato sono prima di te, ch’ò piú senno. Oh demente!,
che smemorato cuore dev’essere il tuo! Non ricordi
quanti malanni ad Ilio d’intorno dovemmo soffrire,
soli tu ed io, quel tempo, che qui, per comando di Giove,
Laomedonte superbo servimmo — ed un anno ivi corse —
445e pattuita fu la mercede, e stavamo ai suoi cenni.
D’intorno alla città dei Troiani io costrussi le mura,
belle ed eccelse, ché niuno potesse espugnare la rocca;
e tu, Febo, pei clivi, pei fondi burroni e le selve
dell’Ida, i lenti bovi dai corni lunati pascevi.
450Ma quando infine l’Ore segnarono il termine lieto
della mercede, a noi diniego ne fe’ con la forza
Laomedonte feroce, che via ci cacciò con minacce:
ci minacciò che legate ci avrebbe le mani ed i piedi,
all’isole remote che schiavi ci avrebbe mandati:
455e pronto era a recidere a entrambi le orecchie col ferro.
E ce ne andammo cosí, lontano, col cruccio, nel cuore
per la mercede promessa, che poi non ci volle sborsare.
Merito forse di questo tu rendi al suo popolo, invece
d’adoperarti con noi, perché muoiano i Teucri malvagi,
460tutti riversi a terra, coi figli e le nobili spose?»
Ma gli rispose Apollo che lungi saetta, gli disse:
«Enosigèo, davvero mi avresti a chiamar dissennato
s’io m’azzuffassi con te, per causa degli uomini grami
simili a frondi ch’oggi fioriscon con grande rigoglio
465forti del cibo pasciuto, domani li accoglie la morte.
Via, desistiam dalla pugna: combattano pure fra loro».
Disse, ed altrove si volse, perché non voleva alle mani
venir col Dio germano del padre, ne aveva rispetto.
Ma s’adirò con lui la sorella, la Dea cacciatrice,
470Artèmide selvaggia, che tal vituperio gli volse:
«Saettatore, dunque tu fuggi, tu senza contrasto
tutto il trionfo, tutta la gloria a Posídone lasci?
Stolto, perché mai l’arco portare, se a questo ti serve?
OMERO - Iliade
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)
Fa’ ch’io non t’oda mai piú vantar nella casa del padre
475come già prima solevi, nel cerchio dei Numi celesti,
ch’eri capace tu di sfidare Posídone a lotta».
Disse. Ed Apollo che lungi saetta, a lei nulla rispose.
Tutta fremente invece di sdegno, la sposa di Giove
queste parole d’obbrobrio rivolse alla Dea cacciatrice:
480«Cagna sfrontata, che mai presumi di stare a me contro?
Essere dura saprò, saprò contrastar la tua furia,
sebbene destra sei nell’arco: ti fe’ leonessa
contro le donne, Giove, permise che morte a chi brami
dessi; ma meglio per te cacciare per l’alpi le fiere
485ed i selvaggi cervi, che a gara venir coi piú forti.
Ma, se tu vuoi, sperimenta la zuffa, ché ben tu conosca
quanto io sono piú forte di te, che vuoi meco azzuffarti».
Disse. Ed al polso entrambe le man’ con la manca le strinse,
via le strappò con la dritta dagli omeri l’arco e il turcasso,
490sopra le orecchie colpí le inflisse con quelli, ridendo.
Si dimenava, quella: le frecce giú caddero al suolo;
e lagrimosa sfuggí di sotto, che parve colomba
che lo sparviere fuggendo, s’appiatta nel concavo sasso
d’una spelonca: ché quivi non era suo fato esser presa.
495Cosí la Dea fuggí lagrimosa, e lasciò la faretra.
E l’Argicida che l’anime guida, rivolto a Latona,
disse: «Non io, Latona, con te pugnerò: dura impresa
è, con le spose azzuffarsi di Giove che i nembi raguna.
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