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OMERO - Iliade

Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)


Ed il Pelíde un lagno mandò, gli occhi al cielo rivolse:
«Deh!, Giove padre, perché nessuno dei Numi m’assiste,
sì ch’io mi salvi dal fiume? Poi venga qualsiasi sciagura!
275Niun altro dei Beati d’Olimpo è cagione di questo,
ma la mia madre stessa, che me lusingò con inganni,
quando mi disse che presso le mura dei Teucri guerrieri
io sarei morto sotto le rapide frecce d’Apollo.
Ettore ucciso m’avesse, che tutti qui vince in valore!
280Un prode avrebbe ucciso, un prode sarebbe caduto.
Ora è destino invece che a misera morte io soccomba,
chiuso nel fiume grande, al par d’un garzone porcaro,
via dal torrente travolto, mentr’egli d’inverno lo guada!».
Disse; e di súbito a lui vicini Posídone e Atena
285vennero, e stettero, assunta sembianza mortale; e la mano
strettagli nelle mani, conforto gli diêr di parole.
E cominciò Posídone, il dio dei tremuoti, e gli disse:
«No, non tremare cosí, non ti sgomentare, Pelíde!
Tali noi due Celesti siam qui per te giunti al soccorso:
OMERO - Iliade
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)

290Pàllade Atena, ed io Posídone; e Giove ci approva;


poi che destino non è che a un fiume soccomber tu debba:
questo, vedrai, dovrà tornare ben presto a bonaccia.
Noi ti daremo poi, se tu vuoi seguirlo, un consiglio.
Dall’accanita zuffa tu non trattenere le mani,
295sin ch’entro ai muri d’Ilio non cacci la turba ch’or fugge;
non ritornare alle navi, se ad Ettore prima non abbia
tolta la vita: il vanto d’ucciderlo noi ti daremo».
E cosí detto, i due fra i Celesti tornarono; e Achille
via si lanciò, poi che i Numi cosí l’animarono, al piano.
300Dell’acqua straripata il pian tutto quanto era colmo,
vi galleggiavano sopra molte armi di giovani uccisi,
molti cadaveri. E Achille s’intese balzar le ginocchia:
alto s’avventò sopra le ondate, ché piú nol frenava
l’ampia corrente del fiume: tale impeto Atena gl’infuse.
305Né la sua furia frenò Scamandro; ma sempre piú irato,
contro il Pelíde raccolse la forza del rapido flutto;
ed al soccorso, levando la voce, chiamò Simoenta:
«Caro fratello, in due sbarriamo la strada a quest’uomo,
o che ben presto sarà la rocca di Priamo distrutta
310dalla sua zuffa, né i Teucri resister potranno alla furia.
Dunque, su, presto, accorri, soccorri, nei flutti raccogli
dalle sorgive l’acqua, prorompano gonfi i torrenti,
leva sublimi i tuoi gorghi, fa’ ch’alto s’innalzi un frastuono
di tronchi, di macigni, ché freno si ponga al selvaggio
315ch’ora imperversa, e crede di forza esser pari ai Celesti.
Ma né la forza, dico, né a lui gioverà la prestanza,
né l’armi belle, che presto, di questa palude nel fondo
giacer dovranno, sotto la melma nascoste; ed io stesso
lo coprirò d’arena, di ghiaia e belletta d’attorno
320addenserò gran mucchi; né piú troveranno gli Achivi
l’ossa: di tal congerie nascoste le avrò di fanghiglia:
qui gli faranno il sepolcro; e il tumulo alzato sovr’esso
qui troveranno, quando l’esequie faranno, gli Achivi».
Disse, e balzò sul Pelíde con impeto d’ardui flutti,
325romoreggiando cosparso di schiuma di sangue di morti.
Dunque, il flutto cosí del fiume rigonfio di pioggia
OMERO - Iliade
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)

si sollevava purpureo, già già ghermiva il Pelíde,


quando, per lui temendo, che il fiume dai vortici fondi
via non l’avesse a rapire, levò la diva Era un gran grido,
330e tale appello a Efesto, diletto suo figlio, rivolse:
«Scuòtiti, o figlio mio, Pie’ torto! Trovammo un rivale,
il vorticoso Xanto, ben degno che teco s’affronti.
Corri al soccorso, corri, fa’ ch’alta la fiamma rifulga!
Io di Zefiro intanto, di Noto che limpido fulge
335susciterò, correndo sul mare, una fiera procella,
che dei Troiani avvampi gli sparsi cadaveri e l’armi,
spanda l’orror dell’incendio. E tu, su le rive di Xanto
gli alberi brucia, avventa nell’alveo stesso la fiamma.
Né da melate parole lasciarti piegare, o da preci,
340né dall’impeto tuo desistere: solo quando io
ti lancio un grido, frena l’indomita furia del fuoco».
Com’ebbe detto, Efèsto lanciò l’ardentissimo fuoco.
Prima la fiamma avvampò la pianura, bruciando le salme,
quivi distese a mucchi, dei Teucri spenti da Achille,
345l’acqua limpida stette, tornò tutto il piano rasciutto.
Come la Bora d’Autunno sul campo irrigato di fresco
spira, e d’un tratto lo asciuga: ne gode nel cuore il bifolco;
tutta la piana cosí s’asciugava, bruciavan le salme.
E contro il fiume allora la lucida fiamma rivolse.
350Arsero a un tratto gli olmi, i salici, le tamerici,
arsero il loto, il cípero, il giunco, che lungo le belle
acque correnti del fiume crescevano in fitto rigoglio:
e boccheggiarono tutte le anguille ed i pesci, che spersi
guizzavano tra i gorghi, qua e là, per le belle fluenti,
355dall’alito cruciati, dall’opera fiera d’Efèsto.
Arsa la forza del fiume struggevasi; ond’esso proruppe:
«Niuno dei Numi, Efèsto, potrebbe con te misurarsi:
né quando avvampi cosí di fuoco, potrei contrastarti.
Tronca l’offesa; e Achille via scacci i Troiani, se vuole,
360dalla città: che cosa m’importa di risse e soccorsi?».
Disse: ché ardea pel fuoco, bolliano le belle fluenti.
Come un lebète ribolle, se l’urge gran vampa di fuoco,
liquefacendo il grasso d’un porco adiposo, e trabocca
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Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)

tutto d’attorno, e sotto s’ammucchiano l’aride legna:


365bruciavano cosí pel fuoco le belle correnti,
l’acqua bolliva, né piú voleva fluir, s’arrestava:
la consumava il fiato, la furia d’Efesto sagace.
E queste allora ad Era parole di prece rivolse:
«Era, perché su la mia corrente tuo figlio infierisce
370piú che su ogni altra? Eppure, non sono colpevole io tanto,
quanto son gli altri tutti che mosser dei Teucri al soccorso!
Io, quanto a me, poi che tu Io brami, son pronto a ristarmi;
ma dall’offesa anch’egli desista; ed inoltre io ti giuro
che piú non terrò lungi dai Teucri il giorno fatale,
375né pur se tutta Troia si strugga, nel fuoco vorace
arsa, e alle fiamme la diano i prodi guerrieri d’Acaia».
Ed ecco, Era l’udí, la Dea dalle candide braccia,
e al figlio suo diletto si volse con queste parole:
«Inclito figlio, Efèsto, desisti: poiché non conviene
380per i mortali dar tanto martirio ad un Nume immortale».
Com’ebbe detto, spense Efèsto la furia del fuoco;
e per le belle fluenti declinò retrogrado il flutto.
Dunque, fiaccata che fu la furia del Xanto, i rivali
stettero: ch’Era, sebbene crucciata, li aveva frenati.
385Ma divampò tremenda la zuffa fra gli altri Celesti,
impetuosa: in due schiere la furia dei cuor li spingeva.
Gli uni piombaron sugli altri con alto fracasso; e un rimbombo
corse per l’ampia terra, dal cielo rispose un clangore.
Udí Giove, in Olimpo seduto; ed il cuore gli rise
390di contentezza, vedendo confusi i Celesti in battaglia.
Sparve ben presto il terreno fra loro. Die’ il segno alla zuffa
Ares, che frange gli scudi, stringendo una lancia di bronzo:
primo balzò sopra Atena, con queste parole d’obbrobrio:
«Zecca molesta, perché sospingi a contesa i Celesti,
395mai di protervia sazia, ché il cuor temerario ti spinge?
Non ti ricordi quando spingesti il Tidíde a ferirmi,
e tu medesima, l’asta lucente vibrando diritta,
contro di me la scagliasti, la cute ferendomi? Adesso
spero che il fio mi dovrai pagar dell’offesa d’allora».
400Disse. Ed all’egida volse, di frange tutta orrida, un colpo.
OMERO - Iliade
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)

Schermo tremendo è quello: neppur la saetta di Giove


lo frange: Are omicida vibrò, per colpirlo, la lancia;
ma si ritrasse Atèna, con mano gagliarda un macigno
prese, gigante, negro, tutto aspro, che al suolo giaceva,
405e lo teneva, la gente d’un tempo, a confine dei campi.
Ares colpí con questo nel collo, e gli sciolse le membra.
Precipitando, coprí sette iugeri: intrisa la chioma
fu nella polvere, l’armi tonaron sul corpo; ed Atena
rise, e veloci queste parole, esaltandosi, disse:
410«Sciocco, non te lo sei ricordato, quanto io piú gagliarda
sono di te, che ardisti venir meco a prova di forza?
Ora cosí devi tu scontar di tua madre le colpe,
che, irata, a mal consiglio s’attenne, perché degli Achivi
abbandonate le parti, difendi gl’iniqui Troiani».
415E, così detto, altrove rivolse le fulgide luci.
Ed Afrodite, la figlia di Giove, preso Ares per mano,
via lo guidò, che gemeva, che appena traeva il respiro.
Era li vide allora, la Diva dall’òmero bianco,
e favellò con queste veloci parole ad Atena:
420«Miseri noi, figlia invitta di Giove dell’ègida sire,
quella molesta zecca di nuovo è sul campo, e via tragge
Are omicida dal crudo furor della pugna. Or tu accorri».
Disse cosí. Si lanciò, gioendo nell’anima, Atena,
sopra le fu, la man dura protese a percòterle il seno:
425e venne meno a quella lo spirto, piegâr le ginocchia.
Giacquero entrambi cosí, sovresse le fertili zolle,
e sovra loro Atena parlò queste alate parole:
«Oh!, se i guerrieri tutti venuti dei Teucri al soccorso
fossero tali, quando s’azzuffan con gli uomini d’Argo,
430fossero arditi cosí, cosí validi, come Afrodite
venne al soccorso d’Are, di fronte movendo al mio sdegno!
Da lungo tempo avrebbe già termine avuto la guerra,
già rovesciata avremmo la rocca saldissima d’Ilio».
Cosí parlava; ed Era dall’omero candido, rise.
435E disse allora il Nume che scuote la terra, ad Apollo:
«Febo, e perché noi due ristiamo? Non bello è tale atto!
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Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)

Gli altri già sono alle prese. Vergogna per noi, se torniamo
senza azzuffarci, all’Olimpo, di Giove alla bronzea dimora.
Comincia tu, che sei piú giovine: a me non conviene,
440ché nato sono prima di te, ch’ò piú senno. Oh demente!,
che smemorato cuore dev’essere il tuo! Non ricordi
quanti malanni ad Ilio d’intorno dovemmo soffrire,
soli tu ed io, quel tempo, che qui, per comando di Giove,
Laomedonte superbo servimmo — ed un anno ivi corse —
445e pattuita fu la mercede, e stavamo ai suoi cenni.
D’intorno alla città dei Troiani io costrussi le mura,
belle ed eccelse, ché niuno potesse espugnare la rocca;
e tu, Febo, pei clivi, pei fondi burroni e le selve
dell’Ida, i lenti bovi dai corni lunati pascevi.
450Ma quando infine l’Ore segnarono il termine lieto
della mercede, a noi diniego ne fe’ con la forza
Laomedonte feroce, che via ci cacciò con minacce:
ci minacciò che legate ci avrebbe le mani ed i piedi,
all’isole remote che schiavi ci avrebbe mandati:
455e pronto era a recidere a entrambi le orecchie col ferro.
E ce ne andammo cosí, lontano, col cruccio, nel cuore
per la mercede promessa, che poi non ci volle sborsare.
Merito forse di questo tu rendi al suo popolo, invece
d’adoperarti con noi, perché muoiano i Teucri malvagi,
460tutti riversi a terra, coi figli e le nobili spose?»
Ma gli rispose Apollo che lungi saetta, gli disse:
«Enosigèo, davvero mi avresti a chiamar dissennato
s’io m’azzuffassi con te, per causa degli uomini grami
simili a frondi ch’oggi fioriscon con grande rigoglio
465forti del cibo pasciuto, domani li accoglie la morte.
Via, desistiam dalla pugna: combattano pure fra loro».
Disse, ed altrove si volse, perché non voleva alle mani
venir col Dio germano del padre, ne aveva rispetto.
Ma s’adirò con lui la sorella, la Dea cacciatrice,
470Artèmide selvaggia, che tal vituperio gli volse:
«Saettatore, dunque tu fuggi, tu senza contrasto
tutto il trionfo, tutta la gloria a Posídone lasci?
Stolto, perché mai l’arco portare, se a questo ti serve?
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Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)

Fa’ ch’io non t’oda mai piú vantar nella casa del padre
475come già prima solevi, nel cerchio dei Numi celesti,
ch’eri capace tu di sfidare Posídone a lotta».
Disse. Ed Apollo che lungi saetta, a lei nulla rispose.
Tutta fremente invece di sdegno, la sposa di Giove
queste parole d’obbrobrio rivolse alla Dea cacciatrice:
480«Cagna sfrontata, che mai presumi di stare a me contro?
Essere dura saprò, saprò contrastar la tua furia,
sebbene destra sei nell’arco: ti fe’ leonessa
contro le donne, Giove, permise che morte a chi brami
dessi; ma meglio per te cacciare per l’alpi le fiere
485ed i selvaggi cervi, che a gara venir coi piú forti.
Ma, se tu vuoi, sperimenta la zuffa, ché ben tu conosca
quanto io sono piú forte di te, che vuoi meco azzuffarti».
Disse. Ed al polso entrambe le man’ con la manca le strinse,
via le strappò con la dritta dagli omeri l’arco e il turcasso,
490sopra le orecchie colpí le inflisse con quelli, ridendo.
Si dimenava, quella: le frecce giú caddero al suolo;
e lagrimosa sfuggí di sotto, che parve colomba
che lo sparviere fuggendo, s’appiatta nel concavo sasso
d’una spelonca: ché quivi non era suo fato esser presa.
495Cosí la Dea fuggí lagrimosa, e lasciò la faretra.
E l’Argicida che l’anime guida, rivolto a Latona,
disse: «Non io, Latona, con te pugnerò: dura impresa
è, con le spose azzuffarsi di Giove che i nembi raguna.
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Vàntati pure franca, se vuoi, fra i Beati d’Olimpo,


500che superato m’hai di forza nell’aspro cimento».
Disse cosí. Ma l’arco ricurvo Latona raccolse,
e le saette sparse qua e là nella polve del campo:
raccolse le saette dal campo, e seguí la figliuola.
Questa in Olimpo era corsa, di Giove alla bronzea dimora,
505e, lagrimando, su le ginocchia del padre s’assise,
tutta tremando sul corpo l’ambrosïa veste. E il Croníde
se la raccolse al petto, le chiese con dolce sorriso:
«Chi degli Uràni t’ha ridotta cosí, figlia mia?
E gli rispose la Dea redimita che vaga è di cacce:
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Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)

510«Era percossa m’ha, la tua sposa dall’omero bianco,


babbo, per cui fra i Celesti son sorte le zuffe e le risse».
Queste parole, dunque, scambiavano Artèmide e Giove.
E Febo Apollo entrò nel sacro recinto di Troia,
ché gli sovvenner gli spalti dell’ardua rocca, per tema
515che contro il fato i Dànai l’avesser quel giorno a espugnare.
E tutti gli altri Numi, tornati in Olimpo, crucciosi
questi, festosi quelli, s’assisero, ognuno vicino
al Padre, adunatore dei nuvoli negri. — Frattanto
Achille sterminava Troiani e solunghi corsieri.
520Come allorquando un fumo si leva agli abissi del cielo
d’una città che arde, ché l’ira d’un Nume lo spinge:
reca travaglio a tutti, per molti è fatale rovina:
cosí pena e rovina recava il Pelíde ai Troiani.
Il vecchio Priamo stava sovressi gli spalti divini;
525ed ecco giunger vide l’immane Pelíde; ed i Teucri
dinanzi a lui, sgomenti fuggivano, e niuno piú ardiva
stargli di contro. Il re scese súbito ai pie’ della torre,
e delle porte ai custodi die’ ordin che stessero ai varchi:
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«Le porte spalancate, le man’ su tenetevi, pronti


530sin che alla rocca giunga la turba fuggiasca: ché Achille
l’incalza già da presso: ben temo l’estrema rovina.
Quando poi dentro le mura raccolti, riprendano fiato,
súbito allor chiudete di nuovo le solide imposte;
ché quel furente non debba, lo temo, balzar nella rocca».
535Disse. E dischiusero quelli le porte, levaron le sbarre;
le spalancate imposte mostraron la luce ai fuggiaschi.
E balzò fuori Apollo, per essere schermo ai Troiani.
Questi, diritti verso la rocca e l’eccelsa muraglia,
dal pian fuggivano, arsi di sete, di polvere sozzi.
540E l’incalzava Achille, con l’asta tutto impeto, e fiera
l’ira gli ardeva il cuore, la brama di farne sterminio.

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Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)

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