Sei sulla pagina 1di 13

Idee 11 Agosto 2023

L’Iliade a ritroso, lascito di carenza


universale : una lettera a Isabella Bignozzi su
«Cantami o diva degli eroi le ombre»

“T e souviens-tu que les ombres appellent les


métamorphoses.
                                          Claude Favre, Ceux qui vont par les étranges terres, les étranges aventures quérant

“ Per quell’astuzia, può darsi consapevole solo a metà, di cui


provavo vergogna. E allora perché, quando gridai, gridai :
siamo perduti ! perché non : troiani, non esiste nessuna
Elena !  
                                          Christa Wolf, Cassandra

“ In una fulminea stenografia, questa è l’immagine dell’infanzia


felice, attraversata e presto obliterata dai più.

E proprio a questo punto può avvenire « qualcosa di


straordinario, che sembrava dare ragione alle attese
selvagge ». Ma di che cosa ? Di quella voragine che da allora
in poi separerà da tutto il resto, come se non fosse la vita
normale a celare in sé la « piccola falla » ma quella voragine
ad avvolgere e intridere ogni altra forma di vita.
                                         Roberto Calasso, L’animale della foresta
la furbizia è una forma di disperazione, mi dicesti.

Via Gregorio VII in aprile, nel torpore dell’ora di mezzo, e intorno tutto ignorava.

provo a partire da qui. da questa messa di compagnia a passi lenti.

dalle impronte di Agamennone affondate nel fango, dove l’infanzia rovinò.

provo così, amica. inadeguatamente.

una favola, come la chiami tu, una lama lisa tua che tieni ferma sul fianco. con la
tempesta alla gola/fiori in allarme/abiteremo il nostro silenzio./ i dolori ciechi
dicono grazie e sorridono, tra i ceselli compìti di una linguamadre abbandonata,
per molti ignota. irrintracciabile. e le tracce sono sparite, e le tracce spariscono
per così poco. un lessivage di chiostre digrignate. teatrucci di chicchiricchì,
pretesti all’amo. l’assertività pelosa degli efficienti disertata dai cavalieri invitti dello
spirito, per tristezza inconsolabile e definitiva, soprattutto questo. sopra a tutto,
spettacoli assurdi.

ripercorri l’Iliade a ritroso. l’epica affabulazione su un lascito di carenza


universale : i danni collaterali dell’oblivio, quel dissipamento di formule
primordiali di chi parte scappellato alla guerra. abbracci di alabarde, la
corolla atomica che si innalza come un ascensore per l’aldilà. E COSÌ TANTE
INTIME DEFLAGRAZIONI. lasciate sulla carreggiata per rincorrere il grande botto
spingendo odi infettati, massi di Sisifo per superbi ignavi. Tik Tak, lontano da Troia
non ha annunciato nessuna guerra nostra. l’incombenza grava chi si sveglia in
gratitudine, rimesso a dèi estinti. tu grata, segui un discorso tuo, vai a cercare i
negletti. reintegri tra gli eletti della strana guerra Palamede, ignorato da Omero, e
Pentesilea, la libellula guerriera che per un attimo fece esitare Achille. Palamede,
scheggia tragica dei guerrieri achei. lo fai burattinaio del sacrificio di Ifigenia.
perfido della perfidia imperscrutabile degli assenti da sé. gli svuotati, non i
distratti. è fermo sull’orlo della fossa, per aver accettato da Priamo l’oro del
tradimento. Se non ci liberiamo di lui non torneremo mai a casa. invecchiare
lontano dagli affetti, il più feroce dei dolori dei Greci. Agamennone si appella
all’ombra cava del letto nuziale di Itaca per smuovere Odisseo. la prima pietra fu
per la tempia, sentinella del volto. scardinare il baricentro. la verità muore prima di
me. lasci intuire che forse, come pensava Igino, non è quello che sembra. che in
fondo alla frattura ghiacciata che abita Palamede riverbera un refolo di
quell’infanzia loro. diffida della proposta con cui Odisseo lo accerchia per farlo
cadere ma alla fine lo segue. forse sfinito, di essere il più acuminato di tutti.
Gorgia gli dona parole accorate, lucidissime. Palamede affronta Odisseo, smonta
il suo piano accusatorio con la maestria del retore. si reclama innocente, ricorda
di aver inventato i numeri, l’alfabeto, i segnali di fuoco che vergano i messaggi nel
cielo. e gli astragali, per ingannare il tempo nel miraggio di Troia. Gorgia sa che la
verità, allora e sempre, è tenuta lontana dai cattivi consiglieri, che ali non hanno
mai. solo coloro che cadono, chi si è lasciato invadere dall’altitudine e ne porta
dentro l’orizzonte campìto in oro fosco, hanno ali, e cadono per suo dono
estremo. l’ἄναξ, il re degli Achei, sancisce la condanna di Palamede dopo averne
accettato la bestia : si era piegato alla farsa del pretesto, nascosto dietro una
donna mai giunta a Troia, barattata da Paride con un altro εἴδωλον. salvare le
apparenze. nell’apparenza nessun salvato. nessun salvato mai. Palamede. una
cosa e il suo contrario. una cosa è il suo contrario, ma sembra la stessa. come
questa lingua di chiaroveggenti che ti fa credere di essere arrivata a destinazione
e invece ti riversa su una terra sconosciuta. l’aggettivo ἀζήμιος, ον, significa
impunito : « che non è stato punito » e « che non merita pena ». il bilico dello
stato di diritto. oggi pochi accettano di perdersi.
tu accetti, segui le bave di limaccia che tracciano di ognuno di loro
l’ultima innocenza, primo tuo titolo che scroscia caro e nascosto.
Pentesilea, piccola regina delle Amazzoni, guardiane delle carovane
dell’oro di Colchide. neanche lei è invitata da Omero al teatro degli eroi.
Achille spera che sia venuta a liberarlo dall’invincibilità. invece cade sotto il suo
braccio. ma per lei, il migliore tra tutti gli Achei, μέγα φέρτατ’ ’Αχαιῶν (Il.), piange.
nello sguardo del commiato si scambiano l’ultima innocenza, lei il suo torace
aperto, lui le sue lacrime, per quel volto in cui vedeva gli occhi di Polissena,
amata per un’eternità nell’incontro di un attimo. stare vicini scoperti. e ultima
innocenza per Odisseo, senza meta a cercare qualcosa che non sa. cerca un
piccolo sole mai visto. è sperso, abbacinato, eppure continua a inseguire una
cosa sconosciuta per venire a capo dell’enigma di Laerte e avere Penelope in
sposa. quei tagli di infermità lucifera che spargi. rosa carne, come la cicatrice
sulla gamba di Odisseo, marchio dell’infantile superbia del primo incontro con
l’immane cinghiale nei labirinti del Parnaso. come il tallone di Achille, ampolla di
lacrime stornate per una madre di cupo topazio. attraversi la prima metà del libro
con i rammendi d’infanzia, il tempo in cui la condanna alla ruota di pietra delle
sorti era già marchiata. un tempo dilatato di attese sfocate e germi di maledizione,
sotto le gote chiare, quando ogni giorno nuovo aggiungeva un anello all’eternità.
con il sangue della bambina Ifigenia separi per sempre gli innocenti, rapprendi
l’eterna infanzia in un precipizio accartocciato, ineludibile. un inganno per i non
avvezzi agli inferni, la scrittura tua. con quella narri della furbizia disperata, di
Signora Vanità mentre si dissolve specchiandosi nella sua maschera. tu che
conosci i pozzi. tu che sai. mostri la furbizia come un talento degli incurabili che
piange la sua buia preghiera, su cui pietà sola arriva a posare le labbra sul capo
scoperto. la morìa degli erti elmi riversi, àuguri di morte nel carosello di gloria di
chi ha cuore già spento. e l’inerzia che segue, ogni inerzia che segue, cancella il
giusto e l’ingiusto, l’alleato e il nemico. e tutto è fermo. dilati l’attesa vaga davanti
alle porte Scee come una lente cardiaca. le altissime mura di Troia fradice di luce
vane. vani gli altissimi cavalli troiani, altissimi i vani cimieri achei spronati da Eris
funesta. vane le splendide armi (Il.) nel loro baluginìo votato alla rugiada di
sangue, ἕρσας αἵματι. e vane, quanto, le armi di Achille, simulacro collettivo. ci
aveva creduto anche Patroclo, all’abbaglio. ingannato dal proprio ingenuo
inganno, nel vortice dei Mirmidoni. lo scorti sul cocchio di Automedonte, bardato
dei paramenti di Achille assente, ancora immerso nel bagno dell’ira. gli aveva
ceduto le armi. per amore suo. Basterà vedermi, vedere Achille. Loro vedranno te.
con tue parole. e invece cadde con fragore l’eroe (Il.), Patroclo γυμνός : inerme,
che per un soldato significa disarmato. Febo gli va incontro avvolto nella nebbia,
nella mischia tremenda (Il.), Apollo gli fa cadere l’elmo, tra polvere e sangue, la
lancia di frassino dalla lunga ombra (Il.), gli slaccia la corazza, lasciandolo
immobile, stupefatto (Il.). Omero descrive la battaglia con la cinepresa a spalla. tu
stendi un’attesa di bisso attraverso lo sguardo in gola di Achille. lo scorge da
lontano, il movimento concentrico che segue alla caduta. lo conosce. lo sciame
che si distende e ruota avviluppato su se stesso per difendere i corpi inanimi dei
compagni dallo sfregio e salvare le armi. nella lotta dura, dolorosa, tremenda (Il.),
Ettore vestirà in trofeo le armi di Achille. un guerriero è le sue armi, ieri come oggi
guardiane della grande illusione. sulla borchia di smalto nero dello scudo di
Agamennone campeggia la tremenda Gorgone, specchio dell’ἄναξ da dominare
per dominare, e la coda equina dell’elmo a due cimieri che ondeggiava
paurosamente (Il.). l’oblio di sé pasce nell’assordante scintillìo in armi. un sonno da
desti in cui si inveisce al nemico maledicendo un estraneo con il nostro nome che
tiene la colpa fuori visuale come una discarica. Ananke dal fuso di diamante
chiama, dà tempo, aspetta. ma poi toglie senza annunciare. 
e dietro ogni croce di lame, il greto delle donne, le inermi tue senza diritto
all’armatura. Elena, corpo fatuo, usata come oppio. apre le righe, scegli lei
per annunciare un’epigenesi di promesse pure sfilacciate in eco di fango.
per carenza, ché è sempre per carenza. Elena. colei che muove il piede dal
sandalo slacciato, e il mondo intero si trasforma in una vigna. Elena. tradita per
prima dall’amore bifronte di Clitennestra, bambina e innocente. uno spostamento
di pensieri distratto, mentre raccoglie ghiande con sua sorella. di quelle cose
talmente NON VOLUTE. Ama sua sorella, come si ama la luce del giorno o
l’effluvio dei fiori. Ma a volte vorrebbe che morisse. Elena, l’immenso blu che tutto
inghiotte. una distrazione che non attende e l’alveo è fatto, per l’appello della
ruota, quando l’innocenza rotolata nella polvere avrà la scorza delle cinghie degli
elmi e chiederà la giustizia sommaria degli uomini. l’inganno chiede pegno a tutti,
anche agli innocenti. si tradisce nell’euforia dell’illusione. in disperazione, come
tutti, dimentichi, si tradisce. Agamennone smemorato nella tenda di schiave
bambine guarnite nel vilipendio dell’oro, di idoli sconosciuti strappati agli altari
silenziosi di Anatolia. le divinità barbare non l’avrebbero perdonato, così fu.
inconciliabile con quell’Alessandro che nell’impervio inseguimento di Dario
rinunciò all’elmo pieno d’acqua che gli veniva offerto. la felicità, la sua,
nell’accettare l’acqua, scrive la tua Simone ne Il bello e il bene, l’avrebbe separato
dai suoi soldati assetati, avrebbe dissipato la bellezza. promessa, lei, dice in Attesa
di Dio, che fa dono soltanto di se stessa, non dona mai altro. nella tenda afosa c’è
il buio di Ifigenia. inganno obbedisce a inganno. Agamennone odia per
dimenticare l’imperdonabile. lancia la sua colpa addosso ai passanti come una
carcassa in fuoco. imperdonabile, più del coltello. perché l’aveva vista venire
verso di lui, nel batticuore acerbo, la lunga veste di porpora e i calzari fini
indossati per le nozze annunciate. aveva visto sua figlia venire, e non aveva fatto
niente. come niente fu per Cassandra. quando Aiace profanò la dimora della dea
nessuno degli Achei lo punì né fece parola. l’Atena di Euripide si scaglia contro di
loro per tanto oltraggio. niente per Pelopia, violata nella tenebra di una maschera
dal padre Tieste. voi, morte vive : Elena, Clitennestra, Ecuba, Briseide,
Andromaca, e la catena satura delle schiave di letto tutte. come Medea,
Clitennestra tradirà chi l’ha tradita, per eredità di oblio. l’inerme senza diritti dal
valore di una bestia da gregge si farà bestia. Medea rapita dalla solitudine.
apolide, senza città patria, la definisce Euripide, che non la ama. Eschilo dipinge
Clitennestra ambigua calcolatrice, piegata al sangue da Zeus. o forse, unica voce
di azione propria. violenza di genere per generazione di disuguaglianza. colei che
parla al corifeo che la addita per l’uccisione di Agamennone. Tu dunque ora mi
condanni al bando della città, e all’odio e alle maledizioni dei cittadini. Ma contro
quest’uomo non avevi niente allora da dire quando, senza fare di lei nessun conto,
come se avesse dovuto ammazzare una bestia da pascolo in mezzo a un numeroso
gregge di belle pecore lanose, sacrificò la sua propria figlia, la creatura più diletta
delle mie viscere, per incantare i venti di Tracia. Non bisognava allora bandire lui da
questa terra in pena delle sue colpe ? φιλτάτην ἐμοὶ ὠδῖνα. la più diletta delle mie
viscere. ὠδίς, ῖνος, ἡ, prole, doglia, parto, dolore, travaglio. lingua maga.

l’inaccessibilità al linguaggio censorio degli uomini, e quindi l’invisibilità


politica, nega alle donne, achee e troiane, compagne di sorte, diritto di
presenza. per loro, le incomunicabili, resta la lama. dare morte, pari. in
disperazione dichiarata, nuda, senza i fasti della corazza. omicidi non riconosciuti
dalla norma maschile degli onori. alcune, scelsero. tra la solitudine del ruolo e
quella dell’ὄστρακον, che, per un altro scherzo di questa lingua aspersa di stelle,
è insieme il ‘coccio’ della messa al bando e la ‘conchiglia’. schiave, le
incomunicabili rifiutarono il destino del corpo sformato dall’alcova gelida.
preferirono la libertà di un istante solo, totale, memori. i dimentichi sanciscono e
prendono, pesano l’onore con la morte del nemico e dei rei, non riconoscono
pubblico onore a coloro che danno la vita, involucri muti per la stirpe dei
guerrieri. oggi i maschi iniziano a partorire sensuali umanoidi, riscattano
l’ancestrale affronto senza spargimento di sangue. le nuove femmine pur
riconoscendosi migliori degli umani perché scevre dalla zavorra dell’emotività
assicurano di non volerli combattere. che ne sarà del primo principio di
disuguaglianza, il pretesto della luna storta in nome del quale sono state prima
uccise, poi medicalizzate le orfane, le vedove, le mistiche, le mendicanti, le
taumaturghe, le letterate : le dichiarate isteriche, streghe, sonnambule, ninfomani
di ogni regno. Alcune donne sanno come giocarsela, altre no. Quando Marilyn
Monroe faceva interviste telefoniche, spesso il giornalista esordiva chiedendole :
« Allora, Marilyn, che cos’hai su ? ». E lei rispondeva : « Della musica alla radio ».

nelle ultime pagine, Elena, prima colpa e prima inerme, dall’esilio in Egitto
voluto da Era parla all’amato lontano, aerea come quel volo notturno di
gru, le volanti dai lunghi colli, πταναί δολχαύχενες, che canta Euripide nell’Elena,
affresco della dissimulazione. la tua Elena è avvolta nello scoramento che sbatte e
scava con le unghie le pareti di una speme avara per ricavarne qualche granello.
qualche cosa da venerare in pace. A volte vorrei andare verso il mare con le mani
piene di pietre… Nei miei pensieri, nei miei sogni, dopo molte inondazioni e giri del
sole, dopo tutta questa guerra, tu sorridi ancora. Allora penso di poter fare tutto.
Elena, ultimo baluardo del piccolo sole di Odisseo. speranza cercata. nonostante
tutto. la dolcezza dispersa nel fumo di Troade, sfuggita al controllo della forza
come un bagliore d’acqua tra le mani : Laerte che lascia andare sua figlia in una
terra straniera. il pudore di Patroclo, che rimedia, nell’inverso contrappasso, una
cintura per Briseide schiava. ἄζωστος, ον, significa « senza cintura » e
« disarmato ». il dolore al plurale che affratella Achille e Priamo : per quanto sia
grande la nostra angoscia (Il.), dice il figlio di Teti al vecchio in supplica. e quella
frase per il re stanco, Infelice, quante sventure hai patito nell’animo (Il.), rimbomba
dentro. per Patroclo, per il padre Peleo taciuto. è sempre un dolore per tutti gli
altri, e svela la natura inquieta delle sorti, il suggello claustrofobico tra rovina e
vittoria.
a chiusura, annoti il Poema della forza di Simone. leggera come avresti
deposto roselline di zucchero su una torta di compleanno per Luna. le
foglioline verde pennarello. quante felicità trascurate. così onori tutto quel
tempo, così dai incenso e sepoltura. il potente, scrivi, riportando Simone,
accredita la propria causa non per giustizia ma per brama, per « diritto » non del
bene ma dell’ottenibile, laddove il vero bene prepara alla rivelazione di Dio,
l’amore eversivo che va contro il meccanismo di necessità della prevalicazione
insito nell’esercizio ‘naturale’ della forza. la fessura che strappa quel nero sipario
che ci presume tutti disuniti e allarmati, diversamente dolenti, sempre pronti alla
guerra. tue parole. Simone trascende l’amore degli uomini per farne l’assoluto
amore che si affida : Bisogna sapere che l’amore è un orientamento, non uno stato
d’animo. Se lo si ignora, al primo impatto con la sventura si cade nella
disperazione. camminavi piccina, nella resa segreta, tra le auto che smozzicavano
il profilo del marciapiede, le insegne marroni anni ‘80, quegli squallori infimi e
taglienti che a Roma sono filtrati dai polmoni della bellezza ferica e in altri luoghi
ammalano. scandivi piano che la disperazione è il peccato peggiore, la malattia
mortale. la furbizia agisce in suo nome e disconosce il nome. inerme.

hai guardato tutti quei campi arsi con gli occhi tuoi. su ognuno lasciando un
giglio.    

Cristiana Panella

Testi citati :

Bignozzi, Isabella 2022. Memorie fluviali. Milano : MC Edizioni.

2023. Cantami o diva degli eroi le ombre. Roma : La Lepre Edizioni.

Calasso, Roberto 2023. L’animale della foresta. Milano : Adelphi.

Campo, Cristina 1998. Sotto falso nome. Milano : Adelphi.

Carson, A. 2021. Era una nuvola (une versione dell’Elena di Euripide). A cura di
Patrizio Ceccagnoli. Milano : Crocetti Editore.

Favre, Claude 2022. Ceux qui vont par les étranges terres, les étranges aventures
quérant. Corcoué-sur-Lorgne : Éditions LansKine.
Galzio, Gabriella 1996. La buia preghiera. Introd. di Giuseppe Conte. Pasian di
Prato : Campanotto Editore

Gorgia 2010. In difesa di Palamede. A cura di S. Mariani. Genova : Il Nuovo


Melangolo.

Kazantzakis, Nikos 2022. Rapporto al Greco. Milano : Crocetti.

Kierkegaard, Søren 2017. La malattia mortale. Trad. di Christian Kolbe. Marina di


Massa/Cinisello Balsamo : Edizioni Clandestine.

Omero 2022. Iliade.Testo a fronte. A cura di Maria Grazia Ciani. Commento di


Elisa Avezzù. Venezia : Marsilio.

Rocci, Lorenzo (a cura di) 1985. Vocabolario greco-italiano. Roma : Società


editrice Dante Alighieri.

Rosati, Giuseppe 1983. Scrittori di Grecia. Testi, traduzioni, commenti. Vol. 2.


Firenze : Sansoni Editore.

Weil, Simone 2008. Attesa di Dio. Milano : Adelphi.

2013. Il bello e il bene. Milano : Mimesis.

Wolf, Christa 1992. Cassandra. Roma : Edizioni e/o.

Potrebbero piacerti anche