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Breve introduzione al Buddismo Theravada


Buddhismo Theravada
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1/2

**Destiny** Amministratore
Introduzione

Il Theravada (sanscrito: sthaviravada), letteralmente “l’Insegnamento


degli Anziani” è la più antica scuola buddhista sopravvissuta. La scuola
Theravada deriva dal gruppo Vibhajjavada che emerse dal gruppo
Sthavira al tempo del Terzo Concilio Buddhista (intorno al 250 AC),
durante il tempo del Re Ashoka.

Il Theravada promuove la dottrina del Vibhajjavada, letteralmente


“l’Insegnamento dell’Analisi”. Secondo questa dottrina la corretta
visione, l’insight, deriva dall’esperienza del praticante, dall’analisi
critica e dalla ragione, piuttosto che dalla fede cieca; ciononostante,
secondo la tradizione delle scritture Thera è anche fondamentale
seguire i consigli dei saggi, essendo questi ultimi, insieme alla
valutazione delle proprie esperienze, i due “test” per poter giudicare la
propria pratica.

Nel Theravada, la causa dell’esistenza umana e della sofferenza


(dukkha) viene identificata nel desiderio (tanha), oltre alle altre
afflizioni come la rabbia, l’avversione, l’orgoglio, la gelosia, l’invidia, la
paura, la passione, l’irritazione, l’ansietà, la distrazione ecc.. Si crede che
queste afflizioni siano abitudini che derivano dall’ignoranza (avijja) che
oscura la mente di tutti gli esseri non illuminati. Ignoranza di cosa?
Delle tre verità di ogni fenomeno samsarico, ovvero sofferenza
(dukkha), impermanenza (anicca) e mancanza di sé (anatta). Tutte le
cose infatti sono caratterizzate dalla sofferenza e dall’insoddisfazione;
persino la realizzazione dei nostri più intimi desideri è destinata ad
essere insoddisfacente, proprio perché niente è permanente, persino la
più minuta molecola. Tutte le cose inoltre sono senza un sé, ovvero prive
di un’esistenza ultima. Gli esseri non illuminati invece prendono le
proprie afflizioni come un “sé”, attaccandosi ad esse a causa
dell’ignoranza della verità.

Per essere liberi dalla sofferenza e dallo stress queste afflizioni devono
essere permanentemente sradicate. Ciò è possibile tramite il Triplice
Addestramento nella Moralità (Sila), Concentrazione (Samadhi) e
Saggezza (Panna), e la pratica del Nobile Ottuplice Sentiero.

Nobile Ottuplice Sentiero

Primo Nobile Sentiero: Retta Visione

La Retta Visione consiste nella conoscenza, dapprima teoretica, e poi


assimilata attraverso la pratica, delle 4 Nobili Verità. Nel
Mahasatipattana Sutta, uno dei più importanti discorsi di Buddha
Shakyamuni nel Theravada, è scritto: “E cosa è, o monaci, la Retta
Visione? Comprendere la sofferenza, comprendere l’origine della
sofferenza, comprendere la fine della sofferenza e comprendere la via che
conduce all’estinzione della sofferenza: questa è chiamata Retta Visione”

Secondo Nobile Sentiero: Retta Intenzione

Tradotto anche come “retto pensiero”, si riferisce principalmente alla


ferma risoluzione di rinunciare al ciclo delle rinascite abbandonando
l’avidità, la malevolenza e l’offuscamento mentale. Nel Magga-Vibhanga
Sutta è scritto: “E cos’è il Retto Pensiero? Essere risoluti nella rinuncia,
nella libertà dalle cattive intenzioni, nell’innoquità: questo è chiamato
Retto Pensiero”.

Terzo Nobile Sentiero: Retta Parola

Si tratta di una serie di precetti sull’uso del linguaggio. Bisogna astenersi


dal dire il falso per vantaggio proprio o altrui, dal seminare discordia,
dal rivolgersi ad altri in modo aggressivo o scortese, dall’intrattenersi su
argomenti futili e insulsi (principalmente il gossip). “E cos’è la retta
parola? Astenersi dal mentire, astenersi dalla parola che divide, astenersi
dalla parola offensiva, astenersi dalle chiacchiere oziose: questa, o
monaci, è la Retta Parola”

Quarta Nobile Sentiero: Retta Azione

La Retta Azione, tradotta anche come “retta condotta”, implica il modo


corretto in cui il praticante buddhista dovrebbe comportarsi nella
propria vita quotidiana. “E cos’è la retta azione? Astenersi dal prendere
la vita, dal rubare, e dal rapporto sessuale scorretto. Questa è chiamata
Retta Azione”. Il quarto Nobile Sentiero viene spesso spiegato attraverso
i Cinque Precetti, voti che il praticante buddhista laico prende:

1- Astenersi dall’uccidere. Include l’essere il mandante di essa o


approvarla, l’istigazione al suicidio e l’aborto.
2- Astenersi dal prendere ciò che non ci viene dato

3- Astenersi dal cattivo comportamento sessuale, particolarmente la


violenza sessuale e l’adulterio, guardando alle donne non qualificate per
il rapporto come madri, sorelle o figlie in base all’età

4- Astenersi dalla menzogna

5- Astenersi dalle sostanze intossicanti (alcol, droghe..)

Quinto Nobile Sentiero: Retta Vita

Tradotta anche come “retti mezzi di sostentamento”, si basa


principalmente sul concetto di ahimsa (non violenza), ed essenzialmente
afferma che bisogna astenersi da occupazioni che, direttamente o
indirettamente, causano danno agli esseri. “Oh Monaci, un praticante
laico non dovrebbe impegnarsi in cinque tipi di commerci. Quali cinque?
Commercio di armi, commercio di esseri umani, commercio di carne,
commercio di intossicanti, commercio di veleni”

Sesto Nobile Sentiero: Retto Sforzo

Il Retto Sforzo, che implica essenzialmente lo sforzo continuato nel


mantenere la propria mente libera da quei pensieri che potrebbero
ostacolare la pratica degli altri elementi dell’Ottuplice Sentiero, è quella
disciplina mentale che opera in quattro direzioni: onde evitare
l’insorgere di afflizioni non ancora sorte, abbandonare le afflizioni già
sorte, propiziare il sorgere di virtù non ancora sorte e incrementare le
virtù già sorte.

Settimo Nobile Sentiero: Retta Consapevolezza

La Retta Consapevolezza è costituita dalla pratica della Vipassana che,


insieme alla Concentrazione, è la principale pratica di meditazione nel
Theravada. Essa consiste essenzialmente nell’osservazione di tutti i
fenomeni che accadono nel corpo e nella mente, ed ha quattro oggetti di
osservazione: il corpo, le sensazioni, la mente e i dharma (in questo
contesto ci si riferisce ai fenomeni mentali). Grazie alla corretta
consapevolezza la mente si purifica dai suoi veli oscuratori, vedendo la
vera natura delle cose, insoddisfacente, impermanente e vuota di sé.
Grazie a ciò è possibile raggiungere la Liberazione

Ottavo Nobile Sentiero: Retta Concentrazione

Il Buddha spiega la Retta Concentrazione nei termini dei 4 jhana


(dhyana in sanscrito). La base da cui è possibile realizzare i jhana è
generalmente costituita dall’anapanasati, la concentrazione sul respiro.
Prima dei jhana si entra in un pre-stadio caratterizzato dall’abbandono
dei Cinque Ostacoli (desiderio sensuale, malevolenza, torpore,
agitazione, dubbio). Questo pre-stadio è uno stato instabile dove la
mente è concentrata sul proprio oggetto, ma non come nello stato di
piena concentrazione (jhana), dove si assiste ad un livello nettamente
diversi di consapevolezza, in cui la mente non funziona nel livello
sensoriale ordinario. In questo pre-stadio alcuni meditatori possono
sperimentare immagini mentali molto vivide simili ai sogni, oppure
avere la sensazione che il proprio respiro o il proprio corpo sparisca
lasciando pura consapevolezza. Quando questi fenomeni accadono non
bisogna esserne interessati o spaventati, ma bisogna continuare la
meditazione. Quando si supera questo pre-stadio si entra nei 4 stadi di
piena concentrazione (Jhana):

1- Primo Jhana: in questo stadio appare una forma di beatitudine


(formata da gioia e felicità). Solo i movimenti mentali più sottili
rimangono. L’abilità di creare intenzioni malvagie cessa.

2- Secondo Jhana: in questo stadio i movimenti mentali sottili cessano.


Rimane la beatitudine. Cessa anche l’abilità di creare intenzioni positive

3- Terzo Jhana: in questo stadio cessa l’aspetto gioioso della beatitudine,


ma rimane comunque uno stato di felicità

4- Quarto Jhana: cessa anche la felicità, entrando in uno stato che non è
caratterizzato né dal piacere né dal dolore. E’ uno stato di perfetta
purezza e equanimità. Il respiro cessa temporaneamente.
Con il quarto Jhana si dice che incominci l’acquisizione dei poteri
paranormali, ma non è questo lo scopo della meditazione. Lo scopo della
realizzazione della piena concentrazione è di rinforzare e raffinare la
mente, in modo tale da poterla dirigere con chiarezza ai fenomeni
realizzandone la natura.

I Livelli di Realizzazione

Attraverso la pratica, i praticanti possono raggiungere 4 livelli di


realizzazione, che riflettono il loro stato mentale:

1- L’entrato nella corrente (sotapanna): sono entrati nella corrente del


Dhamma, hanno distrutto le prime tre catene (falsa visione del sé,
dubbio, attaccamento ai riti e ai rituali), non rinasceranno nei reami
inferiori, e al massimo impiegheranno 7 vite per raggiungere la
Liberazione.
2- Il ritornato una volta (sakadagami): oltre ad avere eliminate le tre
catene hanno anche diminuito l’attaccamento sensuale e l’avversione.
Raggiungeranno la Liberazione al massimo dopo essere tornato ancora
una volta nel mondo.

3- Il Non Ritornato (anagami): hanno eliminato le cinque catene (falsa


visione di sé, dubbio, attaccamento ai riti, attaccamento sensuale,
avversione), ma non sono ancora liberi dall’attaccamento ai jhana, da
una forma sottile di orgoglio, dall’agitazione e dall’ignoranza. Alla morte
loro non rinasceranno in questo mondo, ma in un mondo celestiale dove
raggiungeranno la Liberazione

4- Il Liberato (Arahant): coloro che hanno realizzato il Nibbana, lo stato


senza morte in cui le afflizioni sono completamente cessate. Il Nibbana
si suddivide in quello con “residuo”, quando l’Arahant è ancora vivo, ed
ha quindi il residuo dei cinque aggregati (che quindi possono essere il
sostrato di forme di sofferenza fisica, ma non mentale), e quello “senza
residuo”, dopo la morte.

Scritture

Le scritture sacre del Theravada, il Canone Pali, sono chiamate


Tripitaka, in quanto formate da Tre Canestri: il Vinaya Pitaka, il Sutta
Pitaka e l’Abhidhamma Pitaka. Il primo tratta delle regole di condotta
monastiche, il secondo è l’insieme dei testi che trattano della storia e
delle parole del Buddha, e l’ultimo comprende gli insegnamenti più
filosofici, psicologici e metafisici. Essi vengono fatti corrispondere ai Tre
Addestramenti: il Vinaya alla Moralità (Sila), i Sutta alla Concentrazione
(Samadhi), e l’Abhidhamma alla Saggezza (Panna). Secondo l’opinione di
buona parte degli studiosi l’Abhidhamma fu aggiunto successivamente
in quanto sembra che al Primo Concilio Buddhista erano presenti solo
due Pitaka. In ogni caso i primi testi vennero scritti nel primo secolo
avanti cristo, essendo tradizione di quei tempi trasmettere gli
insegnamenti in modo orale. La porzione dei Sutta e del Vinaya del
Tripitaka mostra una sovrapposizione considerevole con l’insieme dei
testi usati dalle scuole non-theravada che vanno a formare il Canone
Cinese e Tibetano. L’Abhidhamma usato nel Theravada invece non è
riconosciuto nel Mahayana. Per contro, i Sutra Mahayana non sono
riconosciuti dal Theravada. Nel quinto secolo dopo Cristo fu
Buddhaghosha a scrivere il primo commentario al Canone Pali, il
Visuddhimagga (il Sentiero della Purificazione).

Modificato da AuspiciousMerit - 4/6/2008, 14:11


11 anni fa
Kagyu Dorje Utente cancellato
Ecco, questo potrebbe essere un buon punto di inizio per un neofito...
11 anni fa

rainbow-86 Utente cancellato


ciao grazie spiegazione molto esauriente......
11 anni fa

flambeau Utente cancellato


Ma se al terzo jhana c'è felicità e al quarto no che cosa invoglia uno al
terzo stadio a raggiungere il quarto? o sono semplicemente dei passaggi
"inevitabili" dopo una lunga meditazione?
10 anni fa

**Destiny** Amministratore
La gioia provata al terzo jhana non è una gioia autentica, ma
leggermente artificiosa, e ovviamente condizionata. E' un'esperienza, e
tutte le esperienze vanno e vengono. Visto che le esperienze vanno e
vengono, a queste non bisogna attaccarsi.
Il quarto jhana è uno stato molto più sottile e profondo, ma in ogni caso
nessun jhana è il fine della pratica. Praticare solo shamata infatti non
porta all'illuminazione; bisogna fare anche vipassana.
10 anni fa
*Unsui* Utente
molto interessante!

ciao ciao a tutti!


10 anni fa

*Unsui* Utente
L'ALBERO DELL'ILLUMINAZIONE CAPITOLO XIX (I quattro stadi di
Illuminazione).

...
Cerchiamo ora di definire i quattro stadi di illuminazione: chi entra
nella corrente (sotapanna), chi ritorna una sola volta (sakadagami), chi
non ritorna più (anagami) e arahat.
Il progresso di un Nobile attraverso i vari stadi è segnato dalla sua
abilità a superare alcuni impedimenti che si presentano ad ogni stadio.
Vi è una progressiva eliminazione dei dieci impedimenti o vincoli
(samyojana) che ci tengono legati all’universo condizionato fino a
quando non saremo in grado di liberarcene.

L’entrata nella corrente (sotapanna) è segnata dall’eliminazione di tre


vincoli: il primo è la credenza in un’esistenza indipendente e duratura
di un essere individuale (sakkaya ditthi), cioè scambiare i cinque
aggregati mentali e fisici di una persona (forma, sensazione, percezione,
volizione e coscienza) per un sé. Non è perciò a caso che diciamo che i
tipi di coscienza mondani sono condizionati dagli aggregati, mentre i
tipi di coscienza sopramondana non sono determinati dagli aggregati. Il
superamento di questo primo vincolo segna il passaggio dallo stato di
persona comune a quello di Nobile.
Il secondo vincolo superato da chi entra nella corrente è il dubbio
(vichikkicca), che riguarda soprattutto il dubbio verso il Buddha, il
Dhamma e il Sangha, ma anche sulle regole di disciplina e sull’Origine
interdipendente.
Il terzo vincolo è la credenza in regole e rituali (silabbataparamasa). Ci
sono parecchi malintesi sul suo significato, ma comunque si riferisce
alle pratiche di quei non buddhisti che credono che il solo aderire a
codici di disciplina morale e a rituali ascetici, possa condurli alla
liberazione.
Quando questi tre vincoli vengono superati uno entra nella corrente
(sotapanna), e otterrà la liberazione entro un massimo di sette vite. Non
rinascerà in stati di dolore (nel regno degli esseri infernali, degli spiriti
affamati e degli animali) e la sua fede nel Buddha, Dhamma e Sangha è
garantita e incrollabile.

Dopo questo primo stadio di illuminazione, il Nobile continua nella


pratica per indebolire altri due vincoli, il desiderio sensuale e la
malevolenza, in modo da ottenere lo stato di sakadagami, colui che
ritorna una volta sola. Questi due vincoli sono talmente forti che perfino
a questo stadio, vengono solo indeboliti, non eliminati del tutto. Desideri
sensuali e malevolenza possono ancora sorgere, ma non più in modo
così ossessivo come nelle persone comuni.

Quando infine questi due vincoli vengono eliminati uno raggiunge lo


stato di anagami, di colui che non ritorna più. In questo terzo stadio uno
non rinascerà più nella ruota di nascita e morte ma solo nelle pure
dimore riservate a loro e agli arahat.

Quando anche gli ultimi cinque vincoli vengono eliminati (attaccamento


alla sfera della forma (rupa raga), alla sfera della non forma (arupa
raga) alla superbia (mana), all’agitazione (uddhacca) e all’ignoranza
(avijja) si arriva alla vetta della coscienza sopramondana, alla coscienza
fruitiva dell’arahat.

Questi quattro stadi possono essere divisi in due gruppi: i primi tre,
chiamati di addestramento, e il quarto che non ha più bisogno di
addestramento o preparazione. Per questo è bene pensare il progresso
verso lo stato di arahat come un processo graduale, come in un
programma di studi accademici. A ogni stadio si superano certe barriere
di ignoranza, fino a “laurearsi” quando si arriva all’apice conclusivo
degli studi.
A questo punto avviene un cambiamento qualitativo che porta da una
condizione indiretta e determinata, a una diretta e determinante.
...
Anche se qualcuno ha cercato di sminuire lo stato di arahat con l’accusa
di egoismo, va riconosciuto invece che è uno stato benefico e
compassionevole. Basta vedere le istruzioni del Buddha ai suoi
principali discepoli arahat e anche la loro stessa vita, per capire che al
tempo del Buddha lo stato di arahat non era né passivo né egoista.
Sariputta, Moggallana e altri erano molto attivi e impegnati ad insegnare
sia ai laici che ai religiosi. Lo stesso Buddha esortò i suoi discepoli arahat
ad andare avanti per il beneficio di molti. Lo scopo dell’arahat è glorioso
e meritorio e non va sottovalutato, solo perché la tradizione buddhista
riconosce anche la realizzazione dello stato di Buddha individuale o
isolato (pacceka Buddha) e quello della buddhità.

Peter Della Santina (tradotto in italiano da S. Ziviani).

La diffusione dei testi tradotti è consentita in qualsiasi modo tranne che


a fini di lucro.

Per 25 anni Peter Della Santina è stato discepolo di Sua Santità Sakya
Trizin, capo dell’ordine tibetano dei Sakya e di eminenti figure della
tradizione Sakya. Ha praticato la meditazione buddhista e fatto molti
ritiri.

spero sia un testo utile!

ciao ciao,
Pabletto

Modificato da pabletto76 - 16/6/2009, 15:39


10 anni fa

FioreDiLoto90 Utente cancellato


Bellissima spiegazione,molto chiara per altro.Questa è sicuramente la
dottrina che più mi affascina e mi interessa.Grazie per queste
importanti informazioni! ^^
10 anni fa

pepper_sauce Utente cancellato


Ottima introduzione. Grazie!!

:namastè*:
10 anni fa
Ryu Hikari Utente cancellato
Ottima e utilissima guida, grazie destiny di questa spiegazione
9 anni fa

davids88 Utente cancellato


grazie destiny credo di avere molti punti in comune con questa scuola
8 anni fa

Studente95 Utente
Qualcuno mi può suggerire qualche libro o sito per approfondire?
7 anni fa

pietrochag Utente

Qui.

http://santacittarama.altervista.org/welcome.htm
7 anni fa

=anton= Utente cancellato


ma ciò che è scritto nel primo post non vale per tutte le "scuole"
Buddhiste?
6 anni fa
eizo Utente
in teoria sì.
in pratica...
del resto oggi chi gli dà retta più agli anziani?
poveri nonni...
6 anni fa
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