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#ErmesRonchi

UN PADRE, UNA MADRE, UN FIGLIO Le sorti del mondo si decidono dentro una
famiglia silenziosa, nel nodo della vita, nel perno del futuro. Le cose decisive - oggi come
allora - accadono dentro le relazioni, nel quotidiano coraggio di una, di tante, di infinite
creature innamorate e generose che sanno 'prendere con sé' la vita di altri.
Il Natale non è sentimentale ma drammatico, è l'inizio del nuovo ordinamento di tutte le
cose. Non è la festa dei buoni sentimenti, è la vera conversione della storia. La grande
ruota del mondo aveva sempre girato in un unico senso: dal basso verso l'alto, dal piccolo
verso il grande, dal debole verso il forte. Quando Gesù nasce, anzi quando il Figlio di Dio
viene partorito da una donna, il movimento della storia per un istante si inceppa e poi
prende a scorrere nel senso opposto: l'onnipotente si fa debole, l'eterno si fa mortale,
l'infinito è nel frammento.
Erode invia soldati, Dio manda un sogno. Un solo granello di sogno caduto negli
ingranaggi duri della storia basta a modificarne il corso. Giuseppe nel suo sogno non vede,
ma sente. Un sogno di parole, che è concesso anche a noi: Dio cammina accanto alle nostre
paure con la sua Parola, cammina con tutti i rifugiati e con chi dà loro soccorso in un sogno
di parole infinite, un sogno di Vangelo.
“Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto”. Un Dio che
fugge nella notte! Perché comanda di fuggire, senza garantire un futuro, senza segnare la
strada e la data del ritorno? Perché Dio non ti protegge dalla notte ma nella notte, non ti
evita il deserto ma è forza dentro il deserto, non ti salva dalla morte ma nella morte.
Per tre volte Giuseppe sogna. Ogni volta un annuncio parziale, una profezia di breve
respiro. Eppure per partire non chiede di aver tutto chiaro e di vedere l'orizzonte, ma solo
tanta forza quanta ne serve per la prima notte. A Giuseppe basta un Dio che intrecci il suo
respiro con quello di loro tre, fuggiaschi, per sapere che il viaggio va verso casa, anche se
passa per l'Egitto.
È la sua come la nostra fede! Io so che nel mondo comandano i forti e i violenti, so che
Erode siede sul suo trono di morte, so che la vita è un'avventura di pericoli, di strade, di
rifugi e di sogni, ma so anche che dietro a tutto questo c'è un filo rosso il cui capo è saldo
nella mano del Signore. So che in ogni vita c'è il sogno di Dio che va lentamente
incarnandosi.
Giuseppe il giusto rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne che vivono l'amore
senza contare fatiche e paure; tutti quelli che senza proclami e senza ricompense, in
silenzio, fanno ciò che devono fare. E lo fanno! Un po’ concreti e un po’ sognatori non
possono fare altro che amare, spesso nel deserto più totale. Inermi eppure più forti di ogni
faraone. (Matteo 2,13-15.19-23)
*
Icone di Dio: c'è santità e luce in ogni vita
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in
principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di
ciò che esiste. [...] Vangelo immenso, un volo d'aquila che ci impedisce piccoli pensieri,
che opera come uno sfondamento verso l'eterno: verso «l'in principio» (in principio era il
Verbo) e il «per sempre». E ci assicura che un'onda immensa viene a battere sui
promontori della nostra esistenza (e il Verbo si fece carne), che siamo raggiunti da un
flusso che ci alimenta, che non verrà mai meno, a cui possiamo sempre attingere, che in
gioco nella nostra vita c'è una forza più grande di noi. Che un frammento di Logos, di
Verbo, ha messo la sua tenda in ogni carne, qualcosa di Dio è in ogni uomo. C'è santità e
luce in ogni vita. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché
ormai terra e cielo si sono abbracciati. E nessuno potrà dire: qui finisce l'uomo, qui
comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato,
uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme. «Gesù è il racconto della tenerezza
del Padre» (Evangelii gaudium), per questo penso che la traduzione, libera ma vera, dei
primi versetti del Vangelo di Giovanni, possa suonare pressappoco così: «In principio era
la tenerezza, e la tenerezza era presso Dio, e la tenerezza era Dio... e la tenerezza carne si è
fatta e ha messo la sua tenda in mezzo a noi». Il grande miracolo è che Dio non plasma più
l'uomo con polvere del suolo, dall'esterno, come fu in principio, ma si fa lui stesso,
teneramente, polvere plasmata, bambino di Betlemme e carne universale. A quanti l'hanno
accolto ha dato il potere... Notiamo la parola: il potere, non solo la possibilità o
l'opportunità di diventare figli, ma un potere, una energia, una vitalità, una potenza di
umanità capace di sconfinare. «Dio non considera i nostri pensieri, ma prende le nostre
speranze e attese, e le porta avanti» (Giovanni Vannucci). Nella tenerezza era la vita, e la
vita era la luce degli uomini. Una cosa enorme: la vita stessa è luce. La vita vista come una
grande parabola che racconta Dio; un Vangelo che ci insegna a sorprendere parabole nella
vita, a sorprendere perfino nelle pozzanghere della terra il riflesso del cielo. Ci dà la
coscienza che noi stessi siamo parabole, icone di Dio. Che chi ha la sapienza del vivere, ha
la sapienza di Dio. Chi ha passato anche un'ora soltanto ad ascoltare e ad addossarsi il
pianto di una vita è più vicino al mistero di Dio di chi ha letto tutti i libri e sa tutte le
parole. Da Natale, da dove l'infinitamente grande si fa infinitamente piccolo, i cristiani
cominciano a contare gli anni, a raccontare la storia. Questo è il nodo vivo del tempo, che
segna un prima e un dopo. Attorno ad esso danzano i secoli e tutta la mia vita. [E. Ronchi,
2 Gennaio 2020]
*

NON UN’IDEA MA UN FATTO SI E’ IMPOSTO AGLI APOSTOLI. La Pasqua è arrivata a noi attraverso
gli occhi e la fede delle donne che avevano seguito Gesù, in un'alba ricca di sorprese, di corse, di
paure. Maria di Magdala e Maria di Giacomo escono di casa nell'ora tra il buio e la luce, appena
possibile, con l'urgenza di chi ama. E andarono a visitare la tomba. A mani vuote, semplicemente a
visitare, vedere, guardare, soffermarsi, toccare la pietra. Ed ecco ci fu un gran terremoto e un
angelo scese: concorso di terra e di cielo, e la pietra rotola via, non perché Gesù esca, ne è già
uscito, ma per mostrarlo alle donne: venite, guardate il posto dove giaceva. Non è un sepolcro
vuoto che rende plausibile la risurrezione, ma incontrare Lui vivente, e l'angelo prosegue: So che
cercate Gesù, non è qui! Che bello questo: non è qui!
C'è, esiste, vive, ma non qui. Va cercato fuori, altrove, diversamente, è in giro per le strade, è il
vivente, un Dio da cogliere nella vita. Dovunque, eccetto che fra le cose morte. È dentro i sogni di
bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, dentro l'atto di generare, nei gesti di pace, negli
abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell'ultimo respiro del morente,
nella tenerezza con cui si cura un malato. Alle volte ho un sogno: che al Santo Sepolcro ci sia un
diacono annunciatore a ripetere, ai cercatori, le parole dell'angelo: non è qui, vi precede. È fuori, è
davanti. Cercate meglio, cercate con occhi nuovi. Vi precede in Galilea, là dove tutto è cominciato,
dove può ancora ricominciare. L'angelo incalza: ripartite, Lui si fida di voi, vi aspetta e insieme
vivrete solo inizi. Vi precede: la risurrezione di Gesù è una assoluta novità rispetto ai miracoli di
risurrezione di cui parla il Vangelo. Per Lazzaro si era trattato di un ritorno alla vita di prima, quasi
un cammino all'indietro. Quella di Gesù invece è un cammino in avanti, entra in una dimensione
nuova, capofila della lunga migrazione dell'umanità verso la vita di Dio. La risurrezione non è
un'invenzione delle donne. Mille volte più facile, più convincente, sarebbe stato fondare il
cristianesimo sulla vita di Gesù, tutta dedita al prossimo, alla guarigione, all'incoraggiamento, a
togliere barriere e pregiudizi. Una vita buona, bella e felice, da imitare. Molto più facile fondarlo
sulla passione, su quel suo modo coraggioso di porsi davanti al potere religioso e politico, di
morire perdonando e affidandosi. La risurrezione, fondamento su cui sta o cade la Chiesa (stantis
vel cadentis ecclesiae) non è una scelta degli apostoli, è un fatto che si è imposto su di loro. Il più
arduo e il più bello di tutta la Bibbia. E ne ha rovesciato la vita.
***
Un Dio di donne. Sono le donne che venerdì hanno abitato, senza mollare di un centimetro,
il perimetro attorno alla croce, sul Calvario; sono ancora le donne che a Pasqua corrono,
nel vento del mattino, e lo vedono per prime.
Nel vangelo di stanotte Matteo raccontava di due donne e un angelo; le donne hanno il
cuore grande abbastanza per parlare con gli angeli, sanno la loro lingua.
Nel vangelo di stamattina è ancora una donna, Maria di Magdala, ad ascoltare per prima le
parole del risorto: lei conosce la lingua di Dio.
Donna perché piangi? Sembrano proprio dette per noi, oggi, queste parole. Dio prova
dolore per il dolore del mondo, raccoglie ad una ad una le nostre lacrime, le ripone nella
sua anfora, le scrive nel suo libro e conta i passi del nostro vagare.
Poi la chiama: Maria! E lei si gira, sussurrando, piangendo, balbettando... e il vangelo, per
prudenza, riferisce che abbia detto Rabbuni, Maestro. Ma nel giardino io sono sicuro che è
risuonata un’altra parola, direttamente dal cuore: Amore! Sei tu. Sei qui.
Gesù non merita prudenza, merita la fretta dell’amore che non sopporta indugi, che è
sempre in ritardo sugli abbracci.
L’angelo ha detto alle donne: “So che cercate Gesù, non è qui!”. Cercate meglio, con occhi
nuovi.
Che bello questo: non è qui! Cristo c’è, esiste, ma non qui. Va cercato diversamente, è in
giro per le strade, un Dio da cogliere nella vita fuori.
Non qui, non nelle tombe. Dappertutto, ma non fra le cose morte.
Lui è dentro i sogni di bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, dentro l’atto di
generare, nei gesti di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bimbo che
nasce, nell’ultimo respiro del morente, nella tenerezza con cui si cura un malato.
Non è qui, vi precede. È sulla strada, è davanti, è il primo della carovana che incalza la
nostra vita seduta. Io sono la via, la strada, il futuro.
Pasqua viene da un verbo ebraico (pesah) che vuol dire passare. Non è festa per stanziali,
ma per migratori, per chi prova a scollinare verso giustizia, pace, armonia con il creato.
La Evangelii Gaudium conforta il mio cuore migrante:
Il cristiano sa bene che non va perduto nessun gesto d’amore e nessuna generosa fatica.
Non va perduta nessuna dolorosa pazienza.
Io so che, per la Risurrezione di Cristo, tutto questo circola come energia di vita attraverso
le vene del mondo.
Il mondo è una immensa collina di croci. È vero. E tuttavia dove la terra è stata spianata,
vedo spuntare un filo d’erba testardo, e poi un fiore che si impunta, ostinato, a fiorire.
Vedo mucchi di macerie, eppure sono sicuro che la vita è assediata ma non espugnata.
Questa è la pasqua dei fragili, di molti crocifissi. Ma anche di mille e mille uomini e donne
mirabili, nonostante; di mille Cirenei; di mille ciliegi fioriti sulle colline, nonostante.
Tutti loro mi dicono:
Non cercare fra i morti, colui che vive.
Il mio Dio è vivo. E mi precede. Io non appartengo a un Dio compianto. E lo ripeto alle
mie paure: io appartengo a un Dio vivo!
E questa fede mi fa dolce e fortissima compagnia.

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