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in aperto posita, quae manu prenderem, quaedam obscuriora et in ecco mi apparivano alcuni vizi, messi allo scoperto, tanto che
recessu, quaedam non continua sed ex interuallis redeuntia, quae potevo afferrarli con la mano: alcuni più nascosti e reconditi,
uel molestissima dixerim, ut hostis uagos et ex occasionibus altri non costanti, ma ricorrenti di quando in quando, che
adsilientis, per quos neutrum licet, nec tamquam in bello paratuin definirei addirittura i più insidiosi, come nemici sparpagliati e
esse nec pronti ad attaccare al momento opportuno, con i quali non è
!R tamquam in pace securum. Illum. tamen habiturn in me maxime
ammessa nessuna delle due tattiche, star pronti come in guerra
deprendo (quare enim non uerum ut medico fatear?), nec bona
né tranquilli' come in pace. Tuttavia ho da criticare soprattutto
fide liberatum me eis quae timebam et oderam nec rursus
obnoxium; in statu ut non pessimo, ita maxime querulo et moroso quell'atteggiamento in me (perché infatti non confessarlo
positus sum- nec aegroto nec proprio come a un medico?), vale a dire di non essermi liberato
3 ualeo. Non est quod dicas omniurn uirtutium tenera esse principia, in tutta sincerità di quei difetti che temevo e odiavo e di non
tempore illis duramentum et robur accedere; esserne tuttavia ancora schiavo; mi ritrovo in una condizione se
è vero non pessima, pur tuttavia più che mai lamentevole e
uggiosa: non sto né male né bene. Non devi dirmì che tutti i
comportamenti virtuosi hanno esordi malfermi, e che col tempo
essi guadagnano consolidamento e
la sua morte è da attribuire ad avvelenamento da funghi. conflitti interiori: è in questo modo che l'insegnamento paneziano zione
1 Il verbo inquirere conosce un uso specifico giudiziario, passato all'italiano aveva mitigato la difficoltà di raggiungere l'apatia, obiettivo dell'antica Stoa.
nel campo semantico di «inchiesta», «inquisito» ecc.: come mostra anche il resto Seneca accosta il termine securitas a tranquillitas in Epist.
del discorso, Sereno è infatti nell'atteggiamento di chi indaga in se stes 92, 3, chiedendosi Quid est vita beata? Securitas et
perpetua tranquillitas.
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non ignoro etiam quae in speciem la~orant, dignitatem dico et forza; non ignoro nemmeno che anche quelle attività che in-
cloquentiae famam et quidquid ad alienum. suffragium uenit, dirizzano i loro sforzi a guadagnare immagine, intendo le ca-
mora conualescere-et quac ueras uires parant et quae ad riche pubbliche o la fama legata all'abilità oratoria e tutto ciò
placendurn fuco quodam subornantur expectant annos donee che punta sul favore della gente, si rafforzano con il tempo -sia
paulatim colorem diuturnitas ducat -sed ego uereor nc quelle attività che forniscono vere forze sia quelle che per
consuetudo, quac rebus adfert constantiam, hoc uitium mihi guadagnare favore si danno una qualche verniciatura artificiosa
altius figat: tam malorum. quam bonorum. longa conuersatio aspettano anni, finché a poco a poco la durata faccia assumere
amorem induit. colore - ma io temo che la consuetudine, che consolida le cose,
4 Haec animi inter utrumque dubii nec ad recta fortiter nee mi infigga più profondamente questo vizio nell'animo: la lunga
ad praua uergentis infirmitas qualis sit, non tam semel tibi possum frequentazione ingenera amore sia per i difetti che per le virtù.3
quam per partes ostendere; dicam quac accidant 5 mihi, tu morbo Quale sia la debolezza del rnio animo in bilico tra i due
nomen inuenies. Tenet me summus amor comportamenti, incapace di inclinare con forza verso la retta
parsimoniae, fateor: placet non in ambitionern cubile compositurn, via o verso quella sbagliata, non posso indicartela tutta insieme
non ex arcula prolata uestis, non ponderibus ac mille tormentis bensì per parti; ti dirò quel che mi accade, tu troverai un nome
splendere cogentibus expressa, sed 6 domestica et uilis, nec seruata al mio male.4 Sono preda di un grandissimo amore per la
nee sumenda sollicite; placet parsimonia, lo confesso: mi piace un letto non preparato per
cibus quem nec parent familiae ncc spectent, non ante multos l'ostentazione, una veste non tirata fuori dal forziere, non
imperatus dies nec multorum manibus ministratus, sed parabilis pressata da pesi e mille strumenti di tortura che la costringono
facilisque, nihil habens arcessiti pretiosiue, ubilibet non defuturus, a ostentare una bella piega, ma ordinaria e semplice, non di
nec patrimonio nec corpori grauis, 7 non rediturus qua intrauerit; quelle che si conservano e si tirano fuori con ansia. Mi piace il
placet minister incultus et cibo che non debbano elaborare e sorvegliare stuoli di servi,
rudis uernula, argentum. graue rustici patris sine ullo non ordinato molti giorni prima né servito dalle mani di molti,
ma facile a reperirsi e semplice, un cibo che non ha nulla di
ricercato o di prezioso, che non verrà a mancare da nessuna
parte si vada, non oneroso per il patrimonio né per il corpo, tale
da non uscire poi per la stessa via dalla quale è entrato. Mi
piacciono il servo alla buona e lo schiavetto rustico, l'argenteria
massiccia ereditata dal padre contadino che non
5 Le mense raffinate erano fatte in legni pregiati, di cui si potevano ammira liberi, ma più in particolare gli schiavi delle famiglie ricche, destinati a compiti
re venature particolari (cfr. Seri., De ira 3, 35, 5 mensam... crebris superiori.
distinctani 7 SUI fasto delle case e soprattutto delle sale da pranzo in età imperiale abbiamo copiosa
venis; ce le descrive diffusamente Plinio in Nat. Hist. 13, 93 sgg., soprattut testimonianza: lo stesso Seneca ne parla più volte, sempre polemizzando contro lo
to 96- 9). Tutto il passo si inserisce nella nota polemica contro il lusso che stravolgimento di prospettiva che porta a sprecare le ricchezze fino al limite estremo di
rappresentava un filone importante del pensiero antico, greco e latino. Uac «calpestarle», ricoprendo i pavimenti di materiali preziosi (per es. Epist. 94, 71
cenno al rusticus pater, in particolare, punta su uno dei capisaldi dell'auto ... ut terrani marmoribus abscondas: non tantum habere
rappresentazione in senso tradizionalista del civis Romanus, come erede di tibi liceat, sed calcare divitias). Uallusione ai giochi d'acqua e
una cultura contadina (opposta con orgoglio a quella cittadina) che aveva fat soprattutto alla messinscena coglie quello che era diventato l'elemento centrale dei
to la grandezza di Roma: è inoltre fondamentale per giustificare il possesso, banchetti: la loro spettacolarità. Di ciò abbiamo la testimonianza più significativa nel
appunto, di un bene di lusso, quale l'argentum, ammesso solo in quanto ere quadro dipinto da Petronio con la Coena Trimalchionis nel Satyricon.
ditario e comunque di qualità solida (grave) e non raffinata (sine... artificis).
6 1 paedagogia erano scuole dove in età imperiale venivano educati giovani
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utiliorque sim. Promptus [sim positus] sequor Zenona, ti i concittadini, e insomma a tutti gli uomini. Seguo pronto
Cleanthen, Chrysippum, quorum tamen nemo ad rem Zenone, Cleante, Crisippo,8 dei quali nessuno fece carriera
i i publicam accessit, et nemo non misit. Vbi aliquid animum politica e tuttavia nessuno mancò di indirizzarci gli altri.
insolitum arietari percussit, ubi aliquid occurrit aut indignum, ut Quando qualcosa colpisce il mio animo non avvezzo a essere
in orrini uita humana multa sunt, aut parum ex facili fluens, aut urtato, quando mi si presenta qualche situazione spiacevole,
multum temporis res non magno aestimandae poposcerunt, ad come ce ne sono molte nella vita di ognuno, o di quelle che
otium conuertor et, quemadmodum pecoribus fatigatis quoque,
procedono poco agevolmente, oppure occupazioni di non gran
uelocior domum gradus est. Placet intra parietes suos uitam
coercere: 'nemo ullum auferat diem nihil dignum tanto inpendio conto mi richiedono troppo tempo, mi concedo del tempo per
redditurus; sibi ipse animus hacreat, se colat, nihil alieni agat, me e, come succede anche ai greggi stanchi, tomo più
nihil quod ad iudicern spectet; ametur expers publicae priua- velocemente verso casa. Mi piace chiudere la vita tra le sue
12 taeque curae tranquillitas.' Sed ubi lectio fortior erexit ammurri et pareti: «Che nessuno ci porti via alcun giomo, dato che non
aculeos subdiderunt exempla nobilia, prosilire libet in forum, potrà renderci nulla che sia degno di tanta perdita; l'animo stia
commodare alteri uocem, alteri operam, etiam si nìhil con se stesso, si coltivi, non si dedichi a nulla di estemo, a
profuturam, tamen conaturam prodesse, alicuius coercere [in nulla che attenda il giudizio di altri;9 si cerchi una tranquillità
foro] superbiam male secundis rebus elati. priva di tormenti pubblici e privati.» Ma non appena una
13 In studiis puto mehercules melius esse res ipsas intueri et harum
lettura più impegnativa mi innalza l'animo e nobili esempi
causa loqui, ceterum uerba rebus permittere, ut qua duxerint hac
fanno sentire il loro stimolo, mi piace corrermene nel foro,
inelaborata sequatur oratio: 'quid opus est saeculis duratura
componere? Vis tu non id agere ne te posteri taceant? Morti prestare ad uno la mia voce, a un altro il mio aiuto, che, se an-
natus es, minus molestiarum habet funus tacitum. Itaque che non sarà di alcuna utilità, tuttavia cercherà di esserlo, col-
occupandi temporis causa pire l'arToganza di chi è ingiustamente insuperbito per il favore
delle circostanze.
Nella pratica degli studi ritengo, davvero, che sia meglio
tener presenti attentamente i contenuti stessi e parlare per
questi, per il resto affidare le parole ai contenuti, affinché
venga fuori un discorso non artificioso nella direzione in cui
essi conducono: 10 «Che bisogno c'è di creare opere destinate a
durare nei secoli? Non vuoi tu cercare piuttosto che i posteri ti
passino sotto silenzioP 1 Sei nato per la morte, un funerale
silenzioso crea meno fastidi. Così, scrivi qualcosa con
8 Sono i padri dello stoicismo. Zenone, nato a Cizio
nell'isola di Cipro, e passato ad Atene, vi fondò attorno al
301 a.C. la scuola detta Stoà poikíle (= portico variopinto), 1() La teoria dello stile qui esposta da Sereno in forma di
dal portico, appunto, sotto il quale si tenevano le lezioni. problema aperto rifiene nella sostanza i principi in cui
Cleante di Asso fu allievo e successore di Zenone come Seneca professava di credere: assegnare più irriportanza ai
caposcuola; a lui successe Crisippo di Soli nella medesima concetti che agli abbellimenti stilistici è quanto il filosofo
funzione. raccomanda anche a Lucilio (cfr. soprattutto Epist. 40 e
9 Il precetto compare in varia forma negli scritti di Seneca, 75).
in particolare nelle Lettere a Lucilio: raccogliersi in se I I Anche questo precetto, che Seneca include più volte nelle
stessi è presentato come un passo spesso necessario per sue opere, appartiene al patrimonio del pensiero cinico; è
noto viceversa che per i Romani l'aspirazione alla gloria
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in usum tuum, non in pracconium aliquid simplici stilo 14 sciibe: semplicità per occupare il tempo ad uso personale, non perché
minore labore opus est studentibus in diem.' Rursus ubi se animus si sappia in giro: occorre minor fatica a coloro che si applicano
cogitationum magnitudine leuauit, ambitiosus in uerba est altiusque per l'oggi.» Ma di nuovo quando l'animo si eleva per la
ut spirare ita eloqui gestit et ad dignitatem rerum exit oratio; oblitus grandezza delle cose che pensa, si fa ambizioso anche nella
tum legis pressiorisque iudicii sublimius feror et ore iam non meo. ricerca delle parole e cerca di respirare e di parlare con
is Ne singula diutius persequar, in omnibus rebus haec me sequitur maggiore sostenutezza e il discorso che vien fuori si conforma
bonae mentis infirmitas. tCuit ne paulatim defluam uereor, aut, alla grandezza dei concetti; allora, dimentico della regola
quod est sollicitius, ne semper casuro similis pendeam et plus • del mio gusto più misurato mi faccio trasportare più in alto
fortasse sit quam quod ipse peruideo; familiariter enim domestica • «parlo con bocca non più mia».
aspicimus et semper iudicio Per non dilungarmi sui singoli aspetti, in tutte le occasioni
16 fauor officit. Puto multos potuissead sapientiam peruenire, nisi mi accompagna questa incostanza di senno . ... Il Temo di sci-
putassent se peruenisse, nisi quaedam in se dissimulassent, volare giù a poco a poco o, cosa più preoccupante, di essere
quaedam opertis oculis transiluissent. Non est enim quod magis sempre in bilico come chi sta per cadere e che la situazione sia
aliena <nos> iudices adulatione perire quam nostra. Quis sibi forse peggiore di quella che vedo io; infatti guardiamo con
uerum dicere ausus est? Quis non inter laudantium bonomia le cose che ci riguardano e la simpatia offusca sempre
blandientiumque positus greges plurimum il giudizio. Penso che molti avrebbero potuto raggiungere la
17 tamen sibi ipse adsentatus est? Rogo itaque, si quod habes saggezza, se non avessero ritenuto di averla raggiunta, se non si
remedium quo hanc fluctuationem meam sistas, dignum me putes fossero nascosti qualche loro manchevolezza, se non avessero
qui tibi tranquillitatem debeam. Non esse periculosos <hos> sorvolato su qualcosa chiudendo gli occhi. Infatti non c'è
motus animi nec quicquarn tumultuosi adferentis scio; ut uera tibi ragione di credere che noi andiamo in rovina più per
similitudine id de quo queror exprimam, non tempestate uexor l'adulazione altrui che per la nostra. Chi è che ha mai osato dirsi
sed nausea: detrahe ergo quidquid hoc est mali et succurre in la verità? Chi è che posto tra branchi di elogiatori e lusingatori
conspectu terrarum laboranti. non si è fatto tuttavia egli stesso grandissimo adulatore di Sé?
13 Ti prego dunque, se hai un qualche rimedio con cui tu possa
por fine a questo mio fluttuare, di ritenermi degno di dovere a
te la tnia tranquillità. Che non siano pericolosi questi moti
dell'animo e che non portino con sé nessun vero
sconvolgimento lo so; per esprimerti ciò di cui mi lamento con
una similitudine appropriata, non sono tormentato da una
tempesta, ma dal mal di mare: toglin-ù dunque questo
malessere, quale che sia, e vieni in aiuto di un naufrago che
ancora tribola già in vista della terraferma.
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2 <SENECA> Quacro mehercules iam. dudum, Serene, ipse [2] <Seneca> Mi vado chiedendo, perbacco, già da un po',
tacitus, cui talem. adfectum animi similem putem, nec ulli Sereno - tra me e me -, a che cosa potrei assimilare tale affe-
propius admouerim. exemplo quam eorum qui ex longa zione dell'animo, e non saprei avvicinarla di più a nessun
et graui ualetudine cxpliciti motiunculis leuibusque inte esempio che a quello di quanti, usciti da una malattia lunga e
rim offensis perstringuntur et, cum reliquias effugerunt, grave, di tanto in tanto sono colpiti da piccoli attacchi di febbre
suspicionibus tamen inquietantur medicisque iam sani e da episodi di leggero malessere e, quando si sono ormai
manum porrigunt et omnem calorem corporis sui calumni
sottratti alle residue manifestazioni del male, tuttavia si fanno
antur. Horum, Serene, non parum sanum est corpus, sed
sanitati parum adsueuit, sicut est quidam tremor etiam turbare da quelli che giudicano sintomi e, orinai guariti, ten-
tranquilli maris, utique cum ex tempestate requieuit. dono la mano ai medici e sovrainterpretano ogni rialzo di
temperatura. 14 Di costoro, Sereno, non è poco sano il corpo,
2 Opus est itaque non illis durioribus quae iam transcucurri ma troppo poco si è abituato alla salute, così come è presente
mus, ut alicubi obstes tibi, alicubi irascaris, alicubi instes un qualche tremolio anche nella marina tranquilla, specie
grains, sed illo quod ultimum uenit, ut fidem tibi habeas et quando è uscita da una tempesta. C'è bisogno dunque non di
recta ire te uia credas, nihil auocatus transuersis multorurn
quei provvedimenti più duri che orinai ci siamo lasciati alle
uestigiis passim discurrentium, quorundam circa ipsam.
spalle, cioè che a volte tu lotti con te stesso, altre monti in
3 errantium uiam. Quod desideras autem magnum ct sum collera con te, altre ancora ti incalzi pesantemente, ma di
mum est deoque uicinum, non concuti. Hanc stabilem quello che viene da ultimo, che tu abbia fiducia in te stesso e
animi sedem Graeci 6~jilav uocant, de qua Democrid creda di procedere per la strada giusta, non facendotene asso-
uolumen egregium est, ego tranquillitatern uoco; nec enim.
lutamente distogliere dalle orme incrociate dei molti che va-
imitari et transferre uerba ad illorum. formarn necesse est:
res ipsa de qua agitur aliquo signanda nomine est, quod gano in tutte le direzioni, di alcuni che sbandano proprio ai
4 appellationis Graecae uim debet habere, non faciem. Ergo margini della strada. Quanto a ciò di cui senti la mancanza, è
quacrimus quomodo animus scmper aequali secundoque qualcosa di grande, di eccelso, di vicino a dio, il non essere
turbato. Questa stabilità dell'animo, sulla quale c'è quel volume
egregio di Democrito, 15 i Greci la chiamano ùftu~tíct, io la
chiamo tranquillità; infatti non è necessario imitare e tra-
slitterare un termine secondo la forma greca: lo stesso oggetto
di cui si tratta va contrassegnato con un nome, che deve avere
l'efficacia, non l'aspetto della dizione greca. Dunque noi ci
chiediamo in che modo gli stati d'animo possano se-
14Anche questa nuova immagine tratta dall'ambitc, medico
è utilizzata variamente da Seneca in altri testi (per es. sofo atomista che manifestò un interesse particolare per i
Epist. 72, 6). problemi etici: nei frammenti che possediamo è leggibile il
15 Come anche in alcuni altri casi Seneca cita qui concetto di eM5u[tía come lo intende Seneca, una forma di
direttamente in greco il termine tecnico filosofico, ma è una equilibrio interiore nel quale il senso della misura s'impone
scelta che egli non sostiene teoricamente, ritenendo anzi sui turbamenti e le passioni dell'animo. Uequivalenza del
che il rispetto del senso di un concetto non debba termine greco con il latino tranquillitas era già adombrata
necessariamente passare per l'ossequio alla dizione della in Cicerone (Defin. 5, 23): Democriti autem securitas,
lingua di partenza: per gli stoici, di cui sono noti gli quae est animi tamquam tranquillitas, quam appellant
interessi per la riflessione teorica sulla lingua, la parola
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cursu cat propitiusque sibi sit et sua laetus aspiciat et hoc guire un andamento sempre regolare e favorevole e l'animo sia
gaudium non interrumpat, sed placido statu. maneat nec attollens propizio a se stesso e guardi con contentezza a ciò che lo
se umquarn nec deprimens: id tranquillitas erit. Quomodo ad hanc concerne e non interrompa questa felicità, ma rimanga in uno
perueniri possit in uniuersum quaeramus: sumes tu ex publico stato di benessere, senza mai esaltarsi o deprimersi: questo
remedio quantum. uoles. Totum interim uitium in medium
costituirà la tranquillità. In che modo si possa pervenire ad essa
protrahendurn est, ex quo agnoscet quisque partem suam; simul tu
intelleges quanto minus negotii habeas cum fastidio tui quam ii cerchiamolo in generale: tu prenderai dalla medicina comune
quos ad professionem speciosarn alligatos et sub ingenti titulo quanto vorrai. Frattanto va esposto alla vista di tutti il male
laborantis in sua simulatione pudor magis quam uoluntas tenet. nella sua interezza, e ciascuno potrà riconoscere la parte che è
6 Omnes in eadem causa sunt, et hi qui leuitate uexantur ac taedio sua; tu capirai subito quanto minor imbarazzo costi a te il
adsiduaque mutatione propositi, quibus semper magis placct quod disprezzo di te stesso rispetto a quanti, legati a una professione
reliquerunt, et illi qui marcent et oscitantur. Adice eos qui non di immagine e affaticati dal peso della loro alta dignità
aliter quam quibus difficilis somnus est uersant se et hoc atque ufficiale, sono costretti a recitare una parte dal pudore più che
illo modo componunt donec quietem lassitudine inueniant: statum dalla volontà.
uitae suae reformando subinde in eo nouissime manent in quo Tutti si trovano nella stessa condizione, sia quanti sono
illos non mutandi odium sed senectus ad nouandum pigra
tormentati dall'incostanza e dal tedio16 e dal continuo muta-
deprendit. Adice et illos qui non constantiae uitio parum lcues
sunt sed inertiae, et uiuunt non quomodo uolunt sed mento dei propositi, ai quali sempre piace di più ciò che hanno
7 quomodo coeperunt. Innumerabiles deinceps proprietates sunt sed lasciato, sia quelli che si lasciano marcire tra gli sbadigli.
unus effectus uitii, sibi displicere. Hoe oritur ab intemperie animi Aggiungi quelli che si agitano non diversamente da quanti
et cupiditatibus timidis aut parum hanno il sonno difficile e si mettono in questa o in quell'altra
posizione finché non trovano pace per stanchezza: cambiando
continuamente modo di vivere da ultimo si fermano in quello in
cui li sorprende non il fastidio per i cambiamenti ma la
vecchiaia restia ai rinnovamenti. Aggiungi anche quelli che
sono poco duttili non per colpa della loro fermezza, ma per
colpa della loro inerzia, e vivono non come vogliono, ma come
hanno cominciato.17 Di qui innumerevoli sono le caratte-
ristiche, ma uno solo l'effetto del male, l'essere scontenti di sé.
Questo trae origine dall'incostanza dell'animo e da desi-
16La levitas, semanficamente opposta alla virtù stoica della constantia, è PIO... Seneca la impiega anche in De brev. 2, 2 ugualmente in coppia con
bersaglio degli attacchi di Seneca anche in De brev. 2, 2 all'intemo di una marceo (nwrcentes oscitantesque).
galleria simile a questa di esempi di instabilità nevrotica (vaga et inconstans et 17 La casistica delle varie forme di irrequietezza interiore, che allontanano
sibi displicens levitas: «una volubilità incerta, incostante, insoddisfatta»). l'uomo dalla capacità di vivere pienamente la propria vita seguendo la sag-
Taedium è a propria volta parola tematica: rimanda infatti a quella lunga tra- gezza, ha caratteristiche di «pezzo» di repertorio: infatti è molto simile al
dizione di pensiero che si era occupata del taedium vitae, l'angoscia esisten- quadro tracciato in De brev. 2, 2 di cui sopra. La presenza di queste parti ri-
ziale, individuandovi il nocciolo dell'infelicità umana: sono celebri i versi di conduce al carattere predicatorio originario della filosofia diatribica, che vi
Lucrezio 3, 1053 sgg. e di Orazio, Epist. 1, 11. Tra le altre, è di ascendenza doveva fare ricorso proprio perché basata sull'improvvisazione, e dunque
lucreziana l'immagine degli inquieti che sbadigliano: 3, 1065, oscitat extem- può spiegarsi nei Dialogi di Seneca come portato di questa tradizione.
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prosperis, ubi aut non audent quantum concupiscunt aut deri timidi o poco fortunati, laddove gli uomini o non osano
non consequuntur et in spern toti prominent; semper instabíles quanto vogliono o non lo ottegono e sono tutti protesi nella
mobilesque sunt, quod necesse est accidere pendentibus. Ad uota speranza; sono sempre instabili e mutevoli, il che è inevitabile
sua omni uia tendunt et inhonesta se ac difficilia docent succeda a chi sta con l'animo in sospeso. Tendono con ogni
coguntque, et ubi sine praemìo labor est, torquet illos inritum mezzo al soddisfacimento dei loro desideri, e si addestrano e si
dedecus, nec dolent praua se costringono a obiettivi disonorevoli d ardui, e quando la loro
8 <sed> frustra uoluisse. Tunc illos et paenitentia coepti tenet et fatica è priva di premio, li tormenta il disonore che non ha dato
incipiendi timor subrepitque illa animi iactatio non inuenientis frutto, né si rammaricano di aver teso a obiettivi ingiusti, ma di
exitum, quia nec imperare cupiditatibus suis nec obsequi possunt, averlo fatto invano. Allora li prende sia il pentimento di quello
et cunctatio uitae parum se explicantis et inter destituta uota che hanno intrapreso sia il timore di intraprendere altro e
torpentis animi situs. s'insinua in loro quell'irrequietezza dell'animo che non trova
9 Quae omnia grauiora sunt, ubi odio infelicitatis operosae ad vie d'uscita, poiché non possono né dominare i loro desideri né
otium perfugerunt, ad secreta studia, quae pati non potest animus assecondarli, e l'irresolutezza di una vita che non riesce a
ad ciuilia erectus agendique cupidus et natura inquies, parum realizzarsi e l'inerzia dell'animo che s'intorpidisce tra desideri
scilicet in se solaciorum habens; ideo, detractis oblectationibus frustrati. E tutto ciò risulta più grave, laddove per il disgusto di
quas ipsae occupationes discurrentibus praebent, domurri una vita infelice piena di impegni si sono rifugiati nell'ozio,
solitudinem parietes non nella vita privata, condizione che non può sopportare un animo
10 fert, inuitus aspicit se sibi relictum. Hinc illud est taedium et teso all'impegno civile e desideroso di agire e per natura
displicentia sui et nusquam residentis animi uolutatio et otii sui insofferente del quieto vivere, che - si capisce - trova in sé
tristis atque aegra patientia, utique ubi causas fateri pudet et poco conforto; perciò, tolti i piaceri che gli stessi impegni
tormenta introsus egit uerecundia, in angusto inclusae cupiditates dispensano a chi corre da tutte le parti, non sopporta casa
sine exitu se ipsae strangulant; inde maeror marcorque et mille solitudine pareti, a malincuore si guarda abbandonato a se
fluctus mentis incertae, quam spes inchoatae suspensam habent, stesso. Di qui quella noia e quel disgusto di sé, e l'irrequietezza
deploratae tristem; inde dell'animo che non trova mai un dove, e la triste e penosa
sopportazione del proprio ozio, soprattutto quando si ha ritegno
nell'ammetterne le cause e il pudore ha ricacciato dentro le
ragioni del tormento, mentre le passioni bloccate in uno spazio
angusto si soffocano a vicenda senza trovare sbocchi; di lì
mestizia abbattimento e mille'8 ondeggiamenti della mente
incerta, tenuta in sospeso dalle speranze accarezzate, intristita
da quelle abbandonate; di lì quello
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locorum horrentium. squalore releuentur: 'Tarentumi petatur piacevole, in cui gli occhi abituati al lusso possano trovar sol-
laudatusque portus et hiberna caeli mitioris et regio uel antiquae lievo dal prolungato spettacolo di squallore dei luoghi aspri:
satis opulenta turbae.' 'Iarn flectamus cursum ad urbem': nimis diu a «Rechiamoci a Taranto, al suo porto elogiato e al soggiorno
plausu et fragore aures uacauerunt, 14 iuuat iani et humano invernale di un clima più mite 22 e a una terra abbastanza ricca
sanguine frui. Aliud ex alio iter suscipitur et spectacula spectaculis anche per la popolazione di un tempo.» «Ormai volgiamo la
mutantur. Vt ait Lucretius, rotta verso Roma»: troppo a lungo le orecchie sono restate
hoc se quisque modo semper libere dagli applausi e dal chiasso, ormai fa piacere godere
fugit. della vista del sangue umano. Si intraprende un viaggio dietro
Sed quid prodest, si non effugit? sequitur se ipse et urget 15
grauissimus comes. Itaque scire debemus non locorum uitiurn esse l'altro e si alternano spettacoli a spettacoli. Come dice Lu-
quo laboramus, sed nostrum: infirmi sumus ad omne tolerandum, crezio, in questo modo ciascuno fugge sempre se steSSO.23
nec laboris patientes nec uoluPtatis nec nostri nec ullius rei diutius. Ma a che gli serve, se non riesce a sfuggirsi? sempre si segue e
Hoc quosdarn egit ad mortem, quod proposita saepe mutando in si
C
eaderri reuoluebantur et non reliquerant nouitati locum: fastidio incalza da solo, compagno di viaggio insopportabile. Dunque
esse illis coepit uita et ipse mundus et subit illud tabidarumi dobbiamo sapere che non è dei luoghi la colpa per cui ci tor-
deliciarum: 'quousque eadem?' mentiamo, ma nostra:24 siamo incapaci di tollerare tutto, non
3 Aduersus hoc taediurn quo auxilio puterni utenduni quaeris. sopportiamo la fatica né il piacere né noi stessi né nessuna cosa
Optumurn erat, ut ait Athenodorus, actione rerum et rei publicae troppo a lungo. Questo ha portato alcuni alla morte, il fatto che
tractatione et officiis ciuilibus se detinere. Narri ut quidani sole spesso cambiando propositi finivano per ritornare ai medesimi
atque exercitatione et cura corporis dierni educunt athletisque e non avevano lasciato spazio alla novità: cominciarono ad
longe utilissimurn est lacertos suos roburque, cui se uni esser loro motivo di fastidio la vita e lo stesso mondo e si
dicauerunt, maiore temporis insinuò in loro quel famoso dubbio proprio di una raffinatezza
marcescente: «fino a quando le stesse cose?»
[3] Contro questa insofferenza chiedi di quale aiuto io pensi
ci si debba servire. Il meglio sarebbe stato, come diceva
Atenodoro ~25 tenersi occupati nell'azione e nell'impegno
politico e nei doveri civili. Infatti, come alcuni passano la vita
all'aria aperta e nell'esercizio e nella cura del corpo e per gli
atleti è di gran lunga la cosa più utile nutrire per gran parte del
tempo la forza dei loro muscoli, alla quale si sono de-
22 Del clima di Taranto abbiamo testimonianza, per es., Epist. 28, 1 sgg., che contiene la celebre esortazione
anche in Orazio, Carm. 2, 6. 23 t il passo 3, 1068, interno animum debes mutare, non caelum ecc.
alla sezione già citata del poema lucreziano, ma la citazione 24 Per il principio, cfr. Epist. 17, 12 non est enim in rebus
fatta a memoria contiene un semper che nel testo manca: vitium, sed in ipso animo («il male non è nelle cose, ma
in letteratura latina è quella per noi la prirria formulazione proprio nell'ammo»).
del topos diatribico della instabilità spirituale che si 25 Si è in dubbio sull'identificazione precisa di questo
traduce nel frequente cambiamento di luogo. A questo personaggio: c'è chi pensa ad Atenodoro di Tarso,
Seneca stesso dedica una trattazione rivolta al discepolo discepolo di Posidonio, frequentatore a Roma della corte di
80 Augusto (forse lo stesso che Seneca cita in Epist. 10, 81 5
come sua fonte); viceversa potrebbe trattarsi dell'omonimo
parte nutrire, ita uobis animum ad rerum ciuiliurn certamen dicati totalmente, così per voi che preparate l'animo alla lotta
parantibus in opere esse [non] longe pulcherrimuni est; nam cum politica è di gran lunga la cosa preferibile darsi all'azione;
utilem se efficere ciuibus mortalibusque propositum habeat, simul infatti, avendo il proposito di rendersi utile ai cittadini e agli
et exercetur et proficit qui in mediis se officiis posuit communia uomini in generale, si esercita e nello stesso tempo ne trae
priuataque pro facultate giovamento chi si è immerso nelle occupazioni curando - in
2 administrans.'Sedquiainhac'inquittaminsanahoniinum ambitione base alle sue possibilità - il pubblico e il privato. «Ma poiché -
tot caluinniatoribus in deterius recta torquentibus parum tuta diceva - in questa così dissennata ambizione degli uomini, in
simplicitas est et plus futurum semper est quod obstet quam quod
presenza di tanti detrattori che distorcono in peggio le azioni
succedat, a foro quidem et publico recedenduin est, sed habet ubi
se etiam in priuato laxe explicet magnus animus; nec ut leonum oneste, la sincerità è troppo poco sicura ed è sempre più
animaliumque impetus caucis coercetur, sic hominum, quorum probabile si verifichi un intoppo piuttosto che un successo, è
maximae necessario ritirarsi dal foro e dalla vita pubblica, ma un animo
3 in seducto actiones sunt. Ita tamen delituerit ut, ubicumque otium grande anche in privato ha dove dar ampia prova di sé; e per gli
suum absconderit, prodesse uelit singulis uniuersisque ingenio uomini non è lo stesso che per i leoni e le bestie, la cui forza è
uoce consilio; nec enim is solus rei publicac prodest qui soffocata dalla cattività: le loro azioni risultano anzi
candidatos extrahit et tuetur reos et de pace belloque censet, sed efficacissime nel ritiro .26 Tuttavia starà nascosto cosi che, in
qui iuuentutem exhortatur, qui in tanta bonorum praeceptorum qualunque luogo abbia tenuto celato il suo ritiro, voglia giovare
inopia uirtutem instillat animis, qui ad pecuniam luxuriamque ai singoli e alla collettività con l'intelligenza, la parola, la
cursu ruentis prensat ac retrabit et, si nihil aliud, certe moratur, in
saggezza; infatti non si rivela utile allo stato soltanto colui che
priuato
4 publicum negotiurn agit. An ille plus praestat qui inter peregrinos promuove i candidati e difende gli accusati e decide della pace
et ciues aut urbanus praetor adeuntibus adsesso- e della guerra, ma anche colui che esorta i giovani, che in tanta
carenza di buoni insegnamenti instilla la virtù negli animi, che
sa bloccare e tirare indietro quelli che si gettano di corsa verso
il denaro e il consumo sfrenato e, se non altro, almeno li
trattiene, costui in privato svolge un compito di ordine
pubblico. Ma fa forse di più colui che tra i forestieri e i
concittadini o in qualità di pretore urban021 a quan-
Nam si omnem conuersationern tol- non desidererai che venga la notte per noia della luce, non sa
limus et generi humano renuntiamus uiuimusque in nos tanturn rai di peso a te stesso né di troppo per gli altri; attrarrai molti
conuersi, sequetur hanc solitudinern omni studio carentern inopia nella tua amicizia e tutti i migliori verranno da te. Infatti la
rerurn agendarum: incipiemus aedificia alia ponere, alia subuertere virtù non resta mai in incognito, per quanto nascosta, ma
et mare summouere et aquas contra difficultatern locorurn educere manda segni di sé: chiunque ne sarà degno, la recupererà dal
et male dispensare 8 tempus quod nobis natura consumendurn le tracce. Infatti se elimmiamo ogni frequentazione degli altri
dedit. AM parce e rinunciamo al genere umano e viviamo concentrati unica
illo utimur, alii prodige; alii sic inpendimus ut possimus mente in noi stessi, farà seguito a questo stato di solitudine
rationem reddere, alii ut nullas habeamus reliquias, qua priva di ogni interesse la mancanza di cose da fare: comince
remo a costruire edifici e a distruggeme altri, e a sconvolgere
il mare e a condurre corsi d'acqua contro le difficoltà dei luo
ghi e a distribuire male il tempo che la natura ci ha dato da
impiegare.28 Alcuni di noi ne fanno uso con parsimonia, altri
con prodigalità; alcuni di noi lo spendono in modo da poter
ne rendere conto, altri in modo da non lasciarne alcun resi
duo, cosa di cui niente è più vergognoso. Spesso una persona
soprattutto nell'enfasi con cui la prima persona plurale è marcata dalla pre-
senza del pronome.
29 Uadvocatus (o patronus, come regolarmente in età imperiale) svolgeva la 31 Con tribunal si intendeva propriamente il palco spettante ai magistrati, i
propria funzione legale durante i processi con un vero e proprio patrocinio o rostra erano invece le tribune destinate agli oratori e prendevano il nome dai
semplicemente assistendo l'amico con la presenza fisica, che comunque po- rostri, appesi come trofeo, delle navi nemiche degli Anziati sconfitti nel 338
teva - in base al prestigio - esercitare una qualche influenza sulla giuria. a.C.; i comitia erano le assemblee del popolo: l'esclusione da questi luoghi e
30 à una rivendicazione del cosmopolitismo stoico, non infrequente negli occasioni pubblici vuole significare l'esclusione dalla vita politica nelle sue
scritti senecani, che lascia trasparire nella formulazione un certo orgoglio, varie manifestazioni.
86 87
quantum populorum; numquam ita tibi magna pars 5 obstruetur estensione di vastissime terre e di popoli si apra; non ti sarà
ut non maior relinquatur. Sed uide ne totum istud tuum uitium sit; mai preclusa una parte così grande che una più grande non ti
non uis enim nisi consul aut prytanis aut ceryx aut sufes sia lasciata. Ma fa' attenzione che tutto questo non sia un tuo
administrare rem publicam. Quid si militare nolis nisi imperator aut difetto; infatti non vuoi amministrare lo stato se non da console
tribunus? Etiam si alii primam frontem tenebunt, te sors inter o da pritano o da araldo o da suffete.11 Che dire se tu rifiutassi
triarios posuerit, inde uoce adhortatione exemplo animo milita: di combattere se non da generale o da tribuno? Anche se altri
praecisis quoque manibus ille in proelio inuenit quod partibus occuperanno la prima fila, e la sorte ti avrà posto fra i
conferat qui triarii~33 combatti dunque con la voce, con l'esortazione, con
6 stat tamen et clamore iuuat. Tale quiddam facias: si a prima te rei l'esempio, con il coraggio: anche con le mani tagliate colui che
publicae parte fortuna summouerit, stes tamen et clamore iuues tuttavia resiste e fa opera di sostegno con le grida trova nella
et, si quis fauces oppresserit, stes tamen et silentio iuues. battaglia modo di aiutare il suo partito. Fa' qualcosa di sin-file:
Numquam inutilis est opera ciuis boni: auditus uisusque, uultu se la sorte ti allontanerà dalla posizione di primo piano nello
nutu obstinatione tacita incessuque stato, resisti tuttavia e fa' opera di sostegno con le grida e, se
7 ipso prodest. Vt salutaria quaedam citra gustum tactumque odore qualcuno ti chiuderà la bocca, resisti tuttavia e fa' opera di
proficiunt, ita uirtus utilitatem etiam ex longinquo et latens sostegno col silenzio. Non è mai inutile l'opera di un buon
fundit. Siue spatiatur et se utitur suo iure, siue precarios habet cittadino: ascoltato e visto, col volto col cenno con la tacita
excessus cogiturque uela contrahere, siue otiosa mutaque est et determinazione e con la stessa andatura aiuta. Come certe cose
<in> angusto circumsaepta, siue adaperta, in quocumque habitu salutari giovano indipendentemente dal gusto e dal tatto con
est, prodest. Quid tu l'odore, così la virtù dispensa la sua utilità anche da lontano e
8 parum utile putas exemplum bene quiescentis? Longe itaque di nascosto. Sia che possa spaziare e disporre di sé a suo
optimum est miscere otium rebus, quotiens actuosa uita piacere, sia che abbia sbocchi incerti e sia costretta a contrarre
inpedimentis fortuitis aut ciuitatis condicione prohibebitur; le vele, sia che si trovi in ozio e muta e circoscritta in spazi
numquarn emm usque co interclusa sunt omma ut nulli actioni ristretti, sia che abbia libertà di espandersi, in qualsiasi
locus honestac sit. condizione si trovi, giova. Ritieni forse non abbastanza utile
l'esempio di chi vive bene stando appartato? Dunque è di gran
lunga la cosa migliore mescolare l'ozio alle occupazioni, ogni
volta che verrà preclusa la vita attiva da impedimenti
occasionali o dalla situazione della città; mai infatti sono a tal
segno impedite tutte le possibilità che non ci sia spazio per
alcuna azione onesta.
32 Il titolo di pritano, che poteva indicare genericamente chi anche in seguito in Grecia molto della loro originaria
ricopriva una magistratura superiore, aveva avuto un importanza, assistendo i magistrati nelle assemblee e nei
significato particolare nella Grecia arcaica e poi nell'Atene tribunali. Quanto ai suffeti, essi erano i due magistrati
di Clistene, dove indicava uno dei rappresentanti della supremi, di incarico annuale, di Cartagine.
sezione speciale della Boulé incaricata di preparare l'ordine 33 Erano i soldati veterani, schierati in campo in terza fila,
del giorno. Gli araldi, già presenti in epoca omerica come dietro gli hastati e
aiutanti dei re, conservarono 89
5 Numquid potes inuenire urbem miseriorem quam Atheniensium. [51 Puoi forse trovare una città più infelice di quanto lo fu
fuit, cum illam triginta tyranni diuellerent? Mille trecentos ciues, quella degli Ateniesi, quando la dilaniavano i trenta tiranni?34
optimum quenique, occiderant nec finem ideo faciebant, sed Avevano ucciso milletrecento cittadini, tutti i migliori, e non
inritabat se ipsa saeuitia. In qua ciuitate erat Areos pagos, per questo si fermavano, ma era la stessa crudeltà che si fo-
religiosissimum iudicium, in qua senatus populusque senatu mentava da sola. Nella città in cui si trovava l'Areopago~31 il
.1
similis, coibat cotidie carnificurn triste collegium et infelix curia
più sacro dei tribunali, nella quale si trovavano un senato e un
tyrannis angustabatur: poteratne illa ciuitas conquiescere in qua
popolo simile al senato, si raccoglieva ogni giorno un tristo
tot tyranni crant quot <satis> satellites essent? Ne spes quidem
collegio di carnefici e la curia infelice si faceva stretta per i ti-
ulla recipiendae libertatis animis poterat offerri, nec ulli remedio
ranni che la affollavano: avrebbe forse potuto vivere in tran-
locus apparebat contra tantam uim malorum; unde enim miserae 2
quillità quella città in cui c'erano tanti tiranni quanti avrebbero
ciuitati tot Harmodios? Socrates tamen in medio crat et
potuto essere gli sgherri? Non si poteva presentare agli ammi
lugentis patres consolabatur et desperantis de re publica,
nemmeno un barlume di speranza di riacquistare la libertà, né si
exhortabatur et diuitibus opes suas metuentibus exprobrabat seram
profilava spazio ad alcun rimedio contro tanta violenza di mali;
periculosae auaritiae paenitentiam et imitari uolentibus magnum
da dove infatti recuperare tanti Armodii36 per la povera città?
circumferebat exemplar, cum inter 3 triginta dominos fiber
Eppure c'era Socrate e consolava i senatori affranti, esortava
incederet. Hunc tamen Athenae
quanti disperavano della repubblica, ai ricchi che temevano a
ipsac in carcere occiderunt, et qui tuto insultauerat agmini
causa delle loro ricchezze rimproverava il tardivo pentimento di
tyrannorum, cius libertatem libertas non tulit: licet scias et in
una cupidigia foriera di pericolo e a quanti erano desiderosi di
adflicta re publica esse occasionem sapienti uiro ad se proferendum
imitarlo andava portando un grande esempio, col suo incedere
et in florend ac beata f pecuniamt inuidiam, 4 mUle alia inertia
libero fra i trenta dominatori. Tuttavia quest'uomo la stessa
uitia regnare. Vtcumque ergo se res
Atene lo uccise in carcere, e la Libertà non tollerò la libertà di
publica dabit, utcumque fortuna permittet, ita aut ex-
colui che aveva sfidato la schiera compatta dei tiranni: sappi
pure che anche in uno stato oppresso c'è la possibilità per un
uomo saggio di nianifestarsi, e in uno fiorente e felice regnano
la sfrontatezza37 l'invidia e mille altri vizi che rendono inerti.
Dunque, comunque si presenterà la repubblica, comunque lo
permetterà la sorte,
34 Nella lunga contesa per l'egemonia politica tra Sparta e Atene, è questa la tirannica, avendo ucciso Ipparco, uno dei figli del tiranno Pisistrato, e pro-
fase più nefasta per Atene, seguita alla sconfitta nella battaglia di Egospota- vocato la fuga dell'altro, Ippia (510 a.C.), liberando così la città da una do -
mi (404 a.C.), e alla conseguente resa agli Spartani: emanazione della linea minazione violenta e ingiusta.
politica imposta da questi sulla grande rivale sconfitta, da sempre simbolo di 37 Il testo dei codici è corrotto: l'emendazione accolta dai più è quella, del
un sistema di governo aperto rispetto alla rigidità del modello oligarchico Lipsio, di petulantiam («sfrontatezza») in luogo del tràdito pecuniam, con
spartano, la dominazione dei trenta tiranni fu segnata da una sequela di atro- cui si farebbe riferimento a un vizio ricordato anche in altre opere senecane,
cità e violenze senza precedenti, che ne provocarono in breve la caduta. come opposto alla saggezza. Resta naturalmente un margine di dubbio:
35 Era l'antico tribunale ateniese competente dei processi per reati di empietà accanto a un sostantivo che non può comunque essere pecunia, a me sembra
e che fungeva da suprema corte costituzionale. che il senso dei testo renderebbe opportuna anche una specificazione
36 Armodio ed Ari stogitone erano diventati un modello della ribellione anti- temporale del tipo saepe, o altre simili, per meglio contestualizzare
l'opposizione.
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plicabimus nos aut contrahemus, utique mouebimus nec alligati metti così o esplicheremo le nostre possibilità o le contrarremo, in ogni
torpebimus. Immo ille uir fuerit qui periculis undique imminentibus, modo ci muoveremo e non ci intorpidiremo paralizzati nel timore.
armis circa et catenis frementibus, non adliserit uirtutem nec absconderit; Anzi, sarà davvero un uomo colui che, mentre incombono pericoli da
non est enim. tutte le parti, mentre intorno fremono armi e catene, non infrangerà la
5 seruare se obruere. <Vere>, ut opinor, Curius Dentatus aiebat malle esse
virtù né la occulterà; nascondersi infatti non significa salvarsi. A buon
se mortuum quam uiuere: ultimum malorum est e uiuorum numero exire
diritto, a quel che penso, Curio Dentatoll diceva di preferire la morte
antequam moriaris. Sed faciendum erit, si in rei publicae tempus minus
tractabile incideris, ut plus otio ac litteris uindices, nec aliter quam in alla vita: è l'estremo dei mali uscire dal novero dei vivi prima di mori-
periculosa nauigatione subinde portum petas, nec expectes donec res te re. Ma, se ti sarai imbattuto in un periodo meno agevole della vita
dimittant sed ab illis te ipse diiungas. politica, dovrai fare in modo di rivendicare più spazio per l'ozio e gli
6 Inspicere autem debebimus primum. nosmet ipsos, deinde ea quae studi letterari, e da dirigerti immediatamente verso il porto non
adgrediemur negotia, deinde cos quorum causa aut cum quibus. diversamente che in una navigazione pericolosa, non aspettando che
2 Ante omnia necesse est se ipsum aestimare, quia fere plus nobis uidemur sia la situazione ad allontanarti ma facendo in modo da separarti tu da
posse quam possumus: alius eloquentiac fiducia prolabitur, alius essa, di tua volontà.
patrimonio suo plus imperauit quam ferre posset, alius infirmum corpus [6] Dovremo poi osservare attentamente dapprima noi stessi, poi i
laborioso pressit officio. Quorundam parum idonea est ucrecundia rebus
compiti che intendiamo intraprendere, poi coloro per i quali o con i
ciuilibus, quae firmam frontem desiderant; quorundam contumacia non
quali intendiamo farlo.
facit ad aulam; quidam non habent irani in potestate et illos ad temeraria
uerba quaelibet indignatio effert; quidam urbanitatem nesciunt continere Prima di tutto è necessario che uno valuti se stesso, perché a noi
nec periculosis abstinent salibus: omnibus his utilior negotio quies est; sembra di potere quasi più di quello che possiamo: uno cade in rovina
ferox inpatiensque natura inritamenta nociturae libertatis euitet. per fiducia nell'eloquenza, un altro ha chiesto al suo patrimonio più di
quanto potesse sostenere, un altro ha schiacciato il suo corpo debole
con un compito gravoso. Il riserbo di alcuni poco si addice alla
politica, che richiede sicurezza di atteggiamenti; la fierezza di altri non
si corifà alla vi~ ta di corte; alcuni non sanno governare la collera e
una qualsiasi occasione di indignazione li trascina a parole temerarie;
alcuni non sanno trattenere l'ironia e non si astengono da pericolose
3 Aestimanda sunt deinde ipsa quae adgredimur, et uires
battute salaci: a tutti costoro la vita ritirata è più utile delle occupazioni
pubbliche; una natura indomita e ribelle eviti le sollecitazioni di una
franchezza destinata a nuocerle.
In secondo luogo occorre valutare i compiti che intrapren-
38Grande modello eroico della tradizione romana, Curio Dentato, che aveva iniziato la
propria carriera politica come homo novus, è il console che con una vittoria decisiva
pose fine alle guerre coi Sanniti nel 290 a.C. e che sconfisse Pirro a
Malevento-Berevento nel 275 a.C.
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nostrae cum rebus quas temptaturi sumus comparandac. Debet enim diamo, e confrontare le nostre forze con le imprese che vo-
semper plus esse uirium in actore quam in opere: necesse est gliamo tentare. Infatti devono esserci sempre più forze nel-
opprimant onera quae ferente maiora 4 sunt. Quaedam praeterea l'esecutore che nell'opera: è inevitabile che schiaccino i pesi
non tara magna sunt negotia che sono maggiori di chi li sostiene. Inoltre alcuni compiti non
quam fecunda multumque negotiorum ferunt: et haee refugienda sono tanto pesanti in sé quanto fecondi e recano con sé molti
sunt ex quibus noua occupatio multiplexque nascetur, nec altri compiti: sono da evitare anche questi, dai quali scaturirà
accedendum co unde liber regressus non sit; iis admouenda manus un nuovo e multiforme impegno, e non bisogna accostarsi a un
est quorum finem aut facere aut certe sperare possis, relinquenda compito dal quale non sia facile ritirarsi; bisogna mettere mano
quae latius actu procedunt nec ubi proposueris desinunt. a quelle faccende cui si può porre una fine o di cui si può
7 Hominum utique dìlectus habendus est, an digni sint almeno sperarla, tralasciare quelle che si spingono sempre più
quibus partem uitae nostrae inpendamus, an ad illos temporis nostri in là con l'azione e non finiscono là dove ci si era proposti.
iactura perueniat; quidam enim ultro officia 2 nobis nostra inputant. [71 Bisogna comunque scegliere i destinatari, se sono degni
Athenodorus ait ne ad cenam quidem che noi dedichiamo loro una parte della nostra vita, o se sono
se iturum ad cum qui sibi nil pro hoc debiturus sit. Puto intellegis toccati dal sacrificio del nostro tempo; alcuni infatti ci
multo minus ad cos iturum qui cum amicorum officiis paria ascrivono di loro iniziativa i nostri doveri. Atenodoro dice che
mensa faciunt, qui fericula pro congiariis non andrebbe nemmeno a cena da chi per questo non si sentisse
numerant, quasi in alienum honorem intemperantes sint: deme illis per nulla in debito con lui. Comprendi - penso - che si
testes spectatoresque, non delectabit popina secreta. recherebbe tanto meno da coloro che si sdebitano dei favori
*Considerandum est utrum natura tua agendis rebus an otioso degli amici con un pranzo, che contano le portate come fossero
studio contemplationique aptior sit, et eo inclinandum quo te uis donativi, quasi che fossero smodati in onore degli altri: togli a
ingenii feret: Isocrates Ephorum. iniccta manu. a foro subduxit, costoro testimoni e spettatori, non piacerà loro gozzovigliare in
utiliorem componendis monumentis historiarum ratus. Male enim segretezza. Devi riflettere 39 se la tua natura sia più adatta
respondent coacta ingenia; reluctante natura inritus labor est.* 3 all'attività o a un ritiro dedito agli studi, e devi volgerti là dove
Nihil tamen aeque oblectauerit animum quam amicitia ti condurranno le capacità del tuo ingegno: Isocrate portò via
fidelis et dulcis. Quantum bonum est ubi praeparata sunt dal foro con le sue stesse mani Eforo, giudicandolo più idoneo
pectora in quae tuto secretum omne descendat, quorum a stilare memorie storiche. Infatti daranno cattiva risposta gli
conscientiam minus quam tuam timeas, quorum sermo ingegni forzati; la fatica è vana, se la natura vi rilutta. Nulla
tuttavia delizierà tanto l'animo quanto un'amicizia fedele e
dolce. Che bene prezioso è l'esistenza di cuori preparati ad
accogliere in sicurezza ogni segreto, la cui coscienza tu debba
temere meno della tua, le cui parole allevino
40 Il concetto della rarità del vero saggio, presente anche altrove in Seneca, sconfina mo politico di spicco dell'ultima repubblica: fu detto l'Uticense perché morì suicida ad
nel territorio del sapere popolare: un passo vicino a questo è in Ora zio, Serm. 1, Utica nel 46 a.C. per sfuggire a ritorsioni dei cesariani, e divenne modello di martirio
3, 68 sgg. Nam vitiis nemo sine nascitur,- optimus ille per la libertà antitirannica. Per gli stoici egli era l'esempio per eccellenza del
est,1 qui minimis urgetur («Nessuno infatti nasce senza difetti; è il sapiens, che sa opporre alle crudeli forme di schiavitù che la vita infligge all'uomo
migliore colui che è afflitto dai più piccoli»). l'affermazione tragica della propria superiore indipendenza.
41 Si tratta naturalmente di Marco Porcio Catone, pronipote del Censore, uo-
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8 Transeamus ad patrimonia, maximam humanarum aerimmarum. [8] Veniamo ai patrimoni, massimo motivo delle preoccu-
materiam; nam si omnia alia quibus angimur compares, mortes pazioni umane; infatti, se confronti tutte gli altri mali per i quali
aegrotationes metus desideria dolorum laboruinque patientiam, ci angustiamo, morti, malattie, timori, rimpianti, sopportazione
cum iis quae nobis mala pecunia a nostra exhibet, haec pars di dolori e fatiche, con quei mali che ci procura il nostro
multuni praegrauabit. Itaque cogitanduin est quanto leuior dolor denaro, questa parte sarà molto più gravosa. Dunque, dobbiamo
sit non habere quam perdere: et intellegemus paupertati eo pensare quanto più lieve dolore sia non avere che perdere: e
minorem tormentorum quo minorem damnorum esse materiam. comprenderemo che la povertà ha tanto meno materia di
Erras enim si putas animosius detrimenta diuites ferre: maximis 3 sofferenze quanto minore ne ha di danni. Sei in errore infatti se
minimisque corporibus par est dolor uulneris. Bion eleganter ait ritieni che i ricchi sopportino le perdite con animo più saldo: il
non minus molestum esse caluis quam comatis pilos uelli. Idem dolore di una ferita è uguale per i corpi più grandi e per quelli
scias licet de pauperibus locupletibusque, par illis esse più piccoli. Bione42 disse con eleganza che farsi strappare i
tormentum; utrique enim pecunia sua obliaesit nec sine sensu capelli non è meno doloroso per i calvi che per chi calvo non è.
reuellì potest. Tolerabilius autem est, ut dixi, faciliusque non Puoi ritenere la stessa cosa per quanto riguarda i poveri e i
adquirere quam amittere, ideoque laetiores uidebis quos numquam ricchi, il loro tormento è uguale; ad entrambi infatti il loro
fortuna respexit quam quos 4 deseruit. Vidit hoc Diogenes, uir denaro sta attaccato né può esser loro strappato senza che lo
ingentis animi, et effecit ne quid sibi eripi posset. Tu istud sentano. Inoltre è più sopportabile, come ho detto, e più facile
paupertatem inopiam egestatem uoca, quod uoles ignominiosurn non acquistare che perdere, e perciò vedrai più felici coloro che
securitati nomen ínpone: putabo hunc non esse felicem, si quem mai la fortuna si è voltata a guardare di quelli che ha
milii aliuni inueneris cui nihil pereat. Aut ego fallor aut regnum abbandonato. Se ne avvide Diogene~43 uomo di grande animo,
est inter auaros circumscriptores latrones plagiarios unum 5 esse e fece in modo che nulla potesse essergli tolto. Tu chiama
cui noceri non possit. Si quis de felicitate Diogenis dubitat, potest questo povertà, miseria, indigenza, da' alla mancanza di
idem dubitare et de deorum inmortalium preoccupazioni quel nome vergognoso che vorrai: penserò che
costui non sia felice, se mi saprai trovare qualcun altro che non
perda nulla. 0 io mi sbaglio o essere re significa, tra avidi,
circonventori, ladri, ricettatori di schiavi, essere il solo a cui
non si possa nuocere. Se qualcuno mette in dubbio la felicità di
Diogene, può allo stesso modo dubitare anche della condizione
degli dei immortali, se vivano poco
42 Bione di Boristene, filosofo cinico vissuto nel III sec. a.C., era considera- mente essenziale e duramente ascetico nella ricerca puntigliosa dell' autosuf-
to già dagli antichi uno dei padri della diatriba. Sappiamo che i suoi inse- ficienza. Per questo ci sono pervenuti numerosissimi aneddoti su di lui, che
gnamenti affidati a prediche si trovavano anche in raccolte scritte. Era noto ce lo mostrano particolarmente sarcastico nei confronti della stoltezza degli
per il particolare piglio polemico, per la critica pungente contenuta nei suoi uomini, bersaglio di molte delle sue frecce pungenti. Lesempio è scelto da
discorsi. La testimonianza di autori di morale quali Orazio e Seneca ci assi - Seneca per introdurre il tema della felicità insita nella povertà, tema a sua
cura della forza che il suo modello dovette esercitare nella cultura antica. volta derivante dal motivo già cinico e comunque tipico del sapere popolare
43 Diogene di Sinope, altro illustre rappresentante del cinismo, visse nel IV che la ricchezza è la prima fonte delle ansie dell'uomo. Va ricordato che per
sec. a.C. ad Atene, poi a Cori rito. Il tratto che ha consacrato più di tutti il gli stoici la povertà di per sé non è né un bene né un male: appartiene cioè
personaggio alla storia è l'ostentazione polemica di un modo di vita assoluta- alla loro categoria degli «indifferenti» (àótúcpopa).
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statu. an parum beate degant quod illis nec praedia nec horti sint felicemente per il fatto che non hanno né poderi né giardini né
nec alieno colono rura pretiosa nec grande in foro fenus. Non te campi resi preziosi dal lavoro di coloni mercenari né grandi
Pudet, quisquis diuitiis adstupes? Respice agedum mundum: proventi dall'usura. Non ti vergogni di ammutofire, chiunque tu
nudos uidebis deos, omnia dantis, nihil habentis. Hune tu sia, davanti alle ricchezze? Guarda dunque l'universo: vedrai
pauperem putas an dis inmortali- gli dei nudi, che dispensano tutte le cose, non possedendone
6 bus similem qui se fortuitis omnibus exuit? Feliciorem tu
nessuna. Giudichi tu povero o simile agli dei immortali chi si è
Demetrium. Pompeianum uocas, quem non puduit locupletiorem
esse Pompeio? Numerus illi cotidie seruorum uelut imperatori spogliato di tutti i beni legati alla sorte? Chiami forse più felice
exercitus referebatur, cui iam dudurn Demetrio Pompeiano,44 che non si vergognò di essere più
7 diuitiae esse debuerant duo uicarii et cella laxior. At Diogeni ricco di Pompeo? A lui, per il quale già avrebbero dovuto
seruus unicus fugit nec eurn reducere, cum monstraretur, tanti costituire ricchezze due schiavi vicari e una cella un po' più
putauit. 'Turpe est' inquit 'Manen sine Diogene posse uiuere, grande, ogni giorno veniva rifatto l'elenco degli schiavi come a
Diogenen sine Mane non posse.' Videtur mihi dixisse: 'age tuurn un generale quello delle truppe. A Diogene invece scappò via
negotium, fortuna, nihil apud Diogenen iam tui est: fugit mihi l'unico schiavo ed egli non ritenne cosa così importante
seruus, immo liber abii.' riportarlo indietro, mentre gli veniva mostrato. «t vergognoso»
8 Familia petit uestiarium uictumque, tot uentres auidissimorum disse «che Mane possa vivere senza Diogene, e Diogene senza
animalium tuendi sunt, emenda uestis et custodiendae
Mane non possa.» Mi sembra che abbia detto: «Occupati dei
rapacissimae manus et flentium detestantiunique ministeriis
utendum: quanto ille felicior qui riihil ulli debct tuoi affari, fortuna, ormai da Diogene non c'è più nulla di tuo:
9 nisi cui facillime negat, sibi! Sed quoniam non est nobis tantum mi è scappato lo schiavo, anzi me ne sono andato io, libero.
roboris, angustanda certe sunt patrimonia, ut mmus ad iniurias »41 La servitù chiede il vestiario e il vitto, occorre prendersi
fortunae simus expositi. Habiliora sunt corpora in bello quae in cura di tanti ventri di animali avidissimi, bisogna comprare la
arma sua contrahi possunt quam quae superfunduntur et undique veste e sorvegliare mani rapacissime, e utilizzare i servigi di
magnitudo sua uulneribus gente che piange e maledice: quanto più felice colui che non
deve nulla a nessuno, se non a chi può rifiutare nel modo più
facile, a se stesso !46 Ma dal momento che non abbiamo tanta
forza, almeno dobbiamo limitare i patrimoni, per esser meno
esposti ai capricci della sorte. Sono più adatti alla guerra i corpi
che possono rannicchiarsi al riparo delle loro armi di quelli
sovrabbondanti e che la loro stessa grandezza ha esposto da
ogni parte
47 Si tratta di un passo controverso, che ha impegnato gli esegeti nella ricer ca di dotare ma occorre ricordare anche Epicuro, il cui pensiero a questo proposito è ci tato dallo
di senso un testo dalla tradizione peraltro priva di varianti significative. La via più stesso Seneca in forma di massima in Epist. 4, 10 Magnae divitiae sunt lege naturae
convincente (Castiglioni) sembra quella di pensare che il testo condensi due concetti composita paupertas («t una grande ricchezza una povertà che si adegui alla legge della
posti in antitesi tra loro grazie al tratto della assenza/presenza della parsimonia: su natura»).
questa via, alcuni editori integrano un cum illa (cioè con la parsimonia) nel secondo 49 La lezione del codice A è etiam si mulos pudebit ci plus, e non dà senso. Alcuni
membro dell'antitesi. editori espungono il segmento (tra essi Castiglioni nel 1960, e Reynolds si dice incline a
48 Attraverso l'esempio di come controllare i tre bisogni fondamentali indicati si questa soluzione), altri intervengono con congetture. La più verosin-ùle tra queste
riconferma l'utilità della norma del vivere secondo natura, principio in qualche misura appare quella risalente a Rossbach (accolta da Castiglioni nel 1968), etiam si multos
condiviso da tutte le scuole di pensiero postsocratiche attive a Roma. Per Seneca, si può pudebit eius, che ho seguito nella traduzione, scostandomi dal testo di Reynolds.
risalire all'insegnamento di Zenone e Cleante,
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tas et ignominia et rerum cuersio adhibetur, malo malum non si provvede forse al suo bene, ricorrendo alla povertà e alla
opponitur? Adsuescamus ergo cenare posse sine populo et seruis privazione degli onori e al rovescio di fortuna, opponendo
paucioribus seruire et uestes parare in quod inuentae sunt et male a male? Abituiamoci dunque a essere capaci di cenare
habitare contractius. Non in cursu tantum circique certamine, sed senza una folla e ad adattarci a un numero minore di servi e a
in his spatiis uitae interius flectenduin est. farci apprestare vesti per lo scopo per cui sono state inventate e
4 Studiorum quoque quae liberalissima inpensa est tam diu ad abitare in spazi pù ristretti. Non soltanto nelle corse e nelle
rationem habet quam diu modum. Quo innumerabiles libros et gare del circo, ma in questi spazi della vita occorre serrare il
bybliothecas, quarum dominus uix tota uita indices perlegit? giro. Anche la spesa più grandiosa per gli studi conserva un
onerat discentem turba, non instruit, multoque satius est paucis te senso finché conserva una misura. A che scopo innumerevoli
auctoribus tradere quani libri e biblioteche, il cui proprietario in tutta la sua vita a stento
5 errare per multos. Quadraginta milia librorum Alexandriae arriva a leggere per intero i cataloghi? La massa di libri grava
arserunt; pulcherrimum regiae opulentiac momimentuni alius sulle spalle di chi deve imparare, non lo istruisce, ed è molto
laudauerit, sicut T. Liuius, qui elegantiac reguni curaeque meglio che tu ti affidi a pochi autori piuttosto che tu vada
egregiuni id opus ait fuisse: non fuit elegantia illud aut cura, sed vagando attraverso molti.50 Ad Alessandria andarono in
studiosa luxuria, immo ne studiosa quidem, quoniam non in fiamme quarantamila libri;" altri loderebbe il magnifico
studium sed in spectaculuni comparaucrant, sicut plerisque monumento di opulenza regale, come Tito Livio, che ne parla
ignaris etiam pueriliuni litterarum libri non studiorum come di un'opera insigne di stile e buona amministrazione dei
instrumenta sed cenationum ornamenta sunt. Paretur itaque re: non fu un fatto di stile o di buona amministrazione quello,
librorum quantum satis ma un'esibizione di lusso per gli studi, anzi non per gli studi,
6 sit, nihil in apparatum. 'Honestius' inquis 'hoc se inpensae quam dal momento che l'avevano apprestata non per lo studio ma per
in Corinthia pictasque tabulas effuderint.' Vitiosurn l'apparenza, così come per molti ignari anche di sillabari per
l'infanzia i libri non rappresentano strumenti di studio ma
omamento delle sale da pranzo. Dunque ci si procurino libri
nella quantità necessaria, non per rappresentanza. «Più
dignitosamente» dici tu «i soldi se ne andranno per questo che
per bronzi di Corinto52 e quadri.» Ciò che è
54 C'erano sacerdoti che, per esempio, non potevano lasciare la città durante la notte peso di una condanna ricorre più volte in Seneca, e condensa verosimilmen te il senso
(iflamines Diales), ma c'erano anche le Vestalí che subivano per tutta la vita una dell'esperienza autobiografica. Sufflxos varrebbe propriamente «crocefissi», secondo
condizione di segregazione. 55 Il pensiero che ricoprire una posizione di primo piano una forma di supplizio comunemente inflitta in età imperiale.
spesso si carica del
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praeparent multa ad secundos casus praesidia, quorum spe stare molte difese per i momenti favorevoli, alla speranza nei
securius pendeant. Nihil tamen aeque nos ab his animi fluctibus quali potrebbero attaccarsi con più sicurezza. Nulla tuttavia ci
uindicaucrit quam semper aliquem incrementis terminum figere, saprà mettere al riparo da queste fluttuazioni dell'animo quanto
nec fortunae arbitrium desinendi dare, sed ipsos multo quidem fissare sempre un qualche termine ai nostri successi, e non
citra [exempla hortentur] consistere; sic et aliquae cupiditates concedere alla sorte l'arbitrio di smettere, ma fermarci noi stessi
animum acuent et finitac non in inmensum incertumque decisamente molto al di qua; in questo modo sia alcuni desideri
producent. stimoleranno l'animo sia, delimitati, non spingeranno verso
1 Ad inperfectos et mediocres et male sanos hic meus sermo l'infinito e l'incerto.56
pertinet, non ad sapientem. Huic non timide nec pedetemptim [11] Questa mia chiacchierata si rivolge a uomini imperfetti,
ambulandum est; tanta enim fiducia sui est ut obuiam fortunae ire deboli e non ragionevoli, non a chi possiede la saggezza. Costui
non dubitet nec umquam loco illì cessurus sit. Nec habet ubi non deve camminare con incertezza né a piccoli passi; infatti ha
illam timeat, quia non mancipia tantum possessionesque et tanta fiducia in sé che non esita ad andare incontro alla sorte e
dignitatem sed corpus quoque suurn et oculos et manum et non dovrà mai cederle il passo. Né ha ragione di temerla,
quidquid cariorem uitam facit seque ipsum inter precaria numerat perché non solo gli schiavi e i possedimenti e la posizione ma
uiuitque ut commo- anche il suo corpo e gli occhi e la mano e tutto ciò che rende
2 datus sibi et reposcentibus sine tristitia redditurus. Nec ideo uilis più cara la vita e persino se stesso annovera tra i beni fuggevoli
est sibi quia scit se suurn non esse, sed omnia tam diligenter e vive come se fosse stato affidato a se stesso in concessione e
faciet, tam circurnspecte quam religiosus homo sanctusque solet disposto a restituirsi senza malumore a chi lo reclamasse. E non
tueri fidei conunissa. Quandoque autem reddere iubebitur, non per questo si ritiene poco importante - perché sa di non
queretur cum fortuna sed dicet: appartenersi - ma svolgerà tutti i suoi compiti con tanta
3 'gratias ago pro co quod possedi habuique. Magna quidem res tuas diligenza, con tanta attenzione quanto un uomo coscienzioso e
mercede colui, sed quia ita imperas, do, cedo gratus libensque. Si responsabile è solito tutelare le cose rimesse alla sua coscienza.
quid habere me tui uolueris etiamnunc, seruabo; si aliud placet, 57 E quando poi gli sarà ingiunto di restituirle, non si lamenterà
ego uero factum signaturrique argentum, domum familiamque con la sorte ma dirà: «Sono grato di ciò che ho posseduto e ho
meam reddo, restituo.' Appellauerit natura quae prior nobis avuto in uso. Ho curato le tue cose con grande profitto, ma
credidit, et huic dicemus: 'recipe animurn meliorem quam dedisti; poiché così stabilisci, ecco che te le do, cedo, grato e volentieri.
non Se vorrai che io tenga ancora ora qualcosa di tuo, lo
conserverò; se decidi diversamente, io allora argenteria, denaro,
casa, servitù ti rendo, ti restituisco.»18 Poniamo che la natura
reclarni le cose che per prima ci aveva affidato: noi le diremo:
«Riprenditi un animo migliore di
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tergiuersor nec refugio; paratum habes a uolente quod non 4 quello che mi hai dato; non sto a tergiversare o a rifiutarmi; ho
sentienti dedisti: aufer.' Reuerti unde ueneris quid graue pronto da darti spontaneamente ciò che tu mi desti mentre ne
est? male uiuet quisquis nesciet bene mori. Huic itaque primum rei ero inconsapevole: prenditelo.» Che c'è di grave a tornare da
pretium detrahendum est et spiritus inter uilia numerandus. dove sei venuto? è destinato a vivere male chi non saprà morire
Gladiatores, ut ait Cicero, inuisos habemus, si omni modo uitam bene. Dunque occorre prima di tutto togliere valore a questa
inpetrare cupiunt; fauemus, si contemptum cius prae se ferunt.
cosa e considerare la vita tra le cose di poco conto.19 Come
Idem euenire nobis scias; 5 saepe cnirn causa moriendi est timide
mori. Fortuna illa, dice Cicerone, ci sono insopportabili i gladiatori, se vogliono in
quae ludos sibi facit, 'quo' inquit 'te reseruem, malum et trepidum ogni modo impetrare la grazia della vita; li applaudiamo, se
animal? Eo magis conuulneraberis et confodieris, quia nescis ostentano il disprezzo di essa. Sappi che anche a noi accade la
praebere iugulum; at tu et uiues diutius et morieris expeditius qui stessa cosa; spesso infatti è causa di morte la paura di morire.
ferrum non subducta ceruice nec 6 manibus oppositis sed animose Proprio la sorte, che ama scherzare, dice: «A che scopo dovrei
recipis.' Qui mortem timebit risparirtiarti, animale meschino e tremebondo? Tarito più
nihil umquarn pro homine uiuo faciet; at qui sciet hoc sibi cum profondamente ti farai ferire e trapassare, perché non te la senti
conciperetur statim condictum, uiuet ad formulam et simul illud di porgere la gola; tu invece vivrai più a lungo e morirai in
quoque codem animi robore praestabit, ne quid ex ns quae maniera più rapida, tu che aspetti la spada non sottraendo il
eueniunt subitum sit. Quidquid enim [si] fieri potest quasi futurum.
collo né mettendo davanti le mani, ma con coraggio.» Chi avrà
sit prospiciendo malorum omnium impetus molliet, qui ad
pracparatos expectantesque nihil adferunt noui, securis et beata paura della morte non farà mai nulla da uomo che vive; invece
tantum sperantibus graues 7 ueniunt. Morbus est, captiuitas ruina chi saprà che questa condizione è stata stabilita subito nel
ignis: nihil horum re- momento in cui egli è stato concepito, vivrà secondo i patti e
pentinum est; sciebarn in quam tumultuosurn me contuber contemporaneamente con la stessa forza d'animo si prodigherà,
nium natura clusisset. Totiens in uicinia mea conclamatum perché nulla delle cose che accadono sia improvvisa. Infatti
est; totiens praeter limen inmaturas exequias fax cereusque guardando a tutto ciò che può avvenire come se fosse sul punto
di realizzarsi, saprà attenuare la forza di tutte le disgrazie, che
non portano niente di sorprendente a chi vi si è preparato e se
le aspetta, mentre giungono con tutto il loro peso su chi si sente
sicuro e spera solo nelle cose favorevoli. Si tratta di una
malattia, della prigionia, di un crollo, di un incendio: nulla di
ciò è improvviso; sapevo in che albergo tumultuoso la natura
mi aveva chiuso. Tante volte si sono levate grida di dolore
nelle mie vicinanze; tante volte torce e ceri hanno preceduto
oltre la soglia esequie immature; spesso
60 Il testo è corrotto, e il Reynolds rinuncia a congetture: volendo salvare dia, e valeva metonimicamente per indicare il genere teatrale stesso, spesso
l'immagine delle strette di mani violentemente separate, occorre ipotizzare in opposizione al soccus, la calzatura degli attori di commedia.
un soggetto, come Aa morte». 62 Il motivo dei rovesci di fortuna - che ben si comprende dovesse apparte-
61 t Publilio Siro, autore di mimi vissuto nel I sec. a.C., vale a dire in un'e - nere al bagaglio della filosofia diatribica, dove aveva dato origine a una to -
poca in cui la grande stagione del teatro romano era ormai finita e il pubbli - pica molto ampia - conosceva anche uno sviluppo specificamente romano
co trovava nel mimo e nelle farse buffonesche la forma di intrattenimento all'interno della tragedia, dunque del genere letterario di registro convenzio-
corrente. Seneca mostra un atteggiamento aperto nei confronti di questo au- nalmente più alto. In questo ambito si innestava nella più generale riflessio-
tore, che critica per certi effetti di comicità grossolana, ma da cui si sente li- ne sul ruolo e le sorti del firanno, che com'è noto rappresentava un nucleo
bero di estrarre sentenze che giudica efficaci, polemicamente contrapponen- tematico di grande rilievo nelle tragedie di Seneca, che sono per noi il docu-
dole all'artificio enfatico che doveva ormai contrassegnare molta della pro- mento più significativo (poiché l'unico non pervenutoci in frammenti) di tut-
duzione tragica. Il cothurnus era la calzatura alta, tipica degli attori di trage- to il teatro tragico in lingua latina.
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notac et mille maculae et extrema contemptio? Quod regnum est re61 e da mille macchie fino all'estremo disprezzo? Quale re-
cui non parata sit ruina et proculcatio et dominus et carnifex? gno c'è al quale non siano già preparati la rovina e l'annien-
Nec magnis ista interuallis diuisa, sed horac tamento e l'oppressore e il boia? Né queste cose sono separate
io momentum interest inter solium et aliena genua. Scito ergo da lunghi intervalli di tempo, ma intercorre un momento solo
omnern condicionern uersabilem esse et quidquid in ullurn tra il trono e l'omaggio alle ginocchia altrui. Sappi dunque che
incurrit posse in te quoque incurrere. Locuples es: numquid ogni condizione è rovesciabile e tutto ciò che si abbatte su
diuitior Pompeio? Cui cum Gaius, uetus cognatus, hospes nouus,
qualcuno può abbattersi anche su di te. Sei ricco: forse più
aperuisset Caesaris domum ut suam cluderet, defuit panis, aqua.
Cum tot flumina possideret in suo orientia, in suo cadentia, ricco di Pompeo?64 Eppure a lui, quando Gaio, parente da
mendicauit stilicidia; fame ac siti periit in palatio cognati, dum tempo, ospite nuovo, ebbe aperto la casa di Cesare per chiudere
illi heres publicum funus la sua~65 mancarono il pane e l'acqua. Pur possedendo molti
i i esurienti locat. Honoribus summis functus es: numquid aut tam fiumi che nascevano sul suo territorio, che vi sfociavano, andò
magnis aut tam insperatis aut tam uniuersis quam Seianus? Quo mendicando qualche goccia d'acqua; morì di fame e di sete nel
die illum senatus deduxerat populus in frusta diuisit; in quern palazzo del parente, mentre a lui che soffriva la fame l'crede
quidquid congeri poterat di hominesque contulerant, ex co nihil appaltava esequie pubbliche. Hai ricoperto le più alte cariche
superfuit quod carnifex onorifiche: forse tanto alte o tanto insperate o tanto totalizzanti
x2 traheret. Rex es: non ad Croesurn te mittam, qui rogurn suum et quanto quelle di Seiano?66 Il giorno che il senato lo aveva
accendi uiuus et extingui uidit, factus non regno tantum, etiam
scortato il popolo lo fece a pezzi; di colui sul quale gli dei e gli
morti suae superstes, non ad Iugurtham,
uomini avevano accumulato quanto era possibile accumulare,
non rimase nulla che il carnefice potesse strappare. Sei re: non
ti rimanderò a Creso,11 che dovette vedere da vivo il proprio
rogo e accendersi e spegnersi, fatto superstite non solo al
proprio regno, ma anche alla propria morte, non a Giugurta~68
che il popolo romano poté contem-
71 Per la iunetura inquieta inertia cfr. sopra, n. 19. Uintero passo è rielabora-
zione del topos diatribico della levitas come opposto della tranquillitas, 73 Sarebbe suggestivo che questo fosse davvero l'inizio del rIepì d~u~tiag di
la meta del saggio: la descrizione caricaturale degli affaccendati, che consumano Democrito, anche se non è detto che dietro ita coepisse debba esserci un' infor-
affannosamente il loro tempo in quelle che per Seneca sono le futilità della vita sociale, mazione tecnica sull'inizio del trattato. La citazione senecana è comunque molto vicina
ha molti tratti comuni con De brev. 14, 3- 5. 72 L'accenno riflette la realtà alla letteralità del testo di un frammento di Democrito, il B 3 D.K., che poi prosegue
della vita nella Roma imperiale, dove sapere troppo poteva rappresentare un rischio con l'affermare la necessità di non assumersi compiti superiori alle proprie forze,
concreto per l'incolumità personale. concetto anche altrove fatto proprio da Seneca.
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et priuatim et publice non tantuni multa sed innumerabilia agenda rie, si devono fare sia privatamente che pubblicamente non solo
sunt; ubi uero nulluni officiuni sollemne nos citat, 2 inhibendae molte ma innumerevoli cose, ma laddove nessun compito
actiones. Nam qui multa agit saepc fortunac importante ci spinga, va saputo contenere l'agire. Infatti chi fa
pote.statern sui facit, quani tutissimuni est raro experiri, ceterum molte cose spesso dà potere su di sé alla sorte, che è norma del
semper de illa cogitare et nihil sibi de fide cius promittere - tutto sicura sperimentare di rado, mentre per il resto occorre
'nauigabo, nisi si quid inciderit' et 'praetor fiam, nisi si quid sempre riflettere su di essa e non ripromettersi nulla sulla sua
obstiterit' et 'negotiatio mihi respondebit, msi si quid interuenerit'. affidabilità: «Navigherò, a meno che non capiti qualche
Hoc est quare sapienti nihil contra opinionem dicamus accidere: incidente» e «Diventerò pretore, a meno che non si frapponga
non fflum casibus hominum excerpimus sed erroribus nec illi un qualche ostacolo» e «Mi riuscirà l'affare, a meno che non
omnia ut uoluit cedunt, sed ut cogitauit; in primis autem cogitauit intervenga qualcosa». Questo è il motivo per cui diremmo che
aliquid posse propositis suis resistere. Necesse est autem leuius ad all'uomo saggio non accade niente di inaspettato: non lo ab-
animum peruenire destitutae cupiditatis dolorem cui successum biamo esentato dalle vicende umane, ma dagli errori, né a lui
non utique promiseris. capitano tutte le cose come le ha volute, ma come le ha pensate;
14 Faciles etiani nos facere debemus, ne nimis destinatis e prima di tutto egli ha pensato che qualcosa potesse far re-
rebus indulgeamus, transeamusque in ca in quae nos casus deduxerit sistenza ai suoi propositi. t poi d'obbligo che il dolore di un
nec mutationeni aut consili aut status pertimescamus, dummodo nos piacere deluso arrivi in forma attenuata all'animo al quale non è
leuitas, inimicissimurn quieti uitium, non excipiat. Nam et pertinacia stata promessa comunque la riuscita.
necesse est anxia et misera sit, cui fortuna saepe aliquid extorquet, et [14] Dobbiamo anche rendere noi stessi disponibili a non
leuitas multo grauior misquani se continens. Vtrumque infestum est indulgere a un'eccessiva programmazione delle cose, a rivol-
tranquillitati, et nihil mutare posse et nihil !a pati. Vtique animus ab gerci a quelle nelle quali ci avrà fatto imbattere il caso e a non
omnibus externis in se reuocandus temere né un cambiamento di programma né di condizione, a
est: sibi confidat, se gaudeat, sua suspiciat, recedat quan patto che non finiamo preda della volubilità, difetto nemicis-
tum potest ab alienis et se sibi adplicet, danma non sentiat, simo della quiete interiore. Infatti sia è inevitabile che l'ec-
3 etiani aduersa benigne interpretetur. Nuntiato naufragio cessivo attaccamento sia fonte di ansie e di infelicità, poiché
spesso la sorte gli strappa qualcosa, sia è molto più grave la
volubilità che non sa contenersi in nessun luogo. Uuno e l'altro
difetto sono nocivi per la tranquillità, non poter mutare nulla e
non sopportare nulla. In ogni modo l'animo va richiamato da
tutte le sollecitazioni esterne a se stesso: si affidi a se stesso,
gioisca di sé, rivolga lo sguardo a se stesso, si ritiri quanto può
dalle cose degli altri e si applichi a sé, non patisca i danni,
interpreti favorevolmente anche le avversità.74 Alla
74 t l'ideale dell'autárkeia del saggio, che per Seneca si traduce nel rag-
giungimento di una sostanziale autosufficienza interiore, in cui il rifugiarsi
in sé diventa condizione talvolta necessaria al perfezionarnento interiore.
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Zenon noster, cum omnia sua audiret submersa, 'iubet' notizia del naufragio il nostro Zenone ~75 venendo a sapere che
inquit 'me fortuna expeditius philosophari.' Minabatur erano andati sommersi tutti i suoi averi, disse: «La fortuna mi
Theodoro philosopho tyrannus mortem et quidem insepul impone di dedicanni più agevolmente alla filosofia.» Un ti-
tam: 'habes' inquit 'cur tibi placeas, hemina sanguìnis in ranno minacciava di morte il filosofo Teodoro76 e per di più di
tua potestate est; nam quod ad sepulturam pertinet, o te negargli la sepoltura: questi gli disse: «Hai di che compiacerti
ineptum, si putas mea interesse supra terram an infra con te stesso, è in tuo potere un mezzo litro di sangue; infatti
4 putrescam.' Canus lulius, uir in primis magnus, cuius per quanto riguarda la sepoltura, povero te se pensi che mi
admirationi ne hoc quidem obstat quod nostro sacculo interessi l'imputridire sopra o sotto terra.» Giulio Cano ~77
natus est, cum Gaio diu altercatus, postquam abeunti uomo tra i primi per grandezza, all'ammirazione del quale non
Phalaris ille dixit 'ne forte inepta spe tibi blandiaris, duci si oppone neppure il fatto di essere nato nel nostro secolo,
5 te ìussi', 'gratias' inquit 'ago, optime princeps.' Quid sen avendo a lungo discusso con Gaio, dopo che quel famoso
serit dubito; multa enim mihi occurrunt. Contumeliosus Falaride gli disse, mentre se ne andava: «Perché per caso tu
esse uoluit et ostendere quanta crudelitas esset in qua non ti faccia allettare da una vana speranza, ho dato ordine che
mors beneficium erat? An exprobrauit illi cotidianam de tu sia accompagnato al supplizio,» rispose: «Ti ringrazio,
mentiam?-agebant enim gratias et quorum liberi occisi ottimo principe.» Non so che cosa abbia pensato; infatti mi
et quorum bona ablata erant. An tamquarn libertatem vengono in mente molte ipotesi. Volle essere offensivo e mo-
libenter accepit? Quidquid est, magno animo respondit. strare quanto grande fosse la crudeltà in cui la morte rappre-
6 Dicet aliquis 'potuit post hoc iubere illum Gaius uiucre.' sentava un beneficio? Oppure gli rimproverò la follia quoti-
Non timuit hoc Canus; nota erat Gai in talibus imperiis diana? - infatti rendevano grazie sia coloro i cui figli erano stati
fides. Credisne illum decem medios usque ad supplicium uccisi, sia coloro i cui beni erano stati portati via. 0 accolse
dies sìne ulla sollicitudine exegisse? Verisinffle non est quae l'annuncio volentieri come se si trattasse della libertà?
Qualsiasi sia la soluzione, diede una risposta coraggiosa.
Qualcuno dirà: «Dopo questo, Gaio avrebbe potuto dare ordine
che fosse lasciato in vita.» Cano non ebbe paura di questo; era
nota la affidabilità di Gaio in tali ordini. Credi forse che egli
abbia trascorso i dieci giorni che mancavano al supplizio senza
alcuna occupazione? t incredibile che cosa riuscì a di-
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terminis ut per turpitudinem. splendeat, agitur animus in noctem contiene nei suoi limiti che splende attraverso la vergogna,
et uclut cuersis uirtutibus, quas nec sperare licet l'animo è spinto nella notte e come fossero stati sconvolti i
2 nec habere prodest, tenebrae oboriuntur. In hoc itaque flectendi valori, che né è lecito sperare né conviene avere, spuntano le
sumus, ut omnia uulgi uitia non inuisa nobis sed ridicula tenebre. A questo dunque dobbiamo rivolgerci, a che tutti i vizi
uideantur et Democritum potius imitemur quam Heraclítum. Hic della gente ci sembrino non odiosi ma ridicoli ed ad imitare
enim, quotiens in publicum processerat, flebat, ille ridebat, huic piuttosto Democrito che Eraclito. Costui infatti, ogni volta che
omnia quae agimus miseriae, illi ineptiae uìdebantur. Elcuanda era stato in pubblico piangeva, quello invece rideva, a costui
ergo omnia et facili animo ferenda: humanius est deridere uitam tutto ciò che facciamo sembravano disgrazie, a quello
quam deplorare. sciocchezze. Occorre dunque saper sdrammatizzare ogni cosa e
3 Adice quod de humano quoque genere melius meretur qui ridet sopportarla con animo indulgente: è più degno di un uomo
illud quam qui luget: ille ci spei bonae aliquid relinquit, hic ridere della vita che piangeme. Aggiungi che acquista meriti
autem stulte deflet quae corrigi posse desperat; et uniuersa maggiori per il genere umano chi ride piuttosto che chi piange:
contemplanti maioris animi est qui risum non tenet quam qui quello lascia ad esso una qualche speranza, costui invece
lacrimas, quando lenissimurn adfectum animi mouet et nihil piange stoltamente delle cose che dispera possano essere
magnum, nihil seuerum, ne miserum corrette; e per chi contempla le cose nel loro insieme è di
4 quidem ex tanto paratu putat. Singula propter quae laeti ac tristes animo più forte chi non trattiene il riso di chi non trattiene le
sumus sibi quisque proponat et sciet uerum esse quod Bion dixit, lacrime, dal momento che suscita un'emozione piacevolissima
omnia hominum. negotia simillima initiis esse nec uitam illoruin e in mezzo a tanto apparato non ritiene nulla grande, nulla
magis sanctani aut seucrain esse serio, nemmeno misero. Ciascuno si ponga davanti agli occhi
5 quam conceptum, <in nihilum redigi ex> nihilo natos. Sed satius ad una ad una le cose per le quali siamo lieti e tristi e saprà che
est publicos mores et humana uitia placide accipere nec in risum è vero ciò che disse Bione~78 che tutte le cose che riguardano
nec in lacrimas excidentem; nain alienis malis torqueri aeterna gli uomini sono del tutto simili a inizi e che la loro vita non e
miseria est, alienis delectari malis uoluptas inhumana, sicut illa più sacra o seria del loro concepimento, e che nati dal nulla sono
inutilis humanitas fiere, quia aliquis ricondotti al nulla.79 Ma è meglio accettare le abitudini
6 filium. efferat, et frontem. suam fingere. In suis quoque malis ita comuni e i difetti umani serenamente senza cadere né nel riso
gerere se oportet ut dolori tantum des quantum <natura> né nelle lacrime; infatti tormentarsi per le disgrazie altrui
significa infelicità infinita, provar piacere delle disgrazie altrui
un piacere disumano, così come quell'inutile atto di
compassione che è piangere perché qualcuno porta a seppellire
il figlio, e adattare a questa circostanza la propria espressione.
Anche nelle proprie disgrazie occorre comportarsi in modo da
concedere al dolore solo quanto la natura ri-
78 Su Bione cfr. sopra, n. 42: di questo detto non abbiamo variamente emendato dagli editori: contro la linea di chi
altre testimonianze. 79 Il testo del codice A (conceptum. espunge del tutto le parole nichilo natus, come
nichilo natus. sed.) è corrotto ed è stato interpolazione, Reynolds segue la via dell'integrazione.
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poscit, non quantum consuetudo; plerique enim lacrimas fundunt chiede, non quanto le convenzioni; molti infatti versano lacrime
ut ostendant et totiens siccos oculos habent quotiens spectator per ostentazione e hanno gli occhi asciutti ogni volta che manca
defuit, turpe iudicantes non fiere cum omnes faciant: adeo penitus il pubblico, poiché giudicano vergognoso non piangere quando
hoc se malum fixit, ex aliena opinione pendere, ut in lo fanno tutti: tanto profondamente si è consolidato questo
simulationent etiam res simplicissima, dolor, ueniat.
vizio, quello di dipendere dall'opinione altrui, che diventa
16 Sequitur pars quae solet non innierito contristare et in
sollicitudinem adducere. Vbi bonorum exitus mali sunt, ubi Socrates finzione anche un sentimento tra i più naturali, il dolore.
cogitur in carcere mori, Rutilius in exilio uiuere. Pompeius et Cicero [16] Segue la parte che non senza motivo suole rattristare e
clientibus suis praebere ceruicem, Cato ille, uirtutiurn uiua imago, mettere in ansia. Laddove la sorte dei buoni è cattiva, laddove
incumbens gladio simul de se ac de re publica palam facere, necesse Socrate viene costretto a morire in carcere, Rutili080 a vivere
est torqueri tam iniqua praemia fortunam persoluere; et quid sibi in esilio, Pompeo e Cicerone a offrire il collo ai loro clienti, e
quisque tunc speret, cum uideat pessima optimos pati? 2 Quid ergo proprio Catone, ritratto vivente della virtù, gettandosi sulla
est? Vide quomodo quisque illorum tulerit et, spada, a rendere chiaro il destino suo e della repubblica, è
si fortes fúerunt, ipsorum illos animo desidera, si muliebriter et inevitabile tormentarsi per il fatto che la sorte paga compensi
ignaue perierunt, nihil perit: aut digni sunt quorum uirtus tibi tanto iniqui; e allora che cosa potrebbe sperare ognuno per sé,
placeat, aut indigni quon= desideretur ignauia. Quid enim est turpius
vedendo che i migliori subiscono il peggio? Che significa
quani si maximi uiri 3 timidos fortiter moriendo faciunt? Laudemus
totiens di- dunque? Guarda come ciascuno di loro abbia saputo sopportare
gnum laudibus et dicamus: 'tanto fortior, tanto felicior! Omnes e, se furono forti, impara a rimpiangerli con il loro stesso
effugisti casus, liuorem, morbum; existi ex custodia; non tu dignus animo, se morirono con la debolezza di una donna, non andò
mala fortuna dis uisus es, sed indignus in queni iam aliquid fortuna perso nulla: o sono degni della tua ammirazione per la loro
posset.' Subducentibus uero se et in ipsa morte ad uitam virtù, o sono indegni del tuo rimpianto per la loro ignavia. Che
respectantibus manus inicìen4 dae sunt. Neminem flebo laetum, c'è infatti di più vergognoso che se gli uomini più grandi
neminem fientem: We morendo con coraggio rendono gli altri vili? Lodiamo chi è
degno tante volte di lodi e diciamo: «Tanto più sei forte, tanto
più sei felice! Sei scampato a ogni disgrazia, all'invidia, alla
malattia; sei uscito di prigione; tu non sei apparso agli dei
degno di una cattiva sorte, ma indegno di essere ormai soggetto
a un qualche colpo della sorte.» Bisogna invece costringere
coloro che cercano di sottrarsi e in punto di morte si voltano a
guardare la vita. Non piangerò nessuno che è lieto, nessuno che
piange: quello mi ha terso di sua iniziati-
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quidquid inbecillum in animo nec percuraturn est exulcerat. ancora debole e non pienamente guarito. Tuttavia queste con-
Miscenda tamen ista et alternanda sunt, solitudo et frequentia: illa dizioni vanno mescolate e alternate, la solitudine e la compa-
nobis faciet hominum desiderium, haec nostri, et erit altera gnia: quella genererà in noi nostalgia degli uomini, questa di
alterius remedium; odium turbae sanabit solitudo, taedium noi stessi, e l'una sarà rimedio dell'altra; la solitudine guarirà
solitudinis turba. l'insofferenza della folla, la folla la noia della solitudine.
4 Nec in eadern intentione aequaliter retinenda mens est, Nemmeno bisogna tenere la mente uniformemente nella
sed ad iocos deuocanda. Cum puerulis Socrates ludere non stessa applicazione, ma occorre richiamarla agli svaghi. Socrate
erubescebat et Cato uino laxabat animum curis publicis fatigaturn non si vergognava di giocare coi fanciulli, Catone rilassava col
et Scipio triumphale illud ac militare corpus mouebat ad numeros, vino l'animo provato dalle fatiche politiche" e Scipione 83
non molliter se infringens, ut minc mos est etiam incessu ipso ultra muoveva a tempo di musica quel corpo avvezzo ai trionfi e alle
muliebrem. mollitiarn fluentibus, sed ut antiqui illi uiri solebant fatiche di guerra, non snervandosi in mollezze, come ora è
inter lusurn ac festa tempora uirilem. in modum tripudiare, non abitudine di quanti ondeggiano persino nell'andatura superando
facturi detri5 mentum, etiam si ab hostibus suis spectarentur. Danda la mollezza fermiiinca, ma come quegli antichi uomini erano
cst animis remissio: meliores acrioresquc requicti surgent. Vt soliti tra lo svago e i giorni di festa danzare in modo virile, non
fertilibus agris non est impcrandum--cito enim illos exhauriet andando incontro a una perdita di dignità, anche qualora
numquam intermissa fecunditas-ita animorum. impetus adsiduus venissero guardati dai loro nemici. Occorre concedere una
labor franget, uires recipient paulum resoluti ct remissi; nascitur ex pausa agli animi: riposati, rinasceranno migliori e più
adsiduitate laborum. animorurn 6 licbetatio quaedam ct languor. combattivi. Come non si deve essere impositivi coi campi fertili
Nec ad hoc tanta hominum. - infatti una produttività mai interrotta li esaurirà in fretta - cosi
cupiditas tenderet, nisi naturalern quandam uoluptatern haberet una fatica continua indebolirà gli slanci degli animi, e questi
lusus iocusque; quorum frequens usus omne animis pondus riacquisteranno le forze se per un po' risparmiati e lasciati a
onmenique uim eripict; nam et sommis rcfectioni necessarius est, riposo; dal protrarsi delle fatiche nascono un certo qual torpore
hunc tamen semper si them noctemque continues, mors erit. e un infiacchimento degli animi. E a ciò non tenderebbe un
Multum interest, remittas aliquid an 7 soluas. Legum conditores tanto grande desiderio degli uomini, se lo svago e il gioco non
festos instituerunt dies, ut ad possedessero un certo naturale piacere; però il ricorso frequente
a questi toglierà ogni gravità e ogni forza dagli animi; infatti,
anche il sonno è necessario a ridare forze, tuttavia qualora tu lo
continui giorno e notte, diventerà la morte. C'è molta differenza
tra l'allentare una tensione e dissolverla del tutto. 1 legislatori
istituirono i giorni festivi, perché gli uon-úni fossero costretti
pubblica-
92 Lo testimonia anche Orazio, Carm. 3, 21, Il sg. narratur et prisci Ca re una nota moralistico-polemica contro l'effeminatezza dei costumi suoi
tonis 1 saepe mero caluisse virtus («si narra che anche la virtù del vecchio contemporanei, non rara nei suoi scritti e ben inserita nel filone moralistico della cultura
Catone spesso si riscaldasse col vino»). antica che aveva un bersaglio d'elezione nella vita dedita al lusso e alle mollezze.
83 L esempio del grande vincitore di Annibale permette a Seneca di introdur-
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hilaritatem homines publice cogerentur, tamquam necessarium mente a divertirsi, come interponendo la necessaria modera-
laboribus interponentes temperamentum; et magni,' ut dixi, uiri zione alle fatiche; e come ho detto alcuni grandi uomini si
quidam sibi menstruas certis diebus ferias dabant, quidam nullum concedevano in determinati giorni feste mensili, alcuni non
non diem inter otium et curas diuidebant. Qualem Pollionem c'era giorno che non dividessero tra l'ozio e gli impegni. Tra
Asinium oratorem magnum meminimus, quem nulla res ultra questi ricordiamo il grande oratore Asinio Pollione~84 che so-
decumam retinuit; ne epistulas quidem post cam horam legebat, leva non farsi trattenere da nessuna occupazione oltre l'ora
ne quid nouae curae nasceretur, sed totius diei lassitudinem decima;81 non leggeva nemmeno le lettere dopo quell'ora,
duabus illis horis ponebat. Quidam medio die interiunxerunt et in perché non gliene derivasse una qualche nuova preoccupa-
postmeridianas horas aliquid leuioris operae distulerunt. Maiores zione, ma si liberava della stanchezza di tutta una giornata in
quoque nostri nouam relationein post horam decumam in senatu quelle due ore. Alcuni sogliono fare pausa a metà della gior-
fieri uetabant. Miles uigilias diuidit, et nox nata e rimandare alle ore pomeridiane una qualche occupa-
8 immunis est ab expeditione redeuntium. Indulgendum est animo zione più leggera. Anche i nostri antenati vietavano che in se-
e
danduinque subinde otium quod alimenti ac uirium loco sit. Et in
nato ci fosse una nuova mozione oltre l'ora decima. I soldati si
ambulationibus apertis uagandum, ut caelo libero et multo spiritu
dividono i tumi di guardia, e la notte è libera dalla ronda per
augeat attollatque se animus; aliquando uectatio iterque et mutata
coloro che ritornano da una spedizione. Bisogna essere
regio uigorem dabunt conuictusque et liberalior potio. Non
indulgenti con l'animo e concedergli ripetutamente il riposo
numquam et usque ad ebrietatent ueniendum, non ut mergat nos
che funga da alimento e forze. Bisogna fare anche passeggiate
sed ut deprimat; eluit enim curas et ab imo animum mouet et ut
all'aperto, affinché l'animo si arricchisca e si innalzi grazie
morbis quibusdam ita tristitiae medetur, Liberque non ob
all'apertura degli orizzonti e all'abbondanza di aria pura da
licentiam linguae dictus est [inuentor uini] sed quia liberat
inspirare; talvolta un viaggio o un cammino e il cambiare luo-
seruitio curarum animum et adserit uegetatque et auda-
ghi e le cene e le bevute più generose daranno energia. Tal-
9 ciorem. in omnis conatus facit. Sed ut libertatis ita uini salubris
volta è opportuno arrivare anche fino all'ebbrezza, non perché
moderatio est. Solonem Arcesilanque indulsisse
ci sommerga, ma perché abbia effetto tranquillante; infatti
dissolve gli affanni e muove l'animo dal profondo e come cura
alcune malattie così anche la tristezza, e Libero non è detto
così per la libertà di parola ma perché libera l'animo dalla
schiavitù delle preoccupazioni86 e gli dà indipendenza e forza
e lo rende più audace verso ogni impresa. Ma nella libertà
come nel vino è salutare la moderazione. Si crede che Solone e
Arcesilaoll abbiano accondisceso al vino, a Catone
88 U identificazione è incerta: si è pensato ad Omero, ai poeti lirici Alceo o «entusiasmo» dell'animo, una concezione piuttosto lontana dal razionalismo
Anacreonte, all'autore di commedie Cratino. t probabile che Seneca attin- stoico: ma è probabile che ciò rappresenti un ampliamento della citazione di
gesse le sentenze che riporta in sequenza a qualche florilegio. Platone ed Aristotele, più che testimoniare un'adesione diretta di Seneca a
89 Tutto il pensiero si avvicina a una concezione dell'arte come prodotto dell' teorie irrazionalistiche.
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