Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Valla - La Falsa Donazione Di Costantino PDF
Valla - La Falsa Donazione Di Costantino PDF
La falsa
Donazione di
Costantino
di Lorenzo Valla
Edizione di riferimento
La falsa Donazione di Costantino, Discorso di Lorenzo
Valla sulla Donazione di Costantino da falsari spacciata
per vera e con menzogna sostenuta per vera, a cura di
Gabriele Pepe, Ponte alle Grazie, Firenze 1992
Sommario
I. 1
II. 4
III. 6
IV. 9
V. 12
VI. 18
VII. 21
VIII. 26
IX. 30
X. 33
XI. 38
XII. 41
XIII. 43
XIV. 46
XV. 49
XVI. 52
XVII 56
XVIII 58
XIX. 61
XX. 64
XXI. 67
XXII. 69
XXIII. 71
XXIV. 75
XXV. 80
XXVI. 84
XXVII. 85
messo che lo volesse, dalle mani del papa una volta che
mi abbia preso? Ma codesti due esempi del pericolo (che
si corre nel parlare liberamente) non debbono né turbar-
mi né distrarmi dal mio proposito: prima di tutto il papa
non può legare o sciogliere alcuno a dispetto delle leg-
gi umane e canoniche; poi, il perdere la vita nella dife-
sa della verità e della giustizia, è segno di altissima vir-
tú e ci ottiene le piú grandi lodi e premi. Molti affron-
tarono la morte in difesa della patria terrena; io paven-
terò il rischio di morte quando posso meritarmi la patria
celeste, che appunto ottengono quelli che vogliono pia-
cere a Dio, non agli uomini? Lontana ogni trepidazione;
la paura se ne vada; i timori cadano. La causa della veri-
tà, della giustizia, di Dio si difenda da me con animo for-
te, con grande fiducia, con buone speranze. Non sareb-
be, infatti, vero oratore chi sapesse parlare bene, se non
osasse anche di parlare (contro i potenti). Accusiamo,
pertanto, chiunque commette azioni tali da essere accu-
sate. Chi pecca a danno di tutti, sia morso dalla voce di
uno solo che parli, però, in nome di tutti.
3. Ma – si potrebbe dire – non devi rimproverare il
fratello davanti a tutti, ma a quattro occhi. Al contrario:
davanti a tutti, perché gli altri ne traggano un salutare ti-
more, deve essere rimproverato chi peccò pubblicamen-
te e non volle ascoltare consiglio nell’intimità. Che forse
Paolo, delle cui parole or ora mi son giovato, non disse
sul viso a Pietro, davanti alla Chiesa, quei rimproveri che
aveva meritati? E ne lasciò il ricordo in iscritto per no-
stro ammaestramento. Ma io non sono Paolo che posso
rimproverare Pietro – si potrebbe obiettarmi –: anzi, so-
no Paolo quando lo imito, a quel modo che (e ciò è mol-
to piú importante) divento una sola cosa in spirito con
Dio quando ne adempio con zelo i Comandamenti. Non
c’è carica (per quanto alta) che renda alcuno immune da
riprensione, se essa non rese immune Pietro e molti al-
tri papi, come Marcello accusato di aver libato agli dei
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII
XVIII
XIX.
XX.
core che lui ha rubate e che ha divise tra i figli e gli amici.
Che cosa temi tanto, Costantino? Se questa tua azione
non viene da Dio, si dissolverà; se invece viene da Dio,
non potrà dissolversi. Ma capisco bene che hai voluto
imitare l’Apocalisse dove dice: «Protesto a chi ascolte-
rà le parole profetiche di questo libro che se qualcuno vi
aggiungerà sillaba, Dio aggiungerà su di lui le piaghe de-
scritte in questo libro; se qualcuno toglierà qualche co-
sa alle parole di questo libro profetico, Dio gli toglierà
la sua parte dell’albero della vita e della città santa». Ma
tu non avevi letto mai l’Apocalisse; perciò queste parole
non sono tue.
66. «Se qualcuno, come non crediamo, oserà tuttavia
temerariamente far ciò, soggiaccia condannato a eterne
condanne e provi contrari a sé nella presente e nella fu-
tura vita i santi apostoli di Dio, Pietro e Paolo. E che fi-
nisca bruciato con il diavolo e con tutti gli empi nell’in-
ferno piú profondo». Queste parole di terrore e questa
minaccia non sono di un principe secolare, ma di anti-
chi sacerdoti e flamini ed ora degli ecclesiastici. Perciò
non è di Costantino questa prosa, ma di qualche stoli-
duzzo di ecclesiastico che non sapeva che si dicesse o in
che modo, di qualche canonico bene ingrassato di cor-
po e di mente e che eruttava questi pensieri e queste pa-
role nella crapula e nel calore del vino. Son parole che
non colpiscono gli altri, ma ricadono solo sul loro auto-
re. Prima dice: «soggiaccia a eterne condanne», di poi
come se si possa dire di piú, vuole aggiungere altro e al-
le pene eterne aggiunge quelle della vita presente. Co-
sí dopo averci atterrito con la condanna di Dio, ci vuo-
le atterrire, come se possa essere maggiore, con la minac-
cia dell’odio di Pietro, al quale non so perché aggiunga
Paolo. Di nuovo, preso dal solito letargo, ritorna alle pe-
ne eterne, come se prima non ne avesse parlato. Se que-
ste minacce e scongiuri fossero di Costantino, a mia vol-
ta lo odierei come tiranno e distruttore della mia repub-
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
87. Per venire al diritto positivo, chi ignora che non crea
legge il diritto della guerra? Se c’è un diritto di guerra,
esso vale solo in quanto e per quanto tu possiedi ciò che
hai acquistato con la forza; quando cadi dal possesso, ca-
di anche dal diritto. Ad esempio: se dei prigionieri fug-
gono, nessuno va a richiederli al magistrato; e ugualmen-
te per le prede di guerra, se i legittimi padroni ne ritor-
nano in possesso. Le api e altre specie di uccelli (sic), se
volano via dal mio podere e si fermano in quello di un
altro, non possono essere richieste. E tu oseresti ripete-
re non con il diritto della forza, ma con quello vero del-
le leggi l’uomo, non solo animale libero, ma signore di
tutte le creature, come se tu fossi uomo e gli altri bestie
Non dirmi i romani con giuste guerre spogliarono della
libertà le altre nazioni e ciò fu giustizia Non mettere sul
tappeto codesto problema per evitare che io debba par-
lare contro i miei romani. Non ci fu mai colpa cosí gra-
ve che potesse far punire un popolo con l’eterna schia-
vitú, tanto piú che spesso i popoli combattono solo per
colpa dei loro dirigenti e, vinti, scontano con la schiavitú
quelle pene che non si meritavano. Ne abbiamo esempi a
non finire. Non è certo secondo il diritto naturale che un
popolo sottometta a sé un altro popolo. Noi possiamo
essere guida agli altri, ammonirli; ma non possiamo co-
mandare né far violenza, a meno che, lasciato ogni sen-
so di umanità, piú bestie delle bestie, non vogliamo spie-
gare la sanguinaria ferocia di una tirannide sui piú debo-
li come fa il leone sui quadrupedi, l’aquila sugli uccelli,
il delfino sui pesci. Eppure, queste belve non fanno pre-
potenze sugli animali della stessa loro specie ma su quel-
li di specie inferiore. Non dovremmo noi essere da piú
delle belve e non dovrebbe l’uomo sentire come una co-
sa sacra l’umanità degli altri uomini, se come dice Marco
Fabio non c’è al mondo belva cosí feroce che non sen-
ta come un reverenziale rispetto per gli esseri fatti a sua
immagine?
88. Per quattro motivi gli uomini combattono: o per
vendicare offese ricevute in se stessi o ricevute dagli ami-
ci o per timore di future sventure se si lasciano troppo
ingrandire gli altri o per speranza di preda o per vanità
di gloria. Il primo motivo è piuttosto onesto, il secondo
lo è poco, i due ultimi non lo sono mai. Anche i roma-
ni furono provocati a guerra; ma dopo le guerre difensi-
ve, cominciarono anch’essi a portar guerre agli altri po-
poli né vi è alcun popolo che sia venuto in loro dizione
se non dopo essere stato vinto e piegato in guerra: se poi
con giustizia e per buone cause abbiano fatto ciò, lascia-
mo andare; se la veggano essi. Io non oso pronunziarmi
per una condanna come se avessero combattuto ingiu-
stamente, né per un’assoluzione come se avessero com-
battuto giustamente. Dirò soltanto che i romani portaro-
no la guerra contro gli altri con lo stesso diritto col qua-
le anche essi erano stati combattuti da popoli e re; dico
anche che, come si erano ribellati agli altri padroni, co-
sí era lecito ribellarsi contro i romani anche a quelli che
erano stati vinti e battuti (da Roma). A meno che non si
creda (ma ritengo che nessuno pensi ciò) che tutti i do-
mini debbano ritornare ai piú antichi loro padroni, cioè
a quelli che furono i primi ad usurpare l’altrui. Se mai,
però, spetterebbe un piú giusto diritto sulle genti vinte
in guerra al popolo romano anziché agli imperatori, che
opprimono lo Stato romano. Se era lecito ai popoli vin-
ti ribellarsi a Costantino e (ciò che è piú) al popolo ro-
mano, certo vi sarà anche il diritto di staccarsi da colui
che Costantino avrà chiamato a succedergli nei suoi di-
ritti. Dirò qualcosa di piú audace: se ai romani era lecito
cacciare Costantino, come fecero con Tarquinio, o ucci-
derlo come fecero con Giulio Cesare, molto piú sarà le-
cito ai romani o ai provinciali uccidere chi è successo a
XXVIII.
XXIX.
95. Affermo con ogni forza non solo che Costantino non
fece sí larga donazione, non solo che il romano pontefice
non beneficia della prescrizione, ma anche che, se pure
l’uno donò e l’altro beneficia della prescrizione, tuttavia i
due diritti sono estinti per i delitti dei possessori, quando
vediamo che da un sol fonte sono scaturite la rovina e
la distruzione di tutta l’Italia e di molte province. Se
è amaro il fonte, lo sarà anche il fiume; se immonda è
la radice, anche i rami saranno immondi; se le primizie
non sono sante non è santa la massa. Cosí, per antitesi,
se il fiume è amaro, bisogna ostruirne il fonte; se i
rami sono immondi, nella radice è l’origine del male,
se la massa non è santa, anche le sue primizie sono da
rigettare. Potremmo noi ammettere come legale l’origine
della potenza papale, che vediamo essere causa di tanti
delitti e di tanti mali di ogni genere?
96. Io posso ben dire e gridare ad alta voce (non ho
paura degli uomini, protetto come sono da Dio) che ai
miei giorni non vi è stato sommo pontefice che abbia am-
ministrato con fedeltà e saggezza. Furono tanto lontani
dal dare il pane di Dio alla famiglia dei loro sudditi, che
anzi li farebbero sbranare come pezzi di pane. Il papa,
proprio lui, porta guerre a popoli tranquilli; semina di-
scordie tra le città e i principi; il papa ha sete delle ric-
chezze altrui, e, al contrario, succhia fino in fondo le sue
stesse ricchezze; egli è come Achille dice di Agamenno-
ne Demoboros basileus, cioè «re divoratore dei popoli».
Il papa fa mercato non solo dello Stato, ciò che non ose-
rebbe né Verre né Catilina, né alcun altro reo di pecu-
lato, ma mercanteggia perfino le cose della Chiesa e lo
stesso Spirito Santo! Perfino a Simon Mago desterebbe
esecrazione! E quando ciò viene avvertito e anche rim-
proverato da galantuomini, non nega, ma sfacciatamente
XXX.