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La falsa
Donazione di
Costantino

di Lorenzo Valla

Storia d’Italia Einaudi


a

Edizione di riferimento
La falsa Donazione di Costantino, Discorso di Lorenzo
Valla sulla Donazione di Costantino da falsari spacciata
per vera e con menzogna sostenuta per vera, a cura di
Gabriele Pepe, Ponte alle Grazie, Firenze 1992

Storia d’Italia Einaudi II


.

Sommario

I. 1
II. 4
III. 6
IV. 9
V. 12
VI. 18
VII. 21
VIII. 26
IX. 30
X. 33
XI. 38
XII. 41
XIII. 43
XIV. 46
XV. 49
XVI. 52
XVII 56
XVIII 58
XIX. 61
XX. 64
XXI. 67
XXII. 69
XXIII. 71
XXIV. 75
XXV. 80
XXVI. 84
XXVII. 85

Storia d’Italia Einaudi III


XXVIII. 89
XXIX. 94
XXX. 96

Storia d’Italia Einaudi IV


I.

1. Piú e piú libri ho io pubblicati intorno a quasi tutte le


discipline. In essi dissento da autori grandi e stimati per
la loro vetustà; il che mal sopportando alcuni, mi taccia-
no di temerario e sacrilego. Che si deve credere che fa-
ranno ora come strepiteranno, con qual bramosia e sol-
lecitudine mi trarranno al supplizio di morte, se sarà lo-
ro concesso? Ora che io non scrivo solo contro i morti,
ma anche contro i vivi; e non contro uno o due ma con-
tro moltissimi; non contro privati ma anche contro ma-
gistrati. E quali magistrati! Proprio quel sommo ponte-
fice, che non solo a mo’ di re o signore è armato di spada
temporale, ma anche di quella ecclesiastica; da lui non
puoi difenderti riparando sotto lo scudo (per cosí dire)
di sovrano alcuno, perché ti raggiunge o la scomunica o
l’anatema o l’infamia. Se agí con prudenza chi disse: non
voglio scrivere contro coloro che possono proscrivere,
quanto piú non dovrei essere prudente io scrivendo con-
tro chi, senza lasciar riparo alle proscrizioni, può perse-
guitarmi dovunque con i dardi invisibili della sua poten-
za? Ben a ragione potrei dire: dove andrò lontano dal-
lo spirito tuo e dove fuggirò lontano dal tuo volto? Po-
tremmo pensare che il sommo pontefice voglia soppor-
tare questi miei attacchi con piú pazienza che altri non
farebbe.
2. Non lo credo punto. Anania, capo dei sacerdoti,
fe colpire sul viso Paolo perché avveva detto di aver vis-
suto con retta coscienza, al cospetto del tribuno militare
che sedeva come giudice. Phasur, anch’egli sommo sa-
cerdote, buttò in carcere Geremia perché aveva parlato
con troppa libertà. Il tribuno, prima e il preside, poi, di-
fesero Paolo; il re (Nabucco) poté e volle difendere Ge-
remia contro le offese del pontefice: me invece, quale
tribuno, quale preside, quale re potrebbe strappare, am-

Storia d’Italia Einaudi 1


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

messo che lo volesse, dalle mani del papa una volta che
mi abbia preso? Ma codesti due esempi del pericolo (che
si corre nel parlare liberamente) non debbono né turbar-
mi né distrarmi dal mio proposito: prima di tutto il papa
non può legare o sciogliere alcuno a dispetto delle leg-
gi umane e canoniche; poi, il perdere la vita nella dife-
sa della verità e della giustizia, è segno di altissima vir-
tú e ci ottiene le piú grandi lodi e premi. Molti affron-
tarono la morte in difesa della patria terrena; io paven-
terò il rischio di morte quando posso meritarmi la patria
celeste, che appunto ottengono quelli che vogliono pia-
cere a Dio, non agli uomini? Lontana ogni trepidazione;
la paura se ne vada; i timori cadano. La causa della veri-
tà, della giustizia, di Dio si difenda da me con animo for-
te, con grande fiducia, con buone speranze. Non sareb-
be, infatti, vero oratore chi sapesse parlare bene, se non
osasse anche di parlare (contro i potenti). Accusiamo,
pertanto, chiunque commette azioni tali da essere accu-
sate. Chi pecca a danno di tutti, sia morso dalla voce di
uno solo che parli, però, in nome di tutti.
3. Ma – si potrebbe dire – non devi rimproverare il
fratello davanti a tutti, ma a quattro occhi. Al contrario:
davanti a tutti, perché gli altri ne traggano un salutare ti-
more, deve essere rimproverato chi peccò pubblicamen-
te e non volle ascoltare consiglio nell’intimità. Che forse
Paolo, delle cui parole or ora mi son giovato, non disse
sul viso a Pietro, davanti alla Chiesa, quei rimproveri che
aveva meritati? E ne lasciò il ricordo in iscritto per no-
stro ammaestramento. Ma io non sono Paolo che posso
rimproverare Pietro – si potrebbe obiettarmi –: anzi, so-
no Paolo quando lo imito, a quel modo che (e ciò è mol-
to piú importante) divento una sola cosa in spirito con
Dio quando ne adempio con zelo i Comandamenti. Non
c’è carica (per quanto alta) che renda alcuno immune da
riprensione, se essa non rese immune Pietro e molti al-
tri papi, come Marcello accusato di aver libato agli dei

Storia d’Italia Einaudi 2


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

pagani; come Celestino accusato di partecipare all’eresia


nestoriana; come altri che anche a nostro ricordo furono
rimproverati – per non dire condannati – dagli inferiori:
ma, del resto, chi non è inferiore al papa?
4. Non mi accingo a scrivere per vanità di accusare
e lanciare filippiche: questa che sarebbe una turpe azio-
ne, sia lontana da me; scrivo, invece, per svellere l’erro-
re dalle menti, per allontanare, con moniti e rimproveri,
dalle colpe e dai delitti. Io, per me, non mi permetterei
mai di augurarmi che altri sulla mia scia poti con le armi
la vigna di Cristo, cioè la sede papale, troppo rigogliosa
di rami inutili, e le faccia dare non selvatici racemi sen-
za vita, ma dei grappoli gonfi. Ma, se lo facessi, chi vor-
rebbe turarmi la bocca o chiudere i propri orecchi o spa-
ventarmi con la visione di supplizi e di morte? Come do-
vrò chiamarlo io, foss’egli anche il papa? Buon pastore
o non piuttosto sordo aspide, che non vuole ascoltare la
voce dell’incantatore e vuole morderne e avvelenarne le
membra?

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

II.

5. Mi accorgo che si aspetta ormai di sapere qual delitto


io imputi ai romani pontefici: un delitto, per vero, gran-
dissimo commesso o per supina ignoranza o per sconfi-
nata avarizia, che è una forma di soggezione a idoli, o
per vano desiderio di dominare, cui sempre si accompa-
gna la crudeltà. Essi, per tanti secoli, o non comprese-
ro la falsità della Donazione di Costantino o crearono es-
si stessi il falso; altri, seguendo le orme degli antichi pon-
tefici, difesero come vera quella donazione che sapeva-
no falsa, disonorando, cosí, la maestà del papato, la me-
moria degli antichi pontefici, la religione cristiana e cau-
sando a tutto il mondo stragi, rovine, infamie. Dicono
essere loro Roma, loro il regno di Sicilia e di Napoli, lo-
ro Italia, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra: tutta
l’Europa occidentale, in una parola.
Tale pretesa si conterrebbe nel testo della Donazione.
Ah, sí! Sono tuoi tutti questi Stati? hai intenzione, som-
mo pontefice, di ricuperarli tutti? spogliare tutti i sovra-
ni dell’Occidente delle loro città o costringerli a pagar-
ti tributi annuali? invece io penso che sia piú giusto ai
sovrani spogliare te di tutto ciò che possiedi. Dimostre-
rò, infatti, che la Donazione dalla quale i sommi pontefi-
ci vantano i loro diritti, fu sconosciuta e a Costantino e a
Silvestro.
6. Prima di confutare il testo della Donazione, unica
difesa di costoro, difesa non solo falsa ma stolta, occorre
che mi rifaccia un po’ indietro.
Per prima cosa dimostrerò che Costantino e Silvestro
non erano giuridicamente tali da poter legalmente l’uno
assumere, volendolo, la figura di donante e poter quindi
trasferire i pretesi regni donati che non erano in suo
potere e l’altro da poter accettare legalmente il dono (né
del resto lo avrebbe voluto).

Storia d’Italia Einaudi 4


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

In seconda istanza, dimostrerò che anche se i fatti non


stessero cosí (ma sono troppo evidenti), né Silvestro ac-
cettò né Costantino effettuò il trapasso del dono, ma
quelle città e quei regni rimasero sempre in libera di-
sponibilità e sotto la sovranità degli imperatori. In ter-
za istanza dimostrerò che nulla diede Costantino a Sil-
vestro, ma al papa immediatamente anteriore davanti al
quale Costantino era stato battezzato; furono doni del
resto di poco conto, beni che permettessero al papa di
vivere. Dimostrerò (quarto assunto) che è falsa la tradi-
zione che il testo della Donazione o si trovi nelle decisio-
ni decretali della Chiesa o sia tolto dalla Vita di Silvestro:
non si trova né in essa né in alcuna cronaca, mentre inve-
ce si contengono nella Donazione contraddizioni, affer-
mazioni infondate, stoltezze, espressioni, concetti barba-
ri e ridicoli. Aggiungerò notizie su altri falsi o su scioc-
che leggende relativamente a donazioni di altri impera-
tori. Tanto per abbondare aggiungerò che, anche se Sil-
vestro avesse preso possesso di ciò che afferma di aver
avuto, una volta che o lui o altro papa fosse stato deiet-
to dal possesso non avrebbe piú possibilità di rivendica,
né a norma delle leggi civili né delle ecclesiastiche, do-
po sí lunga interruzione. Al contrario (ultima parte del-
la mia discussione) i beni tenuti dal papa non conoscono
prescrizioni di sorta.

Storia d’Italia Einaudi 5


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

III.

7. Primo punto. Parliamo prima di Costantino, poi di


Silvestro; ma poiché trattiamo la causa della repubblica
romana e direi quasi imperiale, non dobbiamo commet-
tere l’errore di discuterla con un tono oratorio inferiore
a quello con cui tratteremmo una causa di diritto priva-
to. Immagino, quindi, di parlare davanti a un collegio di
re e signori (e del resto cosí è in realtà perché il mio di-
scorso perverrà nelle loro mani) e di interpellarli come se
fossero a me davanti, seduti sotto i miei occhi: mi rivolgo
a voi, o re e principi, per sapere il vostro pensiero, scru-
tare la vostra coscienza (un privato qualsiasi, quale io mi
sono, difficilmente può con la sua immaginazione farsi
l’animo di re); chiedo la vostra testimonianza. Qualcuno
di voi se si fosse trovato al posto di Costantino, avrebbe
ritenuto opportuno donare per sola liberalità Roma, pa-
tria sua, capitale del mondo, regina delle città, la piú po-
tente, la piú ricca, la trionfatrice dei popoli, veneranda
per il solo suo aspetto? e per giunta egli si sarebbe reca-
to in una modesta cittaduzza, quella che fu poi Bisanzio?
e insieme a Roma avrebbe dato in dono l’Italia, che non
è una provincia, ma la signora delle province, le tre Gal-
lie, le due Spagne, la Germania, la Britannia, tutto l’Oc-
cidente e si sarebbe privato di uno dei due occhi dell’im-
pero? Non mi si farà mai credere che ciò possa fare uno
sano di mente.
8. Che ci può essere invece, da voi piú atteso, a voi
piú gradito, piú piacevole che accrescere i vostri posses-
si ed estendere quanto piú è possibile la vostra dizione?
A questo fine, giorno e notte, è rivolta ogni vostra cura,
ogni vostro pensiero, ogni vostra attività: o che io erro?
In codesti acquisti sono riposte le vostre principali spe-
ranze di gloria; per essi lasciate ogni piacere, affronta-
te mille pericoli, sacrificate serenamente i piú cari pegni

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d’affetto e parti del vostro stesso corpo. Infatti ho sen-


tito sempre dire e ho letto che mai nessuno di voi è sta-
to distolto dall’accrescere il suo dominio per essere sta-
to accecato o amputato di una mano, di una gamba o di
altro membro. Che anzi questa ardente bramosia di do-
minare estesamente tormenta ed esagita quanto piú si è
potenti. Alessandro, non contento di aver attraversato a
piedi i deserti dell’Africa, d’aver vinto l’Oriente sino ai
confini dell’oceano, di aver domato genti settentrionali,
tra tante ferite, tante morti, malgrado che i suoi soldati
rifiutassero, detestandole, di seguirlo in spedizioni lonta-
ne e difficili, pur credeva di non aver ancora fatto nulla
se non avesse sottomesso con la forza e col solo prestigio
del suo nome l’Occidente e tutti i popoli. Ma che dico?
egli s’era proposto di attraversare l’oceano, di esplorare
se vi fosse un altro mondo e di sottometterlo a sé. Alla
fine – penso – avrebbe tentato di scalare il cielo.
9. Tale è la volontà di tutti i re, anche se non tutti
giungono a tale audacia. Taccio quanti delitti e tristi
azioni sono state commesse per acquistare e ampliare i
domini: neppure i fratelli si astengono (sacrileghi!) dal
sangue dei fratelli, né i figli da quello dei padri o i padri
da quello dei figli. A niente altro suole tendere di piú
e con piú cattiveria la temerità degli uomini; puoi ben
stupirti che non siano piú lenti alla conquista del potere
gli animi dei vecchi che dei giovani, di chi ha figli e
di chi ne è privo, di re che di tiranni. Se dunque il
potere è ambito con sí grandi sforzi, non ne richiederà
maggiori per la conservazione? Ed è sempre triste cosa
il diminuire un impero anziché non accrescerlo, ma è
cosa disonorevole il far passare il proprio regno ad altri
anziché cercare l’opposto. Leggiamo, è vero, che da
qualche re o popolo, alcuni sono stati messi a capo di
regni o di città, ma ciò è avvenuto non per la principale e
piú grande parte del proprio dominio, ma per parti, direi
quasi, ultime e le piú piccole, e sempre a condizione che

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chi riceve il dono debba riconoscere quasi come padrone


il donante e se stesso come suo servo.
10. Or dunque, non sembra essere di animo abietto e
per nulla nobile chi ritiene che Costantino abbia aliena-
to la parte migliore dell’impero? Non dico Roma e l’I-
talia e le altre parti, ma le Gallie, dove aveva personal-
mente combattuto, dove era stato a lungo solo impera-
tore, dove aveva messo le basi della sua gloria e del suo
impero. Qual motivo cosí pressante e grave poteva spin-
gere a dimenticare tutto e a fare spreco di tanta liberali-
tà proprio questo Costantino che per cupidigia di impe-
ro aveva portato guerra a vari popoli, aveva perseguita-
to in guerre civili alleati ed affini e li aveva spogliati del-
l’impero? Non ancora erano domati e messi in fuga i re-
sti della fazione nemica; egli poi soleva combattere con-
tro gli altri popoli non solo per la speranza della gloria
e dell’impero, ma anche per necessità, provato, com’era,
giorno per giorno dai barbari; egli abbondava di figli, di
congiunti, di amici, sapeva che il senato e il popolo ro-
mano si sarebbero opposti alla sua donazione; egli aveva
esperienza della instabilità dei popoli sottomessi, pron-
ti a ribellarsi quasi ad ogni cambiamento di imperatore,
egli ricordava di aver conquistato il potere non come gli
altri imperatori per elezione del senato e approvazione
della plebe, ma con le armi, in guerra.

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IV.

11. Possono dire che lo fece perché era divenuto cristia-


no. E perciò avrebbe dovuto rinunziare alla parte miglio-
re del suo impero? Era forse delitto, colpa, empietà il re-
gnare ed era inconciliabile il regno con la religione cri-
stiana? Gli adulteri, gli usurai, i detentori di beni altrui
sogliono, dopo il battesimo, restituire la moglie altrui, il
danaro altrui, i beni altrui. Se tu pensi cosí, devi, o Co-
stantino, restituire la libertà ai popoli, non cambiar lo-
ro i padroni. Ma non la libertà dei popoli è in discussio-
ne; tu saresti stato indotto alla donazione solo per ono-
rare la religione; è forse religione deporre il potere o non
è meglio continuare ad amministrarlo in modo da difen-
dere la religione stessa? Per quello che riguarda poi co-
loro che hanno beneficiato della Donazione, dirò che es-
sa non è loro né utile né onorevole. Se proprio hai voglia
di mostrarti cristiano e di far mostra della tua religiosi-
tà e del tuo attaccamento non dico alla Chiesa di Roma,
ma alla Chiesa che è di Dio, intensifica la tua opera di so-
vrano: combatti per coloro che non possono combatte-
re o non lo debbono, tieni sotto la tua protezione gli ec-
clesiastici esposti alle insidie e alle offese. Dio volle che
si svelasse il mistero della Sua verità a Nabucodonosor,
a Ciro, ad Assuero e a molti altri principi; a nessuno di
essi chiese che abbandonasse il potere, donasse porzio-
ni del regno; ma solo che restituissero la libertà agli ebrei
e li proteggessero dai vicini che li assalivano. Se ciò ba-
stò agli ebrei, basterà anche i cristiani. Sei divenuto cri-
stiano, o Costantino. Ma è indecoroso che tu da cristia-
no sia imperatore con minor dominio di quando eri pa-
gano. È il regno quasi un dono speciale di Dio, e anche i
re pagani possiamo credere che vi siano innalzati sempre
da Dio.

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12. Ma – si può obiettare – era stato mondato dalla


lebbra e perciò è verisimile che abbia voluto mostrare la
sua gratitudine dando piú di quello che aveva ricevuto.
Toh! Il siro Neeman curato da Eliseo volle offrire sol-
tanto dei doni, non la metà dei suoi beni, e Costantino
avrebbe offerto la metà dell’impero? Che fastidio con-
futare una fiaba cosí sfacciata come se fosse una storia
verace.
Tale favola è modellata sul racconto di Neeman e Eli-
seo, come l’altra del dragone sul racconto favoloso di Be-
lo. Ma ammessa pure questa leggenda (della guarigione),
nella storia che la racconta vi è forse menzione di dona-
zione? Per nulla; ma di ciò parleremo meglio dopo. Fu
guarito della lebbra, per questo miracolo si formò uno
spirito cristiano; pieno di amore e timore di Dio, vol-
le onorarLo. Non posso tuttavia persuadermi che voles-
se far sí larghi doni, perché giammai nessun pagano per
onorare i suoi dei e nessun cristiano per onorare il Dio
vivente depose il suo impero o lo donò ai sacerdoti. Se
mai, si può osservare che tra i re di Israele non c’è l’esem-
pio di alcuno che abbia permesso ai suoi sudditi di anda-
re, secondo l’antica tradizione, a far sacrifici al Tempio
di Gerusalemme, nel timore che non ritornassero al re di
Giuda, dal quale avevano defezionato, sotto l’impressio-
ne dei sacri riti e della maestà del Tempio.
Quanto non è piú grave ciò che si attribuisce a Co-
stantino? Potreste essere indotti a credere che ciò sia av-
venuto per la guarigione della lebbra: ma Geroboamo
fu eletto re di Israele da Dio, che lo innalzò da un’infi-
ma condizione, miracolo a mio parere piú notevole che
la guarigione della lebbra; ma non perciò egli osò dare il
suo regno a Dio: e tu, vuoi che Costantino abbia donato
il suo regno a Dio, regno che non aveva ricevuto da Lui
e per giunta (cosa che in Geroboamo non sarebbe capi-
tato) avrebbe offeso i figli, abbassato gli amici, trascu-

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rato i suoi, leso la patria, addolorato tutti, sarebbe stato


dimentico di se stesso.

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V.

13. Se egli fosse stato tale o se si fosse cambiato da quel-


lo che era stato; certo non sarebbero mancati quelli che
lo avrebbero ammonito; primi fra tutti i figli, i parenti,
gli amici. Essi avrebbero senza dubbio affrontato l’im-
peratore. Immaginateli, appena hanno saputo le inten-
zioni di Costantino, trepidanti, frettolosi buttarsi ai pie-
di del sovrano e dirgli tra lagrime e pianti: «E cosí, o pa-
dre, per l’innanzi affettuosissimo, privi, diseredi, spogli
del regno i tuoi figli? Non ci lagnamo del fatto che tu vo-
glia spogliarti della parte migliore e piú grande dell’im-
pero, ma ne stupiamo. Ci addolora che tu la passi ad altri
con danno e vergogna nostra. Che cosa muove a privare
i tuoi figli dell’attesa succesione al regno, te, che regna-
sti un tempo insieme a tuo padre? Quale colpa abbiamo
verso di te, verso la patria, verso il nome e la maestà del-
l’impero romano perché ci si debba considerare degni di
esser puniti da te con la privazione della parte migliore e
piú importante del regno, ci si creda degni di essere stac-
cati e tenuti lontani dai patri lari, dalla vista della terra
natale, dall’aria stessa che ci era abituale, da antiche abi-
tudini? Ce ne andremo in esilio lasciando penati, tem-
pli, sepolcri per vivere Dio sa dove? perché ora dovrem-
mo essere abbandonati da te tutti noi, tuoi parenti, ami-
ci, che stemmo con te tante volte in campo a combatte-
re, che vedemmo trafitti da spade nemiche e agonizzan-
ti i fratelli, i genitori, i figli e non fummo atterriti dal-
la morte degli altri dall’affrontare noi stessi la morte per
te? Noi che fummo magistrati a Roma; che governam-
mo le città d’Italia, le Gallie, le Spagne, e altre provin-
ce o che le avremmo governate, noi tutti saremo deposti
dalle cariche e dovremo ritornare privati cittadini? For-
se riscatterai questo nostro sacrifizio con benefici di altra
provenienza. E come lo potrai adeguatamente ai nostri

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meriti e dignità dopo che avrai donato a un altro sí gran


parte della terra? Forse tu limiterai l’impero che avem-
mo su cento popoli a quello su un sol popolo? Come ti
è potuto venire in mente ciò? come ti incolse dimenti-
canza improvvisa dei tuoi, sí da non sentire compassio-
ne degli amici, dei congiunti, dei figli? Magari ci fosse
toccato morire in guerra, restando salva la tua dignità e
tu vittorioso; anziché vedere codeste cose. Tu puoi, sí,
fare a tuo arbitrio del tuo impero e di noi: una sola co-
sa non otterrai mai (siamo pronti ad affrontare anche la
morte) cioè che noi lasciamo il culto degli dei nostri im-
mortali: saremo cosí di esempio agli altri e allora capi-
rai il gran vantaggio che al Cristianesimo verrà da code-
sta tua larghezza. Se tu non darai l’impero a Silvestro,
vogliamo essere cristiani con te e molti allora seguiranno
il nostro esempio. Se invece farai la donazione, non solo
non accetteremo di diventare cristiani, ma ci diventerà,
per opera tua, malvisto, detestabile, esecrando tal nome
e ci renderai tali che tu stesso sentirai compassione del-
la vita e della morte nostra (fuori della vera religione) e
dovrai accusare te stesso di durezza, non noi».
14. A meno che in Costantino non fosse.estirpata ogni
umanità, non lo avrebbe dovuto commuovere questo
discorso, se non si fosse commosso già da sé? Se non
avesse voluto ascoltare costoro, non vi erano di quelli che
si sarebbero opposti alla donazione con parole e fatti?
Il senato e il popolo romano non avrebbero proprio
creduto di dover far nulla? Non avrebbero incaricato
un oratore gravis pietate ac meritis, come dice Virgilio, di
tenere il seguente discorso a Costantino?
«Cesare, se tu sei dimentico dei tuoi ed anche di te
stesso, sí da non voler mantenere integra l’eredità ai figli,
ai congiunti, le cariche agli amici, e a te stesso l’impero,
non può però il senato e il popolo romano dimenticare
i suoi diritti e il suo onore. Come osi tanto circa l’impe-
ro romano, che è stato creato non col tuo, ma con il no-

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stro sangue? Taglierai tu un so! corpo in due parti? di


uno farai due regni, due capi, due volontà? offrirai per
cosí dire a due fratelli le spade per combattere intorno
all’eredità? Alle città, che hanno ben meritato di Roma,
noi diamo il diritto di cittadinanza e tu ci strappi la metà
dell’impero perché non riconosca piú Roma come la sua
madre? Negli alveari si suole uccidere la regina scaden-
te, se ve ne nascono due; tu nell’alveare dell’impero ro-
mano, dove si trova un solo ed ottimo principe, vuoi col-
locarvene un altro, per giunta pessimo, sí che non ape si
può chiamare ma pecchione? Rimpiangiamo la tua anti-
ca prudenza, o imperatore; che avverrà, se, te vivo o do-
po la tua morte, a questa parte che alieni o all’altra che
conservi, sarà portata guerra dai barbari? Con quali for-
ze militari li affronteremo? Ora poco ci riusciamo pur
disponendo della forza di tutto l’impero; lo potremo piú
allora? O saranno sempre d’accordo le due parti dell’im-
pero? No, non è possibile; se Roma vuol dominare, Bi-
sanzio non vuol servire. Invece, mentre tu sarai ancor vi-
vo, presto saranno richiamati i vecchi presidi e sostituiti
con nuovi, e tu te ne starai lontano mentre qui dominerà
un altro: non sarà tutto cambiato, cioè in modo diverso e
ostile all’antico ordine? Se un regno viene diviso tra due
fratelli, si dividono immediatamente gli animi dei suddi-
ti e danno origine a guerre interne prima che con nemi-
ci esterni. E non avverrà lo stesso in questo nostro impe-
ro? ignori che questo fu il principale motivo per cui gli
ottimati dissero che essi sarebbero piuttosto morti al co-
spetto del popolo romano che permettere che si appro-
vasse quella proposta di legge per cui, cioè, una parte dei
senatori e una parte della plebe fossero mandati a abi-
tare Veio e vi fossero due città in comune al popolo ro-
mano: se in una sola città vi erano tante dissenzioni, che
sarebbe avvenuto quando le città fossero state due?
15. Cosí se ai giorni nostri vi sono tante discordie in
un solo impero (ne chiamo a testimone la tua coscienza e

Storia d’Italia Einaudi 14


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

le tue peripezie) che avverrà in due imperi? Credi forse


che quando tu sarai occupato in guerre te ne verrà aiuto?
Vorranno essi o sapranno dartelo? Quelli che saranno
messi a capo di eserciti e di città saranno cosí nemici di
armi e di guerre come colui che li avrà nominati. Non
tenteranno le legioni e le stesse province di spogliare un
sovrano cosí inesperto di governo ed esposto alle offese
con la speranza che egli non combatta contro di loro e
che non li punisca? Io credo che non resteranno neppure
un mese in carica, ma subito, al primo annunzio della
tua partenza, si ribelleranno. E che farai? Che decisioni
prenderai, premuto da duplice se non da molteplice
guerra? A stento riusciamo a tener a freno le nazioni
sottomesse; come si resisterà quando alle guerre con
codesti popoli si aggiungerà una guerra mossa da popoli
liberi? Vedrai tu, o Cesare, quale sarà il tuo dovere. A
noi siffatta cosa però deve essere a cuore non meno che
a te. Tu sei mortale; l’impero del popolo romano deve
essere immortale e lo sarà per quanto è in noi e non solo
l’impero, ma anche il nostro rispetto per esso.
16. Dovremo noi subire l’impero di coloro dei quali
spregiamo la religione? Noi, padroni del mondo, servire
a codesto spregiatissimo uomo? Quando Roma fu con-
quistata dai Galli, i senatori romani non tollerarono che
le loro barbe fossero carezzate dai vincitori; ed ora tan-
ti senatori, pretori, consoli, capitani sopporteranno che
li dominino coloro che essi dileggiarono e suppliziarono
come schiavi colpevoli? Costoro creeranno i magistrati?
reggeranno le province? faranno guerre? ci condanne-
ranno a morte? sotto di loro militerà la nobiltà romana?
da costoro aspetterà le cariche? otterrà i premi? Quale
ferita maggiore e piú profonda avremmo potuto riceve-
re? Non credere, o Cesare, che il sangue romano sia cosí
degenerato da sopportare ciò con animo tranquillo e da
credere che non si debba evitare in qualsiasi modo una
cosa tale che neppure le nostre donne sopporterebbero:

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

anzi, preferirebbero porsi sul rogo di morte con i dolci


figli e i sacri penati per non essere da meno delle don-
ne cartaginesi. Se noi, o Cesare, ti avessimo eletto re, tu
avresti, sí, ampi poteri per trattare delle cose dell’impe-
ro, ma mai per poterne diminuire la maestà. Altrimenti,
noi che ti avremmo fatto re, noi stessi con lo stesso diritto
ti avremmo ordinato l’abdicazione per impedirti di divi-
dere il regno, alienare tante province, sottoporre la stes-
sa capitale dell’impero a un cosí umile uomo, per giun-
ta straniero. Abbiamo messo un cane a custodia dell’ovi-
le; se egli vuol farla da lupo, o lo cacciamo o lo uccidia-
mo. Ora tu, che finora sei stato cane da guardia nell’o-
vile dell’impero, vuoi da ultimo tramutarti in lupo senza
che nessuno prima te ne abbia dato l’esempio?
17. Visto che tu ci costringi a parlarti con una certa
durezza, ti dirò, per chiarirti meglio le idee, che tu non
hai alcun diritto sul popolo romano. Giulio Cesare oc-
cupò il potere con la violenza, Augusto lo imitò in que-
sta colpa e si fece signore sconfiggendo il partito avver-
so. Tiberio, Caligola, Nerone, Galba, Ottone, Vitellio,
Vespasiano e gli altri fecero scempio della nostra libertà
con gli stessi mezzi o con mezzi simili. Tu stesso sei di-
ventato padrone cacciando o uccidendo gli altri. Lascio
andare che non sei nato neppure da giuste nozze. Ma per
svelarti sino in fondo il nostro pensiero, o Cesare, se non
vuoi mantenere il dominio su Roma, hai dei figli, qualcu-
no dei quali puoi, in armonia alle leggi di natura, mettere
al tuo posto col nostro permesso, anzi a nostra richiesta.
Se no, sappi che abbiamo ferma intenzione di difendere
la potenza dello Stato insieme alle dignità nostre private.
La tua offesa infatti non sarebbe minore di quella che su-
bimmo quando fu violata Lucrezia. Neanche ora ci ver-
rà a mancare un Bruto, che si ponga a capo del popolo
romano nella riconquista della libertà. Stringeremo nel-
le mani un pugnale prima contro costoro che tu ci poni
a capo, poi contro te stesso; del resto, ciò abbiamo fat-

Storia d’Italia Einaudi 16


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

to contro molti altri imperatori e per motivi molto piú


trascurabili». Tali parole avrebbero dovuto turbare Co-
stantino a meno che non fosse pietra o legno. È da cre-
dere che se il popolo proprio tali cose non dicesse aper-
tamente, almeno le dicesse fremente tra sé e con le frasi
che noi abbiamo usate.

Storia d’Italia Einaudi 17


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VI.

18. Andiamo dunque avanti e diciamo pure che Costan-


tino abbia voluto ringraziare Silvestro; bel modo! Sotto-
porlo a tanti odii, a tanti pericoli che, a mio parere, Silve-
stro non avrebbe potuto resistervi neppure un giorno so-
lo. Infatti sarebbe sembrato possibile eliminare dall’ani-
mo dei romani ogni timore di dover subire cosí offensi-
va ingiuria solo sopprimendo Silvestro e pochi altri. Am-
mettiamo pure che né preghiere, né minacce né alcun al-
tro mezzo sia stato utile e che Costantino sia rimasto fer-
mo e non abbia voluto recedere dal proposito una volta
deciso. Ma chi sarebbe rimasto insensibile alle parole di
Silvestro, che sarebbero state le seguenti?
19. «Ottimo imperatore e figlio. Non posso né amare
né accettare la tua pietà cosí ben disposta verso di me e
prodiga; ma non stupisco che tu esageri nell’offrire dono
a Dio e nello immolargli vittime, poiché sei ancora alle
prime armi. Come un tempo non si conveniva che un sa-
cerdote sacrificasse ogni specie di animale da pascolo o
volatile, cosí non può un sacerdote accettare qualunque
dono. Io sono sacerdote e pontefice e sono obbligato ad
osservare che cosa si offra all’altare perché non si porti-
no non dico animali immondi, ma vipere o serpenti. Per-
ciò ecco quanto ti dico: se tu avessi il potere di dare ad
altri che ai tuoi figli una parte dell’impero con la regina
del mondo, Roma (ciò che non credo); se te lo permet-
tesse l’Italia, il popolo romano, le altre province, e accet-
tassero di sottoporsi all’imperio di quei sacerdoti che an-
cora odiano e di cui spregiano la religione, attaccati, co-
me sono, ancora ai beni di questa terra (e ciò è impossi-
bile), tuttavia io, figlio carissimo, se vuoi credere alle mie
parole, non potrei essere indotto da alcun ragionamento
a darti ragione a meno che io non volessi essere in con-
tradizione con me stesso, dimenticare la mia condizione

Storia d’Italia Einaudi 18


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e quasi rinnegare Gesú. I tuoi doni (o, come tu li chiami,


le tue rimunerazioni) insozzerebbero la gloria, l’innocen-
za e la santità mia e di tutti quelli che mi succederanno,
e addirittura ci schianterebbero e chiuderebbero la via a
quelli che vogliono pervenire alla cognizione della verità.
20. Eliseo non accettò compensi dal siro Neeman per
averlo curato della lebbra; io li accetterò da te? Egli
rifiutò dei doni; permetterò che tu mi dia dei regni?
Quegli non volle macchiare la sua persona di profeta;
io potrò insozzare la persona di Cristo che porto in
me? Perché egli credé che la persona del profeta fosse
insozzata accettando doni? Naturalmente perché poteva
sembrare che vendesse le cose sacre, facesse l’usuraio
con i doni di Dio, fosse in potere degli uomini innalzare o
diminuire la nobiltà delle cariche ecclesiastiche. Preferí
dunque che principi e re fossero suoi beneficiari anziché
essere egli loro beneficiario, e non volle neppure che il
rapporto di beneficiari fosse reciproco. È molto meglio,
dice il Signore, dare che ricevere.
21. Piú che importante è la causa per cui non posso
accettare i tuoi doni io, cui il Signore ha detto: ‘Curate
gli infermi, risuscitate i morti, curate i lebbrosi, cacciate
i demoni; in dono avete ricevuto, date in dono’. Ed io
commetterò la colpa di non ubbidire ai comandi di Dio?
e macchierò il mio buon nome? E meglio per me, come
diceva Paolo, morire anziché alcuno sminuisca la mia
gloria. Gloria è per noi tenere onorato il nostro ufficio
davanti a Dio, come lo stesso Paolo dice: ‘A voi gentili
io dico che fin quando sono apostolo delle genti, farò
onore al mio officio’. Io, o Cesare, dovrei essere esempio
e causa di errore agli altri, io cristiano, sacerdote di Dio,
pontefice romano, vicario di Cristo?
22. E poi, come potrà restare incolume l’innocenza dei
sacerdoti tra ricchezze, magistrature, nell’amministrazio-
ne dei beni terreni? Rinunzieremmo ai beni di questo
mondo per ottenerli poi piú abbondanti? Rinunzierem-

Storia d’Italia Einaudi 19


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

mo alla privata proprietà per usurpare poi i beni degli al-


tri e dello Stato? Saranno sotto di noi, città, tributi, ga-
belle? Come potremo continuare a chiamarci clero se fa-
remo ciò? La parte nostra (in greco parte si dice klee-
ros) è non terrena ma celeste. I leviti, che anche essi so-
no chierici, non ottennero la spartizione con i fratelli, e
tu vuoi che noi abbiamo anche le parti che toccano ai
fratelli? A che servirebbero a me potenza e ricchezza, a
me cui la voce del Signore impone di non essere solleci-
to del domani? a me cui è stato detto: ‘Non tesorizza-
te sulla terra, non possedete oro, argento e danaro nel-
le vostre cinture’. Ed anche: ‘È piú difficile che un ric-
co entri nel regno dei cieli che un cammello passi per la
cruna di un ago’. Perciò Gesú scelse come suoi ministri
dei poveri o di quelli che avevano rinunziato a tutti i be-
ni per seguirLo e fu Egli stesso esempio di povertà. Il
maneggiare ricchezze e danani è nemico dell’innocenza,
senza parlare del loro possesso e dell’impero sugli uomi-
ni. Il solo Giuda che aveva le cassette del tesoro e porta-
va con sé quei beni che venivano dati in elemosina si sviò
per amore di danaro al quale si era affezionato, osò una
volta rimproverare il Maestro e poi lo tradí. Ed io temo,
o Cesare, che tu da Pietro voglia farmi Giuda. Ascolta
anche Paolo: ‘Niente abbiamo portato nel mondo; non
c’è dubbio che non possiamo portarne nulla fuori; ci ba-
sti avere alimenti e vesti. Coloro che vogliono arricchire,
cadono nelle tentazioni, nei lacci del Diavolo, e in mol-
te passioni inutili e dannose che annegano l’uomo nella
morte e nella perdizione. Radice di tutti i mali è l’avidi-
tà di possedere; per amore di essa, alcuni si allontanaro-
no dalla fede e si intrigarono in molti dolori. Tu, uomo
di Dio, fuggi ciò’. Vorresti tu, o Cesare, che io accettas-
si quei beni che debbo fuggire come veleno? Avrei piú
tempo (pensaci tu stesso, o Cesare, data la tua prudenza)
per occuparmi delle cose divine, tutto preso da queste
terrene?

Storia d’Italia Einaudi 20


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

VII.

23. Gli apostoli ad alcuni che si lagnavano perché le loro


vedove erano tenute in poco conto nell’assistenza quoti-
diana, risposero che non era giusto che essi lasciassero la
predicazione della parola di Dio e dovessero attendere ai
pasti. Servire alle mense delle vedove come è ben diver-
so dall’esigere tributi, curare l’erario, conteggiare il sol-
do alle truppe e innodarsi in mille altre faccende simili.
Dice Paolo: ‘Nessuno che serva il Signore si mescola al-
le cose di questo mondo’. Forse, che Aronne con gli altri
leviti curava altro che il tabernacolo del Signore? I suoi
figli per aver preso nei turiboli fuoco altrui, furono bru-
ciati dal fulmine. E tu vorresti che noi ponessimo nei sa-
cri turiboli, cioè tra le opere sacerdotali, il fuoco seco-
lare e a noi vietato della ricchezza terrena? Eleazar, Fi-
nees, gli altri pontefici e sacerdoti o dell’Arca o del Tem-
pio amministravano altro se non ciò che toccava le cose
divine? Amministravano dico; anzi dovrei dire: poteva-
no amministrare, se volevano compiere il loro dovere? Se
no, ecco la maledizione del Signor loro: maledetti coloro
che eseguono con negligenza il lavoro del Signore. Ma-
ledizione che cade su tutti, ma specialmente sui pontefi-
ci. Quanto importante è il compito dei pontefici! Come
grave è l’essere capo della Chiesa! L’essere messo come
pastore a capo di un ovile cosí grande! Dalle mani del
pastore si domanda (che venga reso conto) del sangue di
ogni agnello o pecora perduta! A lui è stato detto: se
ami me piú degli altri, come tu dici, pascola i miei agnel-
li. E di nuovo: se ami me, come tu dici, pascola le mie
pecore. La terza volta? Se ami me come tu dici, pascola
le mie pecore. E tu mi comandi, o Cesare, che io pasco-
li anche capre e maiali che non possono essere custoditi
dallo stesso pastore.

Storia d’Italia Einaudi 21


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

24. Che dire poi del fatto che tu vuoi farmi re o


piuttosto imperatore, cioè capo di tutti i re? Gesú, dio
e uomo, re e sacerdote, si disse re, ma senti di qual
regno: ‘Il mio regno non è di questo mondo. Se il
mio regno fosse di questo mondo, i miei servi di certo
lotterebbero già fra loro’. Quali furono le prime e piú
spesso ripetute parole della sua predicazione? Non forse:
fate penitenza, si approssima il regno dei cieli? E non
mostrò chiaramente che il regno di questo mondo non
lo toccava? Non solo non cercò tal regno, ma quando
Gli fu offerto non lo volle accettare. Infatti quando
seppe, una volta, che i popoli avevano deciso di rapirLo
e farLo re, fuggí tra monti solitari. E ciò ci diede a
noi suoi vicari non solo come esempio da imitare ma
come comando, dicendo: ‘I re dei gentili dominano su
di loro e i capi hanno podestà su di essi. Non cosí sarà
tra voi; chiunque tra voi vorrà essere capo, sia vostro
ministro e chi vorrà essere il primo tra voi, sarà vostro
servo. Cosí come il Figlio dell’uomo non è venuto perché
Gli si serva ma per servire e per dare la sua anima a
riscatto di molti’. Dio un tempo pose dei giudici sopra
Israele, sappilo, o Cesare, non dei re, e Dio stesso si
adirò col popolo che Gli chiedeva dei re con tale nome.
E non diede loro un re che solo per la durezza del
loro cuore, per lo stesso motivo cioè per cui permise il
ripudio revocato poi dalla nuova Legge. Ed io avrò il
regno, io che appena appena posso essere un giudice?
‘Ignorate – dice Paolo – che i santi giudicheranno questo
mondo? Se in voi sarà giudicato il mondo, siete indegni
di giudicare cose di minima importanza? Non sapete che
giudicheremo gli angeli? e quanto piú le cose terrene?
Se avete tra voi liti su cose terrene, ponete come giudici
le persone meno stimate che sono nella Chiesa’. Ma
quei giudici che giudicavano soltanto le controversie,
non esigevano anche i tributi. E li esigerò io che so
come Gesú interrogasse Pietro da chi i re della terra

Storia d’Italia Einaudi 22


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

accogliessero tributi o censi, se dai figli o dagli estranei;


avendo Pietro risposto: dagli estranei; da Gesú fu detto:
‘Perciò i figli sono immuni’. Che se tutti sono figli miei,
o Cesare, come certo sono, tutti saranno liberi, nessuno
di essi pagherà nulla. Perciò io non ho bisogno della
tua donazione, dalla quale niente altro ritrarrò se non
travagli che non debbo, né potrei sopportare.
25. Che dire della necessità che mi verrebbe di eserci-
tare giustizia criminale, punire i rei, far guerra, distrug-
gere città, mettere a ferro e fuoco delle regioni? Né po-
trei sperare di poter difendere diversamente quello che
tu mi donassi. Se facessi tali cose, sarei sacerdote, pon-
tefice, vicario di Cristo? Come Lo udrei tonare contro
di me: ‘La casa mia sarà detta da tutte le genti casa della
preghiera e tu ne facesti una spelonca di briganti’. ‘Non
sono venuto al mondo per giudicarlo ma per liberarlo’
disse il Signore, ed io, che Gli son succeduto, sarò cau-
sa di morti? Io, al quale, nella persona di Pietro, fu det-
to: ‘Rimetti la tua spada al posto suo. Tutti quelli che
avranno preso la spada, periranno di spada’. A noi non
è permesso difenderci con le armi. Eppure Pietro avreb-
be voluto difendere il suo Signore quando mozzò l’orec-
chio al servo. E tu ci vorresti comandare di usare le ar-
mi per acquistare o difendere le ricchezze? Il nostro po-
tere è quello delle chiavi, come disse il Signore: ‘Ti da-
rò le chiavi del regno dei cieli. Ciò che avrai legato sulla
terra, sarà legato anche nei cieli; tutto ciò che scioglierai
sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli e le porte dell’in-
ferno non avranno ragione di esse’. Nulla si può aggiun-
gere a questa podestà, nulla a questa dignità, nulla a que-
sto regno. Chi non si contenta di questo, chiede un qual-
che altro regno al diavolo, che osò dire perfino al Signo-
re: ‘Ti darò tutti i regni del mondo, se prostrato a terra
mi adorerai’.
26. Perciò, o Cesare, sia detto con tua buona pace,
non diventare per me diavolo col comandare a Cristo, e

Storia d’Italia Einaudi 23


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

quindi a me, di ricevere da te i regni di questo mondo.


Preferisco spregiarli, anziché possederli codesti beni. E,
per parlare di quelli che ora sono infedeli, ma saranno,
come spero, fedeli, non rendere me da angelo loro di lu-
ce, angelo di tenebre: io voglio indurre i loro cuori a pie-
tà, non imporre ai loro colli un giogo, sottoporli a me
con la spada della parola di Dio, non con la spada di fer-
ro, perché non diventino peggiori, non recalcitrino, non
si feriscano col corno, non bestemmino il nome di Dio
irritati dal mio errore. Voglio renderli figli miei carissi-
mi, non schiavi; adottarli, non comprarli; generarli, non
acquistarli; offrire le loro anime come sacrificio al Signo-
re, non i loro corpi al Diavolo. ‘Imparate da me – dice
il Signore – che sono di cuore umile e mite. Accettate
il mio giogo e troverete pace alle vostre anime. Il giogo
mio è soave e il mio peso è leggero’. Per porre termine a
questo argomento, ascolta il suo parere che sembra qua-
si dettato nella discussione tra me e te: ‘rendete a Cesare
ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio’. Né tu dun-
que, o Cesare, devi abbandonare le cose tue; né io deb-
bo ricevere le cose che sono di Cesare: anche se tu me le
offrissi mille volte, mai le accetterei».
27. A tale discorso di Silvestro, degno veramente di un
uomo apostolico, che cosa avrebbe piú potuto opporre
Costantino? Stando cosí le cose, quelli che affermano la
realtà della donazione, non offendono forse Costantino
credendo che egli volesse spogliare i suoi e distruggere
l’impero romano; non offendono e l’Italia e tutto l’Occi-
dente, il senato e il popolo romano che avrebbe permes-
so mutamenti dell’impero contro le leggi umane e divi-
ne? Non offendono Silvestro, che avrebbe accettato una
donazione indegna di un santo uomo; non offendono il
papato, cui tengono essere lecito impadronirsi dei regni
terreni e governare l’impero romano? Tutto ciò che ab-
biamo detto sinora mirava a mostrare come Costantino
per tanti impedimenti mai avrebbe donato a Silvestro la

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

maggior parte dello Stato romano, come affermano co-


storo.

Storia d’Italia Einaudi 25


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VIII.

28. Codesta donazione, della quale presentate il testo,


deve contenere anche l’accettazione di Silvestro: ma non
c’è. Potreste dire che si può supporre la ratifica di Silve-
stro: io invece affermo che ben si può supporre che Sil-
vestro non solo la ratificò, ma la chiese, insisté per aver-
la, la strappò con preghiere. Perché voi supponete credi-
bile ciò che va contro l’opinione umana? Non basta che
nel testo del privilegio si parli della donazione per ritene-
re che essa sia stata accettata; al contrario, bisogna dire
che non vi è stata donazione perché non vi è traccia del-
l’accettazione: è contro di voi il rifiuto di Silvestro piú di
quanto non possa essere a vostro vantaggio la donazione
di Costantino, perché un beneficio non si può concede-
re a chi non lo accetta. Né dobbiamo sospettare soltanto
che Silvestro abbia rifiutato il dono, ma che tacitamen-
te abbia anche giudicato che Costantino non poteva le-
galmente donare né egli poteva legalmente ricevere. Ma,
o cieca e sempre inconsulta avarizia! Ammettiamo che
possiate presentare documenti dell’assenso di Silvestro,
veri, non alterati, sinceri; sono forse sempre regolarmen-
te donate cose comprese in veri documenti? Dove è il
possesso? Dove il trasferimento a mano? Costantino si
limitò a dargli solo la carta di donazione, non volle far-
gli un dono ma uno scherzo. È verisimile – dite – che chi
doni qualche cosa ne effettui anche il trapasso di posses-
so. Badate a quello che dite: poiché consta con precisio-
ne che non è stato dato il possesso e si discute se sia stato
dato il diritto. È, allora, verisimile che non abbia voluto
dare neppure il diritto chi non diede il possesso.
29. Si mette in dubbio l’inesistenza del trapasso di
proprietà? Ma mettere in dubbio ciò è da svergognati.
Forse Costantino guidò Silvestro al Campidoglio come
un trionfatore tra gli applausi dei quiriti affollati sí, ma

Storia d’Italia Einaudi 26


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

non ancora credenti? Lo fece adagiare sulla sedia aurea


alla presenza di tutto il senato? Comandò che i magistra-
ti, ciascuno secondo la sua dignità, lo salutassero e ado-
rassero come re? Era usanza che per i nuovi imperatori
si facessero tutte queste cose, non che si consegnasse un
palazzo qualunque, come, ad esempio, il Lateranense.
Lo accompagnò poi in giro per tutta l’Italia? Andò
con lui nelle Gallie? nelle Spagne? in Germania e in tut-
to il restante Occidente? o, se ad ambedue dispiaceva
andare in giro per tante terre, a chi mai delegarono cosí
importante ufficio e di fare le veci dell’imperatore nel da-
re e di Silvestro nell’accogliere il possesso? Dovettero es-
sere uomini grandi e di esimia autorità, eppure ne igno-
riamo i nomi. In queste due semplici parole dare e riceve-
re quanta significazione non si nasconde! A nostro ricor-
do, per tacere antichissimi esempi, se qualcuno diventa
signore di una città, di una regione, di una provincia, al-
lora soltanto si ritiene effettuato il trapasso di proprie-
tà quando gli antichi magistrati sono rimossi e sostituiti
da nuovi. Anche se Silvestro non avesse chiesto ciò, era
obbligato Costantino dalla sua stessa magnificenza a di-
chiarare che trasferiva il possesso non solo a parole, ma
di fatto, che rimuoveva i suoi presidi e comandava che
altri fossero sostituiti da Silvestro. Non c’è passaggio di
possesso quando esso resta presso coloro stessi che pos-
sedevano prima e il nuovo signore non osa rimuoverli.
Ma supponiamo che questo non sia d’ostacolo (ad am-
mettere la donazione) e che si possa ritenere che Silve-
stro abbia continuato a possedere, ammettiamo che tut-
to sia stato amministrato contro ogni tradizione e contro
natura: ma una volta che Costantino se ne andò (da Ro-
ma) quali capi Silvestro prepose alle province e alle cit-
tà? quali guerre combatté? quali popoli schiacciò volti-
si a combatterlo? Per chi amministrò queste cose? Non
sappiamo nulla di ciò, mi risponderete. Lo credo bene:

Storia d’Italia Einaudi 27


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

furono fatte codeste cose di notte e perciò nessuno se ne


accorse.
30. Silvestro possedé? E chi lo scacciò dal possesso?
Infatti non rimase sempre in possesso né lui né alcuno
dei successori almeno fino a Gregorio Magno, che an-
ch’egli non ebbe possesso (dell’impero). Chi è privo di
possesso e non può dimostrare di essere stato scacciato,
questi senza dubbio non è stato mai in possesso; e se di-
ce di aver posseduto, è un pazzo. Comprendi come pos-
so dimostrare che anche tu sei un pazzo? Se no, dimmi:
chi cacciò dal possesso Silvestro? Lo stesso Costantino
o i suoi figli o Giuliano o qualche altro imperatore? Dà
fuori il nome di chi lo scacciò; danne la data; di donde fu
espulso la prima volta, la seconda e cosí via. Per mezzo
di una rivolta e stragi o senza di esse? congiurarono in-
sieme contro di lui tutte le nazioni e quale fu la prima? e
come? nessuno gli venne in aiuto? Neppure qualcuno di
quelli che erano stati preposti da Silvestro o da altro papa
alle città e alle province? In un sol giorno perdette tutto?
o perdette un po’ per volta e parte dopo parte? Resisté
il papa e resistettero i suoi magistrati o al primo tumul-
to abdicarono? E che? i vincitori non si abbandonaro-
no a stragi contro quella feccia umana, che giudicavano
indegna dell’impero? non l’avrebbero fatto per vendica-
re le subite offese, per tutelare la loro conquista del po-
tere, per disprezzo contro la nostra religione (cristiana),
per esempio ai posteri? nessuno dei vinti riuscí a fuggi-
re? nessuno si nascose? nessuno ebbe paura? O evento
meraviglioso! L’impero romano nato da tante fatiche e
da tanto sangue, sarebbe stato conquistato e perduto co-
sí tranquillamente dai sacerdoti cristiani senza che ci sia
stato sangue, guerra, lagnanze. E (cosa non meno straor-
dinaria) non si sa da chi sia stato fatto ciò, in qual mo-
mento, in che modo, per quanto tempo. Potresti crede-
re che Silvestro abbia regnato nelle selve e tra gli alberi,
non a Roma e tra uomini e sia stato cacciato da freddi e

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

piogge invernali, non dagli uomini. Chi, fornito di una


qualche cultura, non sa quanti re, quanti consoli, quanti
dittatori, quanti tribuni della plebe, quanti edili furono
creati a Roma? non ci sfugge il nome di nessuno di essi,
pur in sí grande antichità, in sí gran numero di persone.
Sappiamo anche quanti capitani ateniesi, tebani, sparta-
ni ci sono stati e sappiamo le loro battaglie per mare e
per terra. Non ignoriamo quali furono i re persiani, me-
di, caldei, ebrei e via dicendo e sappiamo come ciascuno
di essi o abbia ricevuto il regno o l’abbia perduto o l’ab-
bia ricuperato. Ma invece non si sa come nella stessa cit-
tà di Roma sia cominciato l’impero romano silvestrano o
come sia finito, quando, per opera di chi. Quali testimo-
nianze, quali autorità potete addurre di ciò che afferma-
te? Nessuna, mi dovete rispondere. E non vi vergogna-
te, bestie che siete, non uomini, di dire essere verisimile
che Silvestro abbia posseduto?

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

IX.

31. Poiché voi non potete dimostrare ciò che afferma-


te, io, al contrario, vi dimostrerò che Costantino conti-
nuò a possedere sino all’ultimo giorno di sua vita e co-
sí i suoi successori tutti: vi tapperò cosí la bocca. Ma sa-
rà impresa assai difficile e di grande impegno mostrar-
vi ciò. Si leggano tutte le storie latine e greche; si chia-
mino pure tutti gli autori che hanno scritto di quei tem-
pi: non troverai alcuna contraddizione tra le fonti. Ba-
sti uno tra mille: Eutropio. Egli vide Costantino e tre fi-
gli da lui lasciati signori del mondo, e di Giuliano, figlio
del fratello di Costantino, cosí scrive: «Questo Giuliano
che fu suddiacono nella Chiesa romana e, fatto impera-
tore, apostatò ritornando al culto degli idoli, salí al pote-
re e con grande apparato portò guerra ai Parti; a tale spe-
dizione presi parte anche io». Non avrebbe taciuto della
donazione dell’impero di Occidente e non avrebbe det-
to di Gioviano, che successe a Giuliano: «Concluse una
pace necessaria, purtroppo, ma vergognosa con Sapore,
ritirando i confini e cedendo una parte dell’impero ro-
mano, cosa che prima non era mai accaduta dalla fonda-
zione dell’impero romano. Che anzi le nostre legioni fu-
rono fatte passare sotto il giogo presso Caudio da Pon-
zio Telesio e nella Spagna a Numanzia e in Numidia (pu-
re passarono sotto il giogo) senza però che vi fosse stata
mai cessione di territorio».
32. A questo punto mi piace chiamare in causa voi te-
sté morti, pontefici romani, e te, Eugenio, che vivi, col
permesso di Felice: perché cianciate tanto della donazio-
ne di Costantino e minacciate i sovrani che vendichere-
te l’usurpazione commessa a vostro danno dall’impero?
perché pretendete dall’imperatore e da altri principi una
confessione di vassallaggio a voi, quando si è all’incoro-
nazione, ad esempio, dal re di Napoli e di Sicilia? Ciò

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

non fece mai alcuno degli antichi pontefici, non Damaso


di fronte a Teodosio, non Siricio con Arcadio, non Ana-
stasio con Onorio, non Giovanni con Giustiniano, non
altri santissimi papi con altri ottimi imperatori, ma sem-
pre riconobbero che Roma, l’Italia e le province che ho
ricordate appartenevano agli imperatori. Taccio di mol-
ti monumenti storici e dei templi di Roma; si trovano an-
cora (e molte ne posseggo io) monete di oro di Costanti-
no già cristiano e poi di quasi tutti i successori con que-
sta iscrizione, in lettere latine non greche, sotto l’imma-
gine della croce: Concordia orbis. Se ne troverebbero nu-
merose anche dei sommi pontefici, se mai avessero impe-
rato su Roma: non si trovano invece né di oro né di ar-
gento né alcuno ricorda di averle viste, mentre non pote-
va non battere proprie monete chiunque avesse coman-
dato a Roma, fosse pure con l’effigie del Redentore o di
Pietro.
33. O ignoranti, non capite che, se fosse vera la
donazione di Costantino, non sarebbe rimasto piú nulla
all’imperatore dell’Occidente? Che razza d’imperatore,
di re romano sarà mai uno se il suo regno è in potere di
un altro ed egli non ha nulla piú. Se è chiaro che Silvestro
non ebbe il possesso, cioè che Costantino non effettuò il
trapasso di proprietà, non c’è dubbio che non gli diede
neppure il diritto di possesso, come ho già detto, a meno
che non diciate che fu dato il diritto, ma che per una
qualche causa non fu dato il possesso. Gli dava ciò che
sapeva che non sarebbe stato mai del papa; gli dava ciò
che non poteva trasmettere; gli dava ciò che non poteva
venire in suo possesso se non quando fosse stato estinto.
Gli dava un dono che non avrebbe avuto valore prima di
cinquecento anni o addirittura mai. Dir ciò o pensarlo è
da pazzi.
34. Ma è tempo ormai, per non essere prolisso, da-
re il colpo di grazia alla causa degli avversari già malri-
dotta e quasi straziata. Tutte le storie, quelle almeno che

Storia d’Italia Einaudi 31


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

meritano tal nome, dicono che Costantino fosse cristia-


no fin dalla fanciullezza insieme al padre Costanzo, mol-
to prima – dunque – del pontificato di Silvestro, come –
ad esempio – Eusebio, scrittore di una Storia Ecclesiasti-
ca, che Rufino, non ultimo fra i dotti, volse in latino ag-
giungendo due volumi intorno ai suoi tempi; tanto Euse-
bio che Rufino vissero ai tempi di Costantino. Aggiungi
la testimonianza anche del romano pontefice, che non fu
presente, ma fu il promotore del battesimo, ne fu non te-
stimone ma autore; e narrò non fatti di altri ma suoi. Par-
lo di papa Melchiade, cui seguí immediatamente, come
papa, Silvestro; egli cosí disse: «A tanto è giunta la Chie-
sa che accorrono alla fede di Cristo e ai suoi sacramen-
ti non solo i popoli, ma anche gli imperatori romani, che
tenevano il governo di tutto il mondo. Tra essi per primo
il religiosissimo Costantino, seguendo la vera fede, diede
il permesso a tutti i suoi sudditi non solo di diventare cri-
stiani, ma anche di fabbricare chiese e di donare beni al-
le chiese. Infine lo stesso ricordato imperatore diede im-
mensi doni agli ecclesiastici e iniziò la costruzione della
prima chiesa dedicata a san Pietro; lasciò il palazzo im-
periale e lo diede in godimento a san Pietro e ai suoi suc-
cessori». Melchiade non dice che da Costantino sia sta-
to donato altro che il palazzo lateranense e dei beni, dei
quali Gregorio I fa menzione spesso nel suo Epistolario.
Dove stanno coloro che non vorrebbero che noi revocas-
simo in dubbio se sia valida o no la donazione di Costan-
tino, quando essa avvenne prima di Silvestro e concerne
solo beni privati? Tutto ciò sarebbe chiaro ed evidente,
ma tuttavia è meglio che discutiamo un po’ il testo del
privilegio, che codesti stolti sogliono addurre a prova.

Storia d’Italia Einaudi 32


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

X.

35. Prima di tutto debbo accusare di disonestà quel


pseudo Graziano, che fece delle interpolazioni a Grazia-
no, e di ignoranza quelli che credono trovarsi in Grazia-
no il testo del privilegio, cosa che i dotti non hanno cre-
duto. Il testo non si trova nei piú antichi manoscritti del
Decretum. Se Graziano avesse ricordato la Donazione,
non l’avrebbe collocata dove la mettono costoro, rom-
pendo l’ordine della distribuzione della materia, ma l’a-
vrebbe collocata dove tratta del patto di Ludovico il Pio.
Vi sono innumerevoli passi nel Decretum in contraddi-
zione con questa Donazione; e uno è quello dove si tro-
vano le parole di Melchiade sopra riferite. Alcuni riten-
gono che l’autore dell’interpolazione sia Palea, detto co-
sí o perché tale fosse veramente il suo nome o perché le
sue aggiunte si possono ritenere paglia al confronto del
frumento di Graziano. Sia come si vuole, resta sempre
che sarebbe sconveniente alla grandezza di Graziano il
supporre che egli o ignorasse la Donazione o (se l’aves-
se veramente inserita lui) ne avesse fatto gran conto e l’a-
vesse giudicata vera. Bene; basta: ho vinto. Prima di
tutto, Graziano non la riporta come affermavano bugiar-
damente costoro; anzi in molti passi la nega e la confu-
ta. Poi sono costretti a tirare in campo un solo autore e
ignoto e di nessuna autorità, e per giunta cosí sciocco da
attribuire a Graziano cose che stanno in contrasto con
altri suoi detti. Dunque voi mettete avanti tale autori-
tà? Vi fate forti della sola testimonianza di costui? Rife-
rite il solo testo dato da costui a riprova di un fatto tanto
importante mentre di contro ci sono tante innumerevoli
prove? E dire che io mi sarei aspettato che mi mostraste
sigilli di oro, iscrizioni lapidarie, molti storici.
36. Ma – obiettano – Palea porta avanti autorità degne
di fede, fonti storiche e cita come testimone papa Gela-

Storia d’Italia Einaudi 33


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

sio con molti vescovi. Parla difatti «della Vita di Silve-


stro che in un Concilio di settanta vescovi Gelasio ricor-
da ai cattolici di leggere» e aggiunge che per lunga con-
suetudine molti imitano questa abitudine. Incomincia:
In quibus legitur Constantinus. Altrove, trattando del ca-
none dei libri sacri, aveva detto: gli Atti di san Silvestro,
vescovo, sebbene ne ignoriamo l’autore, sappiamo tut-
tavia che sono letti in Roma dai cattolici e che tale an-
tico uso imitano altre adunanze di fedeli. Straordinaria
autorità, straordinaria testimonianza, inoppugnabile do-
cumentazione! Ammetto che Gelasio nel concilio abbia
detto tutto ciò; ma disse forse che nella Vita di san Silve-
stro si leggesse il testo della donazione? Dice solo che a
Roma, la cui autorità molte altre chiese seguono, si leg-
gevano i Gesta Silvestri. E chi lo nega? Lo ammetto sen-
z’altro. E sono pronto a testimoniarlo io stesso sulla fede
di Gelasio. Ma a che vi giova se non a mostrare che avete
scientemente mentito nello addurre le testimonianze? Si
ignora il nome di chi ha messo questo passo tra le decre-
tali ed è l’unico a parlarne; si ignora il nome di chi scrisse
la storia, eppure è citato egli solo come testimone, falsa-
mente. E voi, persone dabbene e sagge, stimate che que-
sto basti e sovrabbondi a testimoniare una cosa di tan-
ta importanza? Ma considerate quale abisso ci sia tra la
mia e la vostra capacità critica. Io, anche se questo privi-
legio si fosse trovato nei Gesta di Silvestro non lo avrei ri-
tenuto vero, perché tutta la storia che vi si contiene non
è storia ma una invenzione poetica e sfacciatissima, come
in seguito dimostrerò, e nessun altro di una qualche au-
torità fa menzione di questo privilegio. E Jacopo da Va-
ragine, propenso al clero come arcivescovo, tuttavia nel-
le sue vite di santi tace della donazione di Costantino co-
me favolosa e indegna di un posto nella narrazione delle
opere di Silvestro, quasi come se avesse pronunziata una
sentenza contro coloro che l’avessero riportata nei loro
scritti.

Storia d’Italia Einaudi 34


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

37. Ma io voglio portare davanti ai giudici, anche se


non gli piace, codesto falsario, veramente paglia non fru-
mento. Che puoi dire, o falsario? Come mai non leggia-
mo codesto privilegio nei Gesta di Silvestro? Debbo ri-
tenere che questo libro sia raro, difficile a trovarsi e non
si diffonda per le mani di tutti, ma sia segreto come i Fa-
sti tenuti una volta dai pontefici e i Libri Sibillini tenu-
ti dai decemviri. Forse è scritto in lingua greca, siriaca o
caldaica. Ma Gelasio afferma che era letto da molti cat-
tolici e Jacopo da Varagine ne parla. Io stesso ne ho vi-
ste copie anche antiche, e in ogni chiesa cattedrale si leg-
gono i Gesta nel giorno festivo di san Silvestro: nessu-
no tuttavia può dire di avervi letto o di aver udito quel-
lo che tu vi immagini scritto. Ma forse vi è qualche altra
storia? Quale sarà? Non ne conosco altre e non credo
che tu voglia parlare di altra. Certo tu intendi proprio di
quella che Gelasio riferisce solersi leggere in molte chie-
se. Ma in questa non troviamo il tuo privilegio e se non
vi si trova, che cosa hai mai letto tu? Come ti permetti
di prenderci in giro in cose tanto serie e favorire le stolte
bramosie di gente sciocca? Ma sono stolto io che attacco
l’audacia di costoro e non piuttosto la pazzia di chi loro
credette. Se si dicesse che di questa donazione si conser-
va il ricordo presso i greci, gli ebrei e i barbari stessi, non
si chiederebbe subito di dire l’autorità di chi l’ha narra-
ta, di mostrare il codice che contiene il racconto? Ora si
parla di un atto scritto nella lingua vostra, di un codice
diffusissimo e voi non sottoponete a critica un fatto co-
sí incredibile e, per giunta, arrivate alla supina creduli-
tà che, non rinvenendone il testo scritto, accettiate quel-
lo che vi dicono come se fosse scritto e vero. Contenti di
tal titolo di possesso mettete in soqquadro terre e mari e,
come se non vi fossero dubbi sui vostri diritti, persegui-
tate col terrore di guerre e con altre minacce quelli che
non credono alle vostre parole. O buon Gesú, quale è
la forza della verità e quale la sua divinità! essa si difen-

Storia d’Italia Einaudi 35


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

de di per sé senza grandi sforzi da ogni inganno e bugia,


cosí che non a torto, discutendosi davanti a Dario qua-
le fosse la cosa piú forte e dicendo uno questo, un altro
quello, fu data la palma alla verità. Ma, poiché io ora di-
scuto con sacerdoti, non con laici, è meglio che trovi gli
esempi nella storia ecclesiastica piú che nella civile.
Giuda Maccabeo, quando ottenne con l’invio di una
ambasceria a Roma di stringere alleanza col senato, fece
incidere il testo del patto sul bronzo e lo fece portare a
Gerusalemme. Taccio delle tavole del Decalogo date su
pietra da Dio a Mosè. Ma codesta magnifica e inaudita
donazione di Costantino non esiste né scolpita in oro, ar-
gento o bronzo e neppure riprodotta in libri, ma si trova
soltanto su un pezzo di carta o di pergamena. Iobal, in-
ventore della musica, come dice Giuseppe Flavio, scolpí
il testo della sua dottrina su due colonne, una di laterizio
contro i danni del fuoco, l’altra di pietra contro le acque,
perché gli era giunta la tradizione antica che il mondo sa-
rebbe stato distrutto una prima volta dall’acqua e una se-
conda volta dal fuoco. La colonna di pietra rimase sino
all’epoca di Giuseppe, come questi scrive. Le leggi delle
dodici tavole furono incise nel bronzo perché il loro be-
neficio si conservasse sui popoli, sebbene allora i romani
fossero ancora rozzi e gente solo di campi, e gli studi let-
terari poco coltivati; quando Roma fu presa e incendiata
dai Galli, le Tavole furono ritrovate intatte. La previden-
za con la sua circospezione vince due forze ostili agli uo-
mini, la lunghezza del tempo e la violenza della fortuna.
Ma Costantino avrebbe scritto soltanto su di un pezzo di
papiro e con l’inchiostro la donazione di tutto il mondo,
specie quando l’inventore della leggenda, chiunque egli
fosse, immagina che Costantino dica di credere che non
mancheranno quelli che per empia avarizia vorranno re-
scindere la donazione. Tu temi ciò, o Costantino, e non
ti cauteli a che quelli che potranno strappare Roma a Sil-
vestro non gli strappino anche la carta? E Silvestro? non

Storia d’Italia Einaudi 36


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

fa proprio nulla? lascia tutto nelle mani di Costantino?


È cosí sicuro e pigro? In una faccenda di sí grande im-
portanza non pensa per nulla a se stesso, alla Chiesa, ai
pontefici? Ecco a chi affidi l’amministrazione dell’impe-
ro romano: a un uomo che non vigila su una cosa di ta-
le importanza, non vigila sul suo stesso lucro e sui suoi
pericoli. Se gli rubano il pezzo di carta, non potrà piú
dimostrare, col passare degli anni, la donazione.

Storia d’Italia Einaudi 37


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XI.

38. Lo stolto chiama privilegio la carta della donazione.


Chiami privilegio – voglio dirgliene quattro come se
mi fosse davanti – la donazione della terra e pretendi
che essa sia scritta su un foglio di carta e che Costantino
abbia scritto in codesta lingua? Se è assurdo il solo titolo
quale non sarà il resto?
«L’imperatore Costantino tre giorni dopo il battesimo
diede un privilegio al pontefice della Chiesa di Roma,
per cui in tutto il mondo romano i sacerdoti abbiano lui
come unico capo cosí come i giudici hanno a capo il re».
Ciò si legge nella storia di Silvestro. Già da ciò fa capi-
re il privilegio dove sia stato redatto. Ma come sogliono
fare i falsificatori incomincia col dire cose vere per con-
ciliare credito al falso che segue. Come Sinone in Virgi-
lio: «Tutto sarà vero, o re, ciò che ti dirò e non neghe-
rò di essere greco»; cosí incominciò, poi fece seguire tut-
te bugie. Cosí ora il nostro Sinone comincia dal vero e
continua col falso. Nel suo privilegio si legge tra l’altro:
«Giudicammo utile con tutti i nostri satrapi e tutto il se-
nato, gli ottimati e tutto il popolo romano sottoposto al-
la Chiesa romana che, come san Pietro appare stabilito
vicario di Dio sulla terra, cosí i pontefici ottengano, con-
cessa da noi e dal nostro impero, il vicariato del princi-
pe degli apostoli e un potere sovrano molto piú ampio
di quello che è concesso alla mansuetudine della nostra
imperiale terrena serenità».
39. O scellerato e malvagio, la stessa storia che tu citi a
testimonianza, narra che per molto tempo nessun senato-
re volle accogliere la religione cristiana e che Costantino
sollecitasse i poveri al battesimo con dei premi. Ed ora
tu osi dire che nei primi giorni consecutivi al battesimo il
senato, gli ottimati, i satrapi, divenuti quasi tutti cristiani
abbiano preso con l’imperatore la decisione di onorare la

Storia d’Italia Einaudi 38


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

Chiesa di Roma. Che c’entrano i satrapi? o (gente) dura


come pietre e come legno! Cosí parlano i Cesari? Cosí si
concepiscono i decreti romani? Chi ha sentito mai par-
lare di satrapi nelle assemblee dei romani? Non ricordo
di aver letto mai di satrapi non solo a Roma, ma neppure
nelle province romane. Ma costui li chiama satrapi del-
l’imperatore e li antepone al senato, mentre tutti gli ono-
ri, anche quelli che si danno all’imperatore, vengono sta-
biliti dal senato o dal popolo romano insieme al senato.
Perciò nelle piú antiche epigrafi o su marmo o su bronzo
o sulle monete vediamo impresse due lettere S. C., cioè
senatusconsulto o quattro S. P. Q. R. cioè senato e popo-
lo romano. E, come ricorda Tertulliano, avendo Ponzio
Pilato scritto dei miracoli di Cristo a Tiberio non al sena-
to, mentre solevano i magistrati scrivere direttamente al
senato, intorno ad argomenti straordinari, il senato non
sopportò ciò e si oppose a Tiberio che presentava la pro-
posta di legge di venerare Cristo come Dio, solo per l’in-
dignazione, quantunque non espressa apertamente, che
fosse stata offesa la dignità del senato. Ottenne cosí l’au-
torità del senato che Gesú non fosse onorato come Dio.
Sappilo bene!
40. Perché parli degli ottimati? o intendi dire i prin-
cipali uomini dello Stato: e allora perché si parla di loro
e si tace degli altri magistrati? o intendi quelli che non
sono demagoghi ansiosi di procacciarsi il favore del po-
polo, ma sono i migliori cittadini, seguaci del partito del-
l’ordine e suoi difensori, come Cicerone spiega in un’ora-
zione. Perciò diciamo che Cesare prima che distruggesse
la repubblica fu popolare (democratico), Catone fu inve-
ce degli ottimati: Sallustio spiegò la loro differenza. Ma
non sono scelti a deliberare codesti ottimati piú di quan-
to non lo siano i democratici o altri uomini in vista.
Ma a che meravigliarci che siano stati interrogati gli
ottimati, quando, a stare a sentire il falsificatore, tutto il
popolo deliberò con l’imperatore? Il popolo soggetto alla

Storia d’Italia Einaudi 39


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

Chiesa romana: quale popolo mai? il romano? Perché


non lo si chiama semplicemente popolo romano anziché
popolo soggetto? Che nuova specie di oltraggio è questo
contro i quiriti dei quali il piú grande dei poeti espresse
questo elogio: «Ricordati di governare le genti, o popolo
romano»? Questo popolo che governa gli altri è detto
popolo soggetto: cosa inaudita. Come in molte lettere
attesta Gregorio, gli imperatori romani differiscono dagli
altri re perché essi soli sono a capo di un popolo libero.
Ma sia pure come tu vuoi.
Forse gli altri popoli non sono sottoposti alla Chiesa?
o parli anche degli altri? Come poté avvenire in tre gior-
ni che tutti i popoli sottomessi all’impero della Chiesa
romana si trovassero presenti alla promulgazione di quel
decreto? Pertanto era chiamata a giudicare anche la fec-
cia del popolo? Costantino, prima che sottomettesse il
popolo al pontefice romano, come poteva chiamarlo sog-
getto? E come è possibile che quelli che son detti sud-
diti siano partecipi alla compilazione della legge? Come
è possibile dire che essi abbiano deliberato di diventar
sudditi del papa e che già quel papa, al quale ora in for-
za del loro decreto soggiacciono, li abbia già come suoi
sudditi? Tutto ciò dimostra che tu, miserabile, avresti la
volontà di ingannare ma non ne hai la capacità.

Storia d’Italia Einaudi 40


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XII.

41. «Scegliamo che il principe degli Apostoli e i suoi


vicari siano nostri sicuri patroni presso Dio. E per
quanto è nella nostra terrena imperiale potenza, abbiamo
deciso di onorare con debita venerazione la sacrosanta
chiesa di Roma ed esaltare gloriosamente la sede sacra
di san Pietro piú del nostro impero e del trono terreno;
perciò al papa assegnamo ogni potere, gloria e dignità,
forza e onori imperiali».
Rivivi per un po’, o Firmiano Lattanzio, ed opponiti
a quest’asino che raglia cosí sonoramente. Gli piace tan-
to il rumore di parole gonfie da ripeterle e compiacer-
si di ridire quello che or ora ha detto. In questo modo
parlavano ai tuoi tempi gli scribi imperiali, per non dire
i mozzi di stalla? Scelse Costantino i papi non come pa-
troni, ma «che fossero patroni»: il compilatore ha inter-
posto quel che fossero solo per rendere piú artificiosa la
cadenza. Bel criterio quello di scrivere male solo perché
il periodo corra piú armonioso, se pure in tanta scabrez-
za di stile vi può essere qualcosa di armonioso. «Eligen-
tes principem apostolorum vel eius vicarios»: non sce-
gli Pietro e poi i suoi vicari, ma o l’uno, escludendo gli
altri, o gli altri, escludendo lui. Chiama i papi vicari di
Pietro come se Pietro viva e gli altri papi siano di dignità
inferiore a quella di Pietro.
42. Non è barbara anche l’espressione: «a nobis no-
stroque imperio» come se l’impero abbia l’animo e il po-
tere di concedere qualcosa? Né gli bastò dire obtineant,
ma aggiunge anche «concessum» come se fosse altra co-
sa. Quanto è elegante «firmos patronos». Li vuole fir-
mos per paura che non si lascino corrompere dal dana-
ro e cedano per paura. E quel «imperialis terrena poten-
tia» due aggettivi senza copula e quel «veneranter hono-
rare» e quel «nostrae imperialis serenitatis mansuetudo».

Storia d’Italia Einaudi 41


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

Puzza troppo di eloquenza lattanziana il dire, quando si


tratta della potenza dell’impero, «serenitas» e «mansue-
tudo», non «amplitudo» e «maiestas». è gonfio e super-
bioso anche quando dice: «gloriose exaltare per gloriam
et dignitatem et vigorem et honorificentiam imperialem»
passo che sembra tolto dall’Apocalisse ove è detto: «L’a-
gnello che fu ucciso è degno di ricevere virtutem et digni-
tatem et sapientiam et fortitudinem et honorem et bene-
dictionem». Frequentemente, come piú avanti sarà chia-
ro, si immagina che Costantino si attribuisca titoli che so-
no di Dio e voglia imitare il linguaggio della Sacra Scrit-
tura che non aveva mai letta.

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XIII.

43. «E decretiamo e stabiliamo che tenga il primato tan-


to sulle quattro sedi di Alessandria, Antiochia, Gerusa-
lemme, Costantinopoli, quanto su tutte le chiese dell’u-
niversa terra. Anche il pontefice, che nei secoli futuri sa-
rà a capo della sacrosanta Chiesa romana, sia il piú in al-
to e capo di tutti i sacerdoti e di tutto il mondo, e tut-
te le cose che toccano il culto di Dio e servano a raffor-
zare la fede dei cristiani, siano disposte dal papa». Non
voglio far notare la barbarie della lingua, quando dice
«principes sacerdotibus» invece che «principes sacerdo-
tum», che a poca distanza usi «extiterit» e «exsistat»; e
che avendo detto «in universo orbe terrarum» aggiunga
poi «totius mundi», come se volesse dire due concetti di-
versi o volesse abbracciare anche il cielo che è una par-
te del mondo, quando buona parte dell’orbe terracqueo
non era sotto Roma; che distinse, come se non potessero
coesistere insieme, il procurare «fidem vel stabilitatem»;
e che confuse insieme «sancire» e «decernere»; e come se
Costantino prima non avesse deciso con gli altri, lo fa de-
cernere e sancire (come se stabilisse sanzioni, pene) e per
giunta lo fa sancire insieme col popolo. Quale cristiano
potrebbe sopportare ciò e non rimprovererebbe il papa,
severamente e direi quasi da censore, per aver paziente-
mente sopportato e ascoltato volentieri queste cose, cioè
che, mentre la sede romana ha ricevuto il suo primato da
Cristo come affermò, da testimonianza di Graziano e di
molti greci, l’ottavo concilio generale, si dice ora che tal
primato lo abbia ricevuto da Costantino appena cristia-
no, come da Cristo? Avrebbe voluto dire ciò quel mode-
ratissimo imperatore, avrebbe voluto udirlo quel religio-
sissimo papa? Lontana da ambedue tanta enorme em-
pietà!

Storia d’Italia Einaudi 43


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

44. C’è qualcosa ancora di piú assurdo: è forse secon-


do natura che si parli di Costantinopoli come di una del-
le sedi patriarcali, quando essa non era ancora né sede,
né patriarcale, né città cristiana, né era cosí chiamata, né
era stata fondata, né addirittura si pensava alla sua fon-
dazione? Infatti il privilegio fu concesso tre giorni dopo
che Costantino fu battezzato, quando c’era una Bisanzio,
non una Costantinopoli. Mentisco? ma se è proprio co-
desto stolto a dirlo! Scrive infatti in calce al privilegio:
«Abbiamo considerato opportuno che il nostro impero
e il regio potere si trasferiscano in Oriente e che edifi-
cassimo in un sito ottimo della provincia di Bisanzio una
città col nostro nome, dove porre l’amministrazione del
nostro impero».
Se egli voleva trasferire altrove l’impero, non ancora
l’aveva trasferito. Se voleva costituire colà l’impero, non
ancora l’aveva costituito. Cosí, se voleva fondare una cit-
tà, non ancora l’aveva fondata. Come poteva parlare di
patriarcato di una delle quattro sedi, di cristiana, di co-
sí detta, di fondata, di città da fondare, come piace alla
storia addotta in testimonianza di Palea? Non ci pensava
neppure! Questa bestia, sia egli Palea o qualche seguace,
non si accorge che egli è in contraddizione con la Storia
stessa, che racconta come Costantino non di sua iniziati-
va, ma per un avvertimento di Dio avuto in sogno, non
a Roma, ma a Bisanzio, non dopo pochi giorni, ma dopo
alcuni anni decise di fondare una città e di darle il nome
che gli era stato indicato nel sogno. Si può dubitare ora
che chi compose il privilegio visse molti anni dopo Co-
stantino? volle abbellire il suo falso, ma dimenticò che le
cose che egli raccontava dovevano essere avvenute a Ro-
ma tre giorni dopo il battesimo: i bugiardi debbono ave-
re buona memoria come dice un vecchio, logoro prover-
bio. Come può parlare di una provincia bizantina, quan-
do vi era solo un borgo fortificato detto Bisanzio, il cui
territorio non bastava a edificarvi una cosí grande città?

Storia d’Italia Einaudi 44


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

Infatti Costantinopoli abbracciò fra le sue mura la vec-


chia Bisanzio mentre costui asserisce che la città deve es-
sere fondata nel miglior luogo di quella. Come può di-
re che la Tracia, dove si trova Bisanzio, sia in Oriente,
quando essa volge piuttosto a settentrione? Costantino
(bisogna credere) ignorava il posto che aveva scelto per
fondare la città, in quale dei punti cardinali, se fosse città
o provincia, quanta ne fosse l’estensione.

Storia d’Italia Einaudi 45


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XIV.

45. «Alle chiese dei santi Pietro e Paolo abbiamo asse-


gnato, perché vi siano continuamente accese delle lam-
pade, dei beni immobili; li abbiamo arricchiti di vari do-
ni; con nostra sacra imperiale disposizione abbiamo con-
cesso che in Oriente, in Occidente, in Settentrione, al
Mezzogiorno, cioè in Giudea, Grecia, Asia, Tracia, Afri-
ca e Italia e nelle varie isole tutti i beni siano amministrati
dal sommo pontefice, padre nostro, Silvestro e dai suoi
successori». O pendaglio da forca! Le chiese, i templi
di Roma erano già dedicati a Pietro e Paolo? Chi li ave-
va costruiti? Chi avrebbe osato costruirli, quando i cri-
stiani non avevano altro che luoghi secreti e nascosti, co-
me narra la storia? se anche a Roma vi fossero stati tem-
pli dedicati a quegli Apostoli, non erano degni che vi si
accendessero tante lampade, chiesette come erano e non
templi, oratori non basiliche, nascosti in edifici privati
non aperti al pubblico. Non poteva preoccuparsi delle
lampade del tempio, prima che del tempio stesso. Come
mai immagini che Costantino dica santi Pietro e Paolo
e santissimo Silvestro ancora vivo e dica «sacram iussio-
nem» il suo ordine, quando egli pochi giorni prima era
ancora pagano? E per alimentare delle lampade c’era bi-
sogno di fare tali donativi che tutta la terra ne dovesse
sentire il peso?
46. E che significa praedia possessionum? si suol dire
praediorum possessiones, non praedia possessionum. Gli
fai donare dei fondi e non glieli fai indicare chiaramen-
te. Lo arricchisti di diversi beni senza mostrare né quan-
do né quali essi fossero. Vuoi che da Silvestro si dispon-
ga di terre ma non spieghi qual specie di dominio ab-
bia su di esse. Se questi doni li hai fatti già precedente-
mente, perché dici che solo oggi hai cominciato a ono-
rare la Chiesa di Roma e per la prima volta le hai con-

Storia d’Italia Einaudi 46


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

cesso un beneficio? Oggi concedi? Oggi arricchisci? e,


allora, perché dici al perfetto «concedemmo» e «arric-
chimmo»? Che dici, che pensi, bestia? Dico al falsario,
non all’ottimo imperatore Costantino. Ma come posso
cercare in te prudenza o dottrina, in te che non hai trac-
cia di ingegno e sei sfornito di ogni cultura letteraria?
Te che dici «luminariorum» invece di «luminarium» e
«orientalibus transferri regionibus» invece di «ad orien-
tales transferri regiones».
47. Che sono poi codeste quattro parti del mondo?
Quali chiami Oriente? La Tracia forse? ma, come
ti ho detto, è terra settentrionale. La Giudea? Ma
è meridionale, vicina come è all’Egitto. L’Italia? Ma
questo atto si compilava in Italia e uno che agiva in
essa non l’avrebbe detta Occidente, dove diciamo che è
invece la Spagna: dell’Italia si può dire che per una metà
è Mezzogiorno, per un’altra metà Settentrione, piuttosto
che Occidente. Quale è poi la terra settentrionale? La
Tracia? ma tu ne hai fatto Oriente. L’Asia? Ma questa
se è sola a formare l’Oriente, ha in comune con l’Europa
il Settentrione. Quale è la terra meridionale? L’Africa,
non c’è dubbio. Perché non hai detto qualche provincia
col suo proprio nome individuale? Ci avresti forse fatto
sentire che gli etiopi erano sudditi di Roma. Non è
fatto posto, nominativamente, ad Asia ed Africa, mentre
con te abbiamo diviso il mondo in quattro parti e ne
abbiamo una per una dette le varie regioni; e neppure se
dividiamo il mondo in tre parti, Asia, Africa, Europa, a
meno che tu dicendo Asia non abbia voluto alludere alla
provincia asiatica e dicendo Africa a quella provincia che
si trova presso i getuli. Ma non veggo perché debbano
essere nominate esse a preferenza di altre. Cosí avrebbe
parlato Costantino nel trattare delle quattro parti del
mondo? avrebbe ricordate queste regioni e non avrebbe
parlato delle altre? avrebbe cominciato dalla Giudea,
che è parte della Siria, Giudea che non abbracciava altre

Storia d’Italia Einaudi 47


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

terre (credo) che la sola Gerusalemme, per essere stati


cacciati e quasi tutti distrutti i giudei cosí che forse non
era rimasto piú nessuno in patria, ma se ne erano andati
ad abitare altre terre? Dove era, in fine, la Giudea che
del resto non si chiamava neppur piú Giudea, tanto che
oggi ne vediamo quasi spento il nome? Come la Cananea
cessò di chiamarsi cosí una volta sterminati i cananei (i
giudei ne cambiarono il nome andandovi essi ad abitare),
cosí la Giudea aveva cessato di chiamarsi in tal guisa
per esserne stati sterminati gli ebrei e sostituiti da nuovi
abitanti. Parli di Giudea, Tracia, isole; non ritieni di
dover parlare delle Spagne, delle Gallie, delle Germanie,
e mentre parli di popoli di varie lingue come ebraica,
greca, barbara, non parli di alcuna delle province che
parlavano latino. Capisco: tu le hai taciute ora per
poterne parlare poi nel testo della Donazione. Non erano
da tanto tutte le province dell’Occidente da provvedere
alle spese per l’alimentazione delle lampade se non fosse
venuto in loro aiuto il resto del mondo. Ometto che
tu dici che Costantino concesse queste cose per sua sola
larghezza, non come si dice invece per la guarigione dalla
lebbra. Se no, chi parla di rimunerazione, quando si deve
parlare di semplice dono, è un insolente.

Storia d’Italia Einaudi 48


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XV.

48. «A san Silvestro trasferiamo immediatamente il pa-


lazzo Lateranense del nostro impero; poi il diadema, cioè
la corona del nostro capo e insieme il frigio e anche il su-
perhumerale, cioè quella specie di fascia che suole circon-
dare il collo dell’imperatore, ma anche la clamide di por-
pora e la tunica scarlatta e tutti gli indumenti imperia-
li o anche la dignità imperialium praesidentium equitum,
conferendogli anche gli scettri imperiali e insieme tutte le
insegne e bandiere e i diversi ornamenti imperiali e tut-
to ciò che procede dalla altezza della potenza imperia-
le e dalla gloria del nostro potere. Sanciamo che gli uo-
mini di diverso ordine, i reverendissimi chierici che ser-
vono alla santa Chiesa romana, abbiano quel vertice di
singolare potenza e distinzione, della cui gloria si adorna
ora il senato, cioè siano fatti consoli e patrizi. E abbia-
mo stabilito (promulgato) che essi siano adorni di tutte
le altre dignità imperiali. Abbiamo decretato che il cle-
ro della santa romana Chiesa sia adorno dello stesso de-
coro che circonda la milizia imperiale. E come la poten-
za imperiale si fregia di diversi ufficiali, cubicularii, cioè,
ostiarii, e di tutti i concubitores, cosí vogliamo che ne sia
onorata la santa Chiesa romana. Per far risplendere piú
largamente la gloria del pontificato stabiliamo che i santi
chierici della stessa santa Chiesa cavalchino cavalli ador-
ni di banderuole e coperti di tela bianca e, come il nostro
senato, di calzari con udonibus, cioè bianche uose (?) di
tela; di tali ornamenti sia fornita la Chiesa terrena come
la celeste a lode di Dio».
49. O Gesú santo, non risponderai tempestandolo a
costui che scrive roba simile con frasi scorrette, non tuo-
nerai, non lancerai i tuoi fulmini vendicatori contro tan-
te bestemmie? sopporterai sí grande vergogna nella tua
famiglia? Potrai ascoltare ciò, vederlo, lasciarlo passare

Storia d’Italia Einaudi 49


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

con occhi direi quasi di connivenza? sei paziente, è vero,


e di grande misericordia. Temo però che codesta tua pa-
zienza non sia piuttosto ira e condanna come fu contro
coloro, dei quali dicesti: «Li ho abbandonati secondo i
(malvagi) desideri dei loro cuori e se ne andranno secon-
do i loro consigli». E altrove: «Li ho abbandonati ai loro
reprobi sentimenti, affinché facciano ciò che non si con-
viene, perché essi non hanno cercato di conoscere me».
Comandami o Signore di gridare contro di essi in modo
che forse possano convertirsi. O pontefici romani, esem-
pio di ogni scelleratezza agli altri vescovi, o pessimi scri-
bi e farisei, che sedete sulla cattedra di Mosè e fate ope-
re degne di Datan e Abiron! Si converranno dunque al
vicario di Cristo vesti, assetto, pompa, cavalcature e infi-
ne tutta la vita di un imperatore? Che c’è di comune tra
il sacerdote e l’imperatore? Vestí proprio Silvestro code-
sti indumenti imperiali? mosse con codeste magnificen-
ze? Visse e regnò con tutta codesta abbondanza di servi?
Scellerati che sono, non comprendono che Silvestro do-
veva indossare piuttosto le vesti di Aaron che fu sommo
sacerdote, anziché quelle di un imperatore pagano.
50. Ma di queste cose si dovrà trattare altrove con piú
forza. Ora limitiamoci a discutere con codesto imbro-
glione dei suoi barbarismi: dalle sue chiacchiere appare
di per sé il suo ignobile falso. «Trasferiamo – egli dice – il
palazzo Lateranense del nostro impero»; come se avesse
inopportunamente parlato del palazzo come dono, men-
tre trattava gli ornamenti, ne riparlò dopo, quando tratta
dei doni. «Inoltre il diadema» e, come se non compren-
dano i presenti, interpreta: «cioè la corona». E qui non
aggiunge «di oro», ma dopo, ripetendo le stesse cose, di-
ce «di oro purissimo e di gemme preziose». Non sapeva,
uomo incolto, che il diadema è di stoffa o anche di se-
ta, per cui si suole ricordare con lode quel saggio detto
di un re che, quando gli fu consegnato il diadema, prima
di metterlo in testa, lo tenne fra le mani a lungo, lo guar-

Storia d’Italia Einaudi 50


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

dò e disse: «O stoffa che dà piú fama che felicità, se ti


si conoscesse a fondo, se si sapesse di quante preoccupa-
zioni, affanni, pericoli e miserie sei piena, nessuno ti vor-
rebbe raccogliere neppure trovandoti per terra». Costui
forse ritiene che fosse di oro perché ora dai re si suole
fermare con un cerchietto di oro gemmato. Ma Costan-
tino non era re e non avrebbe osato dirsi re né adornar-
si come un re. Era imperatore romano, non re. Dove è il
re, ivi non è repubblica. Ma durante la repubblica vi fu-
rono, anche in una sola epoca, molti imperatores. Cice-
rone difatti scrive spesso: Cicerone imperator saluta que-
sto o quell’imperator. In seguito, il principe romano ven-
ne chiamato come con nome peculiare suo imperator al
di sopra però di tutti gli altri imperatores.
51. «Insieme il frigio e anche il superhumerale, cioè
quella specie di fascia che suole circondare il collo del-
l’imperatore». Chi ha sentito mai parlare in latino di fri-
gio? E tu parlando cosí da barbaro vuoi farmi credere
che sia codesto il linguaggio di Costantino o di Lattan-
zio? Plauto nei Menaechmi usò la parola phrygius per di-
re concinnator vestium. Plinio chiama vesti frigie quelle
ricamate perché ne sarebbero stati inventori i frigi. Non
spieghi qui che significhi codesta parola oscura ed espo-
ni invece ciò che è piú chiaro. Dici che il superhumerale è
una specie di fascia (lorum) ma non sai bene che cosa sia
il lorum stesso. Il lorum è una cintura di cuoio e non vor-
rai pensare che se ne potesse adornare il collo dell’impe-
ratore mettendogliela attorno (al collo). Per esser di cuo-
io chiamiamo lora le redini e le fruste. E si capisce per-
ché talvolta si parli anche di «lora aurea», cioè di redini,
che si sogliono porre con borchie di oro al collo dei ca-
valli o di altri animali: io credo che questo modo di di-
re ti abbia ingannato e che quando pretendi che un lo-
rum si metta al collo di Costantino e di Silvestro, di un
imperatore e di un papa fai un cavallo o un asino.

Storia d’Italia Einaudi 51


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XVI.

52. «Ma anche la clamide di porpora e la tunica scar-


latta». Poiché Matteo parla di clamide di porpora e Gio-
vanni di tunica scarlatta, ha voluto congiungere costui le
due espressioni in una sola frase. Se si tratta dello stes-
so colore, come è chiaro dagli Evangelisti, perché non ti
sei contentato di ricordarne uno solo come fece ciascu-
no dei due Evangelisti? A meno che tu non creda, co-
me ancora sogliono gli ignoranti, che la porpora sia una
qualità di stoffa di seta bianca. La porpora è un pesce,
del cui sangue si tinge la lana. Dalla tintura il nome è
trasferito al panno, il cui colore si può usare per sinoni-
mo di rosso, sebbene sia piuttosto nereggiante, vicinissi-
mo al colore del sangue rappreso e quasi violaceo. Per-
ciò da Omero e da Virgilio il sangue è detto purpureo e
un marmo porphyricum (porfido) perché il colore è as-
sai simile a quello dell’ametista. I greci chiamano infat-
ti porphyra la porpora. Può darsi che non ignori che si
dice coccineus per dire rosso, ma giurerei che non sai af-
fatto perché, mentre noi diciamo coccum, egli dica cocci-
neus e che specie di veste sia la clamide. Per non svelarsi
bugiardo nello spingersi troppo oltre con l’enumerazio-
ne delle vesti a una a una, le abbracciò tutte in una sola
parola, dicendo «tutte le vesti imperiali». Anche quelle
delle quali si suole coprire in guerra, in caccia, nei ban-
chetti, nei giochi? Ci può essere nulla di piú stolto che il
dire convenirsi al papa tutte le vesti dell’imperatore? Ma
come facetamente aggiunge: «seu etiam dignitatem im-
perialium praesidentium equitum». Usa il seu: volle cioè
distinguere queste due cose, come se abbiano molta so-
miglianza tra loro e dagli abiti dell’imperatore passa al-
l’equestre dignità dicendo cose che proprio non capisco.
Vuol dire qualche cosa di straordinario, ma teme di es-

Storia d’Italia Einaudi 52


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

sere colto in flagrante menzogna e allora dà fuori parole


senza senso a gonfie gote.
53. «Conferendogli anche gli scettri imperiali». Do-
ve è piú un’organica struttura del periodo? Dove la chia-
rezza? Dove l’ordine? Che sono codesti scettri imperia-
li? Uno è lo scettro, non molti. Ammesso che l’imperato-
re portasse lo scettro in mano, anche il pontefice lo por-
terà in mano? Perché non gli daremo spada, elmo, dar-
di? «E insieme tutte le insegne e bandiere». Che intendi
per signa? Signa sono o le statue – frequentemente leg-
giamo signa et tabulae invece di statue e pitture (gli anti-
chi non dipingevano sulle pareti ma su tavole), – o i ves-
silli, onde Lucano dice: «Signa, pares aquilas». Piccole
statue e sculture son dette sigilla (piccoli signa) dal pri-
mo significato di signum come statua. Costantino dava a
Silvestro le sue statue o le sue aquile? Che si può pensa-
re di piú assurdo? Non capisco poi che voglia dire con
banna. Dio ti dia il malanno, o pessimo uomo, che attri-
buisci a una età dottissima un linguaggio da barbari. «E
diversi ornamenti imperiali». Mi sembra che egli avesse
detto abbastanza dicendo banna e invece concluse con
una parola di senso generale. E con che insistenza par-
la di ornamenti imperiali come se esistessero ornamenti
propri dell’imperatore diversi da quelli del console o del
dittatore o del Cesare.
54. «Et omnem processionem imperialis culminis et
gloriam potestatis nostrae». «Lascia da parte le espres-
sioni sonore e i paroloni lunghi lunghi, parlando, come il
re dei re Dario e consanguineo degli dei, solo al plurale».
Che significa codesta «processio imperialis» non culmi-
nis, ma cucumeris il cui stelo si contorce tra le erbe e cre-
sce solo in ventre? Credi tu che l’imperatore ogni volta
che usciva di casa celebrasse un trionfo, come ora suo-
le il papa, facendosi precedere da cavalli bianchi, che dei
servi conducono a mano bardati e adorni? nulla vi è piú
vano di ciò, per tacere di altre incongruenze, e piú alie-

Storia d’Italia Einaudi 53


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

no dal papa. Di quale gloria tu parli? Un latino avrebbe


chiamato gloria, come è proprio della lingua ebraica, la
pompa e l’eleganza di quella messa in scena? Anche l’u-
so dell’astratto militia per il concreto milites l’abbiamo
mutuato dall’ebraico, i cui libri né Costantino né i suoi
scribi avevano mai visto.
55. Ma quanto grande è la tua larghezza, o imperato-
re, che non ti limiti ad ornare solo il papa, ma orni an-
che tutto il clero. Tu dici essere il sommo «singularis po-
tentiae et praecellentiae» l’esser fatti «patricii consules».
Chi ha mai sentito dire che i senatori o altri uomini siano
fatti patrizi? Sono eletti consoli, non patrizi, e vengono
scelti o da case nobili, che son dette perciò senatorie, o
dall’ordine equestre o dai plebei, e, in ogni caso, è sem-
pre piú importante l’essere senatore che patrizio. Sena-
tore è uno scelto consigliere dello Stato; patrizio chi trae
origine da una famiglia senatoria. L’essere senatore non
portava senz’altro a essere patrizio. Quanto son ridicoli
i miei contemporanei che chiamano senatore il loro pre-
tore, quando il senato non può limitarsi a un sol uomo
ed è necessario che il senatore abbia dei colleghi mentre
il cosiddetto attuale senatore esplica semplici funzioni di
pretore. Ma, potresti dire, si trova in molti libri ricorda-
ta la dignità del patriziato: sí, ma sempre in libri poste-
riori a Costantino. Dunque, il privilegio è confezione di
età posteriore a Costantino. E, poi, possono gli ecclesia-
stici diventare consoli? Il clero latino si è inibito il matri-
monio e ammetterebbe il consolato? Si recheranno nel-
le province avute in sorte, con soldati arruolati, con le le-
gioni e gli ausiliari? Saranno i ministri o i servi a carat-
terizzare i consoli o le insegne militari? e non saranno
due, come si soleva, ma venti per volta o mille? I sacer-
doti della Chiesa romana saranno anche essi imperatori.
Ed io stolto che mi meravigliavo che il papa fosse stato
fatto imperatore. I sacerdoti saranno imperatori, gli ec-
clesiastici minori saranno milites. Diventeranno proprio

Storia d’Italia Einaudi 54


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

militari o avranno soltanto gli onori militari? a meno che


tu non impartisca la dignità imperiale a tutti gli ecclesia-
stici. Non so, infatti, che cosa vuoi dire. Chi non com-
prende che questa favolosa donazione è stata escogitata
da chi voleva ogni licenza di vestimenti? Tutto ciò mi fa
pensare che se i diavoli che vagano nell’aria si diverto-
no a fare del teatro, si devono divertire moltissimo con il
mettere in ridicolo il modo di vivere fastoso e dissoluto
degli ecclesiastici.

Storia d’Italia Einaudi 55


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XVII

56. Ma che dovrò io fare: star dietro alla stupidità dei


pensieri o a quella delle parole? Avete sentito la stupidi-
tà dei pensieri; sentite ora quella delle parole: dice «se-
natum videri adornari» come se in realtà il senato non
avesse già prestigio; aggiunge «adornari gloria» e dà per
avvenuto ciò che invece è ancora in effettuazione quan-
do dice «promulgavimus» per dire «promulgamus». A
lui sembra che suoni piú dolce il periodo se enuncia la
stessa cosa ora col presente ora col perfetto: decernimus
e decrevimus. In tutta la Donazione si trovano a bizzef-
fe locuzioni come decernimus, decoramus, imperialis, im-
peratoria, potentia, gloria e si trova usato exstat invece di
est, quando exstare significa eccellere o superare; adope-
ra nempe invece di scilicet e concubitores invece di con-
tubernales. Concubitores sono quelli che dormono insie-
me e si congiungono: sarebbe come dire meretrici. Co-
stantino gli dà quindi anche con chi dormire, perché non
si spaventi – ritengo io – dei fantasmi notturni; aggiunge
camerieri, aggiunge portieri. Non è per perditempo che
tutte queste cose sono da lui minuziosamente elencate:
egli erudisce il pupo o l’adolescente, non un vecchio e gli
prepara (padre affettuosissimo) tutto quello di cui può
aver bisogno l’età sua ancora tenera, come Davide fece
con Salomone.
57. Perché la favola sia completa in tutte le parti, si
danno agli ecclesiastici dei cavalli, perché non seggano
sugli asini al modo asinario di Gesú e gli si danno non
coperti o sellati di finimenti bianchi, ma decorati di bian-
co. Ma di quali finimenti? non di tappeti, non di coper-
te persiane o altro simile, ma di mappula e linteamina.
Le mappae servono alle tavole da pranzo; i linteamina ai
letti; e come se fosse dubbio di qual colore esse siano,
aggiunge «cioè di candidissimo colore». Periodare vera-

Storia d’Italia Einaudi 56


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

mente di Costantino, facondia degna di Lattanzio, in tut-


to ma specialmente per quell’«equitent equos». E men-
tre tace delle vesti senatoriali, del laticlavio, della porpo-
ra, di altre cose, gli è parso importante parlare di scarpe;
né le ha chiamate lunulae ma udones, che spiega, da quel-
lo sciocco che è, «cioè di stoffa bianca», come se gli udo-
nes fossero stoffa. Non ricordo ora se si trovi la parola
udones altrove che presso Marziale, il cui distico intitola-
to Udones cilicei dice cosí: «non sono stati ricavati dalla
lana ma dalla barba di un caprone; la pianta (del piede)
potrà affondare nel golfo ove sbocca il Cinifio» (famoso
per le capre), perciò non sono di lino, né bianchi gli udo-
nes, dei quali codesto asino a due zampe non dice che
si calzano i piedi dei senatori, ma che ne sono illustrati.
E aggiunge: «sicut coelestia, ita terrena ad laudem Dei
decorentur». Che cosa chiami tu coelestia? quali terre-
ni? Come le cose celesti possono essere fregiate di ono-
ri? Puoi comprendere da te stesso che bel modo di ono-
rare Dio sia codesto. Io credo per quel po’ di fede che
ho, che a Dio e agli uomini nulla sia piú inviso della li-
bertà che gli ecclesiastici si prendono a danno dei laici.
Ma che mi metto a discutere punto per punto? Mi ver-
rebbe a mancare il tempo se volessi non dico discutere
ampiamente ma solo toccare tutti i punti di discussione
al riguardo.

Storia d’Italia Einaudi 57


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XVIII

58. «A preferenza di tutti gli altri attribuiamo il pieno ar-


bitrio a san Silvestro e ai suoi successori, con nostro edit-
to, che chiunque egli voglia far chierico placatus proprio
consilio e numerarlo nel religioso novero degli ecclesiasti-
ci religiosi, nessuno abbia l’ardire di opporsi a lui». Chi
è codesto Melchisedech che benedice il patriarca Abra-
ham? Costantino da poco cristiano dà il potere di consa-
crare sacerdoti a colui, dal quale è stato battezzato e che
chiama santo, come se Silvestro non avesse fatto prima
ciò o non l’avesse potuto fare? E con quale minaccia vie-
tò di ostacolarlo nell’esercizio di tale diritto? «Nullus ex
omnibus praesumat superbe agere». Con quale elegan-
za? «Connumerare in numero religioso religiosorum»,
«clericare clericorum»; indictu e placatus? Ma, ritorna
al diadema.
59. «Abbiamo decretato anche questo, che egli e i suoi
successori debbano godere del diadema, cioè della coro-
na che ci siamo tolta dal capo per darla a lui, fatta di oro
purissimo e di gemme preziose, in onore di san Pietro».
Di nuovo interpreta la parola diadema – parlava con bar-
bari e facili a dimenticare – e aggiunge: «di oro purissi-
mo», perché nessuno potesse credere che fossero miste
all’oro scorie o anche bronzo. E quando parla delle gem-
me aggiunge «preziose» per lo stesso timore che non si
sospetti che abbia regalato cose di poco valore. Perché
non ha detto le gemme preziosissime come dell’oro ha
detto purissimo? C’è piú differenza infatti tra gemma e
gemma che tra oro e oro. E quando avrebbe dovuto di-
re: «incastonato di gemme» disse «fatto di gemme». Chi
non vede che la frase è presa da quel luogo biblico che
il sovrano pagano non aveva potuto leggere: «Hai posto
sul suo capo una corona di pietre preziose»? Cosí avreb-
be parlato l’imperatore nella vanità di lodare una sua co-

Storia d’Italia Einaudi 58


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

rona, se pure gli imperatori venivano coronati? Avreb-


be offeso se stesso quando temeva che gli uomini potes-
sero credere, se non l’avesse esplicitamente detto, portar
lui una corona non di oro purissimo con gemme. Per-
ché parla sempre di onorare san Pietro, come se Cristo
non sia la piú alta pietra angolare, sulla quale fu costrui-
to il tempio della Chiesa, ma san Pietro (e ciò ripete do-
po)? Se voleva riverire tanto san Pietro, perché non de-
dicò a lui invece che a san Giovanni Battista una basili-
ca in Roma? Ma che dico? quel modo barbaro di espri-
mersi non attesta che codesta cantilena non è stata fat-
ta nell’età di Costantino, ma in quella consecutiva? «De-
crevimus quod uti debeant» invece di dire: «decernimus
ut utantur». Cosí ora gli ignoranti del latino dicono co-
munemente e scrivono «iussi quod deberes venire» in-
vece di «iussi ut venires». E «decrevimus» et «concessi-
mus» come se le cose di cui si tratta non avvengano al-
lora quando se ne parla, ma siano state fatte in un altro
tempo.
60. «Lo stesso santo papa non ha voluto porre la coro-
na imperiale sull’altra corona della chierica, che porta a
onore del santissimo Pietro». O tua eccezionale stoltez-
za, Costantino? Or ora dicevi che la corona sul capo del
papa era a onore di san Pietro, ora dici che non è piú ad
onore, perché Silvestro la rifiuta; mentre approvi il gesto
del rifiuto, tuttavia gli ordini di porre la corona d’oro sul
capo e vuoi che i suoi successori facciano ciò che ora ri-
tieni bene che lui stesso non faccia. Lascio andare che tu
abbia chiamato corona la chierica e pontefice romano il
papa, che non ancora si cominciava a chiamare con tale
nome peculiare.
61. «Abbiamo messo con le nostre proprie mani sul
sacro suo capo il frigio splendido di biancore, simbolo
della risurrezione del Signore e tenendo il freno del ca-
vallo in riverenza di san Pietro abbiamo fatto per lui la
funzione di cavallaro, stabilendo che dello stesso frigio

Storia d’Italia Einaudi 59


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

debbono ornarsi uno per uno tutti i suoi successori, co-


sí come si susseguiranno, ad imitazione del nostro impe-
ro». Non sembra qui che l’autore della favola non per
sola faccia tosta ma per deliberato proposito vada fuo-
ri strada e offra le anse per farsi riprendere? Nello stes-
so passo dice che dal frigio è simboleggiata la risurrezio-
ne del Signore e che è un’imitazione dell’impero, cose
in forte contraddizione fra loro. Chiamo Dio a testimo-
ne che non trovo con quali mezzi, con quali atroci paro-
le possa io seppellire codesto buono a nulla del diavolo!
Tante sono le sciocchezze che erutta fuori! Immagina
Costantino non solo simile a Mosè, che ornò per coman-
do di Dio il sommo sacerdote, ma gli fa esporre il signi-
ficato recondito dei sacri misteri, cosa difficilissima an-
che per consumati teologi. Perché non hai fatto Costan-
tino pontefice massimo, dato che molti imperatori furo-
no pontefici massimi affinché con piú comodità le distin-
zioni di un sommo pontefice si trasferissero ad un altro?
Ma tu non conoscevi la storia romana. Ringrazio Iddio
anche per non aver fatto concepire il nefandissimo pen-
siero della falsificazione se non a uno sciocco cosí enor-
me come si vede anche da ciò che segue. Ripete infatti il
racconto di Mosè che fa da stalliere ad Aaron seduto sul
cavallo: ciò che avvenne non nella terra di Israele, ma at-
traverso i cananei e gli egiziani, cioè in un paese pagano
che non aveva l’impero (come Roma) su tutto il mondo,
ma era sotto demoni e popoli idolatri.

Storia d’Italia Einaudi 60


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XIX.

62. «Affinché la sommità del pontificato non sia avvili-


ta ma sia onorata piú che la dignità, gloria e potenza del-
l’impero terreno, ecco che trasferiamo e lasciamo in pos-
sesso al beatissimo pontefice e universale papa Silvestro
tanto il Palazzo nostro che la città di Roma e tutte le pro-
vince, luoghi, città d’Italia e dell’Occidente e con pram-
matica costituzione stabiliamo che egli e i suoi successori
possano disporne e che restino soggetti all’autorità della
Santa Sede».
Su questo punto centrale ho parlato esaurientemente
nei discorsi dei romani e di Silvestro. Qui dirò soltanto
che nessuno avrebbe raccolto in una sola frase tutti i po-
poli del mondo e farò notare come lo stesso scrittore che
poco prima ha minuziosamente parlato di redini, calza-
ture, gualdrappe di cavalli, non dica ora uno per uno i
nomi delle diverse province, ognuna delle quali ha i suoi
re o principi pari a re. Ma è evidente che codesto falsario
ignorava quali province fossero sotto Costantino e qua-
li no. Tutti i popoli certo non erano sotto di lui. Sappia-
mo che alla morte di Alessandro le province spartite tra i
diadochi vennero enumerate una per una; Senofonte no-
mina partitamente le terre e i principi che furono sotto
Ciro o per spontanea dedizione o perché soggiogati dal-
le armi; Omero ricorda nel Catalogo nomi, famiglie, pa-
tria, costumi, forze, bellezza e il numero delle navi e qua-
si il numero dei soldati: ne imitarono l’esempio non solo
molti greci, ma anche i nostri latini come Ennio, Virgi-
lio, Lucano, Stazio e parecchi altri; Giosuè e Mosè nella
divisione della Terra promessa descrissero perfino ogni
villaggio. E tu ti stanchi ad elencare anche le sole provin-
ce? Dici solo le province occidentali. Quali sono i confini
dell’Occidente? dove cominciano? dove cessano? Forse
Occidente e Oriente, Settentrione e Mezzogiorno, han-

Storia d’Italia Einaudi 61


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

no limiti cosí precisi e immutabili come l’Asia, l’Africa,


l’Europa? Risparmi le parole quando sono necessarie e
abbondi poi di superfluità: Dici: provincias, loca, civita-
tes. Forse le province e le città non sono anch’esse lo-
ca? e dicendo provincias senti il bisogno di aggiungere ci-
vitates, come se queste non si comprendano sotto quel-
le. Non è da stupire che colui il quale aliena da sé tan-
ta parte del mondo, trascuri di ricordare i nomi di cit-
tà e province e ignori, come oppresso da letargo, ciò che
dice. «Italie sive occidentalium regionum». Usa il sive
come se l’Italia escluda l’Occidente mentre egli vuol do-
nare l’una e le altre; gli fai dire «provincias regionum»,
mentre sono piuttosto «regiones provinciarum» e usi la
forma permanendam invece di permansuram.
63. «Perciò abbiamo giudicato opportuno trasferire il
nostro impero e la regia podestà nelle regioni orientali e
di costruire in un ottimo luogo della provincia di Bisan-
zio una città col nome nostro e di stabilirvi il nostro im-
pero». Lascio andare che abbia detto di voler costruire
una civitas quando si edificano urbes e non civitates e la-
scio andare la provincia di Bisanzio. Se tu sei veramente
Costantino, spiega perché hai preferito quel posto ad al-
tri nel costruire la città. Che tu ti trasferisca altrove dopo
aver ceduto Roma non è tanto opportuno (come tu di-
ci) ma necessario; ma non osare piú chiamarti imperato-
re ora che hai perduto Roma; e hai pessimamente meri-
tato del nome romano di cui fai scempio; non chiamarti
neppure re perché nessuno ha fatto mai ciò prima di te a
meno che tu non ti chiami re una volta che hai cessato di
essere romano.
64. Ecco che tu ci esponi la causa molto onorevole
della traslazione: «dove dall’imperatore celeste è stato
collocato il principe dei sacerdoti e il capo della religio-
ne cristiana, ivi non è giusto che abbia il potere l’impe-
ratore terreno». O stolti che foste voi Davide, Salomo-
ne, Ezechia, Iosia, e tutti gli altri re! Stolti e poco reli-

Storia d’Italia Einaudi 62


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

giosi voi che sopportaste di convivere in Gerusalemme


con i sommi sacerdoti e non abbandonaste ad essi la cit-
tà tutta! Costantino in tre giorni è diventato piú saggio
che essi non abbiano saputo diventare in tutta la loro vi-
ta. Tu parli ambiguamente: sembra che chiami Costan-
tino imperatore celeste, perché ebbe (da Dio) l’impero
terrestre, ma sorge il dubbio che tu abbia voluto riferirti
a Dio stesso, dal Quale affermeresti con evidente bugia
che derivi il dominio temporale dei papi su Roma e altre
città.

Storia d’Italia Einaudi 63


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XX.

65. «Ordiniamo che tutte queste cose fermamente stabi-


lite con questa imperiale sacra scrittura e con altri divalia
decreta restino intatte e immutabili sino alla consumazio-
ne del mondo». Or ora, Costantino, ti eri detto terreno
ed ora invece ti chiami sacro e divino, ricadi nel pagane-
simo e peggio che nel paganesimo. Ti fai Dio e fai le tue
parole sacre e i tuoi decreti immortali: comandi al mon-
do che conservi intatti e immutabili i tuoi editti. Non
pensi che tu sia ancora mal lavato come sei delle sozzure
dell’empietà pagana. Perché non aggiungesti: passeran-
no il cielo e la terra prima che passi un iota o un apice
di questo privilegio? Il regno di Saul eletto di Dio non
giunse ai figli, il regno di David fu smembrato sotto il ni-
pote e poi finí del tutto. E tu invece ordini tranquilla-
mente con la tua autorità che resti sino alla fine del mon-
do questo regno che trasferisci senza neanche sapere la
volontà di Dio al riguardo. E chi poi ti ha detto, in co-
sí poco tempo dalla conversione, che il mondo dovrà pe-
rire? Non credo infatti che in codest’epoca tu prestassi
fede ai poeti che attestano ciò (insieme ai Vangeli). Per-
ciò debbo ritenere che non tu abbia detto queste cose,
ma che altri le abbiano attribuite a te. Ma chi ha finora
parlato con tanta magnificenza e superbia comincia a te-
mere, a dubitare di se stesso e perciò ricorre a scongiuri:
«Perciò davanti al Dio vivo, che ci fa regnare, e davan-
ti al suo terribile giudizio scongiuriamo tutti i nostri suc-
cessori, gl’imperatori e tutti gli ottimati, satrapi ed anche
il potentissimo senato e tutto il popolo in tutto il mon-
do che né ora né in avvenire sia lecito a nessuno di essi o
distruggere o abbattere questo privilegio».
Che scongiuro equo e pio! Come se il lupo scongiu-
rasse per la sua innocenza e buona fede gli altri lupi e i
pastori di non tentare o strappargli o richiedergli le pe-

Storia d’Italia Einaudi 64


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core che lui ha rubate e che ha divise tra i figli e gli amici.
Che cosa temi tanto, Costantino? Se questa tua azione
non viene da Dio, si dissolverà; se invece viene da Dio,
non potrà dissolversi. Ma capisco bene che hai voluto
imitare l’Apocalisse dove dice: «Protesto a chi ascolte-
rà le parole profetiche di questo libro che se qualcuno vi
aggiungerà sillaba, Dio aggiungerà su di lui le piaghe de-
scritte in questo libro; se qualcuno toglierà qualche co-
sa alle parole di questo libro profetico, Dio gli toglierà
la sua parte dell’albero della vita e della città santa». Ma
tu non avevi letto mai l’Apocalisse; perciò queste parole
non sono tue.
66. «Se qualcuno, come non crediamo, oserà tuttavia
temerariamente far ciò, soggiaccia condannato a eterne
condanne e provi contrari a sé nella presente e nella fu-
tura vita i santi apostoli di Dio, Pietro e Paolo. E che fi-
nisca bruciato con il diavolo e con tutti gli empi nell’in-
ferno piú profondo». Queste parole di terrore e questa
minaccia non sono di un principe secolare, ma di anti-
chi sacerdoti e flamini ed ora degli ecclesiastici. Perciò
non è di Costantino questa prosa, ma di qualche stoli-
duzzo di ecclesiastico che non sapeva che si dicesse o in
che modo, di qualche canonico bene ingrassato di cor-
po e di mente e che eruttava questi pensieri e queste pa-
role nella crapula e nel calore del vino. Son parole che
non colpiscono gli altri, ma ricadono solo sul loro auto-
re. Prima dice: «soggiaccia a eterne condanne», di poi
come se si possa dire di piú, vuole aggiungere altro e al-
le pene eterne aggiunge quelle della vita presente. Co-
sí dopo averci atterrito con la condanna di Dio, ci vuo-
le atterrire, come se possa essere maggiore, con la minac-
cia dell’odio di Pietro, al quale non so perché aggiunga
Paolo. Di nuovo, preso dal solito letargo, ritorna alle pe-
ne eterne, come se prima non ne avesse parlato. Se que-
ste minacce e scongiuri fossero di Costantino, a mia vol-
ta lo odierei come tiranno e distruttore della mia repub-

Storia d’Italia Einaudi 65


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

blica e lo minaccerei, da quel romano che sono, di farmi


vendicatore della romanità. Ma chi temerà mai le parole
minacciose e le maledizioni di un uomo avidissimo che
a somiglianza degli istrioni simula la voce e le parole di
Costantino e vuole atterrire gli altri fingendosi l’impera-
tore? Questo significa essere ipocriti, se cerchiamo l’esat-
to significato della parola greca: il nascondere la propria
persona sotto le specie di un’altra.

Storia d’Italia Einaudi 66


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXI.

67. «Convalidando con firma di propria nostra mano


il foglio che contiene questo nostro decreto, l’abbiamo
depositato sul venerando corpo di San Pietro». Era
cartaceo o membranaceo il foglio che conteneva il testo
della donazione? Egli dice pagina, ma noi chiamiamo
pagina una delle due facce, come dicono, del foglio:
ad esempio un quinterno di libro ha dieci fogli e venti
pagine. O cosa mai udita e incredibile! Mi ricordo
che quando ero giovanetto, interrogai una volta un tale
su chi avesse scritto mai il libro di Giobbe; quello mi
rispose: Giobbe stesso; ma io gli feci osservare che
non avrebbe potuto parlare della sua morte. Ciò si
potrebbe dire di molti altri libri, ma non è ora il caso
di parlarne. Come infatti può Costantino parlare di
ciò che non ancora ha disposto e come può parlare in
codesta pagina di ciò che egli stesso dice di essere stato
fatto dopo la sepoltura, per cosí dire della carta stessa?
Sarebbe come dire che la pagina della donazione morí
e fu sepolta prima di nascere, senza che mai sia stata
risuscitata dalla morte e dalla sepoltura; prima che fosse
messa per iscritto l’imperatore l’avrebbe convalidata non
con una sola ma con tutte e due le mani. E che significa
poi codesto roborare? come è avvenuta la convalida? di
mano dell’imperatore o con il suo sigillo? Gran validità,
a dire il vero, dava alla carta e molto maggiore che se
ne avesse affidato il testo a tavole di bronzo. Ma non
c’è bisogno di una scrittura sul bronzo quando la carta
venga riposta sul corpo di san Pietro. Perché qui taci di
Paolo, che è sepolto insieme a san Pietro? Avrebbero
potuto custodire meglio in due che uno solo.
68. Ormai voi vedete chiaramente le arti maliziose del
pessimo Sinone. Poiché da lui non può essere portato al-
la luce il testo della Donazione, dice che esso non è su ta-

Storia d’Italia Einaudi 67


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vole di bronzo, ma su carta e che è nascosto con il cor-


po del santissimo apostolo, perché o non osiamo andare
a frugare in una tomba cosí venerabile, o, se andassimo a
frugare e non lo trovassimo, possa dire che è stato man-
giato dai tarli. Ma dove era allora il corpo di san Pietro?
Certo non ancora era nel tempio, dove è ora, non in un
luogo cosí ben difeso e sicuro. Dunque non colà avreb-
be l’imperatore posto la sua carta. O non avrebbe affi-
dato la carta al santissimo Silvestro forse perché non gli
sembrava abbastanza santo, prudente, diligente? O Pie-
tro, o Silvestro, o pontefici della santa romana Chiesa,
ai quali sono affidate le pecore del Signore, perché non
custodiste la pagina a voi affidata? Perché l’avete fatta
rosicchiare dalle tarme, l’avete fatta rovinare dall’umidi-
tà? Non c’è altra spiegazione che quella della vostra stes-
sa dissoluzione. Perciò agí stoltamente Costantino. Una
volta ridotta in polvere la pagina, se ne è andato in pol-
vere ogni diritto fissato dal privilegio.
69. Eppure, come vediamo, si mostra una copia della
carta. Chi la trasse, temerario, dal grembo del santissimo
apostolo? Nessuno, io credo, fece ciò. Donde è venu-
ta la copia? Si dovrebbe dimostrare (per stabilirne l’au-
tenticità) che la conosca qualcuno degli antichi scritto-
ri non posteriore ai tempi di Costantino. Invece non si
cita nessuno degli antichi; ma forse si cita qualcuno re-
cente. Da chi l’ebbe costui? Chi scrive istoria del passa-
to, o scrive sotto dettatura dello Spirito Santo o segue te-
stimonianze di antichi scrittori e specialmente di coloro
che scrissero di cose loro coeve. Chiunque non segue gli
antichi, sarà sempre uno di quelli che traggono alimento
alla audacia delle loro falsificazioni dall’antichità. Se in
qualche punto si leggono cose simili, esse non concorda-
no con la verità sulle cose antiche piú di quanto lo stolto
racconto del glossatore Accursio sugli ambasciatori ro-
mani mandati in Grecia a prendere le leggi non concordi
con i racconti di Tito Livio e altri eccellenti scrittori.

Storia d’Italia Einaudi 68


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XXII.

70. «Dato a Roma 30 marzo nel quarto consolato di Co-


stantino e nel quarto di Gallicano». Ha messo la data del
penultimo giorno di marzo, perché sapessimo che tutto
ciò era stato fatto sotto le feste pasquali, che in genera-
le cadono in quei giorni. «Et Costantino quartum consu-
le et Gallicano quartum consule».Un po’ strano che tut-
ti e due siano stati per tre volte consoli e nel quarto con-
solato siano colleghi. Ma è piú straordinario che l’Augu-
sto malato di lebbra e elefantiasi, malattia che è rispetto
alle altre cosí straordinaria come l’elefante tra le bestie,
volesse prendere anche il consolato, quando il re Azaria,
appena fu colpito dalla lebbra, si ritirò in casa, nominan-
do luogotenente il figlio, Iotham, come del resto fanno
quasi tutti i lebbrosi. Da questa sola prova tutto il privi-
legio è confutato, battuto, distrutto. Si potrebbe oppor-
re che Costantino fu prima lebbroso e poi console: ma,
secondo i medici, questa malattia si sviluppa lentamente
e inoltre secondo la testimonianza degli antichi il conso-
lato comincia il primo gennaio e dura un anno. Ora que-
ste cose si dicono fatte nel marzo immediatamente dopo.
Né tacerò anche che si suole scrivere la data nelle lette-
re, non negli altri documenti, a meno che non scrivano
gli ignoranti. Data viene dal fatto che si dice che le lette-
re sono date a questo (illi), o a quello (ad illum) al por-
talettere (illi) ad esempio, perché le recapiti e le dia in
mano al destinatario; (ad illum), cioè al destinatario per-
ché gli siano consegnate da chi è incaricato di portarle.
Ma del privilegio, come lo chiamano, di Costantino, che
non doveva essere consegnato ad alcuno non si poteva
dire dato: dal che appare che chi si esprimeva cosí men-
tiva e non sapeva immaginare ciò che Costantino verisi-
milmente avrebbe eventualmente potuto dire o fare.

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71. Della sua stoltezza e pazzia si fanno complici quel-


li che credono che costui abbia detto il vero e lo difen-
dono, sebbene non abbiano il minimo addentellato per
poter non dico difendere ma neppure scusare decente-
mente la loro opinione. O è forse una decente scusa del-
l’errore, quando vedi che è stata svelata la verità oppo-
sta, il non voler assentire ad essa, solo perché alcuni altri
grandi uomini abbiano pensato diversamente? Grandi,
intendiamoci, per le loro condizioni negli alti gradi, non
per sapienza o virtú. Chi ti induce a credere che colo-
ro, che tu ora segui, se avessero udito ciò che io ti sto di-
cendo, sarebbero rimasti della stessa opinione di prima o
non se ne sarebbero piuttosto allontanati? Tuttavia è as-
sai indegno di un uomo voler onorare piú un altro uomo
che la Verità, cioè Dio.
Alcuni, privi di ogni altro argomento, certamente mi
rispondono: perché tanti sommi pontefici credettero
vera questa donazione? Chiamo voi stessi a testimoni
che mi invitate dove non voglio arrivare, a dire male
contro il mio volere dei sommi pontefici, dei quali io
vorrei anzi celare le malefatte. Ma continuiamo a parlare
liberamente giacché la causa che ho preso a difendere
non mi permette di fare diversamente.

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXIII.

72. Voglio ammettere che essi credettero alla Donazio-


ne e non per frode: non c’è da stupirsene se credettero
in una cosa che li allettava con grossi guadagni, tanto piú
che essi sogliono credere solo per straordinaria ignoran-
za molte cose che non recano loro utilità. Nella chiesa
cosí eccellente di Araceli in un luogo tanto augusto non
vediamo una pittura che rappresenta la Sibilla (profetes-
sa di Gesú) e Ottaviano (che le innalza un altare) inter-
pretazione che si dà sull’autorità di Innocenzo III che ha
scritto sull’argomento? Lo stesso Innocenzo lasciò scrit-
to che al nascere di Gesú, cioè durante il parto della Ver-
gine, ruinò il Tempio della Pace! Cose da far perdere la
fede una volta dimostrata la falsità piú di quanto non po-
trebbero giovare a fondarla se fossero veri miracoli. Il vi-
cario della Verità osa mentire per una finzione di pietà e
legare se stesso con tale delitto coscientemente? O non
mente? Non si accorge che quando fa ciò egli è in con-
trasto con i piú santi uomini? A tacere degli altri, Gero-
lamo si serve della testimonianza di un’opera di Varrone
scritta prima di Augusto per dire che le Sibille erano die-
ci. Lo stesso Girolamo scrive cosí del Tempio della Pa-
ce: «Vespasiano e Tito, costruito in Roma il Tempio del-
la Pace, conservarono nel suo santuario i vasi del Tem-
pio (di Gerusalemme) e tutti gli ex voto, come narrano
storici greci e romani». E questo ignorante vorrebbe che
si credesse piú al suo libello scritto per giunta da bar-
baro che alle storie degnissime di fede scritte da antichi
uomini assai dotti.
73. Giacché mi è capitato di parlare di Gerolamo, par-
lerò di un altro affronto che gli viene fatto: a Roma si mo-
stra come reliquia di santi (vi sono difatti accese intorno
sempre sacre lampade) una Bibbia che dicono scritta di
mano di Gerolamo: e il papa avalla questa credenza con

Storia d’Italia Einaudi 71


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

la sua autorità. Quale è la prova? l’essere, come direb-


be Virgilio, la sua sopravveste ricamata in oro. Proprio
ciò dovrebbe farci pensare che non può essere opera au-
tografa di Gerolamo. L’ho osservata attentamente e mi
sono accorto che è scrittura di un ignorante che ricopia-
va per ordine di un re, forse Roberto (di Napoli). Sono
decine di migliaia le falsificazioni siffatte che si possono
vedere a Roma: ma è simile alla precedente l’immagine
santa di san Pietro o Paolo che Silvestro avrebbe mostra-
to a Costantino ammonito a farsi cristiano nel sogno da-
gli stessi apostoli; da questo dipinto mostrato dal papa
sarebbe stata confermata la visione di Costantino. Non
dico questo perché io non ritenga che quelle siano im-
magini vere degli apostoli: magari fosse cosí vera la lette-
ra del pseudo Lentulo sull’effigie di Gesú, falso non me-
no da furfanti di quanto non lo sia il privilegio che abbia-
mo confutato. Ma dico che quel dipinto non fu mostra-
to a Costantino da Silvestro. Non riesco piú a trattenere
il mio stupore per codesta favola di Silvestro sulla quale
spenderemo due parole.
74. Il nodo della questione è proprio qui, in questa
favola e, poiché io sto parlando con i pontefici romani,
sarà bene parlare a fondo di uno di essi, cosí da uno si
conosceranno meglio gli altri. Tra le molte sciocchezze
che si narrano in questa leggenda, toccherò solo quella
del dragone, per mostrare che Costantino non è stato
mai lebbroso. I Gesta Silvestri sono opera, come dice
il traduttore, di un greco, certo Eusebio: si sa come i
greci siano sempre pronti a mentire, come satireggiava
Giovenale: a tutto ciò che la Grecia mendace si permette
di raccontare nelle sue storie. Donde era venuto quel
dragone? A Roma non nascono i dragoni. Come mai
era velenoso? Solo in Africa – dicono – si trovano
dragoni che danno la morte per veleno, che viene loro
dai calori di quella terra. Da chi gli veniva poi tanto
veleno da impestare una città cosí grande, specie quando

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Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

se ne stava come inghiottito in cosí profonda spelonca


che per giungervi bisognava scendere centocinquanta
gradini? I serpenti, fatta eccezione, forse, del basilisco,
non uccidono col soffio ma col morso. Catone, quando
fuggiva Cesare con le sue numerose schiere attraverso
l’Africa deserta, non vide morto per soffio di serpenti,
né durante il cammino né durante il sonno, alcuno dei
suoi compagni. Né i popoli dell’Africa s’accorgono che
i serpenti rendano la loro aria pestilente. Se dobbiamo
credere alla mitologia, perfino Chimera, Idra, e Cerbero
erano visti e toccati senza danno. Ma perché i romani
non l’uccidevano una buona volta codesto drago? Non
potevano, rispondi. Eppure Regolo uccise in Africa
presso la riva del Bagrada un serpente anche piú grande.
Sarebbe stato facile ucciderlo ostruendo l’ingresso alla
spelonca. Non volevano? Si vede che lo onoravano
come Dio, come fecero del resto i babilonesi. Perché
Silvestro non lo uccise lui, come Daniele uccise quello
babilonese? Avrebbe potuto legarlo con una corda di
canapa e distruggere quella spelonca per sempre. Ma il
falsificatore non volle che il drago fosse ucciso perché
non sembrasse che riferiva tale e quale il racconto di
Daniele.
75. Se Gerolamo, dottissimo e fedelissimo tradutto-
re, Apollinare e Origene e alcuni altri affermano falsifi-
cazione il racconto di Bel; se i giudei non lo accettano
nel Canone del Vecchio Testamento; se i piú dotti latini,
i piú dei greci e gli ebrei, presi singolarmente, condan-
nano quel racconto come fittizio, io non dovrei rigettare
quest’altro racconto modellato su quello di Bel, tanto piú
che non si appoggia all’autorità di alcuno scrittore serio
e che per imbecillità supera molto il modello? Chi ave-
va mai costruito la casa sotto terra alla belva? Chi l’aveva
collocata colà e le aveva comandato che non ne uscisse o
ne volasse via? Dicono alcuni ed altri però negano che i
draghi volino. Chi aveva pensato di dargli quegli strani

Storia d’Italia Einaudi 73


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

pasti? Chi aveva ordinato che delle vergini e per giunta


consacrate al Signore scendessero a lui per cibo e solo il
primo giorno di ogni mese? Sapeva il drago quando co-
minciava ciascun mese? se ne stava contento di cosí par-
co e raro cibo? E le vergini non avevano orrore di una
caverna cosí profonda e di una belva cosí affamata e gi-
gantesca? Forse il drago faceva loro complimenti come
a donne, a vergini, a persone che gli portavano da man-
giare? E forse facevano anche quattro chiacchiere? Per-
ché – scusate – non le avrebbe anche coperte? Si dice,
del resto, che Alessandro e Scipione siano nati dal coi-
to delle loro madri con draghi o serpenti. Che dire poi
del fatto che a un bel punto non gli si vuol dare piú da
mangiare? Non sarebbe uscito fuori della caverna o non
sarebbe morto di fame? Straordinaria stoltezza di gente,
che prestano fede a questi deliri, a queste fantasie di don-
nette isteriche. Per quanto tempo sarebbe durato tutto
ciò? Quando sarebbe cominciato? Prima della nascita
del Salvatore? o dopo? non si sa nulla di tutto ciò. Ver-
gognamoci una buona volta di codeste fiabe da bimbi e
di una leggerezza maggiore di quella di artisti da farse.
Un cristiano, che si dice il figlio della Verità e della Lu-
ce, arrossisca nel dire cose che non solo non sono vere,
ma neppure sono verisimili.

Storia d’Italia Einaudi 74


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXIV.

76. Potrebbero dire: i diavoli avevano sui gentili il pote-


re di ingannarli con tali mostri che essi veneravano come
dei. Tacete, ignoranti; per non dire scellerati, che sten-
dete sempre sulle vostre fiabe questo velo. Il Cristianesi-
mo è troppo onesto, schietto per aver bisogno della dife-
sa di falsificazioni. Con la sua propria luce e verità si di-
fende per sé quanto basta e anche di piú senza codeste
fiabe da impostori che offendono Dio, Gesú e lo Spirito
Santo. Dio avrebbe cosí abbandonato gli uomini all’ar-
bitrio dei diavoli da farli sedurre con miracoli cosí mani-
festi e cosí persuasivi? quasi quasi Lo si potrebbe accu-
sare d’ingiustizia perché avrebbe affidato le pecore ai lu-
pi, e, d’altra parte, gli uomini avrebbero una grande scu-
sa ai loro errori. Se tanto era lecito allora ai demoni, do-
vrebbe essere ancora lecito oggi ad essi presso gl’infede-
li: ma di ciò non ci accorgiamo. Nessuno di essi narra
storielle simili. Non parlerò di altri popoli, ma dei roma-
ni dei quali si tramandano pochi miracoli che per giunta
sono antichissimi e incerti.
Valerio Massimo parla di quell’apertura della terra in
mezzo al foro, dove si buttò spronando il cavallo Curzio
con i suoi ornamenti; si rinchiuse di nuovo l’apertura
e subito ritornò nell’antico aspetto. Racconta anche
che Giunone Moneta, interrogata per scherzo da un
soldato romano dopo la conquista di Veio se volesse
andarsene a Roma, rispose che lo voleva. Nessuna delle
due cose conosce Tito Livio, autore piú antico e piú
serio. Egli infatti dice che la voragine rimase e che
non fu improvvisa ma era di vecchia data anteriore alla
fondazione di Roma; era chiamato lago Curzio, perché
il sabino Curzio Mezio, fuggendo l’urto dei romani, era
scomparso in esso lago.

Storia d’Italia Einaudi 75


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

Dice inoltre che Giunone facesse un segno di assen-


so non che parlasse e che fu solo una aggiunta posteriore
favolosa quella che Giunone avesse parlato. È evidente
che anche il cenno di assenso fu una menzogna, perché
interpretarono che un movimento della statua, che stava-
no togliendo dal suo posto, fosse avvenuto di sua inizia-
tiva; forse anche è possibile che come per ischerzo inter-
rogarono la dea di pietra, vinta e ostile, cosí per ischerzo
finsero che rispondesse affermativamente. Livio però di-
ce non che essa annuisse ma che i soldati gridarono che
essa avesse approvato.
77. Scrittori onesti non cercano difendere la verità di
codesti fatti, ma ne scusano la falsità come tradizione.
Come lo stesso Livio dice, si deve perdonare agli anti-
chi se cercano rendere piú venerabili le origini delle città
col mescolare insieme elementi umani e divini; e altrove
dice: «nei racconti cosí antichi, se vi è qualche verisimi-
glianza, si tennero per veri». Ma basta; non val la pena di
affermare o confutare queste sciocchezze che con le lo-
ro meraviglie servono meglio a soddisfare chi si compia-
ce di teatralità che ad accrescere la fede; Terenzio Varro-
ne piú antico, piú dotto e, come credo, piú serio autore
di Valerio Massimo e di Livio, ci fa sapere che ci sono tre
diverse tradizioni sul lago Curzio trasmesse da tre auto-
ri: quella di Proculo, che dice essere stato il lago chiama-
to Curzio dal Curzio che vi si gettò; quella di Pisone che
parla del Mezio sabino, la terza di Cornelio, cui Varrone
aggiunge anche Lutazio, che affermerebbe essere il no-
me venuto dal console Curzio, del quale fu collega Mar-
co Genucio.
78. Non saprei però rimproverare Valerio se ha nar-
rato codeste cose, quando egli, però, aggiunge poco do-
po un pensiero serio e severo: «Non mi sfugge come le
opinioni siano opposte quando si parla di moti e voci di
divinità viste o ascoltate dai nostri sensi. Quando non si
dicono cose nuove, ma si ripetono quelle trasmesse dal-

Storia d’Italia Einaudi 76


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

la tradizione, gli autori possono ben rivendicare la loro


buona fede». L’accenno a parole degli dei si riferisce, a
quello che sappiamo di Giunone Moneta, sia essa la sta-
tua della Fortuna, che si immagina abbia parlato due vol-
te dicendo: «O matrone, mi avete visitato come voleva il
rito e come voleva il rito avete fatto la cerimonia della
consacrazione».
79. Ma i nostri novellieri ad ogni momento ti mettono
in mezzo idoli che parlano, ciò che veramente non fanno
gli stessi pagani e idolatri; anzi negano queste storie con
piú sincerità che non i cristiani. Presso i pagani si hanno
pochissimi miracoli non sulla fede degli scrittori, ma
avendo in loro appoggio direi quasi la raccomandazione
di una sacra e veneranda antichità. I cristiani invece
narrano fatti che gli autori coevi non conoscevano perché
sono fattura recente.
Non credo diminuire il culto che si deve ai santi e non
mi sembra di rinnegare le loro divine opere perché io so
che un tantinello di fede, piccolo come un chicco di se-
nape, può muovere i monti; anzi io difendo e tutelo i mi-
racoli quando impedisco che se ne faccia tutt’uno con le
favole. Penso che gli autori di codeste leggende non deb-
bano essere altri che infedeli, che scrissero perché ne ve-
nisse irrisione ai cristiani quando le loro leggende passa-
te di mano in mano, per propaganda dolosa, giungendo
agli ignoranti fossero ritenute per vere; oppure bisogna
credere che dei fedeli lo abbiano fatto per eccesso di ze-
lo e deficienza di critica, tanto piú che sappiamo che non
si sono arrestati non dico a falsificare le vite dei santi, ma
hanno anche osato scrivere alcuni pseudo evangeli della
Madonna e di Cristo. I papi chiamano tali libri apocrifi,
come se non avessero altro difetto che l’ignorarsene gli
autori e come se fossero credibili le loro narrazioni, co-
me se fossero sante e utili ad accrescere la fede: non è mi-
nore la colpa nel papa che approva il male delle falsifica-
zioni che in coloro che le escogitarono. Noi distinguia-

Storia d’Italia Einaudi 77


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

mo le monete cattive dalle buone, le mettiamo da parte,


le buttiamo via e non faremo lo stesso con le dottrine cat-
tive? non le separeremo ma le conserveremo? le confon-
deremo con le buone e le difenderemo per buone?
80. Io, per dire francamente la mia opinione, nego
che siano apocrifi i Gesta Silvestri, perché – come ho
accennato – se ne tramanda autore un tale Eusebio; ma
dico che sono false e indegne le cose che narra lui e altri
sul drago, il toro, la lebbra: per dimostrare il falso della
lebbra mi son dovuto rifare tanto lontano. Se Neeman fu
lebbroso, non perciò diremo che lo fu anche Costantino.
Del primo parlarono molti autori; di Costantino, capo
del mondo, non scrisse nessuno dei suoi concittadini, ma
uno straniero, non so chi fosse; a lui non si può credere
piú che a quell’altro che parlava delle vespe che aveva-
no nidificato nelle narici di Vespasiano e della rana par-
torita da Nerone, da cui verrebbe il nome di Laterano, al
luogo dove è latente la rana nel suo sepolcro. Le vespe
e le rane, se potessero parlare, non avrebbero detto ciò.
Lascio andare che dicono curarsi la lebbra col sangue dei
fanciulli: la medicina lo ignora, ma essi veramente attri-
buiscono questo pensiero agli dei capitolini, come se es-
si fossero soliti parlare e avessero ordinato questa specie
di cura. Non bisogna maravigliarsi che i papi non capi-
scano queste cose, quando non sanno neppure che signi-
fica il loro nome. Dicono che Pietro fu chiamato Cefas,
perché era il capo degli apostoli, come se la parola Cefas
sia greca derivando da Kephalee e non piuttosto ebraica
e anzi siriaca, che i greci translitterano Kephas e traduco-
no Petrus (pétros) non caput. Petrus e Petra sono termini
greci e scioccamente si dà l’etimologia latina di petra co-
me di «consumata dal piede» (pede trita). Sono gli stessi
che distinguono il metropolitano dall’arcivescovo e pre-
tendono che il primo sia chiamato cosí dalla misura del-
la città, quando in greco non si dice metropolis, ma mee-
tropolis, cioè lo stato o la città-madre; patriarca signifi-

Storia d’Italia Einaudi 78


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

ca quasi padre dei padri; papa viene dall’interiezione pa-


pae; fede ortodossa è uguale a fede di retta gloria; leggo-
no Símone (sdrucciolo) mentre bisogna leggere con l’ac-
cento sulla penultima, come per Platone e Catone. E la-
scio andare molte altre cose simili, perché non si riten-
ga che per colpa di alcuni io voglia prendermela con tut-
ti i papi. Tutto ciò ho detto perché nessuno si maravigli
che tanti papi non si accorgessero della falsità della Do-
nazione; io per me credo che ne sia stato autore uno di
loro.

Storia d’Italia Einaudi 79


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXV.

81. Ma – obiettate – perché gli imperatori, a cui danno


risultava la Donazione, non negano, ma confessano, af-
fermano, conservano la Donazione di Costantino? Gran-
de argomento, stupenda difesa! Ma di quale imperatore
tu parli? Se parli del greco, che rimase il vero imperato-
re, nego che ammetta la Donazione; se parli del latino, lo
ammetterò ben volentieri. Chi ignora, infatti, che l’impe-
ratore latino è gratuita creazione del papa (credo) Stefa-
no III, che privò dell’impero l’imperatore greco perché
non aiutava l’Italia e creò il primo imperatore di Occi-
dente, cosí che piú vantaggio trasse l’imperatore dal pa-
pa che il papa dall’imperatore? Achille e Patroclo si divi-
sero tra loro, con un patto, le ricchezze di Troia. A que-
sto penso quando leggo le parole dell’imperatore Ludo-
vico: «Io, Ludovico, imperatore augusto romano, stabili-
sco e concedo con questa carta di conferma, a te san Pie-
tro capo degli apostoli e, per te, al tuo vicario Pasqua-
le, sommo pontefice e ai suoi successori in perpetuo con
lo stesso pieno dominio col quale l’avete tenuta sinora,
la città di Roma coi suo ducato, suburbio, tutti i villag-
gi e territori suoi sui monti e presso il mare, con i porti e
tutte le città, castelli, fortezze e ville in Tuscia ecc»..
82. Tu, o Ludovico, stringi i patti con il papa? Se co-
desti beni sono tuoi, cioè l’impero romano, perché li ce-
di a un altro? Se sono suoi e sono posseduti da lui, che
ti interessa confermarli? Che ti resta dell’impero roma-
no, se ne hai perduta la capitale? Da Roma prende no-
me l’imperatore romano. Le altre terre che ancora ti re-
stano sono tue o di Pasquale? Credo che dirai che sono
tue. Non ha piú valore dunque la Donazione di Costanti-
no se tu possiedi i beni da lui dati al pontefice? Se ha an-
cora valore, con quale diritto Pasquale ti ha lasciato il re-
sto, conservando per sé solo quello che possiede? A che

Storia d’Italia Einaudi 80


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

mira questa tua larghezza verso di lui o la sua larghezza


verso di te? Giustamente la chiami patto come se fosse
un accordo segreto poco pulito. «Ma che farò? mi dici.
Cercherò ripigliare con le armi ciò che il papa detiene?
Ma lui è già piú forte di me. Cercherò riaverle legalmen-
te? Ma il mio diritto è ormai quello che egli vuole. Non
sono giunto all’impero per diritto di successione, ma col
patto che se voglio essere imperatore, debba promettere
al papa questo e quello. Dirò che Costantino non donò
nulla dell’impero? Ma in tal modo farei le parti dell’im-
peratore greco e mi priverei del tutto dell’impero. Il pa-
pa acconsente a farmi imperatore a patto che io sia quasi
un suo vicario e se non prometterò, non mi farà impera-
tore; se non ubbidirò me ne priverà. Purché mi dia l’im-
pero, confesserò tutte le dipendenze che vorrà, accette-
rò qualunque patto. Credimi: se io possedessi Roma e
la Tuscia, mi guarderei tanto dal fare quello che faccio,
e Pasquale non si permetterebbe di cantarmi la cantilena
della falsa donazione. Ora sono costretto a riconoscer-
gli la donazione di quello che non tengo e che non credo
terrò mai. Non è affar mio indagare sui diritti del papa,
ma tocca all’imperatore di Costantinopoli». Con queste
parole già sei scusato di fronte a me, o Ludovico, o altro
principe che si trovi nelle condizioni di Ludovico.
83. Che dobbiamo pensare dei patti degli altri impera-
tori con i sommi pontefici quando sappiamo come si re-
golò Sigismondo, imperatore come altri mai ottimo e for-
tissimo, ma già meno forte per l’avanzata età? Lo abbia-
mo visto circondato di poche guardie del corpo vivere al-
la giornata in Italia e quasi presso a morire di fame a Ro-
ma, se non l’avesse alimentato papa Eugenio? Non gra-
tis, però, perché gli estorse una donazione (1433). Venu-
to a Roma per essere coronato imperatore non poté otte-
nere dal papa l’incoronazione se non ratificando la Do-
nazione di Costantino e ridonando di nuovo ciò che vi si
conteneva. Che vi può essere di piú contraddittorio che

Storia d’Italia Einaudi 81


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

l’essere incoronato imperatore romano proprio quando


rinunziava a Roma? e l’essere coronato da quello che
lui stesso confessa e, per quanto è in lui, fa signore del-
l’impero romano? E ratificare una donazione che, se fos-
se vera, non lascerebbe parte dell’impero all’imperatore?
Credo che neanche i fanciulli avrebbero fatto ciò.
84. Perciò non dobbiamo maravigliarci se il papa si
arroga il diritto di coronare l’imperatore, diritto che do-
vrebbe essere del popolo romano. Se tu, papa, puoi pri-
vare l’imperatore greco dell’Italia e delle province occi-
dentali e creare un imperatore latino, perché scendi a
patti? Perché dividi i beni dell’imperatore? Perché tra-
sferisci in te l’impero? Sappia che è un mentitore, a mio
giudizio, chiunque dice di essere imperatore romano sen-
za avere il possesso di Roma e se non cerca di ripigliare
la città di Roma. Quegli antichi imperatori, a comincia-
re da Costantino, non erano obbligati al giuramento, cui
sono ora obbligati gli imperatori, ma solo giuravano di
non diminuire, per quanto è umanamente possibile, nul-
la della potenza dell’impero romano e anzi promettevano
di accrescerlo con molto impegno. Non erano detti infat-
ti Augusti perché dovevano augere, accrescere l’impero,
come credono alcuni che non sanno bene il latino. Au-
gustus significa qualcosa come «sacro» e deriva da avium
gustu («assaggio degli uccelli») che solevano sacrificar-
si per trarne gli auspici: c’è anche la testimonianza del-
la lingua greca, che traduce Augustus con Sebastòs, don-
de viene Sebastia. Meglio dovrebbe il pontefice chiamar-
si Augusto se la parola derivasse da augere; però mentre
cerca di accrescere il temporale, diminuisce lo spirituale.
Considera che i peggiori pontefici si son dati sempre piú
da fare a difendere la donazione, come ad esempio Boni-
facio VIII, che ingannò Celestino con tubi nascosti nella
parete. Questi scrive intorno alla Donazione di Costan-
tino, questi che privò ii re di Francia e giudicò ii regno
francese della Chiesa romana e a lei soggetto, come se

Storia d’Italia Einaudi 82


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

volesse far valere la Donazione di Costantino. I suoi suc-


cessori, Benedetto XI e Clemente VII, revocarono que-
sto decreto come improbo e ingiusto. Ma che vuol dire
codesta vostra preoccupazione, o pontefici, per cui pre-
tendete che sia confermata da ogni imperatore la Dona-
zione di Costantino, se non che vi sentite poco sicuri dei
vostri diritti? Ma voi pestate l’acqua nel mortaio, come si
suol dire, perché essa non è mai esistita e non può perciò
essere confermata; qualunque cosa donino gli imperato-
ri, lo fanno ingannati dall’esempio di Costantino e non
possono, comunque, donare l’impero.

Storia d’Italia Einaudi 83


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXVI.

85. Ammettiamo pure che Costantino abbia fatto la


donazione e che Silvestro abbia una volta posseduto, ma
che poi o lui o altri dei successori sia stato rimosso dal
possesso. Per ora mi limito a parlare di ciò che il papa
non possiede; poi parlerò di ciò che ancora possiede.
Che cosa potrei supporre di piú vantaggioso per voi che
l’ammettere come reale ciò che non fu mai, né del resto,
poteva essere possibile? Vi dico soltanto che neppure in
tal caso (di deiezione dal possesso) vi è permessa alcuna
azione per rientrare nel possesso. Il Vecchio Testamento
vietava che un ebreo fosse schiavo di un altro ebreo
piú di sei anni; ordinava inoltre che ogni cinquant’anni
l’antico padrone rientrasse nel possesso dei suoi beni.
E invece nell’era della Grazia, un cristiano sarà tenuto
oppresso da eterna schiavitú proprio sotto il vicario di
Cristo, che ci liberò dalla schiavitú? Sarà revocato in
schiavitú, una volta che fu liberato e godé a lungo della
libertà?
86. Non mi soffermo a dire qual crudele, violenta,
barbara tirannide sia spesso quella dei sacerdoti. Anche
se ciò non si fosse saputo, ecco che si è imparato testé da
quella belva, da quel mostro di malvagità che è stato il
cardinale e patriarca Giovanni dei Vitelleschi: si può dire
che stancasse la spada con la quale Pietro aveva staccato
l’orecchio di Malco a versare sangue cristiano; ma di
spada finí col perire anche lui. Al popolo di Israele fu
lecito ribellarsi ai re della casa di Davide e di Salomone,
unti tali da profeti inviati dal Signore, per i gravi pesi
di ogni genere loro imposti, ribellione che Dio approvò;
a noi non sarà lecito ribellarci a tanta tirannide? Tanto
piú che costoro non sono re, né possono esserlo, e da
pastori delle pecore, cioè delle anime, son divenuti ladri
da strada maestra?

Storia d’Italia Einaudi 84


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXVII.

87. Per venire al diritto positivo, chi ignora che non crea
legge il diritto della guerra? Se c’è un diritto di guerra,
esso vale solo in quanto e per quanto tu possiedi ciò che
hai acquistato con la forza; quando cadi dal possesso, ca-
di anche dal diritto. Ad esempio: se dei prigionieri fug-
gono, nessuno va a richiederli al magistrato; e ugualmen-
te per le prede di guerra, se i legittimi padroni ne ritor-
nano in possesso. Le api e altre specie di uccelli (sic), se
volano via dal mio podere e si fermano in quello di un
altro, non possono essere richieste. E tu oseresti ripete-
re non con il diritto della forza, ma con quello vero del-
le leggi l’uomo, non solo animale libero, ma signore di
tutte le creature, come se tu fossi uomo e gli altri bestie
Non dirmi i romani con giuste guerre spogliarono della
libertà le altre nazioni e ciò fu giustizia Non mettere sul
tappeto codesto problema per evitare che io debba par-
lare contro i miei romani. Non ci fu mai colpa cosí gra-
ve che potesse far punire un popolo con l’eterna schia-
vitú, tanto piú che spesso i popoli combattono solo per
colpa dei loro dirigenti e, vinti, scontano con la schiavitú
quelle pene che non si meritavano. Ne abbiamo esempi a
non finire. Non è certo secondo il diritto naturale che un
popolo sottometta a sé un altro popolo. Noi possiamo
essere guida agli altri, ammonirli; ma non possiamo co-
mandare né far violenza, a meno che, lasciato ogni sen-
so di umanità, piú bestie delle bestie, non vogliamo spie-
gare la sanguinaria ferocia di una tirannide sui piú debo-
li come fa il leone sui quadrupedi, l’aquila sugli uccelli,
il delfino sui pesci. Eppure, queste belve non fanno pre-
potenze sugli animali della stessa loro specie ma su quel-
li di specie inferiore. Non dovremmo noi essere da piú
delle belve e non dovrebbe l’uomo sentire come una co-
sa sacra l’umanità degli altri uomini, se come dice Marco

Storia d’Italia Einaudi 85


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

Fabio non c’è al mondo belva cosí feroce che non sen-
ta come un reverenziale rispetto per gli esseri fatti a sua
immagine?
88. Per quattro motivi gli uomini combattono: o per
vendicare offese ricevute in se stessi o ricevute dagli ami-
ci o per timore di future sventure se si lasciano troppo
ingrandire gli altri o per speranza di preda o per vanità
di gloria. Il primo motivo è piuttosto onesto, il secondo
lo è poco, i due ultimi non lo sono mai. Anche i roma-
ni furono provocati a guerra; ma dopo le guerre difensi-
ve, cominciarono anch’essi a portar guerre agli altri po-
poli né vi è alcun popolo che sia venuto in loro dizione
se non dopo essere stato vinto e piegato in guerra: se poi
con giustizia e per buone cause abbiano fatto ciò, lascia-
mo andare; se la veggano essi. Io non oso pronunziarmi
per una condanna come se avessero combattuto ingiu-
stamente, né per un’assoluzione come se avessero com-
battuto giustamente. Dirò soltanto che i romani portaro-
no la guerra contro gli altri con lo stesso diritto col qua-
le anche essi erano stati combattuti da popoli e re; dico
anche che, come si erano ribellati agli altri padroni, co-
sí era lecito ribellarsi contro i romani anche a quelli che
erano stati vinti e battuti (da Roma). A meno che non si
creda (ma ritengo che nessuno pensi ciò) che tutti i do-
mini debbano ritornare ai piú antichi loro padroni, cioè
a quelli che furono i primi ad usurpare l’altrui. Se mai,
però, spetterebbe un piú giusto diritto sulle genti vinte
in guerra al popolo romano anziché agli imperatori, che
opprimono lo Stato romano. Se era lecito ai popoli vin-
ti ribellarsi a Costantino e (ciò che è piú) al popolo ro-
mano, certo vi sarà anche il diritto di staccarsi da colui
che Costantino avrà chiamato a succedergli nei suoi di-
ritti. Dirò qualcosa di piú audace: se ai romani era lecito
cacciare Costantino, come fecero con Tarquinio, o ucci-
derlo come fecero con Giulio Cesare, molto piú sarà le-
cito ai romani o ai provinciali uccidere chi è successo a

Storia d’Italia Einaudi 86


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

Costantino, comunque sia avvenuta la successione. Ciò


è vero, ma siccome si va oltre la causa presa a difendere,
voglio frenarmi e non concludere altro da tutto ciò che
ho detto se non che è puerile mettere avanti un qualun-
que diritto la cui forza venga dalle parole, quando vi è la
forza che viene dalle armi. Ciò che si acquista con le ar-
mi, si perde solo con le armi. C’è anche da considerare
che molti popoli nuovi (all’impero romano), come i goti,
che non stettero mai sotto il dominio di Roma, occuparo-
no l’Italia e molte altre province dopo averne scacciati gli
antichi abitanti: è giusto che questi popoli che non furo-
no mai schiavi dei romani vengano revocati a schiavitú?
e da chi poi? dai vinti, forse; essi che sono i vincitori?
89. E intanto se ci furono città e popoli (e sappia-
mo che cosí avvenne) i quali, abbandonati dall’impera-
tore durante le invasioni barbariche, dovettero di neces-
sità darsi dei re sotto i quali vinsero i barbari, avrebbero
dovuto poi deporre dal trono costoro? O avrebbero do-
vuto ridurre a privati cittadini i loro figli anche se racco-
mandabili come re sia per la tradizione paterna sia per la
loro personale bravura? Se ne sarebbero dovuti ritorna-
re sotto l’impero romano, mentre continuavano ad aver
bisogno dell’aiuto dei principi spodestati e non potevano
sperarne da altri? Se l’attuale imperatore stesso, se Co-
stantino, ritornato in vita, se il senato e il popolo romano
chiamassero questi popoli a un comune tribunale, qua-
le era in Grecia l’Anfizionio, sarebbero perdenti fin dalla
prima istanza con la motivazione che richiedono soltanto
ora popoli che una volta avevano abbandonati, che vivo-
no da lungo tempo sotto altri re, e vogliono rifare schiavi
uomini nati ad essere liberi, e che liberi si sono afferma-
ti per vigore di anima e di corpo. Se dunque l’imperato-
re, se il popolo romano sono esclusi dal diritto di ripete-
re questi popoli, molto piú a ragione ne è escluso il papa;
e, se è permesso agli altri popoli, che furono sotto Roma,
crearsi un re o mantenersi a repubblica, tanto piú ciò sa-

Storia d’Italia Einaudi 87


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

rà lecito al popolo romano, specie contro la tirannide del


papa che è anche recente.

Storia d’Italia Einaudi 88


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXVIII.

90. Gli avversari, non potendo difendere piú la donazio-


ne come quella che non è mai esistita e che, se fosse esi-
stita, sarebbe ormai caduta per le mutate condizioni sto-
riche, si ritirano in un altro tipo di difesa, come chi lascia
la città e si ritira nella rocca, che poi è costretto ad abban-
donare per deficienza di vettovaglie. Dicono: la Chiesa
romana beneficia della prescrizione per i suoi possessi.
Perché allora pretende la maggior parte dei beni sui qua-
li essa non può vantare il beneficio della prescrizione, ma
possono ben vantarlo gli altri? Ciò che è permesso a lei
contro gli altri, non è permesso agli altri contro di lei. La
Chiesa romana ha il beneficio della prescrizione, tu di-
ci. E allora, perché è cosí premurosa a farsi confermare
il suo diritto dagli imperatori? Perché ciancia tanto del-
la donazione e della conferma degli imperatori? Se basta
il diritto della conferma, commetti un torto verso l’im-
peratore quando non taci anche della prescrizione. Ma
vuoi sapere perché tu non taci della prescrizione? Per-
ché sai che l’altro diritto è insufficiente. Beneficia del-
la prescrizione la Chiesa romana; come può beneficiare
della prescrizione se il suo possesso non poggia su nes-
sun legittimo titolo ed è solo di mala fede? Anche se tu
neghi la mala fede, non potrai negare la stolta fede. O in
una causa cosí importante e cosí chiara deve essere scu-
sata l’ignoranza in diritto e in fatto? In fatto, perché Co-
stantino non diede Roma e le province (può ignorare ciò
un povero uomo qualunque, non il sommo pontefice); in
diritto, perché quei beni non potevano né essere dona-
ti né essere ricevuti in dono, cosa questa che nessun cri-
stiano può ignorare. La tua buona fede, buona ma scioc-
ca, ti darà il diritto a possedere quelle cose, che se fossi
stato meno ignorante non sarebbero state mai tue? Ora
che io son riuscito a dimostrarti che tu hai posseduto per

Storia d’Italia Einaudi 89


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

ignoranza e scioccheria, non perderai i tuoi diritti, am-


messo che tu ne abbia mai avuti? La conoscenza dei fatti
non ti toglierà giustamente quello che l’ignoranza ti ave-
va ingiustamente attribuito? E i tuoi acquisti ritorneran-
no al legittimo padrone, forse con gli interessi. Se dopo
le mie parole pensi ancora di continuare a possedere a
giusto titolo vuol dire che la tua ignoranza si è mutata in
dolo e inganno e ne sei divenuto chiaramente possessore
in mala fede.
91. La Chiesa romana beneficia della prescrizione. O
ignoranti di tutto, ed anche del diritto divino! Nessu-
no periodo di anni, quanto si voglia grande, può distrug-
gere un titolo legittimo. Forse, io, catturato dai barbari
o creduto morto, se ritorno in patria dopo cento anni di
schiavitú, sarò escluso dal diritto di chiedere l’eredità pa-
terna? Che ci sarebbe piú inumano di ciò? Per portare
qualche esempio storico, forse, Iefte, capo degli israeliti,
quando i figli di Ammon richiedevano la terra compresa
tra il territorio di Arnon e Iaboc e il Giordano, rispose:
ha beneficiato Israele della prescrizione di trecento an-
ni? Rispose invece che non era loro la terra che chiede-
vano ma degli amorei e che la prova migliore che quel-
la terra non spettava agli ammoniti era il fatto che essi
non la avevano mai richiesta in tanti anni. Beneficia della
prescrizione la Chiesa romana: taci, lingua sacrilega. Tu
osi trasferire agli uomini la prescrizione che è delle cose
mute e irrazionali, agli uomini il cui possesso in ischiavi-
tú quanto piú dura tanto piú è esecrando? Gli uccelli e
le belve non patiscono prescrizione, ma quando piace lo-
ro e se ne offre l’occasione fuggono via, le abbia tu pos-
sedute quanto si voglia. All’uomo posseduto da un altro
uomo non sarà concesso liberarsi?
92. Sentite ora un fatto, dal quale appare la frode e il
dolo, piú che l’ignoranza, dei romani pontefici che chia-
mano a giudice la guerra non il diritto, e che ci può dare
un’idea di quello che credo abbiano fatto i primi pontefi-

Storia d’Italia Einaudi 90


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

ci nell’impadronirsi di Roma e di altre città. Ecco: poco


prima della mia nascita – mi appello al ricordo di quel-
li che furono presenti ai fatti – Roma subí con un inau-
dito inganno, il dominio o meglio la tirannide dei papi,
mentre prima era stata libera per molto tempo. L’autore
dell’inganno fu Bonifacio IX, simile all’ottavo per frodi e
per il nome, se pure si possono chiamare Bonifaci quelli
che fanno il male. Quando i romani, accortisi dell’ingan-
no, cominciarono tra loro a sdegnarsene, il buon papa, a
mo’ di Tarquinio, abbatté con la verga i piú alti papave-
ri. Innocenzo VII, suo successore, volle imitarlo, ma fu
cacciato dalla città. È meglio non parlare degli altri pa-
pi, che tennero sempre oppressa Roma con la forza delle
armi, sebbene essa si ribellasse ogni volta che lo potesse;
cosí sei anni fa non potendo ottenere la pace da Eugenio
né potendo d’altra parte resistere piú ai nemici che l’as-
sediavano, i romani assediarono il papa nel suo palazzo,
e non permisero che ne uscisse se non avesse fatta prima
la pace con i nemici o avesse trasferito l’amministrazione
della città ai cittadini. Ma il papa preferí abbandonare la
città sotto mentite spoglie, con un sol compagno nella fu-
ga anziché accondiscendere ai desideri dei cittadini che
non chiedevano se non cose giuste ed eque. Se si lasciano
i romani liberi di scegliere, nessuno ignora che essi sce-
glieranno la libertà piú che la schiavitú. Come per Ro-
ma, si può pensare che avverrebbe per le altre città che
son mantenute in schiavitú dal papa, ad opera del quale
invece dovrebbero essere liberate dalla schiavitú.
93. Sarebbe lungo enumerare quante città prese ai ne-
mici siano state liberate dal popolo romano tanto che Ti-
to Flaminino arrivò a liberare tutta la Grecia che serviva
ad Antioco e volle che fosse libera e indipendente.
Sembra invece che il papa trami con cura insidie con-
tro le libertà dei popoli, e perciò i popoli, a loro volta,
ogni giorno, appena si presenta l’occasione, si ribellano;
basta pensare a quello che è avvenuto a Bologna. Può

Storia d’Italia Einaudi 91


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

darsi che qualche volta, per qualche pericolo imminente,


i popoli si siano per loro spontaneo consenso messi sot-
to il potere papale; ma non bisogna prendere la cosa co-
me se essi si facessero schiavi, sí da non poter sottrarre
piú i loro colli dal giogo, e sí che anche i loro figli non
abbiano neppure essi pieno potere di se stessi. Sarebbe
troppo ingiusto.
94. «Spontaneamente venimmo a te, o sommo ponte-
fice, perché ci governassi; spontaneamente ora ci allonta-
niamo da te, perché non ci governi piú a lungo; facciamo
un conto del dare e dell’avere per vedere se noi ti dob-
biamo nulla. Ma tu vuoi continuare a governarci contro
la nostra volontà, come fossimo dei pupilli, quando noi
forse sapremmo governare te stesso con piú saggezza di
te. Aggiungi l’offese che vengono recate da te e dai tuoi
magistrati a questa città tanto spesso. Chiamiamo Dio a
testimone che le offese vostre ci costringono a ribellar-
ci come una volta fecero ribellare Israele da Roboan. E
quale fu la cosí grande offesa che li fece ribellare? Che
parte (trascurabile) dei nostri malanni è il pagare tributi
piuttosto gravosi! Che dovremmo fare se tu impoveris-
si il nostro Stato? Eppure, l’hai impoverito. Se tu spo-
gliassi i templi? E li hai spogliati! Se tu violentassi vergi-
ni e matrone? E le hai violentate! Se bagnassi la città di
sangue nostro? E l’hai bagnata! E noi dovremmo sop-
portare tali cose? O piuttosto non dimenticheremo an-
che noi di essere tuoi figli, quando tu hai dimenticato di
essere padre? Come padre, o sommo pontefice, o se piú
ti piace, come padrone ti chiamò questo popolo non co-
me nemico e boia. Ma tu non vuoi essere padre e signo-
re, ma nemico e boia. Noi, perché siamo cristiani, non
imiteremo la tua crudeltà ed empietà, sebbene lo potes-
simo per essere stati offesi; non stringeremo contro di te
la spada della vendetta; ma soltanto, dichiarandoti deca-
duto, adotteremo un altro padre e signore. È permesso
ai figli di fuggire dai genitori cattivi, dai quali, pure, si è

Storia d’Italia Einaudi 92


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

nati. A noi non sarà lecito fuggire te non padre nostro


vero, ma adottivo e che ci tratti cosí male? Pensa a fa-
re il sacerdote e non porre la tua sede verso settentrione,
donde tonando vibri fulmini su questo e sugli altri po-
poli». Ma c’è bisogno di insistere su un argomento cosí
evidente?

Storia d’Italia Einaudi 93


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXIX.

95. Affermo con ogni forza non solo che Costantino non
fece sí larga donazione, non solo che il romano pontefice
non beneficia della prescrizione, ma anche che, se pure
l’uno donò e l’altro beneficia della prescrizione, tuttavia i
due diritti sono estinti per i delitti dei possessori, quando
vediamo che da un sol fonte sono scaturite la rovina e
la distruzione di tutta l’Italia e di molte province. Se
è amaro il fonte, lo sarà anche il fiume; se immonda è
la radice, anche i rami saranno immondi; se le primizie
non sono sante non è santa la massa. Cosí, per antitesi,
se il fiume è amaro, bisogna ostruirne il fonte; se i
rami sono immondi, nella radice è l’origine del male,
se la massa non è santa, anche le sue primizie sono da
rigettare. Potremmo noi ammettere come legale l’origine
della potenza papale, che vediamo essere causa di tanti
delitti e di tanti mali di ogni genere?
96. Io posso ben dire e gridare ad alta voce (non ho
paura degli uomini, protetto come sono da Dio) che ai
miei giorni non vi è stato sommo pontefice che abbia am-
ministrato con fedeltà e saggezza. Furono tanto lontani
dal dare il pane di Dio alla famiglia dei loro sudditi, che
anzi li farebbero sbranare come pezzi di pane. Il papa,
proprio lui, porta guerre a popoli tranquilli; semina di-
scordie tra le città e i principi; il papa ha sete delle ric-
chezze altrui, e, al contrario, succhia fino in fondo le sue
stesse ricchezze; egli è come Achille dice di Agamenno-
ne Demoboros basileus, cioè «re divoratore dei popoli».
Il papa fa mercato non solo dello Stato, ciò che non ose-
rebbe né Verre né Catilina, né alcun altro reo di pecu-
lato, ma mercanteggia perfino le cose della Chiesa e lo
stesso Spirito Santo! Perfino a Simon Mago desterebbe
esecrazione! E quando ciò viene avvertito e anche rim-
proverato da galantuomini, non nega, ma sfacciatamente

Storia d’Italia Einaudi 94


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

l’ammette e se ne gloria: afferma che gli è lecito strappa-


re in qualsivoglia modo dalle mani degli occupanti il pa-
trimonio della Chiesa donato da Costantino, come se da
quel riacquisto la religione cristiana sia per trarre mag-
giore felicità e non piuttosto maggior peso di peccati, di
mollezza, di passioni, se pure è possibile che la Chiesa sia
piú gravata di tali mali di quanto non lo è già e se vi è piú
posto per scelleratezze.
97. Per riavere le altre parti donate, sperpera le ric-
chezze mal tolte ai buoni, paga truppe a cavallo e a piedi,
che fanno tanto male dappertutto, mentre Cristo muore
affamato e nudo in migliaia e migliaia di poveri. E non
si rende conto (o indegnità!) che mentre egli si affanna
a strappare ai principi secolari i loro beni, questi a loro
volta sono spinti a strappare agli ecclesiastici i loro beni
o dal cattivo esempio o dalla necessità (talvolta non c’è
neppure vera necessità).

Storia d’Italia Einaudi 95


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

XXX.

98. Non c’è piú religione; nessuna cosa piú è santa;


non vi è piú timore di Dio: ho orrore a dirlo, ma tutti i
malvagi scusano i loro delitti con l’esempio del papa. In
lui e nei suoi satelliti è ogni esempio di delitti: possiamo
ben dire con Isaia e Paolo contro il papa e i suoi: «Per
causa vostra è bestemmiato il nome di Dio tra i popoli».
Voi che ammaestrate gli altri, non ammaestrate voi
stessi; voi che predicate non doversi rubare, fate rapine;
voi che maledite gli idoli, commettete sacrilegi; voi che
ponete la vostra gloria nella legge e nel pontificato, tra-
sgredendo la Legge voi non onorate piú Dio che è l’uni-
co vero pontefice. Se il popolo romano perdette per l’ec-
cesso dei beni la sua vera gloriosa romanità, se Salomo-
ne per la stessa causa, abbandonandosi ad amori carnali,
cadde nell’idolatria, non dobbiamo credere che avverrà
lo stesso nel sommo pontefice e negli altri sacerdoti?
99. Insomma, possiamo noi credere che Dio avreb-
be permesso che Silvestro accettasse materia di peccato?
Non permetterò che si faccia questo oltraggio alla memo-
ria di un santissimo uomo, non permetterò che si insul-
ti un ottimo papa, dicendo che egli accettasse imperi, re-
gni, province, alle quali sogliono rinunziare quelli che vo-
gliono entrare nella Chiesa. Pochi furono i beni che pos-
sedé Silvestro; pochi furono quelli degli altri sommi pon-
tefici, il cui aspetto era sacrosanto anche ai nemici come
quel san Leone, che atterrí l’animo truce del re barbaro
(Attila) e piegò chi la forza di Roma non aveva potuto né
toccare né spezzare. Ma gli ultimi papi, ricchi e affoga-
ti nei piaceri, sembrano non mirare ad altro che ad esse-
re empi e stolti tanto quanto santi e saggi furono gli an-
tichi pontefici. Quale cristiano potrebbe sopportare ciò
con tranquillità?

Storia d’Italia Einaudi 96


Lorenzo Valla - La falsa Donazione di Costantino

100. In questa mia prima orazione non voglio ancora


spingere i principi e i popoli ad arrestare il papa precipi-
tante a corsa sfrenata e a costringerlo a star buono nel-
la sua sfera di azione, ma solo vorrei indurli ad ammoni-
re il papa che, forse, già ritrovata da sé la via della veri-
tà, attraverso essa se ne torni a casa sua lasciando l’altrui
e ripari nel porto, lontano dalle onde di dissennati pen-
sieri e dalle tempeste furiose. Ma se egli ricusa (di segui-
re la via della verità) mi preparerò ad una seconda ora-
zione molto piú aspra. Possa io una buona volta vedere
il papa fare solo il vicario di Cristo e non anche dell’im-
peratore: nulla mi pesa piú che l’attendere ciò, special-
mente perché spero che avvenga per i miei scritti. Che
non ci giunga piú l’eco di orribili voci: fazioni ecclesia-
stiche, fazioni contrarie alla Chiesa; la Chiesa combatte
contro i perugini o contro i bolognesi. Non è la Chie-
sa che combatte contro i cristiani ma il papa; la Chiesa
combatte gli spiriti del male nel cielo. Allora il papa sa-
rà chiamato e sarà realmente padre santo, padre di tut-
ti, padre della Chiesa; non susciterà guerre tra i cristiani,
ma con apostoliche censure e con la maestà del papato
spegnerà le guerre provocate da altri.

Storia d’Italia Einaudi 97

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