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ARTHUR MACHEN

LE CREATURE
DELLA TERRA
romanzi e racconti
FANUCCI
Traduzione integrale di:
Donatella Sant'Elia
Prima Edizione: Dicembre 1987
Titolo originale: Le Creature della Terra
1987 by Fanucci Editore, Via delle Fornaci 66, 00165 Roma
1987 by Gianni Pilo per l'organizzazione in volume
Propriet letteraria ed artistica riservata
Stampato in Italia  Printed in Italy

INDICE
DI MACHEN E... DI ALTRE COSE
di Gianni Pilo
LE CREATURE DELLA TERRA
di Arthur Machen
IL RAGAZZO SAGACE
di Arthur Machen"
I BAMBINI FELICI
di Arthur Machen
I BIMBI DELLO STAGNO
di Arthur Machen"
N
di Arthur Machen
COLLABORAZIONI POSTUME
NOTA AI TESTI
di Domenico Cammarota
UNA FAMIGLIA ORDINARIA
di A. Machen & D. Cammarota
L'UOMO CHE SI COSTRUI' UN DIO
di A. Machen & D. Cammarota
L'IDOLO
di A. Machen & D. Cammarota
DOCUMENTI
ARTHUR MACHEN, FILIUS AQUARTI
di Domenico Cammarota
NOTE
APPENDICE

DI MACHEN E... DI ALTRE COSE


Questa breve prolusione non dovuta alla necessit di interloquire
circa la vita e gli aspetti letterari di Machen, sibbene al desiderio di
spendere due parole su Domenico Cammarota. Infatti per quanto ha tratto
con la figura di Machen, vi un saggio veramente esauriente su questo
autore nella Sezione Documenti del volume, scritto per l'appunto da
Cammarota, per cui a questa incombenza si gi provveduto in maniera
pi che esaustiva. Ma perch parlare proprio di Cammarota, mi
chiederete. E' molto semplice: in questo libro infatti, avrete modo di
leggere tre racconti scritti da lui, su delle tracce lasciate incompiute
da Arthur Machen. Il fatto indubbiamente degno di nota, e per tutta
una serie di motivi assai interessanti che vedremo poi di esaminare
insieme. Tutti voi conoscete ampiamente Cammarota, nella sua duplice
veste di critico e di narratore. Avrete sicuramente avuto modo di
leggere i suoi scritti sui volumi da noi editi, e avrete avuto quindi la
possibilit di apprezzare sia i suoi saggi critici, che i racconti
apparsi in diversi volumi delle nostre collane, da quella de I MITI DI
CTHULHU all'ENCICLOPEDIA DELLA FANTASCIENZA, da IL LIBRO D'ORO DELLA
FANTASCIENZA a FUTURO SAGGI. Non faccio certo alcuna fatica
nell'affermare che la produzione di Cammarota, soprattutto nel settore
critico/saggistico, connotata da un altissimo livello di cultura e di
preparazione approfondita nello specifico che di volta in volta il
nostro va a trattare. Questo si verifica sempre e, fatto non certo
frequente, non soffre di "cali" di livello qualitativo, come invece
dato di riscontrare negli scritti di altri critici del settore. Un'altra
caratteristica che lo contraddistingue la quantit dei temi sui quali
spazia, temi che costituiscono il retroterra culturale sul quale basa la
sua preparazione complessiva. Vi prego di credermi sulla parola quando
vi dico che ho avuto modo di rimanere stupito dalla molteplicit dei
settori che Cammarota conosce approfonditamente, e vi assicuro che
parecchie volte ho tentato di trovare un campo nel quale non fosse
preparato, rimanendo ogni volta piacevolmente stupito del contrario.
Specificatamente poi per quanto ha tratto con il Fantastico in generale,
la sua conoscenza del tema assimilabile a quella di Sebastiano Fusco,
che io giudico sicuramente uno dei massimi esperti italiani ed europei
in questo campo. Insomma, per farla breve, una delle pochissime
persone che conosco che sanno esattamente di cosa parlano, e vi assicuro
che questo non certo merito di poco conto in un contesto generalizzato
che vede il pi delle volte gli "addetti ai lavori" impegnati a
sproloquiare su temi che conoscono solo superficialmente o, peggio
ancora, non conoscono affatto. Sin qui l'aspetto di Cammarota come
critico e come saggista. Per quanto attiene invece alla sua produzione
come narratore, il discorso si fa diverso. Senza andare a ripetere
quanto proprio lui ha scritto in un saggio presente sull'antologia NOTTI
DI LUNA PIENA, da noi edito in questa stessa collana, a proposito delle
categorie nelle quali suddivide gli scrittori (e le loro conseguenti
caratteristiche), vi dir che il suo narrato presenta delle valenze
estremamente interessanti. Gli elementi principali che scaturiscono da
una prima analisi dei suoi scritti sono la vena amara e malinconica che
permea le sue righe e, soprattutto, la trasposizione in chiave
fantastica di una realt non certo felice che affonda le sue radici nel
vissuto dell'autore e nella sua personale concezione del mondo che gli
deriva da un'analisi cruda ed impietosa dei difetti presenti nella
societ nella quale si trova a dover vivere. Disquisire in questa sede
delle motivazioni profonde di disistima e di rigetto da parte di
Cammarota della quasi totalit del vissuto quotidiano, oltre a portarci
via troppo tempo e troppe pagine, ci allontanerebbe dal tema di questa
introduzione, per cui vediamo di ritornare subito a Machen ed... affini,
rimandando a chi verr dopo di noi un'analisi approfondita della figura
del nostro. E veniamo ora ai tre racconti scritti da Cammarota sulla
traccia lasciata dal Maestro inglese, che costituiscono appunto il
motivo di questa mia prolusione. Se prima ho detto che le valenze di
Cammarota come narratore sono assai interessanti (a questo proposito
invito tutti voi a leggere il romanzo breve IL VOLTO DI ACELDAMA,
pubblicato sul volume Eroi e sortilegi della collana Enciclopedia della
fantascienza, che io giudico il pi bel racconto fantastico scritto in
questi ultimi anni), quello che balza evidente nella stesura di questi
tre racconti, la sua capacit di uniformarsi allo spirito e alle idee
di Machen, per dar vita a quell'orrore che costituisce una
caratteristica esclusiva dell'autore inglese. I tre racconti sono
omogenei, nel senso che costituiscono lo sviluppo progressivo di
un'unica azione che, pur situata in tre diversi contesti narrativi,
viene portata avanti univocamente mediante gli scenari ed i personaggi
principali che sono comuni a tutti i racconti. Il lavoro svolto da
Cammarota di prim'ordine. Prima di tutto la creazione delle storie
quasi per intero, dato che non si pu certo attribuire una parte
determinante a Machen per quella decina di righe che lo stesso ha
scritto per ciascuno dei tre racconti. In secondo luogo l'atmosfera, che
Cammarota ha stupendamente permeato di valenze orrorifiche e sanguigne.
In terzo luogo il contesto nel quale si svolge la narrazione, che
riprodotto fedelmente cos come nemmeno Machen sarebbe riuscito a
rendere meglio, pur essendo l'inglese molto pi vicino di Cammarota ai
luoghi descritti, sia per epoca che per zona d'origine... Ed infine la
delineazione psicologica dei vari personaggi presenti nelle tre
avventure, che vengono presentati in maniera assai realistica, mettendo
a nudo i loro difetti e le loro passioni di esseri umani al pi basso
gradino della degradazione e della depravazione, raggiunta s per
l'influsso di una presenza arcana e soprannaturale, ma in fondo sempre
latente ed in agguato nell'anima umana e, come tale, sempre pronta a
venir fuori alla prima opportunit... Insomma, tre racconti di valore
assoluto, e sono certo che, dopo averli letti, converrete con me circa
il loro livello. Gi un'altra volta avevamo proposto agli appassionati
alcuni racconti scritti da uno scrittore italiano sulla traccia di
alcuni brani originari: si trattava dei racconti del Ciclo di Solomon
Kane, lo scrittore era Gianluigi Zuddas, la collana Il libro d'oro della
fantascienza (il titolo appunto era SOLOMON KANE), e lo scrittore cui si
dovevano i brani originari era Robert E. Howard. Anche in quella
occasione la riuscita era stata molto felice, solo che non si pu
assolutamente paragonare l'impegno che ha dovuto porre in atto Cammarota
con quello di Zuddas. Infatti, senza nulla togliere ai molti ed
indiscussi meriti di Zuddas (ben sapete quale positivo giudizio io abbia
sempre espresso nei suoi confronti), non si pu non tener conto del
fatto che Zuddas stato molto agevolato nella sua opera dal fatto di
essersi potuto rifare ad un Ciclo specifico e ad un protagonista
delineato assai accuratamente (com' peraltro per tutti i personaggi
creati da Howard). Questi punti di riferimento, che nella prosecuzione
di un Ciclo particolare costituiscono dei veri e propri binari da
seguire, erano invece totalmente assenti nel caso di Machen, ed per
questo che il lavoro di Cammarota presenta delle difficolt di
esecuzione che non sono invece riscontrabili nei racconti scritti da
Zuddas per il Ciclo di Solomon Kane. Non avendo infatti dei personaggi
predelineati cui rifarsi, n delle storie da proseguire, ha dovuto in
pratica creare tutto, contesti, personaggi, storie e, si badi bene,
scrivere i racconti cos come li avrebbe scritti Machen. E c' riuscito.
Ma non voglio dilungarmi ancora in questa introduzione. Di Machen c'
ben poco (o moltissimo...) da dire: tutti voi lo conoscete, e sapete
bene che un Maestro della narrativa Horror, per cui poche righe
scritte in pi, non servirebbero certo ad aggiungere qualcosa ai suoi
meriti in campo narrativo. No, la sola cosa che voglio dire quella
che, avendo scelto tutti racconti inediti (come prassi della nostra
Casa Editrice), pu anche darsi che quelli presenti in questo volume non
siano proprio i pi orrorifici tra quelli da lui scritti, ma sono
comunque assai validi anche in funzione di quel sottile velo d'orrore
che traspare dalle figure dei bambini, personaggi questi non adoperati
frequentemente con valenze orrorifiche. In ogni modo la parte
agghiacciante la troverete nei racconti frutto della collaborazione
Machen/Cammarota, per cui anche i palati pi esigenti avranno di che
essere soddisfatti... Quindi arrivederci e, come sempre, buona lettura.
Gianni Pilo

LE CREATURE DELLA TERRA

Arthur Machen
LE CREATURE DELLA TERRA
L'agosto scorso circolarono strane e confuse lagnanze a proposito del
cattivo comportamento dei bambini di una certa localit balneare
gallese. E' estremamente difficile rintracciare le fonti e le sorgenti
di questo tipo di voci e dicerie; nessuno lo sa meglio e a maggior
ragione di me, e non il caso di riproporre qui la mia solita storia,
ma temo che molte persone a quest'ora desidererebbero non aver mai
sentito il mio nome; inoltre, un folto numero di rispettabili cittadini
s'interessa allo stato delle mie solide finanze, la qual cosa , dal mio
punto di vista, abbastanza squallida. Mi scrivono lettere, in cui mi
pregano di non privare le creature povere e sofferenti di quanto
costituisce il loro piccolo conforto alle loro pene. Altri mi mandano
opuscoli e volantini rosati che contengono allusioni alla "figlia di un
ben noto prelato"; altri ancora - anonimamente - sono violentemente
ingiuriosi. E poi, sulla carta stampata, in un libro elegantemente
rilegato, Mr. Begbie si occupato di me in modo corretto ma - non posso
fare a meno di pensare - ostile. Eppure, da parte mia, c'era la massima
innocenza e mancava qualsiasi premeditazione. Povero fanello della prosa
quale sono, non ho fatto altro che scrivere il mio imparziale commento
sul The Evening News perch volevo farlo, perch sentivo che la storia
degli "Arcieri" doveva essere raccontata. Un inventore di fandonie un
individuo degno di biasimo, lo sa Iddio, quando tutto il mondo in
guerra; ma io non credevo di arrecare alcun danno, in ogni caso, se
avessi testimoniato, alla maniera dell'arte visionaria, la mia fede
nell'eroica gloria dell'armata inglese che torn da Mons dopo aver
strenuamente combattuto e trionfato. Ed invece, per una ragione o per
l'altra, fu come se avessi pigiato un bottone e messo in moto uno
spaventoso e complicato meccanismo di voci incontrollate che
pretendevano di essere la pi pura verit, di pettegolezzi che si
atteggiavano a prove, di frottole gigantesche a cui gli uomini buoni
dettero fermamente ascolto. La presunta testimonianza della "figlia di
un ben noto prelato" fece andare a ruba le riviste parrocchiali e, allo
stesso tempo, guadagn la fiducia degli ecclesiastici dissenzienti. La
"figlia" dichiar la sua estraneit al fatto, ma la gente continu a
citare la sua presunta vera testimonianza; e le dichiarazioni pubblicate
dai giornali si mescolarono con i racconti, probabilmente veri, delle
penose allucinazioni e degli spaventosi deliri di cui i nostri soldati
avevano sofferto durante la ritirata, uomini affaticati e sconvolti fino
allo stremo. Fu perfino peggio dei miti sui Russi e, come nelle leggende
dei Russi, parve impossibile risalire la fiumana degli equivoci fino
alla fonte - o fonti - originaria. Chi era quello che aveva detto che
"Miss M. conosceva due ufficiali che, ecc. ecc."? Credo che non
scopriremo mai il nome del primo bugiardo e mistificatore. E lo stesso
accadr, ne sono convinto, con questa strana storia dei bambini
turbolenti della cittadina costiera del Galles, o piuttosto di un gruppo
di piccoli paesi e villaggi situati in una certa zona o distretto che,
per quanto mi possibile, eviter di indicare con maggiore precisione,
poich amo quei posti, e le mie recenti esperienze con la storia degli
"Arcieri" mi ha insegnato che nessuna storia tanto incredibile da non
potere essere creduta. E, naturalmente, tanto per cominciare, nessuno sa
come sia nata questa strana e maligna voce. Per quanto ne so io, pi
simile alle leggende sui Russi che alla storia degli "Angeli di Mons."
Giacch le voci hanno preceduto la stampa: si parl della cosa in vari
circoli e poi la notizia pass di lettera in lettera molto tempo prima
che i giornali acquistassero la consapevolezza della sua esistenza. E -
a questo proposito somiglia piuttosto alla storia di Mons - Londra e
Manchester, Leeds e Birmingham, bisbigliavano di cose confuse e
sgradevoli, mentre i piccoli villaggi coinvolti nel caso si crogiolavano
innocentemente al sole di un'insolita prosperit. Alcuni credono che sia
proprio in quest'ultimo particolare che vadano individuate le radici
dell'intera faccenda. E' risaputo che alcune localit della costa
orientale hanno risentito le conseguenze della paura dei bombardamenti
aerei e che un folto numero dei loro abituali visitatori si sono recati,
per la prima volta, nelle regioni occidentali. Perci si formulata una
teoria secondo la quale i paesi della costa orientale hanno agito in
maniera piuttosto gretta, hanno cio messo deliberatamente in
circolazione quelle voci, mossi da pura invidia e malignit Potrebbe
anche essere andata cos: non pretendo di conoscere il vero. Ma qui
voglio esporvi una mia personale esperienza, se cos posso chiamarla,
che illustra il modo in cui circolavano quelle voci. Un giorno stavo
pranzando nella mia trattoria di Fleet Street - erano gli inizi di
luglio - , quando un mio amico, un avvocato che si occupa di cause in
appello, entr nel locale e si venne a sedere al mio tavolo Ci mettemmo
a parlare delle vacanze e il mio amico - il suo nome Eddis - mi chiese
dove sarei andato io. "Al solito posto," risposi. "A Manavon. Lo sai che
andiamo sempre l." "Davvero?" disse il giurista. "Credevo che quella
costa si fosse parecchio degradata. Mia moglie ha un amico che ha
sentito dire che non pi quella di una volta." La sua affermazione mi
sorprese, non riuscendo a capire in che modo potesse essersi "degradato"
un piccolo paese come Manavon. Lo conoscevo da dieci anni e sapevo che
aveva soltanto venti postiletto per altrettanti turisti, e non riuscivo
a credere che dall'agosto del 1914 fossero spuntate intere schiere di
pensioni. Volli comunque indagare pi a fondo con Eddis. "Gitanti?" gli
chiesi, pur sapendo che, innanzitutto, i gitanti odiano i luoghi di mare
o di campagna solitari; in secondo luogo, che non un posto facilmente
ed economicamente raggiungibile da alcuna citt industriale; e infine,
che le ferrovie non emettono biglietti per escursioni in tempo di
guerra. "No, non esattamente gitanti," rispose l'avvocato. "Ma l'amico
di mia moglie conosce un prete che dice che la spiaggia di Tremaen non
un posto piacevole attualmente, e Tremaen a poche miglia di distanza
da Manavon, non vero?" "In che senso, non piacevole?" proseguii la
mia indagine. "Teatrini all'aperto ed esibizioni di cantanti vestiti da
Pierrot, o cose del genere?" Sapevo che non poteva trattarsi di questo,
perch le maestose rocce di Tremaen avrebbero tramutato il pi vivace
dei Pierrot in pietra. Sarebbe stato congelato in una rupe al centro
della spiaggia, e i gabbiani avrebbero portato via il suo canto, ormai
trasformato in lamento, verso le grotte solitarie e roboanti, che si
aprono nei dintorni di Avalon. Eddis disse di non aver sentito parlare
di artisti ambulanti; ma che era consapevole del fatto che, dallo
scoppio della guerra, i bambini dell'intero distretto erano sfuggiti di
mano. "Parole sconce, capisci," disse, "ed ogni cosa del genere, peggio
dei bambini dei bassifondi di Londra. Uno non vuole che la propria
moglie e i propri bambini sentano sconcezze, gi in situazioni normali,
figurarsi durante le vacanze. E dicono che Castell Coch diventato un
luogo quasi infrequentabile: non un posto per una signora per bene!"
Io dissi: "E' davvero un peccato," e cambiai argomento. Ma la cosa non
mi era affatto chiara. Conoscevo bene Castell Coch - una piccola baia
circondata da bastioni di dune e di scogliere di arenaria rossa, coperte
da abbondante vegetazione. Un ruscelletto di acqua fredda si getta l in
mare; ci sono le rovine di un castello normanno, la chiesa antica e
poche case sparpagliate: nell'insieme un luogo di grande bellezza, ricco
di pace e di tranquillit. La gente del posto, adulti o bambini che
fossero, era gente non solo educata, ma estremamente cortese. Se uno
ringraziava un bambino perch gli aveva aperto il cancello, avrebbe
inevitabilmente ricevuto la stessa replica: "E' sempre il benvenuto,
signore." No, la cosa non mi era affatto chiara. Non credevo ai racconti
del mio amico avvocato; per nulla a tariffa speciale, visto che siamo al
mondo, potevo far finta di non capire le sue reali intenzioni. E, onde
evitare ogni inutile mistero, posso aggiungere che io, mia moglie e i
miei figli andammo a Manavon lo scorso agosto e trascorremmo una vacanza
deliziosa. A quell'epoca non eravamo sicuramente a conoscenza di fatti
noiosi o sgradevoli di alcun tipo. In seguito, devo confessare, ho
sentito una storia che allora mi rese e mi rende tuttora perplesso, e
questa storia, se la consideriamo corrispondente al vero, pu fornire
una sua spiegazione ad un paio di circostanze, che apparentemente
sembrano insignificanti. Durante tutto il mese di luglio, mi imbattei in
continuazione in echi delle voci maligne che riguardavano il pi
grazioso angolino della terra. Alcune di queste voci ricalcavano il
pettegolezzo riportatomi da Eddis, altre amplificavano le sue vaghe
informazioni e fornivano maggiori dettagli. Naturalmente, non era
possibile trovare nessun testimone di prima mano. Non c' mai un
testimone di prima mano in casi del genere. Ma A conosceva B che aveva
sentito da C che la figlioletta della cugina di secondo grado era stata
assalita e picchiata da una banda di giovani selvaggi gallesi. Poi la
gente prese a fare il nome di "un dottore, con una buona clientela, che
esercita in una ben nota citt del Midlands," che avrebbe dichiarato che
Tremaen era un ricettacolo di depravazione giovanile. Dissero che la
testimonianza di un valente uomo di medicina era una prova definitiva e
inconfutabile; ma non si presero la briga di scoprire il nome del
dottore e di accertare se fosse realmente un dottore - o se invece si
fosse trattato di un dottore creato per l'occasione. Poi della cosa
cominciarono ad occuparsi i giornali in maniera, per certi versi,
contorta e incidentale. La gente citava il caso di questi immaginari
bambini cattivi per fornire un ulteriore prova alla validit delle
teorie educative che voleva esporre. C'era una fazione che sosteneva che
"quei piccoli infelici" avrebbero avuto un comportamento corretto se non
avessero avuto alcuna istruzione; l'opposizione dichiarava che un corso
serale di perfezionamento li avrebbe prontamente recuperati e ne avrebbe
fatto ammirevoli cittadini. Quindi quei poveri bambini di Arfonshire
furono coinvolti nelle discussioni sulla crisi del Galles e nella
questione dei minatori; e, durante tutto questo tempo, essi continuarono
a comportarsi in modo educato ed ammirevole come avevano sempre fatto.
Non dubitai neanche per un momento che si trattava soltanto di
sciocchezze, ma non riuscivo assolutamente a capire il loro significato,
n a scoprire chi stesse manovrando i fili delle voci messe in
circolazione, e quale fosse lo scopo di una tale manovra. Cominciai a
domandarmi se per caso l'opinione pubblica non fosse completamente
sconvolta a causa della tensione e dell'ansiet a cui l'aveva costretta
una guerra terribile, e che perci ora era pronta a credere a qualsiasi
fandonia, a discutere le ragioni di eventi che non erano mai realmente
accaduti. Alla fine, cominciarono a correre voci al limite del
credibile: turisti non solo picchiati, ma torturati, un bambino trovato
infilzato su un palo in un campo isolato nei pressi di Manavon, un altro
trascinato alla distruzione sugli scogli di Castell Coch. Un quotidiano
inglese mand un uomo ad indagare sul luogo. Vi rimase una settimana, e,
alla fine di quel soggiorno, torn nel suo ufficio e, per usare le sue
stesse parole, "smont l'intera faccenda". Disse che in nessuna di
quelle voci c'era una sola parola di vero, non la pi piccola traccia di
fondamento nelle forme meno sfrenate di tutto quel pettegolare. Non
aveva mai visto una regione cos bella, non aveva mai incontrato uomini,
donne o bambini tanto piacevoli; non aveva riscontrato un singolo caso
di persone che avessero subito noie o seccature in alcun modo. Eppure,
nel frattempo, la storia lievitava, e lievitava sempre pi mostruosa e
incredibile. Io ero troppo occupato a osservare i progressi del mio
mostro mitologico per prestarvi molta attenzione. Il segretario
municipale, al cui orecchio la diceria era alla fin fine arrivata,
scrisse una breve lettera indignata alla stampa, in cui negava
l'esistenza del pi piccolo fondamento di verit per le "disgustose
voci" in circolazione. E, pi o meno a quell'epoca, io e la mia famiglia
ci recammo a Manavon dove, come ho gi detto, ci divertimmo molto. Il
tempo fu perfetto: il cielo di un azzurro paradisiaco, il mare una
continua meraviglia luccicante; infinite variet di verde, dall'oliva
allo smeraldo, rossi carichi, trasparenze di zaffiro che cangiavano
sotto gli scogli; ed in lontananza una leggera foschia in cui si
fondevano luci e colori, l dove il mare incontra il cielo. Il lavoro e
la tensione avevano consumato tutte le mie forze; non c'era niente di
meglio che riposare in riva al mare, respirando l'odore di timo, niente
di meglio che godere dell'aria balsamica e ristoratrice del mare aperto
che si apriva dinanzi a me, sdraiato tra mille minuscoli fiori. Il lungo
pomeriggio estivo lo trascorrevamo seduti su un grosso spuntone di
roccia che dominava la grigia scogliera, ad osservare la marea
spumeggiare e fluttuare tra i massi, ad ascoltarla rombare nelle caverne
e nelle cavit sottomarine. In seguito, l'ho gi detto, ci furono un
paio di cose che mi colpirono profondamente. Ma all'epoca tutto pareva
normale. Se vedi passare un uomo con in testa uno strano cappello
bianco, non ci fai quasi per niente caso. Ma in seguito, quando vieni a
sapere che un uomo che indossava un cappello proprio come quello che tu
hai visto aveva commesso un omicidio cinque minuti prima, nella strada
affianco, allora in quel cappello cominci a trovare un certo interesse
ed un certo significato. "Buffi bambini," cos diceva mio figlio, ed io
cominciai a pensare che erano effettivamente "buffi." Se esiste una
spiegazione a tutta questa bizzarra faccenda, io credo che vada
ricercata in una conversazione che ho avuto non molto tempo fa con un
mio amico, che si chiama Morgan. E' un gallese e un sognatore, ed alcuni
dicono che come un bambino diventato adulto ma non nel modo in cui
diventano adulti gli altri piccoli degli uomini. Sebbene io non ne fossi
a conoscenza, mentre io ero a Manavon, lui trascorreva le vacanze a
Castell Coch. E' un solitario e gli piacciono i luoghi solitari e,
quando ci vedemmo in autunno, mi raccont di come, giorno dopo giorno,
si portava un cestino, con il pane, il formaggio e la birra, su di un
remoto promontorio a picco sul mare, conosciuto con il nome di "Il
vecchio campo". Qui, ad una notevole altezza dal livello del mare,
sorgono maestose e possenti mura, ricoperte da un tappeto erboso,
camminamenti spianati e levigati dallo scorrere dei millenni. Ad una
delle estremit di questo luogo antichissimo, c' un tumulo, una
torretta di avvistamento, forse, e sotto di essa si snoda il lungo,
falso fossato, che sembra serpeggiare sino al cuore dell'accampamento e
che invece forma uno scivolo su una roccia senza appigli e precipita in
mare. Qui si recava quotidianamente Morgan, come mi disse lui stesso,
per sognare di Avalon, per purificarsi dei fumi cittadini. E perci fu
sorpreso e allo stesso tempo orripilato quando un pomeriggio, mentre
sonnecchiava sognando ed aprendo di tanto in tanto gli occhi per
osservare il prodigio e la magia del mare, cullato dall'eterno mormorio
delle onde, le sue meditazioni furono interrotte da un improvviso
scoppio di grida rauche: grida di bambini, ma di bambini di infimo
livello. Morgan sostiene che anche la sola intonazione lo fece
rabbrividire: "Erano all'udito quello che la melma al tatto," e poi
c'erano le parole: oscenit, disgustose sconcezze di ogni tipo
immaginabile, bestemmie che colpivano come frustate, che rotolavano
nello splendore e nella purezza degli abissi, profanandoli! Era
stupefatto. Si affacci sulle verdi mura del forte e li, nel fossato,
vide uno sciame di disgustosi bambini, orribili creature piccole e
rachitiche con la faccia di vecchio, vide i volti tumefatti, i piccoli
occhi infossati che guardavano di sbieco. Sarebbe stato meglio stanare
una covata di serpenti o un nido di vermi. No, lui non mi avrebbe
descritto cosa stavano per fare. "Basta che leggi quanto avvenuto in
Belgio," mi disse Morgan, "e poi fai conto che non potevano avere pi di
cinque o sei anni." Disse che non esiste infamit che essi non
perpetrarono, che non evitarono alcun orrore o crudelt possibile. "Ho
visto il sangue scorrere a fiumi, mentre lanciavano i loro gridolini
striduli intervallati da scoppi di riso, ma dopo non riuscii ad
individuare sull'erba neanche una piccola goccia di sangue." Morgan
disse che era rimasto a guardarli, senza pronunciare una parola: era
come se una mano gli avesse tenuta tappata la bocca. Ma alla fine
ritrov la voce e lanci un urlo, ed essi scoppiarono in un'acuta ed
oscena risata, risposero con un urlo al suo urlo, e si dispersero fino a
scomparire alla vista. Non riusc a trovarne traccia ed immagin che si
erano nascosti nelle alte felci dietro a "Il vecchio campo". "A volte
non riesco a capire il mio padrone di casa di Castell Coch," prosegu
Morgan. "E' il direttore dell'ufficio postale del villaggio e possiede
una piccola fattoria: un uomo per bene, piacevole e piuttosto ordinario.
Ma di tanto in tanto si lascia andare a delle stranezze. Gli stavo
raccontando di quei nauseabondi bambini e mi chiedevo chi potevano
essere, quando lui mi interruppe bruscamente in gallese, dicendo
qualcosa del tipo " la battaglia che si combatte nei secoli, ed il
Popolo ne prova piacere."" Questo quanto mi disse Morgan, ed era
chiaro che lui non aveva capito nulla. Ma questo suo strano racconto mi
riport alla mente un paio di circostanze che ora riuscivo a collegare:
mio figlio, pi di una volta, si era spinto troppo lontano nei suoi
vagabondaggi, perdendosi tra le dune di sabbia, ed era sempre ritornato
scosso dai singhiozzi, terribilmente spaventato, farfugliando di "buffi
bambini". Noi non vi avevamo fatto caso, non credo che ci fossimo
preoccupati di accertarci della presenza di bambini nascosti tra le
dune. Eravamo abituati alle sue piccole storie inventate. Ma, dopo aver
ascoltato la storia di Morgan, il mio interesse si ridest e scrissi un
resoconto al mio vecchio amico, Doctor Duthoit, di Hereford. Ecco cosa
mi rispose: "Essi sono visibili e udibili solo dai bambini o da chi ha
conservato un animo infantile. Ed ecco la spiegazione delle tue iniziali
perplessit: come erano nate quelle voci? Erano nate da pettegolezzi
infantili, da spezzoni e frammenti di frasi mal pronunciate da bambini,
da racconti di orrori che non comprendevano, da parole che facevano
arrossire le balie e le madri. "Questi piccoli esseri della terra si
risvegliano e schiamazzano in tempi come il nostro. Giacch, come ha
detto il gallese, essi sono felici quando sanno che gli uomini imitano
il loro comportamento."

Arthur Machen
IL RAGAZZO SAGACE

I
Il giovane Joseph Last, avendo definitivamente abbandonato l'Universit
di Oxford, medit a lungo su quanto doveva fare nel prossimo futuro e
negli anni successivi. Era orfano sin dalla prima fanciullezza, poich
entrambi i genitori erano morti di febbre tifoidea, a pochi giorni di
distanza l'uno dall'altra, quando Joseph aveva dieci anni, e lui
ricordava assai poco di Dunham, dove suo padre era stato l'ultimo di una
lunga stirpe di avvocati, che esercitavano in quel luogo dal 1707. Un
tempo i Last avevano goduto di ottime condizioni finanziarie. Di tanto
in tanto si erano imparentati, attraverso vari matrimoni, con la piccola
nobilt del circondario, e avevano maneggiato una gran parte dei redditi
della buona societ della contea, dirigendo tenute, riscuotendo pigioni,
ufficiando da amministratori per parecchi manieri, vivendo generalmente
in un mondo di tranquilla ma discreta prosperit, che raggiunse l'apice,
forse, durante e dopo le Guerre Napoleoniche. E poi inizi il declino,
niente affatto violento, graduale, cosicch, gi molti anni prima che
loro se ne rendessero conto, il processo di decadimento aveva imboccato
il suo lento ed incessante corso. Senza dubbio, gli economisti
comprendono molto bene i motivi per cui la campagna e le citt di
provincia divennero gradualmente meno importanti dopo la battaglia di
Waterloo. Conoscono le cause della decadenza e delle trasformazioni che
irritarono cos dolorosamente Cobbett, quando vide, o credette di
vedere, la vita e la forza della terra risucchiate per alimentare la
mostruosa escrescenza di Londra. Ad ogni modo, anche prima dell'avvento
della ferrovia, i saloni delle citt di provincia si svuotarono e si
ricoprirono di polvere, le famiglie nobili della contea cessarono di
trasferirsi nelle loro "case di citt" per la stagione invernale, i
piccoli teatri, dove Mrs. Siddons e Grimaldi si erano esibiti nei loro
diversi ruoli, aprirono di rado i loro battenti, e gli abili artigiani,
gli orologiai, i mobilieri e tutti gli altri, cominciarono a traslocare
nelle grandi citt e nella capitale. Accadde anche a Dunham. Ovviamente,
le fortune dei Last decaddero assieme alle fortune della citt; c'erano
state speculazioni che si erano rivelate sbagliate e la gente parl di
grosse perdite in titoli stranieri. Quando il padre di Joseph mor, si
scopr che c'era quanto bastava all'istruzione del ragazzo ed al suo
mantenimento in un'agiatezza assai modesta, ma non molto altro. Joseph
abit a casa di uno zio che viveva a Blackheath e, dopo alcuni anni
nella rinomata scuola propedeutica di Mr. Jones, and al Merchant
Taylors e di l a Oxford. Prese una laurea discreta (secondo all'esame
finale di B.A.) e poi inizi quel processo di riflessione sulla sua
attivit futura. Le sue entrate gli permettevano di sostentarsi a
braciole e bistecche, concedendogli un uccelletto arrosto nelle
ricorrenze, ed una volta all'anno tre o quattro settimane sul
Continente. Se avesse voluto, avrebbe potuto non fare niente, ma tale
prospettiva gli pareva insipida e monotona. Era un discreto studioso
delle lettere classiche, con qualche competenza e aspirazione in pi
dell'insegnante medio, che ha una conoscenza puramente tecnica del
latino e del greco, ed spinto dal solo interesse professionale: pure,
l'insegnamento gli pareva il solo possibile e naturale sbocco
lavorativo. Ma aveva scarse probabilit di ottenere un posto in una
delle grosse scuole private. Innanzi tutto, Joseph aveva sprecato le
opportunit che gli aveva offerto Oxford. Era andato in uno dei college
meno prestigiosi, uno di quei college di cui si legge nei libri di
memorie che riguardano i primi anni del Diciannovesimo Secolo e che ne
parlano come centri e fonti di vita intellettuale, quegli stessi college
che poi, per una ragione o per l'altra, o addirittura senza ragione
alcuna, sono caduti nell'ombra. Non si ha niente in particolare contro
di loro: ma nessuno ne parla pi. In uno di questi posti, Joseph Last
aveva stretto amicizia con dei bravi ragazzi, uomini tranquilli e
allegri come lui; ma essi non erano, nel senso pratico del termine, i
"buoni amici" che un giovanotto avveduto conosce all'Universit. Uno o
due avevano in mente il tribunale, e due o tre l'amministrazione civile;
ma i pi erano destinati a diventare Curati di campagna o impiegati di
provincia. Generalmente, e a fini pratici, erano gente "fuori dal giro":
non erano certo uomini i cui bisbigli potevano arrecare dei vantaggi
nelle alte sfere. Inoltre, gi a quel tempo, lo sport stava diventando
importante nelle scuole accreditate; e, in quel campo, il giovane Last
era decisamente fuori dal giro. Portava gli occhiali con delle lenti
bizzarramente irregolari: la sua incapacit atletica era completa e
definitiva. Medit a lungo e, all'inizio, pens di aprire una piccola
scuola propedeutica in uno dei quartieri bene alla periferia di Londra;
una scuola senza convitto, dove i genitori avrebbero potuto assicurare
ai figli delle buone basi sin dalle prime classi, in cambio di rette
relativamente modeste, pur continuando a tenere sotto controllo la loro
educazione. Last aveva spesso pensato che era un atto barbarico
sottrarre un piccolo marmocchio di sette o otto anni alle comode e
amorevoli cure della sua famiglia per mandarlo in un posto strano tra
freddi estranei, dove doveva sopportare una nuda panca, l'odore di
inchiostro e la mattina l'ora di grammatica a stomaco vuoto. Ma Jim
Newman, un amico del suo excollege con cui si era consultato, che era
un ragazzo assai saggio, gli consigli di lasciar cadere il suo progetto
e di metterci una croce sopra. Newman, in primo luogo, argoment che
l'insegnamento non era un'attivit redditizia, a meno che non fosse
associata con la gestione di un pensionato. Quella si che sarebbe stata
una buona idea, disse lui, pi che buona: e avanz l'ipotesi che molti
proprietari di pensionati di livello comune sarebbero stati disposti a
insegnargli i segreti del mestiere alle dipendenze del direttore.
"L'arredamento non ti verrebbe a costare poi tanto, sai. Tu non vuoi
trasformare i ragazzi in giovani sibariti. Inoltre, non c' niente che
un ragazzo sano di mente odia di pi dell'odore di chiuso: quello che
vuole una buona razione di aria fresca e pulita. E, sai, vecchio mio,
l'aria fresca piuttosto economica. E, per quanto riguarda il cibo, si
spesso portati a criticare il fatto che nei pensionati ordinari
immangiabile; ma, nel genere di pensionati di cui stiamo parlando noi,
un piccolo infortunio con la carne di vitello o di montone offre
un'assai preziosa opportunit per l'esercizio della virt
dell'abnegazione." Last ascolt tutto il discorso con un sogghigno
funereo sul viso. "Sembri sapere tutto sull'argomento," disse. "Perch
non apri tu stesso un pensionato scolastico?" "Non parlavo sul serio:
non ho resistito alla tentazione di ironizzare un po' sul tuo progetto.
E poi non credo che sia un grosso divertimento. In autunno partir per
l'India. Che ne dici della caccia al cinghiale?" "E c' ancora un'altra
cosa," prosegu dopo una breve pausa di riflessione. "La tua idea di
aprire una scuola propedeutica senza pensionato marcia e stantia. I
genitori non ti ringrazierebbero mica per la tua magnanimit, o perch
permetti loro di tenere in casa i figli piccoli e bisognosi di cure.
Alcuni si azzardano a dire che il fine principale delle scuole quello
di fornire ai genitori una buona scusa per sbarazzarsi dei figli. Ma
questa una sciocchezza. La maggior parte dei padri e delle madri amano
appassionatamente i loro bambini e sono contenti di vederli girare per
casa. Quando sono piccoli, se non altro. Ma, in un modo o nell'altro, si
sono ficcati in testa che un precettore sconosciuto sa meglio dei
genitori come educare un ragazzo. Questa l'opinione comune. Perci,
tutto sommato, lascia perdere questo tuo progetto." Last ci pens un po'
sopra, consider attentamente la situazione del mondo della scuola, e
arriv alla conclusione che Newman aveva ragione. Per due o tre anni si
assunse l'incarico di organizzare delle serate letterarie durante le
vacanze. Durante l'inverno impartiva lezioni private a ragazzi bisognosi
di sostegno e preparava agli esami per una borsa di studio ragazzi pi
diligenti e pi svegli. Ed un piccolo libro di testo, Elementi di Greco,
si rivel abbastanza utile per l'insegnamento alle classi inferiori. In
generale se la cavava piuttosto bene, sebbene il lavoro cominciasse ad
annoiarlo profondamente, e i soldi che guadagnava, sommati alla sua
rendita, gli permettevano di vivere come lui voleva, con una certa
agiatezza. Aveva un paio di stanze in una di quelle strade che dallo
Strand scendono al fiume, per le quali pagava una sterlina alla
settimana, a pranzo mangiava pane e formaggio e gli avanzi della sera
prima, beveva la birra spillata dalla botte che aveva in cantina, e
cenava a base di piatti semplici ma nutrienti, ora in una ora nell'altra
di quelle tranquille trattorie che allora abbondavano nel quartiere. E,
di tanto in tanto, all'incirca una volta al mese, invece di mangiare in
trattoria, c'era da andare allo spettacolo al Vaudeville o all'Olympic,
al Globe e allo Strand, con una cena pi raffinata e un liquorino per
riscaldarsi. La serata poteva anche trasformarsi in una festicciola: i
vecchi amici di Oxford facevano spesso un salto da lui tra le sei e le
sette. Veniva Zouch da The Temple e Medwin da Buckingam Street, e a
volte scendeva dalla sua collina spersa nella periferia settentrionale
di Londra anche Garraway, che prendeva l'autobus chiamato Gialla Albione
e bussava al numero 14 di Mowbray Street, dove pretendeva tabacco e
pipa, birra scura e un posto di platea per una buona rappresentazione.
E, in rare occasioni, si presentava ancora un altro membro della piccola
comitiva, Noel. Noel viveva a Turnham Green in una casa di mattoni
rossi, che all'epoca veniva considerata semplicemente antiquata, e che
oggi verrebbe ammirata - ma stata demolita da tempo - come pregevole
esempio dello stile della Regina Anna o del primo periodo del regno di
Re Giorgio. Viveva l con suo padre, un funzionario in pensione del
British Museum, e, con l'aiuto di un uomo che aveva conosciuto ad
Oxford, aveva intrapreso la carriera del giornalismo letterario e
collaborava regolarmente con un importante settimanale. Di qui il
seguito delle sue saltuarie apparizioni a Buckingam Street, Mowbray
Street e the Temple. Noel, come letterato, se cos si pu dire o,
almeno, come giornalista professionista, era membro del Blacks' Club,
che a quel tempo aveva una modesta sede in Maiden Lane. Noel faceva il
giro delle tane dei suoi amici, li rianimava a forza di ostriche e birra
liquorosa, li guidava nelle platee di qualche teatro dei dintorni, da
dove essi si godevano eccellenti recitazioni in commedie allegre e
strampalate, e poi erano pronti per una cena al Tavistock. Dopodich,
Noel conduceva la comitiva al Blacks' Club dove, molto probabilmente,
incontravano alcuni degli attori che poco prima li avevano divertiti e
gli amici di Noel, giornalisti, letterati, e di tanto in tanto un
pittore e un attore del cinema. Qui Last se la spassava un mondo,
soprattutto con gli attori che a lui parevano pi geniali dei letterati.
Leg in particolar modo con uno di essi, l'anziano Meredith Mandeville,
che aveva parlato con Kean il vecchio, che impersonava dignitosamente i
personaggi minori delle opere Shakespeariane e che raccontava avvincenti
storielle sugli anni trascorsi recitando nei circuiti di provincia.
"Agli inizi ti davano nove scellini alla settimana. Quando arrivavi a
quindici scellini ne davi otto o nove alla padrona di casa ed il resto
lo spendevi per divertirti. Ti sentivi un principe. E le famiglie nobili
della contea spesso venivano a trovarci in camerino: era estremamente
piacevole." Con questo vecchio cordiale e raffinato, la cui placida e
geniale serenit non veniva minimamente scalfita da incalcolabili
quantit di gin, Last amava conversare, perch gli faceva intravvedere
squarci di una vita per lui misteriosa e remota: i vagabondaggi,
l'insicurezza, i tempi difficili, la spensieratezza e, sullo sfondo, il
mormorio e il fervore del palcoscenico, voci che declamavano cose
terribili, e la sensazione di muoversi tra due mondi. Il vecchio, per
sua stessa ammissione, non aveva raggiunto n la fama n la ricchezza,
eppure era contento di come aveva vissuto, ironizzava sugli svantaggi
del suo mestiere, e faceva sembrare i tempi difficili un'avventura. Pi
di una volta Last espresse la sua invidia per la carriera dell'attore,
soffermandosi sull'ottusa insulsaggine dei suoi sforzi, che
consistevano, diceva, nel cincischiare le menti dei ragazzini,
nell'insegnare ai ragazzi pi grandi i trucchi degli esaminatori, ed in
generale nel fare cose che non aveva alcuna importanza. "Non pi
istruzione di quanto l'innalzare un muro sia fare dell'architettura,"
disse una sera. "E non una cosa molto divertente." Il vecchio
Mandeville, dal canto suo, ascoltava con interesse quei discorsi che gli
rivelavano un mondo a lui estraneo e ignoto non meno di quanto la vita
delle luci della ribalta lo era per il precettore. Si pu dire che non
conosceva alcun libro che non fosse un'opera teatrale. Certo aveva
sentito parlare di quelle cose chiamate esami, come la maggior parte
della gente ha sentito parlare delle cerimonie di iniziazione dei
Pellerossa: ma per lui gli uni non erano meno distanti degli altri.
Perci gli pareva interessante e strano stare seduto al Blacks e
conversare con un giovane dignitoso, che era seriamente coinvolto in
quelle curiose faccende. E c'erano - not Last con meraviglia - persino,
o almeno cos sembrava, dei punti di contatto tra le due sfere. Il
precettore, desiderando piacergli, una sera cominci a parlare delle
origini del King Lear. L'attore si trov ad ascoltare il racconto di
leggende celtiche che a lui davano l'impressione di incomprensibili
assurdit. E quando Last arriv al punto in cui si narra del Cavaliere
che combatte contro il Re del Regno delle Fate per la mano di Cordelia
sino al Giorno del Giudizio Universale, Mandeville proruppe: "Lear un
brutto grattacapo, non c' dubbio. Lei troppo giovane per aver visto
il Lear di Barry O'Brien: magnifico! Prima di lui ci avevano tentato in
molti. Ma nessuno era riuscito a far vivere il personaggio. Io stesso ho
impersonato il Buffone e, devo dire, non senza ricevere tributi e
applausi. Ricordo una volta a Stratford..." E Last fu felice di
lasciargli raccontare il suo aneddoto, che terminava in modo piuttosto
curioso... con un cuore di manzo per cena. Ma una sera, in cui Last si
lagnava, come spesso faceva, del carattere frammentario, saltuario e del
tutto insoddisfacente del suo lavoro, il vecchio lo interruppe con un
discorso assolutamente inaspettato. "E' possibile," esord, "noti bene,
dico possibile, che io possa offrirle un modo di alleviare il tedio del
suo destino. Alcuni giorni fa sono stato in visita a casa di una mia
cugina, tale Miss Lucy Pilliner, donna assai amabile. Ella ha una
notevole conoscenza del mondo, ed io, spero che mi perdoni la libert
che mi sono preso, nel corso della nostra conversazione ho accennato in
breve alla sua situazione. Le ho riferito di aver conosciuto di recente
un giovane educato di notevole esperienza pedagogica, in una certa
misura insoddisfatto della eccessiva discontinuit della sua attuale
occupazione. Ero rimasto colpito dall'interesse meditativo mostrato da
mia cugina nell'ascoltare quelle mie osservazioni, ma non ero certo
preparato a ricevere questa lettera." Mandeville porse la lettera a
Last. Cominciava cos: "Mio caro Ezekiel," e, con la coda dell'occhio,
Last not uno sguardo dell'attore che lo invitava al silenzio e alla
segretezza. La lettera continuava dicendo, in uno stile quasi
altrettanto dignitoso quanto quello di Mandeville, che l'autrice aveva
riflettuto sulla situazione del giovane precettore, cos come le era
stata riferita nel corso della loro assai piacevole conversazione del
venerd precedente, ed era propensa a pensare di essere a conoscenza di
un posto di istitutore a breve disponibile in una famiglia della buona
societ, che avrebbe avuto un carattere pi stabile e soddisfacente. "Se
il tuo amico dovesse essere interessato a questa sistemazione,"
concludeva Miss Pilliner, "sarei lieta se si mettesse in comunicazione
con me, al fine di fissare un incontro, in cui discutere con maggiori
dettagli l'intera faccenda." "Cosa ne pensa?" disse Mandeville, quando
Last gli ebbe restituita la lettera di Miss Pilliner. Last ebbe un
attimo di esitazione. Tutto quello che strano e improbabile suscita
sovente attrazione mista a repulsione, e Last non era sicuro che un
posto di istitutore ottenuto tramite un attore conosciuto al Blacks Club
ed una signora di Islington - aveva letto la localit nell'intestazione
della lettera - potesse essere affatto duraturo o desiderabile. Ma
prevalsero pensieri pi lieti, per cui assicur Mandeville che lui
sarebbe stato fin troppo contento di esaminare pi a fondo la proposta e
lo ringrazi calorosamente del suo interesse. Il vecchio assent
benevolo, gli dette nuovamente la lettera affinch lui annotasse
l'indirizzo di Miss Pilliner, e gli consigli di inviarle subito un
breve messaggio per chiederle un appuntamento. "Ed ora," disse,
"malgrado le cavillose obiezioni del Principe Malcontento, propongo un
brindisi alla sua salute." Ed augur a Last tutta la fortuna possibile
con sincera sollecitudine. Un paio di giorni dopo, Miss Pilliner
presentava i suoi ossequi a Mr. Joseph Last e lo pregava di onorarla di
una visita alle dodici di tre giorni dopo, "se n il giorno n l'ora
fossero in qualche modo incompatibili con la sua disponibilit."
Proseguiva dicendo che avrebbero potuto approfittare dell'occasione per
discutere una certa proposta, la cui natura, credeva, fosse stata
esposta a Mr. Last dal suo buon cugino, Mr. Meredith Mandeville. Corunna
Square, dove Miss Pilliner viveva, era una piccola, quasi minuscola,
piazza situata nella zona meno frequentata di Islington. Era circondata
da casette a due piani, in pallidi mattoni giallastri, quasi
completamente ricoperte di vite americana, clematide e ogni specie di
rampicante. Dinanzi alle case c'erano piccoli giardini, gaiamente
fioriti, cinti da palizzate e, unico elemento caratterizzante della
piazza, in un angolo stormiva un venerando gelso dalla folta chioma,
assai pi vecchio degli edifici che lo circondavano. Miss Pilliner
abitava nell'angolo pi quieto della piazza. Accolse Last con un gesto a
met tra l'inchino e la riverenza, e lo preg di accomodarsi in una
poltrona dall'alto schienale, imbottita di crine di cavallo. Miss
Pilliner, not lui, dimostrava sessant'anni, e forse ne aveva qualcuno
di pi. Era magra, segaligna e contegnosa, eppure era lecito sospettare
una nascosta eccentricit. Poi, mentre venivano scambiati i convenevoli
sul tempo, Miss Pilliner gli offr, a scelta, porto o sherry, biscotti o
plum cake. Quindi entr nel merito della questione all'ordine del
giorno. "Mio cugino, Mr. Mandeville," esord, "qualche tempo fa mi ha
parlato di un suo giovane amico di grande talento pedagogico che,
tuttavia, era insoddisfatto del carattere in qualche modo casuale e
occasionale della sua attuale occupazione. "Per una singolare
coincidenza, un paio di giorni prima, io avevo ricevuto una lettera da
una mia amica, tale Miss Marsh. In realt, ella una mia lontana
parente, una specie di cugina, credo ma, non essendo n scozzese n
gallese, non le so dire con esattezza il grado. Era una ragazza
adorabile ed ancora adesso una bella donna. Da nubile si chiamava
Manning, Arabella Manning, e cosa l'ha portata a sposare Mr. Marsh non
lo saprei proprio dire. Io l'ho visto solo una volta, e mi parso a lei
inferiore sotto ogni punto di vista e notevolmente pi vecchio.
Tuttavia, lei sostiene che un marito devoto ed una persona eccellente
sotto ogni punto di vista. "Essi si conobbero, per quanto strano possa
sembrare, a Pechino, dove Arabella lavorava come istitutrice in una
delle famiglie della Legazione Diplomatica. Mr. Marsh, mi parso di
capire, nella capitale della Terra dei Mille Fiori, rappresentava
interessi commerciali di grande importanza e, dopo essersi conosciuti
per mio tramite, pare sia seguita una reciproca attrazione. "Arabella
Manning lasci il suo lavoro presso la famiglia dell'Addetto Diplomatico
e, a tempo debito, furono celebrate le nozze. Appresi questa notizia
nove anni fa tramite una lettera di Arabella, spedita da Pechino, in cui
la mia parente concludeva dicendo che temeva di non poter fornirmi un
indirizzo per un'immediata risposta, in quanto Mr. Marsh era in procinto
di partire per una missione di natura estremamente urgente per conto
della sua ditta, ed il suo carico avrebbe comportato numerosi viaggi e
frequenti cambi di indirizzo. "La situazione di Arabella suscit in me
una profonda inquietudine, perch il suo mi pareva un modo di vita
instabile ed assai poco congeniale alla nascita di una famiglia.
Tuttavia, un mio amico che lavora nella City, mi assicur che non si
trattava di una condizione insolita e che non c'era motivo di
preoccuparsi. Ma, col passare degli anni e non avendo ricevuto ulteriori
comunicazioni, mi ero persuasa che mia cugina fosse morta, in seguito a
qualche forma di malattia tropicale contratta in quei paesi lontani, e
che Mr. Marsh avesse crudelmente trascurato di comunicarmi la notizia
del triste evento. "Ma un mese fa, a giorni un mese esatto" Miss
Pilliner indic un calendario posato sul tavolo accanto a lei "fui
stupita e compiaciuta nel ricevere una lettera di Arabella. Scriveva da
uno degli hotel pi lussuosi ed esclusivi del West End londinese, e mi
annunciava il ritorno suo e del marito nella madrepatria dopo molti anni
di peregrinazioni. L'attivit commerciale di Mr. Marsh, diceva, aveva
alla fine avuto esito felice ed aveva a loro arrecato grande benessere.
Ora era in trattative per l'acquisto di una piccola tenuta in campagna,
dove sperava di trascorrere il resto dei suoi giorni in tranquillo
ritiro." Miss Pilliner fece una pausa e riemp di nuovo il bicchiere di
Last. "Sono terribilmente spiacente," prosegu, "di doverla infastidire
con un racconto cos lungo che, sono certa, star mettendo a dura prova
la sua pazienza. Ma, come constater lei stesso tra breve, le
circostanze di cui stiamo parlando sono un po' insolite, e dato che lei,
spero, ripone in esse un particolare interesse, penso sia giusto
informarla di ogni minimo dettaglio: sar, schietta e sincera, giocher
a carte, scoperte, come soleva dire con i suoi modi bruschi il mio
povero padre. "Dunque, Mr. Last, come le stavo dicendo, ho ricevuto la
lettera di Arabella, in cui mi annunciava quella notizia tanto
piacevole. Come pu immaginare, fui molto sollevata nell'apprendere che
tutto si era risolto per il meglio. Alla fine della lettera, Arabella mi
invitava ad andare a far loro una visita, dicendomi che suo marito era
estremamente ansioso di avere il piacere di conoscermi." Miss Pilliner
si avvicin ad uno scrittoio posto accanto alla finestra e tir fuori
dal cassetto una lettera. "Arabella sempre stata premurosa. Dice: "So
che hai sempre vissuto una vita tranquilla e che non sei abituata al
tumulto della Londra del bel mondo. Ma non devi preoccuparti. Billing's
Hotel non uno di quei frenetici caravanserragli moderni. E' un posto
molto tranquillo, ed inoltre noi abbiamo una piccola suite tutta per
noi. Herbert - suo marito, Mr. Last - insiste per una tua visita e tu
non puoi deluderci. Se a te va bene mercoled 22, una vettura verr a
prenderti per condurti all'hotel e ti riaccompagner a Corunna Square,
dopo esserti unita a noi per una breve cena." "Molto gentile, assai
premurosa, non d'accordo, Mr. Last? Ma guardi il postscriptum." Last
prese la lettera e lesse in una grafia chiara ed elegante: "PS. Abbiamo
una meravigliosa notizia da darti. E' troppo bella per comunicarla per
lettera, perci la serber per il nostro incontro." Last restitu la
lettera di Mrs. Marsh. Il lungo e cerimonioso preambolo lo stava
cullando in una sorta di dolce torpore. Si chiese vagamente quando
sarebbe arrivata al punto ed in cosa sarebbe consistito il punto una
volta che ci fosse arrivata e, soprattutto, che diavolo poteva avere a
che fare con lui quella stupida storia di famiglia. Miss Pilliner
prosegu. "Naturalmente, io non potevo rifiutare un invito formulato con
tanta gentile insistenza. Ero ansiosa di rivedere Arabella dopo la sua
lunga assenza, ed ero lieta di avere l'opportunit di formarmi una mia
personale opinione su suo marito, di cui io non sapevo assolutamente
nulla. Inoltre, Mr. Last, confesso di non essere esente da quello
spirito indagatore, che gli uomini hanno raramente enumerato tra le
qualit femminili. Ero impaziente di essere edotta sulla meravigliosa
notizia che Arabella aveva promesso di svelare nel corso del nostro
incontro e sperperai molte ore nel congetturare sulla sua natura.
"Arriv il giorno prefissato. All'ora stabilita arriv una lucida
carrozza coperta con il vetturino in livrea, che mi condusse nel morbido
lusso del Billing's Hotel in Manner Street, Mayfair. Un maggiordomo mi
accompagn alla suite del primo piano occupata da Mr. e Mrs. Marsh. Non
voglio rubarle un'altra porzione del suo prezioso tempo, Mr. Last, per
soffermarmi sulla ricca ma elegante sontuosit del loro appartamento; le
confider soltanto che i miei parenti mi assicurarono che i ninnoli di
Svres che ornavano il salotto erano stati valutati novecento ghinee.
"Vidi che Arabella era ancora una bellissima donna, ma non potei fare a
meno di notare che i paesi tropicali in cui aveva vissuto per tanti anni
avevano lasciato il loro segno sulla sua un tempo sfolgorante bellezza;
mi angusti il dover rilevare una certa estenuazione, una spossatezza
nel suo aspetto e nel suo contegno. Quanto a suo marito, Mr. Marsh, mi
rendo conto che formulare un giudizio sfavorevole sul suo conto dopo un
incontro durato appena poche ore azione imprudente e poco
caritatevole. E certo non dimenticher facilmente il sermone pronunciato
dal caro Mr. Vein dal pulpito dell'Emmanuel Church proprio la domenica
successiva alla visita fatta ai miei parenti: sembrava davvero, e mi
vergogno a confessarlo, che Mr. Vein avesse appunto me in mente e che
considerasse suo sacro dovere mettermi in guardia prima che fosse troppo
tardi. Pure, devo dire che Mr. Marsh non mi ha ispirato una grande
simpatia. Non saprei proprio dire il perch. Con me stato estremamente
garbato: non avrebbe potuto esserlo di pi. Quella sera sottoline pi
di una volta il grande piacere che provava nel conoscere finalmente una
persona, di cui tanto aveva sentito parlare dalla sua adorata Bella;
sperava che, adesso che le sue peregrinazioni erano terminate, un tale
piacere potesse essere frequentemente ripetuto; non omise alcun
particolare di quella condotta che la pi gioviale cortesia pu
suggerire. Eppure, non posso definire favorevole l'impressione che ne
ricevetti. Naturalmente, posso essermi sbagliata." Ci fu una pausa. Last
si era ormai rassegnato. Il fine del lungo racconto pareva allontanarsi
in una distanza remota, sembrava dileguarsi in una fuga prospettica.
"Non c' stato niente di preciso?" sugger lui. "No, niente di preciso.
Credo di avere percepito una certa mancanza di candore, di avere
avvertito, dietro tutta la generosit esibita da Mr. Marsh, un riserbo
nascosto. Tuttavia, spero di essermi sbagliata. "Ma, con queste mie
banali e, spero, erronee osservazioni, dimentico la sola cosa
importante: almeno per lei, Mr. Last. Subito dopo il mio arrivo, prima
della comparsa di Mr. Marsh, Arabella mi confid il suo grande segreto.
"Il suo matrimonio era stato benedetto dalla prole. Due anni dopo la sua
unione con Mr. Marsh, le era nato un bambino, un maschio. La nascita
ebbe luogo in una citt del Sud America, Santiago de Chile - ho
controllato la localit nel mio atlante - dove la permanenza di Mr.
Marsh si era protratta pi del solito. Fortunatamente, ebbero
l'opportunit di consultare un medico inglese ed il piccolo crebbe sano
e robusto sin dall'inizio ed ora era proprio un bel ragazzino, come
Arabella, da madre orgogliosa qual', volle vantarsi, grazioso e di
notevole intelligenza. "Ovviamente, le chiesi di vedere il bambino, ma
Arabella mi disse che non era con loro in hotel. Dopo pochi giorni dal
loro arrivo, avevano notato che l'aria umida e densa di Londra non si
confaceva al piccolo Henry; era perci stato mandato con una bambinaia
in una stazione climatica dell'isola di Thanet, dove si era rimesso
completamente sia nel corpo che nello spirito. "Ed ora, Mr. Last, dopo
questo noioso ma necessario preambolo, arriviamo alla questione che,
spero, pi le interessa. Come pu immaginare, la vita che i Marsh sono
stati costretti a condurre per esigenze di lavoro, sarebbe stata
comunque assai poco favorevole all'istruzione regolare del bambino. Ma,
a parte quell'ostacolo, ho scoperto che Mr. Marsh nutre delle opinioni
precise sulla follia dell'istruzione prematura. Mi dichiar la sua
convinzione al proposito: lui sostiene che molte menti dotate sono state
gravemente danneggiate con l'essere state costrette a subire il processo
della stimolazione precoce. Sottoline anche il fatto che, per la natura
stessa della cosa, coloro a cui vie ne affidata l'educazione dei bambini
molto piccoli non sono persone dotate di alto sapere e di acuta
intelligenza. ""Sar subito d'accordo con me," mi disse, "nel sostenere
che non sono certo i grandi letterati ad insegnare l'alfabeto ai bambini
e che non sono i geni della matematica a svelare ai piccoli i misteri
della tavola pitagorica. Di conseguenza," concluse accalorandosi, "si
mette in contatto un'intelligenza giovane ed ancora in boccio con menti
ottuse ed inferiori ed i danni a volte sono irreparabili."" La cosa non
finiva l, ma Last, dapprima stupefatto, a poco a poco cominci a
vederci chiaro. Mr. Marsh aveva preservato l'intelligenza vergine del
figlio intonsa ed incorrotta dalla cultura bassa ed incompetente. Il
ragazzo era ora giudicato maturo per una reale istruzione e Mr. e Mrs.
Marsh avevano pregato Miss Pilliner di prendere informazioni al riguardo
e possibilmente di trovare un istitutore a cui affidare completamente
l'educazione mentale del piccolo Henry. Se entrambe le parti fossero
state soddisfatte, l'incarico avrebbe avuto una durata di almeno sette
anni e le provvigioni, per usare il termine adottato da Miss Pilliner
per indicare lo stipendio, all'inizio sarebbero state di cinquecento
sterline all'anno, con un incremento annuale di cinquanta sterline. Si
richiedevano referenze, laurea e note di merito: Mr. Marsh era pronto,
vista la sua lunga assenza dall'Inghilterra, ad offrire come garanzia i
nomi dei suoi banchieri. Miss Pilliner si diceva quasi certa che Mr.
Last poteva considerarsi assunto, sempre che l'incarico fosse stato il
suo gradimento. Last ringrazi calorosamente Miss Pilliner. Le disse che
aveva bisogno di un paio di giorni per pensarci. Poi le avrebbe scritto
e lei lo avrebbe messo in comunicazione con Mr. Marsh. E cos lasci
Corunna Square in uno stato di grande confusione ed incertezza.
Indubbiamente, l'incarico offertogli presentava molti vantaggi. La paga
era assai buona. Ed avrebbe avuto un alloggio dignitoso ed un vitto
soddisfacente. La famiglia era benestante e Miss Pilliner gli aveva
assicurato: "Non avr alcun motivo di lamentarsi del suo trattamento."
E, dal punto di vista pedagogico, quel lavoro costituiva un notevole
progresso rispetto a quanto aveva fatto da quando aveva lasciato
l'Universit. Fino ad allora era stato un uomo dalle mille occupazioni
saltuarie: rabberciatore, rappezzatore, ciabattino del lavoro altrui:
adesso aveva l'occasione di dimostrare che era un artigiano. Nel campo
dell'insegnamento pochissime persone, o forse nessuna, avevano avuto
un'opportunit simile alla sua. Perfino i professori della sesta classe
nelle migliori scuole pubbliche avevano a volte di che lamentarsi,
perch dovevano puntellare o addirittura rifare da capo le cattive
fondamenta della quinta o della quarta. A lui era permesso iniziare dal
principio, senza dover affrontare l'intralcio di errori passati: "dall'A
B C a Platone, Eschilo ed Aristotele," disse a se stesso. Era
indubbiamente una grossa occasione. E cosa c'era sull'altro piatto della
bilancia? B, avrebbe dovuto lasciare Londra e lui aveva imparato ad
amare la Londra gaia e familiare che conosceva: il suo comodo
appartamento in Mowbray Street, una via abbastanza tranquilla nei pressi
del poco frequentato Embankment e nello stesso tempo ad un paio di
minuti dal concitato Strand. Poi c'erano gli incontri con i vecchi amici
di Oxford, le sere a teatro, le discrete tavernette con le diverse
piccole stanze separate da tendaggi e le loro squisite bistecche e
braciole innaffiate da forte birra liquorosa, le campane che suonavano
la mezzanotte e le ore piccole, ascoltate mentre era in piacevole
compagnia al Blacks' Club: tutto questo sarebbe svanito. Miss Pilliner
gli aveva riferito che Mr. Marsh era alla ricerca di un posticino molto
lontano dalla citt, situato "nella vera campagna". Lei gli aveva detto
che Mr. Marsh aveva messo gli occhi su una casa che si trovava nella
zona di confine con il Galles: aveva intenzione di prenderla in affitto
ammobiliata, con l'opzione di comprarla, nel caso l'avesse trovata di
suo gradimento. Non avrebbe potuto fare una scappata a Londra dai suoi
vecchi amici per poi rientrare a casa la stessa sera: non lo si pu fare
se si vive al confine con il Galles. Tuttavia ci sarebbero state le
vacanze e, durante le vacanze, avrebbe potuto recuperare gran parte del
tempo perduto. Eppure, nella sua mente ancora si agitavano incertezza e
dubbio, mentre era seduto dinanzi al tavolo, mangiando pane e formaggio
e carne in scatola e bevendo un boccale di birra, nel quieto soggiorno
di Mowbray Street. Penso che si fosse fatto influenzare dalla manifesta
avversione di Miss Pilliner nei confronti di Mr. Marsh: ma, sebbene Miss
Pilliner parlasse alla maniera del Dr. Johnson, egli aveva la sensazione
che, come le donne dell'epoca del Dr. Johnson, fosse in fondo dotata di
buon senso. Era chiaro che non riponeva eccessiva fiducia in Mr. Marsh.
Ma anche il pi abile dei truffatori cosa poteva fare al tutore che
risiedeva a casa sua? Dargli montone freddo per cena o dimenticare di
pagargli lo stipendio? In entrambi i casi il rimedio era molto semplice:
il tutore che risiedeva a casa sua avrebbe immanentemente cessato di
risiedervi e sarebbe tornato a Londra, e questo non sarebbe poi stato un
grave danno. Dopotutto, pens Last, un uomo non pu costringere il
tutore di suo figlio ad investire il suo danaro in argento uruguaiano o
nelle spezie di Giava o in qualche altra fallace impresa commerciale: ed
allora cosa gli importava la supposta abilit truffaldina di Marsh? Ma,
nonostante questi ragionamenti, considerati tutti i pro e i contro,
rimaneva ancora una, in apparenza immotivata, ritrosia. Per opporsi ad
essa Last non riusciva a trovare alcun argomento, in quanto era una
sensazione che non si poteva esprimere a parole, un sentimento vago e
mutevole come una nuvola. Tuttavia, il mattino successivo gli port un
paio di lettere con le quali lo si invitava ad imbottire due teste vuote
di eventi, cifre e verbi in mi. Tale prospettiva gli parve talmente
spiacevole che si affrett a scrivere a Miss Pilliner subito dopo la
colazione, allegando alla lettera il certificato di laurea e certe altre
lettere di raccomandazione che aveva nel cassetto della sua scrivania.
Trascorso il tempo necessario, ebbe un colloquio con Mr. Marsh al
Billing's Hotel. Nel complesso, furono abbastanza soddisfatti l'uno
dell'altro. Last scopr che Marsh era un uomo magro, vivace e dalla
carnagione scura, ormai prossimo a superare la mezza et: sulle tempie i
capelli neri si facevano brizzolati e le rughe gli segnavano il viso
intorno agli occhi. Aveva sopracciglia spesse e nella linea della
mascella un accenno di minaccia, ma il sorriso con cui accolse Last
illumin quei tratti un po' torvi, conferendogli un'espressione di
gioviale cordialit. C'era qualcosa di strano nell'accento e nel tono
con cui parlava: un'inflessione straniera, forse? Last ramment che Mr.
Marsh per molti anni aveva girato il mondo e immagin che nel suo modo
di parlare si fossero mescolati echi di svariate lingue. Il suo contegno
e la sua loquela erano certamente un po' affettati, ma Last non aveva
alcun pregiudizio contro l'affettazione, anzi nutriva una predilezione
per il rispetto del decoro nei rapporti sociali. Indubbiamente, Marsh
non era il tipo di uomo che Miss Pilliner era abituata ad incontrare nei
salotti di Corunna Square o tra i fedeli di Mr. Vein. Probabilmente
sospettava che in passato fosse stato un pirata. Dal canto suo, a Mr.
Marsh Last piacque molto. Da quanto risult da una lettera da lui
indirizzata a Miss Pilliner - "o posso osare chiamarla "cugina Lucy"" -
, Mr. Last era esattamente il tipo di uomo che lui ed Arabella avevano
sperato di trovare attraverso l'opera di mediazione di Miss Pilliner.
Non volevano affidare il loro bambino nelle mani di un brillante uomo di
mondo con un sottile strato di erudizione. Si vedeva chiaramente che Mr.
Last era un tranquillo letterato estraneo alla vita di societ, pi a
suo agio tra i libri che tra gli uomini: proprio il genere di tutore che
lui ed Arabella avevano desiderato per il loro figlioletto. Mr. Marsh
era profondamente grato a Miss Pilliner per il grande servizio che aveva
reso ad Arabella, a lui stesso ed al piccolo Henry. Ed in effetti, come
avrebbe detto Mr. Meredith Mandeville, Last impersonava bene quel ruolo.
Senza dubbio, gli occhiali contribuivano a creare l'impressione di un
solitario ed appartato Dominic Sampson. Fu stabilito che nel giro di una
settimana doveva prendere servizio. Mr. Marsh compil un congruo
assegno, " a titolo di rimborso delle spese di viaggio, di
equipaggiamento e simili: un'indennit al di fuori del suo stipendio."
Doveva prendere il treno fino ad una grande citt della costa orientale,
dove lo avrebbe atteso qualcuno per accompagnarlo nella casa, in cui
Mrs. Marsh e il suo allievo si erano gi stabiliti: "una campagna
bellissima, Mr. Last. Sono sicuro che la apprezzer molto." Ci fu una
celebre festa di addio con tutti i vecchi amici. Zouch e Medwin,
Garraway e Noel: c'erano tutti, fossero venuti da lontano o da vicino.
Prima della grossa bistecca, mangiarono sogliola alla griglia, e dopo
ordinarono quaglie arrosto. Avevano deciso che, poich era forse
l'ultima volta che si incontravano, non sarebbero andati a teatro e che
invece sarebbero rimasti seduti intorno al tavolo di mogano a
conversare. Zouch, che veniva considerato il cerimoniere del banchetto,
si era accordato con il capocameriere e cos, dopo che la tavola fu
sparecchiata, dinanzi a loro fu sistemata una bottiglia rara di Porto di
annata, presentata con grande solennit. Parlarono dei vecchi tempi,
quando erano tutti al Wells College, si vantarono - sebbene ne
conoscessero di meglio - di essere amici dello studente che aveva ferito
il padre a Piccadilly, raccontarono per l'ennesima volta scherzi che
dovevano essere pi vecchi del vino, rispolverarono le maldicenze sul
conto di Moll e di Meg e la famosa storia di Melcombe, che strapazz il
Decano nella sua stessa stanza. Poi ci fu la faccenda delle Poses
Plastiques. Dei perversi individui, cos si espresse uno dei docenti del
Wells College, si erano procurate figure indecenti al baraccone delle
cere durante la fiera, e nottetempo le avevano collocate intorno alla
fontana del giardino del college, in modo tale che la loro indecenza
fosse vergognosamente accresciuta. I perpetratori di tale infamia non
erano mai stati scoperti: i cinque amici si scambiarono occhiate
significative, serrarono le labbra e si versarono del Porto Il vino
invecchiato e le storie dei vecchi tempi, mescolandosi, generarono
un'atmosfera di dolce malinconia. Poi, quando fu il momento, Noel li
condusse dai nuovi amici del Blacks. Last scov il vecchio Mandeville e
gli rifer, con fervida gratitudine, il felice esito della sua
mediazione. Le campane suonarono ed ognuno se ne and per la sua strada.

II
Sebbene Joseph Last fosse ben lungi dall'essere un miracolo di
osservazione e di deduzione, non era neanche il sempliciotto con la
testa china sui libri che Mr. Marsh pensava. Non pass poi tanto tempo
prima che nel suo nuovo impiego lo assalisse un certo disagio. Da
principio tutto era parso perfetto. Mr. Marsh aveva avuto ragione nel
pensare che sarebbe stato incantato dallo scenario in cui sorgeva la
Casa Bianca. Situata su un terrazzamento del declivio di una collina,
dominava dall'alto un fiume grigio-argenteo che serpeggiava con larghe
anse attraverso una bella valle solitaria. Ad est si estendeva un vasto
ed antico bosco dalle fronde ombrose, che si inerpicava sino all'alto
crinale della collina e discendeva con i suoi alti alberi di un verde
abissale sino alla piana della prateria e al mare. Dal punto pi alto
del bosco, al di sopra della Casa Bianca, Last gir lo sguardo verso
ovest e, tra i rami, vide la terra oltre il fiume, vide la campagna
ondulata salire e scendere collina dopo collina sino ad arrivare
all'enorme ed indistinta muraglia della montagna, azzurra in lontananza,
e le bianche fattorie brillare al sole lungo i vasti pendii. Qui si
sentiva come in un mondo nuovo. Non c'era un paesaggio simile nella zona
intorno a Dunham nel Midland o nei dintorni di Blackheath o di Oxford; e
non aveva mai visto niente del genere nei suoi viaggi per le serate
letterarie. Rimase stupefatto ed incantato all'ombra degli alberi a
contemplare il grandioso spettacolo. Proprio accanto a lui la bolla
d'acqua gorgogliava tra le rocce grigie, sorgendo dal cuore stesso della
collina. Ed all'interno della Casa Bianca, le condizioni di vita erano
nel complesso piacevoli. Last era rimasto colpito dalla bellezza bruna
di Mrs. Marsh, che era chiaramente di molti anni pi giovane del marito,
cos come gli aveva detto Miss Pilliner. E not anche gli effetti che la
cugina aveva attribuito agli anni passati ai tropici, sebbene lui
difficilmente avrebbe dato loro il nome di spossatezza o di
estenuazione. Non era una cosa cos semplice: su di lei c'era il marchio
del fuoco, ma Last non sapeva dire se si trattava delle fiamme del sole
o dei pi strani e sconosciuti ardori di posti dove era stata, forse
molti anni prima. L'allievo, il piccolo Henry, fu insieme una sorpresa
ed un piacere. Dimostrava pi dei suoi sette anni, ma Last pens che
tale impressione non era tanto dovuta all'altezza o all'aspetto fisico,
quanto alla vivacit ed alla brillante intelligenza del suo sguardo. Il
precettore aveva avuto a che fare con molti altri bambini, sebbene
nessuno cos piccolo come Henry; e nel complesso gli erano sembrati una
schiatta tonta e tracagnotta, che portava stampata in faccia una stolida
avversione per l'apprendimento ed una ferma risoluzione ad imparare il
meno possibile. Questa solida e diffusa espressione non aveva mai
sorpreso Last. La considerava del tutto naturale. Sapeva che i rudimenti
erano sempre odiosamente noiosi e difficili. Si domandava perch era
ormai un dato inesorabilmente acquisito il fatto che la sfortunata
creatura umana dovesse passare gran parte della sua vita sin dai primi
anni a fare cose che detestava: ma cos stavano le cose, e perci non
restava altro da fare che studiare la sintassi dell'ottativo. Ma sul
volto o nel contegno di Henry Marsh non era dato vedere una simile
chiusura. Era un bel bambino, dall'aspetto e dalla loquela vivace, che
non considerava il suo tutore una forza ostile assoldata per
contrastarlo. Era, come alcuni lo avrebbero definito, con termine
piuttosto curioso, un bambino di vecchio stampo: infantile, ma non del
tutto puerile, che di tanto in tanto pronunciava un bizzarro giro di
parole che faceva pensare pi ad un adulto spiritoso che ad un
ragazzino. L'indole da ragazzo pi grande era dovuta senza dubbio
all'educazione ricevuta dai viaggi, allo spettacolo di sempre nuovi
scenari, di uomini e cose, ma soprattutto al fatto che era sempre stato
con il padre e la madre e che non conosceva affatto la compagnia dei
bambini della sua stessa et. "Henry non ha mai avuto compagni di
gioco," gli spieg il padre. "Doveva accontentarsi della compagnia mia e
di sua madre. Non poteva essere altrimenti. Noi eravamo sempre in
viaggio: a bordo di una nave o alloggiati in un hotel cosmopolita per
pochi giorni e poi di nuovo in cammino. Il piccolo non ha mai avuto modo
di stringere amicizia con i suoi coetanei." La conseguenza di questa
situazione era certamente la mancanza di puerilit che Last aveva
notato. Probabilmente era un vero peccato. Dopotutto, la fanciullezza
era un mondo meraviglioso, ed Henry sembrava ignorarla completamente:
aveva perduto uno stadio forse altrettanto prezioso quanto qualsiasi
altra parte dell'esperienza umana e, crescendo, ne avrebbe potuto
sentire la mancanza. Ma cos stavano le cose, e Last smise di pensare a
queste immaginarie privazioni, quando inizi le sue lezioni al ragazzo,
cominciando ad insegnargli dal principio, cos come si era ripromesso.
Veramente non proprio dal principio: il piccolo confess con un
disarmante sorriso che da solo aveva imparato un po' a leggere: "Ma per
favore, signore, non lo dica a mio padre, perch so che non ne sarebbe
contento. Vede, mio padre e mia madre a volte mi dovevano lasciare solo,
ed io mi annoiavo e ho pensato che sarebbe stato davvero divertente
imparare a leggere i libri da solo." Ecco qui, pens Last, una lezione
per tutti i pedagoghi. Pu l'apprendimento diventare un segreto da
scoprire, un eccellente passatempo, invece di essere un'orribile
penitenza? Ne prese mentalmente nota e si organizz il lavoro. Scopr in
Henry una straordinaria perspicacia, una stupefacente prontezza
nell'assimilare le sue indicazioni e spiegazioni che non aveva mai
trovato prima: "non i bambini del doppio della sua et e nemmeno del
triplo della sua et," pens lui. Questo bambino, che da poco aveva
superato lo stadio dell'infanzia, aveva una mente affine a quella di un
genio: questo era quanto era incline a credere il felice tutore. Di
tanto in tanto, con i suoi "Si, signore, capisco. E poi,
naturalmente..." tirava veramente le parole di bocca a Last ed
anticipava quello che era logicamente lo stadio successivo della
dimostrazione. Ma Last non era abituato agli allievi che anticipano ogni
cosa... eccetto nel momento in cui era l'ora di rimettere i libri a
posto sullo scaffale. E, soprattutto, il docente era ammaliato
dall'avida ed intensa curiosit del discente. Era come uno che legge The
Mounstone, od un altro romanzo ricco di colpi di scena, e che incapace
di posare il libro prima di aver letto l'ultimissima pagina per scoprire
il segreto. Quel ragazzino provava una simile insaziabile curiosit per
ogni argomento che gli veniva presentato. "Avrei voluto insegnargli io
stesso a leggere," pens Last. "Sono certo che avrebbe considerato
l'alfabeto allo stesso modo in cui noi consideriamo quegli incantevoli e
misteriosi cifrari che abbondano nei racconti di Edgar Allan Poe.
Dopotutto, non forse questo l'unico modo giusto e razionale di pensare
all'alfabeto?" E poi prosegu nel suo ragionamento, chiedendosi se la
curiosit, spesso considerata un difetto, quasi un vizio, non fosse in
realt una delle pi grandi virt dello spirito umano, la chiave per
tutto il sapere e tutti i misteri, il significato stesso del segreto che
si vuole scoprire. Tutto era perfetto: con quel tesoro di allievo,
immerso nell'incanto di quella strana e bellissima campagna, circondato
dall'estrema gentilezza e dal grande rispetto che Mr. e Mrs. Last
dimostravano verso di lui, a Last pareva di stare nella bambagia.
Scrisse ai suoi amici in citt, raccontando le sue felici esperienze, e
Zouch e Noel, incontrandosi per caso al 'Sole', al 'Cane' o ai 'Tre
barili', discutevano della felicit del loro comune amico. "E'
orgoglioso del pupillo," diceva Zouch. "E' incantato dal paesaggio,"
replicava Noel, pensando alle effusioni liriche di Last sui boschi e le
acque e sullo scenario della Casa Bianca. "Eppure, timeo Danaos et dona
ferentes. Io mi fido dell'ovest. Come uno dei suoi stessi figli disse,
una terra di incanti e di illusioni. Non sai mai cosa ti pu capitare
domani. E' una fortuna che Shakespeare sia nato al di qua della linea di
sicurezza. Se Stratford fosse stato venti o trenta miglia pi ad
ovest... rabbrividisco al pensiero. Sono certo che dalle miniere gallesi
si estrae solo oro fatato. E tu sai benissimo che fine fa l'oro fatato."
Nel frattempo, lontano dai rumori e dai lampioni dello Strand, Last
continuava a condurre la sua felice esistenza in quella remota regione,
all'ombra del grande bosco. Ma non pass molto tempo prima che lui
subisse un forte shock. Un pomeriggio, tra il t e la cena, compiuto il
suo dovere quotidiano, gironzolava per il giardino a terrazza quando,
provando il desiderio di fumare un po' di tabacco in un posto
tranquillo, diresse i suoi passi verso il chioschetto di pietra - o,
forse, dovremmo dire gazebo - che sorgeva ai margini del prato nella
frescura di lecci ombrosi. Qui ci si poteva sedere e contemplare
dall'alto la serpentina argentata del fiume, attraversato da un ponte di
antica pietra grigia. Last stava per accomodarsi sul sedile, quando not
un libro poggiato sul tavolo che gli stava davanti. Lo prese, vi lanci
un'occhiata e trattenne il respiro; ne sfogli poche altre pagine e
croll atterrito sulla panchina. Mr. Marsh si era sempre lamentato della
sua ignoranza in fatto di libro. "Sapevo leggere e scrivere e pochi
altri rudimenti," soleva dire, "quando fui gettato nel mondo degli
affari, sul gradino pi basso della scala gerarchica. Da allora non ho
mai avuto un momento di tempo libero, ed ora temo che sia troppo tardi
per recuperare il tempo perduto." In effetti Last aveva notato che nel
parlare faceva molta attenzione, forse troppa attenzione e che spesso,
nel fervore della discussione, cadeva in alcuni lapsus: per esempio,
diceva " a me mi piace" invece di " a me piace." Ed ecco che adesso si
scopriva che non solo aveva trovato il tempo per leggere, ma che aveva
acquisito l'erudizione necessaria per decifrare il latino di un
terribile trattato rinascimentale, non sempre conosciuto perfino dai
collezionisti di quel genere di cose. Last aveva sentito parlare di quel
libro e le poche pagine a cui aveva dato una sbirciatina gli erano
bastate per capire che la pessima reputazione di cui godeva era
pienamente meritata. Fu una spiacevole sorpresa. Ammise certo
francamente che la morale del suo datore di lavoro non era certo affar
suo. Ma perch si era preoccupato di raccontargli tutte quelle frottole?
Last ricord le strane parole con cui la vecchia Miss Pilliner gli aveva
raccontato le sue impressioni su di lui: aveva percepito "una certa
mancanza di candore," un riserbo nascosto dietro una facciata di formale
cordialit. Miss Pilliner era di certo una donna molto acuta: in Marsh
c'era un'indubbia mancanza di candore. Last lasci quell'orribile volume
sul tavolo del chioschetto e si mise a passeggiare su e gi per il
giardino in uno stato di grande turbamento. Per giustificare il suo
imbarazzo, a cena disse che era un po' indisposto, a causa di un mal di
testa. Marsh fu gentile e piacevole come al solito e Mrs. Marsh mostr
verso di lui una gran comprensione. Si lament di non aver quasi chiuso
occhio la notte precedente e di sentirsi perci stanca e pesante. A suo
parere era aria di tempesta. Last, ammirando la sua bellezza, ammise
ancora una volta che Miss Pilliner aveva avuto ragione. A parte la
stanchezza del momento, in lei c'era una sorta di languore tropicale, un
qualcosa delle silenziose notti infocate e del soffocante odore di fiori
misteriosi. Marsh tir fuori un brandy assai prelibato che somministr
loro insieme al caff nero; disse che avrebbe fatto bene ad entrambi gli
invalidi e che lui ne avrebbe bevuto per tener loro compagnia. In
effetti, Last in cuor suo ammise che si sentiva molto pi a suo agio
dopo l'ottima cena, l'ottimo vino ed il brandy speciale. Forse era una
cosa umiliante, ma era impossibile negare l'autorit dello stomaco. Dopo
un po' si ritir nella sua stanza e tent di convincersi che la
duplicit di Marsh non era affar suo. Di essa trov una spiegazione
innocente, o quasi innocente, prima di aver finito l'ultima pipa, seduto
in poltrona con la finestra aperta, ascoltando il fioco gorgoglio delle
acque del fiume ed osservando le terre dell'altra sponda avvolte dalle
tenebre. "Siamo di fronte," si disse meditando, "di fronte ad una
variante del Morbo di Bounderby. Bounderby sosteneva che, quando venne
al mondo, era un piccolo, misero esule denutrito e maltrattato. Marsh
dice che fu messo a fare il ragazzo di ufficio o qualcosa del genere
prima di avere il tempo di imparare il minimo necessario. E' il solito
trucco degli uomini ricchi: ingigantire i successi ottenuti ingigantendo
gli svantaggi degli inizi." Quando fu l'ora di andare a letto, Last
aveva quasi deciso in cuor suo che il giovane Marsh aveva frequentato
con successo un buon Liceo Classico. Il mattino seguente, Last si
svegli nuovamente tranquillo. Era senza dubbio un peccato il fatto che
Marsh si lasciasse andare a quella forma sottile e calcolata di
millanteria e che i suoi gusti letterari fossero a tal punto
deplorevoli: ma era certo in grado di badare a se stesso. Ed il ragazzo
faceva perdonare ogni cosa. Dimostrava una tale padronanza della
sintassi inglese che Last pensava che in breve tempo sarebbe stato in
grado di affrontare il latino. Ne accenn una sera a cena, lanciando a
Marsh un'occhiatina significativa. Ma Marsh non diede alcun segno di
turbamento, non raccogliendo l'ironica frecciatina. "Questo dimostra che
avevo ragione io," comment. "Ho sempre sostenuto che non esiste errore
pi grande di quello che si commette con l'imporre l'apprendimento ai
bambini prima che essi siano pronti a recepirlo. La gente crede sia un
bene e, in nove casi su dieci, le menti dei bambini subiscono un trauma
che li segna per il resto della loro vita. Lei conosce l'esperienza di
Henry: l'ho tenuto lontano dai libri fino ad ora e lei stesso ha modo di
constatare che non gli ho sottratto del tempo. Adesso Henry maturo per
l'apprendimento e io non mi meraviglierei di scoprire che ha imparato
pi lui in sei mesi che in sei anni un normale bambino precocemente
imbottito di nozioni." La cosa era probabile, pens Last, ma nel
complesso era propenso ad imputare i rapidi progressi del ragazzo pi
alla sua eccezionale intelligenza che al sistema, o alla mancanza di
sistema, educativo del padre. In ogni caso, era proprio un piacere
insegnare ad un ragazzo simile. E la sua applicazione allo studio non
aveva di certo effetti negativi sul suo umore. Non c'era l'opportunit
di fare molta vita di societ nel circondario e, oltretutto, le poche
famiglie che abitavano a breve distanza dalla Casa Bianca non sapevano
se i Marsh avevano intenzione di stabilirsi li definitivamente o se
erano soltanto dei villeggianti di passaggio: fintanto che sussisteva
questa incertezza esitavano ad allacciare rapporti di buon vicinato.
Tuttavia, il Pastore si era recato da loro in visita: la prima volta si
present con la moglie; lei allegra e chiacchierona, lui tetro e chiuso.
Si appur che il Rettore, grande arringatore di folle nel passato,
divideva ora il suo tempo tra la cura del giardino e l'invenzione di una
macchina volante. Aveva la fama di eccentrico. Lui non torn pi alla
Casa Bianca, mentre si vide spesso arrivare dalla strada della foresta
la macchina dell'istitutrice con a bordo Mrs. Winslow ed i suoi due
bambini: Nancy, una graziosa ragazza bionda di diciassette anni, e Ted,
un ragazzo di undici o dodici anni, quel genere di bambino che Last
classificava nella "schiatta tonta e tracagnotta": aveva lineamenti
marcati e grossolani, con occhi sporgenti e guance rigonfie, e
l'espressione risoluta di un giovane bulldog. Durante la loro prima
visita, dopo il t, Nancy organizz dei giuochi in giardino per i due
bambini ed era visibilmente contenta di unirsi a loro. Henry, che non
aveva conosciuto altra compagnia oltre a quella dei genitori, squittiva
di piacere, correva avanti ed indietro senza fermarsi un momento,
scompariva dietro il gazebo e saltava fuori dal nascondiglio offertogli
dai cespugli di fagiolini divertendosi moltissimo, mentre Ted Winslow si
univa a lui, manifestando nei suoi atteggiamenti una certa riluttanza.
Quelle erano le sue vacanze ed il suo contegno stava a dimostrare che
lui considerava quel tipo di giuochi adatti soltanto alle ragazze ed ai
marmocchi. A Last faceva molto piacere vedere Henry cos pronto a
divertirsi: malgrado tutto, in lui c'era una certa infantilit. Not il
suo imbarazzo quando, terminato di giocare, Nancy Winslow lo prese sulle
sue ginocchia: era chiaro che temeva lo sguardo di derisione di Ted
Winslow. In realt, il giovane bulldog a sua volta temeva di rovinarsi
la reputazione frequentando Henry che era con tanta evidenza ancora un
marmocchio. La seconda volta che Mrs. Winslow prese il t alla Casa
Bianca, Ted aveva un mal di testa diplomatico e rimase a casa. Ma Nancy
invent giochi che si potevano fare in due e si sentirono i loro
gridolini di gioia mentre correvano per tutto il giardino. Henry volle
mostrare a Nancy una bellissima bolla d'acqua che aveva scoperto nella
foresta. Ma Mrs. Marsh parve preoccupata che i due si smarrissero. Last
non pensava pi all'increscioso incidente di quel libro volgare trovato
nel gazebo. In una lettera a Noel, gli aveva riferito il suo timore che
Mr. Marsh fosse per certi versi un vecchio mascalzone, ma aveva aggiunto
che per quanto riguardava se stesso, andava tutto bene: ed in effetti
cos era. Lui svolgeva il suo lavoro e si faceva gli affari suoi.
Tuttavia, di tanto in tanto, in lui si ridestavano i dubbi e
l'inquietudine. Ad un paio di miglia dalla Casa Bianca, in un
piccolissimo borgo, era accaduta una brutta faccenda: una ragazza di
dodici o tredici anni, mentre tornava a casa dopo il crepuscolo dopo una
visita ad una vicina, era stata trascinata nel bosco, dove avevano
barbaramente abusato di lei. Pare che il furfante che l'aveva assalita
avesse poi abbandonato la povera infelice nel buio della foresta, ad una
certa distanza dal sentiero che lei doveva aver imboccato per tornare a
casa. Un uomo che era rimasto a bere fino a tardi al "Pub della Volpe e
dei Bracchi" aveva udito piangere e gridare, - "come uno che ha le
convulsioni" aveva commentato in seguito - , ed aveva trovato la ragazza
in uno stato pietoso ed in quello stato era rimasta sino ad allora. Non
era in grado di descrivere l'individuo che l'aveva maltrattata e
vergognosamente oltraggiata; lo shock l'aveva fatta uscire di senno. Una
volta, gridando come una forsennata, disse che aveva visto un'ombra
seguirla nel buio e che non ricordava altro: era impossibile tentare di
tirarle fuori di bocca la descrizione di una persona che, con molta
probabilit, lei non aveva nemmeno visto. Naturalmente, a questa
orribile storia fu dato il massimo rilievo dal giornale locale, ed una
sera, mentre erano seduti a fumare dopo aver cenato, Last parl a Marsh
della faccenda. Disse qualcosa sul contrasto tra la pace e la bellezza
del paesaggio e l'efferatezza del crimine commesso a cos poca distanza.
Fu sorpreso nel notare l'improvvisa e repentina inquietudine di Marsh.
Questi si alz e si mise a camminare avanti ed indietro per tutta la
stanza, farfugliando: "una faccenda orribile, una storia indecente". E,
quando si mise di nuovo a sedere, con la luce che lo illuminava in
pieno, Last vide il volto di un uomo che ha paura. La mano che Marsh
pos sul tavolo era contratta per l'ansia; tambureggiava con il piede
sul pavimento mentre tentava di controllare il fremito delle labbra e
nei suoi occhi si leggeva un'indicibile timore. Last fu stupito e
meravigliato dall'effetto che poche frasi convenzionali avevano
prodotto. Timidamente, per cercare di superare la penosa situazione,
cominci a blaterare parole ancora pi convenzionali sul fatto che la
bellezza della natura all'intorno non ha mai garantito l'immunit dai
delitti, ed altre simili sciocchezze dello stesso inutile stampo. Ma era
chiaro che Marsh non si sarebbe lasciato blandire da cose del genere.
Balz di nuovo su dalla sedia e batt il pugno sulla tavola in un gesto
di fiero diniego. "Per favore, Mr. Last, lasci perdere. Non aggiunga
altro. Questa storia ha gi causato troppa angoscia a Mrs. Marsh ed a
me. Ci inorridisce il dover pensare che abbiamo portato qui nostro
figlio, in questo posto che credevamo tranquillo, con il solo risultato
di esporlo al contagio di quella spaventosa faccenda. Naturalmente
abbiamo impartito alla servit l'ordine severo di non dire una parola in
presenza di Henry. Ma lei sa come fatta la servit e sa come fine
l'udito dei bambini. Un paio di parole che qualcuno si lascia sfuggire
possono radicarsi profondamente nella mente di un bambino e contaminare
la sua intera natura. E' spaventoso solo pensarlo. Lei deve aver notato
che Mrs. Marsh, in questi ultimi giorni, stata di pessimo umore.
L'unica cosa che possiamo fare sforzarci di dimenticarla e sperare che
non abbia causato alcun danno." Last mormor un paio di parole di scuse
e di approvazione, e la conversazione si spost su territori meno
pericolosi. Ma, quando fu solo, il precettore consider con molta
attenzione quanto aveva sentito ed ascoltato. Pens che il contegno di
Marsh non si armonizzava con le sue parole. Aveva parlato come un padre
affettuoso, preoccupato del fatto che il suo bambino potesse casualmente
ascoltare i nauseanti pettegolezzi e le offensive congetture riguardo un
delitto orribile ed osceno. Ma il suo aspetto era quello di un uomo che
ha visto il patibolo e quella, pensava Last, era un tipo di paura
completamente differente. E poi c'era l'accenno alla moglie. Last aveva
notato che, dal giorno in cui era stato compiuto l'agguato nella
foresta, Mrs. Marsh era parsa contrariata. Ma, anche su questo punto,
Last diffidava del commento di Marsh. Quella era una donna dal carattere
allegro ed un po' indolente, ma negli ultimi giorni aveva avuto
l'aspetto ed il contegno di chi vive in uno stato di furia repressa e lo
sguardo infocato da donna gelosa tradiva la rabbia della bellezza
sprezzata. Parlava poco e quanto pi brevemente possibile, ma nelle sue
parole si potevano indovinare fiamme e fuoco. Last lo aveva notato e se
ne era chiesto il motivo, ma solo di sfuggita in quanto era deciso a non
immischiarsi nei fatti degli altri. Aveva ipotizzato un diverbio tra
moglie e marito, molto probabilmente, sulla questione della nuova
sistemazione dei mobili del salotto e del nolo di un pianoforte a coda.
Ma certo non aveva pensato di mettere in relazione l'umore alterato di
Mrs. Marsh con l'efferato crimine che era stato commesso. Ed ora Last si
rendeva conto che quelle occhiate colme di rabbia dissimulata erano i
segni esteriori di una tenera ansiet materna: non una parola, su quanto
concerneva le sue ipotesi. Last mise accanto al terrore malcelato di
Marsh la furia malcelata di sua moglie; pens al libro trovato nel
gazebo ed alle chiacchiere sussurrate sull'infamia compiuta nel bosco:
il disgusto ed il terrore si impadronirono di lui. Non aveva alcuna
prova, vero: la sua era una semplice congettura, ma lui non nutriva
dubbi a riguardo. Non poteva esserci nessun'altra spiegazione. E cosa
poteva fare lui se non lasciare quell'orribile posto? Last, quella
notte, non chiuse occhio. Si svest e si coric, rivoltandosi di
continuo nel letto, avvolto nella penombra della notte estiva. Poi
accese la lampada e si vest di nuovo, chiedendosi se non era il caso di
svignarsela alla chetichella, per correre a piedi le otto miglia sino
alla stazione, e montare sul primo treno che andava a Londra. A
spingerlo ad abbandonare al pi presto la Casa Bianca non era solo il
disgusto per quell'uomo e per le azioni che aveva compiuto: aveva una
paura mortale. Era sicuro che se Marsh avesse indovinato i suoi sospetti
la sua vita sarebbe stata in pericolo. Quell'uomo diabolico non
conosceva lo scrupolo e la piet. Persino in quel momento poteva
trovarsi dietro la sua porta, ad origliare i suoi movimenti, ad
aspettare il suo passo falso. A quel pensiero il terrore gli attanagli
il cuore in una morsa di gelo ed un gelido sudore gli corse lungo la
schiena. A piedi nudi, per non fare rumore, misur a grandi passi la sua
stanza, fermandosi ogni tanto nella paura di ascoltare fuori la porta i
furtivi passi dell'altro. Gir la chiave nella toppa cercando di fare
meno rumore possibile e si sent pi sicuro. Avrebbe atteso l'alba ed il
risveglio dei domestici, e poi si sarebbe avventurato fuori della sua
stanza per attuare la sua fuga. Ma quando ud la servit ritornare a
sbrigare le loro faccende in giro per la casa, ebbe un attimo di
esitazione. La luce del sole splendeva nella valle e la bianca foschia
che aleggiava sul fiume argentato si alz fluttuando nell'aria e svan;
dalla finestra della sua camera entrava un dolce venticello che
proveniva dal bosco. Dalla sua mente erano spariti orrore e paura.
Cominci ad esitare, a sospettare infondate le sue considerazioni, a
domandarsi se per caso non fosse saltato a quelle tetre conclusioni nel
panico della notte. Le stesse deduzioni che gli erano parse logiche a
mezzanotte avevano il sapore dell'incubo in quel bagno di luce: il canto
di un'allodola ambiziosa gli conferm il suo errore. Ricord la giusta
affermazione di Garraway dopo una famosa cena alla " Testa del Turco":
era sempre pericoloso far guidare la propria vita dall'improbabile.
Avrebbe rimandato di un po' di tempo la sua fuga, avrebbe tenuto gli
occhi ben aperti e si sarebbe accertato della fondatezza delle sue
opinioni prima di compiere un gesto tanto repentino e violento. E forse
la verit era che Last titubava tanto per l'enorme riluttanza a lasciare
il giovane Henry, la cui straordinaria vivacit ed intelligenza lo
meravigliavano e lo compiacevano ogni giorno di pi. Era ancora presto
quando alla fine lasci la sua stanza ed usc all'aria pura del mattino.
Mancava pi di un'ora alla colazione, e Last imbocc un sentiero che,
costeggiando il muro dell'orto, si inerpicava sulla collina sino al
cuore del bosco. Fece una breve sosta per guardare oltre il fiume la
serena campagna immersa nella magia e nell'incanto del mattino. Mentre
era li a bighellonare ed a contemplare il paesaggio, ud dei passi
furtivi avvicinarsi dall'altro lato del muro e delle voci parlottare
piano. Poi, quando i passi si fecero pi vicini, una delle voci sollev
un poco il tono e Last ud Mrs. Marsh dire: "Sono troppo vecchia, vero?
E tredici anni sono troppo pochi. Ne avr diciassette quella che
porterai nel bosco la prossima volta? E dopo tutto quello che io ho
fatto per te e tu hai fatto per me." Mrs. Marsh enumer tutte queste
cose senza remissione, senza un fremito di vergogna nella voce. Fece una
breve pausa. Forse la rabbia la soffocava. E poi ci fu una stridula
risatina di scherno, come se la voce di Marsh si fosse spezzata, non
trattenendo pi il suo disprezzo. Piano piano, ma con estrema rapidit,
Last, l'uomo dal volto inespressivo e dagli occhi sbarrati, temendo per
la sua vita, scapp alla velocit del fulmine via dalla Casa Bianca. Una
volta raggiunta la nazionale, lontano dai campi e dai cespugli, rallent
il passo, ma non si ferm neanche per un momento fino a quando non
raggiunse, con un moto di sollievo, le squallide strade della grossa
citt industriale. Si diresse subito alla stazione ed apprese che era in
anticipo di un'ora per l'Espresso per Londra. Perci c'era tutto il
tempo di fare colazione: essa consistette in un brandy.

III
Il precettore torn alla sua vecchia vita ed alle sue vecchie abitudini,
e fece del suo meglio per dimenticare la strana ed orribile parentesi
della Casa Bianca. Ancora una volta raccolse attorno a s i suoi scolari
tracagnotti; rimpinz gli esaminandi, addottrin gli universitari
durante le lunghe vacanze, e nel complesso era relativamente soddisfatto
del corso delle cose. Di tanto in tanto, quando si sforzava di
persuadere contro le loro convinte opinioni i piccoli tracagnotti che il
latino e il greco erano lingue un tempo parlate da esseri umani e non
enigmi senza senso inventati dal diavolo, pensava con un sospiro di
rimpianto al ragazzo che capiva e che bramava di capire. E si chiedeva
se non era stato un codardo a lasciare quell'incantevole bambino alla
merc dei suoi diabolici genitori. Ma cosa poteva fare? Era per
terribile pensare che Henry, pi o meno rapidamente corrotto dai suoi
disgustosi progenitori, stava crescendo nel lerciume dei loro abomini.
Con i suoi vecchi amici Last non scese nei dettagli. Accenn
all'esistenza di gravi disaccordi, che avevano reso impossibile la sua
permanenza in quella casa. Essi assentirono e, comprendendo la spinosit
della faccenda, non fecero alcuna domanda: parlarono di vecchi libri e
dell'arrosto appena servito. Infatti, erano tutti d'accordo nel
sostenere che l'arrosto era troppo fresco di macello e decisero di
chiedere spiegazioni a William. Era a conoscenza del fatto che la carne
di manzo, la carne di manzo destinata al consumo dei Cristiani, a
differenza di quella mangiata dagli Ottentotti, richiedeva una
frollatura della stessa durata adottata per la selvaggina? William,
grosso e bonario, prov, assaggi e assent, con sommo rincrescimento.
Present le sue scuse e disse che, se i signori non volevano attendere
la cottura di un'anatra, lui consigliava un tenero e succoso filetto di
vitello, davvero speciale, in quel momento al taglio. Il consiglio fu
accettato e reputato eccellente. La conversazione ritorn ai metri dei
Cori e a Florence St. John dello Strand. Pi tardi fu servito del Porto.
Fu molti anni dopo, quando la sua vecchia vita, dopo un lungo
sgretolamento, era ormai definitivamente crollata che Last venne a
sapere la vera storia della sua assunzione in qualit di tutore alla
Casa Bianca. Tre personaggi spaventosi erano stati mandati sul banco
degli imputati all'Old Bailey. Uno era un uomo anziano, che all'aspetto
sembrava un'orribile serpente, l'altra era una donna grassa e sciatta
con guance cascanti ed il fioco balenio di un'antica bellezza negli
occhi ed il terzo, con sommo stupore di chi non conosceva la storia, un
bellissimo bambino. La gente che lo vide in tribunale disse che gli si
potevano dare nove o dieci anni al massimo. Ma le prove che furono
prodotte rivelarono che ne aveva tra i cinquanta e i sessanta, forse di
pi. La pubblica accusa imputava loro un crimine indicibilmente
spaventoso. Erano accusati sotto il nome di Mailey, il cognome che
portavano nel momento del loro arresto, ma alla fine del processo si
scopr che, nel corso della loro lunga carriera, erano stati conosciuti
sotto diversi nomi: Mailey, Despasse, Lartigan, Delarue, Falcon,
Lecossic, Hammond, Marsh, Haringworth. Fu stabilito che l'uomo
dall'apparenza di bambino, che Last aveva conosciuto come Henry Marsh,
non aveva alcuna parentela con gli altri prigionieri. Le origini di
"Henry" erano oscure. Fu ipotizzato che fosse il figlio illegittimo di
un inglese altolocato, di un diplomatico, molto potente nell'Estremo
Oriente. Il ragazzo, sin dall'infanzia, si rivel assai promettente ed
il padre, non essendosi sposato e non piacendogli quanto sapeva dei suoi
parenti, lasci a lui le sue ampie fortune. Il diplomatico mor quando
il figlio aveva dodici anni ed era anziano, molto anziano, quando il
bambino era nato. La gente not che Arthur Wesley, come si chiamava
all'epoca, era molto basso per la sua et e lui era rimasto basso ed il
suo viso era rimasto quello di un bambino di sette od otto anni. Non
pot essere mandato a scuola, perci ricevette un'istruzione privata.
Quando raggiunse la maggiore et, i curatori dell'eredit fecero
l'insolita esperienza di mettere una considerevolissima fortuna nelle
mani di un uomo che sembrava un bambino in tenera et. Subito dopo,
Arthur Wesley scomparve. Voci dalla dubbia fondatezza parlarono di
riapparizioni ora in questa ora in quella delle quattro parti del mondo.
C'era chi raccontava che era finito tra i selvaggi di quelle regioni
dell'Africa allora sconosciute, quando le Montagne della Luna erano
ancora segnate sulle mappe pi vecchie. Altri riferirono che era partito
per esplorare la foce del Rio delle Amazzoni e non aveva fatto pi
ritorno. Pochi anni dopo un personaggio che, con ogni probabilit,
doveva essere colui che in passato si faceva chiamare Arthur Wesley, si
era fatto notare per essere invischiato in spiacevoli traffici a Macao.
Secondo una pubblica accusa, fu proprio in questo periodo che si rese
conto, per usare le parole degli avvocati, della necessit di "crearsi
una copertura". Il suo aspetto fuori del comune, com' nell'ordine delle
cose, attirava l'attenzione su di lui e sulle sue attivit e, poich
queste attivit erano generalmente o meglio sempre, illegali, tale
attenzione risultava tanto inopportuna quanto pericolosa. In una
localit orientale imprecisata, conobbe in un giro di persone di
malaffare i suoi due coimputati. Arabella Manning, proveniente da una
rispettabile famiglia del Wiltshire, era andata in Oriente come
istitutrice, ma ben presto aveva trovato occupazioni di altro tipo.
Meers aveva lavorato come impiegato in una ditta commerciale a Shangai.
Un ingegnoso sistema di frode da lui inventato gli aveva fruttato il
licenziamento ma, per qualche motivo, la ditta rinunci ad intentargli
un'azione legale, e Meers and li dove lo trov Arthur Wesley. Wesley
escogit un piano ingegnoso. Manning e Meers avrebbero finto di essere
Mr. e Mrs. Marsh - parte adatta al loro stile - e lui sarebbe stato il
loro bambino. Wesley ricompensava i loro svariati servigi: Arabella fu
per qualche anno la sua amante favorita, la compagna dei momenti pi
dolci. In certi periodi assumevano un istitutore per rendere pi
plausibile la situazione. In questa orribile formazione il trio
peregrin da un capo all'altro della terra. La Corte venne a conoscenza
di queste e di molte altre informazioni quando gi la giuria aveva
giudicato i tre prigionieri colpevoli del reato a loro imputato in quel
processo. Quest'ultimo crimine - che la stampa fu costretta a riferire
ricorrendo a parafrasi e a perifrasi - era stato scoperto, per quanto
strano possa sembrare, grazie soprattutto alla gelosia della donna. I
sensi di Wesley, chiamiamoli cos, erano ancora inclini alle
peregrinazioni amorose e l'ira della gelosa Arabella le aveva fatto
perdere il controllo e tralasciare ogni precauzione. Lei era il punto
debole dell'armatura indossata da Wesley, la parte meno resistente della
sua copertura. Le persone presenti in tribunale osservarono i due
amanti: guardarono quella donna depravata e viziosa dalle guance
avvizzite e cascanti, ma con un sinistro bagliore ancora dardeggiante
nel fondo dei suoi occhi stanchi, e guardarono Wesley che ancora
sembrava in tutto e per tutto un bel bambino dall'aspetto vivace. Lo
stupore li annichili al solo immaginare la grottesca, impossibile,
orribile scena. Il giudice sollev la testa dai suoi verbali e fiss per
qualche momento il volto dei condannati: le sue labbra si serrarono in
un moto di disgusto. La pubblica accusa arriv alla conclusione della
nefanda storia. Il sentiero percorso dai condannati, disse, era stato
segnato da molti ed infami delitti, ma solo di recente erano sorti dei
sospetti sulla loro colpevolezza. Due dei loro reati comportavano la
pena capitale, ma non c'erano prove formali. Giunse all'epilogo della
sua arringa. "Malgrado la statura anormale e l'aspetto infantile,
l'imputato Charles Mailey, alias Arthur Wesley, al momento dell'arresto
oppose una resistenza disperata. E' dotato di una forza enorme rispetto
alle sue dimensioni ed ha quasi strangolato uno dei poliziotti che stava
per arrestarlo." La Corte emise il verdetto. Il giudice, senza
pronunciare una sola parola di commento, condann Mailey, o Wesley,
all'ergastolo, John Meers a quindici anni di carcere e Arabella Manning
a dieci anni di carcere. Il vecchio mondo, lo abbiamo gi detto, era
crollato. Molti e molti anni erano passati da quando Last era stato
sfrattato dalla sua casa di Mowbray Street, che dallo Strand scendeva
scura e solitaria verso il fiume. Adesso Mowbray Street luccicava di
palazzi per uffici. In seguito, era stato scacciato da un posto dopo
l'altro, da ogni pi recondito cantuccio o recesso che riusciva a
trovare, man mano che la nuova Londra cresceva in maest e splendore. Ma
per un anno o due rimase rintanato in una viuzza fuori mano che aveva il
pregio di condurre in un cimitero in disuso nei pressi di Gray's Inn
Road. Medwin e Garraway erano morti, ma una sera nella sua tana Last
riun i sopravvissuti Zouch e Noel: ogni tanto offriva loro del ponce,
del buon ponce. "E' cos buono da essere peccaminoso," disse, mentre
sbucciava i limoni, "ma non credo che sia illegale, almeno fino ad ora.
Ho anche alcune bottiglie di quel Porto che comprai nel novantadue." E
poi, per la prima volta, raccont loro l'intera storia della sua
assunzione alla Casa Bianca.

Arthur Machen
I BAMBINI FELICI
All'indomani del Natale del 1915 i miei doveri professionali mi
condussero a nord o, per essere pi precisi, come ci consente la
terminologia adottata dai vigenti ordinamenti, nel "Distretto
NordOrientale". C'erano strane dicerie: deliranti vaniloqui che
farfugliavano di Tedeschi asserragliati in un rifugio sotterraneo nei
pressi di Malton Head. Nessuno pareva essere in grado di dire con
chiarezza cosa facessero l o cosa speravano di farvi. Ma la voce pass
di bocca in bocca, di stolto in stolto, con la rapidit del fulmine e,
di conseguenza, si ritenne opportuno rintracciare la fonte originaria
della sciocca storiella per smascherarla o confutarla una volta e per
sempre. Mi recai, quindi, nel Distretto NordOrientale domenica, 26
dicembre 1915, ed iniziai le mie indagini da Helmsdale Bay, che una
piccola stazione balneare distante un paio di miglia da Malton Head. Gli
abitanti delle valli e delle brughiere, scoprii, avevano prestato scarsa
attenzione alla fola del rifugio e la ritenevano degna del massimo,
mordace disprezzo. Per quanto riuscii ad appurare, aveva avuto origine
nei giochi di alcuni bambini che quell'estate avevano villeggiato a
Helmsdale Bay. Essi avevano messo in scena un grossolano dramma, che
raccontava di spie tedesche e della loro cattura e, come scena della
loro recita, avevano usato l'Helby Cavern, situata tra Helmsdale e
Malton Head. Ecco tutto quello che era successo. Evidentemente gli
stolti avevano fatto il resto: gli stolti che credevano con tutto il
cuore nei "Russi" e che si inviperivano contro chiunque esprimeva un
dubbio sugli "Angeli di Mons". "Metti assieme quattro sgualdrinelle,
inventati una bubbola qualsiasi e vedrai che loro ci crederanno," mi
disse un valligiano ed ho il sospetto che pensasse che io, che avevo
fatto tante centinaia di miglia per indagare su quella storiella, fossi
appena un po' pi assennato di quanti vi avevano dato credito. Non si
poteva pretendere che lui comprendesse che il giornalista ha due doveri:
proclamare il vero e denunciare il falso. Nel primo pomeriggio di luned
avevo portato a termine la mia indagine sui "Tedeschi" e sul loro
rifugio sotterraneo, e decisi di spezzare il viaggio di ritorno con una
tappa a Banwick, di cui spesso avevo sentito parlare come una cittadina
antica, splendida e fuori dal comune. Presi perci il treno dell'una e
trenta, mi inoltrai oziosamente nell'entroterra, sostai in molte
stazioni sconosciute al centro di grandiosi altopiani, cambiai treno a
Marishes Ambo, e proseguii il mio viaggio attraversando una terra
misteriosa nella fioca luce del pomeriggio invernale. Non so come, il
treno lasci l'altopiano e scivol in una gola stretta e profonda,
solenne nella sua solitudine, resa scura dai rami spogli degli alberi e
giallastra dai cespugli di felci avvizzite. La sola cosa che si muoveva
era un rapido ed impetuoso ruscelletto che spumeggiava sui ciottoli per
poi stagnare in pozze marroncine in prossimit degli argini. La macchia
scura degli alberi si scolor e dirad in cespugli di rovi vecchi e
striminziti; grandiose rocce grigiastre, dalle forme strane e
misteriose, spuntarono dal terreno; su entrambi i lati apparvero sulle
alture rocce merlate. Il ruscelletto si ingross e divenne un fiume e,
continuando a costeggiare questo fiume, arrivammo a Banwick appena dopo
il calare del sole. Vidi l'incanto della citt alla luce del crepuscolo,
che ad oriente era rossa. Le nubi sbocciavano in roseti; isole di luce
cremisi nuotavano in mari verdi di favola; c'erano nuvole che
somigliavano ad alabarde infocate, a draghi che spruzzavano fuoco. E
sotto la gamma sfumata di luci e colori di quel cielo, Banwick digradava
verso lo specchio d'acqua del suo porticciolo incuneato nella
terraferma, per poi di nuovo arrampicarsi, oltrepassare il ponte, verso
le rovine dell'Abbazia e l'imponente chiesa sulla collina. Uscito dalla
stazione, percorsi un'antica strada, stretta e sinuosa: su entrambi i
lati si aprivano cavernosi cortili, sagrati e rampe di gradini ineguali
che salivano verso le alte case a schiera o scendevano verso il porto e
l'imminente marea. L vidi molte case a timpano, sprofondate nel tempo
molto al di sotto del livello del lastrico, con le travi del tetto
sfondate, i portali inarcuati, e tracce di scene grottesche intagliate
sui muri. Poi, quando scesi sul molo, dinanzi agli occhi mi apparve la
meravigliosa vista della sponda opposta del porto, con la pi
sorprendente confusione di tetti di tegole rosse che avessi mai visto e
la grandiosa, grigia chiesa normanna che svettava sulla nuda collina,
dominando dall'alto il paesaggio; e, al di sotto dei tetti, le barche
che ondeggiavano nella fluttuante marea e l'acqua che si accendeva dei
colori infuocati del tramonto. Era la citt di un sogno incantato.
Rimasi sul molo fino a quando l'ultimo bagliore di luce non fu spento
nel cielo e nell'acqua, e le tenebre della notte invernale non calarono
su Banwick. Nei pressi del porto, non lontano dal posto dove mi ero
fermato, trovai una vecchia e tranquilla locanda. Le pareti delle
stanze, incontrandosi, formavano angoli bizzarri ed inattesi; c'erano
strane sporgenze ed aggetti di muratura, come se una stanza tentasse di
penetrare nell'altra; negli angoli dei soffitti c'erano tracce di
impensabili scalinate. Ma c'era anche una saletta interna dove a Tom
Smart sarebbe piaciuto sedere, un camino scoppiettante, e confortevoli,
vecchie sedie coi braccioli, con gradevoli cartelli che avvisavano che,
se dopo cena si voleva un "corroborante", il padrone sarebbe stato ben
lieto di servirlo. Rimasi seduto in questo piacevole posto per un'ora o
due, conversando, con i piacevoli clienti che entravano e uscivano. Mi
raccontarono episodi del passato e mi parlarono delle antiche attivit
manifatturiere della citt. Una volta era, mi dissero, un grande porto
per la caccia alla balena, e a quell'epoca c'erano numerosi cantieri
navali, poi Banwick divenne famosa per i suoi tagliatori di ambra. "E
adesso non c' niente," disse uno degli uomini nella locanda, "ma
nessuno di noi se la passa poi male." Prima di cena uscii per fare
quattro passi. Banwick ora appariva nera, avvolta in spesse tenebre. Per
qualche valido motivo, nelle strade non un solo lampione era acceso, e
da dietro i tendaggi accuratamente tirati delle finestre filtrava appena
un barlume di luce. Sembrava di passeggiare in una citt del medioevo, e
le antiche ed incombenti sagome delle case dai contorni vaghi ed
indistinti mi ricordarono quelle strane e tetre vedute di Tours e Parigi
che dipinse Dor. Le strade erano quasi deserte, ma tutti i vicoli e i
cortili parevano brulicare di bambini. Riuscivo appena a distinguere
delle piccole sagome bianche che ondeggiavano avanti e indietro,
segnalando i rapidi spostamenti dei bambini. Io non avevo mai sentito
prima voci infantili tanto felici. Alcuni cantavano, altri ridevano; e,
curiosando in un androne scuro e cavernoso, scoprii un gruppo di bambini
che danzava in un incessante girotondo e salmodiava con voci chiare una
melodia meravigliosa: qualche vecchio motivo della tradizione locale,
pensai, poich non avevo mai sentito niente di simile. Tornato alla
locanda, parlai al proprietario del gran numero di bambini che giocavano
nelle strade e nei cortili bui e di come mi fossero sembrati tutti
deliziosamente felici. Per un attimo mi guard fisso negli occhi e poi
disse: "Beh, vede, signore, da qualche tempo i bambini ci sono un po'
scappati di mano: i padri sono al fronte e le madri non riescono a
tenerli a freno. Cos si stanno un po' inselvatichendo." C'era qualcosa
di strano nel suo comportamento. Io non riuscii a capire in cosa stesse
esattamente la stranezza o cosa significasse. Avevo notato che le mie
osservazioni lo avevano messo a disagio, ma mi imbarazzava chiedere cosa
avevo detto di male. Cenai e poi, per un paio di ore rimasi a sedere,
per liquidare la faccenda dei "Tedeschi" di Malton Head. Finito di
scrivere il mio articolo sul mito tedesco, invece di andare a letto,
decisi di dare un'altra occhiata alle strade di Banwick, avvolte da
quella meravigliosa oscurit. Uscii, attraversai il ponte, e cominciai
ad inerpicarmi su per le stradine dell'altra sponda del fiume, dove
c'era quel curioso intrico di tetti rossi accalcati l'uno sull'altro che
avevo visto durante il crepuscolo. E, con mio grande stupore, notai che
quegli straordinari bambini di Banwick gironzolavano ancora fuori casa,
stando in cima alle rampe dei gradini che dai cortili si inerpicavano
sul fianco della montagna, o almeno questa era la mia spiegazione, cos
da sembrare fluttuanti a mezz'aria. Le loro risate felici tintinnavano
come campane nella notte. Quando ero uscito dalla locanda erano le
undici e un quarto, e stavo appunto pensando che le madri di Banwick
avevano effettivamente accordato una sin troppo generosa indulgenza,
quando i bambini ricominciarono a cantare quella vecchia melodia che
avevo sentito in serata. Ed ora quel coro di voci dolci e chiare
risuonava pi alto nella notte ed io pensai che doveva essere formato da
centinaia di bambini. Ero all'imbocco di un vicolo e fui stupito nel
vedere i bambini passarmi davanti in una lunga processione, che risaliva
serpeggiando la collina, dirigendosi verso l'Abbazia. Non so se in quel
momento fu la luna a sorgere pallida o se furono le nubi a scoprire le
stelle: certo che l'aria si fece pi chiara ed io potei distinguere
senza sforzo i bambini che mi oltrepassavano cantando, con lo stesso
trasporto ed entusiasmo che li anima quando cantano nei boschi a
primavera. Erano tutti vestiti di bianco, ma alcuni di essi avevano
strani segni sul corpo che, immaginai, dovevano avere un significato
simbolico in quel frammento di sacra rappresentazione tramandata dalla
tradizione a cui stavo assistendo. Molti portavano sul capo ghirlande di
alghe marine ancora gocciolanti; una di loro esibiva una finta cicatrice
sulla gola; un ragazzino mingherlino manteneva aperta la sua tunica
bianca e mostrava una spaventosa ferita all'altezza del cuore, da cui
pareva fluire persino il sangue; un altro bambino camminava con le
braccia tese e spalancate e i palmi sembravano laceri e sanguinanti,
come se fossero stati trafitti. Una delle bambine portava in braccio un
neonato ed anche il suo visino pareva ferito. La processione mi
oltrepass, ed io sentii ancora i loro canti in una lontananza che
sembrava celeste, mentre proseguiva la sua ripida salita verso l'antica
Abbazia. Tornai alla locanda e, mentre attraversavo il ponte, mi
rammentai all'improvviso che quel giorno era la vigilia dei SS.
Innocenti Martiri. Senza dubbio ero stato testimone di confuse vestigia
di qualche rito medioevale e, quando rientrai nella locanda, ne chiesi
spiegazione al padrone. In quel momento compresi il significato della
strana espressione che avevo visto sulla sua faccia. L'uomo impallid e
rabbrivid per la paura; poi scapp lontano da me come se io fossi stato
un messaggero di morte. Alcune settimane dopo leggevo distratto un libro
dal titolo The Ancient Rites of Banwick. Era stato scritto all'epoca
della Regina Elisabetta da un anonimo, che aveva conosciuto l'antica
Abbazia all'epoca del suo massimo splendore e che poi aveva assistito
alla sua decadenza. Trovai questo passo: "E il giorno della Festa degli
Innocenti, a mezzanotte, veniva celebrata una meravigliosa funzione
solenne. Poich quando i monaci avevano finito di cantare gli inni del
Te Deum nell'ora del Mattutino, si avvicinava all'altare l'Abate,
splendidamente abbigliato con una pianeta intessuta di oro, cosicch era
una meraviglia guardarlo. E poi entravano in chiesa anche tutti i
bambini di Banwick in tenera et ed essi erano tutti vestiti di una
tunica bianca. E poi l'Abate cominciava a cantare la Messa dei
Santissimi Innocenti. E quando la consacrazione era terminata, allora
dalla chiesa saliva sugli stalli del coro il pi piccolo bambino
presente che fosse in grado di mantenersi in piedi. E questo bambino
veniva sollevato sull'altare maggiore e l'Abate faceva sedere il piccolo
bambino su di un trono dorato e scintillante dinanzi all'altare
maggiore, e si inginocchiava e lo adorava, cantando "Talium Regnum
Coelorum, Alleluya. Suo il Regno dei Cieli. Alleluya," e dagli stalli
del coro rispondevano cantando, "Amicti sunt stolis albis, Alleluya,
Alleluya; Adorni sono di tonache bianche, Alleluya, Alleluya". E poi il
Priore e tutti i monaci, seguendo l'ordine gerarchico, si genuflettevano
e facevano simili atti di adorazione dinanzi al piccolo bambino che era
sul trono." Io avevo visto il Bianco Ordine degli Innocenti. Avevo visto
coloro che venivano cantando dalle acque profonde che circondavano il
Lusitania; avevo visto i martiri innocenti dei campi della Francia e
delle Fiandre gioire mentre salivano ad ascoltare la Messa in loro onore
nella loro dimora spirituale.
Arthur Machen
I BIMBI DELLO STAGNO
Un paio di anni fa trascorsi l'estate coi miei vecchi amici nella mia
Contea natia, al confine gallese. Era l'apice della calura e della
siccit di un anno caldo e secco, ed io provai un senso di grande
frescura nel trasferirmi in quelle verdi vallate, irrigate da acque
copiose. Qui trovai sollievo dall'afa delle strade di Londra, dalle
notti torride e soffocanti, quando il coacervo dei muri di pietra e
mattoni, delle costruzioni in calcestruzzo del lastrico e dei
marciapiedi, libera nella coltre di tenebre, senza mai arrestarsi, le
vampe di fuoco che ha catturato nel corso della giornata di sole
rovente. Sollievo dalle nostre autostrade ormai simili a strade ferrate,
dalla luce intermittente dei semafori, dagli accecanti lampioni gialli,
dalle sbarre e colonnine di acciaio; dalla minaccia di morte istantanea
se i tuoi passi deviano dal sentiero tracciato: quale ristoro
lasciarsi tutto questo alle spalle e passeggiare sotto una volta di
foglioline verdi ed udire il ruscello gorgogliare dal cuore stesso della
collina. I miei amici erano tali da vecchia data, ed insistevano perch
io scegliessi di fare quello che pi mi aggradava. La colazione era alle
nove, ma c'era sempre qualcuno pronto a servirmi un'eccellente colazione
anche alle dieci; potevo rientrare all'ora di pranzo per uno spuntino
freddo, se ne avevo voglia, o altrimenti, se non mi faceva piacere,
potevo ritornare per la cena, alle sette e mezza; e poi c'era tutto il
pomeriggio per parlare dei vecchi tempi e dei cambiamenti avvenuti,
innaffiando i discorsi con abbondanti bevute, ed il giaciglio reso pi
dolce dai ricordi, dal tabacco, e dal mormorio del ruscelletto che
serpeggiava sotto gli scuri ontani attraverso il grande prato
sottostante. E non un solo bungalow di mattoni rossi nel giro di pi di
un miglio! A volte, quando la calura, persino in quella terra
verdeggiante, si faceva insopportabilmente rovente, ed il vento che
calava dalle montagne ad occidente cessava di soffiare, rimanevo
sdraiato tutto il giorno su di un prato all'ombra di un albero, ma il
pi delle volte me ne andavo a zonzo a ripercorrere sentieri ritrovati
dalla memoria, o alla ricerca di nuovi itinerari di quella felice e
sbalorditiva campagna. C'erano viottoli che si addentravano in valli
sconosciute ed intatte, piste strette e profonde ormai cancellate dai
cespugli, da cui si dipartivano solchi ancora pi invisibili che credo
fossero vecchie mulattiere, le quali si snodavano lungo un tracciato non
pi individuabile e, che avevano tutta l'apparenza di non avere una meta
precisa. Quello era un giorno in cui l'aria si era fatta pi fresca ed
io mi ero avventurato in una delle mie spedizioni. Era un "giorno
velato". In cielo non c'era una nuvola, ma era tutto coperto da un'alta
foschia, grigia e luminosa. Ad un certo punto pareva che il sole
riuscisse a filtrare ed apparisse l'azzurro. In quei momenti gli alberi
del bosco sembravano fiorire e i prati si facevano pi chiari. Ma un
istante dopo il velo ritornava ad oscurare il sole. Mi incamminai per il
sentiero acciottolato che dal retro della casa si inerpicava su per la
collina. Erano passati molti anni da quando avevo percorso per l'ultima
volta quel viottolo: era un pomeriggio invernale, ed il gelo aveva
trasformato i solchi di terra in duri crinali di ghiaccio, e sulle
alture le scure sagome dei pini si stagliavano sul bianco della neve e
il sole era rosso ed ancora alto sulla montagna. Ricordavo che allora la
strada mi aveva divertito molto, con le sue strette curve a destra e a
sinistra, le improvvise discese e le conseguenti risalite fino a luoghi
ricoperti solo di felci e di rovi: poi erano calate le tenebre e
l'immoto silenzio della notte invernale ed io, pur se a malincuore, ero
tornato a casa. Ora mi concedevo un'altra opportunit ed avevo tutta la
lunga giornata estiva davanti a me: ero risoluto ad arrivare ad una
qualche conclusione e a porvi definitivamente termine. Penso di aver
oltrepassato il punto in cui mi ero fermato e ero tornato indietro,
quando su di me calarono il gelo della notte ed il luccichio delle
stelle. Ricordavo l'avvallamento della siepe, da cui avevo visto il
cumulo circolare su di un'altura al limite estremo della catena di
montagne; e l, sul pendio della collina, c'era la bianca fattoria, dove
il fattore stava ancora chiamando il cane, come l'aveva chiamato - o
forse era il padre - la volta scorsa, e la sua voce, come allora,
risuonava alta e acuta in lontananza. Oltrepassato questo punto, mi
parve di essere capitato in un paesaggio sconosciuto; i tronchi dei
frassini si addensavano su entrambi i lati del sentiero e le loro
chiome, in alto, si univano a formare un arco: io mi addentrai nel cuore
dell'ignoto alla maniera descritta dalle uniche buone guide esistenti, e
cio le storie degli antichi cavalieri. La strada divallava,
s'inerpicava, e poi discendeva di nuovo attraversando la fitta foresta.
A un certo punto, su entrambi i lati, gli alberi scomparvero, ma i
cespugli erano cos alti che non riuscivo a vedere in nessun modo il
paesaggio circostante. E, proprio al limitare del bosco, vidi uno di
quei solchi o piccoli viottoli di cui ho parlato prima: si dipartiva dal
margine destro del mio sentiero e spariva rapidamente dalla vista sotto
una fitta vegetazione di nocciuoli, rose selvatiche, aceri e carpini,
con di tanto in tanto un agrifoglio, mentre il caprifoglio dorato e la
scura brionia si arrampicavano e si attorcevano per ogni dove. Non
riuscii a resistere alla tentazione in cui mi induceva un sentiero tanto
misterioso e oscuro, ed imboccai il suo solco di erba verde e
rigogliosa: al di sotto la terra cedeva sotto la pressione dei piedi,
malgrado la siccit di quella rovente estate. Il viottolo si snodava,
per quanto riuscissi a capire, lungo il pendio di una collina, senza mai
scendere n salire e, dopo un miglio o forse pi, l'abbondante
vegetazione cess, ed io mi ritrovai in cima ad un'accidentata
mulattiera che conduceva ad una casa grigia. Dall'aspetto suo e dello
spazio circostante, si capiva che ora era stata trasformata in fattoria,
ma recava ancora tracce del suo antico splendore: belle finestre a pi
luci ornate da colonnine, tipiche del Sedicesimo Secolo, un porticato
dell'epoca di Giacomo I che sporgeva dal centro della facciata, e sulla
porta un'oscuro stemma nobiliare, sgretolato dal tempo. Mi accorsi che
avrei gradito del pane e formaggio ed un bicchiere di sidro: bussai
quindi alla porta con la punta del mio bastone e, al mio richiamo, una
donna accorse ad aprire i battenti. "Scusate," esordii, "potreste essere
cos gentile da..." A quel punto si ud un urlo provenire dall'altra
estremit del corridoio di pietra ed una possente voce che mi invitava:
"Entra, vecchio furfante, entra, se, come sono sicuro, il tuo nome
Meyrick." Ero stupefatto. La gentile donna fece un largo sorriso e mi
disse: "Sembra che qui vi conoscano molto bene, signore. O forse gi
sapevate che Mr. Roberts alloggia qui da un po' di tempo." James
Roberts, mio vecchio conoscente, ruzzol fuori dalla sua tana che si
trovava sul retro della casa. Lo conoscevo da molto tempo, ma con lui
non ero mai stato in grande intimit. A Londra le nostre vite scorrevano
su binari diversi, cos non avevamo molte occasioni di incontrarci. Ma
fui contento di vederlo in quella casa, dove mai avrei immaginato di
incontrarlo: era un uomo piuttosto grosso, il cui volto, da sempre
rubizzo, si andava facendo sempre pi rosso col passare degli anni. Era
originario della mia stessa regione ma, prima che entrambi ci
trasferissimo a Londra, lo conoscevo appena, poich abitava nella zona
settentrionale della contea. Mi strinse calorosamente la mano e parve
sul punto di baciarmi la mano - era un po' quel genere di uomo - , poi
ripet il suo invito: "Entra, entra!" aggiungendo, rivolto a quella
donna gentile: "Portate un altro piatto, Mrs. Morgan, e tutto il
necessario. Spero che tu non abbia dimenticato come si mangia il
formaggio Caerphilly. Posso assicurarti, che nessuno lo fa meglio di
Mrs. Morgan. E, Mrs. Morgan, porti un altro boccale di sidro, e seidr
dda, mi raccomando." Non sapevo se da bambino era stato educato a
parlare il gallese. A Londra aveva perso la bench minima traccia di
accento, ma qui nel Gwent si era abbondantemente riappropriato delle
inflessioni locali; ed il suo parlare sapeva di quella regione con una
forza non inferiore a quella che si avvertiva nella loquela della
gioviale moglie del fattore. Pensai che considerasse l'uso di
quell'accento parte della sua vacanza. Mi condusse in una piccola
saletta interna, arredata con mobili vecchi, bei ninnoli ormai fuori
moda e con le pareti tappezzate di una carta da parati a fiori,
scolorita dal tempo. Mi fece sedere in una sedia con i braccioli attorno
ad un tavolo rotondo e mi offr, come gli dissi, esattamente quello che
avevo intenzione di chiedere bussando a quella porta: pane, formaggio e
sidro. Tutte cose ottime: era chiaro che Mrs. Morgan conosceva l'arte di
fare un formaggio Caerphilly assai saporoso - una specie di Bel Paese
bianco - , completamente differente da quei formaggi secchi e duri come
pietra che sovente disonorano la reputazione della qualit Caerphilly.
Poi mi fu offerta marmellata di uva spina con crema. E, dopo ancora, il
tabacco che si fuma in quella regione: ShangontheBack, del Welsh
Back, Bristol. Ed infine un bicchierino di Gin. Il gin lo andammo a
sorseggiare fuori della casa, in un vecchio gazebo in pietra, al centro
del giardino laterale. Un cespuglio di rose bianche si era arrampicato
su tutto il padiglione, regalandogli ombra e magnificenza. L'acqua che
riempiva la grossa brocca era appena stata presa dal pozzo di roccia
calcarea: espressi a Roberts la mia gratitudine, in quanto mi sentivo
infinitamente meglio di quando avevo bussato alla porta della fattoria.
Gli dissi anche dove ero alloggiato - lui conosceva il mio ospite
soltanto di nome - e lui, a sua volta, mi inform che era la prima volta
che veniva a Lanypwell (questo era il nome della fattoria). Un suo
vicino di Lee gli aveva caldamente raccomandato la cucina di Mrs.
Morgan, e lui aveva scoperto che non si rischiava mai di esagerare nel
parlare di lei, e non solo per quanto riguardava la sua cucina. Per
tutto il pomeriggio sorseggiammo gin e fumammo tabacco in quel piacevole
rifugio, all'ombra delle rose bianche. Gli riferii con riconoscenza le
mie idee a proposito dell'impossibilit di gustare cos a fondo lo
ShangontheBack a Londra: un tabacco forte, di gusto pieno e maturo,
non adatto alla dura vita cittadina. "Dici che la fattoria si chiama
Lanypwell," interloquii io, "un nome che significa "accanto allo
stagno", non cos? Dov' lo stagno? Non lo vedo." "Vieni," disse
Roberts, "te lo faccio vedere." Mi condusse attraverso un cancelletto
che si apriva in un cespuglio ben curato di lauro, alto e folto, e poi
facemmo il giro del lato sinistro della casa, mentre io ero arrivato dal
lato opposto. Quindi, ci arrampicammo su di un verde bastione circolare,
vecchio di secoli, e da l lui mi indic una stretta valle in basso,
circondata da ripide colline coperte di boschi. Sul fondo c'era una
spianata, per met paludosa e per met coperta di acque putride che
formavano pozze immote, con verdi isole di iris e di tutte le specie
immaginabili di piante strane e rigogliose che amano affondare le
proprie radici nella melma. "Ecco lo stagno che cercavi," disse Roberts.
Mi parve un posto stranissimo, racchiuso com'era tra le montagne come se
fosse un segreto. I pendii scoscesi che lo circondavano erano tutto un
viluppo di piante del sottobosco, un groviglio di tutte le specie di
arbusti: gli alberi pi alti emergevano dalla massa e ne vidi alcuni
marciti nell'acquitrino, bianchi, nudi e raccapriccianti, con i rami
simili a membra lebbrose. "Un posto dall'aspetto assai sgradevole,"
dissi a Roberts. "E' quello che penso anch'io. E' un posto alquanto
sgradevole. Alla fattoria mi hanno detto che non prudente
avvicinarvisi, in caso contrario c' pericolo di febbri malariche e di
non so cos'altro. Ed in effetti, se non fai attenzione a dove metti i
piedi scendendo quei pendii, rischi di ritrovarti immerso fino al collo
in quel letamaio nero." Ritornammo all'interno del giardino ed al nostro
padiglione estivo e, dopo poco, si fece l'ora di riprendere il cammino
verso casa. "Quanto tempo ancora rimarrai da Nichol?" Mi chiese Roberts
al momento dei saluti. Glielo dissi e lui insistette perch cenassi da
lui alla fine della settimana. "Ti "guider" io," mi disse. "Ti far
passare per una scorciatoia che taglia attraverso i campi e mi
assicurer che non smarrisca la strada. Anatra arrosto e piselli
freschi," aggiunse con tono allettante, "e dopo cena un buon bicchierino
per facilitare la digestione." La sera in cui mi recai di nuovo alla
fattoria, era una bella serata ma, a dire il vero, ci eravamo stancati
di dire sempre " una bella giornata" per tutta la durata di quella
estate meravigliosa. Roberts mi accolse in modo ospitale e cordiale, ma
non credo che fosse dello stesso umor roseo della mia precedente visita.
Prendemmo un cocktail di sua invenzione nel padiglione estivo, in attesa
che la famosa anatra raggiungesse la definitiva e perfetta doratura, ed
io notai che le parole non gli scaturivano dalla bocca con la stessa
facilit della volta scorsa. Una volta o due si fece silenzioso e
meditabondo. Mi disse che si era avventurato gi allo stagno, in quel
luogo paludoso affossato tra le colline. "Visto da vicino, non ha certo
un aspetto migliore. Una sostanza nera e oleosa, che non certo acqua,
ricoperta di spuma, e dappertutto erbacce come una banda di mostri. Non
avevo mai visto piante cos bizzarre e poco gradevoli. Laggi c'era una
cosa che sembrava una pianta rigogliosa, tappezzata di fiori rossastri,
turgida e screziata come un rospo." "Tu non sei un botanico," commentai.
"No, vero. So riconoscere una margherita e un botton d'oro, o poco
pi. Mrs. Morgan mi sembrata impaurita quando le ho detto dove ero
stato. Mi ha detto che spera che non dovr pentirmi di quanto ho fatto.
Ma non mi sento peggio del solito. Non credo che in questa regione
esistano pi dei posti dove si rischi di prendere la malaria." Passammo
all'anatra con i piselli, gustando la perfezione della loro cottura. Fu
servito un barilotto di birra invecchiata, che Mr. Morgan aveva comprato
quando avevano demolito un'antica trattoria di quelle parti:
l'invecchiamento e l'originaria eccellenza si erano combinati per
formare una bevanda squisita come un vino raro. Il "buon bicchierino per
facilitare la digestione" si rivel essere colmo di un brandy stagionato
che Roberts si era portato dalla citt. Gli dissi che non avevo mai
trascorso una serata tanto piacevole. L'ottimo pranzo e gli alcoolici lo
avevano rianimato ed aveva quasi per intero riacquistato il suo buon
umore; eppure mi parve di indovinare un'inquietudine, un'oscura
preoccupazione in un angolo della sua mente che col buon umore non aveva
nulla a che fare. Ci versammo un secondo bicchierino di quel brandy
stagionato, e Roberts, dopo un attimo di esitazione, si decise a parlare
francamente. Abbandon del tutto il suo atteggiamento vacanziero, che lo
vedeva nei panni di un contadino gallese. "Ci crederesti," esord, "se
ti dicessi che un uomo pu ridursi al punto di essere ricattato alla
fine del viaggio?" "Dio mio!" esclamai col fiato corto per lo stupore,
"penso di no. Che accaduto?" Il suo volto si fece serio. Mi parve
persino impaurito. "Ora te lo dico. Un paio di sere fa, sono uscito a
fare quattro passi dopo cena: era una serata bellissima, la luna
splendeva, e soffiava una brezzolina piacevolmente fresca. Perci mi
sono inerpicato sulla collina e poi ho preso il sentiero che, attraverso
il bosco, conduce al ruscello. "Mi ero appena addentrato nel bosco e non
avevo fatto pi di una cinquantina di metri, quando ho sentito una voce
che mi chiamava: "Roberts! James Roberts!". Era una voce acuta e
penetrante, una voce giovane da ragazza, e per la paura, te lo assicuro,
ho fatto un grosso balzo in avanti. Mi sono arrestato di colpo per
guardarmi intorno. Naturalmente non ho visto nulla, se non il chiaro di
luna e le ombre profonde di tutti quegli alberi: chiunque poteva essersi
rincantucciato in uno dei mille nascondigli. "Poi mi venuto in mente
che poteva trattarsi di una ragazza che giocava con l'innamorato: James
Roberts un nome piuttosto comune, specialmente da queste parti. Perci
ho proseguito la mia passeggiata, non volendo certo immischiarmi nelle
storie d'amore locali, ma ad un tratto quel grido di nuovo risuonato
nell'aria, proprio accanto alle mie orecchie: "Roberts! Roberts! James
Roberts!", e poi una mezza dozzina di parole che non ho intenzione di
dirti per non importunarti; non per il momento, almeno." Ho gi detto
che Roberts non era affatto un mio intimo. Ma l'avevo sempre conosciuto
come una persona gioviale e socievole, come un uomo dall'ottimo
carattere; ed ora ero dispiaciuto e sorpreso nel vederlo agitarsi e
tormentarsi seduto su quella sedia. Pareva che avesse visto un fantasma,
o peggio. Pareva che avesse visto in faccia il terrore. Ma era troppo
presto per metterlo alle strette. "Che cosa hai fatto dopo?" "Mi sono
voltato e ho ripercorso di corsa il sentiero del bosco: sono persino
ruzzolato lungo il pendio. Non ero mai arrivato a casa cos velocemente;
qui mi sono chiuso a chiave in questa stanza, con il sudore che mi
gocciolava dalla fronte per la paura e il respiro affannoso. Ero quasi
impazzito, credo. Camminavo avanti e indietro. Mi sedevo e mi alzavo in
continuazione. Mi chiedevo se ad un certo punto non mi sarei ritrovato
nel bel mezzo del letto per scoprire che era stato solo un incubo.
Urlavo e, infine, te lo giuro: ho chinato la testa tra le mani e ho
lasciato che le lacrime mi scorressero lungo le guance. Ero a pezzi."
"Ma rifletti un attimo," gli dissi, "non stai per caso gonfiando una
cosa di per se stessa insignificante. Mi rendo conto che stato uno
shock terribile. Ma da quanto tempo hai detto che stai qui? Dieci
giorni, vero?" "Domani fanno quindici giorni." "Bene, tu conosci questi
posti quanto me. Puoi essere sicuro che non c' una persona nel giro di
tre o quattro miglia che non sia al corrente del fatto che un signore di
Londra, un certo Mr. James Roberts, alloggiato alla fattoria. E,
dovunque tu vada, c' sempre qualche giovane poco simpatico sulla tua
strada. Credo di aver capito che quella ragazza ha usato un linguaggio
assai offensivo nei tuoi confronti quando ti ha chiamato. Probabilmente
pensava che fosse uno scherzo molto divertente. Immagino che avevi gi
un paio di volte passeggiato nel bosco di sera. Non c' dubbio che
qualcuno aveva notato la tua presenza, e la ragazza e il suo amico, o i
suoi amici, hanno pensato di farti prendere un bello spavento. Se fossi
in te, non ci penserei pi." La sua risposta fu quasi un grido. "Non
pensarci pi! E cosa ne penser il mondo?" La sua voce tremava di
angoscioso terrore. Pensai che fosse giunto il momento di costringerlo a
parlare. Perci esclamai con tono brusco e perentorio: "Ora, ascoltami
bene, Roberts: non serve a niente menar il can per l'aia. Non possiamo
fare nulla se prima non abbiamo il quadro preciso e dettagliato della
situazione. Quello che io ho capito questo: una sera esci a fare una
passeggiata nel bosco qui vicino, ed una ragazza - hai detto che era una
voce di ragazza - ti chiama per nome e poi ti urla appresso un sacco di
parole sconce. C' qualcos'altro che io non so?" "Ci sono moltissime
cose che non sai. Stavo per chiederti di lasciare perdere; ma, a quanto
vedo, non sar un segreto di lunga durata. La storia finisce in un altro
modo, ed una fine che risale a molti anni fa, all'epoca del mio arrivo
a Londra, quando ero solo un ragazzo. Venticinque anni fa!" Si
interruppe. Quando ricominci a parlare, lo fece con indicibile
ripugnanza. Ogni parola accresceva in lui l'orrore. "Lo sai anche tu che
un giovane appena arrivato a Londra ha davanti a s ogni genere di
bivio: ci sono strade buone, cattive o neutrali. La sfortuna gioc un
ruolo importante. Ne sono convinto, e inoltre ero troppo giovane per
sapere o per fare attenzione a dove stavo andando: imboccai una strada
che portava ad un pozzo nero." Mi fece cenno di sporgermi al di sopra
del tavolo e, per un paio di minuti, mi bisbigli qualcosa all'orecchio.
Io, a mia volta, non potei fare a meno di provare orrore per quanto
stavo ascoltando. Ma non dissi nulla. "Ecco quello che ho sentito nel
bosco. Che ne dici?" "E' molto tempo che l'hai fatta finita con questa
storia?" "L'ho fatta finita subito dopo il suo inizio. Fu solo come un
brutto sogno. E adesso sono vittima di un ritorno di fiamma come se mi
fosse caduto addosso un fulmine mortale. Che ne dici? Cosa posso fare?"
Gli dissi che dovevo ammettere che non aveva senso ridurre la storia del
bosco ad un incidente, ad occasionali oscenit pronunciate da una
ragazza depravata del villaggio. Come dissi, non si trattava di una
freccia tirata a casaccio. "Ci deve essere qualcuno dietro tutta questa
storia. Non hai idea di chi pu essere?" "Potrebbero ancora essere un
paio di persone. Non lo so con esattezza. Per anni non ho saputo niente
di loro. Pensavo che non ci fosse rimasto pi nessuno: che fossero o
morti o andati all'altro capo del mondo." "D'accordo, ma oggigiorno non
s'impiega molto tempo a tornare dall'altro capo del mondo. Yokohama non
molto pi lontana di Yarmouth. Ultimamente non hai avuto notizie di
nessuno di loro?" "Come ti ho gi detto, sono anni che non ne sento pi
parlare. Ma il segreto stato ormai svelato." "Ragioniamo un attimo.
Chi quella ragazza? Dove vive? Dobbiamo scovarla e tentare di
spaventarla a morte. E, prima di tutto, dobbiamo scoprire la fonte delle
sue informazioni. Cos scopriremo con che cosa abbiamo a che fare.
Suppongo che tu abbia gi scoperto la sua identit." "Non ho la minima
idea di chi possa essere e di dove possa vivere." "Ed immagino che non
abbia voglia di rivolgere qualche domanda a Mr. Morgan. Ma ricominciamo
da capo: hai parlato di ricatto. Quella maledetta ragazza ti ha chiesto
del danaro per tenere la bocca chiusa?" "No, ho sbagliato a definirlo
ricatto. Non ha mai parlato di danaro." "E' gi una cosa buona. Vediamo:
oggi sabato. Tu hai fatto quell'infelice passeggiatina un paio di sere
fa: cio gioved sera. Io mi terrei alla larga dal bosco e tenterei di
scoprire chi quella giovane signora. E' la prima cosa da fare,
chiaro." Tentavo di allentare la tensione, ma Roberts continuava a
fissarmi con gli occhi colmi di terrore. "La storia del bosco non ho
ancora finito di raccontartela," disse con un gemito. "La mia camera da
letto la stanza accanto a questa. Quella sera, per rianimarmi un po',
ho bevuto parecchio, quasi il doppio della mia dose abituale, cos sono
crollato sul letto e mi sono addormentato. Mi ha svegliato un rumore di
nocche che bussava alla finestra, proprio a capo del letto. Toc, toc,
toc, cos faceva quel rumore. In un primo momento ho pensato che fosse
un ramo che sbatteva sul vetro. Poi ho sentito di nuovo quella voce
chiamarmi: "James Roberts! Apri, apri!" "Ti assicuro, che mi faceva
accapponare la pelle. Avrei voluto urlare, ma la voce non mi usciva. La
luna era tramontata, e un grosso pero accanto alla finestra proiettava
la sua scura ombra. Mi misi a sedere in mezzo al letto, tremando per la
paura. C'era un silenzio di tomba, e cominciavo ormai a credere che lo
spavento del bosco mi avesse causato un incubo, quando quella voce mi ha
chiamato ancora, con un tono ancora pi alto: "James Roberts. Aprimi.
Presto." "E io fui costretto ad aprire. Mi sono sporto mezzo fuori dal
letto, ho impugnato la maniglia ed ho aperto un poco la finestra. Non ho
avuto il coraggio di guardare fuori. Ma, del resto, era troppo buio per
sperare di vedere qualcuno nascosto nell'ombra dell'albero. Poi lei ha
cominciato a parlare. Mi ha raccontato tutto dall'inizio. Conosceva i
nomi. Sapeva dove lavoro a Londra e dove vivo, e chi sono i miei amici.
Mi ha detto che scopriranno tutto. E ha detto: "E sarai tu stesso a
dirglielo, e non potrai nascondere neanche il pi piccolo dettaglio!""
L'infelice croll sullo schienale della sedia, ansando e tremando.
Alzava e abbassava le mani in un gesto di disperazione, di paura e di
angoscia, ed aveva le labbra serrate in un ghigno di terrore. Non posso
dire che cominciai ad intravedere una luce. Intravidi una remota
possibilit di luce o, meglio, di attenuazione delle tenebre. A Roberts
dissi un paio di parole per consolarlo e poi lasciai che si riposasse un
pochettino. Il racconto di quella straordinaria ed orribile esperienza
gli aveva scosso i nervi, tuttavia l'aver confessato tutto a qualcuno
gli dava un certo sollievo. Le mani erano poggiate immobili sul tavolo e
le labbra avevano abbandonato quella terribile smorfia. Mi guardava con
un'espressione di fievole aspettativa, o almeno cos mi parve; come se
cominciasse a nutrire qualche debole speranza sul fatto che, in qualche
modo, potevo essergli di aiuto. Non era in grado di vedere da solo una
possibilit di scampo; tuttavia, l'uno non sapeva che risorse e che
iniziative gli riservava l'altro. Questo, almeno, era quanto il suo
volto angosciato mi sembrava esprimesse. E speravo di non sbagliarmi:
perci lo lasciai un po' sbollire, affinch raccogliesse ogni pi
piccolo filo di speranza che riusciva a trovare. Poi, ricominciai:
"Questo accaduto gioved notte. E ieri notte? Un'altra visitina?" "La
stessa del giorno precedente. Quasi parola per parola." "Ed era tutto
vero quello che diceva? La ragazza non mentiva?" "Ogni sua parola
corrispondeva alla verit. Ha detto delle cose che io stesso avevo
dimenticato. Ma quando lei ne ha parlato all'improvviso me ne sono
ricordato. Per esempio, il numero di una casa in una certa strada. Se
una settimana fa mi avessi chiesto quel numero, io ti avrei risposto, in
tutta onest, che non ne sapevo nulla. Ma quando l'ho sentito, l'ho
subito riconosciuto: ho visto quel numero illuminato dalla luce di un
lampione. Il cielo era scuro e nuvoloso, soffiava un vento pungente, che
sollevava le foglie sul selciato, quella sera di novembre." "Quando
scoppi lo scandalo?" "Proprio quella sera. Quando comparvero loro." "E
non hai visto la ragazza? La riesci a descrivere?" "Ho avuto paura di
guardare, te l'ho detto Ho aspettato che finisse di parlare. Poi, per
quasi un'ora, sono rimasto seduto sul letto. Infine ho acceso una
candela e ho chiuso la finestra. Erano le tre e cominciava a fare
giorno." Mi misi a riflettere. Feci caso al fatto che Roberts aveva
confessato che non una parola pronunciata dalla sua ospite era falsa.
Lei non lo aveva sorpreso in alcun modo: non aveva aggiunto nessun
dettaglio nuovo, n nomi o circostanze. Pensai che la cosa aveva una
certa - possibile - spiegazione: e la sua conoscenza dell'attuale vita
di Roberts, il suo indirizzo della City, il suo indirizzo di casa, e i
nomi degli amici: anche questo era un dato interessante. Era solo il
barlume di una possibile ipotesi. Non ne potevo essere certo; ma dissi a
Roberts che credevo che si potesse fare qualcosa. Per cominciare gli
dissi che quella notte gli avrei tenuto compagnia io. Nichol avrebbe
pensato che avevo voluto evitare di fare ritorno col buio: sarebbe
andato tutto a posto. E la mattina dopo lui doveva pagare a Mrs. Morgan
le altre due settimane che aveva predisposto di restare, con una
sommetta in pi a mo' di rimborso. "E dovrebbe essere una bella
sommetta," aggiunsi con una certa emozione, pensando all'anatra e alla
birra invecchiata. "E poi," conclusi, "ti spedir dall'altro lato
dell'isola." Gli feci bere un'abbondante dose di quella birra
invecchiata perch avesse un effetto soporifero. Ma lui non aveva
affatto bisogno di un narcotico: l'orrore che aveva vissuto e lo stress
della sua confessione lo avevano sfinito. Lo vidi crollare sul letto e
addormentarsi nel giro di un minuto, ed io mi raggomitolai in un'ampia
poltrona, abbastanza comoda. La notte trascorse senza alcun problema e,
quando mi svegliai, stiracchiandomi le membra, vidi che Roberts dormiva
tranquillamente. Lo lasciai solo e vagai in giro per la casa e per il
giardino, splendente nella luce mattutina, fino a quando non incontrai
Mrs. Morgan, indaffarata in cucina. Le esposi il problema. Le dissi che
temevo che quel posto non si confacesse affatto a Mr. Roberts. "In
effetti," dissi, "ieri sera stato cos male che non ho avuto il
coraggio di lasciarlo da solo. I suoi nervi sembrano molto scossi." "La
cosa non mi stupisce affatto," replic Mrs. Morgan, scura in volto. A
lungo meditai sul suo commento, poich non avevo la minima idea
dell'oggetto della sua allusione. Proseguii il mio discorso, esponendole
quanto avevo pensato per il "nostro paziente", cos lo definii: le
brezze della costa orientale, un'enorme quantit di persone, le pi
chiassose possibili. Era proprio questa la cura che avevo in mente. Le
dissi che ero sicuro che Mr. Roberts avrebbe condiviso le mie idee. "E'
la cosa migliore, signore, ne sono convinta: stia tranquillo. Ma, prima
se lo porta via, dopo naturalmente che vi avr servito la colazione, pi
ne sar felice. Sono spaventata a morte a causa sua, glielo assicuro."
Quindi, ritorn alle sue faccende, mormorando qualcosa del tipo "Plant y
pwll, plant y pwll." Non detti a Roberts il tempo di riflettere. Lo
svegliai, lo incitai ad alzarsi, gli feci premura durante la colazione,
rimasi a guardarlo mentre riempiva la valigia e si congedava dai Morgan,
e feci in modo che fosse seduto, all'ombra di un albero, sul prato di
Nichol molto tempo prima che la famiglia facesse ritorno dalla Chiesa.
Fornii a Nichol vaghe spiegazioni - un esaurimento nervoso e cose simili
- , li presentai l'un l'altro, e condussi il discorso sulle Montagne
Nere, la zona di origine di Roberts. Il giorno dopo lo accompagnai alla
stazione, dove sal su di un treno per Great Yarmouth, via Londra. Con
aria autoritaria gli dissi che non avrebbe pi avuto alcun problema "di
nessun genere", sottolineando con il tono della voce queste ultime
parole. E, nel giro di una settimana, avrebbe dovuto scrivermi al mio
indirizzo di Londra. "A proposito," gli dissi, proprio un attimo prima
che il treno cominciasse a scivolare lungo il marciapiede, "ho pronta
per te una espressione in gallese. Che vuol dire "plant y pwll"? Una
cosa che ha a che fare con lo stagno?" ""Plant y pwll"", spieg, "vuol
dire "i bambini dello stagno."" Quando le mie vacanze furono finite e
feci ritorno in citt, cominciai ad indagare sul caso di James Roberts e
della sua ospite notturna. L'inizio della sua confessione mi aveva
turbato: non dubitavo della verit delle sue parole e mi angosciava il
pensare che una persona cos gentile fosse minacciata da una catastrofe
e una disgrazia incombenti. La sostanza del suo racconto ed il primo
abbozzo della sua storia non mi erano parsi impossibili. Non insolito
scoprire che uomini di grande moralit hanno una macchia nel loro
passato, che hanno fatto di tutto per dimenticare ed espiare. Sovente,
non difficile capire i motivi di una tale disavventura. Un giovane,
cresciuto con sani ma semplici principi tra semplice gente di campagna,
si trova gettato allo sbaraglio nel labirinto di Londra, in un dedalo
che presenta molti bivi, secondo l'espressione dell'infelice Roberts,
che conducono alla catastrofe, o a qualcosa di peggio della catastrofe.
L'uomo pi esperto, l'uomo dalla pi acuta sensibilit e dall'istinto
pi forte, sa riconoscere l'aspetto di questi passaggi tentatori e li sa
evitare; alcuni hanno la saggezza necessaria per tornare indietro in
tempo, ma altri, alla fine, sono presi in trappola. E talvolta, sebbene
apparentemente sia sfuggito al pericolo e viva da molti anni in pace e
al sicuro, la trappola sempre pronta ad addentare la gamba di quello
stesso uomo, ed alla fine scatta. Vengono smascherati in questo modo
stimati dirigenti e alti ecclesiastici, e le massime autorit di ogni
genere di decorose istituzioni. E per loro la prigione, o, nel
migliore dei casi, fischi e definitivo fallimento. Perci, a giudicare
dalle apparenze, ero ben lungi dal ridicolizzare il racconto di Roberts.
Ma quando lui mi forn maggiori dettagli ed io ebbi modo di riflettervi
sopra, quella facolt completamente irrazionale, che talvolta dirige i
nostri pensieri e i nostri giudizi, mi indic un'enorme falla in tutta
quella storia, mi sugger che, per un motivo o per l'altro, le cose non
erano andate proprio in quel modo. Credo che un simile processo mentale
non sia n definibile n giudicabile in base alle leggi del pensiero,
almeno non di quelle di cui sono a conoscenza io. Non intendo schierarmi
sulle posizioni del Vescovo Butler, n dichiarare insieme a lui che il
probabile la guida dell'esistenza: un processo deduttivo che partisse
da tale premessa arriverebbe alla conclusione che l'improbabile non
accade mai. Chiunque osservi la propria esperienza del mondo e delle
cose in generale sa che di continuo accadono eventi altamente
improbabili. Ne fornir una dimostrazione: apro il giornale di oggi,
sicuro di trovarvi qualcosa che faccia al caso mio, e, tempo un minuto,
mi imbatto nel titolo: "Danneggia un modello di elefante." Un padre,
uomo di larghi mezzi, accusa il figlio di questa strana ingiuria. Il
padre ha detto alla Corte che la scorsa estate il figlio aveva costruito
nel giardino dinanzi casa un modello di grandi dimensioni di un elefante
ed ha citato come testimone l'uomo che gli aveva venduto il materiale
per la costruzione. Lo scheletro dell'elefante era fatto di tubazioni,
era stato poi ricoperto di un composto di terra e fibra, ed il tutto era
stato rinforzato con una rete metallica. Su di esso erano stati piantati
dei fiori. La spesa complessiva era di 35 sterline. Dinanzi alla Corte
stata prodotta come prova una fotografia dell'elefante ed il cancelliere
ha commentato: "Davvero impressionante!" Poi si abbattuta la
catastrofe. Il figlio si innamorato di una donna sposata molto pi
anziana di lui, che i genitori disapprovavano: di qui continui litigi.
Una notte, il giovane andato a casa di suo padre, ha scavalcato il
muro del giardino ed ha tentato di buttar gi l'elefante. Non essendoci
riuscito, ha deciso di sventrare l'elefante con un tronchetto. Ecco qui!
Non c' niente di pi improbabile di questa storia, eppure accaduta
realmente, come mi assicura il Daily Telegraph, e io ci credo alla
lettera. E sono sicuro che, se mi metto d'impegno, trover qualcosa di
altrettanto improbabile, e forse persino di pi improbabile, nelle
pagine dei quotidiani, tre o quattro volte la settimana. Che ne dite,
per esempio, di quel vecchio sconosciuto, e tuttora non identificato,
trovato nel Tamigi? In una tasca aveva un Buddha di pietra, nell'altra,
un portafoglio in pelle, con la scritta: "La gallina che cova l'uovo di
porcellana pi ricca delle altre?" L'improbabile accade e accade di
continuo. Usando quella facolt che non sono in grado di definire, mi
rifiutai di credere all'esistenza della ragazza e della finestra di cui
Roberts aveva parlato. Neanche per un minuto sospettai che si potesse
trattare di uno scherzo, sebbene offensivo e perverso organizzato da
lui. La sua infelicit e il suo terrore erano troppo manifesti ed ero
certo che aveva subito uno shock spaventoso e assai grave: eppure non
credevo vera la storia che mi aveva raccontata. Ero convinto che non
esistesse nessuna ragazza in quel caso, n nel bosco n alla finestra. E
quando Roberts mi disse, con orrore crescente, che ogni parola da lei
pronunciata corrispondeva alla verit e che anzi lei gli aveva fatto
ricordare dei particolari che lui stesso aveva dimenticato, fui
enormemente rafforzato nella mia supposizione. Poich mi sembrava almeno
probabile che, se le cose stavano come immaginava lui, quella storia gli
avrebbe fornito nuovi orribili particolari, da lui completamente
ignorati e mai sospettati. Ma, invece, lui credeva e sapeva tutto quello
che lei gli aveva detto: come in sogno si crede senza esitazione alle
pi audaci fantasie come se fossero fatti e eventi della vita
quotidiana. Decisamente, in quella storia non c'era nessuna ragazza. La
domenica che lui aveva trascorso a Wern, la propriet di Nichol, avevo
approfittato della sua maggiore calma - la notte di riposo gli aveva
fatto molto bene - per farmi dire fatti e date e, quando ritornai a
Londra, ne controllai la veridicit. Nel complesso non fu un'indagine
facile perch, almeno in apparenza, i fatti da esaminare erano
estremamente banali: i primi tempi di un giovane di campagna venuto a
Londra per lavorare in una ditta: e questo venticinque anni fa. Persino
i pi eccitanti processi per omicidio o l'avvicendarsi dei ministri
assumono contorni incerti e sfocati, se non sono completamente
dimenticati, dopo venticinque, o anche venti anni; e, se la si
paragonava con eventi del genere, la storia personale di James Roberts
pareva addirittura inesistente. Tuttavia, sfruttai al meglio le
informazioni che Roberts mi aveva dato e fui incoraggiato nel mio
compito da una lettera che ricevetti da lui. Mi raccontava che il
problema (cos lo defin) non si era pi ripresentato, che si sentiva
quasi bene, e che a Yarmouth si stava divertendo immensamente. Diceva
che gli spettacoli e i divertimenti balneari gli facevano: "Immensamente
bene. C' un boia in pensione che continua a fare il suo vecchio
mestiere sotto una tenda, con il trabocchetto della forca e tutto il
necessario. E c' uno stupido, che si proclamato arcivescovo di
Londra, che osserva il digiuno chiuso in una vetrinetta, con indosso la
mitra e tutti i paramenti." Certamente il mio paziente, o si era
completamente rimesso, o era sulla strada di una pronta guarigione:
potevo organizzare le mie ricerche con lo spirito tranquillo con cui si
tenta di appagare una curiosit scientifica, senza quella tensione
nervosa che assale un chirurgo che si deve basare su scarse informazioni
per eseguire un'operazione da cui dipende la vita o la morte di una
persona. Fu tutto pi facile di quanto pensavo. E' vero che i risultati
delle mie ricerche furono nulli, o quasi nulli, ma questo era
esattamente quanto mi aspettavo e speravo di trovare. Le mie indagini
ebbero successo, nonostante avessi a disposizione soltanto una sommaria
descrizione dei suoi primi anni trascorsi a Londra, un paio di nomi e un
paio di date, che Roberts mi aveva fornito, omettendo, su mia richiesta,
gli eventi poco piacevoli. E cosa ne venne fuori? Semplicemente questo:
un ragazzino - allora aveva soltanto diciassette anni - , cresciuto tra
tranquille colline, che aveva frequentato un piccolo Liceo, tramite uno
zio di Londra aveva ottenuto un posto di scarsa importanza in un ufficio
della City. Dopo una lunga e complicata corrispondenza, fu deciso che
sarebbe andato a pensione da alcuni lontani cugini che vivevano nel
Distretto CricklewoodKilburn-Brondesbury: si sistem quindi presso di
loro, e stava abbastanza bene, sebbene la cugina Ellen si opponesse
all'abitudine che aveva preso di fumare in camera da letto e gli avesse
chiesto di desistere da tale pratica. Gli abitanti della casa erano
costituiti dalla cugina Ellen, da suo marito, Henry Watts, e dalle due
figlie, Helen e Justine. Justine era coetanea di Roberts, Helen aveva
tre o quattro anni in pi. Mr. Watts si era sposato piuttosto tardi e da
circa un anno era andato in pensione. Il suo pi grande interesse era la
coltivazione di begonie a tubero e, durante la bella stagione,
percorreva le poche miglia che lo separavano dal club di cricket e il
sabato pomeriggio andava a vedere la partita. La colazione era alle otto
di mattina, la cena fredda alle sette di sera e, nell'intervallo di
tempo tra i due pasti, Roberts faceva del suo meglio nell'ufficio della
City, dove il lavoro gli piaceva abbastanza. All'inizio era timido con
le due ragazze, ma Justine aveva un carattere vivace, anche se non
poteva fare a meno di avere una voce da pavone, ed Helen era adorabile.
Questa situazione and avanti assai piacevolmente per un anno, un anno e
mezzo, su queste basi: sulla convinzione che Justine fosse una gran
burlona e che Helen era adorabile. Il problema era che Justine non
pensava di essere una gran burlona. A questo punto va detto che il
soggiorno di Roberts a casa dei cugini si interruppe bruscamente. Sono
quasi sicuro che il giovane e la dolce Helen si fossero macchiati -
diciamo cos - di piacevoli indiscrezioni, sebbene la cosa non avesse
avuto serie conseguenze. Ma accadde che la cugina Justine, una ragazza
dagli occhi e dai capelli neri, scopr delle cose che la ferirono
profondamente, tanto da smascherare i colpevoli col tono pi alto della
sua vocetta acuta, nel tombale silenzio della notte di Brondesbury, con
immensa, rabbia, orrore e costernazione di tutta la casa. Difatti, la
scenata ebbe serie conseguenze, in quanto Mr. Watts scacci all'istante
il giovane Roberts dalla casa. E certamente lui avr provata una
profonda vergogna per il suo comportamento. Ma i giovani, si sa,... La
cosa fin l. Il vecchio Watts aveva urlato nell'ira che avrebbe
riferito l'intera faccenda al superiore di Roberts della City; ma,
riflettendoci in seguito, aveva deciso di tenere la bocca chiusa. Per il
resto della notte Roberts vag per Londra, ristorandosi di tanto in
tanto ad un chiosco del caff. Quando si aprirono i negozi, si lav e si
rinfresc, e poi si present sveglio e puntuale nel suo ufficio. A
mezzogiorno, nella sala sotterranea per fumatori del bar, si confid con
un collega mentre giocavano a domino. Fu deciso che avrebbe diviso con
lui il suo appartamento sulla strada per Norwood. Da quel momento in
poi, la carriera di James Roberts aveva avuto un tranquillo svolgimento,
senza eventi inattesi ma con un certo successo. Oggi, credo, tutti sanno
che negli ultimi anni quella stupida pratica con cui si divina il futuro
attraverso i sogni non pi un gioco e che invece diventata una
scienza assai seria. La chiamano "psicanalisi": e, a mio parere,
composta da un pizzico di buon senso mescolato con un centinaio di
assurdit. Dai sogni pi semplici e innocenti, lo psicanalista deduce le
conclusioni pi assurde e stravaganti. Un selvaggio negro gli dice che
ha sognato di essere inseguito da dei leoni o, forse, da dei
coccodrilli: l'indagatore della psiche umana capisce subito che il negro
soffre del complesso di Edipo. Il che vuol dire che follemente
innamorato della madre e che, quindi, ha paura della vendetta del padre.
Tutti, naturalmente, sanno che il "leone" e il "coccodrillo"
simboleggiano il "padre". E sono sicuro che ci sono persone istruite che
credono a queste sciocchezze. Sono tutte assurdit, questo certo; e la
loro assurdit ancora pi grande in quanto la vera interpretazione di
molti sogni - ma non di tutti i sogni - procede, se cos di pu dire,
nella direzione opposta del metodo usato dalla psicanalisi. Lo
psicanalista deduce il mostruoso e l'anormale da una inezia; spesso
pi opportuno invertire il processo. Se un uomo sogna di aver commesso
un peccato prima di essere investito dai raggi del sole, spesso
opportuno supporre che, per pura distrazione, con il vestito da sera
aveva indossato una cravatta rossa o un paio di stivali marroni. Un
lieve contrasto con il Vicario pu indurre a sognare di essere
consegnato nelle grinfie dell'Inquisizione Spagnola e di subire i
tormenti di una morte atroce. Il mancato ricevimento di una lettera
piuttosto importante pu talvolta causare la rovina di un grande reame
nel mondo dei sogni. Ed qui, ne sono certo, che va ricercata una
spiegazione almeno parziale del caso di Roberts. Senza dubbio, non si
era comportato molto bene da ragazzo: il nocciolo del suo problema era
qualcosa di pi di un'inezia. Ma il suo peccato originale, per quanto
grave possiamo giudicarlo, nascosto nel suo inconscio, si era gonfiato e
dilatato fino a generare una mostruosa mitologia del maligno. Qualche
tempo fa, un dotto e originale studioso ha dimostrato che Coleridge ha
preso una frase disadorna da un antico cronachista e ne ha fatto il
nucleo de The Ancient Mariner. Grazie all'ampiezza del suo spirito,
Coleridge ha inconsciamente raccolto nella sua rete le creature di tutte
le specie che popolavano gli oceani delle sue vaste letture: cosicch lo
spoglio suggerimento di un vecchio libro divampato in uno dei pi
grandi capolavori della letteratura mondiale. Roberts non possedeva
alcuna facolt poetica, n il potere creativo dell'immaginazione, e
nemmeno la capacit di esprimere se stesso, tutti mezzi con cui
l'artista libera la propria anima dal fardello che porta. In lui, come
in molti altri uomini, c'era un abisso invalicabile tra conscio e
inconscio; in questo modo quella faccenda non era potuta crescere in
modo manifesto, alla luce del sole, e si era dilatata segretamente, era
diventata enorme e orribile, nel buio del rimosso. Se Roberts fosse
stato un poeta o un pittore o un musicista, forse avremmo avuto un
capolavoro. Ma Roberts non era affatto un artista: e quindi abbiamo
avuto un mostro. E sono convinto che gli anni da allora trascorsi non
siano stati afflitti da un profondo senso di colpa. Nel corso delle mie
ricerche ho scoperto che, non molto tempo dopo la sua fuga da
Brondesbury, Roberts venne a conoscenza di alcuni sfortunati incidenti
della saga dei Watts - se mi consentito usare un termine tanto elevato
- , che lo convinsero dell'esistenza di circostanze attenuanti la sua
colpa, e di scuse al suo comportamento scorretto. La realt dei fatti
era stata certamente dimenticata o ricordata superficialmente, in rare e
casuali occasioni, senza per questo suscitare gravi rimorsi o sensi di
colpa. Nel frattempo, nelle zone pi nascoste della sua anima si andava
segretamente formando un tripudio di orrore. Ed alla fine, dopo che per
anni era cresciuto ed aumentato nelle tenebre dell'anima, il mostro era
uscito allo scoperto, con una tale violenza che la vittima aveva creduto
di avere a che fare con una reale e oggettiva entit. E, in un certo
senso, era sorta dalle putride acque dello stagno. Qualche giorno fa ho
letto, in una recensione ad un serio volume di psicologia, il paragrafo
seguente, che mi ha colpito molto: "Le cose che noi discerniamo come
qualit o valori sono intrinseci all'ambiente reale per formare la
configurazione che essi formano con la nostra reazione sensoriale nei
loro confronti. Un paesaggio "triste" "triste" anche quando chi lo
guarda di buon umore, e se crediamo che sia "triste" solo perch gli
attribuiamo sensazioni derivate da passate associazioni con la
tristezza, il professor Koffka ci fornisce ottimi motivi per giudicare
superficiale una tale opinione. Ci non significa assegnare attributi
umani a quelle che sono definite "caratteristiche a richiesta"
dell'ambiente, ma dare il necessario riconoscimento all'altro estremo
del legame, di cui solo un estremo organizzato nella nostra mente."
Sono certo che la psicologia una scienza complessa e misteriosa che
forse naturale che si esprima con un linguaggio misterioso e complesso.
Ma, per quanto ho potuto capire, il senso del passaggio che ho citato
questo: un paesaggio, una certa conformazione di boschi, acque, altezze
e profondit, luci e ombre, fiori e rocce, in effetti una realt
oggettiva, una cosa; proprio come, nello stesso modo, sono cose il vino
e l'oppio, e non fantasie raggrumate, semplici creature del nostro
autoconvincimento, a cui conferiamo una sorta di falsa realt ed
efficacia. I sogni di De Quincey sono la sintesi di De Quincey pi
l'oppio. La licenziosa gaiezza di Charles Surface e dei suoi amici il
prodotto e il risultato del vino che hanno bevuto pi le loro
personalit. Allo stesso modo, il profondo professor Koffka - il titolo
del suo libro Principles of Gestalt Psychology - sostiene che la
"tristezza" che noi attribuiamo ad un particolare paesaggio realmente
e oggettivamente nel paesaggio e non solo in noi stessi; di conseguenza,
il paesaggio pu influenzarci e plagiarci, esattamente nella stessa
maniera in cui le droghe, la carne e l'alcool producono in noi i loro
diversi effetti. Poe, che conosceva molti segreti, sapeva anche questo,
e ci ha insegnato che lo studio della disposizione dei giardini
realmente un'arte altrettanto nobile della poesia e della pittura,
poich contribuisce ad esprimere i misteri dello spirito umano. E forse,
quanto a simbolismo, Mrs. Morgan della fattoria di Lanypwll si era
espressa meglio di tutti, quando aveva bisbigliato qualcosa sui bambini
dello stagno. Giacch, se esiste un paesaggio triste, ci sar certamente
un paesaggio che comunica l'orrore delle tenebre e del Maligno: e quella
fossa putrida e oleosa, protetta da boschi contorti, da una fitta
vegetazione di erbacce maleodoranti, da alberi morti con rami lebbrosi,
trasmetteva assai efficacemente il terrore. Per Roberts era stata come
un potente narcotico, un narcotico che spinge ad evocare: le putride
profondit a lui esterne hanno chiamato le putride profondit a lui
interne, ed hanno esortato l'ospite che si nascondeva nella sua anima ad
uscire fuori. Io non avevo cercato di farmi raccontare da Mrs. Morgan la
leggenda di quel luogo di tenebre. E non credo che lei sarebbe stata
molto loquace se le avessi rivolto delle domande. Ma sono convinto che
sia possibile e persino probabile che Roberts non sia certo stato la
prima vittima del potere dello stagno. Le vecchie leggende spesso si
rivelano vere.

Arthur Machen
N

I
Parlavano dei tempi andati, e di come si viveva una volta, e di tutti i
cambiamenti avvenuti a Londra in quegli ultimi stanchi anni: era un
gruppo di tre persone, riunitosi per un insolito incontro
nell'appartamento di Perrot. Un uomo, il pi giovane dei tre, un
ragazzotto di cinquantacinque anni e gi di li, aveva cominciato col
dire: "Conosco a menadito ogni centimetro di quel quartiere e sono certo
che non esiste un posto simile." Si chiamava Harliss e probabilmente
aveva a che fare con i prodotti chimici, gli acidi corrosivi e i
cristalli. Quei tre stavano rievocando molte vicissitudini londinesi, e
va sottolineato che il ragazzo del gruppo, Harliss, ricordava
perfettamente come era lo Strand, prima che lo deturpassero. Del resto,
se non avesse vissuto gli anni lontani di quegli eventi, forse Perrot
non lo avrebbe lasciato venire al convegno di Mitre Place, un vicolo che
di giorno fungeva da accesso alla locanda, ma che di notte, quando le
saracinesche di ferro erano abbassate, non portava in alcun posto, e
quindi faceva il selciato silenzioso. L'appartamento era al secondo
piano, e dalle finestre della facciata principale si vedevano gli olmi
del giardino della locanda dove, prima della guerra, le cornacchie
venivano a fare il nido. All'interno, la stanza, ampia e bassa, era
interamente tappezzata di moquette, alta e soffice. La sera invernale,
con un vento secco e pungente che cominciava ad ululare perfino nel
cuore di Londra, era chiusa fuori da pesanti tendaggi cremisi. I tre
uomini sedevano davanti al fuoco scoppiettante in un vecchio camino, un
camino dalla bocca ampia e alta, con due mensole scaldavivande sugli
alari ai due lati del focolare, sopra una delle quali cominciava a
borbottare un grosso bollitore. Le poltrone su cui i tre sedevano
somigliavano a quella sulla quale Mr. Pickwick siede e sieder per
sempre sul frontespizio del libro. Il tavolo rotondo di mogano scuro
poggiava su una sola gamba, riccamente e profondamente intagliata, e
Perrot disse che era un pezzo Giorgio IV, bench il terzo amico, Arnold,
sostenesse che gli pareva piuttosto un Guglielmo IV, o persino una
Regina Vittoria del primo periodo. Alle pareti, ricoperte di carta da
parati rosso scuro, c'erano delle incisioni del Diciottesimo Secolo
raffiguranti la Cattedrale di Durham e la Cattedrale di Peterborough, le
quali dimostravano che, malgrado Horace Walpole e il suo amico Mr. Gray,
gli artisti del Diciottesimo Secolo non erano in grado di raffigurare un
edificio gotico, quando avevano dinanzi agli occhi le sue torri e i suoi
trafori: "perch non riescono a vederlo," aveva insistito Arnold, pi
tardi nella notte, quando le fiamme guizzanti nel camino stavano per
illanguidire ed il ponce nella brocca cominciava ad ispessire il suo
sapore speziato. Sempre sulle pareti c'erano altre incisioni di epoca
posteriore, opere degli Anni Trenta e Quaranta di artisti dimenticati,
abbastanza famosi ai loro tempi. Erano paesaggi della Valle dell'Usk,
della Montagna Sacra, e di Llanthony: con un'atmosfera incantata e
visionaria, come se quelle dolci colline e quei boschi maestosi fossero
fatti di grazia pi che dalla natura. Sul camino c'era L'Abbazia di
Bolton nei tempi andati. Perrot volle scusarsi della presenza di questa
tela. "Lo so," esord. "So gi tutto. E' maiale, capra, cane, una
maledetta sciocchezza," disse recitando una filastrocca gallese, "ma era
appeso sopra il camino della stanza da pranzo a casa mia. E spesso mi
pento di non aver portato con me anche il Te Deum Laudamus." "Che
cos'?" chiese Harliss. "Ah, tu sei troppo giovane per aver vissuto
quando queste cose erano di moda. Raffigura tre ragazzi cantori con
indosso la cotta; uno di loro canta per avere salva la vita e gli altri
due si guardano attorno: proprio come fanno i ragazzi dei cori. Ci hanno
sempre detto che, alla fine, il ragazzo che canta venne impiccato. Il
quadro che gli fa da pendant rappresenta tre giovani dame di carit,
anche loro in atto di cantare. Il titolo era Te Dominum Confitemur. Non
ho mai saputo che fine abbiano fatto." "Lo so io," si illumin Harliss.
"Li scoprii ambedue, per caso, in un appartamento ammobiliato nei pressi
della stazione di Brighton, nell'anno di Mafeking. E, un paio di anni
dopo, vidi Sherry, Sir in un hotel di Tenby." "Il festone di frutta di
cera pi bello che io abbia mai visto," interloqu Arnold, "era su una
finestra di King's Cross Road." E cos proseguirono le loro chiacchiere
oziose, continuando a discutere di antiquariato; pensando di rivangare
cos i tempi andati. Nella notte invernale raggelata dal vento
bighellonarono con la mente per le strade di Londra di quaranta,
quarantacinque, cinquantacinque anni prima. Uno di loro si sofferm su
Bloomsbury, all'epoca in cui le sbarre erano alzate, e i guardiaporte
del Duca avevano i caselli accanto ai cancelli, ed al di l dei solenni
confini dimorava la pace, o meglio una noia profonda. L c'era la chiesa
dalle alte volte di una strana setta, dove, si diceva, mentre l'incenso
avvolgeva in spirali di fumo la solenne cerimonia, all'improvviso si
levava un lamento, quasi il suono di un magico incantesimo. L c'era
un'altra chiesa, dove Christina Rossetti aveva chinato la testa; tutto
intorno, ombrose piazzole dove nessuno passeggiava, e le foglie degli
alberi erano scurite dalla fuliggine. "Ricordo una primavera," disse
Arnold, "quando l vidi gli alberi pi verdi che io abbia mai visto. In
Bloomsbury Square. Tanto tempo fa." "Quello splendido leoncino che si
ergeva sui pilastri di ferro sul marciapiede di fronte al British
Museum," si intromise Perrot. "Credo che ne abbiano conservati alcuni e
li abbiano nascosti in qualche museo. Questo uno dei motivi per cui le
strade diventano sempre pi noiose. Se in una strada c' una cosa
interessante, una cosa bella, la levano da l e la ficcano in un museo.
Mi chiedo che fine abbia fatto quella strana statuetta, se non sbaglio
con in testa un cappello a tricorno, che stava accanto alla porta del
refettorio nel cortile del campanile a Holborn." Percorsero con estrema
lentezza Fetter Lane e rimpiansero la casa di Dryden - "Mi pare che
fosse l'87 l'anno in cui la demolirono" - ed indugiarono nel luogo in
cui sorgeva Clifford's Inn - "era come passeggiare nel Diciassettesimo
Secolo" - e finalmente sbucarono nello Strand. "Qualcuno ha detto che
era la strada pi bella d'Europa." "S, senza dubbio... in un certo
senso. Non nel senso pi comune della definizione: non era affatto una
belle architecture de ville. Era un miscuglio di tutti gli stili e di
tutte le et, di tutte le dimensioni e di tutte le altezze: una strada
dal fascino unico, un incantesimo, piena di parole vuote per i profani."
Fece seguito una sorta di Litania. "La Bottega del Soffice Budino, dove
il piccolo David Copperfield pare abbia comprato la sua cena." "Era
accanto alla Bancarella del Libraio: edifici del Sedicesimo Secolo." "E'
"Cioccolato Spagnolo," di fronte a Charing Cross." "La sede del Globe,
dove si mandavano i primi articoli di fondo mai scritti." "Gli stretti
vicoli a gradini che scendevano al fiume." "L'odore della lavorazione
del sapone che proveniva dalla bottega del profumiere." "La libreria di
Nutt, accanto al negozietto del macellaio gallese che vendeva carne di
montone, l dove la strada si faceva pi stretta." "E la sede del Family
Herald, che nella vetrina esponeva la fotografia di uno dei primi tipi
di macchine compositrici, in cui l'operatore manovrava uno strano
congegno con i lunghi bracci che svolazzavano sulla cassa tipografica."
"Ed il Giardino d'Inverno al centro di un prato, nella Clement's Inn."
"Ed il tremolio della luce gialla di quei vecchi lampioni a gas, quando
il vento spazzava la strada e la gente si stipava nella galleria che
conduceva alla platea del Lyceum." Uno di loro, ammaliato dal suono di
una locuzione che un altro aveva pronunciato, cominci a sussurrare
versi di "Oh, paffuto cameriere del "Gallo."" "Che bei tempi!" sospir
Perrot. E cominci a preparare il ponce: prima di tutto strofin le
zollette di zucchero sui limoni, poi spremette il succo delicato ed
aromatico della buccia di quel frutto mediterraneo. Dalla credenza, in
un angolo buio della stanza, furono presi gli ingredienti necessari: il
rum acquistato nella "Jamaica Coffee House" della City, le spezie
racchiuse in barattoli di porcellana azzurra, un paio di bottiglie dal
contenuto misterioso. Il bollitore borbottava: vi spolver dentro gli
ingredienti e poi vers il composto nella brocca rossastra, che fu poi
avvolta in un panno e messa a macerare sul focolare, al calore del
fuoco. "Misce, fiat mistura," disse Harliss. "Molto bene," rispose
Harnold. "Ma ricorda che i veri ingredienti del composto sono
invisibili." Nessuno si cur di lui o della sua alchimia; e, dopo il
dovuto intervallo, i bicchieri furono messi a riscaldare sul fragrante
vapore della brocca e poi riempiti. I tre sedettero attorno al fuoco,
bevendo e sorseggiando col cuore colmo di gratitudine il nettare versato
nei loro bicchieri.

II
Va rilevato che i bicchieri in questione non contenevano grosse quantit
del caldo liquore. Difatti erano di quel tipo che si suole chiamare a
cipolla: tondi e panciuti, ma dalla relativamente piccola capacit.
Perci non va arguito alcunch di lesivo della lucidit di quelle
anziane teste, quando si dice che, tra il terzo e il quarto bicchiere,
la conversazione abbandon il centro di Londra e l'amato e perduto
Strand per addentrarsi in territori pi strani e meno conosciuti. Inizi
Perrot, ritracciando un insolito itinerario che una volta aveva percorso
in direzione nord: passando accanto al Globe e all'Olimpic Theatre, era
sbucato nell'intricato labirinto di Clare Market, sgusciando sotto gli
archi e attraverso i vicoli, per poi ritrovarsi in Great Queen Street,
nei pressi della Taverna del Massone e delle colonne rosse di Inigo
Jones. Poi prese la parola un altro: girovago per Holborn, passando
attraverso Whetstone's Park, facendo una piccola deviazione per dare
un'occhiata a Kingsgate Street - "proprio come un pranzo da Phiz:
modesto, umile e deplorevole; ma avrei preferito che non lo avessero
demolito" - fino ad arrivare a Theobald's Road. Qui si attardarono
qualche minuto per contemplare con la memoria le cisterne dell'acqua,
realizzate in piombo e curiosamente decorate, che una volta sorgevano
nei cortili sul retro di alcune delle case pi antiche, ed anche per
meditare sull'incredibilit di una voce, secondo la quale un'antica
locanda con il loggiato, ora usata come deposito, era sopravvissuta fino
a tempi recentissimi alle spalle di Tibbles Road - una leggenda cos la
chiamarono. E di l, verso nord e verso est, percorsero Gray's Inn Road,
attraversarono King's Cross Road e risalirono la collina. "E qui," disse
Arnold, "stiamo per avventurarci sul terreno delle ipotesi. Ci siamo
lasciati alle spalle il mondo che conosciamo." In effetti, era lui che
in quel momento teneva banco. "Penserete anche voi," disse Perrot, "che
suona come una bestemmia, ma la verit: almeno per quanto mi riguarda.
Non credo di essere mai andato oltre Holborn Town Hall, come ci si
andava nei tempi andati... voglio dire, a piedi. Naturalmente mi sono
recato in calesse alla stazione di King's Cross e due o tre volte sono
giunto fino al Maneggio Militare, quando si trovava nel Palazzo
dell'Agricoltura, a Islington; ma non ricordo come ci sono arrivato."
Harliss disse di essere cresciuto nella zona settentrionale di Londra,
ma molto pi a nord: verso Stoke Newington. "Una volta ho conosciuto un
uomo," disse Perrot, "che sapeva tutto su Stoke Newington, o almeno
credo. Era un fervente ammiratore di Poe e aveva deciso di scoprire se
era ancora in piedi la scuola dove Poe da bambino era stato a convitto.
Ci torn parecchie volte. E la cosa strana che, malgrado la cosa gli
interessasse, non sembrava sapere se la scuola era ancora l e neppure
se la aveva mai vista. Mi parl di certi ruderi di Stoke Newington a cui
Poe accenna in un paio di frasi in "William Wilson": il quartiere
spettrale, gli alberi immersi nella foschia, le vecchie case sbilenche
di mattoni rossi, al centro del giardino, recintate tutto intorno da
alti muri. Ma, sebbene sostenesse di avere perfino interrogato il
Vicario e sebbene fosse in grado di descrivere la vecchia chiesa con gli
abbaini, non riusc mai ad avere la certezza di avere visto la scuola di
Poe." "Non ne ho mai sentito parlare quando vivevo l," disse Harliss.
"Ma la mia era una famiglia di commercianti. Non chiacchieravamo molto
di letteratura. Ho la vaga impressione di avere sentito una volta
qualcuno definire Poe un notorio ubriacone: e questo tutto quello che
per molto tempo ho saputo di lui." "Strano, ma vero," interloqu Arnold,
" una tendenza generale quella di appigliarsi ad un particolare ed
ignorare l'essenziale. Si possono avere vaghe nozioni sulle trincee a
tre ordini o sui vari ed ingegnosi modelli di fortificazioni: ma almeno
bisogna sapere che il Duca di Wellington aveva un naso molto grosso. Me
lo ricordo sulle scatole di latta del lucido per le posate." "Quell'uomo
di cui stavo parlando," disse Perrot, tornando al suo discorso, "non
riuscii proprio a capirlo. Glielo dissi: "E' ovvio che la cosa in un
modo o nell'altro, e lei lo sa: quella vecchia scuola - oppure era -
ancora in piedi o non lo pi: o l'ha vista o non l'ha vista: la cosa
non pu essere dubbia." L'uomo ammise che anche a lui la faccenda pareva
un po' strana. "Ma le d la mia parola che non so io stesso come stanno
le cose. Vi andai una prima volta, credo, nel '95 e poi vi ritornai nel
'99: fu la volta che parlai con il Vicario e, da allora, non ci sono pi
stato." Parlava come un uomo che entrato in un banco di nebbia e che
poi non sa dire con certezza quali cose ha visto. "Fu un fatto che mi
colp molto. Molto tempo dopo la mia conversazione con Hare - cos si
chiamava l'ammiratore di Poe - , un mio lontano cugino che vive in
campagna venne in citt per sistemare gli affari di una sua vecchia zia
che aveva passato tutta la vita dalle parti di Stoke Newington e che era
morta da poco. Una sera venne a trovarmi - non ci vedevamo da molti anni
- e si mise a parlare - ed io sono perfettamente d'accordo con lui - di
quanto poco il londinese medio conosce Londra, quando lo allontani dal
sentiero da lui quotidianamente battuto. ""Per esempio," mi disse, "tu
sei mai stato a Stoke Newington?" Confessai di non esserci mai stato.
"Me lo aspettavo. Ed hai mai sentito parlare di Canon's Park?" Ancora
una volta confessai la mia ignoranza. Lui disse che era straordinario il
fatto che l'esistenza di un posto cos bello, a non pi di cinque miglia
dal centro di Londra, fosse totalmente ignorata da nove londinesi su
dieci." "Io conosco ogni centimetro di quel quartiere," intervenne
Harliss. "Ci sono nato e vi ho vissuto fino all'et di sedici anni. Non
esiste un posto simile nei dintorni di Stoke Newington." "Attento,
Harliss," disse Arnold. "Non credo che tu sia davvero una fonte
attendibile." "Non sono una fonte attendibile riguardo ad un posto dove
ho vissuto per sedici anni? Per di pi, in seguito, all'inizio della mia
carriera ho lavorato in quel distretto come agente dei Crosbies.
"Naturalmente, vero quel che dici. Ma... immagino che tu conosca
Haymarket abbastanza bene, giusto?" "Certo che lo conosco: per lavoro e
per diporto. Tutti conoscono l'Haymarket." "Molto bene. Allora dimmi
come si fa ad arrivare a St. Jame's Market." "Non esiste un mercato con
questo nome." "Ed invece esiste," disse Arnold, con tono ironico e
trionfale. "Si chiama proprio cos: credo che ora sia stato demolito. Ma
durante la guerra era ancora in piedi: alcune costruzioni vecchie e
basse in un piccolo spiazzo, ad un tiro di schioppo dalla stazione della
metropolitana. Subito dopo l'Haymarket si girava a destra." "Esatto,"
conferm Perrot. "Una volta ci sono stato anch'io, per trovare un
vecchio numero di una strana rivista che si stampava in una di quelle
basse costruzioni. Ma io stavo parlando di Canon's Park, a Stoke
Newington..." "Scusatemi," disse Harliss. "Ora me ne rammento. C' un
posto a Stoke Newington, o nelle immediate vicinanze, chiamato Canon's
Park. Ma non affatto un parco: niente che ricordi un parco. E' solo il
nome di un costruttore. E' un groviglio di strade. Credo che ci sia una
Canon's Square, un Park Crescent, ed anche una Esplanade con questo
nome: ci sono dei negozi dignitosi in quella zona. Ma un posto del
tutto ordinario: non c' niente di particolarmente bello." "Eppure mio
cugino sosteneva che era un posto meraviglioso. Non somigliava neanche
un po' ai soliti parchi di Londra e nemmeno a quelli che lui aveva visto
all'estero. Bastava varcare il cancello e, diceva, pareva di stare in un
altro paese. Alberi che dovevano provenire dall'altro capo del mondo:
non ce ne erano di simili in tutta l'Inghilterra, sebbene un paio di
essi gli ricordassero alcuni alberi di Kew Gardens. Anfratti profondi,
dove i ruscelli scorrevano tra le rocce; prati ricoperti di fiori viola
e giallo oro: e gigli dorati, che sbucavano svettando tra gli alberi,
confondendosi con il cremisi dei fiori che pendevano dai rami. E qui e
l, chioschi e tempietti biancheggiavano sotto i raggi del sole, come
nella veduta di un paesaggio cinese, cos disse lui." Harliss non manc
di replicare: "Vi dico che non esiste un posto del genere." E poi
aggiunse: "Ad ogni modo, la descrizione mi pare un po' troppo
infiorettata. Ma forse tuo cugino di quel genere di persone pronte ad
entusiasmarsi per un cespuglio di soffioni nel giardino di casa. Una
volta un mio amico mi mand un telegramma che diceva: "Vieni subito:
massima importanza: vediamoci St. John's Wood Station." Naturalmente io
ci andai, credendo che si trattasse di una cosa veramente importante:
invece lui voleva soltanto mostrarmi il giardino di una casa in affitto
in Grove End Road, tutto ricoperto da una splendida infiorescenza di
soffioni." "Una magnifica vista," disse Arnold, accalorandosi. "Una
bella vista, ma non certo il tipo di cosa che merita di essere
telegrafata ad un uomo. E sono incline a pensare che il mistero del
racconto di tuo cugino pu essere spiegato allo stesso modo. C'erano un
paio di giardini ben curati e Stoke Newington. Probabilmente lui ha
girovagato per caso in uno di questi giardini e si incredibilmente
entusiasmato per quanto aveva visto." "E' possibile, certo," disse
Perrot, "anche se in generale lui non era quel tipo di uomo. Aveva una
fattoria modello, al confine con il Galles, dove coltivava nuove specie
di frumento e graminacee selezionate. Qualcuno lo definiva noioso, ma io
l'ho sempre considerato un piacevole conversatore." "Comunque, vi dico
che non esiste un posto del genere n a Stoke Newington n nei dintorni.
Se ci fosse lo saprei." "E la storia di St. Jame's Market?" chiese
Arnold. Poi, "la fecero finita." In effetti, era gi un po' che
sentivano di essersi allontanati troppo dal mondo a loro familiare:
dalle amichevoli luci delle taverne dello Strand si erano inoltrati
nella selvaggia terra di nessuno del nord. Per Harliss, naturalmente,
quelle zone un tempo erano state familiari, consuete e prive di
interesse: non provava la bench minima briciola di affetto a
rivisitarle con il pensiero. Per gli altri due erano zone ostili e
remote, come se si fosse discorso di esplorazioni artiche o delle terre
del buio eterno. Perci tutti e tre tornarono con sollievo alle loro
riserve di caccia: rividero con la memoria gli spettacoli visti in
teatri demoliti trentacinque anni prima, e poi banchettarono con
bistecche e birra scura, nell'angolino accanto al fuoco, quel fuoco che
alla fine venne riattizzato subito dopo l'inaugurazione del nuovo
tribunale.

III
Questa, almeno, era l'apparenza; ma qualcosa della storia di quel parco
di periferia aveva colpito profondamente Arnold, qualcosa che divenne
ben presto un assillo e che alla fine lo condusse in quelle remote
contrade settentrionali. Accadde che, mentre meditava su quel caso
vagamente interessante, lo sguardo gli cadde per caso su un libro
squinternato dalla copertina marrone, che giaceva su uno scaffale della
sua disordinata libreria. Lo aveva scovato su una bancarella di
Farringdon Street, dove aveva trovato anche il manoscritto di Centuries
of Meditation di Traherne. Fino a quel momento Arnold lo aveva a stento
sfogliato. Il titolo era A London Walk: Meditations in the Street of the
Metropolis. L'autore era il Reverendo Thomas Hampole e la data di
pubblicazione il 1853. Si trattava di una raccolta di osservazioni
morali in gran parte piuttosto banali, come c'era da aspettarsi da un
pio ed amabile prelato dell'epoca. Nella seconda met del Diciannovesimo
Secolo, il gusto per il trattatello moraleggiante, che tanta fortuna
ebbe al tempo di Addison, Pope e Johnson, e che aveva fatto del Rambler
un libro popolare, era ancora in pieno rigoglio. Alla gente piaceva
essere avvertita delle conseguenze delle proprie azioni, amava ricevere
lezioni di rigore ed imparare l'importanza delle piccole cose.
Desiderava ascoltare sermoni da pulpiti improvvisati e voleva che
qualcuno le insegnasse che ogni cosa pu essere oggetto di tetre
elucubrazioni. Perci non c' da meravigliarsi che il Reverendo Thomas
Hampole passeggiasse per le strade di Londra con incedere maestoso ed
uno sguardo moralizzatore e ammonitorio: vedeva Regent Street all'apice
del suo ormai passato splendore e pensava alle rovine della possente
Roma, predicava sul tema della solitudine nella moltitudine
nell'osservare quelle che lui chiama le miriadi brulicanti, lasciava che
una casa desolata e quasi in rovina, "sotto sequestro legale", gli
suggerisse una riflessione sui felici Natali un tempo festeggiati
stoltamente dietro quei muri sgretolati e quelle finestre rotte. Ma ogni
tanto, Mr. Hampole diventava meno banale e forse realmente pi utile.
Per esempio, c' un passo - gi citato, credo, da qualche scrittore
moderno - abbastanza curioso. Hai mai avuto la fortuna, cortese lettore
(chiedeva Mr. Hampole) di alzarti ai primi albori di una giornata
estiva, quando i gioiosi raggi del sole sfiorano appena di luce le
cupole le guglie della grande citt?... Se tale stata la tua sorte,
ti sei accorto dei magici poteri apparentemente all'opera in quell'ora
del mattino? L'abituale paesaggio ha perso la sua familiare apparenza.
Gli edifici dinanzi ai quali quotidianamente passi, forse da anni,
quando cammini veloce per andare al lavoro o quando passeggi per il tuo
piacere, sembri ora guardarli per la prima volta. Hanno subito una
misteriosa trasformazione, si sono stranamente arricchiti. Bench forse
non siano stati progettati con straordinario impiego dell'arte
dell'architettura... pure tu sei pronto a riconoscere che ora "si ergono
magnifici, splendono come astri, adornati della serenit della luce."
Sono divenute abitazioni magiche, superbe residenze, pi desiderabili
agli occhi della favoleggiata volutt della cupola dello sceicco
orientale o della sala ornata di gioielli costruita dal Genio di Aladino
nella fiaba araba. E continuava su questo tono. Poi, quando ci si
aspettava di dovere leggere il solito, consequenziale avvertimento sulla
vanit delle apparenze, di natura transitoria e illusoria, c'era un
passo molto originale: Alcuni sostengono che in nostro arbitrio la
possibilit di contemplare ininterrottamente un modo di eguale o persino
superiore prodigiosa bellezza. Essi infatti affermano che gli
esperimenti degli alchimisti dell'Alto Medioevo, l'et delle tenebre...
miravano, non alla trasmutazione dei metalli, ma alla trasmutazione
dell'intero Universo... Questo metodo, o arte, o scienza, o comunque lo
si voglia chiamare (supponendo che esista o che sia mai esistito), tende
alla restaurazione del Paradiso primigenio, vuole permettere agli uomini
di abitare, se lo desiderano, un mondo di gioia e di splendore. Forse
realmente possibile che un simile esperimento esista e che qualcuno
abbia tentato di metterlo in pratica. L'autore rimandava il lettore ad
una nota - una delle tante - alla fine del volume, e Arnold, ormai
estremamente interessato dal tono inaspettato usato dal Reverendo
Thomas, and a consultarla. Essa diceva: Sono consapevole del pericolo
che il lettore possa considerare queste mie speculazioni originali e
(credo di dover aggiungere) chimeriche: in realt, probabile che sia
stato imprudente e avventato nell'affidarle alla pagina stampata. Se ho
errato confido nel vostro perdono: in realt, sono lungi dall'incitare
chi legge queste righe a cimentarsi nel dubbioso e difficile esperimento
cui esse alludono. Purtuttavia, ci stato assegnato il compito di
ricercare la verit: veritas contra mundum. Il mio convincimento che ci
sia almeno qualche veritiero principio nelle originali teorie alle quali
ho accennato trova una conferma in un evento che mi occorse agli inizi
del mio ministero. Subito dopo avere portato a termine il mio primo
Vicariato e dopo essere stato ordinato sacerdote, trascorsi alcuni mesi
a Londra, a casa di certi miei parenti, che vivevano a Kensington. Ero a
conoscenza del fatto che un mio collega di seminario, che qui chiamer
Reverendo Mr. S..., fosse il Curato di un quartiere periferico a nord di
Londra, a S. N.. Gli scrissi ed in seguito, su suo invito, mi recai
nella sua abitazione. Trovai S... piuttosto turbato. Pare che fosse
afflitto da un'affezione ai polmoni e che il medico che lo aveva in cura
insistesse affinch lui lasciasse Londra per un po' di tempo e
trascorresse i quattro mesi invernali nel pi congeniale clima del
Devonshire. In caso contrario, afferm il dottore, la salute del mio
amico avrebbe subito serie conseguenze. S... era desideroso, e persino
ansioso, di seguire questo consiglio, ma, d'altro canto, non voleva
rinunciare all'incarico della sua parrocchia, nella quale, cos disse,
era stato tanto felice quanto, sperava, utile. Appena ne venni a
conoscenza, gli offrii immediatamente il mio aiuto: gli dissi che, se il
suo Vicario avesse approvato, sarei stato felice di sostituirlo sino
alla fine del marzo seguente, o anche pi tardi, se i medici fossero
stati del parere che era consigliabile un periodo di tempo pi lungo.
S... fu felicissimo della mia proposta. Mi condusse immediatamente dal
Vicario: eseguite le indagini del caso, nel giro di due settimane
assunsi la mia carica temporanea. Fu durante questo breve ministero nei
sobborghi di Londra che feci la conoscenza di un individuo molto
originale, che qui chiamer Glanville. Era un sagrestano al nostro
servizio ed io, nel corso della mia permanenza in quella parrocchia,
andai a trovarlo per esprimergli la mia gratitudine per il suo evidente
attaccamento alla Liturgia della Chiesa di Inghilterra. Lui replic con
la dovuta cortesia; poi mi invit a sedere ed a condividere con lui una
tazza di tisana calmante: in breve tempo ci ritrovammo impegnati in una
discussione. Durante il nostro colloquio, scoprii ben presto che era
intimo delle fantasticherie del teosofista tedesco, Behmen, e delle
successive opere del suo discepolo inglese, William Law; e compresi che
considerava benevolmente quei labirinti di teologia mistica. Era un uomo
di mezza et, di abitudini frugali e di carnagione scura. Il suo viso
era animato da una luce commovente, mentre discuteva delle speculazioni
che avevano chiaramente occupato i suoi pensieri per molti anni. Quelle
teorie, basate sulle dottrine (se cos possiamo chiamarle) di Law e
Behmen, mi colpirono per la loro natura puramente fantastica e, vorrei
dire, persino fiabesca, ma confesso che rimasi in ascolto con un certo
interesse, bench, naturalmente, come Ministro della Chiesa di
Inghilterra, fossi ben lungi dal dare il mio franco assenso alle
asserzioni proposte alla mia attenzione. E' vero che non infrangevano in
modo certo e manifesto la dottrina ortodossa, ma erano assurde e strane,
e tali da dovere essere accolte con salutare cautela. Come esempio delle
idee che assillavano una mente acuta e, vorrei aggiungere, devota come
quella di Mr. Glanville, potrei citare la sua insistenza su una
conseguenza, non generalmente accettata, della Caduta dell'Uomo. "Quando
l'uomo cedette," soleva dire, "alla misteriosa tentazione celata dietro
il linguaggio allegorico della Sacra Scrittura, l'universo,
originariamente fluido e soggetto al suo spirito, divenne solido e si
abbatt su di lui, schiacciandolo sotto il peso della sua massa inerte."
Gli chiesi di fornirmi maggiori delucidazioni su questa sorprendente
teoria: scoprii che, secondo lui, quello che noi oggi consideriamo un
insieme di materie refrattarie era, in origine, il Caos Divino, per
usare la sua singolare terminologia, una sostanza morbida e duttile, che
poteva essere modellata dall'immaginazione di un uomo incorrotto in
qualsiasi forma egli volesse fargli assumere. "Per quanto strano possa
sembrare," aggiunse, "le barbariche invenzioni (tali noi le giudichiamo)
delle Favole Arabe ci danno un'idea dei poteri dell'homo protoplastus.
La prosperosa citt si trasforma in lago, il tappeto ci trasporta nel
tempo di un istante, o meglio in assenza di tempo, da un capo all'altro
della terra; basta una parola e dal nulla sorge un palazzo. Noi
chiamiamo tutto ci magia e deridiamo la possibilit dell'esistenza di
simili imprese. Eppure questa magia orientale non altro che una
confusa e frammentaria reminiscenza di azioni che erano connaturate
all'uomo dei primordi ed al fiat che allora gli era concesso." Come ho
gi sottolineato, io ascoltavo questa o altre simili esposizioni delle
inusuali teorie di Mr. Glanville con qualche interesse. Non potevo fare
a meno di pensare che tali opinioni, da molti punti di vista, erano
conformi alla dottrina che mi ero impegnato a diffondere pi di quanto
lo fossero gli insegnamenti degli odierni filosofi, che sembravano
esaltare il razionalismo a spese della Ragione, come quella facolt
divina di cui parlava Coleridge. Pure, quando assentivo, facevo
chiaramente capire a Glanville che il mio assenso era condizionato alla
mia salda aderenza ai principi che avevo solennemente professato al
momento della mia ordinazione. I mesi passarono nel tranquillo
svolgimento dei doveri pastorali del mio ufficio. Ai primi di marzo
ricevetti una lettera dal mio amico Mr. S..., in cui lui mi informava
che l'aria di Torquay gli aveva grandemente giovato e che il suo medico
curante gli aveva assicurato di non avere bisogno di esitare pi a lungo
nel riprendere il suo servizio pastorale a Londra. Conseguentemente,
S... intendeva fare immediatamente ritorno e, dopo avere espresso il suo
caloroso ringraziamento per la mia estrema gentilezza, come la defin
lui, mi annunciava il suo desiderio di eseguire i suoi compiti di
ministro della Chiesa la domenica seguente. Perci, io mi recai in
visita per l'ultima volta da quei parrocchiani con cui avevo
particolarmente legato, riservandomi di andare a trovare Mr. Glanville
l'ultimo giorno del mio soggiorno a S.N.. Credo che fosse dispiaciuto
dalla mia imminente partenza e mi disse che avrebbe sempre ricordato con
grande piacere le nostre conversazioni. "Anch'io sto per lasciare S.N.,"
aggiunse. "All'inizio della settimana prossima parto in nave per
l'oriente, dove il mio soggiorno potrebbe prolungarsi
considerevolmente." Dopo esserci reciprocamente scambiati parole di
cortese rammarico, mi alzai dalla sedia e stavo per accomiatarmi, quando
notai che Glanville mi scrutava con uno sguardo fisso e strano. "Ancora
un momento," disse, facendomi cenno di avvicinarmi alla finestra accanto
a lui. "Desidero mostrarle il panorama. Non credo che lei lo abbia mai
visto." Quell'invito mi parve quanto meno curioso. Ovviamente, conoscevo
bene la strada in cui Glanville abitava, come la maggior parte delle
strade di S.N.: d'altro canto doveva sapere bene anche lui che,
qualunque fosse stata la prospettiva sulla quale la sua finestra si
affacciava, non avrebbe potuto rappresentare una novit per me uno
scorcio che avevo gi visto parecchie volte nel corso del mio soggiorno
di quattro mesi in quella parrocchia. Inoltre, le strade della nostra
periferia londinese non offrono sovente uno spettacolo tale da
appassionare l'amatore del paesaggio e del pittoresco. Io esitavo, non
sapendo se soddisfare la richiesta di Glanville o se considerarla
soltanto una battuta arguta, quando mi venne in mente che forse da
quella finestra del primo piano si riusciva a vedere in lontananza la
Cattedrale di St. Paul. Perci, mi avvicinai a lui e attesi che lui mi
indicasse io scenario che, presumibilmente, voleva farmi ammirare. In
viso aveva ancora quella strana espressione di cui ho gi fatto
menzione. "Ora," mi disse, "guardi dalla finestra e mi dica cosa vede."
Ancora perplesso, guardai attraverso i vetri e vidi esattamente quanto
mi aspettavo di vedere: una fila o schiera di linde abitazioni, separate
dalla strada nazionale da un parterre o parco in miniatura, adorno di
alberi e cespugli. Sul lato destro della schiera, una strada lasciava
intravedere un dedalo di vie e di viali a semicerchio, con edifici di
pi recente costruzione e di una certa eleganza. In quel paesaggio a me
familiare non vidi niente che potesse giustificare un'attenzione
particolare e, in modo alquanto scherzoso, lo feci notare a Glanville.
Lui, per tutta risposta, mi sfior la spalla con la punta delle dita e
mi disse: "Guardi di nuovo." Ed io guardai. Per un attimo il mio cuore
smise di battere ed il respiro si fece affannoso. Dinanzi ai miei occhi
si spiegava un panorama di sbalorditiva, celestiale bellezza. In
profonde vallate, circondate da alberi dai fitti rami pendenti,
sbocciavano fiori come solo nei sogni se ne possono vedere: violette
scurissime e che pure parevano brillare come pietre preziose di un
invisibile ma costante luccichio, rose le cui sfumature di colore
eclissavano tutte quelle che si possono immaginare di vedere nei nostri
giardini, alti lill animati di luce, e boccioli che parevano fatti di
oro battuto. Vidi viali ombrosi addentrarsi in verdi anfratti orlati di
timo; qui e l il poggio erboso in alto e la fontana gorgogliante in
basso erano inghirlandate da architetture di fantastica ed inusuale
bellezza, che parevano favoleggiare del regno delle fate. Oso dire che
lo spettacolo che si dispieg dinanzi ai miei occhi quasi mi rubava
l'anima. Fui posseduto dall'estasi e dal godimento, che non avevo mai
provato ad un grado tale. Un senso di beatitudine pervase tutto il mio
essere. La mia felicit era tale da non potersi esprimere a parole.
Dalla bocca mi usc un grido inarticolato di gioia e di stupore. E poi,
preso da un improvviso timor panico, che a tutt'oggi non riesco a
spiegarmi, mi voltai e fuggii via da quella stanza e da quella casa,
senza nemmeno una parola di commento o di saluto per l'uomo eccezionale
che aveva fatto... non so neppure io cosa. In uno stato di grande
confusione e turbamento, riuscii a fare ritorno a casa. E' inutile dire
che non era rimasta alcuna traccia della visione fantasmagorica che i
miei occhi avevano visto. La strada aveva riassunto il suo aspetto
abituale e familiare, le case a schiera erano quelle di sempre, e i
palazzi pi nuovi sorgevano al loro posto, secondo un ordine regolare e
poco vistoso, proprio nel punto dove avevo visto oh! quali abissi di
delizie! quali gemme di splendore! Dove avevo visto archi di fitte
foglie verdi piegarsi su dolci vallate, mentre gli alberi ondeggiavano
dolcemente nella brezza estiva sotto un sole splendente, ora c'erano
rami nudi e neri, dove si intravedeva appena qualche raro bocciolo. Come
ho gi accennato, eravamo ai primi di marzo, e la brina formatasi dieci
o quindici giorni prima ancora imprigionava la terra e la sua
vegetazione. Raggiunsi a passo sostenuto la mia abitazione, piuttosto
lontana dalla casa di Glanville. Ero veramente contento al pensiero che
il giorno dopo avrei lasciato per sempre quel distretto. Posso
aggiungere che fino a questo momento non sono mai pi tornato a S.N.
Qualche mese dopo incontrai il mio amico, il Reverendo S., e, con la
scusa di chiedergli come andavano le cose in quella parrocchia dove lui
era ancora curato, mi informai della sorte di Glanville, con il quale -
dissi - avevo stretto amicizia. Scoprii che aveva attuato il suo
proposito di partire pochi giorni dopo il mio commiato. Non aveva
confidato a nessuno dei fedeli la sua destinazione ed i suoi progetti
futuri. "Non avevo legato molto con lui," disse S., "e non credo che
fosse diventato amico di qualcuno nel circondario, sebbene avesse
abitato a S.N. per pi di cinque anni." Sono ormai trascorsi quindici
anni da quella strana esperienza, e non ho mai pi sentito parlare di
Glanville. Ignoro completamente se sia ancora vivo in qualche localit
del lontano Oriente o se invece sia morto.

IV
Arnold si era fatto la fama di uomo pigro: infatti, come diceva lui
stesso, sapeva solo vagamente come era fatto l'interno di un ufficio. Ma
era laborioso nella sua pigrizia e sempre pronto a caricarsi di ogni
genere di fastidi, se una cosa lo interessava veramente. Ed ora questa
storia di Canon's Park lo interessava molto. Era sicuro che ci fosse un
legame tra la strana storia di Mr. Hampole - "pi che strana", la defin
lui - e l'esperienza vissuta dal cugino di Perrot, da quel coltivatore
di frumento che veniva dall'ovest. And sino a Stoke Newington e
vagabond in lungo ed in largo per quel quartiere, guardandosi intorno
con sguardo inquisitore. Trov Canon's Park, o quanto rimaneva di esso,
senza alcuna difficolt. Era esattamente come lo aveva descritto
Harliss: un quartiere progettato negli Anni Venti o Trenta del secolo
scorso per famiglie di commercianti dal reddito mediocre o appena
sufficiente. Alcuni di questi edifici erano ancora in piedi, e c'erano
pure alcuni negozi dall'aria antiquata. In un posto c'era la tipica
casetta modesta, tipica dello stile dell'ultima parte del regno di Re
Giorgio o del primo periodo della Regina Vittoria: una casetta con il
suo portico a pergolato dipinto di un colore bluverde sbiadito, con il
balcone di ferro battuto, di foggia affatto spiacevole, con il piccolo
giardino sul fronte della costruzione e il giardino recintato da un muro
sul retro: una semplice rimessa, una stalla. E ce ne era ancora
un'altra, molto pi pretenziosa per pompa e dimensioni: colonne e
stucchi ambiziosi, ampi prati e viali sinuosi, arbusti svettanti e
verande sul retro. Ma, a parte tali eccezioni, l'intero quartiere aveva
subito l'attacco del modernismo. Le grandi case del passato erano state
divise in appartamentini, le piccole versavano in uno stato di
scalcinato abbandono, perch non pi oggetto di amore; e dovunque
sorgevano palazzi in mattoni rossi dall'aspetto malvagio, come se Mrs.
Todgers avesse esposto a Mr. Pecksniff le sue teorie su una prigione
moderna e lui le avesse elaborate progettualmente. Di fronte a Canon's
Park, in modo da occupare l'area sulla quale presumibilmente sorgeva la
casa di Mr. Glanville, c'era un istituto tecnico e, accanto ad esso, una
scuola di economia. Ambedue gli edifici facevano raggelare il sangue
nelle vene: per la loro finalit e la loro architettura. Era come se si
fossero avverati i peggiori incubi di H.G. Wells. In nessun caso, si
trattasse di edifici sobri e antichi o di palazzi volgari e moderni,
Arnold trov quello che cercava. All'epoca in cui Mr. Hampole scriveva,
Canon's Park forse era stato tollerabilmente gradevole, ma ora era
diventato intollerabilmente sgradevole. Tuttavia, anche ai tempi
migliori, niente nel suo aspetto poteva avere ispirato la meravigliosa
visione che il prete credeva di avere visto dalla finestra di Glanville.
Ed un giardino di periferia, per quanto ben curato, non poteva certo
giustificare la sdolcinata rapsodia del fattore. Arnold si ripet le
parole della sacra formula interpretativa: telepatia, allucinazione,
ipnosi; ma ne ricav soltanto un lieve sollievo. L'ipnosi, per esempio:
questo termine veniva comunemente usato per spiegare il trucco della
corda che gli indiani facevano sollevare con il flauto. Era solo un
inganno e, in ogni caso, l'ipnosi non poteva spiegare il fatto che pi
persone allo stesso tempo avessero visto quella o qualsiasi altra
meraviglia, giacch l'ipnosi non poteva essere provocata in singoli
individui, in pieno possesso delle loro facolt mentali, lucidi e
consenzienti. Tra Glanville e Hampole poteva essersi stabilito un
fenomeno di telepatia; ma donde proveniva al cugino di Perrot
l'impressione non solo di avere visto una sorta di paradiso di Kublai
Kan o del Vecchio della Montagna, ma di averci realmente passeggiato
dentro? Si sarebbe potuto obiettare che la S.P.R. aveva riscoperto la
telepatia e che aveva dedicato una parte non piccola delle proprie
energie nell'ultima cinquantina di anni all'elaborazione di un'analisi
dettagliata ed esaustiva di questo fenomeno. Ma, per quanto si volesse
prestar fede ai loro esperimenti, tra i casi da loro registrati non ce
ne era uno tanto elaborato come questa storia di Canon's Park. Ed
inoltre, per quanto Arnold ricordava, i fenomeni attribuiti ad un
effetto telepatico erano tutti di natura personale: visione di persone,
non di posti. Non esistevano paesaggi telepatici. E, quanto
all'allucinazione, essa non portava certo lontano. Attestava l'esistenza
di un fatto, ma non ne forniva alcuna spiegazione. Arnold aveva sofferto
di disturbi di fegato: una mattina era sceso per colazione ed aveva
provato un certo fastidio nel vedere un pulviscolo di granelli neri
danzare nell'aria. Sebbene non avesse avvertito l'odore nauseante di
fumo di camino, in quel momento non aveva dubitato del fatto che il
camino stesse facendo fumo o che i granelli neri fossero fuliggine
fluttuante. Solo poco tempo prima si era reso conto che, oggettivamente,
non c'era alcun granello nero nell'aria, che si trattava di un'illusione
ottica, che era stato vittima di una allucinazione. E certamente anche
il parroco e il fattore erano state vittime di un'allucinazione: ma la
causa, l'origine, era ancora da individuare. Dickens racconta che, un
mattino, al risveglio, vide suo padre seduto accanto al suo letto e si
chiese cosa facesse l. Interrog il vecchio, ma non ottenne alcuna
risposta. Allora allung la mano per toccarlo: tast il vuoto. Dickens
fu vittima di un'allucinazione; ma, poich all'epoca suo padre godeva di
ottima salute e non aveva problemi di sorta, il mistero rimase insoluto,
inspiegabile. Dovevi solo accettarlo per quel che era: non era possibile
alcuna interpretazione razionale. Era uno di quei problemi dinanzi ai
quali ci si pu soltanto arrendere. Ma ad Arnold non piaceva arrendersi
dinanzi ai problemi. Perlustr gli angoli pi nascosti di Stoke
Newington e si infil nei pub dall'aspetto pi antiquato, sperando di
incontrarvi uomini vecchi e loquaci, per far loro ricordare e raccontare
le storie dei loro padri. Ne trov alcuni, perch, sebbene Londra sia
sempre stata un luogo prediletto da irrequiete trib nomadi, e una citt
caratterizzata da una certa mobilit della popolazione - oggi pi che
mai - , pure in molti posti, e soprattutto nelle pi remote periferie
settentrionali, ancora presente una vecchia categoria di persone, la
cui memoria risale a volte a cento, centocinquanta anni fa. Cos, in una
veneranda taverna - sarebbe stato offensivo e fuorviante chiamarla pub -
al limitare di Canon's Park, Arnold scov un vecchio gruppo di amici che
si riuniva ogni sera per un'ora o due in una saletta nascosta ed un po'
tetra. Bevevano poco, e quel poco con estrema lentezza, e poi se ne
tornavano presto a casa. Erano piccoli commercianti del vicinato e
parlavano dei loro affari e dei cambiamenti di cui erano stati
testimoni, dello sventurato avvento dei negozi a catena, di quanto era
scadente la merce che vi vendevano e del conseguente taglio dei prezzi e
dei profitti. Arnold si intrufol nella conversazione gradualmente, dopo
un paio di scambi di convenevoli - "Certo, signore, le sono molto grato,
accetto volentieri" - e disse che pensava di stabilirsi in zona:
sembrava un quartiere tranquillo. "Tutti i miei migliori auguri. Glieli
faccio di cuore. Un quartiere tranquillo: lo era una volta, certo, ma
ora Stoke Newington non lo pi. Oggi c' solo insolenza, trambusto e
apparenza. La gente che aveva i soldi e li spendeva se ne andata,
molto tempo fa." "Prima, qui viveva gente agiata?" chiese Arnold,
avanzando con cautela, e procedendo a tentoni, centimetro dopo
centimetro. "Certo, glielo assicuro. Uomini dalla solida posizione
finanziaria. Gente che se la passava bene, come diceva mio padre. C'era
Mr. Tredegar, direttore della Tredegar's Bank. Si fuse con la City e la
National molti anni fa: una data pi prossima ai cinquanta che ai
quaranta anni fa, credo. Era un uomo cortese e raffinato, e coltivava
bellissimi ananassi. Ricord che ce ne mand uno, un'estate in cui mia
moglie stette male. Non se ne trovano pi ananassi come quelli." "Ha
ragione, Mr. Reynolds, ha perfettamente ragione. Io devo tenere in
negozio quelli che loro chiamano ananassi, ma quanto a me non li
toccherei nemmeno con un dito. Non hanno profumo, non sanno di niente.
Sono duri e fibrosi. E' come paragonare una mela selvatica ad una mela
ranetta." Questa affermazione ottenne un consenso generale e Arnold cap
che avrebbe dovuto faticare parecchio. Ed anche quando riusc a portare
la conversazione sulla questione che gli interessava, non fece molti
progressi. Disse di aver sentito parlare di Canon's Park come una zona
tranquilla, lontana dalle strade pi frequentate. "Non una brutta
zona," disse il vecchio che aveva accettato la mezza pinta di birra.
"Non vi molto traffico, questo vero: niente autobus, tram e
automobili. Ma la stanno a poco a poco distruggendo. Ogni due o tre mesi
costruiscono nuovi palazzi. Ovviamente possono incontrare il suo gusto e
soddisfare le sue esigenze. Sono appartamenti che piacciono a molti, non
c' dubbio; ed anche molto economici, mi hanno detto. Ma, per quanto mi
riguarda, ho sempre preferito abitare in una casa familiare, per conto
mio." "Vi dir io uno dei motivi per cui pi economico vivere in un
appartamento," disse il fruttivendolo con una risatina di preparazione.
"Se ti piace ascoltare la radio, in un appartamento potrai risparmiare i
soldi dell'acquisto e del canone. Sentirai la radio di quelli del piano
di sopra e la radio del piano di sotto, ed un paio in pi quando nelle
serate estive lasciano le finestre aperte." "E' vero, Mr. Batts, proprio
vero. Pure, devo dire, per quanto mi riguarda, che non sono contrario
alla radio. Mi piace ascoltare un allegro motivetto all'ora del t."
"Non mi dica, Mr. Potter, che a lei piace quell'orribile jazz, come lo
chiamano loro?" "B, Mr. Dickson, devo confessare..." eccetera,
eccetera. Divenne evidente che anche l c'erano dei progressisti: Arnold
credette di sentire pronunciare chiaramente il termine "hot blues."
Riusc a far accettare un'altra mezza pinta di birra al suo vicino -
"molto gentile da parte sua; questa volta leggera, se non le dispiace" -
, che si rivel essere Mr. Reynolds, il farmacista, e poi ritorn alla
carica. "Cos lei non consiglierebbe a nessuno di abitare a Canon's
Park." "B, no, signore; non ad un gentiluomo che ama la quiete,
certamente no. Non pu trovare la quiete in un posto che stanno buttando
gi, come dire?, torno torno alle sue orecchie. Un tempo era
indubbiamente un posto abbastanza tranquillo. Non vero, Mr. Batts?" -
disse interrompendo la discussione sulla musica - "Canon's Park era un
posto abbastanza tranquillo all'epoca della nostra giovent, non vero?
Sono sicuro che allora sarebbe stato adatto a questo gentiluomo." "Forse
s," disse Mr. Batts. "Forse s o forse no. C' quiete e quiete." Un
breve silenzio cadde tra quel piccolo gruppo di vecchi. Parevano
ruminare, mentre bevevano la birra a sorsi ancora pi lenti. "Anche
allora c'era qualcosa in quel posto che non mi piaceva affatto," alla
fine disse uno di loro. "Ma sinceramente non ne conosco le ragioni."
"Non fu l che ci fu un omicidio, tanto tempo fa? O forse la storia che
si raccontava era quella di un uomo che si era suicidato e che poi fu
trovato seppellito accanto ad un'aiuola, con un palo conficcato nel
cuore?" "Io non l'ho mai sentita, ma ho sentito mio padre dire che in
passato si parlava molto e con molta eccitazione di quel posto." "Io
penso che siate tutti lontani dal colpire il bersaglio, se cos posso
dire" - disse un uomo anziano che era seduto in un angolo e che fino a
quel momento aveva parlato molto poco. "Io non direi che Canon's Park
aveva una cattiva fama, anzi. Ma certo c'era qualcosa in quel posto che
a molti non piaceva; ne stavano alla larga, si pu dire. Ed io sono
convinto che la causa di tutta questa diffidenza era il manicomio che si
trovava l, tanto tempo fa." "C'era un manicomio?" chiese il vecchio che
aveva verso Arnold l'atteggiamento pi cordiale. "Ora che me lo hai
ricordato, mi pare di rammentare di aver sentito qualcosa del genere
quando ero ancora molto giovane. Ricordo che a noi ragazzi faceva molto
paura attraversare Canon's Park dopo il crepuscolo. Mio padre era solito
mandarmi di tanto in tanto a sbrigare certe sue commissioni in quella
zona ed io, se era possibile, chiedevo sempre a qualche altro ragazzo di
accompagnarmi. Eppure non ricordo che i pazzi ci facessero
particolarmente paura. In realt, ora che ci penso, non so proprio di
che cosa avevamo paura." "B, Mr. Reynolds, passato molto tempo. Ma
comunque non penso che fosse l'ospedale psichiatrico a tenere lontana la
gente da Canon's Park. O almeno non ne era la causa principale. Lei
conosce il vero motivo, vero?" "Non posso dire di s." "Era la grande
casa che sorgeva proprio al centro del parco, che era stata vuota per
anni e anni... per quaranta credo, e che andava in rovina." "Vuol dire
il luogo dove ora sorgono le Empress Mansions? Oh, s, naturalmente. La
demolirono pi di venti anni fa, e poi il terreno rimase inutilizzato
durante la guerra ed ancora per molto tempo dopo. Era un posto
dall'aspetto vecchio e tetro. Io me lo ricordo bene: l'edera cresceva
sui comignoli di terracotta, i vetri delle finestre erano rotti, le
imposte sfasciate, e i cartelli con su scritto "Affittasi" erano
ricoperti dai rampicanti. Quella casa ai suoi tempi era stata un
manicomio?" "Era proprio quella la casa, signore. Si chiamava Himalaya
House. Fu costruita sui resti di una vecchia fattoria da un ricco
gentiluomo che proveniva dall'India. Mor senza lasciare eredi e i suoi
parenti vendettero la propriet ad un dottore. Lui la trasform in
manicomio. E, come ho gi detto, questo fatto non piacque alla gente.
Sapete, all'epoca, questi posti non erano cos ben sorvegliati come
dicono che sono adesso, e cominciarono a circolare parecchie storielle
assai poco gradevoli. Credo che il dottore fu implicato in un processo
intentato contro un gentiluomo, di buona famiglia, credo, che era stato
per anni rinchiuso nel Himalaya House dai parenti e che per tutto il
tempo era sempre stato tanto sano di mente quanto lo siamo voi ed io
ora. E poi accadde che quel giovane riusc a scappare: fu una strana
faccenda. Sebbene, indubbiamente, fosse abbastanza folle da tentare
qualsiasi cosa." "Davvero uno di loro evase?" Domand Arnold,
desiderando rompere il silenzio che di nuovo era sceso tra loro.
"Proprio cos. Non so come ci riusc, visto che a dire dei medici i
pazzi erano tenuti sotto stretta sorveglianza: certo che lui escogit
un sistema per scavalcare le mura o per sgattaiolare furtivamente in un
modo o nell'altro. Poi percorse la strada con tutta tranquillit e prese
alloggio qui vicino, in una di quelle vecchie case di mattoni rossi a
schiera che sorgevano dove ora c' l'Istituto Tecnico. Ricordo
perfettamente di aver sentito Mrs. Wilson, la donna che gli affitt le
camere - e che visse fino ad un'et assai avanzata - dire a mia madre
che lei non aveva mai visto un giovane tanto garbato ed educato quanto
quel Mr. Vallance: credo che cos si facesse chiamare, dato che,
ovviamente, non era quello il suo vero nome. Lui le raccont una storia
abbastanza verosimile: le disse di venire da Norwich e che aveva bisogno
di tranquillit a causa dei suoi studi, o cose del genere. Aveva con s
il sacco da viaggio, e dichiar che il grosso del suo bagaglio sarebbe
arrivato in seguito. Pag persino due settimane in anticipo: tutto
regolare. Naturalmente, gli inservienti del dottore si misero subito
alla sua ricerca ed indagarono in tutte le direzioni, ma Mrs. Wilson non
pens neanche per un momento che il suo tranquillo e giovane inquilino
fosse in realt il pazzo evaso. Non all'inizio, almeno." Arnold
approfitt della pausa retorica nel ritmo del racconto. Si sporse verso
il padrone, che a sua volta si sporgeva dal bancone per ascoltare, come
gli altri, la storia. Quella volta il giro delle ordinazioni fu
sollecito e tutti i presenti optarono per un goccetto di gin, ritenendo
che una birra chiara o persino una scura sarebbe stata inadeguata
all'acme del racconto. E poi, con i volti atteggiati a cortesi
espressioni, bevvero alla salute del "nostro amico che siede vicino al
nostro amico Mr. Reynolds." Ed uno di loro disse: "Poi lei lo scopr,
vero?" "Credo," prosegu l'oratore, "che pass all'incirca una settimana
prima che Mrs. Wilson notasse che qualcosa non andava per il verso
giusto. Fu mentre lei sparecchiava la tavola imbandita per il t che lui
dichiar con voce stentorea: ""La cosa che pi mi piace di queste sue
stanze, Mrs. Wilson, la splendida vista che si gode dalle finestre."
"Naturalmente, queste parole furono sufficienti a metterla in allarme.
Tutti noi sappiamo cosa si vedeva dalle finestre di Rodmants Row:
Fothergill Terrace, Chatham Street, Canon's Park: scorci assai graziosi,
senza alcun dubbio, tutti quanti, ma, come dicono i nostri giovani,
niente di cui scrivere a casa. Perci Mrs. Wilson non sapeva come
interpretare quella dichiarazione e pens che si trattasse di uno
scherzo. Pos sul tavolo il vassoio del t e guard diritto negli occhi
il suo inquilino. ""Posso chiederle, signore, cosa ammira in modo
particolare?" ""Cosa ammiro?" disse lui. "Tutto." "E poi pare che
cominciasse a snocciolare le pi grosse sciocchezze: raccont di fiori
viola, dorati e argentati; del gorgoglio di una fontana; del viale,
ombreggiato dagli alberi, che conduceva proprio al centro del bosco;
della casa sulla collina, che pareva abitata dalle fate, e non so di
cosa altro ancora. Voleva che Mrs. Wilson si avvicinasse alla finestra
per vedere quanto lui le andava raccontando. "Lei si spavent, prese il
suo vassoio e usc dalla stanza con la massima rapidit. E la cosa non
mi meraviglia. E quella notte, quando lei sal al piano di sopra per
andare a coricarsi, pass davanti alla porta del suo inquilino e lo ud
parlare ad alta voce. Allora si ferm ad origliare. Non so voi, ma io
non credo che la si possa biasimare per essersi messa ad origliare.
Immagino che volesse sapere chi o cosa aveva accolto a casa sua. "Sul
principio non riusc a decifrare cosa lui stesse dicendo. Farfugliava
qualcosa in quella che pareva una lingua straniera; ma poi inizi a
urlare in perfetto inglese come se stesse parlando con una giovane
signora, pronunciando espressioni assai affettuose. "Per Mrs. Wilson la
faccenda aveva oltrepassato ogni limite: stramazz sul letto con il
cuore in gola e il suo sonno per tutta la notte fu assai agitato. Il
mattino seguente il giovanotto pareva essersi acquietato, ma Mrs. Wilson
sapeva che non c'era da fidarsi. Perci, subito dopo colazione, fece il
giro del vicinato e cominci ad interrogare qualcuno. Naturalmente, in
quel modo venne fuori la probabile, vera identit del suo inquilino e la
voce arriv all'Himalaya House. Gli inservienti del dottore andarono a
riprendersi il giovane. Che Dio mi perdoni, signori: sono quasi le
dieci." La compagnia si sciolse in una specie di cordiale trambusto. Il
vecchio che aveva raccontato la storia del pazzo evaso aveva notato con
quanta attenzione Arnold aveva ascoltato le sue parole. Ne era
chiaramente compiaciuto. Strinse calorosamente la mano di Arnold,
concludendo: "Ora capisce, signore, su quali basi si fonda la mia
convinzione che fu il manicomio la causa della cattiva fama di cui
Canon's Park gode nel nostro vicinato." Arnold, rimuginando su una
quantit di cose, si avvi sulla strada del ritorno per Londra. Molti
particolari erano avvolti dal mistero e lui si chiese se l'inquilino di
Mrs. Wilson non fosse affatto pazzo; o comunque non era certo pi pazzo
di Mr. Hampole, o del fattore del Somerset o di Charles Dickens, quando
ebbe la visione di suo padre accanto al suo capezzale.

V
Arnold raccont la storia delle sue ricerche e delle sue perplessit
alla successiva riunione dei tre vecchi amici nel quieto cortile
antistante la locanda. La scena era cambiata: era una notte di giugno,
gli alberi del giardino della locanda frusciavano spinti da una fresca
brezzolina, che soffiava un vago odore di lontani campi di fieno nel
cuore stesso di Londra. Il liquore nella brocca marrone profumava di
vigneti guasconi e di erbe dell'orto, ed attorno ad essa era stato
disposto il ghiaccio, ma non per troppo tempo. Durante il racconto di
Arnold, Harliss continu a ripetere il suo ritornello: "Io conosco ogni
centimetro di quel quartiere e vi dico che non esiste un posto del
genere." Perrot non prese posizione. Ammise che la storia era
interessante: "Abbiamo tre testimoni," aveva sottolineato Arnold. "S,"
disse Perrot, "ma hai tenuto conto del meraviglioso operato della legge
delle coincidenze? Alcuni anni fa lessi di un caso, che tu forse adesso
giudicherai piuttosto banale, ma che allora a me fece una profonda
impressione. Quaranta anni prima, un uomo aveva comprato un orologio a
Singapore o, forse, a Hong Kong. L'orologio cominci a non andare bene e
lui lo port a farlo revisionare in un negozio di Holborn. L'uomo che
stava al banco e che prese l'orologio dalle sue mani era lo stesso uomo
che gli aveva venduto l'orologio in Oriente tanti anni prima. In sede di
giudizio non si pu non contemplare la coincidenza e respingerla perch
ritenuta una soluzione impossibile. Le sue possibilit sono infinite."
Poi Arnold raccont l'ultimo, imperfetto e incompiuto capitolo della sua
storia. "Dopo quella serata trascorsa al "King of Jamaica," esord,
"tornai a casa e meditai sull'intera faccenda. Sembrava che non ci fosse
pi niente da fare. Eppure, sentivo che mi avrebbe fatto piacere dare
ancora un altro sguardo a quel parco misterioso. Ci andai un pomeriggio
buio e nuvoloso e subito mi imbattei nel giovane che aveva smarrito la
strada e che aveva smarrito, cos disse, colei che viveva nella bianca
casa sulla collina. Non induger a parlarvi di lei, della sua casa e dei
suoi giardini incantati. Ma sono sicuro che anche il giovane si
smarr... e per sempre." E dopo una pausa, aggiunse: "Credo che esista
una pericoresi, un'interpretazione. Esiste la possibilit che noi tre,
in realt, in questo momento siamo seduti tra rocce desolate, accanto ad
infidi torrenti. "... E in compagnia di chi?"
COLLABORAZIONI POSTUME MACHEN/CAMMAROTA

Domenico Cammarota
NOTA AI TESTI
Come gi ho avuto pi volte occasione di dichiarare in varie sedi,
disprezzo profondamente le spudorate operazioni commerciali,
generalmente conosciute sotto il nome di collaborazioni postume. Detesto
quindi il tentativo addomesticante compiuto da August Derleth per
"edulcorare" il troppo amaro H.P. Lovecraft; detesto le mediocri
rielaborazioni di materiali Howardiani effettuate da L.S. De Camp, con
il suo Conan da operetta, e detesto i (fortunatamente) pochi tentativi
similari compiuti da Lin Carter nei confronti di Clark Ashton Smith. Per
me l'Opera di un Autore, qualunque possa essere, investe i carismi
stessi del Sacro; non sono consentite, a questo punto, deleghe di
nessuna sorta, n in vita, n in morte. Con tutto ci, consentitemi
quindi di spiegare il senso, l'effettiva validit di quest'operazione
apparentemente similare, finalizzata sotto l'apparizione di tre racconti
dalla doppia firma Machen/Cammarota. Arthur Machen ormai morto da
quarant'anni, e questa antologia di inediti che vi ritrovate fra le
mani, vuole essere per prima cosa un atto di doveroso omaggio al suo
incontestabile valore di grande scrittore, un grande scrittore, si badi
bene, tout court, non solo un maestro della letteratura fantastica; un
omaggio che poteva provenire soltanto dalla nostra Casa Editrice, che
per prima, dieci anni fa, provvide ad una seria, critica, integrale
presentazione dell'Opera affascinante del Nostro. A quanto ne so, non
esistono racconti inediti (mai pubblicati neanche in Inghilterra, per
intenderci) di Machen, e quelli gi editi, in gran parte, soffrono del
destino di tutte le cose passate, seppelliti come sono in antologie mai
pi ristampate dalla loro prima edizione, in riviste del tutto
introvabili, et similia; tant' vero che si sono incontrate non poche
difficolt, per reperire i testi originali dei racconti di Machen
presentati in questa antologia. Se Machen non lasci racconti inediti,
frammenti vari, storie incompiute ed affini, lasci invece le tracce di
vari racconti mai neanche iniziati, descrivendoli in poche righe, nel
terzo volume del sua autobiografia, The London Adventure (scritto nel
1923 e pubblicato nel 1924). Sulla base di queste tracce, ho scritto i
tre racconti che logicamente vengono presentati a firma doppia: Una
famiglia ordinaria, per cui mi sono valso di una traccia iniziale del
Machen di quindici righe: L'uomo che si costru un dio, per cui mi sono
valso di una traccia iniziale del Machen di venti righe; e L'Idolo, per
cui mi sono valso di una traccia iniziale del Machen di venticinque
righe. Tali tracce, contenute in un taccuino di appunti di Machen, usato
dallo scrittore tra il 1895 ed il 1898, e cio nel periodo di massima
attivit creatrice nel campo dell'Horror, non furono mai n iniziate, n
svolte, n portate a termine, come si pu leggere nel III capitolo della
citata autobiografia macheniana. Quindi, ricapitolando: i tre racconti
indicati, appartengono a me per quanto riguarda la stesura pressoch
totale, mentre appartengono a Machen i titoli, lo scenario narrativo, e
l'idea principale delle singole storie. Nessuna collaborazione postuma,
quindi, ma solo la stesura possibile di alcuni racconti lasciati
soltanto in nuce. I tre racconti sono indipendenti l'uno dall'altro, ma
si possono anche leggere come seguiti ideali, nella sequenza in cui sono
presentati, poich analogo lo scenario di fondo, uguali certe esigenze
strutturali, identici i personaggi principali che si muovono
nell'ombra... un po' come I Tre Impostori. Non pretendo minimamente di
elevarmi in parit con uno scrittore come Machen, e cio il maestro,
dichiarato o meno, di intere generazioni di scrittori, da Toulet a
Lovecraft, da Borges a Dick; ma ho ragione di credere, che questa mia
sorta di omaggio letterario nei suoi confronti, non gli giunga del tutto
sgradita, ovunque possa ora essere il suo spirito. Tutte queste lunghe e
un po' noiose spiegazioni, erano senz'altro doverose da parte mia, ma
non certo obbligatorie per il lettore; tant' vero, che il lettore
sagace, avr senz'altro saltato a pi pari queste righe concettuose. E,
del resto, il parere ultimo, definitivo, sulla bont fruitiva di questi
miei, nostri racconti, rimane affidata, mio caro Arthur, soltanto al
pubblico... e tutto il resto silenzio.

Arthur Machen e Domenico Cammarota


UNA FAMIGLIA ORDINARIA
Il cielo sporco, striato di basse nuvolaglie dalla tinta violacea,
scaricava lentamente le sue ultime gocce di pioggia sul selciato freddo
della citt; un acquerugiola acuta, calda, odorosa di polvere e
frammenti di gesso. Con un brivido nervoso delle spalle, William Howlett
si rialz il bavero del vecchio cappotto, scendendo dalle scale della
sua Pensione, e incamminandosi lestamente lungo la Ivory Road,
costeggiando il ponte, prima di deviare a sinistra per la pi spaziosa
Caxton Road. Lungo Caxton Road, il panorama monotono di quelle casette
tutte uguali, basse, con i muri dipinti in rosso ed i tetti di grigia
ardesia, veniva spezzato ogni tanto dalle macchie di un verde selvaggio,
segno della rivincita della natura sulla costrizione dell'uomo, li, dove
si aprivano vasti giardini incolti e roveti di sterpaglie. Tutto
l'orizzonte di quella parte periferica e poco nota di Londra, compresa
tra Clerkenwell, Hasbury Park e la cinta delle Colline Nere, era
ugualmente gravato da un senso d'oppressione e di quotidiana ansiet,
per il tediato William Howlett, pi che mai in preda allo spleen; le
cagioni della sua permanenza in quei luoghi tristi e inselvatichiti alle
porte della Grande Metropoli, erano infatti meramente economiche, a
causa della triste condizione familiare in cui egli, col tempo, si era
venuto a trovare. Costretto a lavorare per potersi pagare gli ultimi
studi all'Universit senza esser pi di peso alla sua famiglia, il
ragazzo, alto e magro, dal viso fiero e dai lineamenti quasi angelici,
si era rifugiato in periferia, in una lurida cameretta all'ultimo piano
di una Pensione equivoca, dove la padrona, grassa e sensuale, non
mancava mai di mangiarselo con gli occhi, ogni volta che le passava
vicino. Dopo varie occupazioni saltuarie, di umiliante natura, che
avevano contribuito vieppi a fiaccare lo spirito indomito del giovane,
Howlett aveva avuto finalmente un pizzico di fortuna, entrando in forza
al quotidiano popolare del mattino, nelle qualit di vicecronista in
prova. Il direttore, soppesando la figura del giovane con occhio
critico, tra uno sbuffo e l'altro di un pestilenziale sigaro Virginia,
gli aveva imposto ironicamente la sua benedizione, dandogli una
quindicina anticipata per le spese, e spedendolo immediatamente in quei
posti abbandonati, alle porte di Londra, dove i cronisti raramente
mettevano piede, quasi come fosse un mondo a parte, e non soltanto un
borgo a meno di mezz'ora dalla City vera e propria... In preda
all'entusiasmo per il nuovo lavoro, che poteva promettere assai bene, e
non considerando tutte le stranezze del caso, il giovane Howlett si era
gettato subito, anima e corpo, nelle occupazioni del suo caso. Quale
vicecronista in prova, il suo compito era quello di battere a piedi,
praticamente ogni giorno, gran parte della zona assegnatagli, tenendo
ben aguzzi occhi e orecchie, raccogliendo sulla punta del blocknotes
tutte le possibili incongruenze del posto, dai resoconti spiccioli della
cronaca nera, fino alle voci incontrollate che da qualche tempo andavano
levandosi, aspre e allarmate, dai settori pi bassi della popolazione
del luogo. Voci incontrollate che bisbigliavano, agli angoli dei muri e
nelle salette interne delle birrerie, notizie inverosimili di
raccapriccianti delitti, di misteriose sparizioni, e di crimini ancora
pi orrendi e apparentemente innominabili; poich, fra tutti gli operai
e le lavandaie che aveva potuto interrogare, William aveva potuto
ricavare qualche cosa solo da una coppia di vecchi ubriaconi, che
farfugliavano confuse storie di neri rituali e arcane magie, con
particolari talmente osceni e ripugnanti da far accapponare la pelle.
Tutti gli altri avevano guardato il giovane con disprezzo, alcuni
ridendo ironicamente alle sue domande, altri, pi brutali, sputando
direttamente, con fare provocatorio, sulle sue scarpe; tutti, comunque,
tacendo rigorosamente, gli occhi cupi fissati verso terra, e le dita
contratte, rapide, su qualche raro crocifisso o su ninnoli d'argento,
pendenti da girocolli, a mo' di portafortuna. Eppure William Howlett
tentava coscienziosamente di svolgere il suo nuovo lavoro, con tutta la
rabbia e l'entusiasmo dei suoi venticinque anni, malgrado una certa,
inconfessabile paura, che pure aveva cominciato a mettere radici nel pi
profondo della sua anima inquieta. Gi vari trafiletti, rigorosamente
anonimi, erano apparsi sul giornale del mattino, ad indicare i frutti
del suo lavoro; stringati, impassibili commenti su fatti di cronaca nera
che nella Londra tentacolare e spietata erano ormai casi di ordinaria
amministrazione. Un ragazzo impiccatosi ad una trave di legno nei pressi
dei magazzini abbandonati di Folhaum Street; una prostituta quindicenne
massacrata a spillonate da un gruppetto di sue colleghe nel vizio, molto
pi anziane, sotto i portici di Highbury's Road; un vecchio commerciante
ebreo, derubato e ucciso in modo orribile da alcuni immigrati, verso il
n. 116 della stessa arteria di Clerkenwell. Questo sia pur composito
panorama di orrori urbani, non bastava certamente n alla passione
ingenua del ragazzo, n alla passione barbara del direttore del
giornale; infatti l'uno voleva quel qualcosa in pi per dimostrare a s
stesso e agli altri di non essere pi un fallito, e l'altro voleva quel
qualcosa in pi per dimostrare agli altri la potenza del proprio s,
qualsiasi cosa fosse successa. La ricerca inesausta di quel qualcosa
divent ben presto l'incubo ricorrente nella vita di William Howlett.
Ormai egli aveva quasi del tutto lasciato andare i propri studi, non
curando neanche pi, da tempo, i rapporti con la propria famiglia: la
scorza cinica e dura del giornalista londinese, sia pure dilettante, gli
si era gi appiccicata contro, ed il suo sorriso angelico, oramai,
nascondeva un cuore vuoto ed un cinismo scettico e disincantato. Le sue
giornate erano suddivise completamente tra le veglie nella Pensione e le
vere e proprie fughe nei dedali di viuzze dei quartieri. Quando, stanco
di una mattinata passata sul letto a leggere i fascicoli proibiti di The
Yellow Book oppure l'ultimo romanzo orrido di Halpin Frayser, balzava su
dal letto squinternato per inforcare il suo cappotto e scendere per la
stretta scala, un intero universo si schiudeva innanzi ai suoi occhi, e
sotto ai suoi piedi. Egli non avvertiva pi, davvero, lo sconvolgente
squallore di quelle stradine bagnate, di quella cappa di bruma sempre
sospesa in un angolo del cielo, e degli odori di sego, piombo e vino
marcio, che pure scaturivano potenti, a zaffate continue, dai magazzini
e dagli spazi vuoti tra le strade; egli non avvertiva pi, per niente,
l'orrore infinito di quella vasta distesa di casupole tutte uguali,
abitate da persone tutte uguali, come un gigantesco formicaio di grigi
insetti in preda a neri pensieri. Il suo entusiasmo era quello un po'
virile dell'incoscienza; anelava, nei suoi furiosi girovagare, di
provare lo stordimento del perdersi, fino a ritrovare un altro s
stesso, che forse, gi presente, dormiva soltanto, coperto da uno strato
rimovibile di sole convenienze sociali. Strinse cos amicizia con il
poliziotto di quartiere, un gallese grosso e gioviale, dai baffi a
manubrio, che amava raccontare barzellette macabre e antiche leggende;
si mescol abilmente nella folla abituale degli ubriaconi di fine
settimana, spendendo parte dei suoi magri peculii, per offrire a destra
e a sinistra fiumi di tossici liquori dalle denominazioni ignobili. Nel
suo rapido decadere, fece anche di peggio, incominciando a frequentare,
sempre col blocknotes alla mano, i peggiori elementi della feccia
urbana, come ricettatori, ladri, bulli da quattro soldi e prostitute
d'ogni razza, et, colore; anzi, per quanto riguardava queste ultime,
pass ben presto da una avventura all'altra, abusando dei suoi pressoch
inesistenti poteri di giornalista per calarsi fino al collo in un
turbinio di orge carnali della peggior specie, ove conobbe, restandone
segnato per sempre, tutte le possibili perversioni scaturite dalla
feroce immaginazione degli uomini. Fu usato credendo a sua volta di
usare, e fu turlupinato, credendo a sua volta di turlupinare; cos, ben
presto, l'aura mediocritas di Twikenham, Clerkenwell e Shaftersbury,
scese a impestare la sua anima, recidendo definitivamente i legami
elitari che ancora rendevano capace il ragazzo, a volte, di sognare un
mondo dove il reale non era davvero la cosa pi importante della vita.
Tutto questo non aveva davvero pi alcuna importanza per l'esistenza di
William Howlett, il cui esacerbato spirito pretendeva ogni giorno di pi
il cupo alimento ad una esistenza puramente estetica; gonfio della
prosopopea attualistica che trovava pari pari nei maligni breviari
poetici di Oscar Wilde, il giovane aveva deciso, incredibilmente, di
vivere la sua vita come se si trattasse di un autentica opera d'arte, e
di conseguenza, anche la sua ricerca di quel qualcosa, della diversit
che gli avrebbe consentito il transito in un altro mondo, si tramut in
una ossessiva fuga verso un mondo fantastico e funebre, senza mai poter
penetrare a fondo nella carne viva e dolente del Male. Rivivendo in una
sorta di sogno, lucido e intensissimo, tutti i presupposti che l'avevano
portato in quel luogo di cupo dissolvimento interiore, William Howlett
si riscosse dal suo stato di trance, obbligando mentalmente i suoi piedi
a piegare a destra, verso Highbury, ora che la Caxton Road si esauriva
dinanzi al suo sguardo stravolto. Tossendo raucamente, a causa di una
infreddatura procuratasi di notte nelle taverne lungo l'affluente del
Tamigi, il giovane port la mano alla tasca interna del cappotto,
traendone la fiaschetta metallica ricolma di Gin, e ingollandone circa
la met del contenuto, in una sola grossa sorsata. Il forte liquore
scese come una fiammata nei suoi intestini, facendogli lacrimare gli
occhi, ma ben presto il solito vecchio calore, che aveva cominciato a
conoscere cos bene, scese provvidamente nelle sue vene, riscaldandole,
donandogli un certo senso d'eccitazione. Tir un calcio nel ventre a un
grosso gatto nero che gli era passato su una scarpa, accorgendosi con
divertito raccapriccio d'aver invece colpito un topo di fogna
spropositato, e poi rimise la fedele fiaschetta nel suo posto, accanto
al cuore che ora batteva pi forte Con passo rinnovato, e lo sguardo
deciso, perlustr ancora una volta tutta Highbury's Road, appuntando i
suoi occhi verdi, freddi come una lama d'acciaio, lungo i ballatoi delle
case serrate, lungo le finestre chiuse dove intuiva gli sguardi
preoccupati della comune gentucola dietro le tendine polverose, lungo i
giardini incolti dove i rovi e ginepri, erbacce e pallidi roseti,
intrecciavano pigramente i loro rami, creando squallide visioni di un
selvaggio abbandono, che dagli spiriti inquieti degli uomini si era
comunicato man mano anche alle cose ulteriori, macchiando il panorama
con i colori di una marcescente, indubitabile, raccapricciante
decadenza... All'altezza della seconda derivazione del tracciato, dove
incominciava la zona pi povera e squallida del circondario, incroci
Flanders, il lampionaio, che con la sua caratteristica asticciola
terminante a becco, andava ad accendere i rari fanali a gas che
spuntavano qui e l nelle strade, come alberi solitari in una brulla
pianura. Fu proprio alla luce giallastra di un fanale acceso da
Flanders, che William Howlett not per puro caso un qualche cosa che il
sole ormai tramontato gli aveva impedito di notare prima, nel precedente
giro. Lungo il marciapiede sbrecciato, confuso tra i sassi della strada,
brillava tenuemente un sasso dalla forma curiosa. Con studiata
indolenza, il giovane si chin a raccoglierlo, portandosi poi
direttamente sotto il lampione per poter meglio vedere. Non era un
sasso, ma una tavoletta rettangolare, lunga una dozzina di centimetri e
alta la met, in argilla; lungo tutto un lato della sua superficie,
erano incisi, in forma minutissima, numerosi caratteri in una lingua
sconosciuta, che ai confusi ricordi universitari di Howlett, risult
essere un antico carattere cuneiforme. La tavoletta brillava d'un lucore
verdastro, a intermittenza, diminuendo man mano d'intensit. Tutto
questo era stranissimo. Flanders aggiust la sua asticciola nella
tracolla, e si avvicin al giovane, che ben conosceva. "Hey Capo, fate
un po' vedere anche a me, avete per caso trovato un tesoro? In tal caso
si farebbe a mezzo, perch io vi ho fatto luce!" termin l'operaio,
ridacchiando. "Sta zitto, parla solo quando sei interrogato", ribad
Howlett. Questo non un tesoro, qualcosa di meno, ma anche qualcosa
di pi, a seconda dei punti di vista. Guarda!" e tese la tavoletta a
Flanders, che la prese in mano con cautela. "Mah... e che cosa sarebbero
queste cose qua, graffiate? Non sono parole dell'alfabeto... queste
sembrano spade, e queste altre sembrano punte di frecce... ma potrebbero
anche sembrare dei fulmini, o dei numeri monchi... boh! Secondo me, lo
scherzo di qualche bambino, e..." "Scherzo un corno, imbecille! Questa
tavoletta non dovrebbe assolutamente trovarsi qui, non in questo luogo,
non in questa epoca! Questi qui sono caratteri cuneiformi... simili,
cio, a quelli usati, ventimila anni fa, nel primitivo Galles del Nord,
nella Turania, o nelle coste interne della Libia e del Mar Nero..." Con
un sorriso di disprezzo, Flanders sput a terra. "Sar pur vero quello
che dite, Capo, ma secondo me prendete un colossale abbaglio. Questa non
roba di ventimila anni fa, risale tutto, al massimo, a venti ore fa, o
forse neanche due... guardate!" Sotto la lieve pressione del pollice di
Flanders, un angolo della tavoletta si smuss con facilit, rivelando
uno strato interno di argilla ancora fresca e umida. Il giovane si
arrese all'evidenza, dandosi mentalmente dell'idiota. La tavoletta non
era un antico reperto, ma bens un manufatto recentissimo. "Va bene
Flanders, ho sbagliato. Ma ci non toglie che questi caratteri incisi
sulla tavoletta, pi o meno, non vengano usati da circa ventimila anni.
Ventimila anni, sapete! Non una bazzecola. E il mistero permane." "Ma
quale mistero intendete? Vi ho fatto vedere che l'affare qui non
ancora del tutto seccato, e allora? Questo non che lo scherzo di
qualche buontempone, e..." "Scherzo di qualche buontempone? Flanders, ti
dico, conta prima fino a dieci, ogni volta che devi aprire la bocca per
sparare simili fesserie! In tutta Londra, ci scommetto, solo tre o
quattro persone, sarebbero in grado di scrivere e leggere questi
caratteri! Io stesso non ci capisco niente, e li ho riconosciuti solo
per averli visti in qualche libro d'antiquariato! Come pretendi quindi
che gli abitanti di questa strada, in stragrande maggioranza analfabeti,
abbiano potuto fare una cosa del genere? Me lo spieghi?" Il lampionaio
si gratt la testa calva, imbarazzato. "Beh... effettivamente... visto
sotto questo profilo... il problema diventa davvero imbarazzante, capo.
Io non starei tanto a pensarci. Buttate la pietra nella spazzatura
all'angolo, o, meglio ancora... rimettetela esattamente dove l'avete
trovata e scordatevi di tutto. E' quanto di meglio possiate fare,
credete a me..." "Dimenticare? Gettare via la tavoletta? Sei pazzo!
Questa, per me, rappresenta l'occasione che ho sempre cercato! Figurarsi
un po': un reperto vecchio di ventimila anni, che riaffiora
improvvisamente nel posto pi squallido della pi laida citt del
globo... per di pi, rifatto ex novo... e tutto questo alle soglie del
Ventesimo Secolo??!... Ma tutto questo pane per i miei denti... ne
far un articolo clamoroso, per la prima edizione di domani..." Flanders
taceva, il volto cupo, immerso nei suoi pensieri. Nella mano stringeva
ancora la tavoletta, che vibrava, scossa dal tremolio violento dei nervi
di chi la teneva. Il giovane not tutto questo, e col viso duro, tese la
mano aperta verso il lampionaio. "Avanti, basta cos Flanders, ora
ridammi la tavoletta." Flanders alz gli occhi, improvvisamente pieni di
sangue e tese la tavoletta a William Howlett, con modi bruschi. Passando
da mano a mano, la tavoletta urt, scivolando, cadendo quindi a terra,
dove si frantum in una decina di pezzi scagliosi. Bestemmiando,
Flanders ebbe uno scatto nervoso, che lo port di un balzo in avanti,
finendo per distruggere in polvere, sotto i suoi pesanti stivali, il
resto della tavoletta d'argilla. Howlett url dalla rabbia, afferrando
Flanders per il collo della camicia, e scuotendolo, in preda ad un'ira
feroce. "Vecchio scemo... l'hai distrutta... bastardo... che cosa hai
creduto di fare? Dovrei ammazzarti... l'hai fatto apposta, lo so...
maledetto!..." Flanders, illividito, si liber con uno strattone dalla
presa di Howlett, che minacciava di strangolarlo, e fece tre passi
indietro, scuotendo la testa. "Siete pazzo, siete! E' stato un
incidente, vi dico! Vi ho messa in mano la pietra, e voi l'avete fatta
cadere, e ora date la colpa a me! Non riprovateci, vi avverto!" Il
giovane s'inginocchi a terra, ignorandolo, frugando affannosamente sul
marciapiede, e ritrovandosi in mano soltanto un pugno di fredda polvere.
Non c'era pi niente da fare! Un'occasione d'oro gli era passata vicina,
ed ecco, tutto svanito in un attimo!... Si lev in piedi, stravolto
dall'ira, fronteggiando il lampionaio, che indietreggiava sempre di pi.
"Flanders, non so perch hai fatto quello che hai fatto, ma sta' pur
sicuro che prima o poi me la pagherai cara, te lo giuro. Adesso
sparisci, prima che ti ammazzi!" Il lampionaio non si fece ripetere due
volte l'invito, e fugg via, correndo, non prima di averlo ingiuriato
atrocemente, con termini irriferibili. Howlett si port le mani alle
tempie, facendo uno sforzo mnemonico imponente, a cui da tempo era
abituato. Ecco, cos... cos... ecco! Le immagini incise sulla
tavoletta, ritornavano nitide nel suo cervello, in ordine sequenziale,
una per una. La sua memoria non lo tradiva. Sudando per lo sforzo, tir
fuori di tasca l'inseparabile blocknotes e la matita d'argento,
tracciando a caratteri svelti e precisi tutto quanto aveva visto.
"Questo meglio che niente, e qualche cosa combiner" disse fra se e
se, con scarsa convinzione. Guard ancora lungo lo steccato, con
attenzione. Non vi era nient'altro di strano, eccettuato un curioso
odore nell'aria. La nota dominante era un profumo come di spezie e di
legno di sandalo, ma tutto sommato non era piacevole, perch ricordava
anche il sentore della carne putrefatta. Scosse la testa, nauseato.
Muovendosi con circospezione, gir attorno alla casa nei cui paraggi
aveva trovato la tavoletta, domandandosi un perch... vi era forse
qualche nesso non casuale fra le due cose? E se s, come poteva saperlo?
La casa in osservazione era apparentemente disabitata, ma lui poteva
avvertire quasi fisicamente, con crescente disagio, la presenza di
sguardi inquietanti che lo trapassavano da parte a parte come
proiettili. Prese nota mentalmente, aguzzando la vista su di una targa
in cima al batacchio di una campanella, che li viveva la famiglia
Amershaw. Poteva bastare. A passo svelto, senza correre, e rasentando i
muretti con circospezione, torn indietro sui suoi passi, ripercorrendo
di nuovo Highbury's Road, riattraversando la vasta Caxton Road, e
giungendo infine, trafelato, con il cuore in tumulto, dinanzi alla porta
familiare della Pensione. Si scans per far passare due prostitute
ubriache che si tenevano per la vita, baciandosi e cantando canzonette
da trivio, e sal per la scaletta fino alla sua stanza. Apr la porta
con violenza, guardando con raccapriccio la padrona di casa che sedeva
sul suo letto, nuda e orribile, simile in tutto e per tutto a un brutto
quadro di Brueghel. La vecchia lo guard con un osceno sorriso,
allargando le gambe in una posizione volgarissima, e passandosi le mani
adunche sui seni enormi, che come bisacce, le pendevano fin quasi sul
ventre violaceo. "Non fare quella faccia spaurita figliolo, la vecchia
Gertie non ha mai impestato nessuno... Siccome da qualche giorno che
non paghi l'affitto, ho pensato che forse potevi ricompensarmi in altro
modo... se non ti sta bene, prendi i tuoi stracci e vattene, nessun
problema..." termin la grassona, leccandosi le labbra insudiciate di
rossetto, tremando tutta dalla perversa eccitazione. William Howlett
soffoc un conato di vomito, chiudendo accuratamente la porta dietro di
s. Non aveva scelta, poich i suoi soldi stavano per finire. E, dopo
quello che era successo, non se la sentiva di passare una notte al buio
e all'addiaccio, quindi... Mentre si spogliava, guardava il corpo nudo e
fremente della vecchia con odio e disgusto, rabbrividendo suo malgrado.
Ma nel momento preciso in cui la sua carne giovane tocc la carne
sfiorita della donna, sent un'eccitazione mostruosa, potentissima,
crescere dentro il suo corpo. Come in preda ai fumi dell'oppio, vedeva
danzare attorno ai suoi occhi i caratteri cuneiformi della tavoletta,
iscritti nell'aria come in lettere di fuoco, lettere che turbinavano,
gemendo e stridendo, in una sarabanda infernale. Scosse la testa per
scacciare le visioni, e cos facendo si trov a rimirare una tremenda
erezione, che con raccapriccio riconobbe per essere la sua. Che cosa gli
stava succedendo? Sbavando, emettendo suoni inarticolati, bestiali, che
non avevano nulla di umano si gett sulla vecchia, maltrattandola
selvaggiamente, prendendola innumerevoli volte, in ogni modo, facendola
sanguinare. Sentiva il suo corpo immerso in una eternit di beatitudine,
orgasmo dopo orgasmo, mentre la mente ripeteva strani concetti, come:
"E' nel marcio che vi vita, solo nella corruzione che brilla il nero
sole della fertilit... Il grande Verme che in ogni essere umano, il
padre delle turpitudini, il solo vero Dio... ama il grande Verme,
rispetta il grande Verme..." Poi, pietoso, il grigio buio del sonno. I
primi raggi di un freddo sole lo svegliarono con il loro antico richiamo
di vita. Si pass le mani sul corpo nudo e coperto di graffi e di morsi,
e si stup di sentire il sapore del sangue nella sua bocca... nella
stanza aleggiava un odore di spezie e di un qualcosa che poteva sembrare
legno di sandalo... Ma poteva essere anche carne marcia e putrefatta. Lo
stesso odore avvertito la sera prima dinanzi alla casa degli Amershaw!
Il ricordo ebbe il potere di farlo svegliare del tutto, insieme alla
memoria che saliva. Che... cosa... aveva... fatto? Che cosa? Cosa?!!!...
Ogni cosa, lentamente, tornava indietro, dal profondo, fino alla sua
mente, con la forza di altri ignoti, inconfessati, orrori; orrori di cui
mai si sarebbe sentito capace, orrori che mai avrebbe voluto far
accadere... e, cosa ancora pi terrificante, orrori di cui si era
deliziato. Si rivest in gran fretta, improvvisamente colto dal freddo.
Della vecchia Gertie nessuna traccia nella stanza, escluse naturalmente
le immonde tracce del suo sangue e d'ogni altro possibile umore. In
cucina, ritrov la sua padrona di casa, o quel che ne era rimasto. La
vecchia giaceva legata nuda sul tavolaccio da cucina, e dal suo corpo
ormai rigido mancavano numerosi pezzi di carne, accuratamente tagliati
dalle parti pi carnose. Come in preda a un sogno, Howlett si avvicin
al cadavere, per scoprire che la vecchia era morta in tutt'altro modo...
Dalla sua testa infatti, spuntava il manico di una doppia ascia, alla
maniera Celtica, che le aveva spaccato il cranio in due, sfigurandola
orribilmente... Ma, ci che era ancora pi strano, era l'ascia in se
stessa; un'ascia bipenne, fatta di pietra scura, sconosciuta, e pi
gelida dell'acciaio al tatto; pietra affilata dalle stesse mani che
avevano legato il manico di legno, intagliato con strane figure, alle
fibre nere - capelli umani? - che legavano l'arma in un pezzo unico e
saldo... William Howlett, tremando come una foglia, pi dalla rabbia che
dall'orrore, sent che doveva risolvere il mistero ad ogni costo, se non
voleva impazzire, cosa, a suo parere, ben pi temibile di una pura e
semplice morte improvvisa. Con un sorriso cinico, ricorse di nuovo alla
sua fiaschetta metallica, riempiendosi lo stomaco con la dolce fiamma
del Gin. Usc fuori dalla stanza, chiudendo la porta a chiave. Almeno
per ventiquattr'ore, nessuno sarebbe entrato l dentro; lui era l'unico
ospite fisso della Pensione, e le poche coppiette vaganti di prostitute,
invertiti e loro clienti, si sarebbero fatte vedere soltanto a notte
inoltrata... tutte persone che certamente avevano il loro interesse a
non farsi coinvolgere in un simile affare, chiamando la Polizia. La
prima cosa da fare, qual era? Ecco... doveva trovare qualcuno in grado
di saper decifrare il foglietto con la trascrizione dei caratteri della
distrutta tavoletta. Cammin fino all'incrocio, oltre il ponte di
Groovenox, per prendere il primo Bus a cavalli della giornata, in grado
di portarlo fino alla City. Una volta arrivato nel centro di Londra, si
fece largo a gomitate tra la folla di ogni razza e colore che lo
pressava d'attorno, togliendogli il respiro, assordandolo con i suoi
rumori infernali e il brulichio fastidioso dei tanti dialetti e
sottodialetti di tutto il vasto, putrescente Impero. Il palazzo severo e
massiccio della Biblioteca Reale gli si par improvvisamente davanti,
familiare come un tempo. Sal per vasti scaloni illuminati anche di
giorno, scivol silenzioso in enormi sale, dove, nella polvere,
affogavano lentamente i repertori cartacei di venti secoli di pretesa
civilt umana. Finalmente arriv ad una piccola porticina, l'apr, si
rivolse a una figura in grigio che a sua volta apr un'altra piccola
porticina, per rivolgersi ad un'altra figura in grigio; e finalmente fu
ammesso alla presenza del Dr. Miller, uno dei tre o quattro sapienti, a
suo giudizio, capaci di decrittare il tutto, in una citt pur cos vasta
e apparentemente colta come Londra. Il Dr. Miller non fece una bella
accoglienza al suo lontano allievo, ma improvvisamente il suo volto
arcigno, incorniciato da una imponente barba argentea, si rianim colto
dallo stupore: con frenetico interesse, strapp di mano ad Howlett il
foglio con i suoi appunti, prorompendo in esclamazioni di sorpresa,
inframezzate a commenti sottovoce. Il giovane guard con un filo di
speranza il Dr. Miller. "Allora, Direttore? Potete tradurre questa
iscrizione?" "Mio giovane amico, certo che posso tradurla. Modestamente,
se c' una persona a Londra capace di tradurre la scrittura cuneiforme
Dhols, quella sono io!" "Scrittura cuneiforme Dhols? Io non ne ho mai
sentito parlare! Di che cosa si tratta?..." "Beh, vedete, qui si entra
nel campo delle teorie scientifiche non ancora completamente accettate
da tutta la comunit intellettuale degli esperti. Io ho dato il nome di
"cultura Dhols", a quella misteriosa civilt che precedette di alcune
migliaia di anni, l'avvento stratificato dei Celti, in Bretagna,
Normandia, Linguadoca, Liguria, e terre limitrofe. Una civilt del ferro
e del sangue, che alcuni chiamano ancora Civilt del Grande Serpente,
ovvero Civilt del Gran Verme. Questi caratteri cuneiformi, variamente
modulati con segni lanceolati in sequenza alternata, sono i simboli
irrefutabili del passato splendore di questa razza barbarica, la cui
crudelt gareggiava con quella delle fiere." "Crudelt? Cosa intendete
dire? Voglio dire, io..." Il Dr. Miller si esib in un sorriso di
compassione. "S, crudelt, mio giovane amico. La legge fondamentale di
ogni societ dinamica, progressiva. Quelli che io chiamo i "Dhols",
adoravano le forze brute, elementali, della Terra. I loro rituali di
sesso e di sangue, servivano ad accrescere la potenza interiore dei
guerrieri e delle streghe. Da loro deriva la profonda convinzione,
maturata attraverso scambi generazionali fino ai negri B'wanGhis, che
l'assimilazione nutrizionale della carne e del sangue dei propri nemici,
giovi ottimamente al rinforzamento ulteriore sia del corpo che
dell'anima, attraverso l'assimilazione delle virt del nemico ucciso e
divorato in tal guisa." Il giovane Howlett sbianc in viso a quelle
truci parole. "Dr. Miller... lei una razza inumana di demoni cannibali,
la chiama "civilt"? Che civilt c' nell'esercizio sfrenato della
libidine e del sadismo elevati a religione?..." "Mio caro ragazzo, come
gi ebbi occasione di ripeterle a suo tempo, tutte codeste fisime di
civilt e di progresso, di diritti umani e di democrazia, non sono altro
che il paravento idealistico di una societ decadente, che cerca in
vuote enunciazioni pietistiche l'alibi al proprio niente." William
Howlett stir le labbra in un feroce sorriso. "Lei, Dr. Miller, degno
di figurare ancora oggi nella sacra consorteria dei druidi di quei
Dhols, come lei li chiama. E' uguale a loro, come molti tipi di mia
conoscenza... ma lasciamo perdere questi discorsi oziosi. Mi dica
piuttosto il significato dell'iscrizione, la prego." Il Dr. Miller
assent, scrollando il capo. "Il significato dell'iscrizione? E' presto
detto, lei per non mi ha ancora rivelato come ha fatto a venirne in
possesso. Una simile iscrizione, venne trovata solo alcuni anni fa nelle
rovine di un tempio sconosciuto, ai confini del Turkestan, da una
spedizione archeologica tedesca. Comunque... Le reciter prima il testo
cos come va letto, nei suoni dell'alfabeto Dhols, che sono molto
sgradevoli e rauchi. Non si stupisca quindi delle mie inflessioni. Ecco:
"Ang nakk, ang nakk, rrrng rrng, arlh'ann'ffrh, arlh'ann' ffrh!
Rrruggh urrun'ffrh, rruggh urrun'ffrh, amm pyuww, amm pyuww! Ezz trrhn
ayh ahll aytt ayh ahll aytt ezz arrr! Yokk-sotot, yokksotot,
yokksotot, yokksotot, yokksotot, yokk-sotot, yokksotot, yokksotot,
yokksotot, yokksotot..." A quelle parole viperine, sibilate con voce
potente, quasi incredibile in un uomo dell'et del Dr. Miller, Howlett
impallid, comprendendo finalmente che forze oscure avevano posto il
loro dominio in parti imperscrutabili della Terra, e che, da allora in
poi, la sua vita non sarebbe stata pi la stessa. "S, dottore, questo
il suono dei caratteri cos decifrati, ma... e il loro significato?..."
"Il loro significato? Oh, niente, una sorta di promessa, di rituale
mistico ricorrente ad uno dei loro pi antichi Dei, Yokk-Sotot, una
sorta di mostro scaturito dai crepacci umidi del mondodimezzo... In
pratica, significa questo: "Noi giuriamo, noi giuriamo, di mangiare,
divorare, ogni tua preda, ogni tua preda! Di squartarla con le unghie,
di mangiarla molto forte! Fino a succhiare ogni goccia di bianco midollo
dalle ossa! In onore di YokkSotot..."" Il colorito pallido di William
Howlett si accentu. Adesso cominciava finalmente a comprendere tante
cose, troppe cose. "Dottore... un'ultima domanda. Lei crede che dei
discendenti dei Dhols, attraverso ventimila anni di guerre e di
cambiamenti vari, abbiano potuto sopravvivere, intatti, come entit
religiosa, razziale, biologica, fino a giungere integri, in mezzo a noi,
in pieno 1897?..." Il Dr. Miller si scur in volto, comprendendo
l'intima tragedia nascosta in quell'apparentemente futile domanda. Poi,
dopo un po', rispose, con voce improvvisamente tremante. "S... s,
ragazzo mio, s. Dopotutto, sono arrivate fino a noi, intere trib di
aborigeni australiani che non conoscono ancora l'invenzione del fuoco, e
ci sono ancora piccoli gruppi di Ebrei ultraortodossi, che credono che
il mondo esterno, come si presenta ai loro sensi, non sia altro che un
inganno di Satana per indurli al peccato di esistere... S, ci sono
forti probabilit, che piccoli o medi nuclei di antichi Dhols, forti
della loro plurimillenaria purezza razziale e religiosa, siano
sopravvissuti ai vari cambiamenti di Ciclo, giungendo intatti in mezzo a
noi, fra le nostre case e la nostra pretesa civilt, con tutto il loro
carico infernale di orrori senza nome virtualmente intatto. So che molti
miei colleghi mi deriderebbero, ma onestamente devo ammettere la
possibilit reale di quella infima probabilit. Ma, piuttosto, ragazzo
mio, ancora non mi avete detto come diavolo avete fatto a procurarvi
questi caratteri antichissimi e cos particolari, ed io non..." "Vi
prego, dottore, tacete... quando questa storia sar finita, se sar
ancora vivo, saprete tutto, ed in tal caso deciderete voi se rendere
pubblico quest'affare o no. In caso contrario... vi dico addio adesso.
Addio, Dr. Miller." William Howlett piant cos in asso il Dr. Miller,
muto dallo stupore, e torn indietro in tutta fretta sui suoi passi, in
preda ad un profondo orrore, pi spirituale che fisico, un orrore che
nasceva, pi di tutto, dalla terrificante sensazione di impotenza che
fiaccava tutto il suo essere. Una volta arrivato presso Twikenham, devi
verso Caxton Road, tornando sulle solite strade, stranamente sempre
deserte, mentre il sole corrusco lasciava il posto ad una nebbia
puzzolente e spessa come il latte cagliato. Si diresse verso la casa di
Flanders, il lampionaio, convinto che l'uomo sapesse in realt molto di
pi di quel che poteva sembrare, e sempre pi certo che la distruzione
materiale della tavoletta cuneiforme, non fosse stato un caso fortuito,
ma in realt un atto cosciente, eseguito per eliminare prove preziose,
supporto ideale all'accusazione di crimini orrendi... Arriv giusto in
tempo dinnanzi alla casetta di Flanders, per vederne uscire una bara di
legno nero, portata da quattro operai dal volto duro, seguiti da un
prete che riconobbe per il reverendo O'Malley, capo della comunit.
"Reverendo! Reverendo O'Malley! Mi riconosce? Sono William Howlett, il
giornalista! Che cosa successo? Chi c' in quella bara che esce dalla
casa di Flanders?" Il Reverendo O'Malley guard con diffidenza il
giovane, segnandosi ripetutamente con le mani grassocce. "Chi c' in
quella bara, figliolo? Ma il povero Flanders, che diamine! Morto due
giorni fa, per i postumi di una brutta malattia... che Dio lo accolga
nel suo Paradiso!..." Il giovane si sent mancare la terra sotto ai
piedi, a quella risposta. Boccheggiando, tent di controbattere:
"Mor...to... da... due giorni, dite? Allora... allora anche ieri sera
era morto! Era morto ed io... ed io..." Il prete guard con aria
contrita Howlett. In quel suo miserando quartiere, da troppi anni
accadevano cose strane, ed egli era ben cosciente della presenza viva e
inquietante del Male in quelle strade, fra quelle mura. "Ti posso
assicurare che Johnatan Flanders morto esattamente due giorni fa, tra
le mie braccia, figliolo. E questo tutto. Posso fare nient'altro per
te, ora?..." Il giovane inghiott a vuoto, tremando dall'orrore. "Si...
si, padre. Voi che conoscete tutti i fedeli della Parrocchia, e tutte le
famiglie del circondario, potreste forse dirmi qualche cosa circa la
famiglia Amershaw..." A quel nome, il volto roseo e paffuto del buon
Reverendo O'Malley s'incup, cambiando completamente espressione. "La
famiglia Amershaw, hai detto? No... posso dirti poco o niente, su di
loro. Non li conosco personalmente. In vent'anni che sono qui, non li ho
mai visti entrare in una Chiesa, n nella mia, n in quelle dei miei
Fratelli Separati. Eppure non sono n anarchici n socialisti, anzi,
tutti gli operai del quartiere diffidano di loro, e ogni tanto mi
giungono delle lettere anonime, piene di insulti irriferibili... Tra le
cose pienamente accertate, posso dirti soltanto che la piccola Judy
Amershaw, di dieci anni, figlia di Ebenezer Amershaw il capofamiglia, fu
cacciata di scuola l'anno scorso, quando fu scoperta nei gabinetti
intenta a praticare atti di libidine violenta su due sue piccole
compagne di classe. Uno scandalo enorme, disgustoso, che io provvidi
subito a far tacitare, per il buon nome della comunit. Ma da allora in
poi... il silenzio calato sulla loro triste casa." "Grazie, padre. La
vostra benedizione, adesso... devo andare." Padre O'Malley guard il
giovane con il viso stupito e addolorato, intuendo molte cose e non
osando domandarne altre. "Io ti benedico, figlio mio, nel nome del
Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Cos Sia." "Cos sia,
padre. Addio..." William Howlett adesso sapeva che cosa fare. Torn
verso la sua Pensione, prendendo qualcosa che aveva dimenticato in fondo
ad un cassetto. Poi torn di nuovo indietro, ripercorrendo luoghi
conosciuti, fino ad arrivare al posto preciso del ritrovamento della
tavoletta... il giardino di casa Amershaw. Tir violentemente la
campanella della porta d'ingresso. Un rumore di passi pesanti,
strascicati, e la porta si apr. Un uomo dai lineamenti brutali, alto
quasi due metri, con capelli e barba rossi, si affacci sul limitare,
squadrando Howlett con disprezzo, sogghignando impercettibilmente sotto
i baffi. "Buonasera, Mr. Amershaw. Permettete che mi presenti: sono
William Howlett, cronista del quotidiano del mattino. Sto facendo una
serie di servizi sul quartiere, come forse sapete, intervistando a
campione alcuni cittadini di tutte le categorie. Mi piacerebbe quindi
fare quattro chiacchiere con voi. Se volete farmi entrare..." I
lineamenti ferini di Ebenezer Amershaw si distesero in un largo, osceno
sorriso, simile a quello di un Orco. "Ma certo! Il signor Howlett...
quello che va a curiosare da tutte le parti... Abbiamo tanto sentito
parlare di voi, sapete... accomodatevi pure... mia moglie e le mie
figlie saranno liete di conoscervi. Stavamo giusto per metterci a
tavola, e se volete gradire un boccone... siete nostro ospite." Il
giovane entr nella casa, con il cuore che batteva forte. Nella stanza
da pranzo, not tre donne sedute attorno al tavolo, bellissime, che lo
accolsero mettendo in mostra feroci sorrisi. "Questa qui mia moglie
Jezabel, queste sono le mie bambine Judy e Margaret, di dieci e tredici
anni... fate posto, su." Howlett, come in un sogno, si sed in mezzo
alle due bambine, che se lo mangiavano praticamente con gli occhi. Non
appena seduto, sent la piccola coscia di Judy che oscenamente andava a
cercare la sua, mentre Margaret, pi spudoratamente, gli leccava
l'orecchio, come una gatta in calore. Jezabel Amershaw si alz da tavola
per andare a prendere il vassoio dell'arrosto, che scoperchi davanti al
giovane. Con un grido soffocato, Howlett cominci a vomitare addosso
alle bambine, sulla tavola, sui calzoni, ovunque gli capitava. Perch
nel grosso piatto d'argento, caldi e fumanti, tremolavano due polli
biancastri, lessati... polli che malgrado il loro acconciamento e gli
intingoli che li contornavano, rivelavano orrendamente la loro origine
umana... nelle fattezze di due neonati di origine indiana!... Ogni
finzione era ormai diventata inutile. Con orribili urla di bestia
feroce, l'intera famiglia fu addosso al giovane. Con un calcio tremendo,
Howlett butt in aria la tavola, estraendo contemporaneamente il
revolver che era tornato a prendere nella sua stanza d'albergo. Colp
per primo l'uomo, con una palla in mezzo alla fronte, quindi la donna.
Avrebbe voluto risparmiare la vita alle due bambine, ma quando Judy gli
conficc il coltello dell'arrosto nel petto, fu costretto a ucciderle
tutte e due, finendo di vuotare il caricatore. Cadde in ginocchio
piangendo, perdendo molto sangue. Nell'aria, il puzzo della cordite si
mescolava all'odore dolciastro della carne umana nei piatti e nelle
pentole al fuoco. Strisciando, si avvicin alla credenza, dove la puzza
si sentiva pi forte. Con uno sforzo immane, spalanc le ante del
mobile, ricadendo subito indietro, travolto dalla fuga di una dozzina di
grossi camaleonti e lucertoloni, vivi, che dal mobile sciamarono sul
pavimento e sul suo corpo tremante. Nella credenza troneggiava una
statua di pietra rossa, rappresentante una specie di verme della terra
con fattezze umane. Ai lati della statua, piattini votivi, ricolmi di
mosche, iguana spellati, teste di civetta, e ossa umane, fresche e non.
William Howlett stava morendo, insieme a tutto il sangue che fuoriusciva
dalla sua ferita... e sapeva che stava morendo dinanzi all'osceno
simulacro dell'Antico YokkSotot, che era vecchio quando l'uomo era
ancora giovane... Tutti gli sforzi, tutta quella fatica, tutti i suoi
sogni di vanit e di gloria perduti per sempre, per sempre!... Si
risollev per abbracciare la statua, cadendo con essa, spezzandola, e
morendo, pietra nella carne, carne nella pietra. Padre O'Malley entr
nella casa, chinandosi a benedire Howlett. Poi, sbadigliando, si sedette
a tavola, attaccando il primo arrosto.

Arthur Machen e Domenico Cammarota


L'UOMO CHE SI COSTRUI' UN DIO
Un sole cieco e bruciante sorgeva da dietro le Colline Nere, irradiando
a poco a poco tutte le volte a punta delle oscure casette di Carver
Street, gi, poco oltre l'incrocio dell'Asbury Park con il lineare
squallore di Clerkenwell. L'estate procedeva a salti curiosi, mescolando
giornate di pioggia torrenziale e stagnante, a giornate di una calura
plumbea, soffocante, che invitava quasi al suicidio. Andrea Staples, con
un balzo atletico, fu fuori dal suo letto, evitando l'odiosa tentazione
di crogiolarsi nelle lenzuola umide fino al momento del pranzo. Due
passi, e apr la finestra, affacciandosi nel cortile interno della casa;
un vecchio palazzotto a tre piani, situato ad angolo con una casa
gemella, sul confine di un piccolo spiazzo recintato, dove cresceva una
selvaggia vegetazione dalle forme bizzarre. Il piccolo appartamentino
del giovane - due stanze pi un bagno che sarebbe stato ridicolo
definirlo tale - era situato al piano terra, in modo che Staples,
volendo, non doveva far altro che un salto di soli due metri scarsi, per
trovarsi direttamente nel cortile. Spesso compiva questo balzo, alle
prime luci dell'alba, per fare qualche giro a passo di corsa
nell'incolto giardino, a volte nudo, a volte vestito, come si trovava;
faceva questo per convincersi ingenuamente, almeno qualche istante a
settimana, di stare vivendo in un mondo diverso, antico, eroico,
separato dal grigiore della quotidiana e asfissiante realt soltanto da
un recinto di legno bianco, variamente contornato dall'edera e dal
caprifoglio... Si sarebbe certamente sentito assai male, scoprendo che
queste sue rapide ed innocenti escursioni mattutine, erano attese con
maligna ansiet da occhi avidi e infuocati, nascosti in perenne agguato
dietro il mistero inviolabile di persiane chiuse e passati
inconoscibili. Andrea Staples, fino almeno al compimento del suo
venticinquesimo compleanno, non aveva mai nutrito particolari interessi
per qualsiasi cosa o persona; persa in un mare magnum di tranquilla
indifferenza colpevole e sorridente, la sua esistenza era corsa, per ben
un quarto di secolo, leggera come il passare dell'acqua tra le foglie
depositate dal vento sulla terra. L'acqua del tempo era passata,
mettendo a nodo le scorie dell'anima, e la sua insoddisfazione estrema;
cos che un bel giorno Andrea Staples si era del tutto svegliato, sul
serio, decidendo di riprendere in pugno tutta la sua vita, cercando
affannosamente quel qualcosa che gli avrebbe dimostrato la fattiva
concretezza del vivere. Il giovane, che non aveva mai patito le
sofferenze derivanti a volte da un penoso stato d'indigenza pecuniaria,
grazie ad alcuni lontani lasciti sapientemente investiti, godeva di una
certa tranquillit economica, tranquillit che se certamente non gli
consentiva di darsi alle spese pazze ed alla bella vita, d'altra parte
gli permetteva una vita comoda, senza alcun bisogno di sottostare
all'umiliante schiavit del lavoro, del ripugnante lavoro. Andrea
Staples aveva quindi abbandonato il clamore e le incongruenze della
City, trasferendosi in periferia, ad una buona mezz'ora da Londra, in
quei quartieri che sembravano davvero una terra di nessuno, persi
indifferentemente nell'abbandono sociale e nell'immobilismo arcaico,
quasi medioevale, che a volte poteva davvero portare fuori dalla realt,
in una terra prossima al sogno... Andrea sapeva tutto questo, e la sua
anima stanca, appena in grado di sopravvivere alle durezze quotidiane
dello spleen, gioiva blandamente della situazione; da un punto di vista
puramente estetico quindi, adorava quel carattere uniforme e cupo delle
case tutte attorno ad Highbury's Road, con il tetto triangolare di
grigia ardesia ed i muri imbrattati di pittura sanguinante, che in
alcuni casi la pioggia battente aveva scolorito dal rosso al giallo. La
sua nascente ma gi fertile immaginazione, trovava semplicemente
delizioso il processo di decadenza inorganica che si poteva avvertire
dalle erbe e dalle fronde aderenti ai freddi muri sbrecciati, dai visi
pallidi e malati delle belle adolescenti, apprendiste operaie, dai
capelli a coda di cavallo; trovava facile e divertente, l'ideazione di
una poetica basata sull'esaltazione simbolica delle ricorrenti,
diffusissime e perverse manie della popolazione locale, come
l'alcoolismo, la prostituzione, il delitto. Nelle sue nascenti pretese
di idealismo artistico, aveva stretto amicizia con un gruppetto di
artisti falliti, poeti, scultori e pittori, che vegetavano all'ombra dei
grandi modelli del Decadentismo che allora faceva scuola, attraverso le
raffinate perversioni grafiche di Aubrey Beardsley, il lucido cinismo di
Oscar Wilde, o i sogni aulici del non meno folle William Morris. Uno
scrittorucolo di terz'ordine, frenando la sua eccitazione, tra un
bicchierino e l'altro di verde assenzio, gli aveva narrato una confusa
storia accaduta mesi prima nello stesso quartiere, e di cui egli non
aveva mai sentito nulla, n dagli abitanti della strada n sui tanti
giornali; un giovane, giornalista o aspirante tale, aveva massacrato
selvaggiamente un'intera famiglia presso la circonvallazione di
Highbury's Road, morendo a sua volta, abbracciato ai resti di una
misteriosa statua di derivazione pagana. La storia, anche se
evidentemente era il frutto dell'invenzione - Staples infatti si
rifiutava ingenuamente di credere che una simile storia, se vera, fosse
potuta passare cos sotto silenzio - , delizi lo spirito malato del
giovane, che pi volte, nel tempo, anche a distanza di mesi, si ritrov
a pensare con una sorta di dolorosa passione alla sorte bizzarra di
quella statua, di quel simulacro di cui egli non conosceva le fattezze,
ma che in realt, inconsciamente, sentiva benissimo di poterle
riprodurre anche ad occhi chiusi. I sogni e le lucide visioni - a volte
anche in pieno giorno - colpivano ormai Andrea Staples con tutta la
potenza simbolica della sovraimpressione globale; con il terzo occhio
della mente, si vedeva, nudo e sanguinante, tutto intento ad ordinare
sacrifici umani, ai piedi di un dio di pietra, lungo una landa percorsa
da alberi viola e lampi verdastri, mentre una folla di esseri subumani,
pi simili a cani selvaggi che a uomini, strisciava ai suoi piedi,
adorandolo. Incapace di poter fare a meno di quell'effimera vita di vero
e proprio succubato, il giovane arriv al punto di pagare generosamente
fior di sterline al miglior scultore del gruppo che frequentava,
costringendolo a impartirgli estenuanti lezioni teoriche e pratiche in
materia, dettate quasi sempre fra il fumo dell'Hashish e la feccia dei
vini francesi; grazie a sforzi prodigiosi, di cui mai si sarebbe sentito
capace, il giovane divenne ben presto padrone della materia, per cos
dire, creando opere per lo meno di modesta, ma riconoscibile fattura. A
questo punto le visioni scomparvero del tutto, ed egli sapeva anche
perch; per farle ricomparire, avrebbe dovuto ricreare ex novo il
simulacro fisico che a livello mentale aveva fatto da tramite dal mondo
passato al mondo presente, imponendosi ai sensi con la forza di un
richiamo atavico... In ultima analisi, avrebbe dovuto costruirsi il suo
dio, e vivere in esso e per esso, fondando tutta la sua esistenza futura
su questo meraviglioso segreto che non avrebbe mai condiviso con nessuna
creatura vivente. Ripensando con una sorta di languoroso piacere a tutto
questo, Andrea Staples sbadigli di nuovo al primo giorno, sgranchendosi
le ossa, prima di saltare agilmente dalla sua finestra, per la consueta
corsa attraverso l'umida brina lasciata dalla notte. I suoi piedi, dai
talloni ormai duri come il ferro, quasi non avvertivano le acute
asperit dei sassi e delle spine, e la sua pelle bianchissima accettava
con piacere la puntura degli aghi e delle foglie, il soffio del vento, e
i radi, brucianti raggi del sole. La felicit di Andrea Staples avrebbe
toccato il culmine, se durante una delle sue escursioni mattutine,
avesse potuto trovare sul suo breve cammino una fanciulla addormentata,
ch'egli si immaginava alta e bionda, dal nudo corpo statuario; avrebbero
potuto far l'amore sull'erba, come i serpenti o i ramarri, offrendo le
loro semenze al pallido sole come un devoto omaggio. La piccola parte di
razionalit, che ormai sempre pi debolmente, resisteva ancora nella
mente del giovane, lo avvertiva dell'impossibilit di tale sogno,
consigliandolo di rinunciare ai giochi pericolosi per rientrare in s
stesso; ma ormai era passato il tempo dei giochi per Andrea Staples, ed
il suo pi intimo "Io" esigeva ormai l'appagamento pi totale e sfrenato
dei sensi, sublimati in una estenuante ricerca del senso del vivere pi
pieno e bruciante, vivere come se si perseguisse una vera opera
d'arte... Pi che mai convinto della bont indubitabile di questi suoi
assiomi, il giovane termin il suo giro di corsa, saltando di nuovo, con
un'agilit che gli derivava dalla lunga pratica, dal cortile fin dentro
alla sua stanza, ignorando tranquillamente gli occhi giallastri e lividi
che lo spiavano dalle scuri serrate, e le brevi, agghiaccianti urla che
spesso provenivano dall'ultimo piano, dove vegetava una famiglia di
pazzi irlandesi. Si vest in fretta ma con grande cura, secondo l'ultima
moda pseudodandy dei suoi sfaticati amici artisti di bettola: pantaloni
neri aderenti stretti in vita da una cinta dorata, camiciotto color
verde acqua con foulard in tono fermato da una pietra azzurra
artificiale, stivali da ufficiale, ed una mantella di velluto bluastro a
coprire per met il tutto. La giornata cominciava bene, poich egli
ormai aveva preso la sua decisione, irrevocabile: avrebbe cominciato la
costruzione effettiva del suo dio, a qualunque costo, poich sentiva in
tutto e per tutto di appartenergli, anche se non conosceva neppure il
suo nome. Sorridendo allegramente, si butt nel dedalo di viuzze verso
Caxton Road, guardando con osceno piacere il lento risveglio del
quartiere; miserabili prostitute, sfatte e a pezzi, che ritornavano a
casa dopo un'intera nottata di stravizi... curve e rabbiose figure di
operai e carbonai, che a gruppetti sparsi di due o di tre uscivano dalle
case tutte uguali, per andare incontro ad un'altra giornata di
massacrante lavoro... Un Carro terribile, tirato da quattro neri
cavalli, che sostava a turno, davanti alle case che durante la notte
erano state visitate dalla morte, naturale o violenta... Con tutta
questa ridda di immagini nel cuore, il giovane and a svolgere i suoi
affari, tornando verso casa soltanto a sera tarda, spingendo avanti a
s, con un certo sforzo, una grossa carriola, ricolma fino all'orlo di
una materia grassa, riconoscibile come argilla fresca. Badando a non
farsi scorgere pi dello stretto necessario, il giovane pass nel
cortile attraverso un buco aperto nel recinto, mascherato da un grosso
cespuglio nerastro. In cuor suo, aveva gi deciso il posto ideale per
l'edificazione del basamento del dio; il piccolo spiazzo in fondo al
giardino, li, dove il caos degli alberelli e delle sterpaglie confinava
con il muretto diroccato della cantina ad angolo, lungo il palazzotto
confinante. Era un posto che presentava tutti i vantaggi della
solitudine e dello squallore, nascosto agli sguardi indiscreti, e al
tempo stesso a portata di mano. Sotto la luce della luna piena, si sfil
il mantello per stare pi comodo, e incominci davvero a darsi
seriamente da fare, sopportando la fatica con orgoglio. Spazz via un
ampio circolo da tutti i pietrami e i rifiuti accumulati dal vento, fino
a liberare una zona di nuda terra, fresca e soffice; incominci allora a
scavare, con una piccola pala precedentemente nascosta, un quadrato nel
terreno, metodicamente, con una certa lena. Fece tutto quanto occorreva
per gettare le fondamenta di una base, con l'aiuto anche di grossi sassi
di fiume, cos lisci e tondi, e di levigati rametti d'albero disposti a
raggiera. Lavorava instancabilmente, senza avvertire fatica, incurante
di sporcarsi i bei vestiti, canterellando sottovoce una strana
canzonetta, dalle incomprensibili parole, che aveva sentito in bocca a
un gruppo di bambini, qualche tempo prima: "Her'nn nn'enn err'fll,
her'nn nn'enn err'fll, her'nn nn'enn err'fll har w'rahmm sy t'roomm...
Pgg'n'gluj, pgg'n'gluj, pgg'n'gluj sh'esh zroomm! Err'enn'gua,
err'enn'gua, err'enn'gua, ga'aa, ga'aa! Im naff ablis tongo seror,
Yokksotot..." Si arrest, infine, dopo ore ed ore di lavoro,
asciugandosi un freddo sudore con il dorso della mano. Il primo passo
verso la via era stato compiuto. Torn sui suoi passi, lasciando la
carriola nei pressi del buco del recinto, assicurandosi che non si
vedesse dal di fuori, per evitare un furto che gli avrebbe fatto perdere
del tempo prezioso. Tutto a posto! Impolverato e finalmente stanco, ma
in cuor suo felice come una pasqua, il giovane si avvi verso casa,
crollando quindi a dormire immediatamente, come un masso. Il suo era un
sonno curioso, in cui il suo corpo assumeva strane posizioni e
cambiamenti, mentre rauche parole, in un incomprensibile linguaggio,
venivano sussurrate nell'oscurit, da ombre evanescenti e paurose...
Ritorn finalmente il sogno, in cui Andrea Staples indossava le scarse
vesti di uno sciamano, un uomo libero e possente a cui tutto il popolo
di esseri sordi e striscianti obbediva con una sorta di folle
parossismo... Vide in chiari dettagli i precisi lineamenti scultorei del
suo dio, seppe che cosa avrebbe dovuto fare, quali accorgimenti
prendere, quali rituali rispettare, e ogni altra cosa. Seppe con
esaltante certezza che il dio non era morto, che il dio non poteva
morire... Poich la sua essenza primeva era il marcio, il marciume che
alligna fremente in tutte le cose, protendendo i suoi miasmi abissali
attraverso il varco dei millenni, degli Eoni, da sempre e per sempre...
Ricord con meravigliato stupore che vi era stato un tempo in cui sulla
terra primeggiavano i figli delle tenebre, nati da osceni accoppiamenti
nel putridume delle fosse e nella decantazione dei carnai... cose
vellose, viscide e brutali, che emettevano un brusio insettivoro,
avanzando carponi, nella melma, tra l'erba, con gli artigli adunchi e le
zanne fetide sporche del sangue altrui... Tutto questo mentre strani
lampi verdi ricoprivano un cielo di rossa brace, quasi violacea, ed un
coro infantile, rozzamente modulato, ripeteva salmodiando sempre le
stesse frasi, sempre le stesse: "Il Verme della Corruzione, il Verme Che
Non Pu Morire... noi siamo i figli del Gran Verme, schiavi del Dio
Serpente... figli del Verme, di Colui che Non Muore... servi del
profondo, fratelli della notte... del Nero, Gran Serpente..." E cos
prosegu per notti e notti, fino a quando l'ultima carriola d'argilla fu
portata, e l'opera di costruzione del dio di Andrea Staples fu
terminata. Un'opera davvero imponente, da un certo punto di vista...
tutte le sterline spese in estemporanee lezioni di scultura, non erano
andate davvero sprecate, no, per niente. Su di un basamento molto
regolare, poggiava stabilmente una statua alta due metri e larga circa
la met. Dall'aspetto poteva ricordare a primo acchito uno dei tanti
feticci africani di scuola Ibo, ma i suoi lineamenti, a ben guardare,
erano molto, molto pi inquietanti. Il tronco del corpo, lascio e
luccicante, ricoperto di vernice rossa e perline di vetro a poco prezzo,
ricordava quello del Boa Constrictor, mentre le mani ed i piedi non
avevano forma umana, ma animale... anche se sarebbe stato molto
difficile indovinare quale. La testa del dio esprimeva una crudelt
spaventosa, attraverso il sorriso distorto della grande bocca, che
schiudeva una chiostra formidabile, una composizione varia di denti di
squalo e canini di lupo, comprati quali portafortuna sulle bancarelle
fornitissime di Soho. Ma ci che pi incuteva terrore, e disgusto pi
che terrore, erano gli occhietti del dio, che brillavano sinistramente:
due smeraldi falsi, veri vetri di bottiglia, che nel fuoco verde dei
loro riflessi, specchiavano tutta l'immonda falsit di quell'impostura
arcaica, nemica dell'Uomo fin dalla prima alba della Creazione. Intorno
al dio di Andrea Staples, si fermava la vita; nessun uccello si fermava
a cantare sui rami accanto, nessuna creatura strisciante attraversava la
radura vicina, nessun insetto volava o friniva su tutto il terreno
circostante. Soltanto i topi non erano scappati via nottetempo, i grassi
e grigi topi della cantina posteriore, vecchi di anni e di presunzione,
gonfi di cose ignobili e di festuche di zecche che portavano con lo
stesso orgoglio di un medagliere. Quando le stelle riuscivano a bucare
con la loro fredda luce il buio manto del cielo, allora i putridi topi
uscivano dalla cantina, sbucando alle spalle del dio scarlatto,
cominciando a danzare scompostamente in cerchio, attorno al basamento
d'argilla; tali folli danze, accompagnate da un coro di squittii
raccapriccianti, come di anime in pena, duravano a volte fino all'alba,
per interrompersi subito al primo pallido levarsi del sole. Le prime
volte in cui era accaduto, Andrea Staples aveva provato un terribile
spavento, sostituito ben presto dal disgusto, e quindi
dall'indifferenza... Ma, man mano che i giorni, le settimane e i mesi
passavano, il giovane si accorse, con una punta di residuo raccapriccio,
che cominciava ad apprezzare quelle oscene manifestazioni di tripudio al
suo unico dio e signore, da parte del grigio popolo delle cantine e
degli ossari; questo, anche perch aveva ricevuto in pieno giorno una
visione sconvolgente, in cui l'intera umanit si tramutava in un branco
di sudici topi di fogna, affamati e rabbiosi, tutti pronti a danzare al
suo comando, al suono della sua voce, come se fossero in presenza del
bieco pifferaio di Hamelin. Ormai egli sapeva che, per mantenere il bel
manto rosso della statua, lucida e scarlatta, avrebbe dovuto rinfrescare
l'argilla con ricorrenti spruzzate di sangue vivo. Per un po' si
arrangi nella bisogna squartando i corpaccioni luridi dei topi pi
grossi, che si facevano uccidere come tante pecore, senza reagire,
tremando dall'estasi. Ben presto la base della statua, le sue braccia ed
il suo collo, furono ricoperti di fetide viscere di ratto, ma anche
questo espediente dur poco, poich egli sentiva che il suo dio
pretendeva di pi, molto di pi. Dopo i topi, pass ad uccidere piccoli
animali che catturava con ogni sorta di trappole: lucertoloni, talpe,
scoiattoli, biscie color verde smeraldo, perfino un raro tasso, che non
si perit di lottare disperatamente sino alla fine. Dopo gli animali di
terra, in un crescendo di sensazioni primordiali e selvagge, il giovane
cominci a cacciare gli uccelli che non facevano sentire pi il loro
canto. Con abilit sovrumana, come un vero rapace, giungeva fino alla
portata di merli e cornacchie, gufi e usignoli, praticamente
inavvertito; in un lampo, poi, strozzava gli esili colli delle bestie,
buttando i loro corpi spiumati e squartati sul torace possente del dio.
Ben presto il giardino di casa divent un vero deserto. Disperando di
poter servire sempre pi fedelmente il dio, Andrea Staples fu costretto,
di notte, a fare la posta ai gatti selvatici lungo le rive sporche
dell'affluente del Tamigi; e ad attrarre virilmente, con l'elargizione
di pezzetti di carne, poveri cani randagi, prima di serrarli nel suo
capace mantello, tramortiti a bastonate. Per un periodo di tempo
abbastanza lungo - anche se per il giovane tutti i giorni scorrevano
sempre uguali - il dio si accontent dei sacrifici dei gatti e dei cani.
Una piccola piramide di minuscoli teschi, cominci a troneggiare sotto
la statua di argilla rossa, che, ricoperta delle pelli putrefatte di
ogni sorta di animale, puzzava in maniera terribile. Il fetore cominci
a diventare talmente potente e insopportabile, da richiamare persino
l'attenzione dei vicini di casa del giovane, gente capace, in linea
generale, di calpestare persino cadaveri con la massima indifferenza,
pur di non occuparsi dei fatti altrui. Il fetore bestiale cambi tutto.
Staples se ne accorse il giorno in cui, balzato nudo dalla sua finestra
per il consueto giro di corsa mattutino, fu centrato in pieno da una
mezza dozzina di vasi da notte, colmi del loro ripugnante contenuto
fecale. Rabbrividendo dalla rabbia incontrollata, rientr in casa, non
osando pi uscire in quel modo. Aveva capito l'avvertimento: gli altri
inquilini, dall'alto delle loro bassezze, gli riconoscevano il diritto
di cittadinanza nel pattume di quella zona periferica di Londra, ma
proprio in nome di quella tacita e oscena tolleranza, non avrebbe dovuto
pi fornire ragioni di fastidio per gli altri. Fu cos che Andrea
Staples rinunci alla sua solare passeggiata mattutina, con rimpianto,
rinunciando anche, di conseguenza, al sacrificio di altri grossi
animali; per sacrificare altri cani e gatti, una volta scannati tutti
gli animali selvatici, avrebbe dovuto, giocoforza, passare agli animali
domestici, compiendo veri e propri furti che certamente non sarebbero
passati inosservati agli occhi degli altri. Staples cominci a odiare
profondamente questi altri, tutti coloro che gli impedivano di rendere
un doveroso ossequio al suo unico dio e padrone. Che diritto avevano,
quei maledetti, figli spurii di una mezza dozzina almeno di razze
inferiori, di sindacare gli atti nobilissimi di un autentico Signore
primigenio, devoto servo della stirpe del Gran Verme? Le sue giornate
passavano in un accumulo frenetico di puro odio, verso il prossimo e
verso tutta l'inutile societ. La statua d'argilla, ormai, tendeva a
seccarsi, screpolandosi, non pi bagnata da fresche svinature di sangue
vivo. Quel bel colore rosso brillante del suo torso, si era fatto
pallido e malato, di un brutto giallo ocra terroso, che mostrava
inquietanti segni di frammentazione. Il giovane comprese che il
disfacimento totale della statua, sarebbe stato soltanto una questione
di giorni; ed a questa ferale notizia, il suo cuore sembr scoppiare,
mentre la mente, con fare frenetico, esaminava tutte le possibili vie di
scampo, non trovandone nessuna. In un momento di disperazione, pens di
andare a rubare il cavallo del birraio all'angolo, che con la sua
imponente massa di visceri e sangue avrebbe certamente fornito molti
giorni di luccicante vita alla statua. Ma anche quest'idea non poteva
andare certamente in porto; la massa imponente del cavallo, certamente
sarebbe stata notata da qualcuno, e avrebbe dovuto affrontare,
perlomeno, le ire dei proprietari. In una sera passata ai piedi del dio,
inginocchiato in una cupa veglia di preghiere e di cieco livore, Andrea
Staples decise che avrebbe nutrito la statua a qualsiasi costo, e quella
sera stessa, a prezzo del suo stesso sangue! La prospettiva di tagliarsi
le vene con un rasoio, lasciando sgocciolare il vino della sua vita
sull'orrenda testa d'argilla, non atterr minimamente il giovane, che in
preda ad uno stato di totale esaltazione mentale, si apprest ad
eseguire il suo insano gesto. Trasse di tasca l'acuto rasoio dal manico
d'avorio che un tempo usava per radersi, mentre ora il suo aspetto
sembrava quello di un barbone, e, sorridendo alle stelle che brillavano
fiocamente, si accinse a darsi la morte. Improvviso risuon nella sua
testa il comando del dio: Fermati! non puoi! non devi! Te lo proibisco!
i miei figli non dovranno morire mai, fino a quando ci sar corruzione!
Fino a quando ci sar corruzione. Quel pensiero si inser come un chiodo
fisso nella mente di Staples che, tremando dall'eccitazione, cominci a
meditare profondamente su quella grande verit. Corruzione... tutto il
mondo era corrotto, e in preda al male. E se lui era un figlio devoto
delle nere potenze del Male, di conseguenza, l'intera umanit non era
che polvere nelle sue mani, polvere di sangue. Si riscosse dal suo sogno
ad occhi aperti, sapendo che cosa doveva fare, meravigliandosi soltanto
per non averci pensato prima, e dandosi dello stupido per questo. Si
pul alla meno peggio, intascando il suo rasoio, e uscendo in strada,
sbucando sotto il solito buco aperto nella siepe, simile alla tana di
una bestia feroce misteriosa. Barcollando, la mente in preda alle
visioni, si avvi verso Twikenham, a passo malfermo, verso la zona delle
bettole che in un tempo non lontano aveva lungamente frequentato. Un
cane randagio superstite ulul lugubremente al suo passaggio, fiutando
in lui i vapori della morte e del fango. Dopo un tempo che poteva
sembrare un'eternit, arriv sul posto prefisso, strisciando lungo i
muri, proiettando l'ombra nera del suo mantello, simile ad un uccello
notturno, alla luce dei rari lampioni a gas in ferro battuto. Davanti al
giovane si stagliava l'insegna macchiata della taverna Queen Mab, un
portale a vetri scalcinato, da dove uscivano zaffate infami di fritto di
pesce e sudore umano, misto a imprecazioni femminili ed orrende
bestemmie. Si appost nei pressi dell'entrata, perch non voleva farsi
notare da qualche eventuale curioso di sua conoscenza... Ben presto il
portale si apr, sbattendo, ed una donna fu buttata fuori a calci in
malo modo, finendo lunga distesa nella polvere a vomitare una sequela di
oscenit. Un tipo alto e magro dai grandi mustacchi, che sembrava
l'oste, sbrait dietro alla donna: "Ritorna soltanto quando avrai
battuto talmente il marciapiede da pagarmi tutti i debiti per il Gin,
sgualdrina!" Un paio di risate seguirono questa affermazione, l'uomo
ritorn indietro, il portale si richiuse, e tutto torn come prima, fra
il frastuono e i canti degli ubriachi. Staples aspett qualche minuto,
in un'ansia orgasmica, poi con quattro salti si avvicin alla donna,
aiutandola a rialzarsi, con decisione. Aveva riconosciuto il tipo: Kate
Kollwitz, una bionda molto volgare ma bella e formosa e piena di carne e
di sangue. La donna si rimise in piedi pesantemente, appoggiandosi al
suo braccio, in preda ai fumi dell'alcool. "E tu... chi sei... da dove
spunti fuori, uh? Aspetta un po'... io ti conosco... siamo gi stati a
letto insieme, noi due... vediamo un po'... tu sei..." Il giovane tapp
con un bacio la bocca carnosa di Kate, respirando estasiato l'alito
della sua corruzione, per impedirle di parlare, e pronunciare il suo
nome. "Shhh... zitta, da brava... s, sono proprio io... adesso fai la
brava... ti porto a casa mia, ti dar tutto quello che vuoi... soldi...
liquori... non fare storie!" La donna si lasci praticamente trascinare
per strada senza reagire, mezza inebetita dalla sbronza, e nel suo
intimo, alquanto eccitata dalla nottata orgiastica promessale. Sudando
freddo per lo sforzo, il giovane riusc finalmente a riattraversare di
nuovo il buco oltre la siepe, spuntando nel giardino, e raggiungendo
quindi la statua a grandi passi. Il suo cuore batteva come impazzito
dall'eccitazione di quanto stava per compiere, in folle dispregio a ogni
legge. Spogli accuratamente la donna dei suoi abiti, gonne e
sottogonne, bestemmiando silenziosamente per la perdita di tempo. Quando
Kate Kollwitz fu completamente nuda, la spinse contro il torso del dio,
legandola alla statua con delle striscioline di cuoio con cui era solito
appendere i gatti morti ai rami di un alberello vicino. Quando la donna
fu pronta, nuda e vibrante, supplicando di voler essere posseduta ad
ogni costo, Andrea Staples seppe che i suoi sogni ormai stavano
diventando realt. Intorno a lui il giardino silenzioso si tramut in
un'oasi selvaggia dagli smaglianti colori; sotto un sole nero che
gettava i suoi raggi brucianti su di una landa di pietre e di sabbia,
egli, il grande Sciamano del dio, il figlio del Gran Verme, si
apprestava a sacrificare al suo unico signore e padrone la pi bella
donna del branco. Con rauche grida, si gett bestialmente sul corpo di
Kate, mordendolo e coprendolo con il suo peso, iniziando a stuprarla con
selvaggio vigore, squittendo come un topo. Una nuvola come di sangue
copr la scena, fino ad invadere qualcosa, ma non riusciva a capire di
che cosa si trattasse, mentre un fresco calore, a zampilli, copriva
tutto il suo corpo, come una fontana di vapore. Le cose vellose e
biancastre strisciarono dalle loro tane fino ai suoi piedi forcuti per
rendergli omaggio, mentre in lontananza un coro di vecchie dalle facce
simili alle rane salmodiava raucamente: "Egli il Padrone, egli il
Signore... Re di tutte le cose putrescenti! Al suo cammino, tremano le
fiere... Egli il Signore, di ogni perversione! Gloria al Suo nome,
ovunque sulla terra... gloria al Gran Verme... gloria al Signore." Si
riscosse dal sogno balzando in piedi sul suo letto, trattenendo a stento
un urlo di terrore. Era giorno, si trovava nella sua stanza ed era da
solo. Era dunque stato solamente un sogno? Doveva andare subito a
controllare, perch quel senso di angosciosa incertezza lo faceva star
male, male davvero. Si trattenne ancora all'idea di non sprecar tempo,
balzando fuori dal davanzale della finestra del giardino, ed usc fuori
con gran circospezione dal portone principale, guardandosi a destra e a
sinistra, diffidente. Sent sopra la sua testa una risata argentina,
ironica, che nel silenzio generale faceva l'effetto di uno squillo. Si
volt a guardare, per cogliere un volto di bimba dagli occhi ironici,
su, al davanzale del secondo piano, dove non doveva esserci nessuna
famiglia di casa... Decise di ignorare tranquillamente tutto, e si avvi
verso il lato opposto del giardino, dov'era l'ara dei sacrifici, cos
come aveva battezzato in cuor suo il posto del dio. I primi timidi raggi
del sole illuminavano uno spettacolo orrendo, difficile da descrivere
con termini appropriati. Tutto quello che rimaneva del corpo di una
donna, membra irriconoscibili di un corpo nudo spolpato, pendeva inerte
e rigido dal tronco della statua, pi rossa e brillante che mai, che
emanava quasi dei riflessi metallici, aurei. Un branco di grossi topi
grigi fugg via, urlando, in un buco sfranto aperto nel muro della
cantina posteriore. L'odore del truce carnaio era talmente forte da far
svenire. La prima reazione naturale di Andrea Staples fu quella di
scoppiare a piangere, poi gli ultimi residui di umanit svanirono del
tutto, rimpiazzati da una feroce sete di sangue, di sangue e di vendetta
sulle miserabili creature umane che non rendevano il giusto omaggio al
Gran Serpente! La personalit umana del giovane ormai non esisteva pi,
rimpiazzata in tutto e per tutto dal sogno di un essere non umano, che
viveva fuori dal tempo, a spese della carne e del sangue altrui, pago
del senso di terrore suscitato da sempre nelle anime deboli, sin dalla
prima formazione dell'uomo... Con una risata demente, Staples rialz la
testa, scappando a nascondersi, in attesa di un nuovo calar della notte,
bramoso di ripetere nei minimi particolari tutte le infamie provate.
Appena scese la notte, si avvi di nuovo verso la taverna Queen Mab,
entrando questa volta nella saletta interna, talmente zeppa di fumo da
soffocare. Con occhi febbricitanti si guard intorno per scegliere la
sua nuova preda da offrire al dio, il suo dio scarlatto. Una voce amica
risuon al suo orecchio, e due mani lo trassero per le spalle, fino a
farlo sedere ad un tavolo. Dinanzi a lui sedeva Martin Ingram, lo
scultore che gli aveva elargito, a suo tempo, e a caro prezzo, i primi
rudimenti di scultura... insegnamenti di cui egli aveva davvero fatto
tesoro. "Andrea! Andrea, come stai? E' quasi un anno che non ti facevi
vedere pi in giro! Come stai? Hai una faccia, sapessi! Ma dimmi! Hai
bisogno di qualche cosa? Parla!" Andrea Staples guard l'amico con occhi
avidi, vedendo in lui gi la sua prossima vittima da offrire al dio.
"S... mi sono successe strane cose, importanti... ma qui non posso
parlare... devi venire a casa mia... ho da farti vedere una scultura...
la mia prima scultura!..." Martin Ingram soffoc una risata, con gli
occhi che brillavano. Cos? Quel buono a nulla di Andrea Staples,
seguendo i suoi insegnamenti, aveva davvero eseguito una scultura?
Chiss che cosa ridicola da vedere! Decise che l'avrebbe seguito, se non
altro per farsi quattro risate raccontando il tutto agli amici delle
osterie! E poi, forse, poteva far scucire a quel tonto qualch'altra
sterlina d'argento... I due giovani s'incamminarono, cos, a braccetto,
verso il giardino della casa di Carver Street ove li attendeva una delle
tante anticamere terrene dell'Inferno. Le risatine ironiche di Martin
Ingram, gli si spezzarono in gola, non appena vide il nauseabondo orrore
appeso alla statua di argilla, che luccicava sinistramente nel buio. Si
volt con il viso in fiamme, per chiedere spiegazioni che non ci
sarebbero state; Staples tronc a met le sue parole con profonde
rasoiate alla gola, al viso, alla fronte. Mentre crollava a terra come
un sacco, buttando sangue da una dozzina di ferite, Martin Ingram fu
costretto ad ammettere a s stesso, prima di morire, che quel dannato
figlio di puttana aveva fatto un buon lavoro, s, un buon lavoro... E
che la scultura di quel dio infame e misterioso per cui moriva, era
davvero qualche cosa da ricordare... per sempre. La notte dopo, sempre
pi rabbioso, Staples decise di sacrificare al dio la bambina del
secondo piano... avrebbe cos eliminato anche un possibile, scomodo
testimonio. Attese per ore e ore la bambina nelle scale, nascosto dietro
a un uscio, fino a sorprenderla poco prima del tramonto, tramortendola
con un pugno in testa e nascondendola sotto il suo capace mantello,
tutto incrostato di sangue secco. Aspett ancora un po' il calar delle
tenebre, dirigendosi poi, veloce come un pipistrello, verso l'ara dei
sacrifici. Con gesti febbrili, stacc via dalla statua del dio ci che
rimaneva di Martin Ingram, rendendo liberi i lacciuoli di cuoio per la
nuova vittima che si stava risvegliando. Spasmodicamente, spogli la
bambina, tastandone il corpicino snello e vibrante con mani adunche,
rese impudiche dalla lussuria e dal desiderio ignobile della morte e del
sangue. Con modi brutali, appese la bambina alla statua come se si
trattasse di un capretto sospeso al gancio del macellaio. Bestemmiando,
si spogli a sua volta, apprestandosi quindi ai suoi riti disgustosi,
buttandosi sulla povera bambina con l'avidit bestiale di una tigre
affamata. Aveva appena cominciato a violentarla, quando sent un dolore
acutissimo al petto, al livello del cuore; si tir indietro a guardare,
e vide che la bambina, snudando terribili denti acuminati, gli aveva
inferto un feroce morso nel torace, mutilando la carne e arrivando a
tranciare una grossa vena. Mentre la vita sfuggiva dal rosso fiume del
suo petto, si volt a guardare la bambina ancora legata, che rideva come
una matta, la piccola bocca tutta insanguinata che faceva arrotare zanne
pi affilate dell'acciaio... Non capiva, non capiva, si rifiutava di
capire! Che cosa succedeva, perch stava morendo? Perch il suo dio non
lo aiutava? Egli era lo Sciamano del Gran Verme... non poteva morire!
Cadde sulle ginocchia piangendo, tornando in s troppo tardi. Dal fondo
del giardino, portando delle torce, si avvicinarono una decina di
persone, ridendo e cantando, cantando e ridendo. Padre O'Malley sciolse
i legami della bambina, accarezzandola. Poi si volt a guardare Andrea
Staples che agonizzava, disperato. "Un altro sporco seguace di
YokkSotot che crepa... quando lo capiranno, che il quartiere di noi,
Figli di ShdNiggrath? Quando? Bah! Vieni, tesoro... torna a casa con
il tuo pap." E dopo tornarono i topi, per onorare l'ultima vittima del
dio.

Arthur Machen e Domenico Cammarota


L'IDOLO
La campagna intorno a Caermaen, risplendeva del tributo del giorno;
ampie distese d'alberi, dalle sfumature azzurre e smeraldine, spezzavano
l'oro verde dei prati. Il fiume scorreva lento, insonne, come una musica
attraverso le canne che svettavano alte sul greto, tra cascatelle
scintillanti d'acqua che si tramutavano in un nebbioso vapore, a causa
della grande e soffocante calura. Le Colline Nere si stendevano a
braccio, calme e immortali, fino ai contrafforti della grande montagna,
severa e silenziosa, che invitava al riposo e alla meditazione. Il
panorama cos sospeso nella stupefazione, sembrava aspettare un qualche
segno violento di vita, qualsiasi cosa, pur di rompere lo stordente
incanto della natura in fiore, cos sonnolenta, cos grave. Il Dr.
Michael Miller ed il suo collega Prof. Higgins, uscirono fuori sul patio
della vecchia casa colonica dipinta di azzurro, guardando con una sorta
di estasi il panorama. Il Dr. Miller si accarezz voluttuosamente la
barba d'argento, prendendo sotto braccio il suo pi giovane collega, in
preda ad una espansivit di cui non avrebbe mai fatto a meno. "Mio caro
Higgins, lasciate che mi congratuli con il vostro buon gusto! Scegliendo
di venire ad abitare in campagna come voi avete fatto, abbandonando
quindi tutte le tentazioni della nostra splendida ma terribile e
tentacolare metropoli, avete dimostrato coraggio ed intelligenza! Voi
ben sapete che io sono molto avaro nelle lodi, ma certamente in questo
caso vi erano dovute!" "Egregio dottore, voi mi confondete. Dopotutto,
non ho fatto altro che comprare una vecchia casetta in cima ad una
collina, a non pi di tre quarti d'ora di treno da Londra. E' vero,
vivere in citt era ormai diventata un'impresa impossibile, ma non
intendo certo seppellirmi qui per sempre! Certo, il posto ideale per
ritemprare la salute sia del corpo che dell'anima, ma..." "Ma, ma! Non
c' ma che tenta, figliolo, e voi lo sapete bene. Conosco molti colleghi
che darebbero una piccola fortuna per trovarsi al vostro posto, qui,
ora! La civilt moderna ha portato grandi cambiamenti, vero, ma anche
molti spaventosi orrori... che meglio non nominare neanche." Il Prof.
Higgins annu, restando in silenzio. Non un solo refolo di vento,
scendeva a turbare la calma maestosit del posto, sospeso quasi in una
eternit voluttuosa di bellezza, talmente perfetta da far rabbrividire.
I due colleghi scesero lentamente lungo un viottolo di terra battuta
screziata di sassolini grigiastri, disposti forse per gioco da qualche
bambino delle fattorie vicine. Pi gi, in fondo alla collina, fra un
gruppetto isolato di grossi alberi d'olmo ed il muretto ricolmo di
muschio che delimitava un lato della Chiesetta, quattro sterratori
lavoravano energicamente, con perfetta sincronia, scavando fossati in
una zona perimetrale gi ben delineata. Alto si alzava l'acuto profumo
amarognolo della terra smossa, mentre qualche rara farfalla dalle ali
color fiamma girovagava pigra, tra i cumuli della sabbia biancastra
prelevata dal fiume, e sparsa un po' dappertutto. "Vedete, Dr. Miller,
qui far installare un bel campo da tennis, cos non dovr pi restare
in obbligo con nessuno! In un primo tempo avevo pensato anche ad un
campo da golf, ma indubbiamente sarebbe stato un peccato, rovinare
quest'immane distesa di oro verde con tutte quelle buche ed i paletti e
tutto il resto..." Il Dr. Miller annu, soffermandosi a guardare il
lavoro svolto e quello ancora da svolgere con occhio da intenditore.
Stava per proseguire oltre il suo cammino, quando con la coda
dell'occhio not un tenue luccichio dietro un monticello di sabbia
accumulato lungo i bordi del terreno. "Da quest'altra parte, dottore,
far costruire un terrapieno rialzato per arginare le palle andate fuori
campo, e da qui, invece... ma mi state seguendo, Dr. Miller?" "Tacete un
attimo, Higgins, e venite qui a darmi una mano!" Il Dr. Miller sembrava
improvvisamente impazzito, mentre inginocchiato a terra, incurante di
sporcarsi l'abito costoso, grattava con le mani nel terreno umido e fra
i sassi. Qualcosa che luccicava, sotto i raggi del sole, stava tornando
definitivamente alla luce... "Qui c' qualcosa... non riesco a capire
come... accidenti alle unghie! Ecco, adesso viene fuori... sembra una
statuetta, anzi, lo ... ... Mio Dio, Higgins, che meraviglia!" Muto
dallo stupore, il Dr. Miller indic al collega, con mano tremante, ci
che aveva dissepolto dal terreno. Sopra uno strato di sabbia asciutta,
come adagiato in un letto di cocci di terracotta, foglie secche e piatti
sassolini, splendeva un piccolo Fauno di bronzo, non pi alto di una
trentina di centimetri, e di squisita fattura. Il suo volto ridente,
incorniciato da una barbetta caprina e da un paio di corna aguzze,
sembrava indicare ironicamente la lunghezza spropositata del suo fallo,
contornato di pampini d'uva a mo' di peli, cesellati con perfezione. Il
Prof. Higgins fu il primo a rompere lo stupefatto silenzio, che gi si
protraeva da alcuni minuti. "Un Fauno di bronzo, qui, a Caermaen! Un
reperto d'Era Romanica, sicuramente. Anche se, a quanto ne so, qui in
paese non si mai trovato niente del genere, da secoli, ormai. Ma che
cosa strana... molto strana..." Il Dr. Miller raccolse con amore quasi
paterno la statuetta fra le mani, traendo di tasca il suo grosso
fazzoletto di seta blu, e adoperandolo cautamente come strofinaccio, per
ripulire l'idolo dalle residue incrostazioni di terreno. In condizioni
pressoch perfette, ora l'idolo splendeva ancora di pi al sole,
rivelando tutta la sua bellezza. "Che cosa ci trovate di strano in tutto
questo, Higgins?" domand il Dr. Miller, ruotando la statuetta tra le
mani, per meglio ammirarla sotto tutti i profili. "E me lo domandate? Un
simile reperto, che a prima vista dovrebbe avere almeno duemila anni,
che viene trovato sotto uno strato di terreno di neanche cinque
centimetri! E poi, guardate: sembra quasi una nicchia artificiale,
l'alveo in cui lo avete disinterrato! Come se fosse stata scavata da
poco... e come mai gli operai qui non hanno trovato niente? E come
mai..." "Di tutti i vostri "come" e "perch", io mi faccio tabacco da
pipa, mio caro Higgins. La vostra pretesa razionalit scientifica,
spesso vi spinge a prendere lucciole per lanterne. Tutto quel che posso
dire che questa statuetta autentica, che ha dormito tanti secoli,
troppi, aspettando, aspettando sempre, fino all'incontro decisivo... con
me." Il Prof. Higgins arross fino alla radice dei capelli. Mai il Dr.
Michael Miller gli aveva parlato in tal modo, e davvero non riusciva a
capacitarsi del subitaneo cambiamento. Tent di replicare, con voce
malferma. "Voglio dire... che tanto entusiasmo mi sembra eccessivo, poi,
per una statuetta... voi non siete neanche archeologo... L'unica cosa
buona da farsi, sarebbe quella di mandare l'idolo al Dr. Shrewsbury del
Dipartimento di Antichit e Belle Arti... lui potrebbe dirci qualcosa in
pi sulla questione, e..." Alzando le spalle con aria sprezzante, il Dr.
Miller intasc nelle capaci profondit della sua giacca l'idolo,
incurante della stoffa che si sformava. La testa del Fauno,
ballonzolante fuori dalla tasca, sembrava quasi che ridesse. "Non dite
pi di queste eresie, Higgins. Quel pivello di Shrewsbury non metter
mai le sue grinfie su questo prezioso reperto d'Et Romanica. Gli unici
testimoni del ritrovamento siamo noi due, ed io non dir mai niente a
nessuno. Restate voi, con la vostra lingua lunga, ma so ben io come
farvela spuntare... vi consiglio di tenere la bocca chiusa su tutto
questo, se ci tenete ancora a conservare il vostro posto
all'Universit." "Dottor Miller!", sbott Elihu Higgins, scandalizzato.
"Non vi riconosco pi! Riprendetevi, tornate in voi, vi prego! Non
avrete davvero intenzione di tenere nascosta questa scoperta? E di
occultare un simile, prezioso reperto? Ed in quanto alle vostre minacce,
io..." Michael Miller non sorrideva pi. Il suo volto duro e deciso,
incorniciato dall'argentea barba, in quel preciso momento sembrava
davvero uguale a quello del Fauno. Con decisione afferr Higgins, che
pure era giovane e prestante, scuotendolo come una foglia, senz'alcuno
sforzo apparente. "Adesso stammi a sentire una buona volta, piccolo
idiota, perch non mi ripeter pi... Tu non hai visto nessuna
statuetta, hai capito? Nessuna! Questo idolo mio, io lo voglio e me lo
prendo, e guai a te se oserai fermarmi! E' un'occasione che aspettavo da
una vita intera... lo so... lo sento... e niente e nessuno mi terr pi
lontano da tutto questo. Anche se sei pi giovane di me, tu in realt
sei vecchio dentro, Higgins... non sai andare oltre la punta del tuo
naso. Io invece so che questo non stato un caso... Higgins, ti dico
che quella statuetta rimasta l aspettando, non importa per quanti
giorni o secoli, rimasta l aspettandomi, aspettando me. E questo mi
basta." Elihu Higgins si liber della stretta con gran sforzo, con la
testa frastornata. Non capiva, non riusciva assolutamente a capire.
Sapeva solo che avrebbe dovuto star zitto... non ci avrebbe guadagnato
niente nel divulgare la storia, se non bocconi amari, per la sua vita e
la sua carriera. Umiliato, con voce sottomessa, torn a rivolgersi al
Dr. Miller, evitando il fuoco rabbioso dei suoi occhi verdi, che
giravano attorno, inquieti, come impazziti. "Va bene... va bene,
Professore, come volete voi. Posso chiedervi che cosa avete intenzione
di fare, adesso?..." Miller si riscosse come da un sogno, guardando
stupito la faccia contrita del suo collega, a due passi da lui. "Che...
cosa... ho intenzione di fare? Mah... Avrei voluto rimanere qui almeno
per tutto il fine settimana, per godermi il paesaggio, andare a pesca e
fare un'escursione lungo il versante nascosto delle Colline Nere... ma
improvvisamente tutto questo non mi attira pi: il panorama mi sembra
vuoto, come morto. Credo proprio che torner immediatamente a casa mia,
a Londra... faccio ancora in tempo a prendere il Diretto del pomeriggio.
Voi fate pure tutto quello che volete, e... e, scusatemi, se sono stato
un po' brusco con voi. Non so che cosa mi sia preso. Forse il sole,
che batte troppo alto, non so... non so cosa dirvi." Il Prof. Higgins
annu, un po' rattristato. Con precauzione, prese di nuovo il Dr. Miller
a braccetto, tornando indietro, per la strada che portava gi in paese.
Il gruppetto di sterratori aveva momentaneamente interrotto il lavoro,
facendo una pausa per uno spuntino. Higgins guard le tozze figure
sedere a circolo sull'erba, tirando fuori i coltelli per tagliare grosse
pagnotte scure, su cui venivano stesi abilmente strati di erbe amare ed
una molle formaggiola dall'odore nauseabondo. Uno snello vaso di
terracotta, ripieno di punch freddo al Rhum, circolava di mano in mano,
tra grugniti di soddisfazione e secche parole pronunciate in un dialetto
incomprensibile. I due si avvicinarono al gruppetto, restando fermi, con
aria interrogativa, guardando la scena. Gli operai li squadrarono con
diffidenza, poi uno di loro, il pi alto, si alz in piedi, toccandosi
il cappello, e domandando con fare burbero: "Salute, capo! Volete fare
colazione con noi? Dieci minuti e riattacchiamo subito con il lavoro!
Sta venendo fuori proprio un bel servizio, sapete, ed il campo..."
"No... no, grazie, Hendricks" rispose Higgins, cercando di mantenere al
contempo un contegno rigido e rispettoso. "Restate pure a riposarvi
quanto tempo volete. Volevo soltanto farvi qualche domanda, niente a che
fare con il lavoro. Ecco, insomma... in tutto il tempo che avete
impiegato per scavare il campo, vi forse capitato di trovare
qualcosa?" Gli operai si guardarono in faccia l'un con l'altro, stupiti.
"Intendo dire, qualche cosa di curioso... non le solite carogne
d'animali, tane di serpenti, o radici, ma roba come... monete, armi, che
so... qualche statua... anche a pezzi..." Gli operai scossero il capo
negativamente, con una certa comica tristezza dipinta sui rudi volti.
"Mai trovato nulla del genere, capo," rispose Hendricks, tormentandosi
nervosamente i baffi color del rame. "Noi facciamo gli sterratori da
vent'anni, e ne abbiamo spalata di terra, qui e nei dintorni, a
carrettate, a quintali e quintali per volta! Ma che io sia dannato, se
abbiamo mai trovato cose del genere che dite voi, o qualsiasi altra cosa
di un qualche valore! Certo, ogni tanto, cose curiose se ne trovano e
come, ma..." Il Dr. Miller sembr scuotersi dalla sua improvvisa abulia.
"Cose curiose, dite, brav'uomo? E quali? Parlate, su! Ecco, prendete
questa sterlina, per bere un goccio insieme ai vostri ragazzi alla mia
salute! Dite, dunque..." Hendricks acchiapp la moneta al volo nelle sue
grosse mani, facendola sparire subito e, atteggiando il suo volto ad un
brutale sorriso, scopr la dentatura possente. "Grazie, Eccellenza. Beh,
ecco, non c' molto da dire. Ogni tanto, scavando sui pendii della
collina, o lungo le rive del fiume, per qualche carico di sabbia da
costruzione, troviamo delle cose... delle povere, piccole cose. Nulla di
importante o di prezioso, purtroppo. A volte sono delle punte di
freccia, piccole e acuminate, a volte sono delle minuscole asce di
pietra, fredde e taglienti... una volta, sotto una quercia abbattuta da
un fulmine, trovammo perfino uno specchietto in rame polito, tutto
inciso da un lato con strani segnacci a sgraffio... ma questo tutto."
Gli occhi di Miller brillarono a quelle parole, mentre Higgins
cominciava a pentirsi di aver avuto l'iniziativa di interrogare il
gruppetto di operai. "E... dite, brav'uomo, non sarebbe possibile farmi
vedere tutti questi piccoli oggetti che avete detto poc'anzi? Mi
procurano un certo fascino le anticaglie, sapete... un piccolo vizio
della vecchiaia. Potrei anche pagarvi una decina di sterline, per
qualcuno di questi pezzi in buono stato... ad esempio, lo specchietto.
Sarebbe un bel regalo per una donna, non credete?..." Hendricks fece una
smorfia di disappunto alle parole del Dr. Miller, scuotendo la testa
negativamente. "Purtroppo non abbiamo niente da farvi vedere, signore.
Qui attorno la gente superstiziosa, e dice che queste cose portano
male, a possederle. Ogniqualvolta abbiamo trovato qualcosa di curioso,
ce ne siamo sempre sbarazzati, o distruggendo il tutto, o ributtandolo a
casaccio nel terreno. Feci personalmente una sola eccezione per lo
specchietto, vendendolo a buon prezzo ad una turista francese di
passaggio, un paio d'anni fa... ma non so davvero dirvi nient'altro.
Forse, in futuro, chiss, potr capitare qualch'altra occasione, e
allora... noi..." Il Dr. Miller, deluso, tronc la conversazione. "Va
bene, va bene signori, vi ringrazio, basta cos. Tornate pure al vostro
pranzo. E grazie ancora. Ors, Higgins, venite, accompagnatemi alla
stazione." Il Prof. Higgins si riscosse a sua volta dalle fantasticherie
in cui era caduto ascoltando il discorso dell'operaio, e corse come un
cane dietro al Dr. Miller, che camminava svelto, a passo di corsa, come
se fosse stato un ragazzino. Ad ogni passo di Miller, l'idolo
ballonzolava nella sua tasca, sformandola con il suo peso, mentre la
testa ironica del Fauno faceva capolino, come una sorta di misirizzi a
sorpresa. Con improvviso stupore, Higgins si trov a pensare: come mai
gli operai hanno fatto finta di non notare l'idolo sporgente dalla tasca
del dottore, cos ben visibile e ingombrante?... Non riusciva a rendersi
conto di questa apparente stranezza, non riusciva davvero a rendersi
conto pi di niente. La testa gli girava, e provava una certa difficolt
a stare al passo con il Dr. Miller, che non dimostrava alcuna
stanchezza, calmo e fresco come una rosa, sotto il sole cocente.
"Dottore, dottore, rallentate un po' il passo, vi prego! Il calore
troppo grande... rischierete di prendervi un'insolazione, cos, fino al
paese. E poi, non abbiamo neanche fatto colazione, ed io..." "Voi siete
un mollaccione, caro Higgins! A furia di star chino per giornate intere
sui libri e sugli scartafacci pi polverosi della Biblioteca Reale,
siete invecchiato precocemente! Un po' di digiuno e di moto all'aria
libera, non potranno che farvi del bene. E poi, io ho da correre, se non
voglio perdere il treno per la citt." "Si, me lo avete detto, ma non
capisco ancora che cosa ci andate a fare, le ragioni di questa
fretta..." "Le ragioni di questa fretta? Devo proprio spiegarvele,
figliuolo? Questo idolo mi scotta nelle mani... prima lo metter al
sicuro, e prima star meglio. Non star tranquillo fino a quando non
avr chiuso a doppia mandata il portone di casa mia! Non so spiegarvi
perch, ma cos. E in quanto al nostro simpatico dio Pan, ho gi
pronto il posto d'onore per lui... al centro della casa, nella bacheca a
vetri della libreria in noce massiccio! Gi mi prefiguro l'effetto che
far. Voi restate pure qui, se volete... tanto il mio indirizzo vi ben
noto." Ben presto i due arrivarono in fondo al paese, giusto in tempo
perch Miller prendesse il suo treno per Londra. Higgins rest confuso
come un idiota, in cerca di qualche frase di prammatica da usare come
arrivederci e, non trovandola, rimase muto sull'esile pensilina
giallastra della stazione, limitandosi ad agitare la mano come uno
scolaretto. Miller si volt ironicamente a salutare Higgins allo stesso
modo, sedendosi poi nello scompartimento vuoto con un gran senso di
esultanza e di raggiunta pace interiore. Tir fuori l'idolo dalla tasca,
accarezzandolo come se fosse un cagnolino e, guardandolo
affettuosamente, sempre pi ammirato dalla perfezione della
realizzazione artistica, che aveva qualche cosa d'inquietante
nell'insieme, anche se non riusciva a capire il perch. Il viaggio verso
Londra dur solo un attimo agli occhi di Miller che, perso nella sua
adorazione muta della statuetta, non si accorse proprio del tempo
passato. Anche il transito dalla stazione fino a casa sua pass in un
attimo, e finalmente il Dr. Miller ebbe il piacere sottile di chiudere a
doppia mandata il portone di casa dietro di s, mandando fuori un gran
sospiro di sollievo. Fortunatamente era il giorno di riposo della
governante... Con estrema cura, depose il suo bottino sopra alla
scrivania, mettendosi poi comodo, in vestaglia e pantofole. Alacremente,
con tenacia, impieg pi di due ore per pulire e lucidare completamente
la statuetta con un liquido speciale costosissimo; poi, con movenze
ieratiche, and a depositare l'idolo al posto d'onore nella sua
libreria, in alto, al centro, bene illuminato e protetto... Batt le
mani insieme nervosamente, eccitato come una collegiale allo spettacolo,
rimanendo estasiato, come in trance. L'idolo luccicava come un gioiello,
sotto la luce elettrica che il Dr. Miller si era fatto installare tra i
primi, spendendo un mucchio di soldi. Il ghigno malizioso del Fauno
sembrava esplodere in una risata di folle demenza, mentre il suo corpo
snello e vibrante, impudico nella sua mostruosa esaltazione del sesso,
sembrava muoversi come se respirasse. Era davvero un gran bello
spettacolo, e il Dr. Miller seguit ancora per ore e ore a guardarsi il
suo Pan, sotto tutte le angolazioni, fino a quando cadde sulla poltrona
di cuoio, tramortito dal sonno e dalla stanchezza. Se il suo corpo era
scosso dai ronfi del gran russare, la sua mente per cap subito che non
stava sognando. Vide se stesso, nudo e impotente, varcare una porta
fatta di nuvole addensate come panna, per entrare in uno scenario
diverso che riconobbe subito, pur attraverso le mutazioni. Si trovava
sul picco di Etherdale, a sud dalle Colline Nere, e aveva lasciato
Caermaen alle sue spalle. Sotto ai suoi piedi scalzi, risuonavano le
pietre piatte della strada daziaria, una delle tante vie intersecanti
che da civitas come Londinium, Apulya ed Isca Silurum, portavano fino al
lontanissimo Vallo di Adriano, lungo i confini della civilt con
l'anarchia strisciante della barbarie. Il sapore dell'aria era diverso,
pi dolce, pi puro, e tutt'intorno gli alberi e le foglie sembravano
cantare una canzone di guerra, mentre lo stormire del vento, con un
lamento quasi umano, forniva il contrappunto ideale. In lontananza, su
una vicina collina, Miller scorse un accampamento di soldati romani;
vide un'intera Legione, con le sue dieci coorti, schierata in assetto di
battaglia, con gli aquilifer davanti ai manipoli, che levavano in alto
le insegne con le ali d'argento. Vide i vessilli rossi degli hastati che
avanzavano a forbice, mentre gli handabati rinculavano all'unisono, allo
squillo delle buccine, ed il comandante sul cavallo bianco, chiuso in un
pettorale d'oro puro pi sfolgorante del sole, sfoderava il gladio,
urlando, per guidare la cavalleria all'attacco, lungo la pianura... Da
piccole buche scavate nei fianchi della collina, a gruppetti, uscivano
sciamando mostri subumani, dalle braccia pi lunghe delle gambe e dal
colorito verdognolo, che si avventavano sui cavalli sbavando, con
bestiale ingordigia, incuranti delle ferite e dei colpi di spada che
piovevano a destra e a manca, sventrando e squarciando. Con il cuore
ammutolito dall'emozione, Miller contempl il sanguinoso spettacolo con
profondo interesse, sentendosi quasi un inviato divino al matrimonio tra
cielo e inferno... A quale misterioso avvenimento stava assistendo?
Perch mai quella battaglia non era stata registrata da nessun libro di
storia? Cosa faceva in quel posto? Alle domande inespresse dell'uomo,
rispondevano solo le orribili urla dei mostri macellati a fil di spada,
i nitriti terrorizzati dei cavalli in agonia ed i secchi comandi in
latino dei centurioni, coperti di sangue fino ai coturni. Cos come era
iniziata rapidamente, altrettanto rapidamente la misteriosa battaglia
fin. Soltanto pochi mostri riuscirono a sfuggire al massacro,
arrancando disperatamente a quattro zampe sui pendii della collina,
correndo a rifugiarsi nel folto del fogliame; gli altri morirono tutti
passati a fil di spada, compresi i feriti, ferocemente sgozzati da un
drappello di schiavi nubiani, che correvano urlando lungo il campo,
impugnando in una mano un falcetto scarlatto e nell'altra le teste
tagliate, simili a quelle dei cani del deserto. Le buccine squillarono
di nuovo, trionfalmente, mentre i vessilli con l'insegna di Cesare
sventolavano orgogliosamente al sole, ed i legionari feriti uscivano
dalle loro file per andare a stendersi all'ombra degli alberi, ansanti.
Il comandante Romano, sul suo cavallo bianco, port la mano a visiera
verso la fronte, guardando sulle colline attorno. Improvvisamente, con
le redini, sferz il cavallo, dirigendolo di gran carriera, ventre a
terra, verso il punto dove Miller aveva assistito, tra le frasche, a
tutta la battaglia. Miller si accorse troppo tardi d'esser lui il
bersaglio del romano, e non tent neanche di fuggire, a piedi, poich
sarebbe stato del tutto inutile. In una manciata di secondi, il
cavaliere giunse a contatto con Miller, che, nudo e tremante, ma a testa
alta, si aspettava da un momento all'altro di essere ucciso. Ma poteva
mai essere ucciso, all'interno di un sogno? Se anche i sogni potevano
morire, allora anche lui sarebbe morto. Con sua grande sorpresa, il
comandante smont da cavallo con un balzo atletico, correndo ad
inginocchiarsi ai suoi piedi. Senza osare alzare la testa, la figura
vestita d'oro abbracciava le gambe dell'uomo, mormorando rapidamente
parole in latino di cui Miller cap si e no la met. "Oh, gran dio
silvano... padrone dei monti e dei boschi, signore dei rivi e delle
pianure... grazie, grazie per averci concesso la tua benevola
protezione! Grazie al tuo aiuto, abbiamo ricacciato indietro i figli
delle tenebre... la battaglia di oggi, stata decisiva... ma le forze
del male, battono ancora queste valli... ed io sono stanco, stanco..."
Il Dr. Miller guardava stupito il colosso ai suoi piedi, un uomo ancora
giovane, dagli occhi glauchi e dal viso fiero, pieno di cicatrici,
abbronzato dal sole. La curiosit fu pi forte sia della paura che dello
stupore. "Ma tu, soldato... dimmi... chi sei?" Il romano si rialz in
piedi, mostrando un certo orgoglio. "Io sono Lucio Lepido Massimo,
Console di Cesare in Britannia, comandante supremo della Decima Legio,
la fulminante!" Il pettorale d'oro sbalzato del Console, era talmente
levigato che sotto una certa angolazione poteva fungere da specchio. Il
Dr. Miller vide per un attimo riflesso il proprio profilo, e cacci un
urlo di raccapriccio, emettendo invece, con rauca potenza, una sorta di
belato caprino. Si tast con le mani nervose il corpo, dappertutto,
guardandosi come se fosse stata davvero la prima volta. Le sue gambe,
magre e guizzanti, finivano in una selva di riccioli lanosi, da cui
spuntavano due grossi zoccoli neri. Le orecchie erano raddoppiate di
volume, curvandosi a punta, mentre un paio di aguzze asperit sulla
sommit del capo, denunciavano implacabilmente la loro natura di corna.
Il naso affilato, il sesso enorme, i gomiti puntuti... Ogni cosa era
cambiata nel suo corpo, tranne il suo cervello, il cervello del Dr.
Miller, che ora era intrappolato nel corpo selvatico del dio Pan!...
Urlando, si port le mani adunche alle tempie, sentendosi girare la
testa, mentre il sangue affluiva alla fronte. Il Console guardava
stupito la scena per lui incomprensibile, forse un po' scosso nei valori
semplici della sua fede. "Gran Dio silvano... degnati di essere
benigno... scendi con me all'accampamento; i miei uomini sono bramosi di
adorarti, di ascoltare il suono ardente della tua siringa... ti daremo
pane e olive da mangiare, e vino ed olio da bere... e due schiave
circasse, figlie di un principe, danzeranno per te, e tu potrai
prenderle, se vorrai... vieni in mezzo a noi!" Miller scosse la testa in
un segno di diniego, poich non riusciva pi a parlare; un atroce mal di
testa, rapido, imprevedibile, era sceso vieppi a tormentarlo. Sent
come se una specie di mano, lunga, gigantesca, lo afferrasse alle
spalle, per tirarlo indietro da quella collina, indietro da quello
spettacolo, indietro dal mondo. Senza una parola, sfiorando soltanto il
viso del legionario con una rude carezza, si volt indietro, correndo
gi per la collina, saltando fossi e guadando brevi corsi d'acqua con la
facilit di uno stambecco, respirando affannosamente l'aria dolciastra
che adesso sembrava sangue nei suoi polmoni... Su di un picco, vide la
porta nebulosa che aveva oltrepassato quando l'incubo era appena
all'inizio. Si gett attraverso il varco con una sorta di disperazione,
atterrando in qualche cosa di soffice e di cedevole come il miele od il
burro. Sent uno strappo secco nel proprio cervello, e con un urlo
soffocato si risvegli, ansante, immerso in un bagno di sudore, con il
corpo schiacciato contro la poltrona di cuoio del suo studio. Mentre
ascoltava i battiti del suo cuore impazzito che rallentavano a poco a
poco, si domand: E' stato un sogno? E' stato un sogno? E' stato un
sogno? Per centinaia di volte. Si alz in piedi, sfinito. E vide che non
era stato un sogno. I piedi nudi erano ancora sporchi di fango
incrostato, e piccole foglioline di felce aderivano ancora ai suoi
capelli. Tremando, in preda all'estasi, si avvicin all'idolo, pi che
mai splendente, sotto l'azione dei primi raggi del sole, mentre il
giorno sorgeva, tra la nebbia che si dileguava. "Signore... oh, signore!
Ho visto attraverso i tuoi occhi, ho camminato attraverso i tuoi
passi... Tu mi appartieni, ed io ti appartengo, e cos sia, per
l'eternit!..." Camminando meccanicamente, come in stato d'ipnosi, port
davanti all'idolo alcuni piattini di rame, disponendoli a cerchio; in
alcuni sparse del sale, in altri vers del vino vecchio che aveva
comprato durante un viaggio in Toscana, in altri ancora bruci dei
bastoncini d'incenso votivo ed una pagina strappata a caso dalla Bibbia.
Poi si spogli nudo, guardandosi accuratamente davanti al grande
specchio ovale della stanza da bagno. Si tast le costole magre, il
torace ancora forte, la svasatura delle anche. Si regol con qualche
colpo di forbice i pizzetti triangolari della barba color d'argento,
pettinandosi i capelli in una bizzarra composizione a riccioli, con
estrema cura. Infine si profum abbondantemente, molto pi del dovuto,
fino ad impestare tutta la casa con l'aroma di legno marcio del sandalo,
del patchoul, e dell'olio Makassar d'orlando. Verso mezzogiorno, arriv
la governante, aprendo la porta con la sua chiave personale, stupita del
fatto che nessuno avesse risposto ai prolungati squilli della
campanella. Annusando l'aria sospettosamente, cap subito che qualcosa
di strano era successo, anche se non indovinava come e perch.
Borbottando, incominci a darsi da fare sui mobili, spostando cose ed
incartamenti, spolverando i dorsi dei libri, vuotando il cestino della
carta straccia, sbattendo i tappeti. Aperta la porta della stanza da
letto, vide il Dr. Miller seduto per terra su di un tappeto, nudo, con
le gambe incrociate, del tutto intento a suonare un flauto dalla forma
strana, dal quale cavava una bizzarra melodia, languida e stridente. La
donna dette in un urlo, facendo cadere al suolo una pila di panni che
doveva riporre nel cassettone dell'armadio. Miller si volt a guardarla,
sogghignando, scuotendo i suoi nuovi riccioli, emanando pestilenziali
zaffate di profumo. "Dottore... io... voi... voi... insomma, siete
sicuro di sentirvi bene?... Non fate quella faccia... mi fate
spaventare, e non bello, da parte di un signore come voi... pe...
perch vi avvicinate, ora? Perch vi toccate il..." Miller non la fece
continuare. Con un paio di balzi, le fu sopra, strappandole i vestiti
con gioia ferigna. Era una sensazione fantastica, unica! Si rendeva
perfettamente conto che l'incontro con il dio, era servito soltanto a
portare alla luce i suoi desideri pi nascosti, le sue voglie pi
inconfessate, le sue perversioni pi occultate! Non pensava pi... si
limitava a seguire animalescamente tutti i bisogni del suo corpo,
lasciandosi andare completamente! Le urla della donna erano ora come un
canto melodioso, per lui. Quante volte, negli anni passati, aveva
desiderato il pieno e completo possesso del corpo di quella stupida
donna! Una serva da generazioni, una creatura di razza inferiore! Le sue
mani artigliate scesero a colpire con violenza i grossi seni che
fuoriuscivano dal corsetto squarciato, mentre la donna respirava l'aroma
di muschio che si espandeva potente dal corpo virile del suo anziano
padrone. Combattuta tra il desiderio e il terrore, la donna si sottrasse
con un balzo all'amplesso, inciampando sui resti dei suoi vestiti,
fuggendo come una serpe, strisciando sul pavimento. Dentro allo studio,
con orrore, not l'idolo risplendente, che con la sua oscena minaccia
puntata sembrava indicarle il solo destino possibile, la sola morte
auspicabile... Singhiozzando, si arrese alla furia della bestia,
rantolando a sua volta dal piacere, spezzata in due dagli animaleschi
assalti di Miller, che la prese in tutti i modi possibili, mangiandola
di baci, mentre emetteva oscene bestemmie in latino, sputando frammenti
epiteliali, vomitando sangue e vino. Dopo un intero pomeriggio di
sensuali maltrattamenti, la donna spir, completamente distrutta,
credendo ancora di sognare, mentre il Dr. Miller crollava ancora in un
sonno di piombo. Nel sogno attravers di nuovo la porta di nuvole, lieve
e brillante, non pi con timore, ma con una certa baldanza. Plan,
estasiato, sul fianco tenero di una verde collina, correndo follemente,
in preda all'ebbrezza, sui cespugli lucenti, lungo le acute rocce,
arrampicandosi sulla scorza rugosa degli alberi dagli aromatici odori.
Lapp come un cane l'acqua cristallina di una fonte, schiacci tra le
mani dei frutti dorati fino a farne una pasta profumata di cui si riemp
la gola e si spalm la faccia; piccoli insettucci dai brillanti colori,
corsero a insinuarsi tra i suoi riccioli, mentre un ramarro smeraldino
si arrampicava sulla sua spalla, guardandolo con amore. Gli zoccoli
guizzanti assorbivano con frenesia l'immane forza della terra, di quella
stessa terra che rischiava d'essere contaminata dal cancro strisciante
dei figli delle tenebre, i seguaci del marciume, i
servidiquellivenutidafuori... Da una grande macchia di rovi,
incurante delle punture, colse alcune manciate di profumatissimi
lamponi, annusandoli, estasiato, lanciando in aria il suo potente
richiamo. Una piccola folla composita di guerrieri grigi, soldati
romani, elfi, coboldi, e altre creature dei boschi, si radun nel bosco,
ai piedi della quercia caduta, dov'era il trono sempiterno del dio Pan.
Parl in un linguaggio greve e arcano, emettendo rauche strida,
gesticolando con i suoi artigli, dando ordini e ricevendo suppliche,
ascoltando gli uni e consigliando gli altri. Una grande, tremenda
tristezza era scesa nel suo cuore. Improvvisamente lo scenario cambi, e
si rese conto d'essere stato ammesso in presenza di Potenze ben pi
grandi di lui. Seppe, malgrado la sua conoscenza, di non essere altro
che una semplice pedina, in una immane scacchiera cosmica di cui non si
conosceva n il principio n la fine. Una voce come di fuoco liquido
parl con maestosa potenza dentro al suo petto, e parole arcane
discesero come miele in fondo al suo cuore, e cos finalmente seppe il
vero scopo della sua vita nei differenti piani di realt, come
incarnazione del dio Pan nella Britannia alla fine dei Celti, e come
simulacro del Dr. Miller nell'Inghilterra alla fine del tramonto
dell'Occidente. Pieno di una rispettosa gravit, di cui cominciava
appena a intuire la mistica potenza, ritorn indietro attraverso la
porta, imponendosi di svegliarsi subito, ed in piena efficienza fisica e
mentale. Balz in piedi dal pavimento come spinto da una molla. Ai suoi
occhi di smeraldo, la donna apparve come un grosso burattino ormai
disarticolato per sempre. La scavalc con indifferenza, tornando in
camera da letto per eliminare le tracce visibili delle sue bizzarrie,
ormai non pi necessarie. Si vest accuratamente, tutto preso dalla
sacramentalit del suo compito, della sua nuova missione. Chiuse
accuratamente il portone dietro di s, avviandosi per la strada, con
esaltante sicurezza, con crescente energia. Attorno a lui, le folle
multicolori dei pedoni si trasformavano nelle tozze e squadrate coorti
di Lucio Lepido Massimo... La nebbia puzzolente di smog, prendeva la
tinta ed il profumo delle rose selvatiche, mentre i grigi palazzi severi
della City si mutavano in querce ed abeti d'alto fusto... Tutto era
meraviglioso e reale proprio come in un sogno. I ricordi delle sue vite
passate, presenti e future, affioravano alla mente di Michael Miller con
la levit ubriacante di una piuma, di un merletto... le mani dei morti
per la causa, emergevano dal selciato, a tratti, afferrandolo per le
scarpe, gridando parole di vendetta, gettando laudi e benedizioni a suo
passare. Il bus a cavalli dal tetto dipinto in un rosso brillante come
il sangue, si ferm sferragliando all'ultima barriera orientale della
citt, prima dello svincolo di Twikenham. Il Dr. Miller scese
lentamente, incamminandosi ad occhi chiusi verso Clerkenwell, e devi
trasversalmente per Caxton Road, fino ad arrivare nei pressi della
Chiesa. Avvertiva la tensione sulla sua pelle come un ago. Entr. Dalla
porticina della canonica, usc fuori ciabattando il Reverendo O'Malley,
esibendo il suo solito sorriso mellifluo. "In che cosa posso esserle
utile, signor... signor?..." Michael Miller apr gli occhi, rivelando il
loro colore, e Padre O'Malley seppe di essere in presenza del Gran Dio
Pan. "I miei fratelli, i miei servi, ti mandano questo, prete." O'Malley
cadde a terra, con il ventre trafitto da un coltello d'oro, esplodendo
quasi subito in una vescica di grasso nerastro. L'Idolo vivente,
sorridendo, s'inchin al Cristo sull'altare. Poi, con letizia, si avvi
per le strade, suonando la sua canzone.

DOCUMENTI

Domenico Cammarota
ARTHUR MACHEN, FILIUS AQUARTI
- A Tine Hagedorn Olsen, ultima Regina degli Elfi.
"Forse io di te mi scorder. Domani mi scorder di te. L'anima stanca
di vivere la tua vita. S'imbianca nel mio cielo la nov'alba. Domani
sarai di tra la folla de i lontani ricordi un'ombra, un'ombra cos
bianca! L'anima troppo stanca, troppo stanca. Forse di te mi scorder
domani." (G.I. Boxich, Intime)

I. Mitopoiesi dell'Orrore
Nell'Opera di Arthur Machen sono rintracciabili tutti gli stilemi pi
pregnanti della moderna Horror Story; prima ancora che ad H.P.
Lovecraft, allo scrittore Gallese che bisogna rivolgere gli sguardi,
per meglio comprendere l'iter variamente strutturato dell'odierna
letteratura Fantastica. La personalit artistica di Machen chiude un
secolo, l'Ottocento, caratterizzato da valenze terrifiche ben precise, e
ne apre un altro, il Novecento, dove le cose non saranno pi le
stesse... Il varco gestaltico, operazionale cesura fra queste due
visioni compartimentali di Fittizio, sar colmato proprio
dall'inquietante, fascinosa figura del Nostro. All'interno di un genere
malgrado tutto manieristico nel suo culto contenutista del decorativo e
dell'effimero (parliamo, ovvio, del Decadentismo), Arthur Machen
svilupp compiutamente un'attualissima mitopoiesi dell'Orrore, operando
acuti stravolgimenti mimetici e fattivi su tutto il tronco vetusto della
tradizione Gotica; compiuta con dovizia di mezzi squisitamente letterari
e bont indubitabile degli assunti di base interiori (anche iniziatici),
questa operazione diede i suoi sagaci frutti ulteriori, servendo in
seguito come tracciato loicobasale per le successive trasmutazioni in
tema di H.P. Lovecraft e di tutti i suoi discepoli, ortodossi ed
eretici, tutti variamente impiegati nella costruzione immarcescibile di
una colossale Mitografia dell'Orrido (quella, appunto, che per sola
comodit di richiamo nomiamo ancora "Miti di Cthulhu"). E' quindi fin
troppo evidente l'enorme importanza di Arthur Machen nella Macroeconomia
strutturale del nostro Genere, sia a livello interiore, di assorbimento
alchemicoiniziatico, sia a livello esteriore, di essudamento
logicoformale. Eppure, almeno fino all'appropriata e finissima
presentazione di Machen nel nostro paese, compiuta dalla nostra Casa
Editrice (1) gi un decennio fa (1977), il nome e la figura del Nostro,
altres celebre in tutto il mondo Anglosassone (ma non solo), figuravano
come quelli di un comune narratore "Nero", coetaneo e forse epigono snob
di tutta la bassa manovalanza degli scrittori post Gotici di fine 800...
Un'interpretazione farsesca e totalmente riduttiva, che cercheremo di
smontare completamente, nell'assurdit dell'inconsistenza dei suoi
moduli di base, con il nostro studio qui presentato, articolato in vari
paragrafi, atti a mettere a fuoco compiutamente tutti gli aspetti
operativi, noti ed ignoti, dell'Opera del Nostro. Arthur Machen come
primo cantore e/o ideologo di una vera e propria mitopoiesi dell'orrore,
si detto. Sar bene compiere qualche ulteriore passo indietro con la
storia, per giungere alle radici stesse del "Romanzo Gotico" e quindi
della letteratura Fantastica odierna. Il romanzo Gotico nacque due
secoli fa, in concomitanza con enormi cambiamenti sociali (2) (la
Rivoluzione Francese, i Diritti dell'Uomo, ecc.) e scientifici (l'inizio
dell'Era Industriale, l'ormai compiuta cartografia del Mondo, ecc.); i
terrori e le inquietudini provocati da tali cambiamenti, che spezzavano
la circolarit temporale di uno scenario pseudostorico mantenutosi tale
per diciotto secoli grazie al connubio tra il Sacro e il Transeunte, si
riversarono in forme alterate e polimateriche nei romanzi dei vari
Walpole, Shelley, Radcliffe, Reeve, De Sade, Backford, e tutti i loro
epigoni. Dato che l'Ordine apparentemente immutabile delle Cose si era
frantumato sanguinosamente per sempre, i disadattati, gli entusiasti o
semplicemente gli illuminati del nuovo Status (come tale, in netta
anti/tesi ad ogni Forma Perennis), crearono in varie e successive ondate
tutte le nuove forme, letterarie ed artistiche, capaci di richiamare,
con la potenza sovraimpressiva delle tecniche adottate (e dei materiali
adoperati), da una parte, il rimpianto per un mondo perduto dove il
Fantastico era interagente con il Sacro, e dall'altra, il disgusto per
un mondo ritrovato dove il Reale era una componente del tutto fantastica
con i suoi accadimenti via via sempre pi trasgressivi e globalmente
finalizzati ad una riscrittura stessa del concetto di "Storia", e
quindi, della nozione (immanentistica...) dell'Eterno... Il concetto
stesso del divenire storico, filtrato attraverso l'illuministico assioma
del progredire delle disuguaglianze, divenne la stura endemica per un
continuo, maligno proliferare (muffa batterica... sul corpo morto del
sociale) di orrori ed orrori, tutti tendenti ad esorcizzare nella
diversit dell'irreale, del revenant, o del vampiro che dir si voglia,
la ben pi pericolosa diversit del reale; e ben conscio di ci, lo
stesso Karl Marx impieg questi stilemi, nell'incipit del suo celebre
Manifesto del 1848: "Un fantasma corre l'Europa, il Mondo... quello del
Comunismo!" Quella funzione didatticomoralista del Romanzo Gotico,
tutto sommato assai valida per gran parte dell'800, venne a cadere
bruscamente alla fine del secolo scorso, quando nuovi e pi spaventosi
orrori scaturiti dalla degenerazione del Sistema originario, vennero a
sommarsi a quelli preesistenti, creando le condizioni adatte per una
ridefinizione di tutto l'armamentario scenotecnico fino ad allora
impiegato; poich, in uno scenario assurdamente primevo dove il sociale
veniva quotidianamente rimosso in favore di una disumana logica di
accumulo e dispendio dei profitti egemoni, il Fantasma o le rovine
dell'Abbazia variamente infestate non incutevano pi alcun terrore,
decadendo operativamente nell'obsolescenza pi trita della perdita di
valore segnico, e nell'alterazione inderogabile dell'originario status
di pregnanza Simbolica. Come reazione generale a questi mali di
"crescenza", o meglio (peggio), di passaggio epocale da un Periodo
all'Altro (nell'ottica dei Grandi Cicli, ovviamente), nacque il
Decadentismo, ideale trait d'union fra constatazione disgressiva degli
avvenuti mutamenti e dell'indubitabile degenerazione ulteriore, e
compiacimento necroestetico delle sensazioni puramente epidermiche
provocate dalla tensione appena antecedente all'Acme Risolutorio
(prodromo della Pars Destruens) in atto... Naturalmente, il Decadentismo
svilupp al proprio interno un senso ben preciso dell'Orrore, sempre e
comunque aderente alla logica manichea della colpa e della susseguente
caduta, ma con in pi, la voluttuosa acquiescenza del Peccato (una linea
di pi stretta ascendenza Sadiana, quindi), interpretato come fattore
perturbante di sovversivismo globale; si pensi allo squisito
(esteticamente parlando, ovvio) Satanismo di Joris Karl Huysmans, di
Oscar Wilde, e di tanti altri loro epigoni minori, con il dispiegarsi
endemico di una compiacenza malata e colpevole per la tragicit del
processo immanentistico in atto, e di una esaltazione del futile come
categoria mutazionale indotta, carica di simboli referenti/stornanti
all'altra "categoria" adombrata in sede scenotecnica, del Sacro, sia
pure sotto le forme e gli orpelli simbolistici di un Cattolicesimo (non
una Cristianit, chiaramente) di matrice Esotericainiziatica... Arthur
Machen inizi il suo apprendistato di scrittore proprio con l'Huysmans
ed il Wilde per modelli, ricevendone anche alla lontana alcuni fra gli
echi stilistici e crittosintattici pi esclusivi (si pensi, tra
l'altro, alla primigenia produzione saggistica del nostro, con titoli,
preziosissimi quanto inutili, come The Anatomy of Tobacco, degno di
figurare nella raffinatissima biblioteca di Des Esseintes); ma, ben
presto, abbandon gli affascinanti (e sterili) siti del Decadentismo,
per creare, con alcune sue Opere poderose, le premesse iniziali per lo
svolgimento logico finalizzato dell'odierna Horror Story che ben
conosciamo. Le tappe principali di questo cambiamento di capitale
importanza, possono sintetizzarsi con le avvenute pubblicazioni di The
Great God Pan (1890), The Inmost Light (1894), e, pi di tutte, con
l'antologia/romanzo The Three Impostors (1895).  In The Great God Pan,
il tema apparentemente banale delle catastrofiche "creazioni
laboratoristiche", viene depurato dalle scorie di iniziazione
positivista (tema che lo stesso Wells, sia pure in ritardo rispetto al
Nostro, non mancher di trattare), per coniugarlo ad un sostrato
miticostorico di primaria importanza: l'esistenza fattiva del Male nel
suo Simulacro pi scandaloso e rimosso di bestialit primeva (il Gran
Dio Pan, appunto), apportatrice del Sacro Terror Panico/Penico di
ancestrale memoria, e totalizzante estasi (3). Il tema tutto sommato
Decadente del Fauno, del Pan (si pensi alle silvestri, caprine creature
create dai sogni dei vari Stephan Mallarm, Gustave Samain, Laurent
Tahilarde, Remy de Gourmont, e decine d'altri autori), rivel con Machen
tutta l'immane possanza del suo inconfessato Orrore; l'Orrore di un Male
preesistente alla creazione stessa dell'uomo, l'Orrore di una conoscenza
atavica filtrata attraverso le ceneri dei secoli e giunta fino a noi
pura e indenne nei suoi assunti di base, malgrado le incrostazioni
fideistiche e scientiste di tutti quelli che pretendono di sapere...
Ecco, quindi, in nuce, il primo sintagma della mitopoiesi dell'orrore
finalmente disvelata: la rivelazione stupefatta dell'immutabilit delle
leggi eterne che governano il nostro particolare piano d'Esistenza, la
sconvolgente vertigine procurata dalla constatazione che tali leggi non
sono per loro natura decifrabili come "negative" o "positive" per il
genere umano, ma sostanzialmente indifferenti e aliene all'Essere, e,
certezza finale, la perturbanza totale scaturita fuori da questa vera e
propria abreazione mentale, dove l'uomo rimane solo, e nudo, di fronte
alla Potenza delle Tenebre che coprono con la levit del loro peso
eterno tutti gli elementi vieppi indispensabili al permanere della
ragione... E' notevole come Machen sia l'espressione pi piana di questo
senso di morte in un linguaggio a dir poco metastatico, ad una prima
impressione addirittura moralistico, ma in effetti scevro da
sensazionalismi per una ricerca modulare del dogma; esemplare, in questo
caso, il seguente brano dal terzo paragrafo di The Great God Pan, brano
discorsivo che nella sua quieta enunciazione assolutistica risulta ben
pi efficace di qualsivoglia dichiarazione epistaltica di ben pi
movimentati accenni: "... tu credi di conoscere la vita, Londra, e tutto
quello che accade, giorno e notte, in questa citt spaventosa... avrai
ascoltato i viziosi ed ogni sorta di infamie, ma posso assicurarti che
neanche gl'Incubi pi allucinanti possono darti una qualche pallida idea
di quello che so... di quello che ho visto. Si, visto! Ho visto
l'incredibile: tali e tali orrori, che a volte mi fermo in mezzo alla
strada e mi chiedo se mai possibile che un uomo, testimone di tali
atrocit, possa rimanere vivo... Trascorso un anno, mi ridussi a un uomo
finito: finito nel corpo e finito nello spirito..."
Nell'antologia/romanzo (giustamente nomata da Elmire Zolla come
capolavoro circolare) (4) de The Three Impostors, Machen, oltre che a
riallacciarsi ad una antica e abominevole Tradizione (su cui rimandiamo
al IV paragrafo del nostro studio), diede prova di aver perfettamente
compreso gli allora nascenti meccanismi dell'Industria Culturale,
cucendo in un tutto unico diversi racconti, concepiti e perfettamente
leggibili anche separatamente uno per uno, ma, altres, pienamente
degustabili solo nel loro alveo di libro sequenziale, dalla struttura,
come si detto, circolare; cos che i singoli tasselli del mosaico
velato, particolare dopo particolare, in un accumulo frenetico di
orrori, si ricompongono alla fine - anche se non c' una fine, e non
poteva essere altrimenti - in un affresco appercettivo multiscenico e
polistrutturale, dove i Tre Impostori preposti come numi tutelari agli
spaventosi accadimenti susseguitisi, si rivelano come altrettanti
simulacri nelle mani, inconsapevoli o meno, di altri Tre Impostori, in
un continuo gioco di rimandi inquietanti precorritore del miglior Dick
(e come filiatico tra Machen e Dick, naturalmente, non possiamo che
citare Lovecraft, come gi ebbe occasione di fare Gabutti) (5). I
racconti pi memorabili compresi in The Three Impostors, sono senz'ombra
di dubbio The Novel of the White Powder e The Novel of the Black Seal.
In The Novel of the White Powder, il labile tema conduttore di matrice
Stevensoniana (in riferimento, ovvio, al Dr. Jekyll & Mr.Hyde), si sposa
mirabilmente alla gi decrittata mitopoiesi dell'orrore; poich la
posizione misteriosa che altera i connotati fisici e spirituali del
giovane protagonista, un residuo scomodo dell'antico Vinum Sabbati, la
bevanda dei partecipanti al Sabba Infernale... cos che il passato
ancora una volta ritorna, con i suoi riti mai cessati ma sempre in
perpetua tran/formazione, a perturbare il presente, facendo s che non
ci sia mai un futuro... Il gioco delle citazioni perturbanti continua;
se la Helen Vaughan protagonista di The Great God Pan rappresentava la
feroce irrisione della celebre Satanista Diana Vaughan creata dal Jogand
in una truffa colossale con inquietanti particolari di verosimiglianza
mai del tutto chiariti (6), la "polvere bianca" di The White Powder
anche lo spettro della cocaina che allora cominciava a diffondersi in
ogni dove (per quanto riguarda il nostro specifico, ricordiamo tra
l'altro: l'erba Cannabis Sativa fumata dal Principe Zalesky di M.P.
Shiel; la cocaina in una soluzione al sette per cento usata dallo
Sherlock Holmes di Conan Doyle; l'oppio fumato dal Dorian Gray di Oscar
Wilde; e decine di altri consimili esempi). Il tema del doppio,
attraverso lo sdoppiamento/alterazione provocato dalla nefasta influenza
di un agente (la polvere bianca) proveniente dalla notte dei secoli,
anche l'occasione per introdurre un altro tema di rilevante portata, e
di netta anticipazione prelovecraftiana: quello che potremmo chiamare
della regressione protoplasmica. Ci che rimane del giovane protagonista
di The Novel of the White Powder alla fine del racconto, un tipico
orrore con valenze negetropiche, e specificit totalizzanti; il marciume
corporale, la totale disintegrazione delle umane fattezze, travalicano
la vieta cornice decadentistica di facciata (ove lo sfacelo organico e
spirituale del simulacro corporeo era pur una regola consentita e
fattiva), per adire ad un vero e proprio processo di transfert del
primevo, operando una semiosi logoiconica tra ricordi ancestrali - il
rimosso - e istanze spontaneistiche - il sovrapposto. Tale la
regressione protoplasmatica, ovviamente vista dal Machen anche come
processo ultimato di ritorno alla bestia, nel segno di una
riappropriazione da parte dell'incauto spirito della "Terra" dell'Aura
astorica, alogica, atemporale, che regnava sovrana prima della discesa
del raziocinante spirito "divino", il soffio di fuoco delle antiche
saghe; e la condizione necessaria per favorire questo inquietante
ritorno alle proprie origini infere, sembra suggerirci il Nostro,
l'abbandono del proprio S da S, il denouement portato sino alle pi
(il)logiche conseguenze iterative di passio e di solvenza... Logico
quindi che un critico rigoroso ma tutto sommato parziale come il
Penzoldt, in pagine che hanno fatto storia (7), liquidi racconti come
The Novel of the White Powder come parabole fin troppo esplicite sulla
sessuofobia puritana che infuriava ridicolmente nell'era Vittoriana;
l'aspetto pi marcatamente coercitivo dell'onanismo si presente, ma
per mascherare con la sua ritualit espansiva altre e ben pi complesse
e pericolose turbe devianti, come l'incesto e la bestialit. Bestialit
che ritorna (dopo il prodromo di The Great God Pan, che influenz
talmente lo straordinario Hanns Heinz Ewers da indurlo a scrivere quel
capolavoro dimenticato di Alraune) (8), pi disperata e allucinante che
mai, nel racconto che a nostro parere il vero capolavoro tout court di
Arthur Machen: The Novel of the Black Seal. In The Novel of the Black
Seal la mitopoiesi macheniana dell'orrore trova il suo vertice pi
esclusivo (ed elusivo) nell'adombramento inquietante dell'altra realt
che convive, eternamente, accanto alla nostra; un mondo dove tutte le
conoscenze e le virt dell'uomo non servono a nulla, se non ad acuire il
crescente senso di frustrazione, abulia e disinganno, provocato dallo
shock emotivo della constatazione che il razionale non sempre reale, e
che ci che reale spesso non per nulla razionale... Dall'alto delle
sue raggiunte vette spirituali (oscillanti tra il Misticismo Cristiano
medioevaleggiante, e la Tradizione Esoterica iniziatica), Machen oper
delle scelte nette ed intransigenti per quanto riguarda l'aspetto pi
marcatamente contenutistico - sia pure di primo livello - della sua
narrativa, in ci distinguendosi coraggiosamente dai suoi amici e
colleghi del Celtic Revival (come W.B. Yeats, Lord Dunsany, J. Stephen,
ecc.), avviati ad una glorificazione miticostorica del patrimonio
magicofolklorico delle loro origini, da contrapporre anche
politicamente al dominio Inglese delle lettere e delle Arti e quindi del
Sociale. Quali dunque queste scelte nette e intransigenti, totalmente
controcorrente, e quindi ancora pi scandalosamente vive? Come sa ogni
studioso di miti o semplice cultore del Fantastico, l'Inghilterra
possiede un'enorme tradizione Fiabesca, sia sotto il versante
letterario, che sotto il versante, non meno cospicuo, del patrimonio
leggendario e folkloristico; terra di Fate (ed Elfi, Gnomi, Silfidi, ed
ogni altra creatura magica possibile) per eccellenza, ove certe
consuetudini tradizionali sfiorano lo "sposalizio tra cielo e terra",
l'Inghilterra (sia pure nelle sue diverse accezioni razziali e
religiose) pi compiutamente di altri paesi Nordici dalle grandi
tradizioni in tema, codific natura e scopi del proprio immaginario,
dall'esistenza del "Piccolo Popolo" in poi, con ogni sorta di annessi e
connessi... Una codificazione, quella del "Piccolo Popolo" (da Machen
chiamato The Fair Ones, definizione a cui certamente si ispir Lovecraft
per i suoi non meno celebri Ancient Ones), praticamente a tutto tondo,
con valenze quasi tutte positive, ad ovvia contrapposizione con le
particolarit mortifere e limitative del nostro mondo primario (o
scenario primevo... il che lo stesso). Ecco quindi Machen nullificare
completamente tutta la precedente Tradizione in merito, colpevolizzando
il Mondo Magico di ogni possibile nequizia umana (anzi, aumana),
caricando di orrori senza nome tutto ci che era sempre stato sinonimo
di innocenza e piacevolezza, dipingendo a fosche tinte tutto ci che
sempre era stato fatto passare come saggezza eterna, felicit beatifica,
compiutezza immortale; cos che il "Piccolo Popolo" diventa una progenie
maledetta e dimenticata, figlia della depravazione Satanica e vero e
proprio cancro putrescente del nostro pianeta, dove attraverso ogni tipo
di singole porte, strisciano ancora oggi fra di noi tutti gli orrori pi
maligni e spaventosi che erano gi vecchi quando l'uomo non era ancora
giovane... Ben lungi quindi dall'ispirare saggezza, fortuna, o felicit,
i "Fair Ones" Macheniani corrompono tutto ci che riescono soltanto a
sfiorare nel loro inavvertito cammino, portando nel silenzio la follia,
la depravazione, e la morte. La situazione , a ben vedere, doppiamente
inquietante, poich se nel mondo primario, del Reale, ogni volont di
vivere (intendendo con "volont di vivere", chiaro, le pi comuni
aspirazioni a qualche cosa che vada ben al di l delle pure e semplici
esigenze corporee quotidiane di cui siamo schiavi) cessa di fronte
all'orrore dell'Esistenza, anche nel mondo secondario, dell'Irreale,
ogni volont di vivere (intendendo con "volont di vivere", ovvio, le
pi banali esigenze di un qualche cosa che resti ben al di l delle nude
e fattive esigenze evasive e fantastiche di cui non siamo padroni) cessa
di fronte agli orrori della NonEsistenza... In questo caso
l'orripilazione si fa talmente strabordante, la nausea (al di l di ogni
possibile incrostazione morale, certo) si fa talmente globale, che il
personaggiotipo di Machen (simulacro, certo, se controllato sempre e
comunque da Un Impostore!...) cessa semplicemente di esistere, svanendo
nel nulla, lasciandosi cadere nel proprio Horror Vacui, o tirando a
campare, il caso di dirlo, alla meno peggio, sotto l'orrore dei "vuoti
cieli", ove non pi possibile amare o odiare, ma soltanto passare
oltre. La connotazione ancestrale della Razza esistente da un Altrove, o
meglio ancora, del Popolo esistente al di fuori di Noi, trover poi
un'applicazione pi calzante e incisiva (ma, certo, meno affascinante da
un punto di vista strettamente stilistico-letterario) nella creazione
Lovecraftiana degli Ancient Ones; esseri ancora pi sfuggenti dei Fair
Ones, poich senza pi alcuna parvenza di umanit (o disumanit, au
contraire), in un tripudio dell'alienit totale e quindi della sconfitta
indubitabile, conquistata prima ancora di ogni pur vana lotta. Machen,
ovviamente, nella delineazione estrema e totalizzante di questi aspetti
basilari della sua mitopoiesi dell'orrore, non si limit soltanto a
suggerire possibili deviazioni del sotterraneo Pantheon del fantastico
miticostorico, giungendo a creare osceni connubi di sesso e di sangue
tra il materiale di derivazione magica usato, e arrivando a postulare
l'esistenza anche sul piano del reale degli spaventosi frutti di queste
Paniche degenerazioni ultimate; e se si tengono presenti le
oleografiche, infantili immagini delle asessuate Fatine o degli
innocenti Elfi dei boschi di favolistica memoria, non si potr non
rabbrividire di raccapriccio davanti al vizioso "Piccolo Popolo" di
Machen, dinanzi ai rituali adolescenziali di sesso e di morte
tratteggiati nella novella The White People (1906), dinanzi agli orrori
Panici/Penici del gi ricordato The Great God Pan, dinanzi alle
perversioni inaudite di The Novel of the Black Seal, dove entit
mostruose si accoppiano con esseri umani creando folli ibridi e
disgustose menomazioni, in un apoteosi castrante di tutto ci che
rimosso, abominevole, impuro. Ritornando specificatamente a The Novel of
the Black Seal tali orrori trovavano il modo di esprimersi con parvenze
modulari di verosimiglianza ancora pi sottilmente inquietante, con i
geniali artifici (certo, allora inediti, e in un certo senso ancora oggi
validi per la costruzione strutturale di un buon racconto dell'orrore,
malgrado gli abusi perpetuati in questo senso da alcuni mediocri epigoni
odierni di HPL et similia) operazionali delle simulazioni all'interno
della Simulazione stessa; intendiamo riferirci, vero, alla
piacevolissima consuetudine da microeconomia del testo di introdurre nel
corso della narrazione vera e propria alcuni (o numerosi) rimandi
interiori e/o devianti "uso realt", come citazioni di libri (veri o
pseudobiblia, anche se la cesura tra queste due definizioni non ormai
pi possibile) (9), estese citazioni di diari o frammenti di lettera,
inserzioni di fatti di cronaca, et alia. Nel capolavoro Macheniano
citato, antichi testi latini come il Solino o il Pomponio Mela (autore
del De Chorographia, libri tre, e primo tentativo - inutile - di dare un
ordine all'idea che si ha del Mondo), attraverso l'ombra non dichiarata
di Plinio il Vecchio ed altri cartografi dell'Immaginario e
dell'abnorme, concorrono a fornire pezze d'appoggio alla silenziosa,
strisciante e non dichiarata esistenza (e origine, pi che primigenia)
del malevolo "Piccolo Popolo"; progenie solo vagamente umana, con i
tratti del viso stravolti, le membra serpentiformi (rimandi al "Popolo
delle Caverne" di tante leggende indiane, alla caduta del Serpente e
agli antichissimi Culti Ofidi, nonch ai ricordi ancestrali del Grande
Verme della Terra...), viscide, dal vago aspetto di lumaca e dall'odore
nauseabondo della corruzione... (10) Il "Sigillo Nero" del titolo, una
tavoletta di pietra incisa con caratteri cuneiformi, l'Hexecontalitho,
chiamata anche pi sinteticamente Ixaxar, per meglio indicare il numero
dei caratteri esistenti, in numero, appunto, di sessanta. Tale Sigillo,
pi che una ideale Stele di Rosetta per il Mondo Nether, la chiave
simbolica di una differente evoluzione (biologica, razziale, spirituale)
svolta parallelamente alla nostra, nel segreto e nell'ombra della
leggenda, al di fuori di noi, malgrado noi, e contro di noi... Tutto ci
che deviante, non rientrando nella logica consequenziale della
creazione cos come l'uomo pensa che sia stata concepita, quindi il
focolare perturbante di orrendi contagi fisici, di incredibili
contaminazioni tra la razza umana e le nascoste razze preumane, tutti
prodromi, questi, all'ultimata infezione spirituale, stadio finale della
corrosione nullificante operata dal decadere estenuante del Tutto in
seno all'angosciosa, straziante ricerca del Qualcosa. Dopo Machen, un
altro apostolo dell'incredibile, ossia il troppo spesso sottovalutato
Charles Fort, sia pure con intenzionalit differenti, denunci a suo
modo il permanere di certe inquietanti contraddizioni naturali,
annotando tutti i segni della possibile esistenza dello sfuggente
"Piccolo Popolo", asce di pietra misteriose in testa... (11) E,
naturalmente, come Machen, anche Charles Fort fu uno degli autori
decisivi nell'enunciazione finale della pessimistica "filosofia cosmica"
di H.P. Lovecraft: l'uomo solo, di fronte ad un Universo sommamente
indifferente ai suoi destini, dove forze cieche del Caos si scontrano in
avvenimenti ben al di l di ogni comprensione, nello scenario di un
Ordine primario ormai spezzato e vanificato per sempre, destinato a
svanire nell'unica certezza assoluta della seconda legge della
Termodinamica, stura ouroborica alla colossale immanenza del Fato
entropico... Divinit primigenie poi entrate a far parte del nefando
Pantheon postLovecraftiano, come Nodens, Signore del Grande Abisso,
scaturiscono dalle pagine di Machen come i sintomi febbrili di una
ricercata e voluta autodistruzione del proprio essere; poich i Segnali
ci sono stati, le avvisaglie di simulazione pure, ma gli accumuli di
Iperrealt hanno travalicato lo stesso il confine sempre pi sottile ed
evanescente fra umano e inumano, fra sacro e mondano, fra cielo e terra,
per mettere la definitiva ipoteca dell'orrore totale ad ogni pretesa di
remissione o di riscatto. Uno degli ultimi tasselli della mitopoiesi
macheniana dell'orrore, e cio il racconto The Shining Pyramid (1924),
nel suo accumulo di raccapriccianti orrori nell'alveo della gi citata
regressione protoplasmica, d l'esatta misura di quella che pu essere
la vera e propria diegesi spiralica di ogni (im)possibile variazione sul
tema della frantumazione non pi ricomponibile, della spoliazione non
pi riconoscibile: "... dentro al suo cuore, qualcosa mormorava piano:
il verme della corruzione, il verme che non pu morire... e questa
immagine grottescamente prese forma nella sua fantasia, come un pezzo di
putride frattaglie coperto da orrende cose, putride e striscianti. Il
brulicare delle tenebrose membra continu: gli esseri si radunavano
attorno alla forma scura..."

II. Rapporti Arthur Machen / PaulJean Toulet


I rapporti operazionali fra il Nostro e quel finissimo poeta Decadente
che fu PaulJean Toulet, sono ormai abbastanza noti, dopo la
pubblicazione dell'epistolario Machen/Toulet in calce all'indispensabile
volume de I Tre Impostori; molto resterebbe da dire in proposito, e in
questo paragrafo tenteremo di dare un seguito all'interessante vicenda.
Dunque, come noto, i rapporti fra i due scrittori iniziarono nel 1898,
quando il poeta francese, estremamente colpito dal capolavoro macheniano
The Great God Pan, lo volt nella sua lingua, tentando (inutilmente) di
proporne la pubblicazione presso le pi importanti Riviste e Case
Editrici di lingua francese; la versione, sotto il titolo de Le Grand
Dieu Pan, fu poi pubblicata dalle parigine Edizioni La Plume nel 1901, e
infine nell'edizione corrente di Tutte le Opere del Toulet, Ed.
EmilePaul, Parigi, 1938. All'epoca della traduzione del testo
macheniano, il Toulet, sempre pi suggestionato dalla prosa del suo
confratello Londinese, tent di imitarne le idee e lo stile nel romanzo
horror Monsieur du Paur, homme public, che prima ancora della
pubblicazione in Francia del testo macheniano, comparve a puntate sul
celebre "Mercure de France" (mentre la versione in libro comparve solo
nel 1920, presso il solito EmilePaul) (12); la paternit ispiratrice
macheniana del romanzo di Toulet oggi riconosciuta da tutti i critici,
massimamente dalla biografa italian Toso Rodinis, che nella sua
monografia sul poeta francese, esplicitamente ammette: "Monsieur du
Paur... vi si sente la propensione per il sadismo inglese, il gusto per
la necrofilia, che lo scrittore deve aver acuito attraverso la lettura
di The Great God Pan di Arthur Machen..." (13) Attraverso la lettura,
certo, ma anche attraverso la traduzione, e l'epistolario, e l'amicizia
con lo scrittore Gallese, aggiungeremmo noi. D'altronde, fatto
pochissimo noto, il Toulet si "ispir" una seconda volta all'opera del
nostro, sia pure in forma tutto sommato decorativa e non molto attinente
alla grande problematica esposta nel tracciato della mitopoiesi
dell'orrore; il riferimento al testo Touletiano, dimenticato, de Les
Trois Impostures, ricalcato, almeno come tema delineativo, sul
macheniano The Three Impostors... PaulJean Toulet scrisse Les Trois
Impostures nel 1910, ma brani frammentari di quest'opera sardonica e
allucinatoria cominciarono ad apparire soltanto nel 1914 (luglio/agosto)
sulla rivista francese "Le Divan", mentre la pubblicazione in volume
avvenne soltanto nel 1922, sempre a cura della citata rivista parigina,
quando il Toulet era gi morto da un paio d'anni. Probabilmente Machen
non conobbe mai quest'ultimo lavoro Touletiano, poich la sua
corrispondenza con l'autore francese, a quel che ci dato di sapere, si
interruppe alla fine del 1908, certo, non per sua volont, ma a causa
della vita sbandata ed errabonda del poeta francese, sempre in cerca di
droghe per alleviare i suoi dolori fisici e spirituali. Al di l di
questi trascorsi letterari, quello che pu interessarci veramente,
l'unico incontro effettivo (o comunque, l'unico storicamente accertato)
tra Machen e Toulet, avvenuto a Londra, citt ove il Toulet fu ospite
personale di Machen dal 20 al 30 novembre 1899. In quello che il
capolavoro del Toulet poeta decadente, e cio nella raccolta de Les
Contrerimes (uscita postuma solo nel 1921, Ed. Le Divan), molti sono i
segni indubitabili dell'influsso macheniano e degli echi del viaggio
londinese di Toulet del 1899 (14). Tralasciando le influenze residue di
The Great God Pan (citiamo per tutte solo la quartina finale della XXIX
Controrima, Talmud Babylon: "Lilith, et, telle, un jour d'et, / j'ai vu
noircir ta joue, / Quand le dsir trouble, et djone, / Ta pliante
fiert.") (15), un paio di punti, tra gli altri, ci colpiscono nel
variegato e caleidoscopico panorama delle Les Contrerimes; due punti
che, grazie ad una analisi crossindex con l'epistolario Machen/Toulet
disponibile, possono svelarci molte cose affascinanti. Vale la pena di
rileggere per intero la poesia LV de Les Contrerimes:
"A Londres je connus Bella, Principesse moins lointaine Que son mari le
capitaine Qui n'tait jamais l.
Et peutetre aimatil la mangue; Mais Bella, les Francais Tels qu'on le
parle: c'est assez Pour qui ne prend que langue;
Et la tienne vaut un talbin. Mais quoi? Rester rebelle, Bella, quand te
montre si belle Le dsordre du bain?" (16)
Dunque, la Bella di questa avventura londinese da identificare nella
Bella Strega pi volte nominata nel carteggio Machen/Toulet susseguente
alla venuta a Londra del poeta francese; e qui sar opportuno
estrapolare alcune frasi molto significative del carteggio, per meglio
chiarire questa identit: "... la Strega ha cenato con me ieri sera, ed
ha portato con s due volumi del Savoy. Ha un debole per le opere di
Beardsley! Stiamo bene insieme: se lei la Strega, io sono uno
Stregone, e ci comprendiamo." (Machen, 10/12/1899) (17); "... la Strega
continua con i suoi modi fantastici, forse giocando con il fuoco, ma a
quanto ne so, non si scotta le dita. Qualche volta ha cenato con me, e
ci siamo divertiti molto. M. partito per Liverpool all'inizio di
gennaio, ma le scrive ogni giorno! La sua assenza non le spezza il
cuore." (Machen, 15/2/1900) (18); "... vedo ancora la bella Strega, di
tanto in tanto; sempre gaia e sorridente, e abbiamo bevuto assieme
parecchi bicchieri d'assenzio al Caf de l'Europe." (Machen, 20/2/1901)
(19). Chi dunque questa bella strega? Chi la donna affascinante che
a Londra, nuda dopo aver fatto il bagno, si rifiut sadicamente ai
desideri di Toulet? E che amava scherzare con il fuoco, non disdegnando
di divertirsi con Machen, fino alle esperienze canoniche delle
ubriacature d'assenzio (narcotico liquore, come noto, molto caro ai
Decadenti!)?... Sebastiano Fusco, scrupoloso curatore della
straordinaria versione italiana de I tre Impostori, avanz l'ipotesi che
sotto il nom de plume de "La Strega", si nascondesse l'attrice Florence
Farr, protetta da George Bernard Shaw (di cui fu l'amante, e, in un
certo senso, la corruttrice), nonch appartenente, e ai massimi gradi,
alla confraternita esoterica della Golden Dawn, di cui faceva parte lo
stesso Machen... (20) In effetti, molti particolari confermano questa
ipotesi di Fusco; si noti, tra l'altro, il richiamo a Beardsley nella
lettera di Machen a Toulet del 10/12/1899. La "bella Strega" ammirava
profondamente Beardsley. Ora, noi sappiamo che il Beardsley lavor
professionalmente per Florence Farr, disegnandole il manifesto per
l'inaugurazione dell'Avenue Theatre (marzo 1894), affidato da Shaw nelle
mani della sua amante, e illustrando il libro della Farr The Dancing
Faun (ancora il Fauno! Notevole, se si tiene presente che il Beardsley,
nello stesso arco di tempo e nella stessa collana, illustr pure The
Great God Pan del Machen...), nella celebre serie dei "Keynotes" di
MathewsLane... (21) L'ipotesi dell'avvenuta equazione "bella strega =
Florence Farr", quindi, potrebbe risultare esatta; ma non si possono
trascurare altri dettagli significativi. Infatti la "bella Strega"
potrebbe essere un'altra donna aderente alla Golden Dawn, e cio Moina
Bergson, meglio conosciuta all'interno della confraternita sotto il nome
iniziatico di Vestigia nulla retrorsum; e la Bergson era anche moglie di
uno dei capi della confraternita, e cio S.L. McGregor Mathers. Ecco
quindi svelato il senso di quell'accenno nella lettera di Machen del
15/2/1900: "M. (Mathers!) partito per Liverpool all'inizio di gennaio,
ma le scrive ogni giorno! La sua assenza non le spezza il cuore"; ed
ecco quindi svelato anche l'accenno di Toulet nella sua citata poesia:
"... Bella, Principesse moins lointaine / Que son mari le capitaine /
Qui n'tait jamais l." La Farr non era sposata, la Bergson s; ed il
marito S.L. McGregor Mathers, viaggiava effettivamente parecchio, anche
per motivi strettamente propagandistici (per un certo periodo di tempo i
coniugi Mathers diressero addirittura la Golden Dawn da Parigi, la citt
di Toulet, sia antecedenti che posticipati all'incontro con Machen, con
la bella strega?...). Forse la verit al riguardo non si sapr mai (i
vari volumi autobiografici di Machen sono abbastanza reticenti, in
proposito), comunque ci sembra d'aver delineato un quadro abbastanza
interessante: un ambiente letterario Decadentistico di fin de Sicle
(LondraParigi, asse del Liberty), aperto all'esercizio inquietante di
pratiche magiche ed esoteriche, mischiate all'uso di "paradisi
artificiali" cari a tutta una generazione di poeti Maudits (l'oppio per
Toulet, l'assenzio per Machen... et alia)... e figure affascinanti di
donne misteriose, dagli spregiudicati (per l'epoca, ovviamente)
comportamenti sociali e morali... Sempre restando nel campo delle
ipotesi con un fondo di verit, pu darsi effettivamente che a Londra
Arthur Machen tentasse di presentare l'amico Toulet in seno alla Golden
Dawn (sia attraverso la Bergson, o sia attraverso la Farr); la cosa
certa, confermata sempre dall'epistolario, che i due incontrarono a
Londra Arthur Edward Waite, adepto Rosacroce, altro membro influente
della Golden Dawn (fu proprio lui, per un certo periodo di tempo, ad
influire maggiormente come "Maestro" su Machen - che certo non ne aveva
bisogno, stante la sua prodigiosa autorealizzazione personale -
presentandolo quindi in seno alla Golden Dawn), e che Toulet (all'epoca
non ancora del tutto schiavo dei suoi spaventosi deliri) riusc molto
simpatico (sic) al Waite. Una ridda di dati frammentari ed inquietanti,
come si vede, che pure, una volta andati al posto loro, come tasselli di
un mosaico scomposto dall'ingiuria degli anni, possono aiutarci a meglio
comprendere la realt fenomenologica di un periodo storico gravido di
fatti oscuri ed accadimenti interessanti dal punto di vista artistico.
Ma ormai tempo di citare un altro brano del Toulet, e precisamente la
XXIII Coples (tratta sempre da quel prezioso breviario di estetismi
macabri che Les Contrerimes), importantissimo per avere una qualche
idea dei riti a cui fu sottoposto il poeta francese durante il suo
soggiorno di Londra:
"Contemple un autre monde" a chuchot la fe, Cependant que les murs
s'entr'ouvraient devant moi Dcouvrant Londre aux ombres d'or, son
triste moi, Et la pendante Hcate, au ciel, sanglant trophe." (22)
La "Fe" (Fata) della cobbola (Coples) la "Sorcire" (Strega) della
corrispondenza con Machen; quindi, o la Farr, oppure la Bergson! Qui ci
appare descritta nel suo ruolo affascinante di sacerdotessa officiante
il Rito (che non siamo riusciti a ricostruire, malgrado l'esistenza
editoriale fattiva dei rituali della Golden Dawn - quanto spurii? -
pubblicati naturalmente anche in Italia, a causa del successo di maniera
- del tutto superficiale - dell'affaire Golden Dawn, per l'appunto)
(23); Londra dischiude tutto il suo fascino arcano e tenebroso, mentre
all'adepto rivelata la visione di un altro mondo, quindi di un
differente piano della realt (concetto questo basilare per
l'appartenenza ideologica alla Golden Dawn); e a indicare le possibili
basi di magia sexualis (nell'accezione Randolphiana del termine) (24) in
atto, con bella parafrasi, indicata la Luna (Astrum Argentinum secondo
le evocazioni dello spaventoso Crowley... all'epoca, non a caso,
anch'egli coinvolto nel davvero straordinario affaire della Golden
Dawn), sotto il nome infero, demonico, di Hecate (Hecate, o Lilitha...
osceno sole dei vampiri), la sanguinante Hecate... Dell'aspetto
magicoiniziatico presente in dosi pure massicce in Machen, parleremo
pi diffusamente nel prossimo paragrafo. Qui ci preme sottolineare,
nell'ambito dei rapporti Machen/Toulet, l'estrema importanza per il
poeta francese di tali contatti e, fra tutto, l'incisiva esperienza
della sua avventura Londinese; il fatto che il Toulet si sia sentito in
dovere di "immortalare", per cos dire, tale esperienza, in veste di
varia versificazione (avremmo infatti potuto continuare per pagine e
pagine con la citazione di altri sonetti liminari e quartine varie del
Toulet attinenti al tema, ma questo studio, gi di per s forse un
tantino troppo specialistico, ne avrebbe perso in scorrevolezza), vuol
dir molto. Per un poeta Decadente - e Toulet fu certamente il migliore
del suo tempo - il ricordo tutto, e nella forma poetica quasi
d'obbligo inscrivere le esperienze pi incisive accadute, gli
avvenimenti pi vicini alla percezione di quell'altro strato di realt -
velo di Maya - che solo al poeta e al filosofo dato conoscere, sia
pure solo in parte; ecco, al fratello parigino, tramite il Nostro, fu
data facolt, sia pure per un breve attimo d'infinito, di assaporare
l'Altrove.

III. Oltre la soglia


In quale misura influ su Arthur Machen la sua militanza nella Golden
Dawn, per quanto riguarda la produzione letteraria? In scarsa misura, se
non nulla; infatti tutte le maggiori opere del Nostro (da The Great God
Pan a The Inmost Light, da The Three Impostors a The Hill of Dream,
ecc.), furono scritte ben prima dell'effettiva entrata e permanenza (dal
1899 al 1904) nella confraternita esoterica. Se a questo dato di fatto
incontrovertibile, ci si aggiunge la constatazione che durante il
periodo di appartenenza alla Golden Dawn Machen non cre nulla di
notevole, limitandosi la sua produzione a scarsissimi lavori di
second'ordine, non si pu che concludere sulla inutilit di siffatto
esperimento iniziatico per Machen; per lo stesso Machen che, in preda ad
un vero e proprio rigetto delle sue precedenti posizioni larvatamente
neopagane, dal 1905 in poi, divenne un alfiere in patria del ritorno
irrenunciabile al Cristianesimo "puro", cio privo di scorie
modernistiche, teosofiche, protestanti o cattoliche, nell'alveo della
Tradizione Anglicana antica. Con ci, dichiarando pressoch nulla
l'influenza della Golden Dawn su Machen, non vogliamo certo sminuire
l'importanza di tale Confraternita, che pure riusc a fregiarsi della
militanza di nomi come Bram Stoker, Algernon Blackwood, J.W.
BrodieInnes, Lord Dunsany, Sax Rohmer, Charles Williams, Aleisteir
Crowley, T.S. Eliot, W.B. Yeats, Arnold Bennet, oltre ai gi nominati
Arthur Machen e PaulJean Toulet; nomi non da poco, anzi, quasi un
ideale Pantheon della miglior letteratura Fantastica e magica del
'900... (25) E' vero che una delle principali credenze che venivano
insegnate nella Golden Dawn, riguardava l'esistenza di altri piani di
realt, abitati da altre presenze, di un ordine superiore (o meglio,
diverso, diremmo noi) a quello umano; e forse uno dei motivi
dell'interesse di Machen, e della sua non breve permanenza nella
Confraternita, da imputare proprio a questo apparente collimamento di
interessi. Ma altres vero che il Nostro era arrivato alle stesse
concezioni praticamente da solo, gi da molto tempo, e andando subito
ben oltre in quanto a radicalit di concezione ed efficacia di risultati
(letterari, innanzitutto); una Via, questa, detta
dell'autorealizzazione, molto rara a formarsi per geminazione spontanea,
ma riconosciuta da tutti come effettivamente possibile,
autogratificante, e rigorosissima. Leggendo le autobiografie
dell'Autore, e i suoi pochi scampoli di epistolario e saggistica rimasti
in circolazione, ci si accorge che Machen credeva realmente nel
contenuto dei suoi scritti; credeva cio, al di l delle necessarie
cornici Fantastiche immaginative e delle esagerazioni ad effetto,
nell'esistenza reale del mondo oscuro descritto con spaventosa potenza
nei suoi racconti. Questa credenza, sia pure suffragata da possibili
prove, basta per far assegnare al Nostro il ruolo di scrittore
Visionario, con tutto quello che c' di positivo nel termine? Uno
scrittore visionario come poi fu Lovecraft, per molti versi continuatore
delle teorie macheniane? Si ricordi che per Lovecraft il sogno
rappresentava la chiave d'argento, atta ad aprire il varco e andare
oltre la soglia, per prendere visione delle figurazioni ideali attinte
dal serbatoio primevo del nostro immaginario collettivo. Per Machen,
invece, per molti aspetti, era la realt stessa ad essere sogno; in
molte occasioni, da sveglio, e in piena luce, lo scrittore si ritrov a
galleggiare in un altro mondo, dove il piano di percezione della realt
scivolava in un contesto di alterazione modulare delle coordinate
spazio/tempo: pi che sogni lucidi, quindi, vere e proprie visioni prima
esteriori e poi interiori dei lati nascosti e complementari del reale,
filtrati attraverso la fruizione di una sensitivit abnorme, ma certo
non malata o artificialmente indotta (droghe et similia; tema questo
pure presente in tanta letteratura fantasticoiniziatica di autori
dediti alla droga, da Antonin Artaud a Ren Daumal, da Philip K. Dick a
Carlos Castaneda, ecc.). L'ordine delle visioni quello di un
perturbamento ancillare dei sensi preposti alla comprensione normotipa
di ci che ci circonda (che, sulla scorta di Heidegger, non sempre
possiamo dire che ci che ); l'alternativa quella di un eterno
ritorno alle leggi della causalit che sembrano davvero tutto prevedere,
tranne, naturalmente, ci che ascrivibile alle moire del fato
imprevedibile, poich adumbratile, e cupo... A parte questi accadimenti
di rara fattura, bisogna pur dire che nel bagaglio culturale di Machen
entrarono molti fattori conglobanti per una diversa veduta d'insieme
della sua poetica, in seguito, come si visto, avviantesi ad una vera e
propria mitopoiesi dell'orrore; oltre all'impatto originario con un
mondo tradizionale (quello dell'infanzia) affondante le sue radici
contemporaneamente nella mitologia Celtica e nella mistica Cristiana, il
nostro assorb desideri e passioni inconsuete proprio con la
frequentazione libresca di classici dell'altra letteratura, come i
Racconti del Mistero di Edgar Allan Poe, l'Hyperion di John Keats, Le
confessioni di un inglese mangiatore d'oppio del De Quincey, le Nuovi
notti Arabe di R.L. Stevenson, et alia. In ognuno degli autori su
citati, si pu ritrovare in nuce qualche stilema macheniano, stilemi che
Machen risolse in proprio, senza aderire alla logica consequenziale
dell'influenza tout court, prendendo a prestito solo vaghi echi formali
di una operazionalit non ancora del tutto sperimentata appieno; cos
che in certi passi di opere macheniane, si possono avvertire le note
sardoniche di Stevenson e l'insoddisfazione postromantica di De
Quincey, la quieta corrosione di Poe e il disperato languore giovanile
di Keats... Stati larvali, sia pur presenti, rimpolpati da una pi
estesa conoscenza di prima mano, di tutto un settore comunemente poco
noto (ieri forse, ma purtroppo oggi non pi, stante la pericolosa "moda
dell'occulto" vigente!): quello della letteratura occulta, demoniaca,
esoterica, e via dicendo, fino a quei Baedeker immondi conosciuti come
Grimoires... Questa esperienza settoriale profonda, serv da un lato al
giovane Machen per meglio tirare avanti a campare strictu sensu, merc
tutta una serie di lavori, fissi e/o saltuari, in tema (dalla
compilazione di Cataloghi specializzati in libri di magia, alla
consulenza presso antiquari, fino alla traduzione di classici del
genere, fra cui, famosissima, quella dell'Heptameron attribuito a Pietro
D'Abano), e dall'altro, per meglio adire ad una conoscenza superiore di
ci che poteva sembrare materia attinente agli interessi allora ancora
in piena formazione magmatica, prima ancora delle esperienze attinenti
il sostrato ideologico di tutto quello che in seguito sarebbe divenuta
materia di decifrazione simbolica. Investigando su questo periodo di
formazione culturale di Machen, e tenendo ben presenti le clamorose idee
innovative in seguito delineate nella sua narrativa, abbiamo avuto
altres il piacere di scoprire una delle sue fonti pi pure ed allo
stesso tempo pi inquietanti. Certo si ricorder il tema forse pi
scandaloso del particolarissimo Horror macheniano: la tesi che esistano
esseri agenti sul nostro piano di realt con valenze perturbanti, esseri
eredi di una tradizione comunemente definibile come "occulta" ma in
realt contigua e parallela (e invisibile e intersecante) alla nostra;
esseri o subumani o iperumani, ma in ogni caso ben lontani dal nostro
concetto standard di "umanit", esseri capaci nelle loro nequizie di
accoppiarsi anche con i figli di Adamo, per generare empi ibridi ed
oscene mutazioni ricorrenti... Ebbene, tutto questo possiamo ritrovarlo
nel bellissimo trattato di Ludovico Maria Sinistrari (meglio conosciuto
come Fr Sinistrari D'Ameno, dal nome del suo Convento) conosciuto come
Daemonialitas Expensa (1699); in questo trattato (26), il bravo frate,
con dovizia di serie argomentazioni Teologiche e Scientifiche, si
soffermava con completezza sulla supposta esistenza o meno di creature
demoniache, nate da connubi tra uomini e demoni o fra demoni e spiriti
elementali, dissertando sui rapporti di dette creature - effettivamente
n maligne n benigne, ma sostanzialmente altra cosa rispetto all'uomo -
con il piano del reale e con i suoi abitanti umani, fino
all'enunciazione sistematica delle varie possibilit declinabili per i
rapporti civili e spirituali con questo Piccolo Popolo, dichiarato
esistente perfino dalla maest di un Concilio! (Gelasio, 494). Arthur
Machen arriv a conoscenza di questo testo fondamentale attraverso la
traduzione fattane in inglese dallo stampatore Isidore Liseux nel 1879:
Demoniality, or Incubi et Succubi. Tenendo presente tutto questo, ben
logico poter quindi parlare con cognizione di senso di una effettiva
radice magica del pensiero (letterario, anche se questo stesso pensiero,
letterario in Machen, si trasformer poi in filosofico con Lovecraft)
macheniano, tralasciando quindi l'influenza pressoch nulla delle
pratiche operazionali della Golden Dawn. Pratiche operazionali che poi
si riducevano in gran parte, soltanto ad un uso smodato e passivamente
irrefutabile dei Viaggi in Astrale (Astral Wanderings), svolti per lo
pi in condizioni pericolose, senza alcun fine da raggiungere se non
quello non dichiarato dell'accumulo ipostaltico delle visioni, per poter
raggiungere un certo stato accelerato di interpretazione dei simboli e
quindi saldezza interiore. Direttiva, questa, a lungo andare,
pericolosissima, in primis per l'inamovibile status sul cammino della
via alla realizzazione magica, via esigente un continuo divenire e
quindi una periodica alternanza di gradi successivi e prove fattive; e
in secundis, per la vera e propria paranoia, di origine larvatamente
teosofica, declinabile per il fastidioso stato di certezza svelata
fruibile in questo limitato cammino, ricco di soddisfazioni anche
immediate, ma povero, molto povero, di realizzazioni eterne, che sono
quelle che contano. Solo cos si pu capire la lotta intestina in seno
alla Golden Dawn che determin l'abbandono della confraternita da parte
di un Arthur Machen, ormai votato alla realizzazione spirituale di un
ritorno al Cristianesimo puro, attraverso la Mistica intramontabile - e
tanto cara, altres, a gran parte di tutta la letteratura Fantastica -
del Santo Graal; lotta che vide schierati, gli uni contro gli altri, i
seguaci di Aleisteir Crowley, convinto fautore della necessit di saper
trovare il coraggio di andare oltre, sia pure per gradi successivi, ma
fino in fondo, lungo il cammino della realizzazione (27), e i seguaci di
W.B. Yeats, pi ortodossi ma senz'altro meno vivi, ancora legati a
logiche di fondo strumentali, e quindi ancora schiavi, pi o meno, del
meccanismo tossicodipendente degli Astral Wanderings. Machen, come si
detto, non parteggi n per l'uno n per l'altro, preferendo andarsene,
tagliando tutti i ponti dietro a s, per iniziare un nuovo periodo,
parimenti intenso (anche se meno affascinante, almeno per noi), di vita
spirituale e, di riflesso, di creazione letteraria. In questo caso,
testi del Nostro come The Great Return e The Secret Glory, oltre a
rappresentare l'estremizzazione endemica di un percorso diegetico
ipoteticamente randomizzato nella linea Colpa originaria  Caduta 
Rinascita, possono fornire l'avvio anticipato all'Ordine di tutto un
settore variamente composito della letteratura Fantastica anglosassone:
James Sthepens, C. Staple Lewis, Olaf Stapledon, J.R.R. Tolkien, tutti
accomunati, oltre alla creazione in vitro di pseudoedeniche altre
realt, dalla propensione all'etica, di marca vagamente postevangelica,
l dove pure il Nostro, nel suo massimo momento di accumulo e sfogo di
tensione Visionaria, aveva detto; "... quegli esseri sono discesi di
nuovo nel mondo sotterraneo, nei luoghi nascosti sotto le colline." (The
Shining Pyramid, finis)
Eppure, in pi di un'occasione, Arthur Machen ebbe ancora modo di
ricredersi sul potere delle Visioni, e sulla grande, incisiva pregnanza
scenotecnica, dei Simboli adattati a medium dai perversi meccanismi
dell'Industria Culturale. Il riferimento d'obbligo al celebre caso,
senz'altro da manuale di sociopsicologia collettiva, degli Angeli di
Mons. In un istante di magra nel suo annoso lavoro di redattore presso
il giornale "Evening News", Machen scrisse il racconto The Bowmen che
apparve sul numero del 19 settembre 1914; in detto racconto, i fantasmi
degli Arcieri di Azincourt (battaglia che nel 1415 vide il prevalere
degli inglesi sui Francesi grazie al coraggio di questo Corpo), andavano
ad aiutare l'esercito britannico in ritirata davanti a quello tedesco, a
Mons, nelle prime battaglie dell'immane carnaio della Prima Guerra
Mondiale Ebbene, il racconto, rigorosamente presentato come tale, fu
creduto da tutti un articolo, riferente quindi cose vere; e a nulla
servirono le smentite di Machen, poich migliaia di reduci da Mons,
giurarono sulla verit dell'accaduto, assicurando sul reale intervento
dei fantasmi degli Arcieri... Un caso di allucinazione collettiva? O
piuttosto, un'altra prova indubitabile del gran genio di Machen, capace,
come narratore fantastico, e fruitore Archetipo dei sogni e grandi
simboli del serbatoio sterminato e immortale dell'immaginario
collettivo, di saper individuare, comporre e riportare sulla carta,
tutti i reali bisogni di astrazione, identificazione e assimilazione
della massa?... A questo punto poi, ognuno pensi ci che vuole. Anche se
permane sempre il desiderio ancestrale, di andare oltre la soglia, l,
dove nascono, vivono e muoiono i sogni.

IV. De Tribus Impostoribus


Arthur Machen, per il suo libro The Three Impostors, scelse, per
l'appunto, un titolo "ermetico", richiamante cio sia i simboli di una
tradizione rimossa, sia i prodromi di una ferocissima ironia appena
stemperata dalla diversa, e per certi versi atroce, visione del mondo...
I Tre Impostori del ciclo macheniano, sono ovviamente coloro che
controllano i personaggi "principali" di Dyson e Phillips, e cio il
terzetto Richmond/Helen/Davies, a sua volta strumentalizzato nell'ombra
dal Dr. Lipsius, ecc. I riferimenti indubitabili sono quelli
riconducibili all'esistenza, fattiva o meno, di un famoso
"pseudobiblia", conosciuto sotto il titolo De Tribus Impostoribus; libro
spaventosamente blasfemo per i suoi supposti contenuti, inerenti una
feroce messa in accusa di Mos, Ges Cristo e Maometto, tutti e tre
colpevoli di impostura nei riguardi dell'umanit, supposti rei di aver
propagandato la falsit delle loro rivelazioni divine, dell'esistenza di
Dio e di tutto l'universo... L'esistenza sul piano del reale di De
Tribus Impostoribus, messa in discussione sin dal Medioevo, suscit e
suscita tuttora una marea di discussioni in proposito; noi, dopo aver
gi trattato l'argomento specifico in un articolo completo sulla
schedatura degli "Pseudobiblia" (28), dal leggendario (e anche questo
realmente esistente, a quanto sembra) e malefico Necronomicon fino ai
meno noti testi di Magia Nera, siamo ora in grado di ricostruire dal
principio la storia e le fortune del testo che argutamente ispir la
felice prosa narrativa di Arthur Machen. Variamente attribuito ad una
vera e propria valanga di liberi pensatori, scrittori coraggiosi ed
intellettuali al limite (un elenco sommario schederebbe Giovanni
Boccaccio, Cino da Pistoia, Pietro l'Aretino, Rabelais, Milton,
Machiavelli, Erasmo, Martin Lutero, Giordano Bruno, Tommaso Campanella,
Bernard Ochino, Goffredo Valle, Muret, Vanini, Barnaud, il Vescovo
Pamiers, Cardano, Spinoza, Thomas Browne, Postel, e almeno un'altra
dozzina di importanti autori), l'originario I Tre Impostori fu composto
in realt da altre persone, seguendo una trafila che per comodit di
consultazione divideremo in tre differenti percorsi operazionali di
base:

1 Percorso
Nel primo percorso possiamo ripercorrere le tracce di cui ci restano
sicure testimonianze orali e scritte, ma purtroppo nessuna "prova"
pratica testuale, anche se in pi di un'occasione siamo giunti
vicinissimi ad un recupero fattivo di materiali che poi, purtroppo, non
ha avuto tutti gli esiti sperati. Dunque, senza alcun ombra di dubbio,
possiamo attribuire la paternit primigenia del trattato De Tribus
Impostoribus al noto Pier Delle Vigne, umanista ed uomo politico dei pi
fini, strenuo assertore delle idealit Ghibelline e segretario
"politico", per cos dire, dell'Imperatore Federico II di Hohenstaufen,
nipote di Federico Barbarossa. Fu proprio Federico II, in un momento di
aspri contrasti con la Chiesa (1231 o 1232 al massimo), a ordinare al
suo segretario la creazione del libro, ideato quindi come un vero e
proprio Pamphlet antireligioso, nella sua esaltazione dell'ateismo e
nella sua funzione precorritrice di certa "teologia radicale"
annunciante, horribile dictu, la morte di Dio... Il testo manoscritto di
Pier Delle Vigne (che naturalmente ritroviamo anche nella Commedia
Dantesca), circol in varie forme e versioni per tutto il Medioevo,
formando immane materia di scandalo, e finendo quindi per essere
attribuito, di volta in volta, ad elementi "scomodi" per l'ordine
costituito del tempo, come coraggiosi frati, predicatori troppo
moralisti, umanisti un po' pornografi, scienziati scopertamente
materialisti, cortigiani troppo scettici e disamorati, etc. Il testo di
Pier delle Vigne - non possiamo dire in quanta parte manipolato, con
aggiunte o peggio, con tagli - arriv infine nelle mani di Michele
Serveto, detto Il Villanoviano, (nato nel 1509 in Aragona e morto nel
1553 presso Vienna), gi autore di altri libri contro la religione;
detto autore, nel 1543 cur la prima edizione a stampa del De Tribus
Impostoribus, in Germania, senza alcuna indicazione di autore e di
stampatore. Questa circostanza di anonimia, fece s che da allora in
poi, molti studiosi e bibliofili attribuissero tout court il testo De
Tribus Impostoribus al Serveto, sorvolando sulle origini manoscritte e
sulla committenza di Federico II. Fioccarono cos le edizioni anonime e
copierecce sul testo del Serveto, che, scampato di stretta misura alle
fiamme dell'Inquisizione et similia (di tutte le copie della tiratura
tedesca, sembra che siano arrivate sino a noi solo due copie nelle
biblioteche dei pi antichi Ordini monastici della Germania), fu
adottato come livre de chevet da tutta una massa di individui pronti ad
ogni bassezza (ieri come oggi, editorialmente parlando, sempre storia
nota) pur di procurarsi un facile guadagno scandalistico, da un pubblico
sempre pi attratto dalla fama leggendaria e demoniaca del libro
"maledetto" in questione. Ancora nel 1680, un tale Cristian Kortholt,
filosofo tedesco di nessuna importanza, approfitt della rinomanza del
testo leggendario, per sfornare ex abrupto un novello De Tribus
Impostoribus, dove, incredibile a dirsi, Mos, Ges Cristo e Maometto
venivano sostituiti dalle figure di Herbert, Hobbes e Spinoza, rimanendo
invariato il modulo primigenio di composizione dissertativa... Il testo
del Kortholt, per, a parte la nullificante supponenza dei suoi assurdi
assunti di base e della volgarit dei suoi argomenti di critica
parodistica, si segnalava altres per la sua importanza documentaria;
infatti per la prima volta (escludendo la rarissima, e comunque
realmente esistente edizione del Serveto), su un testo a stampa, si
assicurava la reale esistenza dell'originale De Tribus Impostoribus,
indicandone natura e scopi. Le tracce del manoscritto originale di Pier
delle Vigne, si perdono definitivamente invece nel 1709, in occasione di
un'altra edizione (un volume in 8, in latino, senza nessuna
indicazione) del testo, stampato ancora in Germania. Questa edizione
ebbe la sua importanza, poich all'inizio del "secolo dei lumi", le idee
contenute in nuce nel pericoloso trattato, cessando d'esser terreno di
pascolo di presunti negromanti e satanisti, divennero terreno di
competenza della nascente generazione di illuministi atei, pensatori
rivoluzionari, e teorizzatori dell'Anarchismo; un interessante, e a
nostro giudizio, niente affatto errato cambio di audience, a
dimostrazione della perenne adattabilit delle preposizioni d'ogni tempo
sulla Morte ed il Sacro. Ma su questo cambiamento importante,
opportuno tracciare un

II Percorso
Fra il nuovo pubblico di fruitori del De Tribus Impostoribus, si segnal
specialmente il Barone Paul Thyry D'Holbach, eccellente figura di
pensatore ateo e libertino erudito, collaboratore de l'Enciclopedye, e
filosofo illuminista (29). Il D'Holbach tradusse in francese l'edizione
tedesca del 1709, curandola criticamente, aggiornandola con
considerazioni attuali del suo tempo (ad esempio, con comparazioni alle
opere di Descartes), cercando di darle un qualche stile letterario
discorsivo, e finendo quindi per firmare il tutto con il suo proprio
nome, avallando quindi di fatto una paternit che certo non era del
tutto sua. Il risultato fu la pubblicazione nel 1777 (a Londra, senza
nessun'altra indicazione; il libro in questione si trova nelle maggiori
biblioteche nazionali francesi) del Trait des Trois Imposteurs: Moise 
Jesus Christ  Mahomet. Naturalmente, un fine pensatore come il
D'Holbach, con le sue opere in tema, non poteva che suscitare le
giustificate ire della Chiesa, che infine, in pi riprese, condann
tutti i suoi scritti all'Indice. La prima edizione italiana de I Tre
Impostori, avvenne proprio in concomitanza con il clima pesantemente
anticlericale venutosi a instaurare con il Risorgimento trionfante: e il
libro nella versione del D'Holbach, apparve con il titolo di Mos, Ges
Cristo e Maometto nel 1864, a Milano, presso la "Biblioteca Rara"
dell'Editore Daelli. Con incredibile tempestivit, anche questa edizione
italiana fu subito messa all'Indice dalla S. Sede, con Decreto del 20
giugno 1864... Tale decreto fu altres rispettato fino al 1932, quando
in Francia le edizioni libertarie de "Aux editions de l'ide libre"
(Herblay), ristamparono quasi tutti gli scritti anticlericali e
ateistici del D'Holbach, ivi comprendendo, naturalmente, la sua versione
del De Tribus Impostoribus. Infine, ed storia abbastanza recente,
anche se pochissimo conosciuta, le benemerite Edizioni "La Fiaccola" di
Ragusa (specializzate nella ristampa di classici del pensiero
Anarchico), nel 1970, stamparono una nuova traduzione del D'Holbach,
filologicamente eccellente: I Tre Impostori  Mos, Ges Cristo,
Maometto collana "La Fiaccola", volume Quarto).

III Percorso
Stabilite quindi le origini e i percorsi editoriali del De Tribus
Impostoribus, resterebbe da parlare quindi soltanto della struttura
stessa del libro in questione; considerando la problematica difficolt
di reperimento del testo, cercheremo ora di darne una descrizione
dettagliata, comparando fra di loro tutte le edizioni di cui siamo
venuti in possesso (30). Dunque, il libro, niente affatto ponderoso ma
anzi abbastanza breve di pagine, poich molto sintetico e stringato
nelle sue lapidarie enunciazioni, consta di soli sei capitoli. Il
Capitolo I ha per sottotitolo Di Dio, e consta di cinque paragrafi, cos
descritti nell'indice dell'edizione 1777: "False idee che si hanno della
divinit, perch invece di seguire il buon senso e la ragione, si ha la
debolezza di credere alle opinioni, alle immaginazioni e alle visioni di
gente interessata a ingannare il popolo e a mantenerlo nell'ignoranza e
nella superstizione." Il Capitolo II ha per sottotitolo Delle ragioni di
cui si son serviti gli uomini per figurarsi un essere invisibile che si
chiama comunemente Dio, e consta di undici paragrafi, cos descritti
nell'indice dell'edizione 1777: "Motivi cui sono ricorsi gli uomini per
figurarsi un essere invisibile, che si chiama comunemente Dio -
Dall'ignoranza delle cause fisiche e dalla paura prodotta dagli
accidenti naturali, ma straordinari e terribili, derivata l'idea
dell'esistenza di qualche potenza invisibile, idea di cui la politica e
l'impostura religiosa non hanno mancato di profittare - Esame della
natura di Dio - Opinioni sulle cause finali confutate come contrarie
alla sana fisica." Il Capitolo III ha per sottotitolo Che cosa significa
la parola Religione: come e perch se ne sono introdotte un cos gran
numero nel mondo, e consta di ventitr paragrafi, dei quali il X
titolato Di Mos, il XII Di Ges Cristo, il XIII Della politica di Ges
Cristo, il XXII Di Maometto. Il tutto cos descritto nell'indice
dell'edizione 1777: "Ci che significa la parola Religione - Come e
perch se ne sono introdotte un cos gran numero nel mondo - Tutte le
religioni sono opera della politica - Condotta di Mos per stabilire la
religione giudaica - Esame della nascita di Ges Cristo, della sua
politica, della sua morale e della sua reputazione dopo la morte -
Artifici di Maometto per stabilire la sua religione - Successo di questo
impostore pi grande di quello di Ges Cristo." Il Capitolo IV ha per
sottotitolo Verit sensibili ed evidenti, e consta di sei paragrafi,
cos descritti nell'indice dell'edizione 1777: Verit sensibili ed
evidenti - Idea dell'essere universale - Gli attributi che gli si danno
in tutte le religioni sono quasi sempre incompatibili con la sua essenza
e si addicono solo all'uomo - Opinioni su una vita futura e
sull'esistenza degli spiriti, combattuta e rigettata." Il Capitolo V ha
per sottotitolo Dell'Anima, e consta di sette paragrafi, cos descritti
nell'indice dell'edizione 1777: "Dell'Anima - Opinioni differenti dei
filosofi dell'antichit sulla natura dell'anima - Confutazione del
parere di Cartesio - Esposizione di quello dell'autore." Il Capitolo VI
ha per sottotitolo Degli Spiriti che si chiamano Demoni, e consta di
sette paragrafi, cos descritti nell'indice dell'edizione 1777: "Degli
Spiriti che si chiamano Demoni - Origine e falsit dell'opinione che si
ha della loro esistenza." Questa, in sintesi, la struttura operazionale
del De Tribus Impostoribus; e, naturalmente, conoscendo bene il
contenuto dei capitoli cos descritti, ci riesce impossibile il citarne
almeno brevi estratti a mo' di assaggio, e si capir anche facilmente il
perch... Comunque, ci sembra gi importante l'aver stabilito, una volta
per tutte, la reale esistenza di questo preteso Pseudobiblium...

V. Cronologia Macheniana
1863 - Il 3 marzo, a CaerleonOnUsk, nel Galles (Inghilterra), nasce
Arthur Llewellyn Jones, figlio di un Pastore Anglicano; prender pi
tardi lo pseudonimo letterario di Arthur Machen, in onore di un proprio
parente mecenate. 1880 - Trasferimento a Londra, per completamento degli
studi, del giovane Arthur Machen. 1881 - Machen fa stampare a proprie
spese la sua prima opera, Eleusinia, poemetto decadente (ispirato ai
temi Orfici) di sedici pagine; se ne conosce l'esistenza odierna di una
sola copia in una collezione privata. 1884 - Pubblicazione di The
Anatomy of Tobacco, libretto di rare erudizioni estetiche sul tabacco e
derivati; l'opera, forse anche a causa dello pseudonimo adoperato da
Machen nel firmarla (Leolinus Siluriensis), passa praticamente
inosservata. 1887 - Matrimonio di Machen con Amy Hogg, aspirante
scrittrice (di ben tredici anni pi anziana del Nostro), che introduce
il marito negli ambienti letterari dell'epoca. 1888 - Pubblicazione di
The Chronicle of Clementy, antologia di storie d'ambientazione
Medievale. 1889 - Traduzione dell'Heptameron, libro di magia cerimoniale
attribuito a Pietro D'Abano. 1890 - Pubblicazione a puntate sulla
rivista "Whirl Wind" del romanzo breve The Great God Pan. 1891/1892 -
Traduzione dal francese delle Memorie di Giacomo Casanova, in dodici
grandi volumi; versione che ancora oggi, nei paesi anglosassoni,
considerata un classico. 1893 - Machen lavora come Bibliografo presso
vari antiquari. 1894 - Pubblicazione di The Great God Pan & The Inmost
Light, abbinati nello stesso volume (serie "KeyNotes", Ed.
MathewsLane), con copertina di Aubrey Beardsley. 1895 - Pubblicazione
di The Three Impostors (stessa serie "KeyNotes", Ed. MathewsLane,
copertina di Aubrey Beardsley), antologia di racconti (tra cui i
famosissimi The Novel of the White Powder e The Novel of the Black Seal)
strutturata in modo da formare un romanzo. 1897 - Machen scrive il
romanzo The Garden of Avallauninus. 1898 - Inizio della corrispondenza
con il poeta francese Paul-Jean Toulet. Toulet traduce The Great God Pan
in francese, e si ispira al romanzo breve di Machen per scrivere il suo
romanzo Monsieur Du Paur, homme public, pubblicato nello stesso anno
sulla rivista parigina del "Mercure de France". 1899 - Machen termina la
piccola antologia di racconti fantastici Ornaments in Jade. A maggio,
sua moglie Amy Hogg lo presenta all'occultista Arthur Edward Waite, che
a sua volta, presenta Machen in seno alla confraternita esoterica Golden
Dawn, dove il Nostro subito reclutato, con il nome iniziatico di
Filius Aquarti. Il 30 luglio, per un cancro scoperto troppo tardi, muore
la moglie di Machen. Dal venti al trenta novembre, PaulJean Toulet a
Londra, ospite personale di Machen, che tenter a sua volta di far
accettare l'amico in seno alla Golden Dawn; da notare che solo qualche
giorno prima, il diciotto novembre, era entrato a far parte della
confraternita il sinistro Aleisteir Crowley. 1900 - Relazione del Nostro
con Florence Farr, attrice, una dei massimi vertici della stessa Golden
Dawn. 1901 - Machen entra come attore nella compagnia girovaga "Sir
Frank Benson Company", specializzata in repertori Scespiriani. Il primo
ruolo del Nostro sar nell'opera Coriolano. A Parigi, le edizioni La
Plume, prima in rivista e poi in volume, pubblicano Le Gran Dieu Pan
nella traduzione del Toulet. Maurice Maeterlinck legge la versione, e in
seguito a ci, entra in corrispondenza con Machen. 1902 - Pubblicazione
di Hieroglyphics, appunti estetici sulla Letteratura. 1903 - Machen si
risposa con Dorothy Purefoy Huddleston, attrice della sua stessa
Compagnia (Teatro S. Giacomo). 1904 - Pubblicazione a puntate sulla
rivista "Morlick's Magazine" del romanzo The Garden of Avallaunius.
Machen esce dalla Golden Dawn, a causa della sua ormai avvenuta
scissione in sottogruppi (i "Celtici" di Yeats, i "Satanisti di Crowley,
ecc.). 1905 - Convinto dalla tenace opera di persuasione della moglie,
Machen torna di nuovo, con fervore, al Cristianesimo. 1906 -
Pubblicazione di The House of Souls (antologia di racconti horror, con
alcuni inediti), e di Dr. Stiggins, pamphlet di argomentazioni
Teologiche. 1907 - Pubblicazione in volume di The Garden of Avallaunius,
sotto il diverso titolo di The Hill of Dreams. Il romanzo, inquadrabile
nel filone del "misticismo nero" alla Huysmans, riscuote grande successo
negli ambienti Decadentistici francesi (Laurent Tahilade, PaulJean
Toulet, Jacques d'AdelswardFersen, ecc.). Machen tiene la rubrica di
Teologia sul settimanale The Academy; nei ritagli di tempo scrive
l'importante racconto The Great Return. 1910 - Entrata di Machen, come
redattore, nel giornale "Evening News". PaulJean Toulet scrive Le Trois
Impostures, suggestionato dal macheniano The Three Impostors. 1914 - Il
29 settembre, sull'"Evening News", compare il racconto di Machen The
Bowmen, che originer il celebre casus degli "Angeli di Mons." 1915 -
Pubblicazione di The Great Return. Pubblicazione dell'antologia The
Bowmen and other legends of War. Paul Paree pubblica la canzone
("Valse") Angel of Mons ispirata al racconto di Machen (The Lawrence
Wright Music Company, London). 1917 - Pubblicazione del romanzo breve
The Terror. 1919 - Lo scrittore di gialli e horror (sar presente anche
sulle pagine di "Weird Tales") Vincent Starrett, pubblica la prima
monografia critica sul Nostro: Arthur Machen, a novelist of ecstasy and
sin. 1922 - Pubblicazione di The Secret Glory (saggistica apologetica) e
di Far off Things (primo volume autobiografico). 1923 - Pubblicazione di
Strange Roods, e di Things near and far (secondo volume autobiografico).
Il critico inglese Paul Jordan Smith, dedica un intero capitolo a Machen
nel suo libro importante, dedicato alla letteratura "notevole", On
Strange Altairs. 1924 - Pubblicazione del romanzo breve The Shining
Pyramid (ideale capitolo conclusivo alla saga de I Tre Impostori), e di
The London Adventure (terzo e ultimo volume autobiografico). 1925 -
Pubblicazione di The Canning Wonder, libro di ricostruzione
"investigativa" su uno dei tanti famosi misteri della storia: il
rapimento di Elizabeth Canning, avvenuto in oscure circostanze, nel
XVIII Secolo. 1926 - In America, grazie alla diffusione delle opere del
Nostro e a un diffuso risveglio d'interesse della critica, si fonda un
"Arthur Machen Club" letterario. 1927 - H.P. Lovecraft dedica un intero
capitolo ad Arthur Machen (a cui si ispirer pi volte nei propri
racconti) nel celebre saggio Supernatural Horror in Literature. Frank
Belknap Long, adepto lovecraftiano, scrive il sonetto On reading Arthur
Machen (31). 1930 - Definitiva pubblicazione di The Way to Succeed,
traduzione macheniana de Le Moyen du Parvenir di Francois Broald de
Verville (1610); la traduzione compare sotto lo pseudonimo di Oliver
Stonor, mentre Machen firma l'introduzione di questa lussuosa edizione
(Ed. The Hesperides Press, London; tiratura di 450 copie rilegate in
rosso e nero in due volumi, di cui i primi 50 firmati dal Machen. Prezzo
dell'epoca: 10 ghinee). 1933 - Pubblicazione del romanzo The Green
Round. A settant'anni compiuti, Machen cessa di scrivere. 1934 - Machen
nominato Arciduca di Redonda dallo scrittore M.P. Shiel,
Re/proprietario dell'omonima isoletta. 1936 - Pubblicazione delle
antologie di racconti horror The Cosy Room e The Children of the Pool.
1937 - In occasione del referendum organizzato dalla rivista "The Left
Rewiew" sulla guerra civile spagnola, Machen dichiara il suo appoggio al
generale Franco (32). 1938 - Sul numero di gennaio del "Mercure de
France", Henri Martineau pubblica la corrispondenza Machen/Toulet. 1943
- George Bernard Shaw, T. S. Eliot, Max Beerbohm e altri, formano un
comitato per raccogliere fondi, in soccorso di Machen che sta per finire
in un Ospizio per poveri. 1946 - Pubblicazione di Holy Terrors. 1947 -
Il 15 dicembre muore Machen, ad Amersham, Buckinghamshire. 1948 -
Qualche mese dopo esce postuma, a cura di Philip Van Doren Stern,
l'antologia Tales of Horror and the Supernatural che raccoglie gran
parte del "meglio" di Machen (33).

NOTE
(1) Arthur Machen / I Tre Impostori / "Orizzonti" vol. XIII, Fanucci,
Roma, 1977. Antologia. Contiene: - La luce interiore (The Inmost Light,
1894); - Avventure di tre Impostori (The Three Impostors, 1895); - La
mano rossa (The red hand, 1906); - La piramide lucente (The shining
Pyramid, 1924); - Lettere a P.J. Toulet (1898/1908). Oltre a questo
fondamentale volume, e all'antologia che ora vi ritrovate fra le mani,
la bibliografia italiana di Arthur Machen comprende: - Il Gran Dio Pan
e altre storie soprannaturali / "Oscar fantascienza" n. 35, Mondadori,
Milano, 1982. Antologia. Contiene: - Il Gran Dio Pan (The Great God
Pan, 1890); - La luce interiore (The inmost light, 1894); - La storia
del sigillo nero (The novel of the Black Seal, 1895); - La storia della
polvere bianca (The novel of the white powder, 1895); - Le creature
bianche (The white People, 1906); - Gli arcieri (The Bowmen, 1914); -
Il grande ritorno (The Great Return, 1915); - Il Terrore (The Terror,
1917). La Polvere mortale / "Il Sigillo Nero" vol. 3, Del Bosco, Roma,
1972. Antologia. Contiene: - Storia del Sigillo Nero (The Novel of the
Black Seal, 1895); - La luce interiore (The Inmost light, 1894); - La
polvere mortale (The novel of the White Powder, 1895). - L'Avventura
Londinese (The London Adventure, 1924) / Edizioni Tranchida, Milano,
1986, collana "Biblioteca", vol. II. - Il Terrore (The Terror, 1917) /
"Riflessi" vol. 34, Ed. Theoria, Napoli, 1986. Inoltre il seguente
materiale, gi compreso nei volumi sopra citati: - Prologo a "The White
People", in: Pauwels & Bergier / Il Mattino dei Maghi / (parte II, cap.
IV) / Mondadori, Milano, 1963; - La Polvere Bianca, e Il Terrore, in:
AA.VV. / Storie difantasmi / Einaudi editore, Torino, 1960; - La Storia
del sigillo Nero, in AA.VV. / Universo a sette incognite / Omnibus
Mondadori, Milano, 1963; - La piramide di fuoco / "La biblioteca di
Babele" vol. 5, Ed. F.M. Ricci, Parma, 1977; - La storia della polvere
bianca, in: AA.VV. / Grande Enciclopedia della fantascienza, vol. 6,
Del Drago, Milano, 1981. (2) Su questo tema, cfr.: Romolo Runcini / La
paura e l'immaginario sociale nella letteratura  Vol. 1  Il Gothic
Romance / Liguori editore, Napoli, 1984. (3) Sul tema del Pan, cfr.:
James Hillman / Saggio su Pan / Piccola biblioteca Adelphi vol. 56,
Milano 1977; e Homerus / Sul simbolismo di Pan / in "Solstitium" n.
1/2, Roma, 1981. Sullo specifico testo macheniano, cfr. pure: Claudio
De Nardi / Il Gran Dio Pan (recensione) / in "L'Altro Regno" n.s. n2,
Solfanelli, Chieti, 1985; e Macheniana / Pilgrim press, Trieste, 1982;
raccolta di recensioni e note su Il Gran Dio Pan (testi di: Alessandro
Mezzena Lona / Il Male qui. Basta crederci; Giancarlo Pellegrin / Un
Oscar triestino per Machen; Diego Gabutti / Tanto orrore, con umorismo,
Tiziana Gazzini / Niente paura, arriva Pan). La rara plaquette si
segnala pure per l'unica pubblicazione in Italia dell'unica fotografia
di Machen che si conosca. (4) cfr.: Elmire Zolla / prefazione a:
AA.VV. / Il superuomo e i suoi simboli nelle letterature moderne vol.
III, La Nuova Italia, Firenze, 1973; nello stesso volume, su Machen,
cfr. pure: Giorgio Spina / Il superuomo e la speculazione sull'occulto
nel Novecento inglese e americano. Sugli stessi argomenti, e di
sfuggita, anche su Machen, ritorna Angelica Palumbo / Edward
BulwerLytton e la Letteratura alchemica inglese / Compagnia dei librai
editrice, Genova, 1984. (5) Diego Gabutti / DickLovecrait / in "Alter
Alter" n. 5, ed. Milano Libri, 1980. (6) Sull'affaire Vaughan, cfr.:
H.T.F. Rhodes / La Messa Nera / Sugar Editore, Milano, 1972 (capitoli
XXIV  XXV). (7) cfr.: Peter Penzoldt / The Supernatural in Fiction /
(1952) Ed. Humanities Press, New York, 1965. Il IV capitolo della
Seconda parte del testo su citato, stato tradotto dal De Nardi come
Le radici morali e psicologiche della narrativa di Machen, in I Tre
Impostori, Op. cit.; nello stesso testo, del De Nardi, notevole anche
Gli orrori decadenti di Machen. (8) cfr.: M.D. Cammarota Jr. / Hanns
Heinz Ewers / in "Sf...ere" speciale Weird Tales n. 1, ANASF, Roma,
1984. (9) Per una catalogazione completa degli Pseudobiblia, e sui
problemi gnoseologici sollevati dalla loro esistenza, cfr.: M.D.
Cammarota Jr. / Gli Pseudobiblia di Chtulhu / in: AA.VV. / L'Orrore di
Cthulhu / "I Miti di Cthulhu" vol. 2, Fanucci, Roma, 1986. (10)
Un'eccellente visualizzazione grafica di questo aspetto, fu creata da
Stephen Lawrence, che illustr The Novel of The Black Seal nel numero
di giugno 1946 del "pulp" "Famous Fantastic Mysteries",
l'illustrazione, molto ridotta e purtroppo stampata molto male, fu
riprodotta anche ne I Tre Impostori, Op. Cit. L'illustrazione di
Lawrence, nel suo formato e B/N originario, si pu vedere anche in
Terror! a cura di Peter Haining, A & W Visual Library, 1976.
Nell'antologia Fanucci su citata, furono presentate anche altre
illustrazioni, tra cui una tavola di Domenico D'Amico per The Red Hand.
Nessuno per conosce la tavola, assolutamente splendida, che lo stesso
D'Amico cre per illustrare nella stessa antologia The Novel of the
White Powder; la tavola, accettata per la pubblicazione, poi non
comparve, evidentemente per le difficolt di stampa sorte nel tentativo
di poter riprodurre efficacemente su carta il delicatissimo arabesco
chiaroscurale dell'Artista. Sia la tavola per The Red Hand, che quella
inedita per The Novel of the White Powder, oggi riposano, insieme al De
Tribus Impostoribus, nella sezione macheniana dei nostri Archivi. (11)
L'unico libro di Charles Fort pubblicato in Italia, : Il Libro Dei
Dannati (The Book of Damned, 1918) / Ediz. Armenia, Milano, 1973. (12)
cfr.: Mario Praz / La carne, la morte e il diavolo nella letteratura
Romantica / 5 ediz. definitiva 1976, Sansoni editore, Firenze; a pag.
269 su Machen (con la nota sbagliata Toulet/Machen a pi di pagina,
cosa a tutti sfuggita...), e a pag. 322 su Monsieur du Paur, homme
public. (13) Giuliana Toso Rodinis / Toulet / "Il Castoro" n. 12, Ed.
La Nuova Italia, Firenze, 1967. (14) PaulJean Toulet / Le Controrime
(Les Contrerimes, 1921) / Sellerio editore, Palermo, 1981. A cura di
Gesualdo Bufalino. (15) "Lilith, cos, un giorno d'estate, / vidi
scurirsi la tua gota, / quando il desiderio inclina, / e capitoli alla
bramosia." (ns. traduz.) A proposito di questi versi, il Bufalino
annota (Op. Cit.): "Il nome di Lilith, mutuato da Machen e dal suo The
Great God Pan, ritorna spesso in Toulet." (16) "A Londra io conobbi
Bella, / Principessa men lontan / del suo sposo il capitan / che non
era giammai l. / Poteva egli amare il mango; / ma Bella, il Francese /
cos come si parla: quanto basta / per chi non bada alla lingua; / e la
tua vale un tesoro. / Ma, perch? restar ribelle, / Bella, quando ti
mostri si bella / dopo il disordine del bagno?" (ns. traduz.) A
proposito di questi versi, il Bufalino annota (Op. Cit.): "Ricordo di
una avventura Londinese, nel corso del viaggio del 1899. Bella
probabilmente da identificare con la Sorcire di cui parla Machen a
Toulet dopo la visita". (17) da I Tre Impostori, Op. Cit., pag. 311.
(18) da I Tre Impostori, Op. Cit., pag. 313. (19) da I Tre Impostori,
Op. Cit., pag. 314. (20) Fusco, nota a pag. 311 de I Tre Impostori, Op.
Cit. (21) cfr.: Stanley Weintraub /Il prezioso perverso. Beardsley alle
radici del Liberty / De Donato Editore, Bari, 1970. Per quanto riguarda
i rapporti Machen / Beardsley, cfr.: The Early Work of Aubrey
Beardsley, a cura di H.C. Marillier Dover Pubblications, New York,
1967, e specialmente: - Plate 99 (The Great God Pan); - Plate 113 (The
Three Impostors); - Plate 120 (I versione  non pubblicata  di The
Great God Pan); - Plate 121 (initial Keys of Machen). (22) "Contempla
un altro Mondo" - mi sussurr la fata, / intanto che i muri s'aprivano
innanzi a noi, / scoprendo Londra dalle dorate ombre, e la sua triste
pena, / e la pendente Hecate, in cielo, sanguinante trofeo." (ns.
traduz.) A proposito di questi versi, il Bufalino annota (Op. Cit.):
"Ricordo del viaggio londinese del 1899 e dell'incontro con A. Machen,
alle cui ossessioni esoteriche e cabalistiche Toulet deve certo
qualcosa." (23) cfe.: S.L. McGregor Mathers / Proiezione astrale, magia
e alchimia / Edizioni Mediterranee, Roma, 1980; e Israel Regardie (a
cura di) / La magia della Golden Dawn / Edizioni Mediterranee, Roma,
1981 (4 volumi, disponibili anche in cofanetto). (24) cfr.: Pascal
Vewerly Randolph / Magia Sexualis / Edizioni Mediterranee, Roma, 1971.
(25) cfr.: Sebastiano Fusco / La Golden Dawn e gli Scrittori / in: "Vie
della Tradizione", Palermo, 1974 (parte prima: numero di
lugliosettembre; parte seconda: numero di ottobredicembre). (26)
Traduz. Ital.: Ludovico Maria Sinistrari / Demonialit / "La Diagonale"
vol. 9, Sellerio editore, Palermo, 1986. Su Machen e le sue "influenze
magiche", cfr. pure: L. Pauwels & J. Bergier / Il Mattino dei Maghi,
Op. Cit., Colin Wilson / Il segreto di H.P. Lovecraft / in: AA.VV. /
Necronomicon / "Zodiaco" vol. II, Fanucci, Roma, 1979. (27) cfr.:
Kenneth Grant, / Aleister Crowley e il Dio Occulto / C.E.
Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1975. (28) cfr. Voce De Tribus Impostoribus,
in: M.D. Cammarota Jr. / Gli Pseudobiblia di Cthulhu, Op. Cit. (29) Per
uno studio specifico sulle Opere del Barone, cfr.: Alfredo M. Bonanno /
L'Ateismo in P.H. Th. D'Holbach / collana "La Fiaccola" volume Quinto,
Edizioni La Fiaccola, Ragusa, 1970. (30) "... vi sono alcuni libri per
i quali la precisa ipotesi di una collaborazione demoniaca appare
oltremodo verosimile. Uno di questi libri certo il De Tribus
Impostoribus, nel quale si vorrebbe dimostrare che Mos, Ges e
Maometto non furono altro che astuti ingannatori. La prima edizione di
questo famigerato e quasi introvabile opuscolo del 1598, ma esso fu
attribuito nientemeno che all'imperatore Federico II di Svevia, in fama
di miscredente. L'autore del testo che possediamo, per, certamente
pi tardivo e molti nomi furon proposti, tra i quali quello di Fausto
da Longiano." (Giovanni Papini, Il Diavolo, paragrafo 62, Edizioni
Mondadori, Milano, 1985, I edizione, 1953). (31) Trad. It.: L'Orrore
sovrannaturale nella Letteratura, in: H.P. Lovecraft, Opere Complete,
SugarCo, Milano, 1978 (contiene anche la traduzione parziale del
sonetto di Long). (32) cff.: Alastair Hamilton / The Appeal of Fascism,
a study of intellectual and fascism, 19191945 /Ed. Anthony Blond,
London, 1971; M.D. Cammarota Jr. / Lettera su Machen / in "Intercom Sf"
n. 49, Genova, 1983; David Punter / Storia della letteratura del
Terrore (The Literature of Terror, 1980) / Editori Riuniti, Roma, 1985
(pag. 222 /225 su Arthur Machen). (33) L'introduzione di Philips Van
Doren Stern a questa antologia, comparsa come L'ultimo Vittoriano, in
I Tre Impostori, Op. Cit..

Appendice
Poesia scritta da Arthur Machen nel 1898, di argomento iniziatico,
pubblicata soltanto nel 1924, in The London Adventure:
A fragment of Life
I wish to paint the ardent grace That shines upon my Mary's face, And
speak of that within her eyes That sings to me of Paradise.
She came to me from a distant shore, She came to me through a secret
door; And when she walks, I know how they Must dance in a secret land
alway.
Her Locks are scented with spices rare, Her Secret is one that no
mortals share; For she goes ever in a light That shines upon no earthly
wight.
O Mary, bend to me your eyes, Instructing me in mysteries, Where in all
joys are found, that I Unto this dying life may die; And live for ever
wrapt in Thee O present immortality.

Un frammento di Vita
Vorrei dipingere l'ardente grazia Splendente in viso alla mia Maria,
Parlar di quel che nei suoi occhi Canta a me del Paradiso.
Lei venne a me da una spiaggia lontana, Lei venne a me da una Porta
Segreta; Quando lei cammina, so come Essi Devon danzare, sempre in lande
segrete.
I suoi Riccioli profumano di spezie rare, Il suo segreto tale che
nessun mortale sapr; Perch'Ella va sempre in una luce Che giammai
risplender sulla Terra.
Oh Maria, volgi a me i tuoi occhi, Illuminami sui Misteri, Ove si fondan
tutte le gioie, affinch Io possa finire questa morente vita; Vivendo
per sempre immerso in Te, Presente immortalit.
FINE.

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