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Cari Dahlhaus

Analisi musicale
giudizio estetico

il Mulino
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Cari Dahlhaus

Analisi musicale e giudizio estetico

Società editrice il Mulino


DAHLHAUS , Cari
Analisi musicale e giudizio estetico / Cari Dahlhaus.
Bologna : Il Mulino, 1987.
96 p. ; 21 cm. (La nuova scienza. Serie di musica e spettaL'IJlo \.
ISBN 88-15~01462-4
1. Musica - Analisi 2. Musica - Estetica 3. Musica - Teoria.
780.15

Tirolo originale Analyse und Werturteil. Copyright © 1970 by B. Schotn


Sohne, Mainz. Copyright © 1987 by Società editrice il Mulino, Bologna .
Traduzione di Susanna Gozzi e Antonio Serravezza. Edizione italiana a
cura di Antonio Serravezza .

È v;ietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,


compresa la fotocopia , anche ad uso interno o didattico, non autorizzata .
Indice

Presentazione, di Antonio Serravezza p. 7

Prefazione 11

I. Premesse 13
Giudizio di valore e giudizio di fatto. - Estetica, analisi ,
teoria. - Giudizio funzionale , estetico e storicizzante. -
Analisi e parafrasi. - Implicazioni morali. - Categorie di
filosofia della storia. - Estetica e ricerca sulla recezione .

II. Criteri 39
Logica del giudizio estetico. - Musica « mal composta »
e « Trivialmusik » . - Ricchezza di relazioni. - Differen-
ziazione e integrazione. - Principi formali. - Analogia e
compensazione. - Udibilità.

I II . Analisi 67
Bach: Cantata BWV 106 (Actus tragicus). - Johann Sta-
mitz: Sinfonia in Re maggiore. - Haydn: Quartetto per
archi in Do maggiore op . 20 n. 2. - Schubert: Sonata per
pianoforte in Do minore D 958, opera postuma. - Liszt:
Mazeppa . - Mahler: Finale della Seconda Sinfonia.
Schonberg: Terzo Quartetto per archi op . 30.
Presentazione

È facile raccogliere consensi sull'utilità dell'analisi musicale ,


benché non sempre i suoi estima.tori ne abbiano un'idea pre-
cisa . I consensi non mancano neppure in un paese , come il
nostro , nel quale in concreto · gli studi analitici cominciano
appena a svilupparsi. Allo stesso modo gli appelli ad un ascolto
consapevole e ad un'educazione musicale in grado di produrre
riflessione sulle opere, ed in particolare attenzione per la loro
costituzione formale, suonano banali e scontati. Ma le virtu di
un approccio corretto alla musica sono forse piu conclamate
che praticate, e c'è da chiedersi quanto di queste aspirazioni
trovi la via per realizzarsi, e quanto rimanga astratta enuncia-
zione di principio.
Chi voglia superare l'immagine convenzionale dell'analisi
per interrogarsi sul suo significato e sul suo ruolo può ricavare
utili indicazioni dalle pagine di Dahlhaus. Le ragioni della rifles-
sione e dell'analisi rion sono qui semplicemente oggetto di riven-
dicazione, ma subiscono un esame di legittimità. Da una parte
vengono fatte valere contro le pratiche valutative incontrollate ,
legate ad un'immagine irrazionalistica della musica e dell'espe-
rienza musicale. Dall'altro però si respinge il tentativo di fon-
darle su un terreno puramente tecnico e di ritenerle tanto piu
garantite in senso scientifico quanto meno legate a prospettive
di valore. L'incontro con queste ultime è · comunque ineludi-
bile: la pretesa avalutatività del lavoro dell'analista può essere
solo illusoria perché sia i presupposti dai quali muove, sia i
suoi prodotti vengono in qualche modo attratti da un campo
gravitazionale estetico. E non si tratta solo di stabilire l'inevi-
tabilità dell'incontro , ma anche di sottolinearne l'opportunità.
Ogni valutazione, in assenza di un'adeguata conoscenza «di
fatto» dell'opera, è vuota, cosi come il mero accertamento del
8 Presentazione

dato musicale obiettivo è cieco se si preclude un orizzonte di


valore. Viene cosi a configurarsi un rapporto circolare: tra i
presupposti dell'analisi vi sono scelte estetiche, che contribui-
scono a guidarla e ad orientarla; nello stesso tempo in sede
estetica non si potrà non tener conto dell'obiettiva costituzione
dell'oggetto musicale esplorata dall'analisi, o comunque di ele-
menti giustificabili sul piano razionale, pena la caduta nell'arbi-
trio. Val la pena di ricordare che Dahlhaus riprodurrà uno
schema del genere nei Fondamenti di storiografia musicale: da
una parte i paradigmi estetici della musica hanno un profilo
storico, dall'altra l'abito scientifico della storiografia non esclu-
de un orientamento estetico, tanto piu che gli oggetti di cui si
occupa sono « opere », non fatti o eventi, ma entità dotate di
statuto estetico. L'idea della validità storicamente circoscritta
di ogni criterio e di ogni prospettiva di valore d'altra parte è
riaffermata in numerosi suoi scritti, e ricorre con insistenza
anche in questo saggio , ove contribuisce alla costruzione di un
fitto reticolo interpretativo nel quale il dato analitico s'intreccia
a fattori storici e a criteri estetici.
Non sempre la teoria considera l'equilibrio un titolo di
merito, ed è presumibile che il disegno equilibrato tracciato da
Dahlhaus possa apparire insoddisfacente a chi pratichi forme
di radicalismo teorico. Insoddisfacente ed anche ingenuo nella
sua ambizione perché i termini che si vorrebbero conciliare
non sembrano disponibili ad un incontro pacifico. Ma non va
dimenticato che il discorso sull'analisi è virtualmente dei piu
insidiosi perché tende a polarizzarsi su piani contrapposti. Da
una parte rischia di sfociare nella retorica irrazionalistica della
« dissezione anatomica » (che risale quantomeno alla « ripu-
gnanza » dichiarata da Schumann per il suo lavoro di dissezio-
ne della 5-vmphonie fantastique di Berlioz), e di farsi veicolo
di un'insofferenza per la dimensione tecnica che sarebbe inesatto
credere confinata a,i margini della cultura musicale. Sull'altro
versante rischia di metter capo in una mitologia tecnicistica
altrettanto gravata da idiosincrasie e pregiudizi. È su questo
sfondo che acquista significato il progetto di una compenetra-
zione - non, beninteso, di un compromes·so - tra le varie
esigenze. Ed è qui, forse, che emerge una delle valenze didat-
tiche piu interessanti del libro, povero di ipotesi di punta ma
ricc? di notazioni dialettiche sul rapporto tra fatto e valore,
tra dato e significato, tra circostanza obiettiva e interpretazione.
Presentazione 9

Un impianto dialettico cosi articolato finisce per dilatare


il senso delle argomentazioni di Dahlhaus oltre la specifica que-
stione del rapporto tra analisi musicale e giudizio di valore.
Potrebbe ricavarsene materia di riflessione, ad esempio, anche
per quanto riguarda il rapporto tra critica e musicologia, se è
vero che del corredo genetico di quest'ultima fa parte un cro-
mosoma positivistico. E ciò potrebbe rivestire un interesse par-
ticolare in riferimento alfa situazione italiana, ove tra le due
aree, e almeno tra alcuni dei rispettivi settori, permangono
incomprensioni e diffidenze non sopite. Basterebbe il richiamo
a questo elemento di malessere della nostra cultura musicale,
tanto piu acuto quanto meno esplicitato e discusso, a far supe-
rare una certa impressione di inattualità legata ai temi del giu-
dizio di valore, dei presupposti e della neutralità del lavoro
scientifico, che a prima vista sembrano legati ad una fase non
recentissima del dibattito epistemologico. ·

ANTONIO SERRAVEZZA
Prefazione

Il tentativo di motivare i giudizi estetici mediante la critica


della forma musicale può apparire ibrido. Infatti l'opinione che
i giudizi di valore non siano che giudizi di gusto palesi o ma-
scherati - su cui certo si può discutere, ma senza giungere
ad una conclusione - è radicata tanto saldamente quanto la
convinzione, ad essa complementare, che l'analisi sia « esente da
giudizi di valore ». (Chi rileva o postula la separazione tra analisi
e giudizio estetico, può lamentarla come un limite dell'analisi
musicale, incapace di giungere all'elemento decisivo, o apprez-
zarla come segno della sua scientificità, comprovata dall'asce-
tica astensione da ogni giudizio di valore.)
D'altronde, è innegabile, la convinzione che si debba poter
trovare un punto d'incontro tra analisi e valutazione estetica
è cosf forte da non potersi facilmente liquidare come cattiva
utopia . È appena il caso di aggiungere che un tentativo del
genere non può che risultare frammentario ed interrompersi
continuamente invece di giungere ad un termine che sia una
vera conclusione. Le presenti riflessioni estetiche sui presuppo-
sti e sui criteri della valutazione della musica sono spunti di-
retti a inquadrare i problemi piuttosto che a risolverli. E le
analisi qui proposte, trascurando la dimensione melodica e
strutturale della composizione, si limitano alla critica della forma
musicale, e pertanto risultano unilaterali. (Non si pensi però
che l'autore voglia sottrarsi alle critiche con false dichiarazioni
di modestia, giacché la semplice scelta del tema dimostra il
contrario.)
Non occorrono ampie spiegazioni per giustificare l'inserimen-
to di uno studio sui rapporti tra analisi e giudizio di valore,
che non può dirsi pedagogico in senso stretto, in una collana
12 Prefazione

dedicata ai problemi della pedagogia musicale 1 • L'analisi di sin-


gole opere è indispensabile per un'educazione musicale che voglia
essere educazione artistica, senza però affidarsi a rigidi dogmi
estetici che vanificherebbero lo studio del particolare, dell'irri-
petibile. D'altra parte, proprio perché i dogmi hanno mostrato
la loro fragilità, quasi in ogni lezione si impone il problema
della possibilità di motivare i giudizi di valore sulla musica.
Nella stessa misura in cui si è affermato il metodo dell'analisi
tecnico-formale, la problematica del giudizio di valore è dive-
nuta sempre più difficile e imprescindibile. E i due fenomeni
sono l'uno il rovescio dell'altro. Sia la percezione della necessità
di un'analisi rivolta all'opera singola nella sua peculiarità (e
non , intesa come semplice esemplificazione di una realtà gene-
rale), sia quella della problematicità dei giudizi di valore, deri-
vano dallo sgretolamento della dogmatica classicistica, che ha
dominato il pensiero estetico-musicale e pedagogico-musicale
dell'Ottocento. Ma, in assenza di un fondamento normativo,
un giudizio estetico può procedere solo dal riconoscimento della
peculiarità della singola opera, quindi da una analisi.

1 Analyse und W erturteil fu pubblicato nella collana « Musikpadagogik »


della• Schott. L'interesse delle argomentazioni qui esposte, peraltro, travalica
questa circostanza [N.d.T.].
Capitolo primo

Premesse

Giudizio di valore e giudizio di fatto

L'idea che i giudizi estetici siano solo ed esclusivamente


soggettivi è un luogo comune dal senso vago e indeterminato,
ma dalla funzione ben chiara: il suo scopo è quello di render
superflua la riflessione e la giustificazione razionale. Fa parte
dunque, per usare termini baconiani, dei pregiudizi, degli
« idola » della pigrizia. Chi si appella ad esso si sente dalla
parte della ragione allorché persiste nel proprio giudizio senza
trarre motivi di perplessità dagli argomenti che ne minacciano
le premesse. Il gusto individuale e particolare - che peraltro
in genere non è affatto tale, ma solo un riflesso di norme di
gruppo - si presenta come ultima o unica istanza che non
ammette appello.
Gli argomenti basati su dati di fatto sono esposti al sospet-
to di costituire non il fondamento, bensi una semplice illustra-
zione del giudizio estetico, ritenuto un giudizio «emotivo».
La razionalità, poi, si presenta come un fattore secondario, un
elemento aggiuntivo o decorativo. Ma in realtà la scepsi che si
crede sovrana è vuota, e la diffidenza merita essa stessa diffi-
denza.
In primo luogo occorre distinguere l'origine e la genesi di
un giudizio estetico dalla sua legittimazione. Un giudizio di
tipo « emotivo » costituisce senza dubbio la premessa psicolo-
gica e il punto di partenza per la scoperta di fondamenti razio-
nali, ma ciò non esclude che siano questi ultimi a decidere la
validità del giudizio, e non le ragioni dell'emozione. Quel che
dal punto di vista psicologico viene in un secondo momento
e come fatto accessorio è l'elemento primo e principale sia dal
punto di vista logico, sia nella realtà.
In secondo luogo nei giudizi emotivi sulla musica, quan-
14 Premesse

tomeno in quelli rilevanti, le precedenti esperienze e idee mu-


sicali sono conservate, pur senza giungere esplicitamente alla
coscienza. Una motivazione ed una fondazione razionale è dun-
que nei casi piu fortunati non un'aggiunta dall'esterno né un
rivestimento pseudologico dell'irrazionale, ma la scoperta di
qualcosa che, sia pure implicitamente, era già alla base del giu-
dizio emotivo. Il tentativo di spiegare la prima impressione è
nel contempo un risalire ai suoi presupposti.
In terzo luogo nel rifiuto di impegnarsi seriamente sul
terreno dell'argomentazione razionale a rischio di un ripensa-
mento del primo, vago giudizio, sopravvive un atteggiamento
aristocratico, antiborghese. L'opposizione alla razionalità è un
carattere storico del giudizio estetico, non una sua proprietà
naturale. Nel Seicento e nd Settecento, in Gracian e in Dubos,
il concetto di gusto era una categoria aristocratica: il buon
gusto era un privilegio sociale rivendicato in modo del tutto
irrazionale. (È in rapporto all'origine ed alla storia piu remota
di questa idea che va spiegata la suscettibilità all'accusa di
mancanza di gusto, il fatto singolare che una censura estetica
risulti meno tollerabile di una condanna morale: la prima in-
fatti offende l'orgoglio e l'ambizione sociale.) Ma, dal momen-
to che in estetica la diffidenza per la razionalità è un relitto
aristocratico o pseudoaristocratico, un frammento di passato nel
pensiero del presente, non va accettata come se avesse un fon-
damento obiettivo, ma va superata, se non rovesciata nel suo
opposto, cioè in diffidenza per l'irrazionalismo estetico. E ad
ogni modo non c'è ragione di piegarsi a quell'arrogante pregiu-
dizio che considera l'argomentazione razionale un'inutile pedan-
teria di cui chi rivendica il proprio buon gusto dovrebbe aver
vergogna.
\ Se dunque la tesi della pura soggettività del giudizio este-
tico è torbidamente motivata da pigrizia e presunzione, d'altro
canto non è facile formulare un concetto di « obiettività » ade-
\ guato ai presupposti portanti della valutazione estetica.
L
1. Il postulato psicologico secondo cui per essere obiettivi
occorre calarsi nell'oggetto in atteggiamento di rigorosa dimen-
ticanza di sé, invece di farsi irretire dalle emozioni, sembra
ovvio ·e banale, ma in realtà è discutibile in quanto i giudizi
emotivi costituiscono il punto di partenza per la scoperta dei
fondamenti razionali della valutazione: non rappresentano certo
Premesse 15

l'ultima, ma la prima istanza. E l'obiettività non nasce dal


fatto che chi formula un giudizio dimentica e annulla se stesso,
ma dallo sforzo di mediare tra l'oggetto estetico e quanto il
soggetto reca con sé di proprio. Come risulta vuoto un giudi-
zio « emotivo » privo di contenuto oggettivo, cosi d'altra parte
uno sforzo teso all'oggettività rimane cieco se non può nutrirsi
della sostanza di un giudizio « emotivo ».

2 . La definizione sociologica dell' « oggettività » come « in-


tersoggettività », come accordo reciproco dei soggetti, è con-
vincente finché per un giudizio sensato su un fatto sono suffi-
cienti il common sense, la normale percezione e l' « identica,
universale ragione» . Diviene però equivoca quando per un
giudizio adeguato si richiedono condizioni singolari e difficil-
mente accessibili: una « intersoggettività di iniziati » è quasi
una contraddizione. Per la musica il common sense è la « na-
turale sensibilità musicale » che nel Settecento, l'epoca del fi-
lantropismo, venne promossa ad istanza estetica, ed i cui cri-
teri decisivi sono l' « aspetto del noto » e l'espressività entro
i confini del bello. Come sarebbe ingiusto accusare indiscrimi-
natamente di ottusità il common sense, cosi è innegabile che
nell'evoluzione della musica - un percorso nel quale si è cer-
cato meno l' « aspetto del noto » che la repentina innovazione
- esso è divenuto contraddittorio. L' « oggettività » intesa come
« intersoggettività » è dunque un'istanza il cui valore e la cui
legittimità sono soggetti a mutamenti storici.

3. L' « oggettività » non è una proprietà data o non data , o


ma un postulato che può esser soddisfatto in misura diversa . j
E sarebbe fuori luogo attendersi da un giudizio estetico un )
grado di obiettività che non può esser raggiunto neppure da
un giudizio riferito alla costituzione oggettiva della musica. Chi
parte da un concetto rigoroso di oggettività e pretende che un
fenomeno musicale, per essere ritenuto oggettivo, debba avere
necessariamente un fondamento causale nella struttura acusti-
ca, potrebbe non ammettere che i tempi forti siano dati obiet-
tivamente, perché, invece di basarsi su un fondamento acustico
costante, sono espressi con mezzi variabili e differenti: non
solo con l'accentazione dinamica , ma anche con lievi dilatazio-
ni agogiche o con moduli ritmici e armonici ricorrenti con re-
golarità. I tempi forti, per dirla in termini fenomenologici, sono
e
16 Premesse

dati «intenzionalmente», non « realmente »,eppure sono obiet-


tivi, sono caratteri dell'oggetto. E « obiettivi » sono persino
i caratteri emotivi legati alle opere musicali. L'espressione del
dolore viene sentita come una proprietà della «musica stessa» ,
non come condizione di un soggetto; quando riconosciamo una
musica funebre per tale non ne deduciamo necessariamente uno
stato emotivo del compositore o dell'interprete, né occorre
che noi stessi ci troviamo in una mesta disposizione d'animo.
Nell'esperienza musicale l'oggettività esiste dunque in differen-
ti sfumature e gradazioni. L'altezza di una nota, determinata
da una frequenza, un tempo forte , il cui substrato acustico è
variabile, un carattere emotivo, che si presenta come proprie-
tà della musica stessa pur senza esserne un attributo « reale .»,
ed infine un giudizio estetico, che riconosce ad un'opera « gran-
dezza» o «perfezione», rappresentano diversi gradi di oget-
tività. È inconfutabile che una valutazione estetica sia meno
obiettiva della determinazione dell'altezza di una nota, ma ciò
non significa che sia venuta meno l'aspirazione all'oggettività ,
un 'aspirazione implicita in ogni giudizio non appena venga
espresso .
- 1 giudizi di valore , anche quelli in apparenza innocentemen-
te « soggettivi », per non essere infondati debbono basarsi su
giudizi di fatto che siano almeno approssimativamente adegua-
\ ti all'oggetto giudicato . Chi in un tempo di sonata retto dal
principio dello sviluppo tematico-motivico avverte la mancan-
za di melodie espressive, e per questo lo rifiuta dal punto di
vista estetico, non dà voce ad un gusto del quale non si può
discutere , ma formula un giudizio errato, irrilevante perché il
tempo di sonata viene inteso erroneamente come un potpourri
malriuscito.
Ma , se il giudizio estetico dipende dal giudizio di fatto sul
quale si basa, risulta deb'ole la tesi positivistica che lo vorreb-
be fondato esclusivamente su « norme di gruppo » della cui
validità nessuno può decidere . Quel positivismo che si limita
a censire delle opinioni non è abbastanza positivistico, perché
non si occupa direttamente della cosa stessa, delle opere musi-
cali. Credere che , dal punto di vista estetico, la « norma di grup-
po » per la quale una canzonetta rappresenta la quintessenza
della musica ed una sinfonia di Beethoven un vuoto frastuono
abbia lo stesso diritto all'esistenza di quella opposta, è un errore
ed 'un.'illusione , in quanto i giudizi di fatto che sono alla base
Premesse 17

delle due non sono ugualmente fondati . Un ascoltatore capace


di render giustizia ad una sinfonia di Beethoven, infatti, è ge-
neralmente anche in grado di cogliere l'obiettiva realtà musi-
cale di una canzonetta, ma non viceversa. Non si tratta certo
incoraggiare l'arroganza degli iniziati. Nessuno ha il diritto di
rinfacciare agli analfabeti musicali il loro analfabetismo, ma ciò
non toglie che quest'ultimo sia un ·ben fragile fondamento per
il giudizio estetico.

Estetica, analisi, teoria

I giudizi estetici, quantomeno quelli validi, hanno il loro


fondamento in giudizi di fatto, i quali dal canto loro dipendo-
no dai metodi di analisi che riflettono le concezioni musicali
di un'epoca. Viceversa i procedimenti analitici, anche quelli in
apparenza solo descrittivi e liberi da pregiudizi, sono legati a
presupposti estetici.
Un esempio paradigmatico del collegamento tra analisi ed
estetica è offerto dalla teoria della forma sonata intorno al 1800.
Alla fine del diciottesimo secolo, nel trattato di composizione
di Heinrich Christoph Koch, che faceva riferimento alle opere
di Haydn, il tempo di ~era inteso come una forma in linea
di principio monotematica. Il secondo tema veniva considera-
to un'idea secondaria o un episodio, non un elemento di con-
trasto e di opposizione rispetto a quello principale; a Koch
era estranea l'idea di una dialettica tematica. È evidente la
dipendenza della teoria delle forme dall'estetica, come pure
l'influenza del dogma dell'unità dell'« affetto», un'unità che
dovrebbe dominare in un brano e che, pur ammettendo delle
deviazioni, non tollera alcun contrasto. Il metodo di analisi
che opera considerando i contrasti semplici modificazioni ed
un'estetica che nell'unità dell' « affetto » vede la condizione per
la coesione interna di un brano si sostengono a vicenda.
Il procedimento opposto, sviluppato circa mezzo secolo dopo
da Adolf Bernhard Marn, è non meno del metodo di Koch le-
gato a presupposti ~i. Marx, che individuava nel contra-
sto tematico il principio portante del tempo di sonata, era un
hegeliano (nella Germania settentrionale degli anni Trenta del
secolo scorso era difficile non esserlo), e, per fondare la teoria
delle forme, specie quella del tempo di sonata, che costituiva
18 Premesse

lo schema predominante, si rifaceva al modello della dialettica


hegeliana. Non si può negare che, oltre alle differenti premesse
estetiche, anche l'evoluzione storica della forma medesima, con
la profonda trasformazione della sonata ad opera di Beethoven,
abbia suggerito o imposto un mutamento della teoria. La rile-
vanza dei dogmi estetici si palesa tuttavia, in negativo, nella
tendenza a deformare i fatti musicali insita in ciascuno dei due
metodi : mentre Koch tentava di ridurre i contrasti tematici
a semplici modificazioni, Marx all'opposto tendeva, per eccesso
a interpretare le deviazioni e gli episodi come contrasti.
Se dunque per un verso l'analisi è dipendente dall'estetica
che determina il pensiero musicale di un'epoca , per l'altro è
legata strettamente in un rapporto di interazione con la teoria
musicale, vale a dire con la teoria dell'armonia, del ritmo e delle
forme. Un elemento di teoria costituisce, esplicitamente o meno ,
il punto di partenza di ogni analisi - l'idea di una descrizione
libera da presupposti è un miraggio, e, quand'anche la si potesse
tradurre in realtà, non ne varrebbe la pena. Viceversa, sono le
analisi di opere musicali a costituire il fondamento di ogni teoria
che non sia un castello in aria . La teoria può essere sia il pre-
supposto, sia lo scopo e il risultato dell'analisi. Si può spiegare
cosi perché un tentativo di determinare con maggior precisione
il concetto di analisi debba prendere le mosse dal suo rapporto
con la teoria.

1. Una teoria che si basa su delle analisi, ma se ne vale in


modo puramente strumentale, si genera mediante un procedi-
mento di astrazione: l'oggetto particolare di cui l'analisi si
occupa si presenta come esemplificazione - sostituibile con
un'altra - di una regola. Viceversa un'analisi che, pur imph- 7
cando un elemento teorico, non mira alla teoria, procede pun-
tando allo specifico. Essa si sforza di render giustizia al parti-
colare, all'irripetibile; in questo caso il generale e la teoria sono
solo mezzi o strumenti per il tentativo di afferrare concettual- .
mente lo specifico, l'individuale: un tentativo che si esaurisce
in approssimazioni e che, ciò nonostante, merita di essere ri-
petuto con perseveranza.
L'esempio di un procedimento che è al tempo stesso teoria
ed analisi è offerto dal metodo di riduzione di Heinrich Schen-
ker, dalla sua « teoria degli strati». L'idea che opere diverse,
prive nell'aspetto esterno della benché minima somiglianza pos-
Prem esse 19

sano venir ricondotte al medesimo Ursatz (elemento primor-


diale), costituisce certamente un elemento di teoria , e di teoria
rigorosa. Tale procedimento opera mediante astrazioni, e le
analisi si presentano qui come mezzi per avvalorare l 'ipotesi
che alla radice di tutte le opere significative, le opere di una
tradizione che va da Bach a Brahms, vi è sempre un Ursatz .
Viceversa la teoria può anche essere strumento dell'analisi .
In tal caso la descrizione dell'opera singola va intesa quasi
come un'esposizione genetica, un tentativo di ricostruirla « dal-
l'interno»: dall'Ursatz derivano per successive Prolongationen
(estensioni) diversi « strati » della composizione , fino alla fac-
ciata esterna tramandata dalla partitura.
In Schenker teoria ed analisi sono strettamente connesse
alla valutazione estetica. Nelle opere che, da buon conservatore
musicale, ammira come « capolavori», deve necessariamente na-
scondersi un Ursatz: la teoria dell'Ursatz anzi non è che una
risposta al quesito circa le condizioni musicali che fondano la
grandezza dei « capolavori ». La tradizione che conferisce ad
un'opera tale qualifica viene rapportata alla teoria dell'Ursatz,
e questa viceversa alla tradizione. (Qualora in un « capolavoro »
he è incontestabilmente tale mancasse l'Ursatz, la teoria, secon-

ndo i peculiari criteri schenkeriani, sarebbe invalidata .) Se però ,


come in certe opere di Reger o di Stravinskij , non si riesce a
rovare un Ursatz nonostante ostinati sforzi analitici , Schenker
~on esita a pronunziare una condanna estetica. __.

r 2. L'analisi musicale, per dirla in termini banali , è mezzo n\


o fine; mira alla teoria, e ne rappresenta uno stadio prelimi- I
I nare, oppure cerca di render giustizia ad un 'opera in quanto
' creazione particolare, individuale. E la distinzione tra analisi
con intenti teorici e analisi con intenti estetici , quantunque
possa apparire pedantesca, non è superflua. Infatti non di rado
le analisi o i frammenti di analisi, soprattutto la descrizione
della struttura armonica e della tonalità, soffrono di incertezza
riguardo· al loro scopo, onde il sos etto che siano i ~ Le
analisi degne di questo nome sono o s orzi tesi a dimostrare
la validità di una teoria, della teoria delle funzioni o dei gradi
- ed in tal caso la possibilità di contrassegnare gli accordi in
maniera organica e di seducente semplicità mediante segni di
funzione o cifre di grado vale come elemento di prova e spiega
meno l'opera che la teoria - oppure tentativi di individuare
20 Premesse

i caratteri che distinguono l'armonia di un brano da quella di


e
un altro. Ed in tal caso non basta cifrare gli accordi lasciare
al lettore il compito di rilevare la peculiarità dell'armonia attra-
verso la serie dei segni; il carattere individuale delle strutture
e delle relazioni accordali va invece dimostrato appositamente
e reso esplicito mediante un'interpretazione dell'analisi, un'ana-
: lisi di secondo grado (le cui categorie non sono state ancora
IJ messe a punto). Se però - cosi si dovrebbe concludere - un~·
= ) G nalisi non serve né a dimostrare o a comprovare una teoria.

l:.-
né a fornire una trascrizione concettuale della peculiarità di
un'opera, è inutile: è solo applicazione di una terminologia
::} tecnica o di etichette, futile in quanto priva di scopo.

3. L'analisi . che mira alla teoria tratta un prodotto musi-


cale come documento, come testimonianza di una realtà ester-
na o di una regola la cui validità trascende il caso particolare.
L'analisi con intenti estetici invece concepisce il medesimo pro-
dotto come opera, entità in sé conclusa ed esistente per se
stessa. Ed alla differenza tra documento ed opera corrisponde ,
almeno in termini sommàri , la distinzione tra analisi di una
sola o di tutte le dimensioni della musica. Una teoria, senza
che ciò ne sminuisca l'importanza o la validità, può riferirsi
ad un aspetto parziale della musica, all'armonia o al ritmo; lo
deve anzi, se non vuol perdersi in un lavoro vano e senza fine .
Ma un'analisi che intende un prodotto musicale come « opera »
si rivolge sempre, o quantomeno tendenzialmente, alla compo-
sizione come totalità. Non per se stessa, ma in rapporto al
ritmo e alla sintassi musicale l'armonia costituisce l'oggetto di
un'analisi che procede puntando all'elemento individuale. La
peculiarità e il carattere individuale di un'opera, che sfuggono
ad un'analisi circoscritta unilateralmente all'armonia o al ritmo ,
si palesano solo se l'intreccio e l'interconnessione dei diversi
fattori vengono resi chiari ed intellegibili .

4. II(Dtilli?) e soprattutto l'armonia rappresentano l'oggetto


di teori nel senso ili puro el termine, mentre la teoria della
melodia e della forma tendono a risolversi in analisi di opere
singole . La divergenza, benché appariscente, è però di difficile
interpretazione. Una teoria della forma musicale che procede
, per generalizzazioni e per astrazioni si espone al sospetto di
essere arbitrariamente schematica e di distorcere la realtà dei
Premesse 21

fatti; ma un 'analoga tendenza alla schematizzazione si ritrova


anche nella teoria dell'armonia, senza che ciò le venga mosso a
rimprovero . E l'impressione, o il pregiudizio, che l'armonia sia
pili facilmente accessibile da parte della teoria , la forma invece
da parte dell'analisi, ha esercitato una vasta influenza sullo svi-
luppo dei metodi analitici. Per quanto possano ancora apparire
rudimentali, le categorie dell'analisi formale sono in realtà abba-
stanza affinate da consentire la descrizione di una forma indivi-
duale. Non si può parlare invece di sforzi tesi a realizzare un
procedimento di analisi armonica capace di altrettanta appros-
simazione alla particolarità musicale, e, per quanto grave, la
mancanza non viene neppure avvertita come tale .

Giudizio funzionale, estetico e storicizzante

Il fatto che un giudizio sulle opere musicali si basi su criteri


estetici non è cosi ovvio come appare ad un ascoltatore cre-
sciuto nella tradizione ottocentesca, che si estende per lungo
tratto anche nel nostro secolo. L'idea del giudizio estetico è
invece una categoria storica, dunque mutevole , la cui origine
non è anteriore al Settecento, e che negli ultimi decenni sembra
aver perso importanza. Nell'ambito della «musica antica» e
della « nuova musica », vale a dire di quelle epoche che il
linguaggio corrente distingue con tali grossolane etichette da
quel secolò e mezzo che per la coscienza comune rappresenta
l'età della «musica vera e propria », sono caratteristiche forme
di valutazione che si differenziano nettamente da quella este-
tica, e che potremmo indicare con le formule di « giudizio
funzionale » e « giudizio storicizzante ».

1. Il giudizio estetico gravita intorno all'idea del bello mu-


sicale, un 'idea oggi logora al punto che occorre un certo sforzo
della coscienza storica per ricostruire il significato che aveva
nel secolo scorso .. Tale concetto, se non si vuol farlo scadere
a categoria volgare, non va inteso in termini troppo angusti .
È significativo che nell'Ottocento, nei sistemi di estetica che
questo secolo produsse instancabilmente, si parlasse di un « bello
caratteristico » e si tentasse persino di coinvolgere il brutto,
come momento parziale, in una dialettica del bello. Ciò rivela
inequivocabilmente che il giudizio estetico non era condiziona-
22 Premesse

to da un concetto ristretto di «bellezza », ma che anzi, al con-


trario, tale concetto dipendeva dalla sensibilità artistica ed era
perciò inteso in senso assai ampio. E non sarebbe poi eccessi-
vo affermare che la categoria del « bello » svolgeva nel secolo
decimonono la medesima funzione che nel ventesimo è toccata
all'idea di « carattere artistico ».
r: e il giudizio estet,icg, per adoperare una terminologia~
\,!9~ si esprime sulla partecipazione o sulla non-partecipa-
zione di un'opera musicale all'idea del ~ellq_ - valuta cioè se
\un'opera è o non è arte nell'accezione classico-romantica del. •

~
rm.ine - i!.--~~~!J@iQ..~le , che prende le ~o~~-e da I
ob:1e categ~ne ~ hche pmtt?sto. che da enf~t1che. ~ate~
one platoniche, s1 attiene alla rispondenza e all 1done1!._a_ d LJ
I)._p!:ç>dQ.tUL.m.!dfilç~J~~llo s~R<2.,..S~.s;ys_r~ iun ere. In quel-
la che Heinrkh Besseler definiva Umgangsmusik (musica di
relazione) , il dato determinante è se risulti o meno utilizzabile
a un determinato fine. Sarebbe errato ad ogni modo definire
lo scopo della musica funzionale del Cinquecento e del Sei-
cento, della musica liturgica o della musica cerimoniale profana ,
sulla base del concetto angusto e immiserito di Gebrauchsmusik
(musica d'uso), nato solo alla fine del Settecento e nell'Ottocento
con la separazione della musica autonoma da quella funzionale .
Se si ravvisa nella « glorificazione » la funzione della grande arte
del Cinquecento, le composizioni piu idonee ed apprezzabili ri-
sultano la messa o il mottetto « d.i Stato » , che pure sono musica
« artificiale », e ciò proprio in base a criteri funzionali, a diffe-
renza da quanto comporta invece la moderna nozione di G e-
brauchsmusik.
Il ~,.gJ:k~.lJJs._infine , strettamente legato alla teoria
e alla pratica della nuova musica , contrappone ai concetti di
«bellezza » e « rispondenza», che erano a fondamento del giu-
dizio estetico e di quello funzionàle , la categoria di « adegua-
.JE.\1. » o di ~\.~_!!.t!~~), invero di ardua compre'flsl~
Per Theodor W. Adorno un 'opera musicale è « adeguata» se
nella sua struttura tecnico-compositiva è espressione« autentica »
di ciò di cui, metaforicamente parlando, « è scoccata l'ora» in
una prospettiva storico-filosofica . Il contenuto di una musica
che ha valore è dato non dalla storia empirica, ma dal signifi-
cato che questa riveste per la coscienza e per l'inconscio del-
, l'uomo. L'« adeguatezza» è dunque da un lato una categoria
tecnico-compositiva , dall'altro una categoria di filosofia della
Premesse 23

storia, un concetto nel quale è implicita l'idea che il dato tecni -


co-compositivo possa venir letto come segno storico-filosofico.
Tale concetto resiste ad ogni tentativo di definizione; lo si può
solo chiarire cercando di comprendere, mediante interpretazio-
ni e analisi, l'idea cui rinvia .

2 . Il modello cui si ispirava il giudizio funzionale era quel-


lo dell'artigianato, ed al concetto della funzione svolta da una
opera come mottetto liturgico o musica di danza si legava
strettamente l'idea di determinate norme tecnico-compositive
cui essa doveva o meno obbedire. Non che la parola ars, che
include il concetto di arte del Medioevo e dell'inizio dell'età
moderna , vada tradotta in ogni caso con « artigianato». Questa
moderna categoria infatti, come quella di arte, è il risultato di
una frattura per effetto della quale dalla fine del Settecento
l'unità indifferenziata che il concetto di ars implicava venne a
scindersi nel dualismo di arte e artigianato, realtà che si deter-
minano reciprocamente mediante la loro opposizione (e l'origi -
naria unità è ripristinabile men che mai attraverso un « artigia-
nato artistico», che tenta di cancellare la separazione). ·
Verso il 1800 alla sobrietà di una teoria dell'arte ispirata
al modello dell 'artigianato l'estetica contrappose un'entusiastica
proliferazione di categorie religiose. Herder, benché fosse un
teologo, non esitò a descrivere l'ascolto musicale come uno
stato di « devoto raccoglimento »; Wackenroder portò quest'ul-
timo al superiore livello di un'estasi, nella quale il sentimen-
talismo religioso del primo Settecento si mutava in quello este-
tico della fine del secolo. Le composizioni venivano esaltate
come « creazioni » , con una blasfema usurpazione, ed anche il
concetto di « contemplazione » p,osto da Schopenhauer al centro
della sua estetica ha manifestamente un'origine religiosa .
Il sentimento, un tempo elemento mediatore tra religione
ed estetica tendente a convertire i musei in templi e viceversa ,
nel nostro secolo sopravvive, ma genera il sospettò che si tratti
di una torbida commistione, di una deformazione sia della re-
ligione che dell'arte. D'altronde il ritorno al modello dell'arti-
gianato nel senso dell'antico, integrale concetto di ars , un pro-
getto che Hindemith tentò di realizzare e che lo stesso Stra-
vinskij considerò con simpatia, è una pura illusione che ricorda
piuttosto l'atteggiamento da maestro antore di Wagner che la >
realtà effettiva dèl sedicesimo secolo. Per questo i compositori
Q2' .!' 24 Premesse \

~ dell'ultima generazione hanno sostituito il modello della scienza ll\


~ '[! · a
quello dell'artigianato. L'evoluzione della tecnica compositi- J
é) v va appare ora un processo nel quale, analogamente al progre-
dire di una scienza, le opere si presentano come soluzioni di
~ problemi ereditati da opere precedenti, e ciascuna soluzione dal
0
~ " canto suo solleva altri problemi che verranno ripresi nelle opere
-- successive, senza che in tale circolo dialettico si possa scorgere
!J - una fìne . .,,;
:::>!.'.)i.._
3. Il presupposto portante di un giudizio funzionale , che
commisura un'opera al fìne che deve raggiungere, è una teoria
dei generi musicali robusta e consolidata in un sistema norma-
tivo. Prima che nascesse, alla fìne del Settecento, l'idea di una
musica autonoma, i generi erano infatti radicati nelle funzioni,
nel ruolo svolto dalla musica come accompagnamento di un
servizio liturgico, di una danza o di un corteo, sicché un giu-
dizio sulla misura in cui una composizione rispondeva all'idea
di un genere rappresentava nello stesso tempo ahche una valu-
tazione dell'idoneità dell'opera allo scopo cui era diretta.
Di conseguenza, se nella musica funzionale un'opera è prima
di tutto esemplare di un genere, esemplare che tocca la perfe-
zione quando incarna pienamente i caratteri del genere stesso ,
nell'Ottocento, l'era dell'estetica, sono all'opposto l'individua-
lità e l'originalità di un'opera a motivare la sua pretesa di arti-
sticità. E l'individualità, se da un lato trova certo nella tradi-
zione del genere, dalla quale der}va, un supporto ed una so-
stanza di cui può nutrirsi, dall'altro però cerca di non tener
conto delle norme e dei limiti del genere stesso, avvertiti come
impedimenti. Ma, come sarebbe grossolano individuare nella
deviazione dal modello del genere la misura dell'individualità,
è anche innegabile che a partire dall'Ottocento un'opera musi-
cale è oggetto di valutazione estetica non in quanto incarnazio-
ne di un genere, ma in quanto individuo che va compreso a
partir~ dai suoi peculiari ed irripetibili presupposti interni. Si
ha però l'impressione che nella nuova musica il concetto di
opera, categoria centrale dell'estetica ottocentesca, vada pro-
gressivamente perdendo la sua importanza. La critica storiciz-
zante, che, pur senza essere predominante, è caratteristica del
Novecento, intende un prodotto musicale non come opera iso-
Jata in sé conclusa, ma come documento di una tappa nello
sviluppo dell'attività compositiva, come momento di un work
Premesse 25

in progress. Non è determinante ciò che un'opera rappresenta


per se stessa nell'immediato presente estetico, ma la sua capa-
cità di inserirsi in maniera innovativa nell'evoluzione dei me-
todi compositivi e del pensiero musicale. Ed al limite le opere,
che cessano di esser tali, diventano superflue.

4 . La circostanza che un'opera divenga preda della «furia


del dileguare» oppure che, emergendo dal tempo della sua na-
scita , si fissi nella memoria e nel repertorio concertistico dei
decenni avvenire, costituisce uno di quei criteri tanto comuni
e banali da sottrarsi alla riflessione e da passare inosservati per
via della loro onnipresenza. Tuttavia l'ovvietà del criterio della
sopravvivenza è illusoria; in realtà si tratta di una categoria
storica, quindi mutevole. Nei secoli che consideravano una com-
posizione anzitutto come esemplare di un genere, non era l'esem-
plare a sopravvivere, 'bensi il genere in quanto complesso di
norme e consuetudini. Solo nell'Ottocento, quando le tradizioni
dei generi vennero gradualmente sgretolandosi, si affermò l'idea
che la sostanza dell'arte è l'opera individuale, irripetibile, e che
è questa quindi a dover essere tramandata. Massima espressione
della musica auta;noma, non legata a funzioni, è il pantheon dei
capolavori (Schenker se ne sentiva il custode contro le tendenze
disgregatrici del Novecento). E l'idea che un prodotto musicale
' si conservi come opera d'arte protendendosi oltre l'epoca della
sua nascita, in quanto presuppone l'enfatica concezione ottocen-
tesca dell'arte e dell '« opera », è compromessa dal dissolversi di
questa. I compositori di nuova musica sono allergici al suono
vuoto ella parola « arte » e quindi disdegnano di presentare
opere compiute. Ma il prezzo pagato per questo è la sventura
- ammesso che sia tale - che condanna le loro creazioni ad
essere morte e sepolte quasi al momento della nascita: una sven-
\V tura radicata 'nel loro senso, non una disgrazia accidentale. Il
divenir rapidamente preda dell'oblio è un carattere che l'avan-
1 l guardia ha in comune con la moda, ed a causa del quale la si
? L sospetta di essere moda essa stessa.
::J
5. Il mutamento delle forme di valutazione, il passaggio
dalla critica funzionale alla critica estetica e a quella storiciz-
zante, si collega ad un mutamento delle istanze da cui sono pro-
nunziati i giudizi che pretendono di essere significativi ed auto-
revoli. La critica che prende le mosse dalla funzione di un
26 Pre11resse

brano musicale è anzitutto appannaggio di coloro che stabili-


scono e tramandano destinazioni liturgiche e profane, quindi
dei committenti. Invece il giudizio estetico, la critica di opere
che si presentano come arte autonoma, compete al pubblico,
si tratti di quello vero o di un pubblico utopico, come quello
evocato da Wagner in un'inquietante visione nell'ultima scena
dei Maestri cantori. Nell'era dell'estetica il critico si presenta ,
almeno idealmente, come rappresentante del pubblico, e ne di-
viene il precettore solo se il divario tra pubblico empirico e
pubblico ideale, tra volonté de tous e volonté générale, si è
troppo accentuato. Il modello di critico tipico dell'Ottocento
era quindi quello del colto dilettante, quale lo incarnano Roch-
litz e Hanslick; non è un caso che compositori come Berlioz ,
Schumann o Hugo Wolf nello scrivere una recensione cercas-
sero di nascondere il proprio abito professionale ed assumesse-
ro l'atteggiamento del dilettante colto che disdegna l'analisi,
di cui non è capace, e la sostituisce con parafrasi poetizzanti.
Neppure una riga di Hugo Wolf rivela che sapesse leggere una
partitura.
Se quindi la critica estetica tende a conservare un'apparenza
dilettantesca , quasi fosse indelicato parlare del métier, all'oppo-
stb la critica storicizzante del Novecento, che analizza un'opera
come documento di uno stadio evolutivo del metodo di com-
posizione e del pensiero musicale, è costretta a portare in primo
piano l'elemento professionale, anche quando le premesse fos-
sero fragili. La valutazione 'estetica si trasforma cosi in una valu-
tazione tecnica, e gli sforzi di celare, per amore del lettore, l'irre-
frenabile tendenza al gergo specialistico dietro un proliferare di
metafore nulla muta nel fatto che questa critica è di fronte al
dilemma di non tener conto della natura del proprio oggetto
o di diventare esoterica come le opere di cui parla.

1
Analisi e parafrasi /PoET IZ2AtYr6''
La critica estetica praticata in forma di parafrasi poetizzan- ,
te , tipica dell'Ottocento, è paragonabile ad una moda appena
passata , che provoca derisione ma non è ancora abbastanza in-
Necchiata da divenire oggetto di giustificazione storica. Tale cri-
tica è un frammento di un passato senza vita, senza essere
Premesse 21

ancora storia. Tuttavia forse non è inutile ricostruire quale si-


gnificato avesse prima di logorarsi irrimediabilmente.
I presupposti dello stile critico poetizzante nella sua forma
originaria, autentica, erano da un lato la tesi dell'impossibilità
di una critica per le opere di bassa lega, un'idea che Schumann
condivideva con Friedrich Schlegel, dall 'altro la convinzione che
l'analisi tecnico-formale, per affinata che sia, non possa giungere
all'essenza della musica che, in quanto contenuto «poetico», si
rivela esclusivamente al sentimento. L'idea della poeticità mu-
sicale non va però confusa, se si vogliono evitare fraintendimen-
ti grossolani, con la tendenza ad attribuire alla musica un pro-
gramma letterario (se la « poeticità » traesse danno o giovamento
da un tale programma, era questione aperta). Per l'estetica del-
l'Ottocento, per la teoria dell'arte di Jean Paul o di Friedrich
Schlegel, cui facevano riferimento E.T.A . Hoffmann e Schu-
mann, la parola « poesia » aveva un duplice significato: da
una parte designava una specifica espressione artistica - accan-
to alla pittura, alla musica - dall'altro però rinviava ad una
essenza universale dell'arte comune alle diverse manifestazioni
artistiche. Nella terminologia romantica la differenza tra musica
« poetica » e « prosaica » veniva dunque a coincidere con quella
tra arte e non-arte, e la critica estetica aveva il compito pri·
mario di cogliere tale differenza. Quando Hoffmann e Schumann
esaltavano un brano musicale come « poetico » intendevano dire
che aveva carattere artistico o, con espressione carica di enfasi,
che apparteneva al « regno dell'arte». Indizio della « poetici-
tà » musicale era l'atmosfera « poetica » nella quale l'ascolta-
tore era trasportato da un brano, un'atmosfera per la quale ,
·ove fosse un critico, cercava la via dell'espressione verbale in
una parafrasi poetizzante. Viceversa la musica « prosaica » o
dozzinale, avvertita come cattiva musica senza che fosse neces-
sariamente «mal composta » in base a precisi criteri tecnici ,
non costituiva un oggetto per l'interesse critico in 'qùanto non
creava un'atmosfera poetica, punto di partenza e sostanza di
un poetizzare pieno di sentimento.
Tale poetizzare, per adoperare una formula, traduceva la
« poesia » intesa come quintessenza dell'artisticità della musica
in poesia in senso letterario, cioè come forma artistica partico-
lare. E non era determinante in quali metafore si perdesse la
fantasia poetizzante, il « talento delle immagini sonore>>, come
Heine lo definiva, ma piuttosto la capacità di un brano mus i-
28 Premesse

cale di creare una atmosfera che anelava ad esprimersi per mezzo


di una parafrasi, comunque inadeguata. Riflesso soggettivo del
contenuto poetico della musica, il poetizzare era vago e inde-
terminato, e doveva esserlo; acquistando la consistenza di un
programma, secondo la convinzione di Hoffmann e di Schu-
mann, ciò che si voleva cogliere sarebbe stato piuttosto distrut-
to che reso perspicuo.
Lo stile critico poetizzante era il rovescio di una diffidenza
per l'analisi che nell'Ottocento accomunava compositori (Schu-
mann come Wagner) e dilettanti. Forma e tecnica, l'elemento
« meccanico » della musica, come Schumann sprezzantemente
lo definiva, non dovevano esser posti in risalto , ma nascosti .
( La forma era considerata il lato esteriore della musica, o unl
mezzo che risponde perfettamente allo scopo se resta in ombra,
non diversamente dalla formulazione di una frase, che è perfet- 1
ta se si sa far dimenticare dietro il contenuto che comunic~
Nel Novecento però l'elemento «meccanico», sotto il nome
di « struttura », è assurto a dignità estetica; il postulato della

I trasparenza del mezzo è stato sostituito da quello opposto. Ed


il porre l'accento sulla struttura implica l'ammissione che l'ana-
lisi musicale coglie qualcosa di esteticamente essenziale. Nel
nostro secolo all'analisi tocca una funzione svolta nel prece-
dente dalla parafrasi poetizzante: quella di dare un fondamento ,
o almeno una spiegazione, al giudizio estetico che stabilisce
se un prodotto musicale sia o meno . « arte ».

Implicazioni morali

L'irrilevanza dell'elemento 'morale nell'arte sembra ovvia .


Dacché nella Critica del [!.iudizio Kant defini « disinteressato »
il giudizio di gusto, cioè la distinzione del bello dal brutto , se
ci si attiene al significato letterale dell'estetica rimangono esclu-
si dal suo campo l'interesse morale e quello conoscitivo . Certo ,
il problema della funzione della musica, della sua utilità o del
danno che può produrre, è ineludibile; tuttavia chi continua
ad occuparsene senza farsi persuadere che il problema è mal
posto avverte su di sé lo sgradevole sospetto di essere un rozzo
incolto .
• In verità, per evitare grossolani fraintendimenti , il giudi-
zio di gusto analizzato da Kant va distinto dal giudizio artisti-
Premesse 29

co, dalla critica relativa ad opere d'arte. Per Kant un'opera


d'arte non si esaurisce affatto nell'essere oggetto estetico, ma-
teria di un giudizio di gusto; in quanto comunica un conte
nuto, accompagna o rappresenta un'emozione o un'azione , essa
include anche degli elementi morali, che non cessano di essere
aperti all' « interesse » etico per il fatto di manifestarsi in una
opera d'arte. Nel pensiero kantiano il giudizio di gusto è sol-
tanto un momento parziale del giudizio artistico ; per quest'ulti-
mo , a differenza del primo, non si può parlare di « disinteres-
se». Le implicazioni morali dell'opera d'arte erano per Kant
non meno ovvie di quanto fossero per Schiller allorché questi
pronunziò la sua discutibile condanna di Biirger.
La separazione dei due elementi, che nemmeno nella teoria
è cosi netta come appare ad un rigorismo che si richiama erro-
neamente a Kant, nella realtà è del tutto fittizia. Da una mo-
rale che aspira ad intervenire nel corso del mondo non ci si può
attendere che rinunzi a se stessa per riconoscere all'arte un
dominio indipendente . Viceversa, un atteggiamento ispirato alla
concezione dell'art pour l'art tende sempre a divenire un este-
tismo che sostituisce il giudizio morale con quello estetico o
gli conferisce una coloritura estetica. Nelle riflessioni sul rap-
porto tra arte e morale si cade in un circolo dialettico: la deci-
. sione di negare a quest'ultima un diritto di veto in campo arti-
stico è essa stessa una scelta morale.
Come dunque sembra difficile , se non impossibìle, separa-
1
re rigorosamente nella realtà l'element~ da quell ""éStetièO)
' cosi non si può fare a meno di distinguere idealmente i ue
momenti ed analizzarne l'intreccio . E la discordanza che si do-
vrebbe esaminare e districare penetra fin nelle categorie fonda-
mentali dell'estetica, le quali a una riflessione attenta rivelano
la loro natura di concetti promiscui.
i
J 1. La categoria di originalità, divenuta istanza estetica de-
~ cisiva alla fine del SettecentO,implica da una parte, in quanto
contrapposta al concetto di imitazione e convenzione, il po-
stulato che un'o era d 'arte, per meritare questo nome, debb
essere nuova in modo sostanziale. Dall'altra al concetto di' « ori-
g~lit~ Originalitat), e specie a quello espresso dall'equiva-
lente di radice germanica, Urspriinglichkeit, si collega l'idea
dell'immediato e dell'irriflesso. L' « origine » del nuovo, cui il
termine « originalità » rinvia, viene ricercata nel semplice sen-
30 Premesse

timento . L'accordo tra le due componenti del concetto non è


però esente da incrinature. L'opinione che l'istanza cui si deve
il nuovo nella storia della musica sia il sentimento, non la ri-
flessione, è errata e preconcetta. Proprio le opere di quei com-
positori la cui originalità era manifesta, e per i contemporanei
persino sconcertante - ~ntèverdi, ~oz s~­
pèr quanto da un lato intensamente caratterizzate dalle passio-
.....!!!~ dall'altro appaiono_i!,lnegabilmente segnate dallariflessifue ..
Era la « sagacia » che Schiitz elogiava in onteverai.
Dal punto di vista estetico la diffidenza per la riflessione è
ancor meno motivata che da quello etico. Non di rado la filo-
sofia morale guarda con sospetto ai moti interiori non imme-
diati, legati alla riflessione, convinta che in essi l'impulso piu
immediato ed umano sia distorto da considerazioni pragmati-
che. Ma nella teoria dell'arte (e non parliamo qui dell'industria
della musica leggera, ove predomina un interesse pragmatico)
l'atteggiamento scettico verso quella riflessione che Jean Paul pur
elogiava come accortezza - un atteggiamento che accomuna
Schumann e Pfìtzner ai dilettanti che idolatrano l'originario -
appare conseguenza di una trasposizione scorretta. In genere
la prima idea è la piu irretita in pregiudizi, convenzioni, abitu-
dini e riguardi:) E non di rado j: un ,çalcolo a far si che un com~
\p ositore pòSsa metter fuori gioco il tradizionalismo che è in lui.

2. Piu chiare che nel postulato dell'odginalità le implica-


~ni morali del giudizio estetico si rivelano nel concetto di
« genuinità »J
che nella critica wagneriana del moralista Nietz-
sc e aveva un ruolo tanto decisivo quanto sospetto, e degene-
rò poi in un luogo comune adoperato essenzialmente per giusti-
ficare il provincialismo più gretto. Nell'estetica volgare, di cui
divenne il principio basilare, il « genuino » costituisce l'ele-
mento di contrasto e di opposizione rispetto all' « artefatto », al
calcolo estetico, indiziato di impostura. (Già Nietzsche tende-
va a sospettare un'illegittimità morale nell'apparenza estetica-
mente legittima ed a spacciare per argomento antiwagneriano
la tautologia per la quale il teatro è pur sempre teatro, anche
come Buhnenfestspiel o Buhnenweihfestspiel.) Nel concetto di
« genuinità », commistione di tratti estetici e morali, si intrec-
ciano in effetti elementi eterogenei ed anche contrapposti. Nel
linguaggio di chi ne fa una parola d'ordine il « genuino » rap-
presenta l'originale in confronto alla mera imitazione, ciò che
Premesse 31

si è sviluppato in una crescita lenta rispetto alla costruzione


rapida, aborrita come «meccanica», la sfera del sentimento
rispetto a quella della riflessione, ma anche il familiare rispet-
to all'estraneo, il vecchio e il tradizionale in contrapposizione
ad una modernità che appare un'« impostura » ad una diffiden-
za alimentata da mania di persecuzione. Se però il contenuto
del concetto è confuso , la sua funzione è ben chiara: si tratta
sempre, indipendentemente dalle sfumature e dalle diverse co-
loriture semantiche, di una categoria conservatrice e nascosta-
mente polemica. Ed in contrasto con la tendenza -a denunciare
l ' « artefatto » come « non genuino », la moderna poetica e la
moderna teoria dell'arte, i cui inizi risalgono a Poe ed a Bau-
delaire, riaffermano insistentemente il principio che le poesie
sono « fatte », e « fatte » precisamente non di sentimenti o
di idee, ma di parole, per riprendere i termini di Mallarmé ,
la cui estrema sensibilità fo rendeva incline ad una sobrietà
provgcatoria.~È anche caratteristico che i concetti di « calcolo ~» 1
o di « costruzione », espressioni ingiuriose per l 'estetica della
1 genuinità, ~ divenuti ~orie p~s~iv:r- - - - - -

3. Il critico letterario inglese Matthew Arnold, non senza


malanimo ma con significativa esagerazione, defini'. Kitsch l'arte
delle classi medie e « ciarpame » quella delle classi inferiori. La
differenza estetica si presenta come segno di una differenza SQ;.
s iarle. Senza affrontare il compito di precisare il ~~o dei
due termini - è sufficiente riferirsi all'accezione comune, gene-
rica - si impone un'osservazione: nel nostro secolo il giudizio
su questi due livelli dell'arte dozzinale si è modificato. Nell'Otto-
cento il Kitsch - il riferimento alle classi medie lo conferma -
veniva tollerato dal punto di vista estetico o anche annoverato
tra le realtà artistiche (esso costituiva in un certo senso la realiz-
zazione di taluni diffusi preconcetti sull'arte), mentre il ciarpame,
che mostrava palesemente i suoi tratti primitivi e volgari e d'altra
parte appariva variopinto e seducente, produceva un senso di
ripugnanza in cui si mescolavano motivi estetici, sociali e morali ,
e obbligava a prendere le distanze. el NoY..ec:e t ·nvece la
sensiJ>ilità allergica nei co11fronti del Kitsch è aumentata fino
al limite estremo di un'intolleranza nutrita di manie persecu-
torie; la creazione e l'affermazione del termine stesso da un
lato dà espressione alla diffidenza, dall'altro la acuisce. La cri-
tica del ciarpame si è attenuata in misura analoga , e per ragio
32 Premesse

ni diverse , non sempre concordanti. La distanza estetica rispet-


to all'avanguardia è divenuta cosi grande ed evidente da non
dover essere ulteriormente evidenziata; l'esistenza di una dif-
ferenza sociale è stata solo negata, non certo eliminata, giac-
ché l'educazione estetica si presenta come un privilegio goduto
con coscienza pili o meno cattiva; la dubbia o cattiva reputa-
zione morale dell'arte di bassa lega viene ritenuta irrilevante
dal punto di vista estetico , se non persino ostentata. Infine i
tentativi di realizzare una mediazione tra avanguardia e ciar-
pame musicale sono istruttivi proprio per la loro inanità: quanto
meno sono fondati e legittimati oggettivamente nella tecnica
compositiva tanto piu fanno risaltare in modo chiaro ed evidente
le tendenze morali e psicologico-sociali che li ispirano.

Categorie di filosofia della storia

Il concetto dell'opera musicale come « mondo a sé », quale


lo concepiva la teoria romantica dell'arte, implica l'idea che
una musica che raggiunge la classicità sia sottratta alla storia .
~'idea di un giudizio estetico che prescinda dal tempo nel quale )
l'opera è nata è però utopica in senso deteriore , è una carica-
tura del giudizio sub specie aeternitatis. Una critica che non si
accontenti di parafrasare « l'ah e l'oh del sentimento», per
usare le parole di Hegel, non può fare .a meno di categorie
come « nuovo » ed « epigonale » · senza rinunziare a se stessa
e condannarsi all'atrofia.
Tuttavia nella categoria del « nuovo », intesa in senso qua-
litativo e non puramente cronologico, non bisogna affatto in-
cludere tutto ciò che devia dall'abituale. La novità come cri-
terio estetico è una categoria alquanto intricata dal punto di
vista storico-filosofico .
In primo luogo a tale concetto si lega l'idea di un inizio , di
una cesura nel corso della storia che rappresenta - o sembra
rappresentare - una rottura con la tradizione . Le opere ed
i metodi compositivi che costituiscono una continuazione di
quanto esisteva precedentemente, e quindi nascono da una tra-
dizione in continua trasformazione; non vengono sentiti « nuo-
vi » nel vero senso della parola neppure quando portano dav-
vero lontano nella direzione del nuovo e dell'imprevisto. La
e novità, in Monteverdi non diversamente che in Berlioz o in
Premesse 33

Schonberg, implica un tratto d,/~iolenza e di desid~_d__L di-


struzione. ~
- In secondo luogo la novhà')non è pensabile senza attualità~
senza cioè che il nuovo si presenti come es2ressione di ciò per
cui, in una prospettiva storico-filosofica ~ è g blni a l'o~ Chi
si smarrisce in zone periferiche, come Josef Matthias Hauer,
è condannato al settarismo. (E sarebbe errato ravvisare nel con-
cetto di « setta » una categoria esclusivamente sociologica. Se-
r, condo criteri sociologici anche la « cricca di Schonberg », come
la chiamavano i suoi avversari, era una setta.) Se è vero che
sarebbe discutibile parlare di attualità a proposito di un avve-
1 nimento che rimane ignoto, e pertanto non è un vero e proprio
avvenimento, è anche vero che l'attualità dipende ben poco dal
successo (o da uno spettacolare insuccesso); a determinarla è
• sufficiente un vistoso (quindi in realtà fallito) boicottaggio. Dal
1910 nessuno, neppure un ostinato conservatore come Alfred
Jf Heuss , dubitava dell'attualità della musica di Schonberg, della
quale si percepiva perfettamente l'importanza anche quando ad
essa c1 s1 opponeva.
In terzo luogo, nella retrospezione storica un'opera o un
avvenimento appaiono nuovi olo quando si può attribuir loro
un'efficacia che si protra(2!!.~)l pr~n!_e;) oltre l'immediatezza
dell'attualità. Senza Monteverdi, che èlai rudimentali tentativi
)
della Camerata trasse delle conseguenze compositive che fecero
v di lui il vero creatore dell'opera, genere fondamentale dell'epo-
t ca, la favola per musica fiorentina sarebbe rimasta un esperi-
) mento periferico, uno degli innumerevoli tentativi cinquecente-
schi di ripristinare la musica antica, fossili pietrificati di un entu-
siasmo mal impiegato.
La nozione di epigon~ antitesi e sfondo di contrasto
rispetto a quella di novità ed originalità, è una categoria del-
_l 'Ottocento che ben difficilmente avrebbe potuto esser compre-
sa nelle epoche precedenti. L'imitazione di modelli, la copia sti-
listica, che nell'epoca dell'estetica del sentimento erano esposte
al sospetto estetico-morale di « inautenticità », di lavoro di rou-
tine in senso deteriore, venivano ritenute fino all'inizio del
Settecento tanto legittime quanto indispensabili. Erano anzi
segno della solidità dei fondamenti tecnici della musica e del
devoto attaccamento alla tradizione piuttosto che indizio di un
disonorevole difetto di idee proprie .
L'epigonismo è il tradizionalismo divenuto sospetto. E la
34 Premesse

circostanza che nell'Ottocento sia caduto in discredito, segnato


con l'etichetta di «musica da Kapellmeister », si deve alle tra-
sformazioni dell'idea stessa di opera musicale. ei7ecoli pre-
,,___éedenti, quando sotto il dominio delle tradizioni dei generi la
singola opera veniva intesa prioritariamente come esemplare
del genere alle cui norme obbediva, la dipendenza da modelli
era un fatto naturale. Ma appena un'opera si presenta non pili
come esponente di un genere, ma come creazione individuale,
irripetibile, l'imitazione cade in cattiva luce come inosservanza
del postulato dell'irripetibilità.
Ambivalente e duplice è il rapporto dell'epigonismo con lo
storicismo inteso da un lato come pratica musicale e dall'altro
come forma di pensiero, vale a dire con la storicizzazione del
repertorio concertistico ed operistico da una parte e con l'affi-
namento della coscienza storica dall'altra. Per un verso epigoni-
smo e storicismo sembrano escludersi a vicenda o entrare in
contraddizione. Con la storicizzazione della pratica musicale,
I con la sopravvivenza pressoché ininterrotta della musica antica ,
~ 1...Jll_Sua imitazione diviene superflua: \ se le opere di Beethoven,
J. benché espressione di un passato ormai estinto, dominano la
O vita musicale del presente, non c'è posto per degli epigoni di
~ Beethoven, che sarebbero solo delle ombre. Nella medesima
Z.. direzione agisce la coscienza storica, in quanto consapevolezza
.J dell'estraneità del passato. Quanto pili rigorosa si sviluppa la
sensibilità per le differenze storiche, per ciò di cui di volta in
volta « è l'ora », tanto più sensibilmente essa reagisce alla
E ...
{ -;.non-contemporaneità » delle presenze epigonali .. Ad uno sto-
rico che non voglia trasferire al passato le abitudini di pen-
siero del presente non potrebbe non risultare sospetto, per con-
verso, anche l'indebito estendersi del passato nel territorio del
\J) presente .
.J Per un altro verso storicismo ed epigonismo si intrecciano
J ..:: e si puntellano a vicenda. La presenza massiccia di opere del
>4. - passato nel repertorio del presente rende superfluo l'epigoni-
(.j ,. smo, come s'è accennato, ma nello stesso tempo lo stimola.
::;::: Se nel Seicento e nel Settecento l'imitazione dei modelli non
n era molto fedele già per il semplice fatto che non si aveva una
Ql. ~ conoscenza granché esatta degli originali - scomparsi con poche
....... eccezioni dalla pratica esecutiva - nell'Ottocento invece la mu-
....J 'Vl sica delle epoche precedenti era tanto familiare ai compositori
C-C \i ' che essi, perlomeno i pili deboli, finivano involontariamente
Premesse 35

per ricadere nel consueto anche quando tentavano di allontanar-


se~Nessuno può sottrarsi all'~njpres~a~l 2assato musi-1 1
) ca e. E nell'Ottocento la coscienza storica non fu so o ai osta-
col<( ma anche di stimolo per l'imitazione stilistica della musica
pili antica. L'entusiastica ammirazione del passato musicale ,
un'ammirazione che non badava alla sua estraneità, anziché
generare la convinzione dell'impossibilità, dal punto di vista sto-
rico-filosofico, dei tentativi di restaurazione, faceva nascere della
simpatia nei loro confronti.
L'epigonismo , la dipendenza da modelli canonizzati , va di-
stinto da ciò che è antiquato e talora sopravvive tenacemente
ai margini di un'epoca musicale, dopo esserne stato rimosso dal
centro. Il primo implica la mancanza di seguito sul piano sto-
rico - se si prescinde dagli epigoni degli epigoni - mentre
l'« antiquato», apparentemente condannato dalla storia, non
di rado con repentino mutamento è stato reinterpretato come
moderno o riscoperto nel suo valore per il futuro.
Un esempio di tale trasformazione è offerto dal moderno
contrappunto « licenzioso » dell'inizio del Seicento, oggetto della
teoria retorico-musicale delle figurae. Nel quindicesimo e nel
sedicesimo secolo l'evoluzione del contrappunto presenta , nelle
espressioni pili significative della storia della musica, un orien-
tamento restrittivo : la limitazione e la regolamentazione del-
l'uso delle dissonanze erano ritenute fattori di progresso, non
di arretramento. Il rigorismo di un Tinctoris o di un Gaffurio
costituiva una teoria avanzata, non ritardataria. All'inizio del
Seicento, invece, la contravvenzione alle vecchie regole diven-
ne criterio del moderno contrappunto: le deviazioni dalle norme
erano legittimate come strumento per un'illustrazione del testo
intensamente espressiva, come « figure » retorico-musicali . Nel
periodo di transizione però le due tendenze si mescolavano ed
a volte, in compositori come Byrd o Morley, è ben difficile
stabilire se una figura dissonante sia « ancora » arcaica o « già »
moderna.
Per citare un esempio assai diverso, ambivalente era anche
la posizione storica di Schonberg negli anni in cui il neoclassi-
cismo determinava l'attualità del panorama musicale. Retrospet-
tivamente si può convenire che negli anni Venti e Trenta non
era infondata l'opinione dominante che riteneva « antiquata »
la musica schonberghiana in quanto « stadio finale del roman-
ticismo »; il mutamento di giudizio registratosi negli anni Qua-
36 Premesse

ranta si presenta allora come una reinterpretazione che confe-


risce valore di modernità a quanto dapprima era ritenuto anti-
quato. In alternativa si può supporre che i procedimenti com-
positivi di Schonberg fossero « al passo con i tempi » anche negli
anni Venti e Trenta, e che la rappresentatività storica del neo-
classicismo fosse solo apparente e illusoria.

Estetica e ricerca sulla recezione

Quegli scettici che si ostinano a dubitare della possibilità


di un giudizio estetico obiettivo, basato sulla realtà fattuale ,
d 'altro canto, quasi fossero stanchi e disgustati della loro stessa
scepsi, ripongono a volte una cieca fiducia nelle prospettive di
una ricerca empirica e « priva di presupposti » sulla recezione.
Per dirla in termini radicali, l'estetica, indiziata di deviazioni
metafisiche, deve essere eliminata o sostituita dall'indagine sulla
recezione della musica. Ma, se è errato non riconoscere la ragion
d'essere e l'utilità di una ricerca del genere, è altresi evidente
che questa, per non cadere nell'assurdo, deve basarsi sull'este-
tica (ed in ogni caso sarebbe difficile accettare la soluzione
del nodo gordiano come modello del lavoro scientifico) .

1. Il metodo della ricerca sulla recezione consistente nel


raccogliere e nel censire le opinioni sulle opere musicali deve
muovere, per non perdersi nel vuoto, dal presupposto che i
giudizi estetici si basino su percezioni musicali tra loro suffi-
cientemente simili. Ma tale ipotesi , come può mostrare anche
l'analisi piu superficiale, è fragile se non addirittura fantasiosa .
Le abitudini d'ascolto sono troppo diverse perché si possa af-
fermare che una statistica basata sulla selezione casuale di un
campione costituisca una raccolta di opinioni sul medesimo
oggetto. La comparabilità e la possibilità di un rilevamento nu-
merico sono condizkmi non già date, ma da realizzare prelimi-
narmente . Poiché le produzioni musicali sono oggetto di una
recezione « artificiale » mediata dalle tradizioni culturali, e non
di una recezione « naturale » , le analogie e le differenze tra
le percezioni dipendono dal livello di penetrazione nella strut-
tura della musica. E senza un'indagine almeno sommaria che
accerti quale giudizio di fatto stia alla base di un giudizio este-
tico sulla musica, quest'ultimo non è statisticamente rilevabile.

,I
Premesse 37

2. L'indagine sulla recezione considera scomoda e sospetta


l'idea - per nulla «metafisica » - di un ascoltatore « quali-
1ìcato », il cui giudizio estetico si basi su un giudizio di fatto
sufficientemente adeguato, perché sarebbe costretta a riprender-
la dall'esterno, dalla teoria dell'analisi o dall'estetica. Perciò
tende ad interpretare la differenza tra gli ascoltatori che com-
prendono forma e struttura di un'opera e quelli che non la
comprendono come semplice differenza di « norme di gruppo »,
ed in un certo senso a sbarazzarsene. Ma la tesi che la « norma
di gruppo » degli ascoltatori di canzonette, ai quali· le sinfonie
di Beethoven paiono noiose e confuse, abbia il medesimo di-
ritto all'esistenza di quella degli ammiratori di Beethoven, che
ritengono monotona e banale la musica leggera , è « metafisica »
quanto la tesi opposta (naturalmente non è qui in discussione
un diritto all'esistenza in senso sociale) . L'apparente « mancan-
za di presupposti » è un miraggio: in realtà all'aborrito pre-
giudizio « aristocratico » l'indagine sulla recezione sostituisce
un pregiudizio « democratico », senza rendersi conto che si
tratta pur semprè di un pregiudizio, cioè la convinzione che
tutte le valutazioni, anche le più estranee alla cosa , siano este-
ticamente equivalenti. Il risultato è una semplice registrazione
di opinioni. Che l'indagine « quantitativa » sia superiore a quel-
la «qualitativa», e che rappresenti un progresso sul piano me-
todologico, per l'estetica non è cosi certo come per le scienze
naturali , modello emulato dalla ricerca empirico-statistica sulla
recezione.

3. Finché cerca di evitare l'estetica , l'indagine sulla rece-


zione soffre del difetto - o della mancanza di chiarezza -
che le viene dal raccogliere e dal censire opinioni senza averne
determinato a sufficienza l'oggetto . Essa lascia irrisolta la que-
stione se l'opera presentata ai soggetti-campione vada intesa
come semplice struttura di stimoli sonori o come oggetto este·
tico. La seconda ipotesi implicherebbe che un ascoltatore inca-
pace di cogliere un oggetto estetico sia da scartare come sog-
getto-campione . D'altra parte il ripiegare verso la semplice strut-
tura di stimoli sonori, soluzione cui inclina la ricerca sulla rece-
zione per non smarrirsi nei labirinti dell'estetica , non è affatto
«neutrale». La dissoluzione della forma in un insieme di sti-
moli isolati, giustapposti come macchie di colore, è anzi contras-
segno di ciò che in musica è volgare e dozzinale e dell'ascolto
38 Premesse

banalizzante. Una teoria che fa ricorso alla concezione della


musica come mera struttura di stimoli senza prendere in consi-
derazione la riuscita, il fallimento o l'assenza di un tentativo di
comprensione , è quindi una segreta apologia del dozzinale piut-
tosto che una indagine « priva di presupposti » sulla recezione .

4. La tesi che in un gruppo di soggetti-campione selezio-


nati casualmente le abitudini d'ascolto ed i relativi presuppo-
sti sociali siano troppo diversi perché alla radice dei giudizi
estetici vi siano percezioni musicali sufficientemente simili, offre
il fianco all'obiezione che la « polivalenza » è un carattere tipi-
co della grande musica. Questa potrebbe essere ascoltata a di -
versi livelli di comprensione senza che, al piu basso, il senso
e l'effetto vadano perduti. Opere come Il -flauto magico o La
creazione sarebbero destinate ad ascoltatori sia « ingenui » che
« riflessivi » . Tuttavia tale argomento, benché sembri convin-
cente , è valido solo a metà. Il criterio della « polivalenza » in-
fatti è storicamente circoscritto nella sua rilevanza e nella sua
portata, ed appartiene all'età del classicismo. Nel romantici-
smo il rapporto tra il momento della musica proiettato verso
l 'esterno e quello riflessivo, esoterico , divenne un problema ,
ed in Liszt perfino un dilemma. Nella nuova musica poi l'unità
tra l'elemento accessibile a tutti e quello esoterico, nonostante
gli sforzi incessanti compiuti per ripristinarla , si è infranta del
tutto e, a quanto paré, in modo definitivo. L'immagine di uria
classicità della nuova musica sarebbe internamente contraddit-
toria. E l'estensione del criterio della « polivalenza » alla mu-
sica dell'ultimo Ottocento e del Novecento costituisce una in-
debita generalizzazione ed una sollecitazione all'abuso polemico
di tale categoria. Tutti riconoscono che l 'età intorno al 1800
ha rappresentato per la storia della musica tina stagione felice ,
ma vi è ilrischio , non trascurabile , che la nostalgia per il per-
duto si volga in malanimo verso il presente.
Capitolo secondo

Criteri

Logica del giudizio estetico

Il linguaggio dei giudizi estetici è spesso impreciso e con-


fuso . Ai puristi della logica, ossessionati dall'idea di racchiudere
in definizioni univoche tutti i concetti di cui s'impadroniscono ,
è precluso l'approccio all'estetica e alla sua storia, che porreb-
bero loro un compito disperato. La terminologia versa in uno
stato di confusione totale, che cresce sempre pili con l'introdu-
zione di quei neologismi e di quelle definizioni rigorose che
dovrebbero invece porvi rimedio; e nel lamentare tale situazione
gli storici della musica esprimono, attraverso quello che è ormai
un luogo comune , la loro consapevolezza dei limiti epistemolo-
gici della disciplina, senza peraltro saper indicare una soluzione.
Lo storico, cui certo spetta l'analisi dei concetti equivoci, non
può e non deve però cercare di costringere alla precisione termi-
nologica il linguaggio tradizionale dell'estetica impoverendone e
restringendone i contenuti, perché esso è un documento storico
anche nelle sue lacerazioni e fratture .

1. Il concetto di « originalità », che già dal tardo Sette-


cento è una delle categorie portanti dell'estetica, ha un duplice
significato; e, come si è visto, i due momenti in esso compresi
- l'idea dell'immediato e dell'irriflesso e quella del nuovo e
dell'imprevedibile - non sempre risultano compatibili. Il ten-
tativo di ridurre questo concetto impreciso ed eccessivamente
comprensivo a una definizione pili ristretta e univoca sarebbe
però per lo storico fatica sprecata. L'idea dell'originalità, infatti ,
ebbe un peso rilevante nella storia della musica proprio in que-
sta sua ambiguità, e un uso « moderno » del vocabolo che pre-
- scindesse dal suo significato storico in nome della logica ridur-
rebbe il concetto all'ombra di se stesso.
40 Criteri

Ancora pili complesse sono le implicazioni dell'idea di « au-


tenticità », categoria estetica tanto discutibile quanto irrinun-
ciabile. In essa si fondono aspetti diversi ed eterogenei: la cri-
tica contro chi segue modelli preesistenti, degradato al rango
di epigono e quindi esteticamente sospetto; l'aspettativa che la
musica esprima il sentimento spontaneo del compositore; l'idea
di un lavoro artistico affidabile, con solide fondamenta, sottrat-
to ai mutamenti della moda, incline all'impostura; infine l'at-
taccamento alla tradizione di un certo genere musicale, alla
forma « autentica » del Lied o della musica sacra. Tale idea è
palesemente gravata da molte contraddizioni; ma con ciò non
perde nulla del suo significato, e lo storico non dovrà eliminar-
le o risolverle restringendo il campo semantico del concetto,
ma intenderle come testimonianze di un'epoca nella quale non
a caso proprio I'« autenticità » assurse a parola d'ordine del-
1'es tetica.

2. Può accadere che la medesima scelta stilistica\ tecnico-


compositiva - ad esempio l'adesione ad un moaello tradizio-
nale o viceversa l'abbandono delle convenzioni formali e di
genere - susciti giudizi estetici opposti ovvero variamente
sfumati: ne risulta una confusione cui non sembra possibile
porre rime9jo.!La dipendenza di opere musicali da modelliaai
[ imitareo emulare può essere apprezzata in quanto espressione
(;t di un saldo senso della tradizione, ma anche criticata come \
) 5..' atteggiamento epigonale, che tenta di sottrarsi alle esigenze es te-
a-::; ~ tiche del proprio tempo':'\ Il collegamento e l'intreccio afpre-1
T- f messe tecnico-compositive e stilistiche eterogenee viene accolto
gj di volta in volta come sintesi ben riuscita o come in_çoerente
1...1 eclettismo esteticamente ingiustificato :-E nori è difficile opporre
<J,. lj)( al verdetto -di chi polemicamente accusa di «frammentarietà»
la « forma aperta » di un'opera aliena dai · modi tradizionali il
giudizio entusiastico di chi saluta le forme « frammentarie »
come « aperte ». ~
4.. Sembra insomma mancare una regola che consenta di distin-
guere l'opera legata alla tradizione da quella pedissequamente
epigonale. Si può comunque limitare l'arbitrarietà della valuta-
zione se si cerca di storicizzare i criteri che sembrano contrad-
dirsi, restringendone in questo modo la portata. La categoria
di epigonismo diventa cosi, come si è visto, caratteristica del-
l'Ottocento e non trasferibile tout court alla musica dei secoli.
l'V'" h- Criteri 41
4" I Ct leR.' < .- ,.,
precedenti; viceversa, tradizione e senso della tradizione, dati
ovvii per la musica del Seicento e del Settecento, nell'Ottocen-
to divennero oggetto di riflessione e obiettivo di programmi
restaurativi, poiché li si vedeva minacciati.
In modo_ analogo_ si dovrebbero storicizzare tutti gli altri
criteri Una sintesi di elementi Cli diversa tradizione on è sem-
pre possibi e e sensata:-:E propria sop-rat tutto el1i epoche di
classicismo musicale - come il Cinquecento o il tardo Sette-
cento - nelle quali essa sembra riuscire senza quella forzatura
che è quasi sempre un segno di sterilità. Invece in epoche lon-
tane dal classico e dalla classicità, come il nostro secolo, si ha
ragione di diffidare quando si sente parlare di sintesi (di cui non
vi è certo penuria) e di sospettare che con questo termine pre-
tenzioso (comunque logoro per l'abuso) si voglia semplicemente
mascherare un banale « eclettismo ».

3. Solo di rado i \:giteri estetici] possono essere isolati tra


loro senza perdere di importanza e connotazione valutativa. Essi
non sono del tutto autonomi, ma rivelano il loro significato e
la loro portata soltanto in un contesto argomentativo in cui si
completano, si sostengono, si limitano e si contrastano a vicen-
1da. Isolati, si trasformano davvero in quegli schemi imprecisi
e incomprensibili che i detrattori dell'estetica musicale identifi-
cano con i concetti stessi.-
r- Cosi, per esempio, a ricchezza di collegamenti on sempre
è rilevante per il giudizio-e5tetico, ma solol1eC casi in cui le
2arti collegate sonÒ nettamente diverse. In una mèloèlia ai scarsa
pregnanza sembra chè tutte e parti siano collegate; jn realtà non
si tratta di ricchezza di nessi, ma di mancanza di differenze. La
ricchezza di colle~ è èfunque un criteno estetico valido
solo come controparte della fisionomia netta e ben caratterizzata
delle parti da collegare.

4. La ricchezza dr collegamenti motivi~ una qualità che


può essere rilevante per la valutazione estetica (senza peraltro
esserlo necessariamente), ma ciò non 2!_gnifica che la loro man-
canza sia comunque un difetto (le connessioni musica i infatti
possono essere realizzate an che con altri mezzi). L'assenza di
~erio non obbliga affatto a ribahare il giudizio. Una valu-
tazione negativa - cioè la critica dellélacune nei collegamenti
o nell'integrazione - si giustifica invece solo se si può dimo-
42 Crìteri

strare che quanto manca sarebbe stato esteticamente necessario


come integrazione o controparfe di una data caratteristica. Una
integrazione scarsa o debole in un testo musicale non costituisce
di per sé un difetto tale da compromettere il valore estetico del-
l'opera; lo diviene solo se il testo è al suo interno molto diffe-
renziato , e richiede quindi un'adeguata compensazione.

5 .l I criteri estetici non costituiscono mai, n[ i~lati né Ì


collegati, una base sufficiente per un giudizio su un'opera mu :_}
sicale. / Ogni tentativo di dare alla critica musicale un fonda-
mento integralmente razionale è destinato a naufragare o a ca-
dere in una stravaganza settaria. Non vi sarebbe però nulla di
più sbagliato che dedurre dalla limitatezza e dall'insufficienza
di una critica razionale la sua impotenza e la sua resa all'irra-
zionalità del gusto. Non c'è nessun motivo di lasciarsi intimi-
dire dall'arroganza di un irrazionalismo che si annida nei vuoti
della conoscenza per poi proclamare trionfalmente che proprio
quel residuo oscuro precluso all'analisi razionale è l'unico ele-
mento decisivo. Se cedesse all'ostilità per la ragione e la rifles-
sione l'estetica segnerebbe la fine della sua stessa esistenza.

Musica « mal composta » e « Trivialmusik »

Chi pensa che la Trivialmusik , la «musica dozzinale » , set-


tore che si estende dalla pièce de salon alla canzonetta, dall'ope-
retta di livello inferiore alla musica d'intrattenimento, si riveli
alla prova dei fatti « mal composta », e che basti scoprirne i
difetti tecnico-compositivi per poter rinfacciare alla musica
« bassa » la sua pochezza estetica, sì fa sviare da un pregiudi-
zio errato o qqantomeno pecca di esagerazione. Si può aborrire
l'Ave Maria di"Gounod per il cattivo gusto della sua religiosità
salottiera, e ci si può scandalizzare per l'uso indebito del Prelu-
dio in Do maggiore di Bach: ma da un punto di vista tecnico-
compositivo l'Ave Maria è ineccepibile, e chi la liquida come
opera ~< mal composta » tradisce una prevenzione estetico-mo-
rale che offusca e distorce il giudizio di fatto sulla musica.
L 'Ave Maria, proprio come la produzione teatrale di Scribe ,
è una di quelle piéces bien faites per le quali non ci si dovreb-
be accalorare: lo sdegno sarebbe ingiusto per un'opera tanto
riuscita , ma anche sproporzionato alla sua modestia.
Criteri 43

Il concetto della « buona qualità compositiva » non ha però


in tutte le epoche il medesimo signifìcato, e proprio nel secolo
scorso divenne confuso e vago. Non solo il codice tecnico-com-
positivo, ma anche l'importanza attribuita alla « buona compo-
sizione » va soggetta a mutamento nel corso della storia: se nelle
epoche precedenti il compositore doveva semplicemente rifarsi
a modelli dati, nel tardo Settecento la fedeltà alla convenzione
esponeva alle accuse di epigonismo e pedanteria.
Seguendo quindi alla lettera le regole apprese al conserva-
torio il compositore non preserva necessariamente la sua opera
dalla banalità e dal cattivo gusto; d'altra parte non occorre che
un brano musicale, per essere riconosciuto signifìcativo, debba
sempre soddisfare il requisito della « buona composizione ». O
meglio: nell'Ottocento il concetto della « buona qualità com-
positiva » non è pili cosi nettamente defìnito come in passato .
Sarebbe senza dubbio fuori luogo giudicare le opere di Berlioz
e Liszt secondo regole desunte da Cherubini. Non si può dire
però se con la rivoluzione provocata nella storia della musica
dalla Symphonie fantastique di Berlioz venissero fìssate regole
della « buona composizione » nuove e opposte alle precedenti ,
o se piuttosto la categoria della « buona composizione » per-
desse la propria rilevanza estetica. Nell'Ottocento gli apologeti
della « musica del futuro » potevano scegliere sia di abbando-
nare il concetto del « ben composto » ai conservatori, ai « can-
tori», come li defìniva Schumann, sia di avanzare pretese su
di esso e di usurparlo utilizzandolo per le composizioni del-
1'avanguardia; e si trattava in effetti di un'usurpazione in quan-
to1l'i0ea a1un progresso inarrestabile coltivata dalle avangw r- '
die non è conciliabile con quella tendenza al consolidamento
I delle acquisizioni tecnico-compositive senz~ l_a quale non si può
t fìssare una norma della «buona compos1z1one ». I concetto
paradossale della norma individuale, il postulato secondo cui
l'opera d'arte va giudicata solo secondo criteri propri e ad
essa intrinseci, segna il superamento della categoria del « ben
l composto »_nel senso _tradizi911ale_dtll.'..espressio~
L'ambito del «ben composto», ineccepibile al punto di
vista del mestiere musicale e delle sue regole, ma discutibile e
persino insignifìcante dal punto di vista estetico, si estende dalle
danze e marce di « solida fattura» (una questione di coscienza
nell'Ottocento e nel primo Novecento) alla Gebrauchsmusik
liturgica, che riprendeva con devozione lo stile del Palestrina,
44 Criteri

quasi che evitando dissonanze di passaggio sui tempi forti si po-


tesse esprimere musicalmente la purezza e l'ascesi. L'indiscussa
legittimità estetica che lo stile palestriniano conservava nel di-
ciassettesimo e nel diciottesimo secolo come « stile antico », è
entrata in crisi nel diciannovesimo, con l'avvento della concezio-
ne romantica dell'arte. Certo, la venerazione estetico-religiosa
per la musica antica spingeva all'imitazione e al devoto ricalco
stihstico, in cui la purezza della disposizione d'animo si doveva
rispecchiare in quella della composizione. D'altra parte, tuttavia ,
l'imitazione e la fedeltà al modello erano divenute esteticamen-
te sospette, in quanto contravvenivano al postulato dell'origina-
lità e dell'espressione musicale indiv~uale. r E i proèlott" dl:
movimento cec iliano , che dogmatizzò Io stile palestriniano, con-
divisero la sorte di quella musica da salotto e da ballo che ne
era agli antipodi: caddero nel banale, divennero musica di ge-
nere, musica dozzinale, certo « ben composta » ma non per
questo eno severamente giudicata « catti~ __....-
La nozione estetica e quella tecmca i musica « buon~ » e
«cattiva » non _fS>incidon.2_ pJY, anzi diventano radicalmente di-
ver~nti. a a questo punto ci si potrebbe chiedere se un rana
in stie palestriniano, una messa o un mottetto in « stile anti-
co » possano essere ancora intorno al 1900 musica « ben com-
posta »: si tratta davvero di composizione nel vero senso della
parola o non piuttosto di un prodotto scolastico, di cui si può
dire , come di certe opere letterarie, che nasce dallo spirito della
grammatica e non da quello della poesia? È davvero inevitabile
l'alternativa fra i due concetti di «ben composto », quello che
si rifà alle norme prestabilite, sclerotizzate in convenzioni, e
quello che, all'opposto, si fa sinonimo dei procedimenti com-
positivi dell' avanguardia di turno, di cui solo retrospettivamen-
te si potranno stabHire i protagonisti ?'"P;:i·ò- una musica emar:;-r
cipata dalle tradizioni , sottratta al codice delle regole del pas- }
sato, essere comunque «ben composta » secondo criteri tecnico-
compositivi e non solo in senso genericamente storico-fìlosofìco , \
per .il fatto che è ~appa3/ alla testa dell'evoluzione della
us1ca? ~ -~
sempio paradigmatico di una musica nuova e contraria alle
regole, ma subito salutata come «ben composta », sono le
opere di Debussy, l'« anti-dilettante » che per essere rivolu-
.zionario non fu meno avverso allo sconnesso e all'incoerente.
Le sue opere appaiono tecnicamente inattaccabili anche perché
Criteri 45

le deviazioni dalle norme tramandate non hanno l'effetto di


fratture isolate all'interno dei modi tradizionali (come quel ri-
volto dell'accordo di nona nella Verklarte Nacht di Schonberg
che scandalizzò una giuria viennese), ma sono strettamente
collegate, tanto da formare un « sistema». Con un paradosso
si potrebbe dire che ciò che costituirebbe un difetto tecnico
ed estetico, se applicato isolatamente o sporadicamente, trova
una legittimazione grazie all' « eccesso », all'insistenza con cui
ricorre e alla connessione con gli altri elementi della composi-
zione. a trasgressiOrle'"'è piu va 1aa este 1camente se è profm
a, ecisiva e coerente piuttosto che limitata e priva di conse-
guenze: questo è uno dei motivi per cui nella nuova musica il
« moderno moderato » appare piuttosto un'esitazione inutile
che espressione di quel buon senso che Jean Paul considerava
la massima · ' es etica.
a musica che contravviene alle rego~consolidate della
«buona composizione», quindi, per avereJ.:'alore estetic deve
I
quantomeno essere avanzata aa un punto <li v ista sti istico
~elusa e compatta sul piano tecnico-:C~si ·v Viceversa,
è brutta o mal riuscita quella musica in cui le trasgressioni alle
norme tecnico-compositive rappresentano un regresso e costitui-
scono dettagli non inseriti in un contesto, strappi aperti a caso
nella trama musicale . Può accadere che queste caratteristiche \
proprie della « cattiva musica » siano dovute non a imperizia
o trascuratezza, ma ad una ricerca consapevok.. dL effetti calco-
lati. Ma ciò non deve trarre in inganno: \la stu idità in musica
non cessa di essere molesta o intollerabile nemmeno se intesa
come cinismo mascherato.
La nascita della Trivialmusik, che, pur non essendo «mal
composta», è soggetta a un giudizio estetico negativo, rappre-
senta il rovescio dell'enfatica concezione romantica dell'arte.
Nella misura in cui Wackenroder e Tieck, E.T.A. Hoffmann e
Schumann elevarono la dignità metafisica della musica ad altez-
ze vertiginose, tutta la produzione che non poteva pretendere
di essere « poesia sonora » vedeva minacciato il proprio diritto
estetico all'esistenza e veniva recepita come musica « prosai- .
ca », secondo l'espressione di Schumann, o come Kitsch, sebbe-
ne nel XIX secolo il termine ancora non esistesse. Con l'avven-
to della concezione romantica dell'arte la musica funzionale,
accettata nelle epoche precedenti senza essere oggetto di rifles-
sione estetica, cominciò ad essere sospettata di svilire al rango
46 Crìteri

di « prosa » ciò che era destinato alla « poesia ». Non che la mu-
sica da Kapellmeister del diciannovesimo secolo fosse composta
peggio di quella del diciottesimo; ma, in rapporto all'elevato
concetto __l.Qffi@tico della m sica, uonava vuota e insignifican
Se la musica « prosaica » è apertamente ozzina e, 1 itsch
3 c.[ nasce, per cosi dire, da un'usurpazione estetica: è musica « pro-
-..J saica » che si maschera da musica « poetica » fallendo però lo
/ \slancio verso l'alto, il tentativo di raggiungere le vette dell'arte,
:::::_:. e senza che l'intenzione e la pretesa estetica siano giustificate sul
1
piano compositivo. E, strappato il velo, la banalità che si voleva 1
O::::, celare appare ancora più logora e stinta. Il Kitsèh è il parvenu
~~ -----
Ricchezza di relazi·oni

Il luogo comune che definisce la musica un insieme di rela-


zioni tra suoni non è stato smentito, ma anzi efficacemente illu-
strato dal dadaismo di John Cage. Il tentativo di spezzare la
~nnessione fra fenomenì acustici successiv0, inteso a rendere
u3i6Tle il singolo elemento« rn sé»énon in funzione del tutto
di cui è parte, presuppone infatti, per ottenere un effetto di sor-
presa - e l'elemento isolato acquista rilievo solo in virtu di tale
effetto - che la regola corrente sia la ercezione di elementi
relazionati. L'isolamento, la frammentazione, a dissoluzione dei
collegamenti usuali è difficile, e riesce solo in rari istanti, sen-
titi dallo stesso Cage come momenti mistici. Dalle relazioni piu
convenzionali, tuttavia, contro cui si scaglia l'opposizione e la
prajica polemica del dadaismo musicale, sono da distinguere le
relazioni melOCilcO-tltmi~ appartenenti alla singola opera. LLl
varietà e la ricchezza ai queste ultime costituisce uno di quei
criteri tecnico-estetici sopravvissuti indenni persino alle frattu-
re della tradizione registratesi intorno al 1910 e al 1950. La
ricchezza direlazioni in senso esteticamente rilevante non è un
dato generale, codificato, ma risiede nel pa ticolare contesto
della singola o era. Ovvero, parlando per negazioni, quanto
meno un .brano musicale possiede una sua individualità. tanto
meno significative dal pu~i vista estetico saranno le rela-
zioni fra ~ La polemica contro la musica intesa come
insieme di connessioni, nelle quali si avverte una forzatura,
manca quindi il suo bersaglio se confonde la ricchezza di rela-
Criteri 41

zioni, che rende un'opera particolare e irripetibile, con il ricor-


so di elementi convenzionali, incompatibili con l'anelito a una
libertà anarchica.
La ricchezza di relazione non è comunque un dato che si
evinca da una partitura senza porre Ie dovute premesse ; essa
risulta piuttosto da analisi e interpretazioni ricondudbili a prin-
cipi variabili, soggetti a mutamenti storici, principi che di volta
in volta possono essere quindi accettati o respinti. Cosi, ad
esempio, le analisi delle opere di Bach condotte da Johanil ·
Nepomuk David e gli studi su Beethoven di Rudolf Réti sono
oggetto di controversie, e vengono definiti a volte esplorazioni
di contesti latenti, a volte costruzioni infondate .. Il giudizio este-
tico dipende dunque da un giudizio di fatto, che a sua volta
implica una presa di posizione estetica sulla validità dei presup-
posti dell'analisi.
Non si tratta comunque di un circolo vizioso, . perché si
possono indicare alcune condizioni necessarie affinché in musica
si dia un contesto relazionale e affinché esso sia esteticamente
<ilevante. Un p<imo postulato è quello della regnanza.iL'app~ QJ
renza ai una CO tfess1one tra i· motivi rimane i usoria se i temi
o le figure melodiche reciprocamente ~ollegati non sono carat-
erizzati con sufficiente nette~~ Contro l'ipotesi di una re azione
che nelle sinfonie del primo classicismo sussisterebbe fra primo
e ultimo movimento, legati da una « affinità di sostanza » dei
~ temi, si è obiettato a ragione che in generale tutti i temi sinfo-
nici presentano intorno al 1780 una somiglianza tale che l'affi-
0 nità particolare tra alcuni di essi non ha una sufficiente pregnan-
.- za. Il grado di corrispondenza richiesto per giustificare un'affinità
tra motivi non è lo stesso nel Settecento e nell'Ottocento.
· 1 ~ 1n secondo luogo, e co~essioni mo- 1c e ·sono estetica-\ ·
mente significative solo se non a paiono isolate o marginali ,
quasi foss r,g_çit!lzioni casuali o associazioni momentanee, ma
investono l'intero brano in una rete di collegamenti, determi-
1 nando la struttura e 'opera In una formula , si potrebbe par-
\ Ja~~}iJ~ostulato della co~nza f- <S)
~ \.___.\ ln terzo uogo, 1r procedimento della creazione di relazioni
J sempre pili fìtte presuppone, oltre ad una sufficiente pregnanza ___/\
dei caratteri melodici, un grado di complicazione c e--gtliSt17 c ~
la fatica dell'elaborazio~m.uti ica. a o ecafonia, modello
estremo di interconnessione tematico-motivica, ha un senso e
un valore solo in rapporto a una melodia che, dopo l' « emanci-
48 Criteri

pazione della dissonanza » - fatto decisivo per la melodia quasi


quanto per l'armonia - tende a frastagliarsi e a frammentarsi.
Il rigore si giustifica qui come controparte dell'anarchia.
L'ambizione di scoprire un sistema di relazioni celato dietro
la superficie acustica di un'opera musicale, dietro la facciata che
essa esibisce all'ascoltatore superficiale, è caratteristica del cul-
tore di analisi del nostro secolo, ma estranea a quello di altre
J epoche. E non è facile stabilire se applicare i metodi analitici
~ finora messi a punto alla musica del passato sia legittimo o
~ non piuttosto anacronistico . Questi si fondano su un procedi-
(' mento d'astrazione che sulle prime può apparire arbitrario, ma
./ che nel corso degli anni è divenuto cosi abituale da far dimen~
<..( ticare la sua singolarità: nell'astrazione analitica la s uccessione
delle note , ~dimensione diastematica, viene separata dal ritmo
\. ' sebbene sia un elemento del tutto privo di autonomia, che non
può esistere ed ess~e_percepito indipendentemente da~dura- \
ta dei suoni stessi. I collegamenti latenti individuati da molte
analisi che ~-reteiràono i identificare in essi la « struttura » o )
il « modello fandamerrtale » dell'opera consistono in genere solo
' nella coincidenza di successioni di note senza rapporto al ritmo
e alla posizione nella battuta. (L'astrazione, che nel secolo scorso
Wilhelm Dyckerhoff paragonava ad un esperimento scurrile, è
divenuta nel nostro secolo metodo dominante. LJ-
Isolare e rendere autonomo un elemento parziale e di per
sé dipendente è un procedimento che accomuna la tecnica del-
1'analisi alla composizione seriale di Schonberg e W ebern, senza
peraltro che la teoria dipenda puntualmente dalla prassi com-
positiva né si giustifichi come suo riflesso. In RudoH Réti l'in-
flusso di Schonberg è comunque inequivocabile. Però anche
August Halm e Heinrich Schenker svilupparono ciascuno in
modo autonomo metodi basati sull'astrazione ancor prima che
Schonberg « scoprisse » o « inventasse » la tecnica seriale; eppu-
re, per usare un'etichetta grossolana, erano « conservatori » in
musica: nei confronti della nuova musica Halm era diffidente,
Schenker velenoso e polemico. I loro metodi presentano co-
munque un'affinità latente con la tecnica seriale, in cui, proprio
come nelle analisi di Halm sulle connessioni motiviche o nella
teoria schenkeriana dell'U rlinie, si .considera il succedersi delle
altezze di per sé, indipendentemente dal ritmo.
UL metodo fondat;p su~trazione è dunque anacronistico J
·come pr<)Cedimento di interpretazione di opere di Bach o Bee-
Criteri 49

thoven, dato che il concetto di parametro - cioè di altezza e


ritmo come elementi separati - fu, proprio come il termine,
sconosciuto al Settecento e all'Ottocento. Si tratta di un dato
inoppugnabile, che non implica però l'inadeguatezza o l'inuti-
lità del metodo stesso. Questo a are iuttosto uno degli stru-
.....inenti mediante cui il pensiero musicale delVentesimo sécol;-
fa ro ., a_tra"°dizione, e rls~lta -co;(;}~o:J.egittimo - o
illegittimo - di tutte le tradizioni in cui il rispetto si mescola
con la spregiudicatezza. E sul piano empirico è impossibile sta':""
bilire se i risultati del procedimento di astrazione sono « sco-
perte » o « reinterpretazioni » poiché non è chiaro se il « con-
tenuto obiettivo » da scoprire nell'opera musicale sia quello pen-
sato dal compositore, quello percepito dai suoi contemporanei,
ovvero la quintessenza di tutte le possibili interpretazioni che,
anche quando appaiono anacronistiche, soddisfino almeno la con-
dizione di non contraddire la lettera dell'opera e di essere in
sé sensate e coerenti. "-"
Il procedimento di astrazione, che conduce alla scoperta o
alla costruzione di una ricca gamma di relazioni melodiche, si
basa dunque su una resa di osizione estetica: sull'idea che
e
1a'SèP.arazione fr;-melodia ritmo- n~n sia_ assu__rda, ma sensata::) @
nalisi e giudizio estetico s'intrecciano e si sostengono reciproca-
mente. D'altra parte la ricchezza dei nessi è esteticamente insi-
i
, gnificante - come un edificio costruito sul vuoto - se la mu-
sica in cui si realizzano connessioni complesse e di ampia por-
tata non è articolata a sufficienza. Il concetto di articolazione è
comunque divenuto negli ultimi anni una parola d'ordine che
paralizza la riflessione estetica e che, come molte parole d'ordine ,
sembra precisa finché non se ne approfondisce il significato, si
rivela alquanto vaga se si cerca di capirla sul serio.
« Articolazion~» (Artikulation) è un concetto duplice, un
termine equivoco, che da un lato definisce la capacità retorica
ed espressiva della musica, dall'altro ne indica lo strutturarsi
in modo chiaro ed evidente. La musica è ~< articolata » se la me-
lodia riesce a « parlare » e nello stesso" tempo la forma, la di-
stinzione sintattica e1 formale tra le parti, risulta intellegibile.)
Non sempre però i due momenti concordano senza contraddi-
zioni. Una struttura formale chiara appare in genere schema-
tica e convenzionale, mentre le qualità espressive e retoriche
della musica sono spesso, all'oppos~;:;, legate alla deviazione dal
consueto. « Articolazione » è dunque, se l'ambivalenza del ter-
50 Criteri

mine può essere segno di una dialettica presente nelle cose stesse,
un concetto che implica l'esigenza di conciliare tendenze con-
trapposte: la musica deve dire cose nuove senza rinunziare alla

-
chiarezza, deve essere chiara senza cadere nel convenzionale.

~one e integrazione

La differenziazione e l'integrazione, il diversificarsi molte-


plice delle parti di un tutto e la loro coesione funzionale, sono
due aspetti del medesimo sviluppo che si intrecciano e compie~
tano: si tratta di una legge biologica che tende a estendersi alle
opere d'arte, senza che tuttavia si possa stabilire se in campo
estetico si tratti di una regola empirica o di un postulato, né se la
sua sfera di validità sia storicamente illimitata ovvero compresa
entro limiti precisi. Senza una riflessione estetica e storica, co-
munque, la lode della crescente differenziazione e della pili ser-
rata integrazione risulta ingiustificata. Sarebbe agevole, ma anche
ozioso, enumerare qui opere musicali riccamente differenziate in
cui l'integrazione è minima - l'elenco si aprirebbe con le me-
lodie gregoriane, basate sul principio della varietas, della non-
ripetizione, per giungere fìno al « recitativo obbligato » degli
Orchesterstiicke op. 16 di Schonberg. Non si può quindi par-
lare di una legge estetica analoga a quella biologica.
Ma, anche come postulato estetico, il principio dell'equili-
brio fra differenziazione e integrazione non è sempre inattacca-
bile. Certo, confrontando una serie di variazioni di stile galante,
i cui elementi appaiono intercambiabili e non si differenziano
se non per la varietà dei modelli di figurazione, e un ciclo di
variazioni del classicismo, in cui '1e parti si distinguono tra loro
per carattere e funzione e sono perciò in grado di costituire non
una semplice serie, ma una forma complessiva plastica e con-
clusa, quest'ultimo, che può venir descritto come risultato del
reciproco compensarsi di differenziazione e integrazione, rappre-
senta incontestabilmente uno stadio evolutivo superiore. È per-
lomeno dubbio, però, che le prime opere atonali di Schonberg
e Webern, ove la differenziazione è spinta all'estremo senza
essere compensata da un'integrazione altrettanto sviluppata, pre-
sentino un difetto estetico che solo la dodecafonia avrebbe eli-
. minato. Pare piuttosto che il parallelo con la biologia sia, per
certe epoche, insostenibile; e nasce spontaneo il sospetto che il
Criteri 51

postulato dell'equilibrio tra differenziazione e integrazione, cosf


come altre concezioni estetiche ispirate a un modello « organici-
stico », nasconda una tendenza classicistica che non rende giu-
stizia alle opere di stile arcaico o manieristico. L 'argomentazione
di sapore classicistico circa la necessità estetico-storica della do-
decafonia contraddiee il senso della forma che riconosce un auto-
nomo statuto estetico anche alla prima atonalità , sebbene molte
opere presentino tracce minime di integrazione .
Se dunque l'integrazione è un postulato il cui valore e la cui
portata non sono illimitati né immutabili nel corso della storia,
d 'altra parte non si può negare che la tendenza a un'integrazio-
ne sempre pili decisa e completa è uno di quei caratteri che
hanno determinato il corso della storia della musica, almeno in
Europa, sia pure con interruzioni e ripensamenti . I singoli mo-
menti della costruzione musicale, il ritmo misurato, l'alterazio-
ne cromatica dei gradi, le figure e gli ornamenti melodici, la
dinamica e il timbro, vengono, in epoche diverse, inglobati nella
notazione, nel testo ; sono integrati quindi nella composizione ,
poiesis musicale piuttosto che semplice praxis. Ciò che prima
era accidentale, legato all'esecuzione, diventa ora essenziale, com-
preso nella composizione . Ma l'accidentale, dovendo essere im-
provvisato, tende a farsi formula, a seguire regole e modelli
semplici e fissi. L'improvvisazione è sempre legata a mode..lli.i...:>e
non lo fosse, finirebbe peFSmarrirsi o giungerebbe presto a un
r.J punto morto.
J:. Se ci si pone nell'ottica dell'opera «integrata», il combi-
narsi dell'elemento accidentale e improvvisato con gli altri mo-
menti della composizione o dell'esecuzione è di fronte ad un'al-
ternativa infelice: la scelta fra convenzione e arbitrio: I contra-
sti fra piano e forte, se non sono segnati in partitura, cadono
nella maniera, perseguitando ogni ripetizione con un meccanico
effetto di eco, oppure vengono distribuiti in un brano a caso
secondo l'umore del momento o finalizzati alla ricerca dell' « ef-
fetto ». Una dinamica che sia specifica senza diventare manieri-
stica in senso deteriore (un esempio di dinamica manieristica ,
intesa come modello di improvvisazione, si ritrova nel Versuch
di Quantz), è divenuta possibile solo con l'integrazione della
dinamica nella composizione, cioè quando è diventata un elemen-
to le cui diverse relazioni con melodia, ritmo e armonia sono
il risultato di un calcolo artistico riguardante la forma nel suo
complesso.
52 Criten

La differenziazione nel modello biologico premessa o com-


plemento dell'integrazione, non può essere identificata sempli -
cemente nella ricchezza di differenziazioni musicali,.senza consi-
derare i diversi tipi di differenze, non tutti ugualmente signifi-
cativi dal punto di vista estetico.

· 1. La differenziazione materiale, vale a dire la ricchezza del


lessico musicale costituito da modelli ritmici, accordi, figure dis-
sonanti e raggruppamenti melodici, è senza dubbio un criterio
superficiale, ma non per questo inutilizzabile. Esso non basta a

i I
fondare un giudizio estetico, ma non è giusto sottovalutarlo
come si fa a volte, magari per doppiezza o .falsificazione este-
tica, quando l'irrilevanza della differenziazione materiale forni -
sce un argomento per giustificare il banale , quasi quest'ultimo
fosse affine ad una nobile semplicità. Proprio il confronto con
l'ostentazione di un carattere primitivo, che si fa forte dell'inu-
tilità delle complicazioni, restituisce alla differenziazione, anche
solo materiale, il valore di criterio estetico, che altrimenti le
verrebbe a mancare. L 'abuso di tale criterio resta in ogni caso
meno preoccupante dell'abuso della diffidenza per il criterio
stesso.

2. Esteticamente più rilevante della differenziazione mate-


riale è quella funzionale, che permette di ampliare, parlando
per metafore, non. solo il « lessico », ma anche la « sin tassi »
musicale. E non sempre la differenziazione funzionale appare
conseguenza di quella materiale, a volte anzi si presenta in al-
ternativa ad essa: la riduzione della seconda è il presuppost9
dello sviluppo della prima. Nell'armonia tonale del Seicento il
repertorio dei possibili collegamenti fra accordi, risultato di una
selezione, era piu ristretto che nella tecnica modale del sedice-
simo secolo, la quale consentiva in misura larghissima la croma-
tizzazione degli accordi perché la loro coesione era cosi debole
da non essere minacciata dalle alterazioni. (Se gli accordi di
., Mi minore e Do maggiore sono semplicemente posti l'uno accan-
to all'altro, senza che il primo tenda verso il secondo , di cui è
funzione, non è assurdo cromatizzare 'l'aéc.ordo di Mi minore
in Mi maggiore e quello di Do maggiore in Do minore. In
Gesualdo l'uso dei cromatismi, apparentemente esagerato, è in
, realtà conseguenza estrema, ma pur sempre rigorosa, di una
armonia coordinante piuttosto che subordinante .) Viceversa, la
Criteri 53

riduzione materiale che si registra nell'armonia del Settecento


è il corrispettivo della differenziazione funzionale: gli accordi si
presentano ora come parti di un sistema comprensivo di fun-
zioni o di un'ampia rete di relazioni immediate o indirette,
piuttosto che succedersi in completa libertà o tutt'al piu con-
nettersi solo col precedente e col successivo, come anelli di una
catena.
Non che l'armonia tonale, in una prospettiva estetica e
storica (o storico-filosofica), si collochi a un livello superiore
rispetto a quella modale: i due sistemi appartengono sempli-
cemente a epoche diverse. La teoria funzionale può essere con-
siderata al limite un criterio negativo: l'analisi funzionale scon-
giura l'identificazione erronea della selezione operata dall'armo-
nia del .Seicento con un impoverimento e una regressione .
Il concetto di forma funzionale, analogo a quello di armo-
nia funzionale, non dovrebbe apparire stravagante, pur non
essendo di uso comune. È evidente che in certe forme musicali
le parti svolgono funzioni ben differenziate, ed è d'altra parte
altrettap,t~ innega,bile che non tutte le forme sono funzionali .
a meno che non si vogliano definire « funzioni » l'inizio, lo svol-
gimenl:o e la conclusione di un brano.
Una forma musicale che si estende per centinaia di battute,
per non sgretolarsi e non sembrare pura e semplice successio-
ne, che si arresta senza giungere ad una vera conclusione , deve
costituire un sistema di funzioni. E indubbiamente la differen-
ziazione è il presupposto dell'integrazione. Solo quando le di-
verse parti di un brano - introduzione e tema, area di svi-
luppo e di risoluzione, transizione e chiusa, sviluppo e ripresa
- si distinguono con sufficiente evidenza possono connettersi
cosi saldamente da costituire una forma estesa, ben percepibile
nonostante le ampie dimensioni. ) I dato decisivo non è la molte-
plicità di temi e motivi, ma la ricchezza di caratteri ritmici e
melodici che contraddistinguono in modo inequivocabile una de-
terminata funzione formale.

3. Dalla . differenziazione materiale e funzionale si distingue


- ci si conceda il -neologismo - una differenziazione elazio-
nale, riguardant~ ·non una singola dimensione dell'oggetto mu-
sicale, come armonia, ritmo o dinamica, ma le relazioni fra i
vari elementi. Cosi nel Seicento la differenza fra il contrap-
punto della <( seconda prattica » e quello della « prima prat-
54 Criteri

tica » si fonda in non piccola misura sul mutato rapporto fra


dissonanza e ritmo o metro: la dissonanza di passaggio venne
trasferita dal tempo debole a quello forte e la dissonanza di
sincope, viceversa, dal tempo forte a quello debole. Le figure
dissonanti, il transitus inversus e la syncopatio inversa, come
le defini Christoph Bernhard, rappresentano dunque delle no-
vità, ma non in senso materiale - non cioè come nuovi ri-
trovati della tecnica compositiva - e nemmeno a livello fun-
zionale, bens( sul piano relazionale, cioè come risultato di una
nuova disposizione, all'interno della battuta, di- elementi già
noti e COE§_!!eti . _
La r i1evanza estetica di questo modello è comunque mini]
ma: la differenziazione relazionale è pili vicina a quella mate:
riale che a quella funzionale.

Principi formali

~ Gli schemi della teoria delle forme musicali, cosi come


j furono tratteggiati nella prima metà dell'Ottocento da Adolf
_ Bernhard Marx , oggi sono screditati come gusci vuoti. Eppure la
n teoria delle forme, impresa nata dall'entusiasmo piuttosto che
dalla pedanteria, in origine era pensata come fenomenologia in
senso hegeliano, cioè come descrizione delle forme assunte dallo
5'!) I Spirito nel corso della sua realizzazione. Nel principio formale
7 Q della sonata e della fuga Marx, il piu hegeliano fra i teorici ,
o~ vide addirittura la sostanza stessa della storia della musica. ~a l

~
}-=;()'.' singola opera si presentava come esempio di un genere, come
5 O realizzazione parziale e unilaterale di un'idea formale che · può
t\... ~ concretizzarsi in modo integrale e completo soltanto nel com-
F plesso della storia di una forma. Prima ancora dell'opera, già
la f~rma, l'idea generale, costituiva un momento dell~ vita della
musica.
Marx professava quindi un platonismo teorico-musi~a_!s ri-
soluto assertore della reale esistenza e ' e 1aee; nei decenni
scorsi, al contrario, i cultori dell'analisi musicale sono per lo
piu convmti nomina ·1stl. Dove Marx cercava idee formali, essi
scorgono solo schemi otati di una funzione non normativa, ma
al massimo puramente euristica. Tali schemi vengono disdegnati
o tutt'al pili utilizzati quasi come ipotesi sperimentali, e l'analisi
' non si propone di spiegare un'opera alla luce di un'idea formale
Criteri 55

- l'idea della sonata o della fuga - ma al contrario di su e-


rare fo schema generale nella descrizione del caso singolo I con-
etti che sono al a oase dell'analisi non intendo~sprimere la

l) .
u sostanza dell'opera, ma sono solo uno strumento, sia pure irri-
nunciabile, un « metodo » per la com tensione e la descrizione
dell'opera individuale.
Tali oivergenze ondamentali, ed in ,generale tutto il con-
trasto fra platonismo e nominalismo in sede di teoria musicale,
non sono significativi solo per la storia del pensiero musicale,
ma anche per il giudizio sull'opera. Il concetto generale , ovvero
« tipo ideale» di una forma - della sonata o della fuga - ,
decaduto alla fine del secolo scorso a schema e infine a sem-
plice etichetta, possedeva ancora intorno al 1800 una sostanza
storica: era musicalmente reale. Di conseguenza l'obbedienza ai
postulati impliciti in ogni idea formale costituiva un preciso
criterio estetico. Se verso il 1900 1 eoria delle forme musicali
' è divenuta irrilev;uue- al punto di vist e_stet@ e tecnico, ciò
flOii. significa che sia stato sempre cosi.
Il valore estetico di forme e idee formali - non solo delle
singole forme, ma della forma stessa in a~soluto - è soggetto
a mutamenti storici (indubbiamente è meno decisivo nel ven-
tesimo secolo che all'inizio del diciannovesimo) . D'altra parte
non si può dire con certezza se abbia senso un raffronto este-
tico tra idee formali appartenenti a epoche e ambiti musicali
diversi, come il Cinquecento o il Seicento, ovvero nell'Ottocen-
to la musica da salon e la musica da camera , o se ciò sia solo
::;:> _ una speculazione oziosa. Il principio dell'assurdità di un con-
__. ' fronto e di una gerarchizzazione tra idee formali e opere di
epoche diverse e di tradizione eterogenea è uno di quei topoi
cui gli storici si ·aggrappano per non perdersi nei labirinti del-
l'estetica, sia pure nutrita di riflessione storico-filosofica. Tut-
tavia, la tesi dell ostanziale p_ru:it~ di rango este ico i tutte
le epoélie, o della necessità di farla valere 12er ragioni di im-
parzialità storica, non è piu fondata della famigerata ~
traria , che postula una sostanziale diversità. Chi voglia attener-
si a un empirismo senza compromessi potrà dire, a rigore, sol-
tanto che non si sa se davvero ogni epoca - secondo la massima
di Ranke in apparenza innocua, in realtà insidiosamente teolo-
gica - sia «immediatamente di fronte a Dio», e che non si
può escludere la possibilità che certe epoche appaiano, sub specie
ae ternitatis, esteticamente significati ve, altre trascurabili.
56 Criteri

Non si può dire quindi se, ponendo a confronto opere di


epoche diverse, sia sensato o arbitrario attribuire una superio-
rità anche estetica alla musica pili complessa dal punto di vista
funzionale. All'interno di ogni epoca, tuttavia, e con premesse
stilistiche e tecnico-compositive equivalenti o simili, tale supe-
riorità dovrebbe essere fuori discussione. Certo, si potrà obiet-
tare che il concetto di premesse stilistiche e tecnico-composi-
tive è troppo vago e inafferrabile. E per tracciare i confini entro
i quali lo scarto fra forme pili o meno differenziate dal punw
di vista funzionale rappresenta un solido criterio estetico, si
devono distinguere principi formali caratteristici di epoche e
tradizioni diverse e non riducibili l'uno all'altro.

1. Si può sospettare che il concetto di « allineamento »

~
sia un ripiego di comodo o una maschera terminologica per
~ dissimulare le deficienze di una forma musicale difettosa. La
' manc~r;za di collegamento e di sviluppo, il semplice allinearsi
""":, t.ii momenti musicali che hanno in se medesimi il loro senso e
non appaiono conseguenza di quanto precede e premessa di
quanto segue, mal si condlia con la stessa nozione di forma
~ propria della teoria delle forme musicali, fondata sull'idea di
-..,, parti connesse fra loro e con il complesso dell'opera. L'analisi
formale non può quindi trovare un punto di appoggio.
Pure non ci si può risolvere a parlare di dissoluzione della
:,;i --forma a proposito della musica per tastiera del primo Settecen-
4 to, già allora indicata col termine di «galante», ad un tempo
parola « di moda » e connotazione stilistica. Si tratterebbe di
un verdetto solenne ma infondato. La musica «galante », che
pure all'analisi ~armale appare frammentaria e slegata, ha infat-
ti una sua coesione interna, garantita qon dall'unità tematica o
motivica, ma da quella dello stile o della maniera. I pezzi - sa-
rebbe difficile definirli « opere » - presentano tutti un de-
terminato « tono », quello di una «conversazione» musicale,
e questo è già sufficiente a far recepire la successione slegata
di frasi e frammenti non come una forma disgregatasi, ma come
un atteggiamento appropriato ad uq « trattenimento » musicale,
nel quale un linguaggio erudito apparirebbe fuori luogo. L' « ela-
borazione » musicale, un atteggiamento « dotto » invece di quel-
lo galante, costituirebbe una trasgressione al « tono di conver-
sazione », una pedanteria indice di mancanza di gusto e di bon
'ton estetico.
Criteri 57

@ I incipio dell'allineamento, poiché la sua ragion d'essere


tica risiedeva nell'unità e nell'equilibrio di un « tono da
versazione galante», ~r.L,neraltro storicamente minato: in
u o stile contraddistinto dai contrasti avreb6e perso presto quel
sostegno estetico che aveva avuto nel primo Settecento. La sua
~ decaduta è cilr n.otpourn modello principe della Trivial-
musikdell'Ottocento. L'unità stilistica del pezzo in « tono di
conversazione » è qui sostitilltJ) da una fisionomia provocatoria-
mente variegata, dall' ccumulo di parti eterogenee eh.e non crea-
no veri e propri contrasti - il contrasto è pur sem re U1l, prin-
cipio di integrj!zione formale :--- ma ~Chmitano a differ ziar-)
si nel- mooo più appariscente f L'eterogeneità a del semplice \
a ineamèirtò - e, per converso, l'aUineamento fa dell'eteroge-
neità - un difetto estetico. (Anche Mahler, unisce a volte ele- 1
menti eterogenei, ma li inserisce in una forma basata su un
vero svolgimento, sicché evita una banalità da potpourri che l
- -- -
nascerebbe dalla mera successione.) {
--..-._.....
--:-
-

2. Se quindi la forma costruita sul semplice allineamento .


è guardata con molta diffidenza ed alimenta una critica 2ersino
eccessiva (f;;;flaHsi for male tende spesso ~ d edurre dal.I ~a e-\\{' \
gu~te~ dei propri metodi conclusioni negative sull'oggetto d_!jl\ \ \
cui s1 occup~';" la forma asata sult~[1~g.~' .\ quale
er appresentata dalle opere di Bach e ivaldi, gode viceversa
di un notevole prestigio storico-estetico. Questo peraltro va
considerato con sospetto per via dei numerosi malintesi cui è
legato. Chi nella musica del tardo barocco coglie soltanto un
irresistibile impulso dinamico , cui ci si può abbandonare in
modo irriflesso, commette un'ingiustizia estetica nei confronti
\j} di quella musica che pure ammira. (E il malinteso non si legit-
tima affatto per essersi propagato alla pratica compositiva degli
- 'f1 anni Venti con l'avvento del « motorismo», che ebbe magri
Q O risultati.) In Bach - e neHe opere pili notevoli di Vivaldi -
~ l'impulso dinamico, per quanto efficace ed energico, non è il
;:!.- carattere estetico decisivo; costituisce piuttosto uno sfondo su

1 Il termine fu introdotto da Wilhelm Fischer per indicare un procedimento

del discorso musicale consistente nella ripetizione , spesso per progressioni, di un


....I elemento motivico. Successivamente · Friedrich Blume ha ravvisato nella Fort-
spinnung un modello antitetico a quello di «sviluppo» (Entwicklung), che
procede elaborando i propri materiali e via via modificandoli in misura sostan-
ziale [N.d.T].
58 Criteri

cui si stagliano le differenziazioni nel P.articol e, che rappresen-


tano il .momento fondamentale. E i tentativi di dare significato
e dignità ontologica a quell'uniformità costante del decorso mu-
sicale che si manifesta nel basso continuo si fissano su un mo-
mento secondario, che non si può reinterpretare come primario
senza fraintendere l'assetto tecnico-compositivo dell'opera.

3. Nella teoria della forma musicale si è affermata una ten-


denza a costruire tipologie dualistiche che ben si adattano a
una generale esigenza di antitesi nette, ma che finiscono per
deformare la complessa realtà storica. Anche nell'ambito della
musica del Settecento e dell'Ottocento, campo privilegiato della
teoria della forma, si devono distinguere almeno quattro prin-
cipi : oltre quelli dell ~mento e della Fortspinnung, anche
çiuelli dello .svolgimento e deCraggrup amento.
Il principio dello svolgimento, die m seae di tecnica com-
positiva ha il suo correlato nell'elaborazione motivico-tematica ,
è stato analizzato e definito tanto spesso che una descrizione
riassuntiva risulterebbe qui inutile e pedante. I brani basati sul
principio dello svolgimento sono l'oggetto primario e storica-
/ mente predestinato di un'analisi forma•le finalizzata alla scoperta
J di connessioni motiviche in· grado di assicurare la coesione in-
~rna dell'opera.

4. Al contrario, il principio del~ggruppamen~non è stato


ii!:.._.._ ·7,
--::::;. né riconosciuto come idea formale vera e propria, né adeguata-
C mente analizzato, sebbene su di esso si basi proprio la semplice j
\[) Liedform, punto di partenza della teoria delle forme musicali.
n esso s'intrecciano due elementi costitutivi: la f ipetizi2,ill!_ .L
:fezioni :mi lòaiè}i) che non debbono avere il carattere e la fui:!:
zione di temi e motiv' (l'equivalenza tra le nozioni di <' temati-
co » e < rico rente ·> voluta da Riemann f un errore dalle aste
conse uenre"l, e a regola ità el eriodo la « quadratura della
costruzione del periodo », come Wagner cominciò a definirla
sarcasticamente dal momento in cui non gli fu piu necessaria .

r due elementi che si combinano nella Liedform sono per-


ltro, in linea di principio, indipendenti: il periodare uniforme,
<( anche senza ripetizioni e riprese della melodia, basta a costituire
.S:- una sorta di « spinta dorsale » di un brano, dotandolo di coesio-
ne interna (esempio paradigmatico sono ampie sezioni del Lohen-
grin, in cui la melodia non presenta ripetizioni, ma il ritmo
µ:
Criteri 59

rispetta inequivocabilmente la «quadratura»). Viceversa, nelle


opere in cui sezioni melodiche o motivi si ripetono in conti-
nuazione diviene possibile il dissolversi della struttura perio-
dica regolare nella « prosa musicale », che in questo caso non
mette in forse la comprensione (l'antitesi tecnico-formale al
Lohengrin è pertanto la Tetralogia). Le forme a raggruppamen-
to fondate sulla ripetizione di motivi piuttosto che sulla regola-
rità del periodare tendono comunque a tramutarsi in forme a
svolgimento.

Analogia e compensazione

La tecnica della composizione -~ - - ì


comprende anche un cak~Io
dell'effetto estetico, pili involontario che intenzionale ..!..n og~
epoca sembra dominare una medesima tendenza: creare un
equilibrio estetico tra complessità in una dimensione e semplij
cità nell'altra~\ Il semplice, il consueto - l'unità del tipo di 6at-
uta-ola trasparenza del corredo armonico costituisce un
necessario sostegno e sfondo per il complicarsi· dei particolari
ritmici o motivici o delle relazioni. armonico-tonali.
Il cromatismo di Gesualdo) documento di un manierislllo
esasperato fino alla provocazione affermatosi intorno al 1600)
era limitato a brevi sezioni dalla scrittura semplice e omofonica,
con poche dissonanze. Nei momenti di maggiore densità polifo-
nica, con complesse figure dissonanti, Gesualdo evitava scrupo-
losamente il cromatismo.
Nel Settecent.;.r' e nell'Ottocento la regola che prescrive ad
un movimento di sinfoma éli mantenere l'unità metrica anche
quando si estende per centinaia di battute fu sempre rispet-
tata, quasi fosse legge di natura, e divenne un'abitudine e un
presupposto dell'ascolto musicale cosi radicato che non sorpren-
de che un brano dalla struttura interna tanto complessa come
il primo tempo dell'Eroica possa calarsi nel semplice schema
della battuta in 3 / 4 . La complessità dell'elaborazione motivico-
tematica e la semplicità del ritmo, invece di compensarsi reci-
procamente, entrano quasi in una contraddizione che minaccia
la compiutezza estetica dell'opera.
Nella S';f!J:!.Phonie fantastique sono lo stile e la forma a diva-
ricarsi .~ l'anticlassicista la cui musica crea una frattura
profondissima nella storia della tecnica compositiva per quanto
60 Criteri

riguarda la forma, si mantiene tuttavia - come già Schumann


riconobbe non senza stupore - nei limiti di un movimento sin-
fonico consueto, con contrasto tematico, sviluppo e ripresa. Per
quanto rivoluzionario, Berlioz voleva farsi capire dal pubblico.
La costruzione esile e fra~agliata e la tendenza a un ritmo
lento; quasi esitante, in Web@ trovano senza dubbio la loro
radice nella natura stessa del compositore; d'altro canto però
appaiono anche compensazione e controparte delle complica-
zioni labirintiche in cui egli si avventura nel sistema delle
relazioni tra i suoni. E non è un caso che sia stato Webern e
non Schonberg a condurre il procedimento dodecafonico, negli
ultimi decenni, a una fama in cui si mescolano, parlando per
paradossi, tratti di popolarità e di esoterismo. Per guanto inac-
cessibile ed ermetica la musica weberniana è però « piu facil-
~ comprensibile» di quella di Schonberg.
'Quando non sono i compositori a cercare una compensazio-
ne fra semplice e complesso che attenui lo sforzo dell'ascolto, è
il pubblico stesso a trascurare uno degli elementi del brano per
potersi concentrare su un altro. Sembra pressoché impossibile
seguire polifonia e armonia in Badi simultaneamente e senza
trascurare nessuno dei due momenti. Nelle diverse fasi della
storia della recezione di Bach sono stati cosi posti in evidenza
e ritenuti essenziali aspetti differenti della sua opera, non senza
un rapporto con le tendenze compositive del tempo: intorno
al 1900 'attenzione si concentrava sull'armonia, vent'anni dopo
sul «contrappunto lineare>). E di volta in volta s'impose la
tendenza a considerare secondario e subordinato l'elemento che
rimane nell'ombra - la polifonia come armonia «pienamente
sviluppata » o viceversa l'armonia come « risultato » o addirit-
tura « sottoprodotto » del contrappunto - a conferma dell'im-
possibilità di recepire simultaneamenté' entrambi i momenti in
modo adeguato . Se si trasgredisce il principio di compensa-
zione - e l'opera di Bach è innegabilmente una sfida al pen-
siero economico, ne mette in crisi la validità o quantomeno le
pone dei limiti - nascono problemi estetici.
Arnold Schonberg riconobbe il principio di compensazio-
ne o di economia come dato obiettivamente connaturato all'ascol-
to musicale e come tendenza storicamente attiva, ma lo respin-
se come criterio di valutazione estetica. Le idee di Schonberg,
che guardava con diffidenza e disprezzo alla via di mezzo, « l'uni-
ca che non conduce a Roma », erano radicali e anticlassicistiche.
Criteri 61

In antitesi al principio di compensazione egli pensava che la


musica, per essere coerente, dovesse svilupparsi allo stesso modo
in tutte le dimensioni, e si richiamava al dato incontestabile
che ogni dimensione dell'oggett~ musicale - melodica, contrap-
puntistica, armonica e ritmica - è legata strettamente e inscin-
dibilmente a tutte le altre, e diviene ciò che è solo nelle molte-
plici relazioni in cui è inserita. Una polifonia più ricca ha per
conseguenza un'armonia piu complessa, in Wagner come in
Bach, ed una complicazione del ritmo, momento parziale della
melodia, non può non avere riflessi su quest'ultima, se si vo-
gliono evitare divergenze perturbanti. « Ecco perché - si legge
in Stile~ - quando i compositori hanno appreso la tecnica
din empire di contenuto una tendenza fino all'estremo limite

-r!
\1)

-i
.J)
delle sue capacità, devono fare lo stesso nella direzione succes-
siva e poi in tutte le direzioni in cui si espande la musica» .
L'idea di una musica in cui tutti gli elementi sono svilup-
pati in modo analogo e agiscono insieme e con uguale diritto
sembr( utopica · j e l'~~iezio~e c~.e nella ?odeca~o~ia, cioè nel!a
stessa teè'mi::- compositiva di Schonberg, 1 armoma e a uno stadio
piu arretrato rispetto al contrappunto, è vicina al vero, anche
v.... se è segno di prevenzione e di astio il contestare un'idea rim-
~ proverandole di non lasciarsi realizzare integralmente. (Con il
.:e, postulato schonberghiano, si crea un paradossale rapporto fra la
. tecnica e l'estetica della dodecafonia: la compenetrazione dodeca-
fonica di melodia e di armonia, condotta delle parti e accordi
riesce agevole in una costruzione semplice e schematica del tipo
«melodia con accompagnamento di accordi», ma incontra dif-
ficoltà tanto maggiori quanto piu la costruzione, con una polifo-
nia ricca e la conseguente maggiore complessità della struttura
accordale, si avvicina all'idea schonberghiana di uno sviluppo
equilibrato « in tutte le direzioni ».)
Il grado di diverso sviluppo tra melodia e ritmo è stato
rimproverato, oltre che a Schonberg, anche aLstravinskii sia
pure per motivi diversi; cercare di smentire questoaa o di fatto
sarebbe apologia falsa e inutile. È comunque discutibile che la
disuguaglianza, per quanto patente, rappresenti un'incoerenza
tecnica ed estetica, e che il criterio di giudizio decisivo sia il
principio di analogia piuttosto che quello di compensazione .
In Stravinskij la melodia rudimentale, ridotta a formule o sgre-
tolata in frammenti, è in contraddizione con la complessità del
ritmo o ne è sostegno e complemento proprio grazie alla sua
62 Criteri

semplicità? E in Schonberg la divergenza tra una melodia ato-


nale e dodecafonica e un ritmo basato sugli stessi presupposti
dell'epoca della tonalità rappresenta un difetto tecnico ed este-
tico, o è piuttosto la condizione necessaria affinché dodecafonia
da una parte e forme ritmiche dall'altra possano assolvere ad
una funzione decisiva nelle intenzioni dell'autore, quella di
essere elementi costitutivi della « grande forma » verso la quale
Schonberg si sentiva attratto? Per assumere una funzione tema-
tica e rendersi riconoscibili i caratteri ritmici dovevano riallac-
-
J ciarsi alla tradizione. Se si fa riferimento alla forma nel suo
complesso - e non ai dettagli della tecnica compositiva come
i serialisti, che accusarono di incongruenza la scrittura schonber-
ghiana - la divergenza fra ritmo e melodia in opere come il
Terzo e il Quarto Quartetto per archi non appare sterile con-
trasto ,_ ma opposizione diale.!t~i.;; ca;;.;·~-- - - -
.-- Il princ.ipio di ~ dev~ dunqu~, come dimostr~ l~
:!.. stessa prassi compositiva ai Schonberg, nspettare determinati
limiti: ciò che dal punto di vista tecnico può apparire discor-
danza tra armonia e ritmo, in una prospettiva formale può ri-
sultare una necessit~ Peraltro la congruenza fra elementi della
composizione a tempo stesso altamente progrediti e sviluppati
tutti in misura analoga, postulata da Schonberg in Stile e idea ,
offre certo un criterio utile per giustifìcare e fondare il giudizio
estetico attraverso un giudizio di fatto, anche se un'analisi piu
precisa impone cautela nella sua applicazione. L'istanza oppo-
sta al principio di analogia, cioè il principio di compensazione
o di economia, è più adatto a spiegare la comprensibilità e il
successo di un'opera che a determinarne il valore. Se il princi-
pio dif analogia è un criterio esoterico, il P,rincipio di compensa-
zion_s, a c"ò'iiir'ario , è un t;:iterio essoterico. • 1

La tesi che la musica, per non divenire ombra di se stessa,


debba essere udita e compresa attraverso l'ascolto è un luogo
comune in apparenza chiaro e banale, ma in realtà tutt'altro che
ovvio. to-si- rlpéte comunque con tanta insistenza e en asi a
arflàscere il sospetto che la sua validità sia in pericolo e che
- a musica «Cl.a ascoltare » sia Cla un lato eclissata èla una mu-\ 1
sica « da leggere », le cui strutture sono riconoscibili sulla cartaj

/
Criteri 63

1. La censura estetica contro l' « eccesso di intenzioni »


non « realizzate » nella concretezza di un'opera, deriva dalla
polemica del classicismo contro l'arte manieristica e barocca.
Il classicismo celebrava infatti il simbolo, il cui significato si
esaurisce completamente nell'a arenza sensibile.,-me tre respin-
geva l'allegoria. E se l'evo uzione verso una musica « a egge-
re », non comprensibile senza la lettura e l'analisi della parti-
tura, non si può in realtà paragonare a una tendenza verso l'alle-
gorismo, per una teoria dell'arte non dogmatica è fondamentale
riconoscere che il criterio dell'udibilità, vale a dire della realiz-
zazione totalmente percepibile, non è una legge estetica natu-

-
rale, ma un QOStulato di limitata ortata storica. C i si rifiuta ,..,,..,____
rigorosamente di includere nel'"'Concetto di musica o di « vera »

I
musica quanto non è percepibile semplifica la realtà storica in
nome di un dogma nato solo nel Settecento.

2. L'opinione secondo cui la musica perde il proprio dirit-


to estetico all'esistenza se deve essere letta ha una motivazio-
ne sociale, non legata a un dato obiettivo: non nasce come ri-
flesso dello sviluppo della pratica compositiva nel Settecento e
nell'Ottocento, ma come giustificaZione dell'analfabetismo mu-
sicale, fondata sulla banale circostanza che la notazione musi-
cale, diversamente dalla scrittura, non è di alcuna utilità socia-
le al di fuori dell'ambito artistico. Non che si debba mirare
ad una diffusione della lettura musicale secondo il modello
di quella della parola scritta: da questo punto di vista l'analo-
gia fra opera letteraria e opera musicale, cioè l'idea che il pas-
saggio dalla poesia parlata a quella scritta possa valere da mo-
dello per un'analoga conversione dall'ascolto musicale alla let-
tura musicale, è senza dubbio insostenibile. Nel linguaggio ver-
64 Criteri

baie e nella musica il rapporto tra l'elemento semantico e quello


acustico, tra signifìcatQ e signifìcan ,, è sostanzialmente diverso.
D'altra parte ""è certo ecéessivo legittimare esteticamente l'anal-
fabetismo musicale e negare che costituisca un ostacolo a un
ascolto efficace. Quell'« immediatezza» estetica che si vorrebbe
preservare evitando al non iniziato l'approccio alla scrittura mu-
sicale non è che un miraggio. L'ascolto apparentemente ~< 1m-
,......m, » dell'analfabeta musicale è in realtà mediato i.agli__
se emi im osti dall'industria del divertimento, e la iber;!.,este-
tica, che entra con l'oggetto in un rapporto~ immeeliato » e
non condizionato da dogmi, non può realizzarsi che per via me-
.diata, con un'emancipazione- dal convenzionale, e a tal fì ~ e è
I irrinunciabile lo strumento di una riflessione sulla musica me-
""9 ~ \diata dalla scrittura. - -

Ì:.. ~ 3. Che un momento della compos1z1one sia udibile o non


~ udibile, è un'alternativa troppo radicale e grossolana per essere
:_li\ corretta. Da una parte, se non si vuole che i concetti si sclerotiz-
Ll zino in slogans, bisogna distinguere diversi gradi di udibilità ,
~ -~ e non solo ·n senso psicologico o fisiologico, ma anche este-
~ ~ tico. In ogni oper musicale, anche nella piu semplice, degli
- ~ elementi per cosi dire « çli primo piano », che dovranno essere
!àS· percepiti con 1a massima cniarezza, si stagliano su uno sfonda
j
~
_.-:;;,. lasciato invece nella penombra; e la difficoltà di rilevare i mo-

-
lt menti salienti in questo strato seconaario della musica non e
un limite dell'ascolto musicale né nasce da una sua contingente
~D. inadeguatezza, pia euna caratteristica aella stessa sostanza este'J:
ìf
<l v tica aell'OJ)era. La vaghezza e l'inafferrabilità possono impron-
.._) _fe!(:. tare persino il carattere complessivo di un brano, non solo di
::J;f un suo strato, e chi pretendesse di percepire ogni particolare
nell'« Incantesimo del fuoco» di Wagner o in certi brani di
Debussy si disporrebbe a un ascolto esteticamente errato: la pre-
cisione è qui inopportuna.
D'altra parte l'opinione che la struttura di un'opera debba
esser percepita consapevolmente per risultare efficace è un pre-
giudizio che può produrre errori se non viene ricondotto a limiti.
precisi. A livello semiconscio si possono recepire efficacemente
non solo elementi emotivi, ma anche logici. Non occorre pene-
trare la logica di un sillogismo per rendersi conto che una de-
duzione è stringente, e nella musica dodecafonica l'ascoltatore
può ben avvertire la densità dei collegamenti anche senza acqui-
Criteri 65

sire piena consapevolezza del sistema delle relazioni. Nessuno


è cosi ottuso da interpretare la musica dodecafonica come im-
provvisazione, per quanto scabra possa apparirne la superficie:
l'impressione di rigore e coerenza s'impone subito, anche senza
la conoscenza dei presupposti.

4 . La lettura di una partitura è sempre accompagnata da


immagini acustiche, che comunque rimangono a volte molto
vaghe; viceversa nell'ascolto si insinuano elementi mediati dalla
scrittura. La divisione tra ascolto e lettura è astratta nel senso
deteriore del termine.
La « musica cartacea » cosi come viene connotata dalla po-
lemica contro la tecnica seriale, una musica quindi che ha rotto
i ponti con ogni fenomeno acustico, è un concetto-fantasma mai
esistito nella realtà. Persino le costruzioni a canone pili inac-
cessibili si mantengono sempre nei limiti del sistema tonale e
della relazione tra consonanze e dissonanze propri della musica
di un'epoca, invece di avventurarsi - come ci si dovrebbe at-
tendere se l'interesse costruttivo o pseudo-matematico si fosse
scisso davvero da quello musicale e utilizzasse le note solo
come semplici segni - in ambiti astratti, inaccessibili alla fan-
tasia acustica. La « musica cartacea » - per usare un'espressio-
ne polemica cui si può comunque ricorrere anche con intenti
apologetici - non si sottrae affatto all'immaginazione acustico-

- -
musicale, ma semplicemente riduce l'im_p.m:.tanza dell'ascolt.Q. a
beneficio del pensiero che coglie le relazioni.
-
5. La divergenza fra una prassi compositiva i cui risultati
restano incomprensibili senza una lettura analitica della parti-
tura e un pubblico composto in parte notevole di analfabeti
musicali - che non si vergognano di esserlo, né avrebbero ra-
gione di vergognarsene - è certo profonda, ma non implica,
o almeno non implica necessariamente, l'impossibilità di un pun-
to d'incontro. La musica, a differenza della lingua, può essere
efficace anche senza venir compresa. (La categoria della « com-
prensione » non è del resto scevra di problemi in sede di estetica
musicale.) Nessuno può dire di conoscere la storia dell'ascolto
musicale, ma si può supporre che essa sia indipendente da quella
del comporre, e in misura tale da mettere in forse il concetto stes-
so di una evoluzione « della » musica, di un processo cioè nel
quale storia della composizione e della recezione si integrino a vi-
66 Criteri

cenda. E senza esagerazione si può dire che nella musica contem-


poranea il conflitto estetico, il dissidio tra una struttura che
nessuno può penetrare senza un'analisi faticosa e un'esteriorità
acustica che comunque non manca di efficacia, è un dato carat-
teristico e addirittura costitutivo. ~ musica contemporanea ap-
pare a un tempo e « da leggere » e <~ ad effetto ».
Capitolo terzo

Analisi

Bach: Cantata BWV 106 (Actus tragicus)

La Cantata BWV 106 di Bach Gottes Zeit ist die allerbeste


Zeit fu, insieme con la Cantata BWV 21 Ich batte vie! Bekum-
mernis, una delle poche opere vocali apprezzate senza riserva
nell'Ottocento, quando Bach, pur celebrato come Erzkantor, era
considerato anzitutto un compositore di musica strumentale.
Senza dubbio il testo dell'Actus tragicus, costituito sostanzial-
mente di citazioni bibliche invece_che di « poesia madrigalesca »
- un genere la cui «ampollosità barocca», mescolanza di
dialettica ed esuberanza, era insopportabile al senso estetico
improntato alla concezione classicistica - fu uno dei fattori che
facilitarono la recezione della cantata.
Il giudizio sull'Actus tragicus di Moritz Hauptmann, il Tho-
maskantor, era comunque contraddittorio. « Quale sublime in-
teriorità! » scriveva a Otto Jahn, e aggiungeva, ignorando com-
pletamente il carattere retorico dell'illustrazione musicale del
testo, basata sui topoi della tradizione: « Non vi è una sola
battuta convenzionale, tutto è profondamente sentito. Di tutte
le cantate che conosco non ne potrei indicare nessuna in cui sia
il complesso dell'opera sia i particolari corrispondano con tanta
precisione e cosi felicemente al significato della musica e alla
sua espressione ». Ma l'entusiasmo cede poi il passo alla rifles-
sione, l'estetica del sentimento a quella della forma. « Se però
per una volta si volesse e si potesse chiudere il proprio senti-
mento a questo genere di bellezza, ed osservare l'insieme come
un'opera architettonico-musicale, allora esso risulta una massa
strana e mostruosa di tempi addossati l'uno all'altro, incastrati
l'uno nell'altro, combinati a casaccio e rimescolati proprio come
le frasi del testo, senza un criterio di raggruppamento e un
punto culminante» . Philipp Spitta, che cita il giudizio di Haupt-
68 A nalisi

mann, nella sua biografia di Bach definisce « fondata » la lode


e «infondata» la ~ica . Gli sfugge tuttavia che questa è com-
plementare e simmetrica a quella; il carattere espressivo del-
1' A ctus tragicus, il pathos intenso e la retorica non si possono
scindere dalla forma, la quale si presenta come un insieme di
frammenti ricuciti. La regolarità architettonico-musicale di cui
H auptmann lamentava l'assenza non è immaginabile laddove
non si scorge « una sola battuta convenzionale » ; e in un'opera
musicale che voglia essere di ampio respiro e insieme presen-
tare una struttura chiara non accade mai che « tutto » sia « pro-
fondamente sentito ».
Il rimprovero dell' « assenza di forma » mosso da Haupt-
mann può anche essere discutibile se si tengono in considera-
zione le circostanze storiche, ma da un punto di vista tecnico-
compositivo ed estetico non è poi cosi « infondato » come soste-
neva Spitta nel suo zelo di apologeta. L'Actus tragicus fu com-
posto prima del 1714, presumibilmente nel 1707 o 1708, a
Miihlhausen, e appartiene ancora al tipo piu antico di cantata ,
che a rigore sarebbe da definire « concerto spirituale » (la defini-
zione del genere non è indifferente ai fini del giudizio estetico).
Le singole parti sono piuttosto ariosi che arie , e non costitui-
scono ancora brani conclusi autonomi; chi si attendesse univo-
cità formale rimarrebbe deluso : non è possibile dire con certez-
za se l'arioso del contralto « In deine Hande » è in sé concluso
(da un punto di vista tonale è ben differenziato dal seguito)
o se rappresenta la prima sezione di un duetto. Rispetto al mo-
dello della « grande forma », nato in Italia verso il 1700, le
forme che si riscontrano nell'Actus tragicus risultano rudimen-
tali e poco sviluppate. L'aria col da capo con un ritornello ela-
borato che funge da impalcatura e nerbo dell'intero movimento ,
è stata utilizzata da Bach solo dal 1714, a partire dalle cantate
del periodo di Weimar.
Sebbene Spitta avesse idee conservatrici sulla musica, il suo
giudizio era perfettamente coerente con lo spirito del suo tempo ,
un'epoca in cui quella dimensione che Hauptmann definiva
« architettonico-musicale » era considerata secondaria rispetto
al fascino di un'espressività o di una retorica che violassero
le convenzioni formali: la trasgressione permetteva un'espres-
sione ricca di pathos e di effetto. La disorganicità dell'Actus
tragicus era per l'Ottocento, sebbene le premesse estetiche del
giudizio non fossero chiaramente esplicitate, piuttosto un pregio
Analisi 69

che un difetto: la deviazione dalle convenzioni formali liberava


]'espressività. Verso il 1710, tuttavia, la forma chiusa, che nono-
stante la propria ampiezza consentiva all'ascoltatore di orientar-
si, non era una vuota convenzione contro cui battersi; al con-
trario, l'evoluzione della pratica compositiva doveva porsi come
obiettivo questa forma, se non voleva chiudersi nel provincia-
lismo. Nel secolo scorso la fama dell'Actus tragicus si fondò
quindi - se la ricostruzione delle premesse estetiche è esatta -
su un capovolgimento della situazione storica: la forma disor-
ganica o spezzata, recepita come arcaica nel Settecento, appare
ora moderna; e se Bach percepiva la grande forma chiusa, cui
cercò di passare dal 1 714, come innovativa, nel secolo decimo-
nono essa era considerata retrospettivamente una convenzione
che frenava l'espressività.
Giudicare forme composte di parti divergenti ricucite in-
sieme, che per Hauptmann erano « mostruose » , sul modello di
una forma che si estende per centinaia di battute senza solu-
zione di continuità, è però, si potrebbe obiettare, un raffronto
scorretto e forzato tra modelli eterogenei, appartenenti a tradi-
zioni diverse. E l'obiezione appare ancora più pertinente se si
intende e si classifica il modello antico della cantata come con-
certo spirituale, cioè come 'un genere a sé stante e non come
forma primitiva della cantata posteriore, composta di arie e
recitativi.
L'Actus tragicus è comunque un 'opera di transizione, e
non solo sul piano storico-cronologico, in quanto brano le cui
premesse e le cui conseguenze ricadono su due epoche diverse ,
ma anche su quello estetico e tecnico-compositivo: è infatti con-
traddistinto da ambivalenze e incertezze. E senza timore di ve-
dersi attribuire una visione teleologica che trasforma il labirinto
della storia in percorso a senso unico, si può ravvisare in un bra-
no come l'aria del basso « Bestelle dein Haus » una forma rudi-
mentale, uno spunto non completamente sviluppato di aria di
cantata, di una forma quindi ampia e costruita intorno a un
tema.
Non avendo uno schema armonico definito, ma oscillando
fra il Do minore e il Fa minore - come parte di un comples-
so di brani che, secondo le parole di Hauptmann, sono «inca-
strati l'uno nell'altro » - l'aria è piuttosto un arioso. D'altra
parte essa contiene dal punto di vista sintattico uno spunto de-
stinato a sviluppi di vasta portata. Il tema si può ricondurre al
70 Analisi

tipo cosiddetto a Fortspinnung, con antecedente simile a un mot-


to seguito da una Fortspinnung costruita per progressioni e da
un epilogo cadenzante (battute 5-13); e i due periodi seguenti ,
costituiti da progressioni di frammenti del tema, appaiono una
Fortspinnung di secondo grado (battute 18-40). La sintassi del
tema costituisce il modello secondo cui si articola la struttura
complessiva; il rapporto tra antecedente e Fortspinnung ritorna
a?1plifìcy o nella relazione fra tema ed elaborazione o continua-
ZJone.
Si avverte quindi una tendenza verso una forma ampia,
che tuttavia non può liberamente affermarsi e realizzarsi (e in
questo senso la cantata è un'opera di transizione): l'aria si in-
terrompe, senza che la parte iniziale venga integrata con una
parte centrale che le si contrapponga, con la ripetizione delle
prime due battute del tema - una reminiscenza piuttosto che
una vera e propria ripresa - e un epilogo strumentale. (E la
frammentarietà della forma non è indifferente ai fini dell'illu-
strazione musicale del testo: la chiusa improvvisa sottolinea
]a minaccia celata nelle parole di Isaia al re: « Tieni in ordine
la tua casa» .)
L'aria si riduce cosi ad arioso. L'assenza di una sezione
centr~le non è comunque interpretabile come difetto partico-
lare o fortuito, ma come lacuna dovuta alla storia dello stile .
Affinché l'ampliamento, con l'introduzione di una sezione cen-
trale, non conducesse a una perdita di trasparenza strutturale
e allo sgretolarsi della forma - la grande forma, nel primo
Settecento, è fondata architettonicamente ed ha contorni netti
- sarebbe occorso che un ritornello strumentale, una struttura
tematica ricorrente desse coesione al brano . .La creazione di un
ritornello strumentale in« Bestelle dein Haus » veniva però osta-
colata da una condotta melodica palesemente vocale e segnata
con tanta pregnanza da particolari del testo da non potersi con-
cepire in versione strumentale.
La forma dell'aria « Bestelle dein Haus » è quindi ambivalen-
te: antico e nuovo, topoi melodici del concerto spirituale e
sintassi dell'aria da cantata, fedeltà alla forma breve, legata a
un testo, e tendenza in parte repressa a una forma di maggior
ampiezza, emancipata dai particolari del testo, si intrecciano e
contraddicono; e se l'Actus tragicus non appartiene piu se non
'parzialmente al « tipo antico della cantata » da cui deriva, allora
una critica della forma che prende le mosse dalla « tendenza »
Analisi · 71

implicita nell'opera piuttosto che dalla sua « ongme » non è


cosi infondata e illegittima come potrebbe apparire ad uno sto-
ricista intransigente, per il quale ogni istante della storia è
« immediatamente di fronte a Dio ».

Johann Stamitz: Sinfonia in Re maggiore

La Sinf~nia in Re maggiore di Stamitz (Denkmiiler der Ton-


kunst in Bayern, III, 1, (1902), p. 14) è l'opera che apriva la
Melodia Germanica, l'importante raccolta delle sinfonie della
scuola di Mannheim pubblicata a Parigi nel 1760. L'opera era
quindi esempio rappresentativo della « nuova musica » del di-
ciottesimo secolo, che affascinò e sgomentò gli ascoltatori del-
l'epoca.
Hugo Riemann, che scopri (o piuttosto costrui) l'importan-
za storica di Stamitz, da lui certo esagerata, ne analizzò l'opera
dal punto di vista della storia dell'evoluzione della musica. Essa
rappresentava a suo parere un momento decisivo nella storia
della forma sonata nell'ambito della sinfonia, e il criterio su
cui si fondava tale tesi era il grado di sviluppo di elementi
quali il secondo tema, l'elaborazione motivico-tematica e la ri -
presa del tema principale. In Riemann il giudizio estetico è in-
scindibile da quello storico; infatti uno storico che individui
l'approdo finale dell'evoluzione di una forma musicale in un
classicismo, realizzazione perfetta e totale dell'idea che ne è alla
base, non può non ravvisare nella distanza storica rispetto al
classico anche uno scarto estetico: l'arcaico è una forma primi-
tiva del classicismo, il manierismo ne è la decadenza.
Si potrebbe quasi dire che il metodo della storia dell'evolu-
zione vede nel prodotto musicale non l'opera, bensf il docu-
mento che fornisce dati su una certa situazione storica. Questo
approccio è stato contestato con una dura polemica da Werner
Korte (Darstellung eines Satzes von Johann Stamitz, in Fest-
schrift fur Kart Gustav Fellerer, Regensburg, 1962). Korte, che
si richiama a una variante dello strutturalismo, tenta invece di
identificare il principio formale individuale di un compositore,
che nel caso delle sinfonie di Stamitz sarebbe lo Streuungsver-
fahren, il «procedimento di dispersione». E per distinguere in
modo inequivocabile la costruzione musicale di Stamitz dalla
forma sonata di Haydn e Beethoven egli la definisce addirittu-
72 Analisi

ra come « diffusione caleidoscopica delle unità tematiche », quasi.


le diverse parti fossero intercambiabili a piacere.
L'espressione « procedimento di dispersione » è intesa in
senso strettamente descrittivo e non implica affatto un giudizio
estetico. È difficile, però, prescindere dalla concezione radicata
secondo cui un'opera costituita di parti liberamente intercam-
biabili rappresenta un grado inferiore nella gerarchia delle forme
rispetto a un genere in cui le parti siano nello stesso tempo
__/differenziate nel modo piu vario da un punto di vista funziona-
le e internamente integrate in un tutto compatto: due aspetti
complementari e interdipendenti. E ci si dovrebbe poi doman-
dare se questo « principio di dispersione » abbia una sua auto-
nomia, e se, non riconducibile ad altri modelli, lo si possa con
piena legittimità estetica porre accanto ai principi basati sullo
svolgimento e sul raggruppamento.
La descrizione dei procedimenti compositivi di Stamitz da
parte di Korte è cosi radicalmente polemica che tende a distor-
cere la realtà dei fatti. Essa soffre di una grave contraddizione :
se da una parte si parla di un « principio di aleatorietà » e
quindi di una intercambiabilità delle varie parti ordinate a caso ,
dall'altra si riscontra una differenziazione funzionale delle parti
stesse, sebbene a rigar di logica i due momenti si escludano a
vicenda . Se un periodo è un tipico « tema iniziale», non lo si
può collocare alla fine di un brano (a meno che non vi siano in·
tradotte profonde modifiche) senza che l'applicazione del « prin-
cipio di dispersione » renda l'opera esteticamente fragile .
Non si tratta comunque di una contraddizione insuperabile .
Differenziazione e intercambiabilità, aspetti entrambi inconte-
stabilmente presenti in Stamitz, si compensano a vicenda nel-
l'ambito di un procedimento di raggruppamento che Korte ri-
fiuta o trascura di riconoscere . Il primo movimento della Sinfo-
nia in Re maggiore si articola in sette gruppi, comprendenti
ciascuno due o tre sezioni:

G ruppi I II III IV V VI VII

Sezioni a b e d e I g. b d h d e e I b g b g
Battute 8 8 8 76 12 8 12 6 6 9 6 6 12 8 4 47

Le parti a, d ed f sono inequivocabilmente sezioni iniziali, che ,


Analisi 73

per la loro pregnanza tematica e la tendenza al piano , si dif-


ferenziano sul piano melodico e dinamico dalle parti non tema-
tiche che rappresentano o un passaggio in crescendo o un con-
trasto in forte. La sezione b è un tipico episodio di crescendo
« alla maniera di Mannheim », la sezione e uno sviluppo in
progressione con cadenza; c e g rappresentano i punti culmi-
nanti del movimento ovvero, a voler essere maliziosi, sempli-
cemente dei « tutti » roboanti, di quelli che Schubart definiva
« cateratte ».
Nei gruppi I-III la successione delle parti si fonda senza
dubbio alcuno su una differenziazione funzionale. Nella ripresa
(gruppi V-VII) le varie sezioni sembrano invece rimescolate in
modo del tutto arbitrario, cosi. che si afferma il « principio di
aleatorietà ». Casualità e arbitrio sono tuttavia solo apparenti:
in realtà è possibile ricostruire i criteri di organizzazione del
brano e motivarne le eccezioni.

1. Le sezioni a, d ed f stanno sempre all'inizio di un grup-


po, dopo una cesura preceduta da una cadenza; le altre sono
tutte strettamente intrecciate. Fa eccezione la sezione di passag-
gio in crescendo b nei gruppi IV e VII; nel gruppo IV esso
occupa una posizione irregolare - osservazione che non può
non implicare una valutazione estetica - e viene svuotato di
rilevanza funzionale per essere collocato tra due cadenze (il tema
d inizia regolarmente dopo una cesura); nel gruppo VII viene
quasi trasformato in tema attraverso la fusione col motivo ca-
ratteristico del tema f.

2. La sostituzione di a con d nella ripresa (gruppo V) , cosi


come il passaggio di b dal gruppo I (fra a e c) al gruppo VI
(tra f e g) si giustificano formalmente se si parte dal presuppo-
sto che i periodi sono caratterizzati sul piano funzionale come
sezioni iniziali, di passaggio o finali , ma che nello stesso tem-
po una sezione iniziale (o una di passaggio) è intercambiabile con
un'altra dello stesso tipo senza che per questo il raggruppamento
divenga meno efficace. La sezione b, il crescendo orchestrale
« alla maniera di Mannheim », è certo un episodio di transi-
zione, ma non uno specifico collegamento tra le parti a e c: al
contrario, può inserirsi tra ciascuna delle sezioni iniziali e finali.
La differenziazione funzionale è generale e non individuale.
74 A nalisi

3. Sul piano funzionale b è una sezione di trans1z1one, e


una sezione finale . Il loro cambiamento di posizione (b è in
IV, nello sviluppo, sezione iniziale, mentre e è la sezione cen-
trale in V) non si giustifica in base al principio formale su cui
si fonda il movimento, cioè l'arbitrarietà del « procedimento
di dispersione », ma solo mediante un ulteriore artificio: la
e
cJdenza plagale che caratterizza in I come sezione finale man-
..ea in V e viene invece aggiunta a b in IV, in modo che il
tema iniziale d sia preceduto come sempre da una cesura.
Attraverso l'artificio , primitivo ma caratteristico, dell'aggiun-
ta o dell'eliminazione della cadenza le varie parti divengono
intercambiabili, benché la loro funzione sia stata originaria-
mente stabilita. La concezione consueta ispirata al modello
organicistico , secondo cui l'intercambiabilità delle parti rappre-
senta uno ,stadio rudimentale e primitivo, e la differenziazione
funzionale un livello evolutivo successivo e superiore, si rivela
insufficiente se si cerca di ricostruire la genesi della forma sin-
fonica in Stamitz. Per spiegare l'artificio descritto bisogna in-
fatti ammettere che Stamitz parta dalla differenziazione fun-
zionale, dalla caratterizzazione delle varie parti come sezioni
iniziali, centrali e finali di un gruppo, e solo in un secondo
momento ne procuri l'intercambiabilità, il sorprendente scam-
bio di funzioni ritenuto necessario per apparire in ogni mo-
mento « interessante». L'idea formale che egli realizza è quin-
di - se si assume come norma « classica » la differenziazione
funzionale e l'integrazione delle parti differenziate - manie-
ristica piuttosto che arcaica .
I tratti propri della forma sonata sono evidenti, sebbene
Korte li disconosca. Il tema principale è a, il tema secondario
f. (Già d è nella tonalità di dominante, ma rappresenta solo
una variante di a e non costituisce quindi un tema secon-
dario; i due caratteri fondamentali di un tema secondario,
quello melodico e quello tonale, non combaciano, come accade
a volte in Haydn .) Il gruppo IV è uno sviluppo modulante,
in cui le battute iniziali di d si presentano staccate in sequenza;
nella ripresa (da V a VII) il tema a viene sostituito dalla va-
riante d, ma la ripetizione di d è sempre preceduta dalle due
battute iniziali di a, quasi a mo' di reminiscenza e a indicare
la nuova funzione formale.
La forma sonata, che ha come condizione necessaria la
differenziazione funzionale fra le parti, è comunque messa m
Analisi 75

forse dalla tendenza all'intercambiabilità, ma non - cosi si


potrebbe obiettare alle tesi storico-evoluzionistiche - perché
sia « scarsamente sviluppata », bens1 per il fatto che viene
deformata in un secondo momento. E dal giudizio storico
si può ricavare quello estetico: Stamitz, per amore di un avvi-
cendamento caleidoscopico, rinnega quella differenziazione fun-
zionale delle parti che ha conseguito solo in parte e che, attuata
integralmente, sarebbe bastata a scongiurare quella monoto-
nia che egli invece credette di evitare ripiegando nel ma-
mensmo.

Haydn: Quartetto per archi in Do maggiore op. 20 n. 2

« Classicismo » è un concetto duplice, comprendente un


momento storico ed uno estetico inscindibili l'uno dall'altro.
La concezione secondo cui un 'opera musicale dell'età del classici-
smo può avanzare anche pret,ese di « classicità » è saldamente ra-
dicata, sebbene gli storici che diffidano delle valutazioni esteti-
che tendano a far corrispondere al termine soltanto una deter-
minata epoca e un determinato stile , senza associargli un giu-
dizio sul . livello qualitativo delle opere ad esso riconducibili.
Se però sembra naturale parlare di « barocco » in riferimento a
opere dei compositori minori del secolo XVII, sempre che
ovviamente non si rifiuti tale definizione legata alla Geistes-
geschichte , anche gli storici meno problematici oppongono una
certa resiste"nza all'idea di annoverare fra i classici Pleyel e
Krommer, considerati piuttosto contemporanei ed epigoni del
classicismo.
Secondo una convenzione tramandata dagli stonci, nei
Quartetti per archi op. 33 di Haydn si manifesta la cesura
che divide il classicismo musicale dal preclassicismo - una
categoria che si è voluta precisare ulteriormente con definizio-
ni come rococò, Empfindsamkeit, Sturm und Drang, per la
storia della musica fonti di confusione piuttosto che elementi
di chiarezza. L'idea di questa cesura è molto ben radicata da
quando Adolf Sandberger, alcuni decenni or sono, in Zur Ge-
schichte des Haydnschen Streichquartetts (Ausg,ewiihlte Auf-
siitze zur Musikgeschichte, Miinchen, 1921, p. 224 ss.), volle in-
terpretare la differenza estetica e tecnico-compositiva tra l'op.
20 e l'op. 33 come salto qualitativo . Il fatto che intorno al 1780 ,
76 Analisi

pressappoco nello stesso periodo in cui nasce l'op. 33, Goethe


abbia scritto Ifigenia in T auride può avere poi favorito il sor-
gere dell'idea di una cesura nella storia della musica e di un
passaggio al classicismo, per quanto vaga e inafferrabile sia
la nozione dello Zeitgeist, dello spirito del tempo.
Sandberger spiegava ] 'aspetto nuovo e caratteristico dei
Quartetti op. 33, l'elaborazione tematico-motivica, come solu-
zione di una contraddizione in cui Haydan era caduto nell'op.
20: il dissidio fra lo spirito del « divertimento » e il contrap-
punto rigoroso. Tre dei sei quartetti dell'op. 20 si chiudono
con un finale in forma di fuga o di fugato, sebbene d'altra
parte in essi si riscontrino le tracce dell'origine da quello che
l'estetica settecentesca nella Germania settentrionale definiva
<<basso stile». Sembra cosi che Haydn abbia voluto fondere
due tradizioni eterogenee che a rigore si sarebbero escluse
a vicenda: lo stile galante e quello dotto. « Malgrado la raffi-
natezza di tale mediazione», scrive Sandberger (pp. 259-260)
senza procedere comunque a un'analisi piu dettagliata del con-
cetto, «qui Haydn congiunse due momenti che nel suo univer-
so quartettistico - diverso da quello di Beethoven - avevano
stilisticamente ben poco in comune. [ ... ] Divertimento e solen-
nità contrappuntistica, ariosità e profondità dell'armamenta-
rio musicale: Haydn dovette certo avvertire tali contraddizioni.
Se la nostra lettera può dimostrare che, giunto a questo punto,
Haydn per ben dieci anni mise da parte l'idea di comporre
quartetti, ciò è non poco significativo. Negli ultimi quartetti
da lui composti non tutto era perfetto, non tutto lo soddisfaceva:
mancava qualcosa che non riusciva a individuare. Cosi il Mae-
stro accantonò del tutto questo genere. Ciò che mancava era
in realtà la mediazione fra la costruzione musicale severa e
quella più libera. Dal matrimonio tra contrappunto e libertà
nacque l'elaborazione tematica ».
La descrizione storica di Sandberger, ricostruzione di una
situazione compositiva problematica che spinse a trovare una
soluzione nell'elaborazione tematico-motivica, implica un giudi-
zio estetico: in quanto stadio che storicamente precede e prepa-
ra l'op. 33, in quanto opera del « preclassicismo » nel doppio
significato del termine, l'op. 20 risulterebbe contraddittoria
sul piano tecnico-compositivo. È tuttavia il caso di chiedersi
da un lato in che senso l'elaborazione tematico-motivica, nata
nel Seicento e forse anche prima, sia nell'op. 20 ancora non
Analisi 77

del tutto attuata e quindi « preclassica », e dall'altro se nel


singolo quartetto inteso come concreto brano musicale - ·e
non come astratto punto di attrito tra « galante » e «dotto » -
un finale in forma di fuga o di fugato rappresenti una frattur a
stilistica che irretisce l'opera in una contraddizione estetica e
tecnico-compositiva. In un quartetto come l'op. 20 n. 2 la
tecnica della' fuga è davvero un elemento estraneo ed eteroge-
neo, quasi aggiunto dall'esterno, senza alcun fondamento nel-
l'impianto stilistico dell'opera?
Dovrebbe essere incontestabile che l'elaborazione tematico-
motivica - nel senso piu ampio dell'espressione - è un tratto
saliente del primo tempo dell'op. 20 n. 2, e che lo caratterizza
conferendogli una base unitaria. La prima parte dello sviluppo
(battute 48-60) si fonda su una progressione il cui ritmo riman-
da a un segmento motivico del tema principale (battute 1-2). Il
collegamento ritmico ha comunque valore associativo piuttosto
che costitutivo, e non è specifico dello sviluppo: anche il
gruppo finale dell'esposizione (battute 39-42) è ritmicamente
dipendente dal tema principale. Nella seconda parte dello svi-
luppo (battute 61-80) frammenti dell'esposizione vengono coin-
volti in un processo di modulazione senza subire modificazioni
significative sul piano melodico. La costruzione dello sviluppo
presenta dunque, se confrontata con il metodo applicato da
Haydn a partire dall'op. 33, un difetto: tecniche radicalmente
diverse vengono affiancate senza mediazione alcuna . O il colle-
gamento con il tema si riduce a un momento parziale della
melodia, il ritmo, o il tema viene semplicemente citato piutto-
sto che rielaborato. Ma solo la mediazione, qui assente, è -
cosi si potrebbe interpretare la critica della forma musicale
condotta da Sandberger - elaborazione tematica nel senso
proprio e « classico » della parola.
Se perciò l'elaborazione tematico-motivica nel primo movi-
mento appare condotta in modo contraddittorio, il secondo
aspetto esaminato nella ricostruzione di Sandberger, vale a dire
il finale fugato, non è assolutamente un'appendice « dotta »
estranea allo stile del quartetto. Dalla fusione della tematica
tipica del divertimento con la tecnica della fuga - una fusione
che appariva contraddittoria a Sandberger - emerge piuttosto
una tendenza cui tutti i movimenti sono improntati: il contra-
sto fra il « tono » dello stile galante e la « tecnica » dello stile
severo viene ingegnosamente messo a profitto senza che si cerchi
78 Analisi

una compensazione, una « sintesi ». Il contrasto vuole ·risultare


stimolante, e si è tentati di ricorrere alla categoria schlegeliana
dell' « interessante » per caratterizzare sul piano estetico la con-
cezione del quartetto. La contraddittorietà intrinseca di un'opera
in cui, come nel Quartetto op. 20 n. 2, il « preclassico » è una
categoria del tutto autonoma, non è un difetto su cui fondare
una condanna estetica, ma un principio stilistico.
La contraddizione - per evitare anche l'apparenza di un
giudizio estetico negativo, si potrebbe anche parlare di ambiva-
lenza, se un vocabolo cosi pretenzioso non apparisse qui fuori
luogo - è presente fin dal tema del primo movimento. L'inizio,
caratterizzato da una convenzionale dissonanza di sincope, suona
arcaico, ma la frase prosegue poi «giocosamente», per usare
un termine di moda nel diciottesimo secolo. E il tema, pur
essendo tipico di un tempo di sonata, è esposto secondo lo
schema dux-comes-dux (insieme con due contrappunti obbliga-
ti) ~icorda quindi la scrittura fugata della sonata « da chie-
sa », uno dei precursori storici del quartetto per archi.
Il secondo movimento, un Adagio, si presenta come « mu-
sica sulla musica », imitazione strumentale - ma non copia -
di un modello o tipo vocale. La prima parte (battute 1-33) è
una « scena » che presenta all'inizio e alla fine un ritornello
di sapore arcaico (fondato armonicamente su quella progressione
per quinte che intorno al 1770 apparteneva già allo stile del
passato); la seconda parte, un cantabile (battute 34-63), si
presenta come «cavatina». L'intero movimento è un esempio
tipico dello « stile parlante ». Per usare un paradosso si
potrebbe definire la « scena » un recitativo senza recitazione.
La voce solista viene infatti ìnterrotta dagli interventi dell'orche-
stra tipici del recitativo accompagnato, sicché è impossibile non
pensare all'opera o alla cantata. La melodia del violino non
imita però la cadenza del parlato; al contrario è tipicamente
strumentale. Il principio ispiratore del movimento si potrebbe
quindi definire, riprendendo una delle antitesi fondamentali
dell'estetica classica, come aemulatio e non come imitatio: il
violino non copia il recitativo, piuttosto lo emula ricorrendo
però al suo proprio linguaggio.
Nel terzo movimento, lo stile galante - quale è rappre-
sentato dal minuetto fin dalla sua origine, e quale quindi l'ascol-
tatore lo attende - è solcato da fratture stilistiche di sapore
« dotto ». Il Trio rimanda - e la reminiscenza è qui quasi una
Analisi 79

citazione - al modello armonico del ritornello arcaicizzante del-


1' Adagio . E la melodia della sezione principale è sottoposta a
esperimenti metrico-ritmici che mettono in forse il carattere
di danza del movimento . Il primo periodo non è costruito
secondo la norma della « quadratura », ma articolato in modo
irregolare, in quattro gruppi di cinque battute; nella ripresa
dell'inizio (battute 29-56) alcuni dei gruppi irregolari di battute
vengono poi, come in un'analisi tradotta in musica, ricondotti
alla loro forma fondamentale regolare, corrispondente alle
norme della quadratura (battute 34-39 = 6-10 senza la battu-
ta 10, ma con due nuove battute aggiuntive; battute 45-48 =
16-20 senza la battuta 18; le battute irregolari, «di troppo»,
del primo periodo sono dunque 10 e 18). L'artifìciale appare
cosi un gioco di cui alla fìne del movimento Haydn svela le
regole.
Se si vuole cercare una formula che riassuma le peculiarità
dell'op. 20 n. 2 e la caratterizzi nelle sue linee generali, una
formula che renda conto sia della reinterpretazione di un model-
lo o genere vocale secondo uno stile strumentale nell'Adagio,
sia dello straniamento metrico-ritmico nel Minuetto , sia infìne
del problematico collegamento, nel Finale, fra temi tipici del
divertimento e tecnica della fuga, si potrebbe indicare come
tratto comune l'intreccio sperimentale di elementi eterogenei (il
concetto dello « sperimentale » andrebbe comunque inteso, cosi
come quello del « manieristico », in senso anticlassico). Il dis-
sidio presente nel fìnale, vale a dire la contraddizione fra « l'ele-
mento pili arioso e quello pili profondo dell'armamentario mu-
sicale », che Sandberger vedeva risolta nella forma classica del-
l'elaborazione tematico-motivica com'è attuata nell'op. 33, non
è un problema che possa essere isolato (nel qual caso esso sareb-
be sintomo di fragilità o problematicità estetica) , ma risulta esse-
re l'attuazione particolare di un principio generale che informa
tutti i movimenti del quartetto. L'approccio storico-evolutivo,
prendendo come punto di riferimento lo stile « classico » rag-
giunto nell'op. 33 , coglie in questa contraddizione il tratto che
rivela uno stadio preparatorio e rudimentale . Ma in effetti , nel
contesto estetico dell'op . 20 n. 2, tale contraddizione non è
una lacuna da superare, ma un carattere stilistico costitutivo.
Sarebbe tempo di delineare un 'estetica in cui il « preclassico »
non viva pili all'ombra del classico.
80 Analisi

Schubert: Sonata per pianoforte in Do minore O 958, opera


postuma

La Sonata in Do minore, composta dH Schubert nel set-


tembre del 1828, poche settimane prima della morte, è una
delle ultime tre sonate per pianoforte. Sarebbe tuttavia errato
o perlomeno discutibile parlare di uno « stile tardo » che infor-
mi l'opera. E non perché l'autore sia morto troppo presto per
potersi legittimamente adoperare tale concetto, che è una cate-
goria della cronologia interiore piuttosto che di quella este-
riore, ma perché il termine « stile tardo » richiama immedia-
tamente idee, come la convergenza tra un precario rispetto
per le convenzioni e un'altrettanto precaria, irriguardosa insi-
stenza sull'elemento piu specifico e irripetibile, che non corri-
sponderebbero affatto alla fisionomia della Sonata in Do minore.
La problematica dell'opera, e si tratta di una problematica nel
vero senso della parola, è di tutt'altro genere.
Come autore di musica strumentale Schubert almeno nelle
prime ~onate, è quasi un musicista «epico», convinto che ci si
attenda da lui ricchezza e varietà di particolari. L'impazienza di
giungere alla meta finale gli è affatto estranea. Lo si deve ascol-
tare quindi come un narratore in cui divagazioni , episodi, inter-
ruzioni non vengono a disturbare o rallentare l'azione princi-
pale, ma rappresentano piuttosto essi stessi l'azione principale.
Quel che cambia nelle ultime sonate è il tono. Schumann
credette di udirvi una tendenza alla rinuncia e alla resa, e la
sua recensione, scritta nel 1838 dopo la pubblicazione postu-
ma dell'opera, tradisce una certa delusione: « Come che sia ,
queste sonate mi sembrano singolarmente diverse dalle altre
Sue, per via di una semplicità dell'invenzione molto maggiore,
di una rinuncia volontaria alla brillantezza e all'inedito che
Egli altrove ricerca con tanta convinzione , di un continuo svol-
gimento di certi pensieri musicali generali al posto dell'intrec-
cio di sempre nuovi fili in ogni periodo ». Schumann sembra
riferirsi soprattutto alla fantasia melodica , di cui avverte un
calo. Tuttavia il tentativo di fondare o spiegare il suo giudizio
mediante un'analisi che cerchi di ricostruire l'idea form ale , la
genesi interiore dell'opera, per cosi dire, non dovrebbe essere
vano .
Il primo movimento della sonata è all'insegna del contra-
sto . Caratteri che ricordano Beethoven s'intrecciano a tratti
Analisi 81

tipicamente schubertiani senza raggiungere un vero equilibrio .


L'aperta reminiscenza, all'inizio, del tema delle Variazioni in
Do minore di Beethoven non è indifferente né casuale: è un
segno o un gesto con cui Schubert pare voler dichiarare il
proprio obiettivo: lo stile deciso e pregnante che tanto ammi-
rava in Beethoven.
Per neutralizzare la propria tendenza alla divagazione impre-
vedibile - una tendenza che richiama alla mente la tecnica
narrativa di Jean Paul - Schubert tesse una rete di relazioni
motiviche in parte palesi e in parte latenti, destinate a susci-
tare anche nell'ascoltatore che non le . coglie consapevolmente
il senso dell'unità del contesto musicale. Il procedimento è
suscettibile di mutamenti: le battute 40-42 con cui inizia il
tema secondario sono da un punto di vista diastematico, ma
non ritmico, un ritorno alle battute 14-15 del proseguimento
del tema principale; viceversa le battute 86-87, all'inizio della
sezione conclusiva, sono da un punto di vista ritmico, ma non
diastematico, una reminiscenza delle battute 4-5 del tema
principale.
Se perciò da un lato non può sfuggire lo sforzo per conso-
lidare l'unità del contesto e ottenere una maggiore densità
motivico-tematica, dall'altro sembra che Schubert abbia poi
ceduto anche alla sua inclinazione per quella dilatazione epica
che obbedisce alla sua natura musicale pili genuina . Il passag-
gio dal tema principale al secondario (battute 21-39) e dal
tema secondario alla sezione conclusiva (battute 68-85) è lungo
e per cosi dire tessuto senza fretta, e la seconda sezione di
collegamento, che non ha funzione modulante, ha carattere
episodico (virtuosismo e collocazione all'interno dell'impianto
formale rimandano ali'« episodio giocoso » del concerto per
pianoforte dell'Ottocento). Il risultato che ne consegue, cioè la
doppia tendenza a creare collegamenti da una parte e a diffon-
dersi con ampiezza dall'altra, è però una tecnica propria della
variazione, insolita e problematica in un movimento di sonata:
i passaggi qui menzionati non sono che variazioni o varianti del
tema principale e di quello secondario, e non sarebbe corretto
parlare di « sezioni di sviluppo », cancellando in questa espres-
sione la concreta differenza rispetto alla tecnica beethoveniana
della forma . La tecnica della variazione , che implica nello
stesso tempo stretto collegamento e ampia diffusione, è però
in contrasto sia con ciò che il primo significa in Beethoven
82 Analisi

sia con il senso che la seconda ha nelle prime sonate di Schu-


bert: essa non dà l'impressione né della concentrazione ·né della
ricchezza melodico-tematica. Le tendenze che Schubert vorrebbe
conciliare, piuttosto che trovare un equilibrio si neutralizzano
a vicenda. Il risultato è un'associazione di povertà tematica e
di tendenza all'ampiezza eccessiva che Schumann non a torto
avverti come difetto estetico.
Il Finale della Sonata in Do minore, che si protrae per
oltre settecento battute, per non dissolversi e non disorientare
a causa dell'eccessiva estensione, si basa sullo schema formale
piu semplice che si possa immaginare:

Sezioni . A1 B' e AZ BZ Al
Battute 1-112 113-242 243-428 429-498 499-660 661-ìl ì

La sem:iicità e la solidità dell'impalcatura formale compensano


l'ampiezza epica.
Per quanto semplice sia lo schema - l'indicazione delle se-
zioni con una serie di lettere , spesso una forzatura che conduce
a un'ingiustizia estetica nei confronti di una forma, è qui del
tutto adeguata - , il movimento non si presta affatto ad inse-
rirsi nel sistema teorico delle forme musicali, cosi come fu
elaborato nel primo Ottocento da Adolf Bernhard Marx. Lo
si può certo ricondurre alla forma sonata o a quella di rondò ,
ma si tratta di una riduzione alquanto insoddisfacente, se non
altro perché· risulta difficile optare per una delle due; e d 'altra
parte non è affatto certo che la rinuncia a tale decisione e l'ipo-
tesi dell' « ambiguità » formale renda davvero giustizia al brano
le cui caratteristiche formali rivelano una tendenza alla sem-
plicità piuttosto che alla complicazione. Un momen.to partico-
larmente critico, di cui non si può dire se tradisca una lacùna
o se costituisca un punto chiave dell'impianto formale , è l'inizio
della sezione C o il passaggio da B1 a C. Un ascoltatore che
abbia presente il modello codificato del finale nell'ambito del
genere sonatistico si aspetta uno sviluppo, secondo il modello
della forma sonata, o una ripetizione del ritornello A, secon-
do lo schema del rondò. t'esposizione di un terzo tema risulta
invece sconcertante, e l'impressione di un disgregarsi della
forma e di una caduta nel potpourri viene evitata o inibita
solo dal fatto che un potpourri, un semplice succedersi di temi ,
Analisi 83

sarebbe inammissibile come finale di sonata. Si cerca quindi


istintivamente un fondamento e una giustificazione che superi
l'apparenza di un difetto di forma, e la dimostri frutto d 'un
inganno o d'un equivoco. La posizione e la funzione del bra-
no all'interno di un ciclo il cui assetto formale è già fissato
dalla tradizione costringe l'ascoltatore alla « fatica del concetto »
in senso estetico-formale. ·
L'ipotesi secondo cui la ripetizione del ritornello A fra B
e e viene tralasciata perché un'ulteriore ripetizione del tema
già lungamente esposto riuscirebbe insopportabile , e che quin -
di la forma di questo movimento si debba interpretare come
rondò « amputato », in apparenza è illuminante , giacché la sua
semplicità si concilia molto bene con quella della struttura for-
male, ma in realtà rimane troppo superficiale. Se si ascolta
con orecchio analitico la sezione C - accettando il « pregiudi-
zio » fondato nella tradizione dei generi secondo cui l'avvicen-
darsi di temi proprio del potpourri non può essere stato alla
base della concezione formale di Schubert - si può dimostrare
da un lato che essa tende verso il principio evolutivo proprio
della forma sonata, in quanto consiste di un'esposizione (bat tu-
te 243-308) e di uno sviluppo (battute 309-428 ) in cui ven-
gono presentati in sequenza tre diversi elementi , tutti fram-
menti del tema C; dall 'altro si può intravvedere nel tema C
anche la variante in tonalità maggiore di A (battuta 6 7 l,
sia pure divenuta poco riconoscibile per via della dilatazione.
La successione Fa ~ - Re ~ - Do ~ - (La ~ ) - Si - Fa ~ si può
intendere come trasposizione di Sol - Mi - Re - Do - Sol. Se
quindi la sezione C è una variante di A e sta in suo luogo,
secondo i criteri di Marx il movimento va clàssificato come
rondò-sonata: un rondò il cui primo couplet ritorna in una ri-
presa e viene trattato sul piano tonale çome tema secondario , e
il cui secondo couplet rappresenta uno sviluppo.
Una forma musicale deve comunque avere fondamento nel
carattere e nella struttura dei temi, se non vuole apparire un
semplice schema, un guscio riempito di momenti particolari
slegati fra di loro. I temi tipici di un rondò e di una form a
sonata sono cosi diversi da non poter mai risultare intercam-
biabili, e un compromesso come quello richiesto dal rondò-so-
nata è dunque difficile. '
I temi del finale della Sonata in Do minore sono sostan-
zialmente, nel loro stesso principio melodico, caratteristici terni
84 Analisi

di rondò perché si presentano come costruziom m forma di


periodi chiusi , che stimolano alla ripetizione; e la ripetizione
di parti di un periodo è un elemento costitutivo per una for-
ma che, come il rondò, si basa sul raggruppamento. Gli svilup-
pi di questi temi, come nelle battute 25 e 145, tendono tutta-
via alla forma elaborativa: dai temi vengono isolate singole
parti, presentate in sequenza direttamente come tali o entro
moduli di elaborazione.
Il carattere duplice di questi gruppi tematici, la coesistenza
di elementi di tradizioni formali diverse non denotano un'in-
certezza esteticamente censurabile , ma hanno piuttosto una
precisa funzione: nella struttura dei singoli temi si prefigura
e si giustifica la forma dell'intera costruzione, il combinarsi
dello schema della sonata e del rondò. Il finale non è un rondò
« amputato » tendente al potpourri, ma una forma particolare
di rondò-sonata , esteticamente motivato fìn nei dettagli.

"----Liszt: Mazeppa

Secondo la definizione di Stendhal classicismo e romanti-


cismo non sono epoche stilistiche , ma creazioni del giudizio
es tetico sullo stile : il classicismo del presente sarebbe cosi il
romanticismo del passato e il romanticismo del presente il clas-
sicismo del futuro . L'ipotesi storico-filosofica alla base di questa
definizione, cioè la previsione che il romanticismo dell'Otto-
cento, e in particolare il piu avanzato, quello tendente verso
la «musica a programma», sarebbe un giorno assurto a classi-
cismo, è stata tuttavia smentita dai fatti: la « musica a pro-
gramma », « nuova musica » del diciannovesimo secolo, non
ha ricevuto nel ventesimo una · definitiva consacrazione , ma
appare obsoleta .
Questa considerazione storico-filosofica di Stendhal non è
però astratta speculazione. Secondo una concezione assai diffu-
sa nel secolo scorso il classicismo tende - parlando per sem-
plificazioni - al formalismo, il romanticismo a un'estetica del
contenuto, sicché la metamorfosi di un romanticismo in classi-
cismo significa soltanto che il contenuto della musica va
impallidendo, mentre l'elemento formale e strutturale acquista
. maggior risalto ed evidenza . E , per quanto scarsa sia oggi la
considerazione in cui è tenuta la musica a programma, è n0!0

I,
Analisi 85

che sono proprio gli « strutturalisti » musicali ad occuparsi


con maggior impegno delle opere di Liszt. Nel ritorno a Liszt,
divenuto quasi una moda negli ultimi quindici anni, si manifesta
comunque un interesse per l'eterodossia delle sue tecniche
compositive piuttosto che un revival dell'opera come oggetto
estetico; ad onta dell'ammirazione per i procedimenti compo-
sitivi lisztiani, si continua a diffidare dei risultati artistici.
Occorre comunque, per non creare confusione , distinguere
fra struttura e forma. Celebrare le strutture latenti delle opere
di Liszt come frutto di nuovi ritrovati della tecnica composi-
tiva è quasi un luogo comune della storiografia musicale; ma
di una critica della forma che vada al di là della semplice
constatazione ci sono solo accenni: tale critica dovrebbe muo-
versi in un equilibrio troppo precario fra l'interesse analitico
e l'indifferenza estetica.
La teoria della forma dell'estetica contenutistica ottocente-
sca era ambivalente. Da una parte si affermava la convinzione
che la forma musicale, essendo di secondaria importanza, pote-
va, se non doveva, essere schematica - non a caso le sonate
dei romantici Weber e Chopin sono formalmente pili conven-
zionali di quelle del classico Beethoven. Dall'altro, all'opposto,
valeva l'assunto che la forma, dipendendo da un contenuto
di volta in volta diverso, dovesse essere per ogni opera unica
e irripetibile. L'estetica del contenuto può ammettere quindi
sia lo schematismo formale sia l'emancipazione dallo schema ,
e il suo atteggiamento nei confronti del convenzionale è insie-
me di tolleranza - o di giustificazione - e di rifiuto. E il
dissidio si estende alla concezione delle singole opere e alla
loro interpretazione. Cosi, per esempio, la sezione principale
del poema sinfonico Mazeppa - escludendo quindi l'introdu-
zione e il finale trionfale-marziale - è formalmente ambigua,
senza che si possa stabilire se ciò sia da intendersi come ricerca
di complessità o indecisione, come segno di un'emancipazione o
di un disgregarsi della forma.
L'impianto formale di questa sezione è costruito sul model-
lo del ciclo di variazioni: un dato che in passato le analisi
non hanno adeguatamente posto in luce. Il tema (battuta 36)
si articola in quattro parti funzionalmente differenziate (8 + 8 +
8 + 9 battute): un antecedente, uno sviluppo, un epilogo caden-
zante ed un'appendice o sezione di transizione. Nella prima
variazione (battuta 69) la frase iniziale viene cromatizzata, o
86 Analisi

meglio, si ha una trasformazione della successione di accordi


Do magg. - Fa magg . - Mi magg. - La magg. del tema in Do
magg. - Fa min. - Mi b magg. - La b magg., che rappresenta
un punto intermedio in equilibrio fra modulazione (o traspo-
sizione) e cromatizzazione estesa anche alle note fondamentali
degli accordi (non prevista dai dettami della teoria). Sviluppo
ed epilogo sono invertiti, e allo scambio di funzione delle parti.
corrispondono mutamenti melodici: l'epilogo diviene seconda
parte del periodo. La seconda variazione (battuta 122) è con-
seguenza della prima. Anzitutto la cromatizzazione tocca il
punto estremo, in quanto già l'inizio del tema è modificato.
La successione Re - Do - Si b - La - Mi - Sol - Fa - La - Re si
muta, cromaticamente mascherata e straniata, in Re b - Do -
Si b - La - Sol b - La - Do - Si b (il Re min. si muta quindi in
Si b min.). Inoltre l'epilogo è di nuovo trasformato in secondo
semiperiodo. La terza variazione (battuta 184) è da principio
una trasposizione della seconda da Si b minore a Si minore;
ma il Si minore appare anche come ulteriore cromatizzazione
del tema in Re minore, quasi come « cromatismo alterriativo »
a Si b minore (i gradi alterati in Si b minore non lo sono in
Si minore e viceversa). La parte finale di questa variazione
(battuta 216) è un accenno di elaborazione di frammenti del
primo semiperiodo. La quarta variazione (battuta 232) è un'apo-
teosi del tema, la quinta (battuta 263) un ritorno alla forma
originale, una ripresa. E la sesta e ultima (battuta 317) è, come
la prima, una variante cromatica del tema, e si rapporta alla
prima in base al principio del « cromatismo alternativo », lo
stesso che governa la relazione fra seconda e terza variazione.
La successione di accordi La magg. - Re min. - Do magg. - Fa
magg. - Mi magg. - La magg. del tema viene cromatizzata nella
prima variazione in La magg. - Re min. - Do magg. - Fa min. -
Mi b magg. - La b magg. e nella sesta, invece, in La magg. - Re
magg. - Do :ti: magg. - Fa :ti: min . - Mi magg. - La magg.
La successione delle variazioni si sviluppa come ciclo, come
circolo chiuso e non come semplice serie o catena: ciò si spiega
con la contaminazione con altri principi formali complemen-
tari. Il tema e la prim~ variazione rappresentano inequivoca-
bilmente una sezione principale, le variazioni seconda, terza e
quarta una sezione mediana e la quinta e sesta una ripresa. Il
.semplice schema formale della « Liedform » - per usare qui
una terminologia poco felice ma nondimeno inestirpabile -
Ailalisi 87

non basta tuttavia a spiegare il passaggio dalla forma aperta


a quella chiusa. La « Liedform » viene modificata mediante
elementi propri della forma-sonata: e nell'Ottocento i mo-
menti che rimandano a quest'ultima dovevano essere percepiti
tanto più chiaramente per via della derivazione del poema
sinfonico dall'ouverture e dalla sinfonia, che suscitava sponta-
neamente l'aspettativa della forma-sonata. La cromatizzazione
del tema nelle variazioni prima e sesta manifesta una lontana
analogia con il mutamento della tonalità riel tema secondario
della forma sonata. Per usare un paradosso, si può insomma
dire che la cromatizzazione appare una modulazione secondo i
moduli della forma sonata purché si rispetti la norma, propria
del ciclo di variazioni, dell'assenza di modulazione. (La tecnica
armonica ambivalente sarebbe quindi il correlato di un'idea
formale inedita.) Altri elementi propri della forma sonata si
possono rilevare nelle variazioni terza, quarta e quinta: un
accenno di elaborazione (nella terza) , il tono enfatico-trionfale ,
da Beethoven in poi caratteristico della ripresa intesa come
risultato e vertice dell'elaborazione (nella quarta), e infine il
ritorno del tema nella sua forma originale (nella quinta). Cul-
mine e ripresa sono comunque in Mazeppa (per usare un'espres-
sione di August Halm) « tempi della forma » distinti, e la
causa di tale scissione, che appare un difetto estetico-formale
e fa si che il culmine rappresenti un'apoteosi forzata, « procu-
rata », e non un risultato guadagnato e giustificato da quanto
precede, sarebbe da ricercarsi nella brevità dell'elaborazione
stessa, appena abbozzata: in un ciclo di variazioni non sarebbe
del resto possibile realizzarla in modo esteso . In Mazeppa la
combinazione di principi formali differenti non è esente da
contraddizioni; e l'ingegnosità di certe soluzioni - la cromatiz-
zazione come modulazione e non-modulazione - coesiste con
la non perfetta riuscita di altre - la scissione della ripresa.
Si può quindi definire « complessa » la concezione formale
di Mazeppa , senza temere di cadere nell'apologia o nell'esage-
razione, anche se resta innegabile che l'effetto dell'opera si fondi
essenzialmente su un impulso dinamico irresistihile e trasci -
nante. La forma musicale doveva rimàhere nell'ombra, secondo
un dogma dell'estetica contenutistica condiviso anche da Wa-
gner, che lo spiegò proprio nel saggio sui poemi sinfonici di
Liszt: la forma non doveva essere fine , ma mezzo della realiz-
zazione dell' « intenzione poetica per il sentimento ». La far-
88 A nalisi

ma è solo il modo di formulare, nella musica come nel linguag-


gio verbale, e la formulazione è perfetta se si adatta cosi bene
al contenuto espresso da rimanere affatto impercettibile .
Per Wagner e Liszt la forma individuale, dipendente di
volta in volta dai diversi contenuti, passava inosservata, invece
lo schema convenzionale emergeva con evidenza come tale:
erano i formalisti, contro cui essi polemizzavano, a invocare
delle norme. Ma questo dato estetico·psicologico può assu-
mere segni diversi. Ci si potrebbe a ragione anche chiedere
se invece non sia proprio la forma inedita , che diverge dallo
schema convenzionale, a emergere con evidenza e a imporsi
alla coscienza musicale, piuttosto che rimanere nell'ombra come
semplice intermediaria di un contenuto.
A quanto pare, tuttavia, l'estetica di Liszt - che fa torto
alla sua concezione della forma - risultò nell'Ottocento psico-
logicamente valida (una psicologia della musica che ignorasse
le ragioni della storia brancolerebbe nel buio). E forse la
percezione pili precisa delle forme complesse che nel poema
sinfonico scaturiscono dalla combinazione di principi differenti
) è divenuta possibile solo quando l'aspetto programmatico ha
perso la sua importanza, divenendo del tutto irrilevante, e il
formalismo classicistico dell'Ottocento, che cercava in ogni for-
ma musicale la realizzazione di un modello tradizionale, è stato
soppiantato dal formalismo manieristico del nostro secolo , che
aspira al nuovo e considera pili appariscente la forma inusitata
che lo schema convenzionale. E se quest'ultima ipotesi estetico-
psicologica è esatta, la recezione delle forme musicali di Liszt
nel XIX secolo non è stata adeguata, né da parte dei suoi so-
stenitori della scuola « neotedesca », per i quali la forma, in
quanto dato inavvertibile, è presente solo in funzione del con-
tenuto , né da parte dei detrattori, che, legati al formalismo
classicistico, disconoscevano e rifiutavano la nuova concezione
formale dei poemi sinfonici, dal loro punto di vista « amorfi ».

Mahler: Finale della Seconda Sinfonia

La Symphonie-Kantate, « sinfonia-cantata », come la si defi-


niva nell'Ottocento, è uno di quei generi di cui non si può
dire con certezza se siano generi veri e propri . E non perché
sfa una mescolanza o un ibrido: nel secolo scorso il postulato
Analisi 89

estetico della «purezza dei generi», di derivazione classicistica ,


perse significato al punto che Friedrich Schlegel lo defini « ridi-
colo». La Symphonie-Kantate in realtà è un genere paradossale
che comprende solo opere assolutamente fuori dal comune : il
Finale della Nona, il Lobgesang di Mendelssohn, Roméo et
Juliette di Berlioz, le sinfonie Dante e Faust di Liszt e alcune
sinfonie di Mahler. E forme cosi particolari, accomunate dall'es-
sere tentativi di mediazione tra sinfonia e cantata, isolati stori-
camente e non riconducibili l'uno all'altro , non costituiscono un
genere in quanto sono privi di una tradizione dalla quale le
singole opere si originino e dalla cui sostanza possano trarre
alimento anche quando contraddicano le norme del genere.
D'altra parte il concetto stesso della sinfonia-cantata implica
un problema formale che, a grandi linee, è sempre il mede-
simo. Questo consiste - formulato in forma negativa - nella
difficoltà di evitare sia un semplice accostamento di sinfonia e
cantata, vale a dire di parti eterogenee fondate su principi diver-
si, sia una sproporzione che potrebbe ridurre la cantata ad
appendice della sinfonia (come nel Faust di Liszt) o, viceversa,
la sinfonia a preludio della cantata.
È nella natura delle cose - o della tradizione musicale
europea - che la parte vocale appaia sempre meta e fine di
quella strumentale, mentre non è mai vero l'inverso : forse
perché l'accumulo dei mezzi produce di per sé un effetto conclu-
sivo, o forse perché l'espressione linguistica, essendo determi-
nata, viene sentita come conseguenza di quella piu indetermi-
nata della musica, che in essa, per cosi dire, si risolve . Il nodo
formale che Mahler doveva sciogliere nel finale della Seconda
Sinfonia (la cosiddetta Resurrezione) può quindi essere ravvisa-
to nella pretesa paradossale di mediare fra sinfonia e can-
tata in modo che la parte sinfonica fosse in sé conclusa e avesse
tuttavia anche il carattere di una introduzione . (Un'analisi
circoscritta al problema della forma potrebbe apparire riduttiva ,
limitata ad un aspetto secondario , non essenziale; una scelta
del genere però si giustifica se si considera che nessuno, nem-
meno i detrattori di Mahler, mette in dubbio la potenza espres-
siva e retorica delle sue sinfonie.)
La parte strumentale del Finale ha nel complesso il carat-
tere di un'introduzione, che si potrebbe descrivere come una
configurazione particolare del tipico impulso dinamico della sin-
fonia , tendente verso una meta. E l'inizio, sessanta battute su
90 Analisi

un pedale armonico nelle quali la musica per cosi dire arresta


il proprio corso, è una sorta di introduzione all'introduzione,
composta di un piano sonoro dissonante, di contorni ancora in-
distinti e di movenze esitanti dei temi del finale combinati con
reminiscenze del primo movimento, e infine di una catena di
accordi vaganti, privi di rapporto tonale, che quindi condivi-
dono con le note del pedale il carattere di staticità, di assenza
di sviluppo.
Il primo periodo del tema principale (4 battute dopo 4)
non è altro che un ritorno al primo movimento ( 17 battute
dopo 16), sicché il Finale si presenta come conseguenza e rica-
pitolazione delle parti precedenti del ciclo. Il vero e proprio
tema principale del Finale è costituito tuttavia dal secondo
periodo (5), che anticipa il tema dell'Auferstehen, l'inizio della
cantata. (Anche questo periodo è una reminiscenza del primo
movimento, ma solo parziale - 3 battute dopo 5 nel Finale
corrisponde a 7 battute dopo 17 nel primo movimento - e con
una trasformazione ritmica che rende il nesso poco riconosci-
bile.) Il tema secondario (7), pure un'anticipazione di una
melodia della cantata, si delinea in contrasto estremo con il
tema principale. Dopo la sua presentazione viene ripetuto però
il tema principale (10-14): ne risulta quindi una forma tripar-
tita chiusa, che, contrariamente al dualismo tematico e alla
forma bipartita aperta , non produce immediatamente uno svi-
luppo e un'elaborazione motivico-tematica. Pur essendo forte-
mente contrastanti, sia il tema principale sia quello seconda-
rio sono temi « parlanti », di inequivocabile stampo vocale,
che da un lato richiama il corale, dall'altro un gesto dramma-
tico-espressivo. E questo carattere dei motivi è in precisa corre-
lazione con la duplice funzione formale svolta dalla parte stru-
mentale. Da un lato par quasi di udire le parole che i due
temi vogliono esprimere, cosi da prefigurare già la loro riappa-
rizione come temi vocali. D'altro lato, tuttavia, proprio in virtu
della loro estrema espressività ed eloquenza, i due temi stru-
mentali, che assumono in sé interamente le caratteristiche del
vocale, acquistano nella loro forma strument-ale una totale
pregnanza e danno vita ad un movimento sinfonico (mentre
un recitativo strumentale povero di espressività apparirebbe
come pallida ombra e riflesso della dimensione vocale). Essi
pveannunciano quindi il finale vocale senza che peraltro la loro
autonomia strumentale risulti sminuita o minacciata.
Analisi 91

La parte vocale del Finale , la cantata , svolge da un punto


di vista formale la funzione di una ripresa, ma nello stesso
tempo sta all'esposizione strumentale come il compimento sta
allo schizzo. I temi che nell'esposizione erano abbozzi fram-
mentari , quasi esitanti (6 battute dopo 2, 3 battute dopo 11 ) ,
vengono ampiamente elaborati e sviluppati alla fine del movi-
mento ; i temi originari sembrano cosi, pur essendo ripetuti
nella loro interezza , repressi e meno importanti . E lo sposta-
mento di accento non è casuale, ma nasce da un preciso calcolo
formale. Il fatto che i temi o motivi dominanti nell'esposi-
zione restino in ombra nella ripresa e viceversa (è caratteri-
stico , come si è visto, che la melodia dell'Auferstehen costitui-
sca nell'esposizione il semiperiodo conseguente del tema, quin-
di la sua parte secondaria) è uno degli elementi che concor-
rono a risolvere il problema della forma nella cantata sinfonica
mahleriana . Da un lato la cantata è ripresa dell'esposizione
sinfonica, e il passaggio al vocale si giustifica addirittura come
conseguenza necessaria di quell'enfasi che da Beethoven in poi
è tipica della ripresa in quanto fine e risultato dell'elaborazione .
D 'altro lato la cantata conserva la propria autonomia di parte
vocale ben distinta da quella strumentale attraverso il nuovo
ordinamento gerarchico dei temi, l'emergere di quelli che pri-
ma erano secondari e l'impallidire di quelli che prima erano
principali.
Difficile, anzi quasi impossibile risulta una definizione for-
male univoca della parte centrale 14, il cui senso program-
matico di marcia tendente a tratti alla danza macabra è cosi
evidente da far passare in secondo piano la riflessione sulla
funzione formale . La scelta di una marcia come finale di una
sinfonia non è inedita e non ha bisogno di giustificazione. Fra
l'altro il suo caratteristico dinamismo , ricco di enfasi e irresi-
stibile, suggerisce l'idea di una meta , e la marcia soddisfa cosi
il postulato estetico che assegna alla parte strumentale di una
cantata sinfonica nel suo complesso un carattere introduttivo.
Ma per una critica della forma il punto decisivo è se la marcia
sia o meno uno sviluppo. Essa presenta in effetti certi tratti
propri dello sviluppo: nella sua trama entrano temi dell'espo-
sizione (e del primo movimento), e alla fine , in analogia col
primo movimento (18), raggiunge un culmine che non è una
conclusione ma piuttosto un crollo (20) . Né mancano nascosti
e complessi collegamenti tra i motivi. Il tema della marcia ( 11
92 Analisi

battute dopo 15) per un verso è una remm1scenza del Dies


irae, per l'altro però è parafrasi di un motivo (15) il cui profilo
ritmico e diastematico rimanda al tema principale (4 battute
dopo 4). Chi identifica la sezione centrale con lo sviluppo ha
tuttavia ragione e torto allo stesso tempo. Ragione perché dei
temi della esposizione vengono ripresi e immessi in quella irre-
sistibile corrente dinamica che da Beethoven in poi è caratteri-
stica dello sviluppo. Torto perché i temi non sono sottoposti al
procedimento tipico dell'elaborazione motivico-tematica, ma
vengono solo citati e per cosi dire coinvolti nella danza maca-
bra inscenata dalla musica .
Se la marcia non viene intesa come sviluppo, il significato
formale della parte vocale risulta comunque sminuito. Infatti
nella forma ABA, che in tal caso starebbe alla base del movi-
mento, la ripetizione dell'inizio non ha la rilevanza e l'enfasi
di una ripresa giacché non consegue dallo sviluppo e non ne
è fine e risultato. Se quindi l'interpretazione pili adeguata per
un'opera è quella che la fa apparire compiuta, come vorrebbe
un postulato della morale estetica, allora si deve intendere la
marcia come sviluppo. E l'argomento estetico può essere inte-
grato da un altro di natura storico-psicologica. La tradizione
dei generi e delle forme, da cui deriva ogni opera, fa parte
della sua sostanza: appartiene quindi all'opera stessa, non alle
condizioni della sua origine. E nel finale di una sinfonia le
caratteristiche della forma sonata emergono con la massima
evidenza anche quando non sono delineate in modo netto, in
quanto è proprio questa forma lo schema corrispondente alle at-
tese dell'ascoltatore. (Vale quindi come regola dell'analisi che
un'opera, se ha un senso, debba essere interpretata come
variante della forma caratteristica del genere, e non come
esempio di un altro schema, inusuale per quel genere.)

Schonberg: Terzo Quartetto per archi op. 30

Il principio di analogia, l'idea che tutti gli elementi parzia-


li di un pezzo musicale debbano essere sviluppati in egual
misura per costruire un'opera dalle basi solide è uno dei fon-
damenti dell'estetica - travestita da precettistica artigianale -
~i Schi::inberg. I compositori ed i teorici della musica seriale,
che nel 19 51 si riunirono intorno al motto « Schi::inberg est
Anali i 93

mort », hanno tuttavia rivolto il princ1p10 di analogia contro


Schonberg stesso. Il fatto che egli limitasse la tecnica seriale
alla dimensione diastematica, al succedersi delle altezze dei suo-
ni o all'ordinamento delle qualità sonore , senza applicarla anche
a ritmo e dinamica, gli è stato imputato come incoerenza che
condurrebbe a un difetto estetico-tecnico. (E per questo grup-
po tale polemica rappresentava un argomento apologetico in
favore del proprio procedimento seriale, teso a risolvere quella
contraddizione che si credeva di avere scoperto in Schonberg. )
La diastematica atonale sarebbe dunque stata costretta da
Schonberg a un compromesso con la ritmica « tonale» , nata
cioè in rapporto all'armonia tonale, sicché i vari elementi sin-
goli dell'opera sono condotti a gradi differenti di sviluppo, con-
tro il postulato dell'analogia, e rappresentano stadi storici
diversi-.
La ritmica « tonale » tradizionale di Schonberg rappresen-
terebbe in opere come il Terzo e il Quarto Quartetto per
archi il presupposto del ripristino della forma sonata « tonale »
in un panorama atonale, una restaurazione tanto forzata quanto
illusoria. Il tentativo di ricostruire, in un 'aspirazione storica-
mente ritardataria verso la « grande forma», la forma sonata ,
la cui sostanza - la tonalità - era ormai distrutta e il cui
tempo era definitivamente tramontato, non poteva che fallire ;
in questo fallimento estetico i sostenitori ·della serialità scor-
gevano il sintomo della vanità storica o storico-filosofica del
tentativo.
È incontestabile che il primo movimento del Terzo Quar-
tetto per archi, composto nel 1927, si fondi sulla forma sonata,
senza peraltro avere una base e una giustificazione tonàle. La
disposizione delle parti si delinea con una chiarezza addirit-
tura eccessiva, quasi a coprire la perdita della base tonale. Non
si può tuttavia parlare di una forma solo decorativa, priva di
sostanza e sovrapposta al decorso musicale. La concezione secon-
do cui la base della forma sonata è essenzialmente tonale e
risiede nel contrasto tonica/ dominante e nella diversità tra sezio-
ni modulanti e parti tonalmente definite confonde l'origine del
genere con la sua essenza e trascura l'evoluzione storica che
questa forma ebbe nel diciannovesimo secolo. Nella musica da
camera di Brahms la struttura portante del movimento di sona-
ta non è tanto la disposizione dei piani tonali, che si può
cogliere solo con difficoltà, ma piuttosto il contrasto tematico,
94 Analisi

dal quale procede l'elaborazione tematico-mouv1ca . E il proce-


dimento di Schonberg, che rinuncia alla tonalità per affidare
l'articolazione formale alla sola struttura tematica, rappresenta
certo un'interpretazione unilaterale ed estremizzata del princi-
pio della sonata, ma non intende né eliminarlo né svuotarlo.
Il tradizionalismo di Schonberg non è davvero cosi ingenuo
come lo giudicano certi avversari versati nella filosofia della sto-
ria. (La tesi che identifica il « tipo ideale » della sonata nel
« giusto mezzo » tra la fondazione armonico-tonale e quella
tematico-motivica è dogmatica e inficiata da un pregiudizio
classicistico: il primo stadio evolutivo della forma , in cui lo
schema tonale risulta decisivo, sarebbe uno stadio primitivo;
l 'ultimo stadio evolutivo, in cui domina l'elaborazione tematica ,
rappresenterebbe una fase di decadenza.)
Discutibile e priva di un solido sostegno analitico è anche
la tesi che, dopo il croHo della tonalità, il materiale tema-
tico dei tempi di sonata consisterebbe solo di ritmi puri e
semplici, i quali solo in una seconda fase « ricevono » un 'al-
tezza dalle strutture seriali, e che pertanto i temi si scindereb-
bero in una struttura ritmica e in un'« aggiunta » diastematica,
rivelandosi altrettanto contraddittori e ambivalenti quanto la
forma complessiva edificata sulla loro base . Questo pregiudi-
zio deriva dall'interpretazione esasperata di un'osservazione in
sé valida. Nella ripresa primo e secondo tema (battuta 5 e bat-
tuta 62) non solo compaiono in ordine inverso (il primo alla
battuta 235, il secondo alla battuta 174), ma presentano an-
che un'inversione diastematica, pur conservando lo stesso ritmo,
cosi che risulta spontaneo individuare nel ritmo costante la
sostanza e nella successione variabile delle altezze la proprietà
accidentale della materia tematica . Fra l'altro i temi sembrano
sconfinare l'uno nell 'altro . Il primo si basa essenzialmente sulla
forma originale e sul retrogrado dell'inversione della serie , il
secondo sull'inversione e sul retrogrado. L'inversione diaste-
matica nella ripresa implica quindi uno scambio delle forme
della serie tra il primo e il secondo tema (comunque non uno
scambio di concrete successioni di note, perché i temi si com-
pongono di frammenti delle serie, e le note rimanenti sono
impiegate dall'accompagnamento); forma originaria e retrogrado
dell'inversione si trasformano rispettivamente in inversione e
retrogrado, mentre inversione e retrogrado divengono forma
originaria e retrogrado dell'inversione.
A nalisi 95

Nonostante ciò la tesi della totale divergenza fra ritmo e dia-


stematica nel Terzo Quartetto non corrisponde a verità. La
sostanza tematica effettiva, quella che in realtà nel suo svilup-
po rende il brano intellegibile all'ascoltatore, è costituita non
dai ritmi e dalle successioni di note del tema principale o secon-
dario nel loro complesso, ma da elementi minimi: da una parte
figure ritmiche ben delineate e ricorrenti, dall'altra precisi inter-
valli e raggruppamenti di intervalli. Il primo tema si basa su
due piedi metrici, Klangfu{Se, come li avrebbe definiti Johann
Mattheson, lo spondeo ( - - ) e il eretico ( - \ J - ) ; il secon-
do tema sul giambo ( \ J - ) oltre che sullo spondeo. E gli inter-
valli che si possono rinvenire nei temi sono solo seconda
minore, terza minore, quarta e tritano, oltre alle rispettive
inversioni; mancano seconda e terza maggiore . Tale riduzione
e apparente impoverimento è in realtà il presupposto o il cor-
rispettivo di una ricchezza di relazioni ben percettibile. I temi
non sono che raggruppamenti sempre diversi degli stessi ritmi
e intervalli; e mediante l'identità nel mutamento e la variabi-
lità nella ripetizione ritmi e intervalli entrano in relazione reci-
proca: la tecnica delle varianti crea relazioni tra i « parametri ».
Il Terzo Quartetto rimane quindi immune dalla critica che rim-
provera a Schonberg di aver procurato la dissoluzione della
connessione tradizionale fra dimensione melodica e ritmica senza
aver sostituito ad essa una nuova connessione di tipo seriale,
e di aver « aggiunto » a ritmi tematici figure seriali inter-
cambiabili a piacere, accidentali e quindi pressoché irrilevanti.
Il principio fondamentale della forma sonata ripristinata
nel nuovo contesto dodecafonico è costituito - dopo lo sfacelo
dei rapporti tonali - dalla tecnica dello sviluppo, dall'elabora-
zione tematica, cui tuttavia, in opere come il Terzo Quartetto ,
si può rimproverare di essere tautologica. La dodecafonia, rete
di inversioni, trasposizioni e segmentazioni della serie, non sa-
rebbe in definitiva ahro che l'estrema conseguenza e l'ultimo sta-
dio storico dell'elaborazione tematica, che nella composizione do-
decafonica, ove ogni nota viene dedotta dalla serie, si estende-
rebbe all'intero brano invece di limitarsi a parte dell'esposi-
zione e allo sviluppo. L'elaborazione tematica sarebbe allora,
come osservò Theodor W. Adorno, « respinta nel materiale»,
e poiché il carattere · « preformato » del materiale si fonda in
generale e ad ogni istante sull'elaborazione tematica , una elabo-
razione tematica come tecnica specifica della composizione
96 A nalisi

sarebbe un inutile duplicato. La forma sonata non avrebbe una


sua sostanza, in quanto l'unica che potrebbe restarle dopo la
dissoluzione dei rapporti tonali - l'elaborazione tematica -
sarebbe dialetticamente « superata » come tale nella tecnica
seriale, che precede qualsiasi prodotto compositivo, e non
potrebbe essere costitutiva di una forma particolare.
La congettura che la dodecafonia derivi dall'elaborazione te-
matica, che ne rappresenti la meta e il definitivo approdo storico.
trascura tuttavia una circostanza banale: una successione di
note priva di ritmo non è un tema, ma piuttosto un elemento
parziale e astratto di un tema, per cui la pretesa dell'equivalen-
za tra struttura dodecafonica ed elaborazione tematica si rivela
esagerata e discutibile. A ragione Rudolf Réti, il cui metodo è
improntato dall'esperienza della dodecafonia anche quando l'og-
getto dell'analisi è costituito dalle sonate di Beethoven, distin-
gue fra relazioni motiviche aperte, che sono sempre rapporti rit-
mico-motivici, e connessioni diastematiche latenti, che si rivela-
no solo quando vengono astratte dal ritmo (una astrazione cui ten-
dono anche teorici come August Halm e Heinrich Schenker,
diffidenti o polemici verso la dodecafonia). E se le analisi di
Réti sono esatte , è proprio in questi collegamenti diastematici
latenti, indipendenti dalla differenza tra parti tematiche e non-
tematiche di un brano, che andrebbero cercate le tracce di un a
preistoria della dodecafonia. Un giudizio sulle analisi presuppo-
ne comunque difficili scelte estetiche e storico-filosofiche. Un'ana-
lisi di opere di Beethoven ispirata a principi di base estranei alla
sensibilità musicale del periodo intorno al 1800 - come la
divisione fra diastematica e ritmo - ha comunque un senso
se riesce a individuare nel testo musicale, senza forzarlo, una
struttura coerente e capace di collegare le diverse parti dell'ope-
ra? Un metodo nutrito delle esperienze della nuova musica ed
impensabile senza di essa può scoprire qualcosa della musica di
epoche precedenti, o conduce solo a costruzioni fittizie? L'essen-
za dell'opera rimane immutabile sub specie aeternitatis o è
soggetta a uno sviluppo che giustifica una storia delle interpre-
tazioni come espressione di una storia dell'opera stessa? E si
può parlare di un mutamento storico dell'opera senza con ciò
privarla della sua identità? Questo tentativo di un collegamen-
to fra analisi, estetica e storia o filosofia della storia apre un a
. problematica di cui non si scorge il termine.
È possibile che le categorie dell ' analisi musicale diano la parola alle emo-
zioni destate dall'ascolto di un brano di Bach , di Schubert o di Mahler? Che
rapporto vi è tra la critica della forma musicale ed i giudizi estetici dettati
dalla «sensibilità" dell'ascoltatore? In questo volume si indaga sull'impiego
delle «parole d'ordine» dell'estetica musicale nel corso dei secoli: l'origina-
lità, l'autenticità, la «praticità... Cari Dahlhaus è comunque convinto della
imprescindibilità della dimensione estetica della musica, ma diffida della
pratica incontrollata di una critica disancorata dall'analisi e dai suoi risulta-
ti. Nello stesso tempo si interroga sui presupposti dell'analisi musicale, sul
suo significato e sul suo ruolo. Ne emerge la prospettiva di un proficuo in-
contro tra valutazione estetica della musica e lavoro analitico, precisata an-
che attraverso riferimenti a composizioni di diverse epoche.

Indice del volume: Presentazione, di Antonio Serravezza. - Prefazione. - I.


Premesse . - Giudizio di valore e giudizio di fatto. - Estetica, analisi , teoria. -
Giudizio funzionale , estetico e storicizzante. - Analisi e parafrasi. - Implica-
zioni morali. - Categorie di filosofia della storia. - Estetica e ricerca sulla re-
cezione. - Il. Criteri . - Logica del giudizio estetico. - Musica «mal composta"
e «Trivialmusik». - Ricchezza di relazioni. - Differenziazione e integrazione.
- Principi formali . - Analogia e compensazione. - Udibilità. - lii. Analisi. -
Bach : Cantata BWV 106 (Actus tragicus) . - Johann Stamitz: Sinfonia in Re
maggiore. - Haydn: Quartetto per archi in Do maggiore op . 20 n. 2. - Schu-
bert: Sonata per pianoforte in Do minore D 958 , opera postuma. - Liszt: Ma-
zeppa. - Mahler: Finale della Seconda Sinfonia. - Schonberg : Terzo Quar-
tetto per archi op. 30.

Cari Dahlhaus insegna storia della musica alla Technische Universitat di


Berlino . I suoi vasti interessi vanno dalla metodologia del.la storia musicale
all'estetica musicale, alla storia della musica dell'Otto e del Novecento, alla
musicologia sistematica, alfa teoria e prassi dell 'analisi musicale , alla sto-
ria del contrappunto e dell' armonia nel Cinquecento, alla drammaturgia
operistica. Delle sue opere sono state pubblicate in italiano «Fondamenti di
storiografia musicale" (1980) , «La concezione wagneriana del dramma mu-
sicale» (1983) , «I drammi musicali di Richard Wagner» (1984) . Di Dahlhaus
il Mulino ha pubblicato alcuni saggi nell'antologia a cura di L. Bianconi «La
drammaturgia musicale" (1986) e il volume «Il realismo musicale» (1987).

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L. 15.000 (i.i.) 9 788815 014627

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