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I. Aspetti del “logico”. II. Concetti elementari della logica
I.
1. Alcune locuzioni ove appare l'appartenenza del “logico” all'ambito del “razionale”
i. “Andare in guerra senz'armi” (ir a la guerra sin armas ). Questa espressione descrive attraverso una
similitudine una condotta improvvida e inconcludente, poiché incapace di stabilire, dapprima nel
pensiero e poi con l'azione, un rapporto adeguato tra mezzi e fini. L'espressione non sottintende
una valutazione dello scopo ma rileva solo l'inadeguatezza dei mezzi scelti. Il dominio di realtà
cui si applica è quello delle azioni, che è riguardato dal punto di vista della loro ordinazione
finalistica cui presiede la ragion pratica. La funzione della ragion pratica è, infatti tra le altre, la
progettazione di una condotta sensata ed efficace, presupposta la bontà dei fini.
«Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a
compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono
comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con
diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda
un'ambasceria per la pace» (Lc 14,2832, trad. CEI 2008).
ii. “Senza capo né coda”. Con tale espressione si qualifica un'azione, un discorso e il loro prodotto
(es. un artefatto o un testo) ove si riscontra l'assenza o la relativa indeterminatezza dei loro fattori
costitutivi, sì da renderne indiscernibili la specie o il significato (es. non si capisce che cosa si
faccia e per quale scopo, che cosa si dica e perché). L'analogia è tratta dai movimenti che
appaiono privi di unità e casuali. L'espressione si applica nuovamente laddove manca o non è
chiara, del tutto o in misura comunque rilevante, un'organizzazione razionale. Ad esempio, quando
in un testo non si riesce a isolare la tesi principale e gli argomenti addotti a suo sostegno.
iii. “Prendere fischi per fiaschi”. Il proverbio denota il fraintendimento di una formula linguistica,
cioè un errore della ragione all'opera nell'interpretazione dei testi o dei discorsi (ragione
ermeneutica). Di qui, l'espressione è estesa ovunque, ma soprattutto nell'ambito della prassi, si
cada in un equivoco (es. l'investimento in un bene che si è rivelato poi ingannevole). Uno dei
requisiti indispensabili di un buon ragionamento è la non equivocità del linguaggio, poiché questa
è all'origine di molti tipi di fallacie o sofismi. Perciò, una delle sezioni della logica riguarda la
definizione, che è appunto la procedura che permette di fissare il significato dei termini.
2. Sensi di logos e aspetti del pensiero
i. Logica deriva dal termine greco logos, il quale ha molti significati; ad esempio: parola, discorso,
opinione, spiegazione, ragione, causa, rapporto, calcolo. È interessante notare come il termine
comprenda sia atti mentali appartenenti all'ambito del pensiero (es. spiegare, calcolare) sia gli
oggetti reali loro corrispondenti (es. causa, rapporto). In generale, logos denota un rapporto ben
definito e la sua percezione ed espressione. Ciò permette d'inferire che la funzione del logos
soggettivo, cioè la ragione e il linguaggio, è di rappresentare il logos oggettivo, cioè l'ordine delle
cose. Infatti, la funzione dello spiegare consiste nell'illustrare la struttura causale di un processo;
la funzione del calcolare è di determinare le relazioni tra due grandezze.
ii. La funzione di rispecchiamento del pensiero rispetto all'ordine oggettivo delle cose è quanto fa
sì che il primo sia accordato al secondo, cioè che sia vero. È un'idea radicata nella filosofia greca
(sopratutto del pitagorismo e di Platone) che la formazione del pensiero, ma altresì del carattere,
avvenga attraverso l'attenta osservazione della natura, per imitare l'armonia profonda che vi
governa. Dunque, s'impara a ragionare secondo coerenza e buon senso anzitutto osservando
l'ordinata connessione delle cose.
«Il dio ha donato a noi la vista, affinchè, osservando nel cielo i movimenti ciclici dell'intelligenza [che
presiede all'ordine cosmico], ce ne servissimo per le circolazioni del pensiero che è in noi, le quali sono
affini a quelli... così traendone insegnamento e partecipando alla rettitudine dei ragionamenti conformi a
natura, imitando le circolazioni del dio che sono del tutto regolari correggissimo le nostre circolazioni
erranti» (Platone, Timeo 47bc, trad. G. Reale).
iii. Platone sostiene che la realtà del pensiero consiste in un dialogo silenzioso che è condotto
attraverso il continuo avanzamento di domande e delle risposte che vi sono portate, per essere
esaminate e poi seguite da altre domande. Le risposte consistono in affermazioni e negazioni che
esprimono la conferma o il diniego delle ipotesi formulate nelle domande (es. la domanda “il
gatto è sul tappeto?” ingenera una ricerca per cui infine si giunge ad affermare: “il gatto non è sul
tappeto”; la domanda iniziale è infine trasformata in una proposizione negativa). L'idea è
interessante in quanto ci permette di vedere il radicamento degli oggetti logici fondamentali
(come la proposizione e l'ipotesi) nella natura stessa della mente umana, più precisamente nel suo
dinamismo conoscitivo verso la verità.
«SOCRATE: Ma col termine “pensare” intendi quello che intendo io? TEETETO: Tu che cosa intendi?
SOCRATE: Io intendo il dialogo che l'anima per sé instaura con se stessa su ciò che sta esaminando. [...]
mi pare chiaro che, quando pensa, l'anima non fa altro che dialogare, interrogando se stessa e
rispondendosi da sé, e affermando e negando» (Platone, Teeteto, 189e, trad. G. Reale).
iv. Nel Vangelo di Luca possiamo trovare alcuni passi ove è descritta l'intima realtà del pensiero,
ove peraltro possiamo riconoscere una conferma l'identificazione platonica del pensiero a un
dialogo intenso ma silenzioso.
i. La logica come disciplina versa sopratutto sui ragionamenti al fine di determinarne la forma
corretta, quindi stabilisce le regole teoriche o pratiche che la garantiscono. In generale, un
ragionamento è un collegamento dei pensieri espressi in enunciati, in virtù del quale da un
enunciato o insieme di enunciati, che rappresentano uno stato di cose già noto (che può essere un
fatto particolare o una legge universale), si può inferire con certezza o con una certa probabilità
un altro enunciato, che rappresenta uno stato di cose dapprima ignoto. Il ragionamento
comporta un progresso d'informazione e comprensione (so cose nuove o approfondisco e intendo
meglio, con più certezza quanto già so delle stesse cose) e perciò soddisfa un'esigenza conoscitiva.
ii. La logica non riguarda ogni sorta di enunciati, ma solo gli enunciati che esprimono una
conoscenza, cioè una descrizione della realtà. Tali enunciati sono detti “dichiarativi”. Solo tali
enunciati sono suscettibili di essere giudicati circa il loro valore di verità. Infatti, per verificare la
correttezza del ragionamento occorre dimostrare che l'assunzione della verità di alcuni enunciati
conduce con necessità o con relativa probabilità alla verità di un altro enunciato Sono perciò
esclusi altri tipi di enunciati, come quelli con cui si formula una domanda o un comando; con
questi non si descrive il mondo ma si prescrive un'azione.
a) Occorre distinguere i ragionamenti come atti psichici (l'atto mentale dell'inferire) e il loro
contenuto o prodotto astrattamente considerato (la forma oggettiva dell'inferenza).
Quest'ultimo è talora denotato dal termine argomento o sillogismo. Similmente, in un calcolo
si può distinguere l'atto del calcolare dal suo contenuto oggettivo, che si può rappresentare in
maniera astratta, cioè indipendentemente dal riferimento ad una mente. Ancora, si può
considerare quanto si è detto nel suo significato o nella sua struttura grammaticale,
indipendentemente da chi l'ha detto e dall'atto del dire. Peraltro, si può continuare ad usare
“ragionamento”, purchè sia evidente dal contesto in qual senso lo s'intende. La psicologia
cognitiva tratta del ragionamento dal punto di non già della sua validità, ma della sua
effettuazione psichica. Ad esempio la psicologia registra empiricamente le forme privilegiate o
prevalenti del ragionamento nella condotta conoscitiva umana, in generale o sotto certe
delimitazioni (es. il ragionamento dei bambini o il ragionamento nelle scelte economiche),
oppure i fattori favorevoli o di disturbo, giungendo ad offrirne una spiegazione.
b) Occorre distinguere gli enunciati dalle proposizioni e dai giudizi. Questi ultimi significano
gli atti mentali del giudicare, ossia dell'affermare o del negare, e del valutare un enunciato
come vero o come falso. Le proposizioni sono il contenuto oggettivo di quanto è giudicato,
indipendentemente dall'atto e dal soggetto e persino dal particolare linguaggio utilizzato:
riferiscono il contenuto concettuale di quanto è pensato e detto. Gli enunciati significano la
veste linguistica delle proposizioni. Va da sé che non possiamo formulare una proposizione
senza esprimerla in un certo linguaggio. Ma utilizzando un certo linguaggio possiamo
descrivere ciò che lo supera, ad esempio ciò che caratterizza ogni sorta di linguaggio o quanto
non è di per sé un fenomeno linguistico (es. i fatti naturali). Ad esempio, l'enunciato italiano
“oggi piove” veicola un'informazione sul mondo che può essere tradotta senza alcuna
differenza di significato in innumerevoli altre lingue, nonché in altre forme nella medesima.
In sintesi, l'enunciato “il gatto è sul tavolo” esprime la stessa proposizione, ossia lo stesso
contenuto oggettivo del pensiero operante in un giudizio, che può essere espresso ugualmente
con “the cat is on the table”, etc.
iv. Gli argomenti (o i ragionamenti) si valutano in logica in ordine alla loro validità o correttezza
formale. Essi sono concepiti quasi come dei meccanismi inferenziali che trasportano la verità
dalle proposizioni assunte come premesse alla verità della proposizione conclusioni. La forma dei
ragionamenti corretti (la “macchina inferenziale”) non garantisce di per sé la bontà delle premesse,
cioè la loro veridicità, né perciò quella della conclusione. Si possono perciò dare dei casi di
ragionamenti perfettamente validi dal punto di vista formale, sebbene il loro contenuto (la
materia di cui sono fatti, cioè le proposizioni) sia pessima. Ciò spiega come anche i folli o i diavoli
possano utilizzare lo strumento della logica, evidentemente in maniera abusiva (nel canto 27o
dell'Inferno (vv. 114123), Dante ci presenta un diavolo logico che compie un sillogismo rigoroso).