Sei sulla pagina 1di 3

Lezione 2 (17 ott)

I. Aspetti del “logico”. II. Concetti elementari della logica

I.

1. Alcune locuzioni ove appare l'appartenenza del “logico” all'ambito del “razionale”

i. “Andare in guerra senz'armi” (ir a la guerra sin armas ). Questa espressione descrive attraverso una 
similitudine una condotta improvvida e inconcludente, poiché incapace di stabilire, dapprima nel 
pensiero e poi con l'azione, un rapporto adeguato tra mezzi e fini. L'espressione non sottintende 
una valutazione dello scopo ma rileva solo l'inadeguatezza dei mezzi  scelti.  Il dominio  di realtà 
cui si applica è quello delle  azioni,  che è riguardato dal punto di vista della loro ordinazione 
finalistica cui presiede la ragion pratica. La funzione della ragion pratica è, infatti tra le altre, la 
progettazione di una condotta sensata ed efficace, presupposta la bontà dei fini.
«Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a  
compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono 
comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con 
diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda 
un'ambasceria per la pace» (Lc 14,28­32, trad. CEI 2008).

ii. “Senza capo né coda”. Con tale espressione si qualifica un'azione, un discorso e il loro prodotto 
(es. un artefatto o un testo) ove si riscontra l'assenza o la relativa indeterminatezza dei loro fattori 
costitutivi, sì  da  renderne  indiscernibili  la specie  o il significato  (es.  non si capisce  che cosa si 
faccia   e   per   quale   scopo,   che   cosa   si   dica   e   perché).  L'analogia   è   tratta   dai   movimenti  che 
appaiono privi di unità e casuali.  L'espressione  si applica  nuovamente  laddove  manca o non è 
chiara, del tutto o in misura comunque rilevante, un'organizzazione razionale. Ad esempio, quando 
in un testo non si riesce a isolare la tesi principale e gli argomenti addotti a suo sostegno. 

iii. “Prendere fischi per fiaschi”. Il proverbio denota il fraintendimento di una formula linguistica, 
cioè   un  errore  della   ragione   all'opera   nell'interpretazione   dei   testi   o   dei   discorsi   (ragione 
ermeneutica). Di qui, l'espressione   è estesa ovunque,  ma soprattutto nell'ambito della prassi,  si 
cada  in  un equivoco  (es. l'investimento in un bene che si è rivelato poi ingannevole). Uno dei 
requisiti indispensabili di un buon ragionamento è la non equivocità del linguaggio, poiché questa 
è all'origine di molti  tipi di fallacie o sofismi. Perciò, una delle sezioni della logica riguarda la 
definizione, che è appunto la procedura che permette di fissare il significato dei termini.

2. Sensi di logos e aspetti del pensiero

i. Logica deriva dal termine greco logos, il quale ha molti significati; ad esempio: parola, discorso, 
opinione, spiegazione, ragione, causa, rapporto, calcolo.  È interessante notare come  il termine 
comprenda sia atti mentali  appartenenti all'ambito del pensiero  (es. spiegare, calcolare) sia  gli 
oggetti reali  loro corrispondenti (es. causa, rapporto). In generale,  logos  denota un rapporto ben 
definito e la sua percezione ed espressione. Ciò permette d'inferire  che  la funzione del  logos 
soggettivo, cioè la ragione e il linguaggio, è di rappresentare il logos oggettivo, cioè l'ordine delle 
cose. Infatti, la funzione dello spiegare consiste nell'illustrare la struttura causale di un processo; 
la funzione del calcolare è di determinare le relazioni tra due grandezze.

ii. La funzione di rispecchiamento del pensiero rispetto all'ordine oggettivo delle cose è quanto fa 
sì che il primo sia accordato al secondo, cioè che sia vero. È un'idea radicata nella filosofia greca 
(sopratutto del pitagorismo e di Platone) che la formazione del pensiero, ma altresì del carattere, 
avvenga   attraverso   l'attenta   osservazione   della   natura,   per   imitare   l'armonia   profonda   che   vi 
governa.  Dunque,   s'impara   a   ragionare   secondo   coerenza   e   buon   senso   anzitutto   osservando 
l'ordinata connessione delle cose.
«Il dio ha donato a noi la vista, affinchè, osservando nel cielo i movimenti ciclici dell'intelligenza [che 
presiede all'ordine cosmico], ce ne servissimo per le circolazioni del pensiero che è in noi, le quali sono 
affini a quelli... così traendone insegnamento e partecipando alla rettitudine dei ragionamenti conformi a 
natura, imitando le circolazioni del dio che sono del tutto regolari correggissimo le nostre circolazioni 
erranti» (Platone, Timeo 47b­c, trad. G. Reale).

iii. Platone sostiene che la realtà del pensiero consiste  in un dialogo silenzioso che è condotto 
attraverso il continuo avanzamento di domande e delle risposte  che vi sono  portate, per essere 
esaminate e poi seguite da altre domande. Le risposte consistono in affermazioni e negazioni che 
esprimono la conferma o il diniego delle ipotesi formulate nelle domande (es. la domanda “il 
gatto è sul tappeto?” ingenera una ricerca per cui infine si giunge ad affermare: “il gatto non è sul 
tappeto”;   la   domanda   iniziale   è   infine   trasformata   in   una   proposizione   negativa).  L'idea   è 
interessante   in   quanto   ci   permette   di   vedere   il   radicamento   degli   oggetti   logici   fondamentali 
(come la proposizione e l'ipotesi) nella natura stessa della mente umana, più precisamente nel suo 
dinamismo conoscitivo verso la verità.
«SOCRATE: Ma col termine “pensare” intendi quello che intendo io? TEETETO: Tu che cosa intendi? 
SOCRATE: Io intendo il dialogo che l'anima per sé instaura con se stessa su ciò che sta esaminando. [...] 
mi   pare   chiaro   che,   quando   pensa,   l'anima   non   fa   altro   che   dialogare,   interrogando   se   stessa   e 
rispondendosi da sé, e affermando e negando» (Platone, Teeteto, 189e, trad. G. Reale).

iv. Nel Vangelo di Luca possiamo trovare alcuni passi ove è descritta l'intima realtà del pensiero, 
ove peraltro possiamo riconoscere  una conferma l'identificazione  platonica del pensiero a un 
dialogo intenso ma silenzioso.

[1] «[Maria] si domandava [διελογίζετο] che senso avesse tale saluto»  (Lc  1,29). Il verbo 


διαλογίζομαι  (dialogizomai)   significa:   1)   Faccio   i   conti,   calcolo;   2)   pondero,   giudico, 
distinguo; c) discuto. Si noti che il verbo riflette perfettamente i diversi significati di logos.
[2]  «Maria conservava queste tutte queste parole meditandole [συμβάλλουσα] nel suo 
cuore» (Lc  2,19; cfr. 2,51) . Il verbo συμβάλλω (sumballo) significa: metto insieme, unisco, 
scambio; c) paragono, congetturo, interpreto, riconosco, comprendo, spiego; d) m’imbatto, 
mi   metto   in  relazione,   mi   scontro  (con  qualcuno).  Il  luogo  o   la   funzione  dell’interiorità 
personale (“cuore”) dove avviene il calcolo delle parole e dei fatti è la memoria (“conservava). 
Sembra,   così,   indicata   una   reciprocità   essenziale   tra   pensiero   e   memoria.   Il   lavoro   del 
pensiero consiste nel cogliere rapporti, cioè nel distinguere e collegare oggetti, fatti, parole, 
discorsi, etc. D’altro canto, non si  può pensare senza ricordare, poiché il  confronto che 
avviene in un ragionamento, che è un’attività protratta nel tempo. 
II.

i.  La logica come disciplina versa sopratutto sui ragionamenti al fine di determinarne la  forma 
corretta,   quindi   stabilisce   le   regole   teoriche   o   pratiche   che   la   garantiscono.   In   generale,   un 
ragionamento   è   un   collegamento   dei   pensieri   espressi   in   enunciati,   in   virtù   del   quale   da  un 
enunciato o insieme di enunciati, che rappresentano uno stato di cose già noto (che può essere un 
fatto particolare o una legge universale), si può inferire con certezza o con una certa probabilità 
un   altro   enunciato,  che  rappresenta   uno   stato   di   cose   dapprima  ignoto.   Il   ragionamento 
comporta un progresso d'informazione e comprensione (so cose nuove o approfondisco e intendo 
meglio, con più certezza quanto già so delle stesse cose) e perciò soddisfa un'esigenza conoscitiva.

ii.   La   logica   non   riguarda   ogni   sorta   di   enunciati,   ma   solo   gli   enunciati   che   esprimono   una 
conoscenza, cioè una descrizione della realtà.  Tali enunciati sono detti “dichiarativi”.  Solo tali 
enunciati sono suscettibili di essere giudicati circa il loro valore di verità. Infatti, per verificare la 
correttezza del ragionamento occorre dimostrare che l'assunzione della verità di alcuni enunciati 
conduce con necessità o con  relativa  probabilità alla verità di un  altro enunciato  Sono perciò 
esclusi altri tipi di enunciati, come quelli con cui si formula una domanda o un comando;  con 
questi non si descrive il mondo ma si prescrive un'azione.

iii. In quanto appena detto,  occorre introdurre qualche precisazione terminologica che  è bene 


tenere presente, quand'anche non sarà sempre possibile e conveniente atternervisi (la precisione 
non   è   sempre   e   comunque   una   virtù,   qualora   non   occorra   per   evitare   equivoci).   Sopratutto 
occorre ritenere queste distinzioni per intendere la prospettiva con cui la logica esamina i pensieri 
e i discorsi, per cui si distingue da discipline in ciò convergenti come la psicologia e la linguistica.

a) Occorre distinguere i ragionamenti come atti psichici (l'atto mentale dell'inferire) e il loro 
contenuto   o   prodotto  astrattamente   considerato  (la   forma   oggettiva   dell'inferenza). 
Quest'ultimo è talora denotato dal termine argomento o sillogismo. Similmente, in un calcolo 
si può distinguere l'atto del calcolare dal suo contenuto oggettivo, che si può rappresentare in 
maniera   astratta,   cioè   indipendentemente  dal   riferimento   ad   una   mente.   Ancora,   si   può 
considerare   quanto   si   è   detto   nel   suo   significato   o   nella   sua   struttura   grammaticale, 
indipendentemente da chi l'ha detto e dall'atto del dire. Peraltro, si può continuare ad usare 
“ragionamento”, purchè sia evidente dal contesto in qual senso lo s'intende.  La psicologia 
cognitiva   tratta   del   ragionamento   dal   punto   di   non   già   della   sua   validità,   ma   della   sua 
effettuazione psichica. Ad esempio la psicologia registra empiricamente le forme privilegiate o 
prevalenti   del   ragionamento   nella   condotta   conoscitiva   umana,   in   generale   o   sotto   certe 
delimitazioni (es. il ragionamento dei bambini o il ragionamento nelle scelte economiche), 
oppure i fattori favorevoli o di disturbo, giungendo ad offrirne una spiegazione.

b) Occorre distinguere gli enunciati dalle proposizioni e dai giudizi. Questi ultimi significano 
gli atti mentali del giudicare,  ossia dell'affermare o del negare, e del valutare  un enunciato 
come vero o come falso. Le proposizioni sono il contenuto oggettivo di quanto è giudicato, 
indipendentemente   dall'atto   e   dal   soggetto   e   persino   dal   particolare   linguaggio   utilizzato: 
riferiscono il contenuto concettuale di quanto è pensato e detto. Gli enunciati significano la 
veste linguistica delle proposizioni. Va da sé che non possiamo formulare una proposizione 
senza   esprimerla   in   un   certo   linguaggio.   Ma   utilizzando   un   certo   linguaggio   possiamo 
descrivere ciò che lo supera, ad esempio ciò che caratterizza ogni sorta di linguaggio o quanto 
non è di per sé un fenomeno linguistico (es. i fatti naturali). Ad esempio, l'enunciato italiano 
“oggi   piove”   veicola   un'informazione  sul   mondo  che   può   essere   tradotta   senza  alcuna 
differenza di significato in innumerevoli altre lingue, nonché in altre forme nella medesima. 

In   sintesi,   l'enunciato  “il   gatto   è   sul   tavolo”   esprime   la   stessa  proposizione,   ossia   lo   stesso 
contenuto oggettivo del pensiero operante in un giudizio, che può essere espresso ugualmente 
con “the cat is on the table”, etc.  

iv. Gli argomenti (o i ragionamenti) si valutano in logica in ordine alla loro validità o correttezza 
formale. Essi sono concepiti quasi come dei meccanismi inferenziali che trasportano la verità 
dalle proposizioni assunte come premesse alla verità della proposizione conclusioni. La forma dei 
ragionamenti corretti (la “macchina inferenziale”) non garantisce di per sé la bontà delle premesse, 
cioè la loro veridicità, né perciò quella della conclusione. Si possono perciò dare dei casi di 
ragionamenti   perfettamente   validi   dal   punto   di   vista   formale,   sebbene   il   loro   contenuto   (la 
materia di cui sono fatti, cioè le proposizioni) sia pessima. Ciò spiega come anche i folli o i diavoli 
possano utilizzare lo strumento della logica, evidentemente in maniera abusiva  (nel canto 27o 
dell'Inferno (vv. 114­123), Dante ci presenta un diavolo logico che compie un sillogismo rigoroso).

Potrebbero piacerti anche