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Giorgio Pietrostefani (L'Aquila, 10 novembre 1943) è un attivista, scrittore ed

ex dirigente d'azienda italiano.

È stato il fondatore con Adriano Sofri di Lotta Continua ed è stato condannato a


22 anni, con Sofri, come mandante dell'omicidio Calabresi, del quale si dichiara
innocente, come gli altri imputati (ad eccezione di Leonardo Marino). Ha
scontato solo una minima parte della pena (circa 2 anni) essendosi poi rifugiato
in Francia protetto dalla dottrina Mitterrand. La pena (ridotta a 16 anni da
alcuni indulti, quindi 14 anni da scontare[1]) si prescriverà nel 2027 (non è
stata contestata l'aggravante di attentato a fini di eversione, ma il reato
comune di concorso morale in omicidio).[2]

Per la giustizia francese non è estradabile oltre che per la dottrina


Mitterrand, anche perché il reato era considerato già prescritto, ma l'Italia
non ha mai presentato formale richiesta[3], ci fu solo un rifiuto di arresto
come risposta al mandato europeo di cattura per custodia cautelare, fino alla
successiva pronuncia cassazionale.[4]

Ha scritto e pubblicato con Jaca Book alcuni saggi: La Tratta Atlantica.


Genocidio e Sortilegio, La guerra corsara forma estrema del libero commercio,
Geografia delle droghe illecite. Guerra alla Droga = Droga alla Guerra. È stato
sposato con la sindacalista Fiorella Farinelli, esperta di formazione e
didattica. A momento dell'arresto, aveva abbandonato da anni la militanza
politica comunista della gioventù, come molti ex di LC, ed era diventato manager
delle Officine Meccaniche Reggiane.

Nel gennaio 2019 il settimanale Panorama ha appurato che Pietrostefani da anni


beneficia di una pensione dall' Inps di oltre 1500 euro[5].

Indice
1 Note biografiche
2 Processo e fuga in Francia
3 Movimento per la grazia
3.1 Primo tentativo
3.2 Secondo tentativo
3.3 Terzo tentativo
4 Note
5 Voci correlate
Note biografiche
Figlio di Stanislao Pietrostefani, prefetto di Arezzo, negli anni '60 aderì al
movimento studentesco e poi fondò con Adriano Sofri il gruppo di sinistra
extraparlamentare Lotta Continua, di cui fu responsabile in capo del servizio
d'ordine. Laureato in architettura, dopo la fine del periodo degli anni di
piombo, abbandonò l'ideologia marxista, rinnegò come "fanatiche" molte delle
idee precedentemente professate, e divenne dirigente d'azienda alle Officine
Meccaniche Reggiane fino al 1988, quando fu arrestato la prima volta.[6]

Processo e fuga in Francia


Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Omicidio
Calabresi.
Secondo la sentenza definitiva, nel 1972 Ovidio Bompressi, militante di Lotta
continua, assieme ad un altro militante, Leonardo Marino, ha ucciso in un
agguato il 17 maggio del 1972 a Milano il commissario di polizia Luigi Calabresi
su mandato dei due leader dell'organizzazione Adriano Sofri e Giorgio
Pietrostefani. Nell'agguato Bompressi colpì a morte il commissario, mentre
Leonardo Marino guidò l'auto usata per la fuga.

La condanna si basa unicamente sulla testimonianza del pentito Marino, che fu


inizialmente condannato a 11 anni di carcere, salvo poi veder ridotta la pena in
quanto pentito, fino a che questa non cadde in prescrizione perché le more dei
ricorsi del processo fecero scattare la prescrizione. L'altro presunto
partecipante all'agguato e i due presunti mandanti, leader dell'organizzazione,
Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani furono condannati a 22 anni di reclusione.
Pietrostefani, già residente in Francia dagli anni '90, tornò volontariamente
per il processo e fu arrestato nel 1997.

Scarcerato nel 1999 per la revisione del processo e condannato ancora nel 2000,
per sottrarsi all'esecuzione della condanna definitiva si è reso latitante
rifugiandosi nuovamente in Francia; gli è quindi stata accordata la protezione
giuridica della dottrina Mitterrand. Non è mai stata presentata una formale
richiesta di estradizione al governo di Parigi, e per la legge francese il reato
è già prescritto.

Nel 2016 Pietrostefani ha subito un trapianto di fegato a causa di un tumore


epatico e ha subito poi numerose operazioni e cure, essendo da allora in stato
di immunosoppressione cronica, dovuta ai farmaci anti-rigetto.[7]

Nel 2019, dopo l'arresto di Cesare Battisti, politici italiani vicini al


ministro degli interni Matteo Salvini affermano di voler chiedere l'estradizione
alla Francia di diversi latitanti lì rifugiati, tra cui Pietrostefani[8] che
risiede a Parigi.[7]

Movimento per la grazia

Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, con l'avvocato Massimo Di Noia (al


centro), durante un'udienza del processo d'appello (1991).
Ci fu in Italia (e non solo) un movimento di opinione pubblica, prevalentemente
di sinistra, ma sostenuto anche da personaggi di altre correnti politiche,
intorno alle persone condannate per l'omicidio Calabresi: ne sono esponenti di
spicco Giuliano Ferrara e Gad Lerner. In una parte dell'opinione pubblica si è
diffuso un movimento di sostenitori volto a promuovere un atto di clemenza nei
confronti di Bompressi, Pietrostefani e Sofri, ricollegandosi al dispositivo di
sentenza del 2000, che li dichiarava colpevoli ma riabilitati[9], e a una
dichiarazione della vedova del commissario che affermava di non opporsi al
provvedimento. A questa si contrappose un'altra parte che ritiene che costoro
dovessero scontare la pena irrogata.[10][11]:

Ci furono vari tentativi di ottenere la grazia ai condannati per l'omicidio


Calabresi. Bompressi la ottenne nel 2006 mentre Sofri scontò la pena sotto
diversi regimi di detenzione fino al 2012, quando venne scarcerato in seguito ad
alcuni sconti. Pietrostefani ha scontato solo un breve periodo di carcerazione
preventiva nel 1988 e due anni dal 1997 al 1999 (quando in seguito a temporanea
scarcerazione per revisione del processo, ne approfittò per rifugiarsi in
Francia nel 2000), e la maggior parte della condanna è tuttora pendente su di
lui.

Primo tentativo
Nel 1997, lo stesso anno in cui vennero pronunciate le condanne definitive per
l'omicidio, il Presidente Oscar Luigi Scalfaro sollecitato da numerosi
parlamentari, circa 200, e da cittadini comuni (160 000 firmatari), rifiutò di
firmare la grazia, con una lettera aperta agli allora Presidenti delle Camere,
Luciano Violante e Nicola Mancino, contenente le seguenti motivazioni[10]:

«Qualsiasi provvedimento di grazia destinato a più persone sulla base di criteri


predeterminati, costituirebbe di fatto un indulto improprio, invadendo
illecitamente la competenza che la costituzione riserva al parlamento. [...] La
grazia, qualora applicata a breve distanza dalla sentenza definitiva di
condanna, assumerebbe oggettivamente il significato di una valutazione di merito
opposta a quella del magistrato, configurando un ulteriore grado di giudizio che
non esiste nell'ordinamento e determinando un evidente pericolo di conflitto di
fatto tra poteri. [...] Dunque la via per superare queste dolorose e sofferte
vicende della nostra storia può essere trovata, ma certo richiede una visione
unitaria di quella realtà, una volontà politica determinata e capace di
raccogliere il consenso indispensabile.»

Secondo tentativo
Cambiata la maggioranza parlamentare, in seguito alle elezioni politiche del
2001, la domanda fu ripresentata. Le domande presentate nella legislatura
2001-2006, hanno sempre avuto parere negativo da parte del magistrato competente
al cui parere si è adeguato il Ministro della Giustizia Roberto Castelli,
malgrado il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi avesse nello stesso
periodo più volte manifestato la volontà di concederla, tanto da giungere a un
conflitto di giurisdizione con il guardasigilli risolto poi dalla Corte
Costituzionale che, con sentenza n.200 del 18/05/2006, ha stabilito che non
spetta al Ministero della giustizia di impedire la prosecuzione del procedimento
di grazia; il Presidente della Repubblica dispone autonomamente del Potere di
Grazia anche senza la firma del guardasigilli. Alla fine la grazia non fu
concessa perché la sentenza fu emessa tre giorni dopo il termine del mandato
presidenziale di Ciampi.

Terzo tentativo
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il 1º giugno 2006 ha c

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