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Introduzione Alla Teologia Della Liturgia PDF
Introduzione Alla Teologia Della Liturgia PDF
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PONTIFICIUM ATHENAEUM
S. ANSELMI DE URBE
F a c u lt a s S a c r a e L itu r g ia e
2
L’aspetto cristologico della Teologia liturgica.
Le leggi della Teologia liturgica.
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INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA LITURGICA
Laudent te, Domine, ora nostra, laudet anima, laudet et vita; et quia tui
muneris est quod sumus, tuum sit omne quod vivemus. Per Christum Dominum
nostrum. (Ver. 1329).
Tutto questo, anche se molto interessante, non rientra nei compiti del nostro
corso di teologia liturgica. In tal senso, ormai sembra superata - almeno nel
dibattito teologico-liturgico - la visione della liturgia come locus theologicus
(luogo teologico).
5
comprensione della teologia come locus liturgicus. Dunque, c’è stato un
capovolgimento di prospettive. Nessuno come Marsili è arrivato ad una teologia
nel senso più profondo, sino a parlare della Liturgia come luogo teologico. In
effetti, oggi si può parlare - non in senso generale - di un superamento della
comprensione della liturgia come luogo teologico.
I-
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7
PARTE PRIMA
GLI ANTECEDENTI DELLA TEOLOGIA LITURGICA
Sc h e m a
Gli autori che svolgono lo studio della teologia liturgica - tra loro il Marsili -
partono dall’indagine sul termine «liturgia», allo scopo di coglierne il suo
significato nei diversi ambiti d’uso e nell’evoluzione di questo significato,
specialmente per quanto riguarda il mondo biblico1.
1 In questa direzione si può leggere il capitolo primo di Liturgia Momento nella storia della Salvezza, a
cura di S. Marsili, Marietti, Genova 21972 (VII ristampa 2001) Anàmnesis 1, pp. 33-45, o meglio ancora
Nozione di liturgia, di A. Chupungco, in Scientia Liturgica, voi. 1°, pp. 17-25, oppure il Grande Lessico del
Nuovo Testamento (Kittei), sotto la voce liturgia, leitourgia, leitourgikos, leitourgeo, anche se nell’ambito di
questo corso ci fermeremo a delle conclusioni riassuntive.
8
Le questioni che tratteremo prendono spunto dalle seguenti osservazioni:
1.1. A n t ic h it à C r is t ia n a : S p ir it u a l is m o c u l t u a l e .
9
La Chiesa apostolica ha proseguito su questa linea: le forme cultuali non
ancora praticate da Gesù, per lo più non sono state inventate ex novo dalla
Chiesa, ma essa si è ispirata ai modelli già esistenti nelle tradizioni cultuali del
giudaismo. A tale riguardo si può vedere come vengono interpretate quelle
componenti essenziali del culto, cioè il tempio, l'altare e il sacrificio, anche se
nella novità evangelica il centro del nuovo culto è Cristo che, dopo la sua morte e
resurrezione, appare come sacrificio, tempio, altare, pasqua:
Hi C rictr\ A
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In questo modo la presenza divina non è più legata al tempio, ma alla persona
di Cristo e pertanto “il Cristo è ormai il centro del culto”2. L’insieme del culto,
rituale e sacrificale, non ha più valore. L ’antica struttura della religione è
sostituita da una nuova. Non si passa da un culto sacrificale ad un altro tipo di
■ O. CULLMANN, Les sacrements dans l ’Evangile johannìque. La vie de Jesus et le culte de l ’èglise
primitive, Paris 1951,85.
10
culto più elevato, bensì ad un nuovo modello di religione, che dovrà strutturarsi
intorno alla fede nel Cristo Risorto .
E così si può dire che il culto dei cristiani è un culto spirituale nel senso più
etimologico della parola. Essi stessi consideravano la santità interiore come il
loro vero culto, quale omaggio al Dio tre volte santo. Per questa ragione, in
merito al tema dello spiritualismo cultuale, si possono leggere quattro testi:
Giovanni 4, 23-34;
Efesini 5,5;
1 Pietro 2, 5.
Da questi riferimenti si può spendere ora una parola sul culto in Spirito e
Verità. Giovanni nei primi capitoli parla di un nuovo genere di religione e tale
religione viene caratterizzata essenzialmente come culto di Dio “in spirito e
verità”. Il vecchio culto non ha più valore, né per quanto riguarda la forma (il
luogo, il tempio) né per quanto riguarda l’oggetto, perché fin qui non c’è stata
adorazione nello Spirito, per il fatto che finora Dio non si era mai manifestato
come Spirito, ma solo come il datore della Legge. L’insieme del culto rituale e
sacrificale ormai non ha più valore.
Adesso il culto nello Spirito e nella vita si svela in termini di sacrificio, altare
e tempio, come attesta Fil 3,3:
«Siamo noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di
Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù».
3 G. CAETA, Il Culto”in spirito e verità” secondo il Vangelo di Giovanni, in In Spirito e Verità, a cura di
Pier Cesare Bori, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996,16.
4 A. FEUILLET, Les «sacrifices spirituels» du sacerdoce royal des baptisés (lPt 2,5), Nouvelle Revue
Théologique 96 (1974) 704-728.
11
Su questa stessa linea si muove Romani 12,1 :
«Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi
come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non
conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra
mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e
perfetto.»
In questo senso, la vita cristiana deve essere culto nello Spirito tributato a Dio
ed i cristiani sono chiamati a dare alla loro vita un senso cultuale, tanto che Paolo
implicitamente li paragona agli animali immolati nei culti giudaici o pagani,
aggiungendo una nota di distinzione: l’offerta di sé stessi è viva e vivente e non
viene compiuta mediante gli animali morti. Dunque, il culto di ogni cristiano e
l’esercizio del suo sacerdozio, consistono in un’offerta del proprio corpo nella
dimensione del sacrificio.
I cristiani che si sforzano di essere tali danno alla loro vita un senso cultuale
che esprime la sua dimensione spirituale. L ’esistenza cristiana deve realizzarsi
nell’offerta del corpo come sacrifìcio vivente e come culto spirituale reso a Dio.
In questa direzione, Paolo insiste che non si tratta di un nuovo culto che occupa il
luogo del vecchio culto, ma lui stesso utilizza ancora le vecchie espressioni e le
immagini della tradizione cultuale dell’Antico Testamento per esprimere la
novità del Vangelo di Gesù.
Questo culto corporeo della vita cristiana si caratterizza per essere un culto
spirituale, che ha come soluzione il fatto che i cristiani si servono del mondo
attraverso la loro dimensione corporale. La vita cristiana non consiste
nell’astenersi dal mondo presente in senso negativo, ma in un’ottica positiva
attraverso la trasformazione di ognuno di noi ed il rinnovamento della mente e
del cuore. Certamente, per la coscienza della Chiesa nascente, tutto il culto, che
aveva luogo sul Monte Moria, si trasferisce sul Golgota5, cioè sul corpo del
Messia trafitto.
Come è già stato detto, Cristo è l’unico Sacrificio. Non si intende quello della
vittima animale, ma semmai del Signore che si offre per la remissione dei nostri
peccati (Ef 5,56; Eb 9,147; 10,11-128) e come sacrifìcio spirituale (Eb 9,14).
Nello stesso modo in cui Cristo offrì il Suo Corpo (Eb 10,11), in eguale
maniera i cristiani offrono i loro corpi come sacrifìcio vivo, santo e gradito a Dio
(Rm 12,l)9 realizzando, in tal modo, un culto spirituale (Rm 12,1; lPt 2,5)10.
Questo sacrifìcio che di sé stessi fanno i cristiani come lo stesso Cristo, Paolo
lo qualifica proprio come "liturgia", come testimonia Fil 2,17:
«Ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo ha
costruito. Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per offrire doni e sacrifici: di
qui la necessità che anch'egli abbia qualcosa da offrire. Se Gesù fosse sulla terra, egli
non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la
legge. Questi però attendono a un servizio che è una copia e un'ombra delle realtà
celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda:
Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.
Ora invece egli ha ottenuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è
l'alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su migliori promesse.»
Adesso abbiamo un culto incentrato non più sulla legge, ma in Cristo; un culto
dove l’unica vittima è il Signore, morto e risorto. Un culto prolungato nella
6 D testo così recita: «Perché, sappiatelo bene, nessunfornicatore, o impuro, o avaro che è roba da idolatri
avràparte al regno di Cristo e di Dio».
I II testo così afferma: «Quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza
macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalla opere morte, per servire il Dio vivente?».
8 II testo, parlando della santificazione degli uomini dice: «Ed è appunto per quella volontà che noi siamo
stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una voltaper sempre. Ogni sacerdote si
presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifìci che non possono
mai eliminare i peccati. Egli, al contrario, avendo offerto un solo sacrifìcio per i peccati una volta per
sempre si è assiso alla destra di Dio».
9 D testo afferma: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale».
10 Così afferma: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edifìcio spirituale,
per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo».
II J.J. FLORES, Adoradores en Espirituy verdad Nova et Vetera 57 (2004) 39.56.
13
Gli antichi riti, incapaci di santificare l’uomo, si spostano verso l’unico
sacrificio che il Cristo ha consumato una volta per tutte (Eb 7,2712; 9,12.2613;
10,IO14); adesso tutta l’esistenza cristiana diventa l’esercizio di un sacerdozio
santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo.
Questa interpretazione nuova del culto continua nei primi secoli della Chiesa.
«....però, è vero, essendo per la sua stessa natura senza necessità, gode nell'essere
onorata, non senza ragione noi onoriamo Dio con l ’orazione ed eleviamo questo
sacrificio, il migliore e più santo sacrificio di giustizia, onorando Dio con il
giustissimo Logos. »
«....il sacrificio della Chiesa è un linguaggio emanato dalle anime sante, una volta
che i pensieri di tutti e di ciascuno si espandono davanti Dio. »
«Dunque vero sacrifìcio è ogni opera con cui ci si impegna ad unirci in santa
comunione a Dio, in modo che sia riferita al bene ultimo per cui possiamo essere
veramente felici. »
Ed aggiunge ancora:
Il testo afferma: «Egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici
prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte,
offrendo se stesso».
Così recita: «Non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò m a volta per sempre
nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna...In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più
volte dalla fondazione del mondo. Ora invece ima volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per
annullare ilpeccato mediante il sacrifìcio di se stesso».
Richiamando il contesto dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, esprime l’unicità del suo sacrificio: «Ed è
appiano per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo,
fista una voltaper sempre».
14
«Quindi anche la beneficenza con cui soccorre l ’uomo, se non si compie in
relazione a Dio, non è sacrificio. Infatti sebbene il sacrificio sia compiuto e offerto
dall’uomo, è cosa divina; tanto è vero che anche i vecchi Latini l ’hanno chiamato
così. Pertanto l ’uomo stesso consacrato nel nome di Dio e a lui promesso, in quanto
muore al mondo per vivere di Dio, è un sacrifìcio. »
Dunque per Sant’Agostino tutta la città e la comunità dei Santi che in essa
abita, si trasforma in un sacrificio universale offerto a Dio per mezzo del suo
Sacerdote Gesù, di modo che il sacrificio dei cristiani consiste nel vivere tutti in
un unico corpo con Cristo. Tale contesto richiama nuovamente quello che
riferisce Paolo nella Lettera ai Romani 12,1 ss. Adesso esiste un duplice senso di
sacrificio :
Così il Nuovo Testamento vede nel sacrificio e nel tempio dellA.T. figure
destinate a scomparire, per dare spazio alle nuove realtà cultuali instauratesi in
Cristo (Eb 10,1). Su questa nuova realtà che iniziò Cristo e seguì la Chiesa,
insistette la primitiva tradizione cristiana. A tale riguardo è significativo quello
che Barnaba scrive nella sua Epistola, al capitolo 16,7:
«Dunque trovo che un tempio esiste. Ora apprenderete come sarà distrutto nel
nome del Signore. Prima che noi credessimo in Dio l ’abitazione del nostro cuore era
15
corruttibile e debole, proprio come lo è un tempio edificato con le mani; era pieno di
idolatria ed era casa dei demoni, perché noi facevamo quanto era contrario a Dio.»
«Sarà costruito nel nome del Signore». Fate attenzione, affinché il tempio di Dio
sia costruito sontuosamente, e imparate in che modo. Ricevuta la remissione dei
peccati e avendo sperato nel nome, siamo divenuti novelli, come creati di nuovo, da
principio: perciò davvero Dio abita in noi, nel nostro abitacolo. In che modo? [Solo
in noi] la parola della sua fede, la vocazione della sua promessa, la sapienza delle
disposizioni, i comandamenti della dottrina; egli profetizza in noi, abita in noi, e con
l 'aprirci la porta del tempio, cioè la bocca, e dandoci il pentimento, conduce coloro
che erano asserviti alla morte del tempio incorruttibile. Infatti, chi vuole essere
salvato non guarda all'uomo, ma a chi abita e parla in lui, meravigliandosi di non
averlo mai udito pronunciare con la sua bocca tali parole e di non aver mai
desiderato udirle. Questo è il tempio spirituale che si edifica al Signore. »
15 A tale riguardo appare interessante quello che dice Origene nel Commento al Vangelo di San Giovanni,
al Tomo 1,20: « Quando ebbe cacciato i venditori dal tempio, i giudei dissero a Gesù: Che segno ci mostri
per agire così? Gesù rispose: Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo ricostruirò (Gv 2,18-19). A me
sembra che qui i giudei stiano a rappresentare le persone carnali e dedite alle cose sensibili: mal sopportando
di vedere scacciati da Gesù degli uomini che, in vista dei loro interessi, trasformavano in mercato la casa del
Padre, chiedono un segno attraverso il quale si manifesti chiaramente che chi agisce in questo modo è
veramente il Verbo che essi rifiutano di accogliere. Ma il Salvatore, alla domanda: Che segno ci mostri per
agire così?, alludendo al suo corpo là dove sembra parlare del tempio, risponde con queste parole:
Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo ricostruirò. Avrebbe potuto, è vero, mostrare migliaia di altri
segni, ma nessuno sarebbe stato una risposta veramente adatta a quel: Per agire così? Perciò, piuttosto che
portare ragioni di altro genere, nella sua risposta, molto opportunamente, si riferisce al tempio. E veramente
l'uno e l’altro, il tempio e il corpo di Gesù, mi sembra che vadano interpretati nello stesso senso, e cioè come
tipo della Chiesa. La Chiesa è edificata con pietre viventi, edificio spirituale per un sacerdozio santo (lPt
2,5), costruita sulfondamento degli apostoli e dei profeti, e lo stesso Cristo Gesù ne è la pietra d ’angolo (Ef
2,20): e dunque può essere definita veramente come tempio».
16
Alessandrino, negli Strornata, VII, 6,31,8, definendo il cristiano tempio e altare.
Infatti egli afferma:
«Noi possediamo, qui nella terra, un altare: l'unione di coloro che si dedicano
all'orazione che ha, per meglio dire, una voce comune ed un identico ideale. »
«Noi abbiamo un altare del quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che
sono al servizio del Tabernacolo. Infatti i corpi degli/ animali, il cui sangue vien
portato nel santuario dal sommo sacerdote per i peccati, vengono bruciati fuori
dell’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio
sangue, patì fuori dalla porta della città.»
Ciò indica che questo altare non è tanto la mensa eucaristica, ma la croce sulla
quale il Cristo è stato immolato, mediante il quale noi offriamo le nostre
preghiere a Dio. In tal senso la stessa Lettera agli Ebrei 13,13-15 aggiunge:
Perciò i Giudei, che persistono nel servizio della tenda, non possono prendervi
parte. A tale riguardo è significativo ricordare Sant’Ambrogio che usa
l’espressione «Altare Christus est», la quale pone Cristo come l’unico e vero
altare. Questo concetto, tra l’altro, lo si può trovare in altri autori come
Sant’Ignazio di Antiochia, Tertulliano, Policarpo, Clemente Alessandrino, ed
altri ancora. Ciò indica come la tradizione patristica fosse particolarmente attenta
a questo tema.
16 Nel foglio di presentazione relativo all’ingresso nella Cattedrale dei SS. Michaelis et Gudulae, a
Bruxelles, si legge: «Plus qu’un très bel object et plus qu’une oewre d ’art, l ’autel est un mystère - un
présence. En effet, il nous conduit aussi près que possible du mystère de la personne et de l oeuvre du
Christ. Il est la table du sacrifice: il rappelle à la fois la Cène et la croix. Il est la table du repas
eucharistique du Seigneur à laquelle il convie sonpeuple et annonce lefestin des noces étemelles».
17
«Che cosa è l ’altare di Dio se non l ’anima di coloro che conducono una vita
santa? A buon diritto, quindi l ’altare di Dio viene chiamato il cuore dei giusti.»11
«Istud altare vel est crux Christi in qua, Christus prò nobis immolatus est; vel ipse
18
Christus, in quo et per quem preces nostras offerimus. »
«Nessuno che sia saggio e che abbia fede, ignora che la città è formata dalla
popolazione. Non dunque le travi ed i tetti, ma voi, o carissimi, formate la Chiesa viva
per il nostro Dio, voi rappresentate l ’intera città, e che la Chiesa è rappresentata
dalla comunità cristiana.»19
«Noi abbiamo qui nella terra un altare che è l'adunanza di quelli che si dedicano
alla preghiera e che hanno una voce comune e un medesimo ideale. »
Nei primi secoli avveniva soltanto una celebrazione annuale della Pasqua. La
storicizzazione dei singoli momenti celebrativi in celebrazioni separate, che
determineranno una prima struttura dell’Anno Liturgico diviso in tempi forti ed
in tempo ordinario, avverrà non prima della fine del IV secolo. La Pasqua un
tempo era solo festa annuale cristiana, insieme alla Domenica: entrambe
festeggiavano la totalità del mistero pasquale della salvezza operata da Cristo,
GREGORIO M agno , Homiliae in Hiezechielem, E, Homilia X, 19, CCL, Series Latina, CXI -TT Tumholti
1971, 394-395: Quid est templum, nisi fìdelis populus?........Et quid est altare Dei, nisi mens bene
Pentium....... Recte igitur est altare Dei, nisi mens bene dicitur, ubi ex maerore compunctionis ignis ardet
et caro consumitur
TQMMASOD’AQUINO, Super Haebreos, 13.2.
: Omelia 94, PL 57,470472.
18
celebrando la sua risurrezione. Prima del IV secolo, non esisteva alcun ciclo di
liturgie commemorative della Settimana Santa, né del Venerdì Santo, perché non
se ne avvertiva il bisogno nella vita della Chiesa.
All’inizio del V secolo, come conseguenza dello sviluppo del ciclo relativo
alla passione di Cristo, durante la Settimana Santa in Gerusalemme, iniziarono ad
esserci i primi segnali di una tendenza ad una vera e propria storicizzazione
dell’evento pasquale, seguito da una “commemorazione” annuale della
risurrezione di Gesù: tale fatto è da vedersi come una tendenza restrittiva che non
trova alcuna giustificazione nella prima Tradizione cristiana.
«Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d ’Egitto. Questa
sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in
generazione. »
A differenza degli Ebrei, i Giudei cristiani professando che il Messia era già
venuto nella persona di Gesù, semplicemente trasponevano questa attesa della
seconda venuta di Gesù alla Parusia. La grande importanza di questa dimensione
escatologica della celebrazione della Pasqua cristiana emerse poi nella famosa
19
controversia pasquale del II secolo, riportata da Eusebio nella sua Historia
Ecclesiastica V, 23-25.
«I riti cristiani erano, infatti, veramente una «novità» in materia di culto, perché
questo non risultava un'azione organizzata a fianco della vita, ma costituiva la
20
ragione stessa dell'essere cristiani, cioè creava uomini che vivevano in Cristo.»
Questo vuol dire che, per il suo carattere di culto «spirituale», il cristianesimo
non doveva possedere - e non ha in verità posseduto fin da principio - un sistema
«rituale» proprio. Certamente, esistevano dei riti, dei quali ricorre il nome fin
dagli scritti apostolici (battesimo, frazione del pane o cena del Signore-
Eucaristia, imposizione delle mani, ecc.), ma essi non erano tuttavia una
“Liturgia” nel senso dell’AT e tanto meno della religione pagana. Allora, si tratta
di una nuova impostazione del culto che continuerà ad affermarsi nei primi
secoli della Chiesa, dove la morte del martire è vista come sacrificio (Policarpo)
e dove «sacrificio» sono pure le preghiere unite alla carità del prossimo. Inoltre,
20 Anàmnesis 1,53.
20
il sacrificio di Cristo è anche il sacrificio dei cristiani. In questa direttiva, Marsili
non rinuncia a dire che:
«I riti cristiani erano fin da principio l ’espressione perfetta ed unica del culto
“spirituale ”, perché erano “segni-sintesi ” di un momento salvifico, e cioè segni nei
quali si condensava allo stesso tempo la presenza santificatrice del mistero di Cristo e
la presenza santificata dei fedeli. Il rito cristiano ha infatti avuto sempre lo scopo
diretto di consacrare e santificare l ’uomo, affinché questi diventasse in tal modo nella
sua propria persona - insieme con Cristo e per Cristo - e non per un simbolo
sostitutivo, “sacrificio-altare-tempio ” di Dio, ossia realtà e luogo spirituale del culto
di Dio.»21
Dunque, i primi riti cristiani (Battesimo, Cena del Signore, Cresima, Unzione
degli Infermi, ecc.) sono l'espressione perfetta e unica del culto spirituale, perché
erano segni dove si condensava la presenza santificatrice del mistero di Cristo e
la presenza santificata dei cristiani.
1.2. L a L it u r g ia r o m a n a c l a ss ic a .
Il culto cristiano, pur non cessando mai di essere un culto «spirituale», non è
però sfuggito alla presa delle situazioni concrete dell’ambiente storico, sociale e
culturale nel quale era inserito. La Epistula a Diognetum, 5,1-4 e 6,1 del secolo
II, afferma:
«I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini (i pagani), né per paese, né
per lingua, né per costumanze. Non è infatti che abitino città particolari o si servano
di un linguaggio distinto o conducano una vita differente... anche se mostrano di
avere u n ’impostazione ammirevole nella propria condotta... A dirlo in una parola, i
cristiani sono nel mondo quel che l ’anima è nel corpo.»
:i Ibidem.
21
inserimento anche nel tessuto della vita civile e culturale di interi popoli. Tutto
questo rimarrà intatto fino a quando ci saranno le persecuzioni contro i cristiani.
Con l’editto di Milano del 313, ad opera di Costantino, quando il cristianesimo
entrerà in contatto con certi elementi culturali, tipici del paganesimo, si
verificherà la corruzione dei costumi, che - più tardi - comporterà una severa
organizzazione tanto del catecumenato, quanto della penitenza che nei secoli IV
e V, raggiungerà le forme più espressive e più efficaci del culto spirituale. In
questa realtà contingente, la Chiesa ha manifestato la volontà di non cadere
vittima di una comoda facilità tanto nell’accogliere quanto nel mantenere i
convertiti in un vero impegno cristiano sia sul piano generale della vita che su
quello particolare del culto.
Il genio romano accanto alla liturgia romana classica darà origine ad una
liturgia veramente romana. I romani dimostrarono di possedere un'attitudine
speciale per questa sintesi teologica con queste tre caratteristiche:
Si può anche leggere la sezione XXI: UH: Idus Augustas. Natale Sancti
Laurenti. A tale riguardo, né è un esempio il Ve 745:
22 The Genius o f thè Roman Rite, Liturgia Historica, 1918 (Ed. Francese Le genie du rit romain, edition
annotèe par Dom Andrò WILMART de Farborough, 1921).
22
«Vere aignum: et tuam magnificentiam propensius exorare, qui nobis hunc diem
sancii Laurenti martyrio tribuisti venerandum: quem ita omni genere pietatis
inbueras, ut idem tibi ara adque sacrificium, idem sacerdos esset et templum: per. »
Andando avanti, nei secoli IV-VI è stato creato un tesoro di formule che, nella
loro rispondenza ai valori oggettivi, nella chiarezza di pensiero, nel ritmo
solenne, nell’aderenza alle verità dogmatiche fondamentali, devono essere
considerate come una delle grandi e classiche creazioni della storia umana. Tra
queste, vanno ricordate le orazioni della Veglia Pasquale. Si tratta di un
-omplesso di 12 orazioni romane, composte per la Liturgia della Parola della
Veglia Pasquale, conservate nel Gelasiano Reginensis 431-432 dell’edizione del
Molhlberg, che formano un complesso eucologico unitario ed indivisibile. A tale
nguardo J. Pinell afferma: «Per la loro forma letteraria e per il loro contenuto
minale queste dodici orazioni costituiscono il più grande capolavoro
iell'eucologia latina; sono opera di Leone Magno e contengono il nucleo
'ì'5
es senziale della teologia di San Leone» .
Alceste Catella24, sempre per quanto riguarda ciò che possiamo considerare
- ^.-ardo la liturgia romana classica, dice che le dimensioni che costituiscono
ami celebrazione sembrano riconducibili a tre:
23
Il passaggio a Roma, alla fine del secolo III, dalla lingua greca a quella latina
nella Liturgia, fu un autentico “adattamento” e, spesso, una vera creazione, in
vista delle esigenze proprie della mentalità latina e romana. Ciò, evidentemente,
non poteva che comportare un avvicinamento a formule cultuali più congeniali al
"genio" romano, sia sul piano linguistico-stilistico, sia, purtroppo, sul piano della
mentalità e, talvolta, del contenuto. A tale riguardo un’opera importantissima, la
Traditio Apostolica di Ippolito di Roma, riferendosi ad una serie di formule
liturgiche, avverte la preoccupazione di conservare una «tradizione», che si sente
minacciata da possibili errori, frutto di ignoranza e di superstizione, che
potrebbero dare un sottofondo “magico”, tipico della religione pagana. Ciò
rientra nel fatto innegabile secondo cui i libelli sono stati composti per il timore
di un errore che nel cristianesimo inciderebbe solo sulla «ortodossia», mentre nel
paganesimo, sarebbe causa di invalidità del rito.
24
Mentalità giuridica—» cerimoniale sontuoso-» rubricismo
25 Alla fine del II secolo o al principio del IH, Minucio Felice poteva scrivere: «Non abbiamo altari»
(Octavius 32,1). Era una sfida che rivendicava il carattere «spiritualista» del culto cristiano, perché «l’altare»
richiamava vittime cruente di «animali» offerti alla divinità, mentre i cristiani ofirivano se stessi come
«vittima spirituale» (Rm 12,1) a Dio in Cristo.
25
Questo è senz’altro un lento processo che arriverà fino al Medioevo e durerà
fino a oggi. Si ritornerà, dunque, ad una Liturgia come forma esteriore, non più
come teologia.
1.3. I l M e d io e v o .
«La “Liturgia”, infatti sarà sempre di più, quella form a di culto che è fatta
secondo l'ordinamento ed il comando della Chiesa (gerarchica), che viene eseguita in
26
nome della Chiesa (universale) da persone deputate.»
Dunque, il clero fa la liturgia, il popolo assiste alla liturgia. Si crea una rottura
tra una liturgia clericalizzata ed il popolo che cerca nelle devozioni l'alternativa
ad una liturgia che non comprende e alla quale non partecipa. Questo fatto si
rivela come una tra le cause della crisi spirituale della Chiesa, iniziando a perdere
di vista la sua identità e la natura della sua missione.
* Anàmnesis 1, 59.
r Anàmnesis 1, 58.
26
si contribuisce alla materializzazione del culto;
Tutto questo, come è già stato detto, porterà ad un culto ogni volta sempre più
esteriore. La Liturgia è ciò che deve farsi e lo si deve fare in un’unica maniera,
mentre il suo valore non dipende più dalla presenza della Chiesa, che viene
considerata come unica responsabile della celebrazione.
In merito alla conseguenza più evidente il Marsili dirà: «Di una tale Liturgia il
popolo non era che un soggetto passivo. Anche per esso - nella posizione in cui
ancora aveva un rapporto con la Liturgia - questa era una legge che doveva
essere osservata, ma appunto come ogni altra “legge”, cioè esteriormente. Così,
per esempio, la messa come azione “liturgica” esige dal fedele di “vedere la
cerimonia” con la generica intenzione di rendere onore a Dio e con attenzione
28
esterna» .
la liturgia era tanto più liturgia, quanto maggiore era il risalto esterno del
rito;
27
questa situazione ci troviamo dinanzi ad una Liturgia che si fa spettacolo, tanto
da essere lontani da una liturgia che si fa vita. In effetti, ci vorrà diverso tempo
prima che si ritorni a quella linea spirituale-liturgica che caratterizzava la Chiesa
dei primi secoli.
In merito a questa esteriorità, il caso più eclatante fu quello della miss a sicca o
anche della missa bifaciata, tri-quatrifaciata (che erano due forme diverse di
eludere la proibizione di celebrare più messe per altrettanti stipendi) delle quali
parla e commenta Marsili29. Egli, in modo particolare, si sofferma sull'aspetto
più negativo, cioè la Liturgia come spettacolo e dice:
Se non incontriamo ancora tentativi validi di una teologia della liturgia, si può
vedere che sin dal Medio Evo, si perseguirono delle direttrici principali quali la
spiegazione allegorica ed il devozionalismo.
29 Anàmnesis 1,60-61.
30 Cfr. M. RIGHETTI, Storia Liturgica, Milano, Edizione anastatica, 31964,83-86.
28
Il Simbolo è una "doppia" realtà che viene ad esplicarsi su due piani differenti.
Il simbolo, quindi, è un fatto o una persona che, oltre a rendere visibile la propria
realtà, manifesta in sé, contemporaneamente, quella invisibile alla quale la prima
fa riferimento. Il simbolo non esiste finché la prima realtà visibile non è percepita
come indicativa della realtà invisibile.
Il simbolo si trova sempre sul piano di realtà oggettiva31 che è, però, costituita
da due momenti interdipendenti tra loro, proprio a livello di realtà. Un esempio
concreto è la storia di Abramo e la liberazione del popolo di Israele dalla
schiavitù d’Egitto. In questo caso, si tratta di una persona e di un fatto reale sul
piano storico, dei quali la rivelazione profetica ci dirà che contengono un’altra
realtà: si tratta della scelta degli uomini da parte di Dio e la liberazione dal
peccato.
’1 Nella Liturgia l’offerta del sacrificio è naturalmente un «simbolo», cioè reale manifestazione di quel
reale stato d’animo che implica amicizia e omaggio, ossia volontario riconoscimento di superiorità di colui
al quale l’offerta si dirige.
32 Anamnesi, 1,62 ss.
Amalarii episcopi opera liturgica omnia. Ediz. J. M. HANSSENS, 3 voli, Studi e Testi, 138-140, Città del
Vaticano, 1948-1950.
29
di Cristo ed il celebrante è Giuseppe di Arimatea, mentre l'arcidiacono è
Nicodemo ed i diaconi sono gli Apostoli che si nascondono nella passione di
Cristo; invece, i suddiaconi sono le pie donne che si avvicinano alla Croce del
Signore.
A tale riguardo commenta Marsili: «Perduto il senso del rito e del valore
funzionale delle sue parti, anche il “simbolo” fondamentale della messa, l'essere
cioè segno sacramentale della passione del Signore, viene arbitrariamente scisso
in altrettante visioni allegoriche della passione di Cristo»34.
Su questa linea si incamminano anche parte degli autori del Medioevo, pur
con alcune eccezioni, tra le quali bisogna ricordare le Expositiones missce, e
Alberto Magno nel suo Opus de mysterio missce, dove parla contro le
interpretazioni allegoriche correnti del suo tempo; Innocenzo III con il De sacro
altaris mysterio (PL 217, 773-914), e la Summa Theologica (III, q.83, a.5 ad 3;
ad 6-9) di Tommaso d'Aquino.
34 Anàmnesis 1,63.
30
Il devozionalismo.
Nel Medioevo si assiste alla nascita del «devozionalismo» che, di per sé, nella
sua natura, costituisce un "surrogato" della liturgia. Mentre Fallegorismo
liturgico aveva come scopo quello di conservare il contatto tra la Liturgia ed il
popolo, il devozionalismo del secondo e basso Medioevo costituì di fatto un
surrogato della Liturgia. Esso partiva dal principio di laicizzare il fatto religioso e
cercava un'alternativa alla liturgia. Frattanto, con la nascita delle lingue volgari,
si cominciò a relegare una liturgia realizzata nella lingua latina35.
35 La Liturgia per il suo legame con la lingua latina, che era la lingua propria del clero, denunziava ad ogni
momento la propria esclusiva attribuzione al clero. Ma il sorgere e raffermarsi della lingua «volgare» -
quella parlata dal popolo - come mezzo valido di comunicazione sociale, rispettivamente ma anche
inevitabilmente relegava non solo la cultura - era anch’essa un fatto «clericale» - nelle università, ma anche
la Liturgia nella Chiesa.
36 Anàmnesis 1,65.
’7 Anàmnesis 1,66.
31
cadere in un vuoto sentimentalismo. In queste condizioni, quel che conta è
l’aumento delle devozioni, nella convinzione che in ogni santo si acquista un
«patrono» particolare il quale, in misura della devozione che si ha per lui, non ci
libera dal peccato, ma ci salva - ora e nella vita futura - dalle conseguenze del
peccato.
Col basso Medioevo cominciò l'epoca vera e propria delle devozioni. A fronte
del ritualismo della Liturgia, le devozioni intendevano offrire una grande libertà.
Se la Liturgia veniva svolta in latino e con un cerimoniale piuttosto rigido, le
devozioni si esprimevano nella lingua del popolo, in realtà si vennero quasi a
contrapporre due spaccati diversi della Societas del tempo. In questo frangente
ritorna il problema di una spiritualità non più viva della Chiesa, dal momento che
il rubricismo aveva preso sempre più piede ed il medesimo movimento
«devozionale» non era riuscito a salvare la vita spirituale del popolo. A tale
riguardo, Marsili arriva alla stessa conclusione già conosciuta: «Accadeva,
infatti, che venuta a mancare una visione teologica del culto cristiano e
dell’espressione che esso aveva nella Liturgia e doveva avere nella “devozione” e
nelle “devozioni”, il movimento devoto ricalcò sul piano laico gli stessi difetti
per i quali si era allontanato dalla Liturgia clericale»38.
1.4. E p o c a m o d e r n a .
La devotio moderna.
E’ il periodo in cui venne a crearsi una rottura con qualunque forma di culto
esterno, qualunque sia. Il fatto si manifesta in un moto di riforma, nel quale,
essendo l’interiorismo religioso la meta da raggiungere, si teorizzò quella che
38 Ibidem.
32
si chiamò «devotio moderna». Ci riferiamo, dunque, ai secoli XIV - XVI
quali ci fu un ripensamento critico di tutta la situazione religioso-spirituale
provenendo da individui e gruppi diversi, convergeva in constatazioni
_ e:
una vita spirituale che non trova alcun giovamento né nella Liturgia, né
nella devozione, ambedue interessate da un materialismo cultuale;
Da questi tre punti, la liturgia appare già un elemento esteriore della vita
religiosa che si va orientando verso nuove forme di pietà. I fedeli continueranno
ad assistere con gran devozione alla Messa, ma raramente ci sarà l’occasione per
ina vera comunione sacramentale con Cristo. Quindi, il vero senso della
. elebrazione rimarrà pressoché assente.
39 E’ il vero momento di nascita dell’individualismo religioso: la salvezza non è tanto opera ottenuta
attraverso i misteri di Cristo totale, che è la Chiesa, ma è il risultato di uno sforzo psicologico. Questo
movimento di riforma spiritualistica aggancerà la sua ricerca di devotio moderna ad un forte impegno di
meditazione, che diventa non solo il mezzo di una nuova mentalità, ma anche il segno distintivo.
33
Di esso ne sarà il fondatore Gerardo Grote (1340-1384) che, nel 1377, si
assoggettò a Ruysbroeck nelfambito dei Paesi Bassi. Non si può certo negare che
la devotio moderna sia stata una forza poderosa di spiritualità cristiana ed un
movimento che lo Spirito Santo ha dato alla Chiesa. Però, a sua volta,
rappresenta una corrente spirituale che vuole supplire la spiritualità propria della
Chiesa, che è contenuta nella Liturgia, e che portava verso uno psicologismo
volontaristico ed individuale che alcuni decenni dopo porterà al personalismo
protestante. Questo ideale di devotio moderna, era comparso sin dall'epoca di
Gerardo Grote con chiari influssi sopra l'umanesimo e sopra la riforma
protestante, per la qual cosa godette, e molto, della stima di Lutero.
40 «La frequente meditazione della Passione rende dottissimo anche l’indigente, e fa maestri gli inesperti e i
non istruiti: li fa maestri, cioè, non della scienza che gonfia, ma della carità che edifica. Questa meditazione è
un certo libro della vita, nel quale si trova tutto ciò che è necessario per la salvezza» ( Vita Christi, parte E, c.
LVm, 5).
34
organizzano i propositi sino a trasformare l'orazione in un esercizio
quasi meccanico;
l'uomo, al fine di unirsi di più a Cristo, mira all'umanità del Signore e per
meglio entrare in un personale contatto con lui, desidera, vuole sapere
tutto ciò che lo riguarda e si occupa di tutti i particolari della sua vita,
facendone materia di meditazione. Così si meditano e si venerano le
ferite, le piaghe, le spine, le lacrime, il cuore, il volto, il capo e le
membra.
Dinanzi a tutto questo movimento, la critica principale che si può fare è che il
mistero di Cristo, così come esso viene presentato e vissuto nella Liturgia, nella
sua integrità ed obiettività, non gode più della centralità della vita cristiana; i
misteri di Cristo sono descritti come momenti successivi della rivelazione e del
suo mistero pasquale. Ora, tutto si concentra nella meditazione-contemplazione di
ciascuna delle parti dell'umanità di Cristo che ha lo scopo di suscitare, nella
meditazione della Passione, sentimenti di compassione. Maria, la Mater Dei,
diventa la Vergine dolorosa, (Mater Dolorosa), e la Madre che vive nella
desolazione (Mater Desolata) e tutto il Suo mistero va a concentrarsi in una
devozione-contemplazione delle sue glorie, delle sue gioie e dei suoi dolori.
35
Certo, non è esagerato dire che, almeno in estensione e come intensità, sembra di
assistere in questo tempo ad un risorgimento del cristianesimo, ma in realtà
bisogna pensare che ci troviamo dinanzi ad un cristianesimo come «religione
delle devozioni». A prima vista tutto sembra rimasto come prima tanto che ciò
contribuirà ad un’espansione del movimento, ma in realtà il nuovo culto
spirituale tenderà all’abolizione più o meno completa della stessa Liturgia.
Questo fatto lo si noterà soprattutto nel protestantesimo che darà massima
importanza alla Parola di Dio, ma solo come meditazione. In realtà al posto della
Liturgia della Parola per tanti secoli, ci saranno dei libri di meditazione e al posto
della preghiera comunitaria, ci sarà sempre di più una preghiera personale,
intimistica e privata.
La riforma protestante.
La C o n t r o r i f o r m a trid e n tin a .
41 Anàmnesis 1,68.
42 Anàmnesis 1,68-69.
43 MARTINL utero, Werke, ed. Weimar, 6,231.
36
La conclusione di Marsili è sempre la stessa: mancando una “teologia della
liturgia”, la riforma luterana «fece saltare l'antica struttura», ritenuta un
«conglomerato stanco ed inaccettabile».
Senza negare i molteplici valori della riforma tridentina, dopo di essa e con
essa, la Liturgia seguitò ad essere quello che era, un culto esterno ed un fatto
clericale, distante dal popolo il quale, però, continuava a rifugiarsi nelle sue
pratiche devozionali, dentro e fuori della celebrazione liturgica, che comporterà
nel tempo una sovrabbondanza di devozioni. A tutto questo c’è da aggiungere
che Lutero, non percependo il «valore teologico della struttura liturgica», non
promosse alcuna riforma liturgica. Se il suo intento era quello di ritornare alle
origini, di fatto, proprio perché non riusciva a vedere nell’azione liturgica
l'attuarsi dell’avvenimento salvifico, in tutta la sua ampiezza, non fu in grado di
trovare quel contatto con la Chiesa antica, che pure cercava. La conseguenza più
grave sarà l’impoverimento della preghiera della Chiesa e la definitiva perdita di
quella grandiosa visione eucaristica dell’avvenimento della salvezza, che era viva
agli occhi della Chiesa primitiva.
44 In questa prospettiva, Marsili rende noto che, a motivo delFambiente devozionale-teologico, che si era
venuto a creare, e della pratica liturgica che si era instaurata, si notò sempre di più un’assenza di una vera
teologia della Liturgia, «affogata ormai nel rigoglio lussureggiante dell’allegorismo». In realtà, a motivo di
quel interiorismo psicologico e soggettivo, si fece quasi a meno della realtà sacramentale, oppure c’era la
tendenza di porre il sacramento stesso sul piano altrettanto psicologico e soggettivo, distaccandolo dalla
storia della salvezza. Pur polarizzando « l’adorazione» su Cristo presente nel sacramento dell’Eucaristia,
quella medesima «devozione» non riuscì a riportare gli uomini ad una vera partecipazione della messa, nel
senso che la comunione non veniva vissuta come partecipazione al mistero di salvezza, ma Gesù stesso era
pensato come «amico», «ospite» e «sposo», atteso per un intimo colloquio.
37
a scrivere che la Liturgia, specialmente la Messa, non è più un qualcosa di
clericalizzato, ma è una realtà viva che appartiene per diritto a tutto il popolo
cristiano, in quanto a tutti gli uomini è stato dato il dono ed il potere di essere
partecipi del sacerdozio di Cristo45 secondo le dimensioni regali e ministeriali.
Alla fine del secolo XVII, Letoumeux46, fu uno dei maggiori esponenti del
ritorno alla comprensione teologica della liturgia. Assieme al M u r a t o r i (1750)
la Liturgia cominciò ad allargarsi verso nuove prospettive che arriveranno alla
riscoperta teologica della liturgia stessa, anche se il loro discorso teologico si
riferirà esclusivamente all'aspetto sacrificale della Messa, insistendo sul concetto
che «il popolo unito al sacro ministro fa il sacrificio».
«Non c'è, ancora, una teologia della Liturgia, ma si comincia a ritrovarne qualche
elemento e, soprattutto, lo studio delle antiche fo n ti liturgiche riscopre - finalm ente in
pieno terreno liturgico - una ricchezza di pensiero che impegna ad una riflessione che
47
sarà, ormai, non più solo storica, ma teologica» .
Oltre ai due autori sopra citati, quali esponenti di una nuova epoca, si possono
ricordare:
Card. Tornasi (+1713), che pubblicò per la prima volta il Sacramentario
detto Gelasiano e tre libri gallicani detti Missale Gallicanum, Missale
Francorum e Missale Gallicanus vetus;
Mabillon (+1707), che nella sua Liturgia Gallicani (Pariis 1685) riprese i
testi gallicani del Tornasi, in edizione migliorata con altre aggiunte di
altre fonti ancora inedite;
45 Cfr. Anàmnesis 1,71, dove si parla della Lettera apostolica di Alessandro VII.
46 Una delle sue maggiori opere è L ’annéè chrétienne, scritta tra il 1677 ed il 1686, oltre alla quale ha scritto
nel 1685 un’altra opera: La meilleure manière d ’entendre la Messe.
47 Anamensis, 1,73
38
Pontificalis), oltre collezioni di messe, che vanno sotto il nome di
Sacramentario Leoniano (per l’attribuzione a Papa Leone Magno) o
di Veronese (per il luogo dove fu scoperto, cioè la Biblioteca
capitolare di Verona);
48 E. Kant diceva che «l ’illuminismo è l ’uscita dell ’uomo da una condizione di minorità di cui è egli stesso
responsabile».
39
funzione sociale propulsiva si opponevano tenacemente i radicati poteri politici e
privilegi civili dei nobili e del clero, alleati della monarchia assoluta. Meno
impetuosa e radicale fu la fioritura dell'illuminismo nella stessa Inghilterra, dove
esso era sorto con Locke, perché il nuovo equilibrio fra aristocrazia e borghesia
stabilì un clima favorevole al conservatorismo ideologico, che in filosofia si
rispecchiava esemplarmente nell'involuzione daH'empirismo lockiano
alfidealismo soggettivo del vescovo Berkeley e all'agnosticismo di Hume.
In realtà, non tutto era falso in questo secolo: le principali tendenze dell’epoca
spesso erano corrette; molte di esse trovano oggi la loro realizzazione più
autentica e vera, ma nel contesto di allora, anche quello che vi si trovava di vero
e di valido era impregnato dal veleno del razionalismo esagerato,
individualistico, e da tendenze spesso, almeno parzialmente, eretiche.
49 Con A. L. Mayer possiamo dire che «con la sua lotta contro l'esuberanza del barocco, divenuta col
tempo puro vuoto, l'Eluminismo ha reso dei grandi servizi anche nel campo della Liturgia Innanzitutto ha
fatto della questione liturgica unfatto che riguardava la Chiesa; la Liturgia divenne un movimento liturgico
popolare». Tutto questo lo si vedrà ancora più chiaramente con la SECONDA PARTE di questa dispensa sulla
Teologia della Liturgia, in modo particolare, parlando di Beauduin.
50 B. NEUNHEUSER, E movimento liturgico: panorama storico e lineamenti teologici, Anàmensis 1,
13ss.
40
i teologi intermedi, che pur non toccando il sistema dogmatico della
Chiesa come tale, spiegano però i singoli dogmi nel senso di una
cosiddetta religione morale: sono i più numerosi, soprattutto fra i
cattolici;
uomini sinceri, teologi e laici, che avendo ben colto le vere lacune del
tempo, sono pronti ad “aggiornarsi”, ma nel senso più autenticamente
cristiano. Il rappresentante più eccellente fu il grande vescovo J. M.
Sailer.
Muratori 1672/1750;
J. M. Sailer - 1741/1832 .
E ’ importante tener conto di queste differenze se si vuole ben capire con quali
motivi gli uni e gli altri hanno lottato contro certe forme di culto, come ad
esempio le devozioni accentuate e rasenti il devozionalismo. Nello stesso tempo,
però, quello che falsificò tutto era un razionalismo esasperato, che trovò campo
fertile proprio nell’illuminismo che si sviluppò come una religione entro i limiti
della ragione pura, dell’utilitarismo e del filantropismo moraleggiante.
In tale prospettiva occorre considerare anche la Liturgia, che dal punto di vista
filosofico-teoretico, non è in primo luogo l’azione salvifica di Cristo, celebrata e
partecipata nel culto, ma piuttosto un mezzo per il progresso dell’individuo in
senso morale e pedagogico. Per rendere completo questo quadro, è bene fare una
valutazione dell’Illuminismo:
41
soggettivo. Ha poi concesso troppo ai potenti contro la Chiesa ed il
papa. In ultima analisi, la Liturgia per rilluminismo era poco più che
un mezzo per l’educazione morale dell’uomo e non la realizzazione
dell’adorazione di Dio in spirito e verità.
Questa nuova epoca segnerà un grosso cambiamento nella storia della Chiesa
e della Liturgia, dal momento che da più parti si invocava un ritorno al vero culto
cristiano.
Ma l'illuminismo51, sia nelle sue tendenze manifeste e sia nelle sue correnti di
fondo, si era lasciato troppo aggravare e guidare da elementi eterodossi e, per
conseguenza, la "restaurazione" rifiutò ogni riforma liturgica e si polarizzò in un
conservatorismo di stampo tradizionalistico.
51 SullTlluminismo: Che cos’è l ’illuminismo. I testi e la genealogia del concetto, a cura di Andrea
Tagliapietra, Bruno Mondadori. Leggiamo: «L ’illuminismo non può certo essere inteso come una dottrina,
né, tanto meno, come un insieme unitario di teorie riconducibili ad un’unica matrice teoretica...
l ’illuminismo è un contenuto infinitamente vario, che si manifesta in tali elementi: la lotta inesausta contro
le credenze soprannaturali della chiesa e le loro conseguenzepratiche...».
Il Sinodo di Pistoia
43
Ma l'istanza centrale nella riforma liturgica dell'illuminismo cattolico era la
tendenza alla semplificazione... al carattere comunitario... alla comprensione e
all’edificazione del popolo cristiano.
Uno dei punti fermi di questo Sinodo fu la centralità dell’altare, tanto che in
un certo senso ha anticipato uno dei punti centrali della dottrina del Concilio
Vaticano II. La condanna di questo Sinodo, da parte di Pio VI, con la Bolla
Auctorem Fidei e della Chiesa considerarono eretici i primi 15 decreti che
riguardavano la Chiesa e la gerarchia.
44
frutto dell’epoca precedente (anche nei suoi aspetti positivi). Quest’opera di
restaurazione si faceva spesso con vigore, con le migliori intenzioni, ma già
dall’inizio era condannata a un successo non durevole, piuttosto artificioso e,
quindi, spesso fiacco e perfino degenerato. L ’arte contemporanea ne è una chiara
testimonianza.
Nello stesso tempo, però, si manifestarono nuove forze assai più potenti dal
punto di vista materiale, ma più povere dal punto di vista spirituale:
l’industrializzazione, la tecnica, le scienze naturali, e con loro, l’indifferentismo,
l’anticlericalismo, il liberismo antiecclesiale, l’ateismo, il materialismo, il
comuniSmo. Con ragione A. L. Mayer ha potuto chiamare questo secolo il
“gnadenloses Jahrhundert” (il secolo senza grazia).
Malgrado questi limiti, c’è - comunque - l’avvio verso un interesse nuovo per
la Liturgia e il Movimento Liturgico; anche se la reazione immediata
airilluminismo, cioè il Romanticismo, nulla dice sulla Liturgia, appaiono, però,
varie correnti, come, ad esempio, Sailer (+1832) che pose l’accento
45
sulF importanza del culto nella vita della Chiesa. Per lui la liturgia doveva essere
l’anima vivificante attraverso la quale formare i fedeli in una società organica.
2.3. I l r in n o v a m e n t o m o n a s t ic o : D o m P r o s p e r G u é r a n g e r .
Uno degli elementi che egli riscoprì come essenziali per una vita
contemplativa era, appunto, la Liturgia e, precisamente, la Liturgia nella sua
forma romana55.
53 Mòhler vedeva nella Liturgia il principio vitale della vita cristiana. H concetto della Chiesa come popolo
di Dio, lo spinse a difendere l’uso della lingua volgare nella Liturgia. Ciò avvenne anche in Italia con
Antonio Rosmini, che morì nel 1855: anche lui insistette molto sulla dottrina del Corpo Mistico di Cristo,
con la conseguenza che ogni fedele doveva partecipare ai sacramenti secondo la virtù del carattere
sacerdotale ricevuto dal Battesimo.
54 A tale riguardo, cfr.: C. JOHNSON, Prosper Guéranger. A Liturgical Theologien. An Introduction to this
liturgica! Writings and work, Studia Anselmiana 89, Analecta Liturgica 9, Roma, 1984.
55 Per attuare il suo disegno nel 1833 acquistò l’antica Abbazia di San Pietro di Solesmes, soppressa nel
1791 e destinata alla demolizione, e vi ristabilì la vita benedettina Egli non seguì la linea di Giansenio, ma
volle ritornare al senso della Chiesa Universale e al senso della Liturgia Universale, mediante la dottrina del
Corpo Mistico di Cristo, sia a livello pastorale, sia a livello liturgico.
46
vita ecclesiale, combattè, non solo le liturgie cosiddette neogallicane, ma anche
ogni piccolo residuo proveniente dall'antica e veneranda tradizione gallicana.
Per Guéranger la liturgia doveva essere la preghiera della Chiesa. Infatti, egli
intendeva affermare la superiorità della preghiera liturgica rispetto a quella
individuale. Per lui il latino era una lingua sacra, rappresentava la tradizione,
anche se era una lingua misteriosa e sconosciuta per il popolo che, per Guéranger
non poteva, né doveva comprendere tutto.
47
il monastero di Solesmes, dove i Benedettini si impegnarono per far rifiorire la
tradizione del canto gregoriano che non fu facile da reintrodurre nella tradizione
della Chiesa.
Circa vent’anni dopo l’esperienza di Beuron, nel 1884, Dom Anselm Schott,
anche lui monaco di Beuron, pubblicò il primo messale latino-tedesco che ebbe
un grande successo. Undici anni dopo pubblicò il Libro dei Vespri, creando delle
nuove prospettive.
Un altro merito di Beuron fu quello di aver dato alla luce la scuola di arte, che
fu fondata da Desiderio Lenz che cercò di integrare l’unità artistica in un singolo
spazio liturgico e di creare una certa armonia tra la Liturgia e l’Arte. Questo
nuovo stile si diffuse ben presto in tutto il mondo.
56 Anche a Beuron, non meno che a Solesmes, resta determinante un'assoluta ammirazione per il carattere
classico della Liturgia romana. In ambedue i casi, si arrivò alla riscoperta di un'autentica celebrazione
eseguita in onore di Dio, la grande cura per un'apprezzabile canto gregoriano e lo sforzo di dar vita ad un'arte
sacra di forte espressività.
48
Herwegen, con due suoi monaci, Cunibert Mòhlberg e Odo Casel (+1948), e
in collaborazione con Romano Guardini, F. R. Dòlger e Anton Baumstark,
aprirono la strada al Movimento Liturgico tedesco. Herwegen ebbe una visione
globale a livello liturgico-teologico.
La prima messa versus populum, con una partecipazione attiva del popolo,
avvenne nella cripta del monastero di Maria Laach, il 1° agosto del 1926: vi era
presente anche Burkhard Neunheuser, quando ancora era novizio.
Conclusione: alcuni studiosi ritengono che Guéranger, pur avendo avuto grossi
meriti nel campo liturgico, non può essere considerato il vero fondatore del
Movimento Liturgico in Francia. Lui si era fermato al periodo Medioevale per
attuare la sua Riforma, per cui la sua opera appare incompleta. Non essendo
ritornato alle fonti della Chiesa primitiva, non ha potuto conoscere a fondo la
tradizione della Chiesa, sin dal suo sorgere. Malgrado ciò egli è da considerarsi
uno dei pionieri del movimento liturgico il quale ha continuato a dare il suo
contributo sino al Concilio Vaticano II, quando la Riforma Liturgica inizierà a
creare importanti premesse per la Chiesa del terzo millennio.
49
DOM GUÉRANGER ALL’ORIGINE
DELLA TEOLOGIA DELLA LITURGIA
Orazione funebre del Reverendissimo Padre dom Prosper Guéranger, abate di Solesmes, superiore della
congregazione benedettina di Francia, pronunciata dal vescovo di Poitiers nella chiesa abbaziale di S.
Pietro di Solesmes il 4 marzo 1875, p. 20-21.
50
Furono alcuni monaci benedettini che diedero il primo impulso e che
formularono il pensiero teorico iniziale, permettendo così di concepire,
studiare e vivere il fatto liturgico in un modo nuovo.
N ella storia della liturgia ci sono pochi casi come quello di
Guéranger, per il quale la vita monastica è intimamente legata alla vita
liturgica. Dom Capelle dice chiaramente: “la fondazione di Solesmes resta,
58
in definitiva, la grande opera liturgica di dom Guéranger” .
Curiosa affermazione che m ostra come le due realtà sono allo stesso
tempo unite e indispensabili: chi pensa di fare una fondazione monastica ha
precedentemente pensato una liturgia, al punto che vita monastica e vita
liturgica possano identificarsi.
Per chi affronta la vita e l ’opera del restauratore di Solesmes, la
prim a cosa che provoca impressione e ammirazione è il suo amore per la
liturgia rom ana e il suo desiderio di metterla in pratica nel contesto
monastico.
Liturgia e monacheSimo sono talmente uniti tra loro, che l ’uno non
può essere compreso senza l’altra. Senza questo principio, l ’opera di
Guéranger è difficilmente concepibile.
Uno degli elementi che lui ha riscoperto come essenziale per la vita
benedettina, è, precisamente, la liturgia e, soprattutto, la liturgia nella sua
forma rom ana59.
Lo si è detto e ribadito, Guéranger era nemico dichiarato di ogni
forma di gallicanesimo, e lottò senza tregua per ottenerne l’estinzione in
numerose diocesi di Francia nel XIX secolo60. Lui ha combattuto non solo
le liturgie dette “neo-gallicane”, m a anche ogni residuo, per quanto piccolo,
proveniente dall’antica e venerabile tradizione gallicana61.
Basta aprire una qualsiasi delle sue opere per rendersene conto.
51
Sicuramente il problema della diversità liturgica in Francia fu
determinata soprattutto dall’infedeltà verso Rom a62.
Guéranger, innamorato della liturgia e del seggio romano, concepisce
la celebrazione come un’estensione della “rom anità” della Chiesa che
prevedeva l’unità liturgica con Roma, prem essa per lui indispensabile alla
vera vita ecclesiale. Le sue opere concernenti la liturgia (1830:
Considerazioni sulla liturgia cattolica; 1840-1851: Le Istituzioni liturgiche;
1841-1866: L ’anno liturgico) sono un inno alla liturgia, fedele alla
tradizione romana, in comunione con il seggio di Pietro, in unione con le
chiese che restano fedeli alla liturgia rom ana63.
Con queste opere, egli diede impulso ad una vera e propria
restaurazione liturgica. V oleva promuovere un movimento di ritorno alla
vera liturgia che, per lui, era solo quella romana. Ciò che lo guida è il suo
amore per la gerarchia, vale a dire la Curia romana.
In questa restaurazione liturgica, c ’è una serie di punti fondamentali,
come i due principi dell’impossibilità: 1) impossibilità di riformare
cerimonie e libri liturgici, 2) uso della lingua volgare.
I suoi commenti sul latino come lingua esclusiva del culto si trovano
nella seconda metà della sua opera, Le Istituzioni liturgiche.
II ritorno alla vera tradizione spiega la sua decisione di utilizzare di
nuovo i libri romani. Con la presenza dei monaci nell’antico priorato, che
presto diviene abbazia, Guéranger ebbe l ’opportunità di mostrare in pratica
a tutta la Chiesa ciò che desiderava realizzare. Il monastero da lui
restaurato divenne, quindi, un punto di riferimento nel mondo cattolico.
Solesmes utilizza unicamente i libri dell’antica liturgia romana.
Se la liturgia è corpo mistico del Cristo vivificato dallo Spirito e voce
orante dello Spirito che sale dal più profondo del cuore della Sposa, allora
bisogna pensare, pregare e vivere come fa Roma. I particolarismi e i
nazionalismi non hanno valore. Per Guéranger, la liturgia doveva essere la
preghiera della Chiesa, dell’unica Chiesa cattolica.
Infatti egli cercava di affermare, come già affermato, la superiorità
della preghiera liturgica rispetto alla preghiera individuale. E, soprattutto,
62 Nel 1840-41, apparvero le Istituzioni Liturgiche di dom Guéranger. Con il suo senso della tradizione e
il suo ardore combattivo, l’abate di Solesmes denunciava “l’eresia antiliturgica” e il giansenismo come i
grandi responsabili delle innovazioni gallicane del XVIII secolo. Dopo vivaci polemiche, i vescovi di
Francia tornarono gradualmente alla liturgia di Roma, cf. J. GAILLARD, “Gallicana (Liturgia)”,
Cattolicesimo, t. IV, 1730.
63 La viva FEDE di dom Guéranger, la sua profonda conoscenza della storia della chiesa, delle sue
istituzioni, del diritto canonico, lo fecero intervenire nei dissidi religiosi del suo tempo, apportandovi
quelle soluzioni sicure della dottrina cattolica suggeritegli dal suo limpido e sicuro discernimento.
Questo, l ’assoluta fedeltà alla chiesa cattolica e ai suoi insegnamenti è stata la ragione della sua vita, e ne
spiega l’eccezionale fecondità, tutta ispirata alla difesa della chiesa e delle sue dottrine, cf. A.
GÉNESTOUT, “Guéranger”, Enciclopedia Catòlica, t. VI, p.1226-1227.
52
come uomo di tradizione, egli si sente in comunione con tutti gli oranti di
tutti i tempi. In questo modo, la liturgia fa della Chiesa una società di lode
divina. La liturgia è la preghiera perfetta che lo stesso Spirito suggerisce
alla comunità di cristiani che formano la Chiesa. Così comincia, con
Guéranger, il ritorno alla celebrazione liturgica come fonte di spiritualità e
come comunione ecclesiale.
Relazione tradizione-liturgia
53
U na volta ammesso il valore teologico della liturgia, la sua funzione
di insegnamento e di divulgazione del dogma non potrebbe sussistere se
essa non fosse l ’espressione delPunione con la chiesa principale65. La
tradizione passa per l’unione attraverso Roma e con Roma.
In quell’epoca, queste idee non erano né diffuse, né particolarmente
amate. Al contrario esse provocarono critiche da parte della gerarchia
francese, e di conseguenza furono ampiamente discusse. Si conoscono le
critiche del vescovo di Orléans, M onsignor Fayet, sulle Istituzioni
Liturgiche, critiche che riflettevano una conoscenza della liturgia
esclusivamente rubricista e canonica, e dunque si comprende perché egli
non poteva ammettere le posizioni teologiche di Guéranger in merito alla
liturgia e alla sua celebrazione. Per il vescovo l ’errore dell’abate di
Solesmes era precisamente di aver attribuito alla liturgia un valore e delle
caratteristiche dogmatiche66.
Due modi di affrontare la realtà liturgica sono qui a confronto. Per il
vescovo di Orléans, “la liturgia è un puro affare di disciplina ecclesiastica”,
mentre dom Guéranger le conferisce un carattere dogmatico.
Le tre lettere di Mons. Fayet indicano chiaramente la visione
teologica di dom Guéranger. M a la polem ica diede i suoi frutti. Numerosi
vescovi si schierarono dalla parte dell’abate di Solesmes e, in più,
cominciarono ad adottare il rito romano nella loro giurisdizione.
65 “Considerata da una parte la liturgia come un luogo teologico di prima categoria, perché espressione
fedele della dottrina dei Padri e del senso della Chiesa; e considerato il fatto della dispersione liturgica
avvenuta in Francia dal sec. XVI, in poi, sotto l’impero e l’ispirazione gallicano-giansenista, s’imponeva
di necessità un ritorno all’unità della liturgia romana per ritrovare la via all’unità viva della FEDE di
Roma”, S. MARSILI, nel centenario solesmense. Ricordando l’opera liturgica di dom Guéranger, art.
cit., p. 200.
66 Furono pubblicate nella seconda edizione, quarto volume, delle Istituzioni Liturgiche, cf. P.
GUERANGER, Istituzioni Liturgiche, Seconda edizione, tomo quarto, Polemica Liturgica, Société
Générale de Libraire Catholique, Paris, 1885.
54
Il problem a di fondo era il valore dogmatico della liturgia. La
questione dogmatica, in quanto tale, sollevava il problem a teologico con
delle ripercussioni profonde nella liturgia. È attraverso questo cammino che
si arriva al senso teologico della liturgia. Per Guéranger, liturgia e
tradizione sono la stessa cosa: “La liturgia è dunque una vera professione di
fede; essa contiene la fede della Chiesa”. Questa espressione è
costantemente presentata all’attenzione di chi legge le Istituzioni liturgiche.
“La liturgia si com pone in gran parte di form ule positive nelle
quali è contenuta la fede della Chesa’’67.
La teologia liturgica
55
“Dopo aver sviluppato in dettaglio tutte le parti di questa Somma,
noi la facciamo seguire da numerosi trattati speciali nei quali
esaminiamo: 1° le regole del simbolismo in materia di Liturgia; 2° la
lingua e lo stile della Liturgia; 3° il diritto della Liturgia; 4° l’autorità
della Liturgia, come mezzo di insegnamento nella Chiesa, e terminiamo
quest’ultima sezione del nostro argomento con un piccolo lavoro nel
quale, sotto il titolo di Teologia liturgica, abbiamo collocato in ordine di
materia tutto ciò che la Liturgia, tal quale Roma la promulga, offre a
chiarimento del dogma e della morale cattolica. La Liturgia è una cosa
così eccellente che, per trovarne il principio, bisogna risalire fino a Dio;
perché Dio, nella contemplazione delle sue perfezioni infinite, si loda e
si glorifica incessantemente, proprio come si ama di un amore eterno70.
57
«La continuità tra il Movimento liturgico belga e le Istituzioni di
dom Guéranger è indiscutibile, almeno per ciò che concerne gli elementi
centrali di una teologia della liturgia, le sue componenti cristocentriche,
ecclesiologiche e ultramontane e i suoi influssi su una “sociologia
cattolica”. E sono le stesse difficoltà emerse dai presupposti guérangeriani
che riappaiono di fatto alla lettura dell’opuscolo di dom Lambert
Beauduin, La Devozione della Chiesa, comparso nel 1914, vero piccolo
manifesto di questa nuova fase del Movimento liturgico»11 .
• •
Conclusioni
Con la base teologica della sua visione liturgica, dom Guéranger apre
una prospettiva nuova quando si tratta di esaminare la realtà liturgica, di
interpretare la celebrazione liturgica e di vivere un tipo di spiritualità che
ha come punto di partenza quella stessa celebrazione.
Figlio del suo tempo, egli apre nuove strade che l ’avvenire saprà
sviluppare.
77 J.-Y. HAMELINE, “Liturgia, Chiesa, Società. Alla nascita del Movimento Liturgico: Le considerazioni
sulla liturgia cattolica dell’abate Prosper Guéranger (Memoriale cattolico 1830)”, La maison Dieu, 208
(1996/4), p. 37-38.
58
3. LA PARTECIPAZIONE LITURGICA, PUNTO DI PARTENZA DEL
MOVIMENTO LITURGICO78.
Non c'è dubbio che il Motu proprio Tra le sollecitudini (22.10.1903) di Papa
Pio X, sulla musica e il canto in Chiesa, segnò un punto di partenza nel
• 70
rinnovamento della liturgia . Quando il papa, riferendosi al vero spirito
cristiano, parlava della «partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla
preghiera pubblica e solenne della Chiesa», senza dubbio indicava un cammino
di rinnovamento nella celebrazione e nella vita della liturgia80.
3.2. I l M o v im e n t o L it u r g ic o e d i su o i P io n e r i .
59
Il secolo XX può essere diviso, dal punto di vista storico-liturgico, in tre
grandi tappe83:
A sua volta il movimento liturgico può essere diviso in tre tappe: il primo
periodo, quello che ci interessa, va dalfanno 1909 al 1914; il secondo periodo,
comprende gli anni 1914-1918 / 1939-1943; il terzo periodo, invece, si estende
dal 1953 al 1955, con le riforme di Pio XII.
Primo periodo del movimento liturgico - I primi e decisivi passi nella linea
indicata dal Motu proprio di Pio X provengono dall'ambiente monastico di
Maredsous e di Mont-César (Belgio) e sono dovuti all'incontro di una forte
personalità, quale fu Dom Lambert Beauduin, con un mondo cattolico laico
molto ben disposto al nuovo atteggiamento.
Lutto quello che seguì (fino allo scoppio della prima guerra mondiale), altro
non fu che il conseguente sviluppo di quel fortunato inizio del movimento
liturgico, che si affermava attraverso una forte attività nel Belgio, con
l'instaurarsi delle sempre più famose "Semaines et conférences liturgiques",
promosse dai monaci di Mont-César, e con il sorgere delle grandi riviste
liturgiche.
Le grandi idee - Il movimento liturgico nasce con due grandi idee, il problema
spirituale e il ritorno alle fonti.
8‘ Continua ad essere utile il libro di O. ROUSSEAU, Histoire du mouvement liturgique. Esquisse historique
dépuis le début du XlXjusqu'au pontificat de Pie X, Lex Orandi 3, Paris 1945, anche se il libro finisce là
dove crediamo dovrebbe situarsi l'inizio del movimento liturgico. È anche interessante: F. Brovelli (ed.),
Liturgia: temi ed autori. Saggi di studio sul movimento liturgico, Biblioteca Ephemerides Liturgicae 53,
Roma 1990.
83 In questo senso si possono vedere i tre titoli delle tre relazioni di A. PISTOIA, M. SODI, A.M. TRIACCA in
Liturgia ieri-oggi-sempre. Atti del Convegno liturgico regionale ligure 30 settembre-1-2 ottobre 1991 nel
50°anniversario del "dies natalis" di Mons. Giacomo Moglia, Genova 1992.
60
L'influsso cristologico fu fondamentale in questa preoccupazione spirituale e
ad esso hanno contribuito molto gli scritti e le conferenze di colui che in quegli
stessi anni era priore dell'abbazia di Mont-César e poi abate di Maredsous, Dom
Columba Marmión.
L'Eucaristia non era più la preghiera della comunità cristiana ed era diventata
compito esclusivo dei chierici, tanto che i fedeli non vi prendevano più parte
diretta, ma potevano partecipare soltanto da lontano dedicandosi, nello stesso
tempo, a devozioni particolari. La comunione era una devozione privata non
•incoiata in modo alcuno con la Messa.
In questo primo periodo del movimento liturgico sono fondamentali tre opere.
Tre nomi che sono già indicativi di tutto un nuovo rinascere liturgico: Dom
Il contributo maggiore di Dom Marmión alla storia della spiritualità fu la sua visione del ruolo di Cristo
nel disegno di Dio. Ha dato ai suoi lettori tutta una cristologia, ponendo Cristo al centro del suo
r^egnamento. H segreto della profonda influenza che esercitava sulle anime era l'intimità della sua relazione
con Cristo. Questa intimità proveniva da una meravigliosa sintesi tra Sacra Scrittura e il meglio della
radinone monastica: M. TERNEY, Scrittore fecondo delle «cose» di Dio, in L'Osservatore Romano,
lomenica 3 settembre 2000, pag.15. Cfr. J. J. FLORES, Dom Columba Marmión, abady maestro, -Phase
■240 (noviembre-diciembre 2000), 557-564.
61
Lambert Beauduin con La piété de l'Eglise, principes et faits, Louvain 1914;
Dom Maurice Festugière con La liturgie catholique. Essai de synthese suivi de
quelques dévellopements, pubblicato nell'abbazia di Maredsous nel 1913 e con la
serie di articoli apparsi durante l'anno 1914 nella Revue Thomiste; Dom
Emmanuele Caronti, La pietà liturgica, Forino 1920, benché si tratti di
conferenze dell'anno 1913.
3.3, G l i in iz i d e l M o v im e n t o l it u r g ic o .
Prendiamo, allora, la data del 1909 come inizio del movimento liturgico con il
"Congrés national de oeuvres catholiques" a Malines, con Dom Lamberto
Beauduin.
85 E qui infatti - caso oltremodo raro - che «si può fissare se non proprio l'inizio, certamente però il
momentofortunato nel quale il movimento liturgico cessa di essere una corrente, per così dire, sotterranea,
e all'improvviso si apre una via in superficie, mostrandosi di colpo visibile e riconoscibile agli occhi di
tutti»', l'indicazione storica è di B. FISCHER, mentre la citazione è ripresa da B. NEUNHEUSER, Il movimento
liturgico: panorama storico e lineamenti teologici, in S. MARSILI (ed.), Anàmnesis. I. La liturgia. Momento
nella storia della salvezza, Roma 1974,21.
62
Il movimento si estese anche in Germania, nelle abbazie di Beuron e Maria
Laach, dove si incontrarono l'abate I. Herwegen ed i suoi monaci Mohlberg e O.
Casel con il sacerdote italo-tedesco R. Guardini. Nel 1918 ebbero inizio le
famose tre collane:
1° - Ecclesia orans;
2° - Liturgiegeschichtliche Quellen (Le fonti della Storia della
Salvezza);
3° - Liturgiegeschichtliche Forschungen;
Questo movimento arrivò poi in Austria con il contributo di Pius Parsch, uno
dei canonici regolari di Sant’Agostino a Klostemeuburg (1884-1954) che con il
suo Das Jahr des Heiles (L'anno liturgico) fece dei commenti al Messale ed al
Breviario. Nel 1950, egli poteva così riassumere i grandi scopi del suo lavoro:
riavvicinare gli strati più semplici del popolo al culto della Chiesa,
rendendo possibile, soprattutto, ad essi, una partecipazione attiva alla
Liturgia;
La Francia aveva il vanto di aver dato la prima spinta alle iniziative del
Belgio, oppure aveva il merito di aver dato vita a lavori di carattere scientifico,
quali erano quelli compiuti da Solesmes, cioè: q ^ .0
l’Antiphonarium romanum. ’ .
Questi libri vennero dichiarati, sotto Pio X, edizioni tipiche: ad essi bisogna
aggiungere le grandi pubblicazioni come il Dictionnaire d'Archéologie chrétienne
et de la Liturgie (1907-1953) curato da F. Cabrol - H. Leclerq, i cataloghi dei
manoscritti dei libri liturgici del Leroquais, gli studi di Duchesne, la Patrologia
Latina e Greca scritta dal MIGNE e Dom Pitra, ecc. Nell'Italia del Nord ci sarà la
Rivista Liturgica (1914) a Finalpia Ligure, con don Caronti, suo primo direttore,
anche se fu arricchita successivamente dagli studi di dom L. Schuster, Abate di
San Paolo (futuro Cardinale ed Arcivescovo di Milano), con il quale attraverso il
suo Liber Sacramentorum, si ritornò all’Archeologia Liturgica. Il movimento
liturgico arrivò anche in Spagna nei monasteri di Montserrat e Silos, mentre negli
63
Stati Uniti trovò il suo primo centro nel monastero di St. John (Collegeville), nel
Minnesota.
Certamente non si può dire, né si deve credere, che tutto questo sviluppo sia
avvenuto sempre in un clima di pace e di tranquillità. Al contrario, non
mancarono all'interno della Chiesa, le discussioni, e tanto meno gli attacchi, a
motivo di vescovi che si mostrarono scettici e riservati nei confronti del
movimento liturgico in genere e di fronte a certi suoi atteggiamenti.
il 1960 a Munchen;
il 1965 aMontserrat.
Ritornando all’ambito di alcune date che hanno segnato momenti importanti
della vita della Chiesa, alla Mediator Dei si deve riconoscere il merito di essere
stato il primo riconoscimento ufficiale dei valori del movimento liturgico, a
livello di Chiesa universale, diventando così, di fatto, la Magna Charta del
rinnovamento che essa stessa intendeva apportare
In ultima analisi, altre vie di penetrazione del movimento liturgico sono state:
(1943) Il “Centre de Pastoral Liturgique” e La “Maison Dieu”, nonché la
collana “Lex Orandi”, le “Sessioni CPL” e le “Settimane Nazionali di
Versailles”.
64
Gli stessi Congressi intemazionali di Liturgia, fino all'anno 1956, dei
quali si può ricordare il grande Congresso liturgico-pastorale di
Assisi e l'allocuzione di Pio XII, che se pur abbondante nella lode, fu
ugualmente carica di riserve molto critiche.
In riferimento al tema della pastorale, come chiave della storia della Liturgia,
lo stesso Jungmann nella sua conferenza dirà: «Questo è vero soprattutto per i
secoli in cui essa fu praticamente creata. Un complesso di situazioni sfavorevoli
ha avuto come conseguenza che nei secoli del tardo Medioevo sia stata celebrata
con grande zelo e magnificenza in numerose chiese, di collegi di sacerdoti... ma
che nel medesimo tempo si sia interposta tra la liturgia ed il popolo una specie di
cortina fumogena, dietro la quale i fedeli non riuscivano a distinguere quello che
avviene sull’altare»86. Jungmann finiva la sua conferenza con queste parole: «La
nebbia comincia a svanire. Spunta un giorno luminoso. La chiesa raduna nuove
forze. Va coraggiosamente incontro ai nuovi tempi - come il popolo di Dio
87
orante» .
In questo orizzonte, si preparava, infatti, proprio ad Assisi, aprendone la via, la
grande riforma liturgica del futuro Vaticano IL Questo stato di cose fece sì che il
lavoro della Commissione Liturgica Preparatoria, creata in vista del Concilio
Vaticano II, fosse così avanzato che lo schema relativo alla riforma della Liturgia
non soltanto fu il primo ad essere discusso in Concilio, ma potè presto trovare,
come conseguenza delle discussioni conciliari, la forma di una costituzione
liturgica.
" J. JUNGMANN, La Pastorale come chiave della storia della Liturgia, in Entità liturgica ed attualità
pastorali, Roma 1952,572.
17 J. Ju ng m ann , op.cit. 574.
65
2° Cristo è adesso il centro del culto, il Tempio, FAltare e il Sacrificio
vero, la Pasqua. Origene dirà che Cristo è altare, sacerdote e vittima,
perciò i cristiani non hanno né altari, né templi, né statue. Il culto dei
cristiani è un culto spirituale nello Spirito del Cristo risorto.
4° Questa nuova teologia del culto riempie tutta la vita dei cristiani. I riti
cristiani sono l’espressione perfetta e unica del culto spirituale.