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PONTIFICIUM ATHENAEUM
S. ANSELMI DE URBE
F a c u lt a s S a c r a e L itu r g ia e

A N N O A CCAD EM ICO 2010-2011

INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA DELLA LITURGIA

Juan Javier Flores Arcas, OSB


INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA DELLA LITURGIA
Prof. Juan Javier Flores, OSB
Introduzione: La liturgia come luogo teologico.
PARTE PRIMA: G l i a n t e c e d e n t i d e l l a T e o l o g i a l it u r g ic a .

1.1. Verso una Teologia della Liturgia.


1.1.1. L’antichità cristiana: Spiritualismo cultuale.
1.1.2. La Liturgia romana classica.
1.1.3. Il Medioevo.
1.1.4. L’epoca Moderna.
1.2. Verso il Movimento Liturgico.
1.2.1. La sua preistoria: l'illuminismo.
1.2.2. Il secolo XIX: il Romanticismo.
1.2.3. Il rinnovamento monastico: Dom Prosper Guèranger.
1.3. La partecipazione liturgica: punto di partenza del Movimento Liturgico.
1.3.1. Ripercussioni del Motu Proprio “Tra le Sollecitudini’’ di Papa Pio X.
1.3.2. Il Movimento Liturgico ed i suoi Pionieri.
1.3.3. Gli inizi del Movimento Liturgico.

PARTE SECONDA: I TEORICI DELLA TEOLOGIA LITURGICA.


2.1. Lambert Beauduin.
2.2. Emanuele Caronti.
2.3. Romano Guardini.
2.4. Maurice Festugière.
2.5. Odo Casel.
2.6. Cipriano Vagaggini: la liturgia teologica.
2.7. Achille Maria Triacca e la Liturgia della Teologia
2.8. Salvatore Marsili: la teologia liturgica

PARTE TERZA: LA REALIZZAZIONE DELLA TEOLOGIA LITURGICA.


3.1. Da una riforma delle rubriche ad una visione teologica della Liturgia.
3.2. Pio XII: Mediator Dei
3.3. La Sacrosanctum Concilium.
3.4. La Storia della Salvezza nella liturgia.
3.5. La Liturgia, ultimo momento nella Storia della Salvezza.
3.6. La Liturgia, attuazione del Mistero Pasquale.
3.7. La Sacramentalità della Liturgia.
3.8. Liturgia e non Liturgia.

PARTE QUARTA: LE CONSEGUENZE DELLA TEOLOGIA LITURGICA.


4.1. La Teologia liturgica in alcuni documenti della Chiesa post-conciliare.
4.2. La Teologia liturgica nei teologi: Congar, De Lubac, Balthasar, Tillard.
4.3. La Teologia liturgica in rapporto con le altre teologie.
4.4. Dalla teologia liturgica alla spiritualità liturgica per arrivare alla vita liturgica.

CONCLUSIONE: LE COMPONENTI ESSENZIALI DI UN'AZIONE LITURGICA:


L’aspetto ecclesiale della Teologia liturgica.

2
L’aspetto cristologico della Teologia liturgica.
Le leggi della Teologia liturgica.

_____________________________BIBLIOGRAFIA_______________________
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A n g e n e n d t , a .,
Editrice, Assisi 2005.
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3
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SCHMEMANN, A., Introduction to Liturgical Theology, Faith Press, London 1966
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Teologia e liturgia. Rapporti interdisciplinari e metodologìa (Atti della II
settimana di studio dell’associazione professori di liturgia),
Dehoniane, Bologna 1974.
INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA LITURGICA
Laudent te, Domine, ora nostra, laudet anima, laudet et vita; et quia tui
muneris est quod sumus, tuum sit omne quod vivemus. Per Christum Dominum
nostrum. (Ver. 1329).

Il primo intento è quello di spiegare brevemente il senso di questo corso di


teologia liturgica, che all’inizio fu voluto e creato dall’abate Salvatore MARSILI
OSB, fondatore del Pontificio Istituto Liturgico. Successivamente, dopo essere
stato curato dal Padre Ildebrando Scicolone OSB e dal Padre Anscar J.
Chupungco OSB, è stato affidato all’attuale Preside del PIL, Padre Juan Javier
Flores OSB.

In principio il titolo del corso era Liturgia secondo il senso teologico.


L ’attuale docente l’ha voluto cambiare dandogli il titolo di TEOLOGIA DELLA
LITURGIA o TEOLOGIA LITURGICA. Nell’ultimo piano di studi del
Pontificio Istituto Liturgico è stato stabilito che tale corso avrà il seguente titolo:
Introduzione alla Teologia della Liturgia, perché più vicino al contesto che deve
essere affrontato. Un medesimo cambiamento l’ha fatto il Prof. Alceste Catella,
nel nuovo manuale di Liturgia, Scientia Liturgica. Attiguo a questo corso, è il
corso di Teologia Liturgico-Sacramentaria. Questi due corsi si trovano in stretta
relazione, ma sono indipendenti l’uno dall’altro.

Cosa si deve studiare ed approfondire? A noi - in questo corso - non interessa


tanto l’aspetto metodologico della liturgia, neppure il problema della liturgia nel
suo insegnamento all’interno del quadro teologico generale. Non ci si deve
soffermare neanche tanto sul dibattito relativo alla liturgia nell’attuale campo
teologico - anche se di questo argomento ci saranno degli accenni importanti -
né sul rapporto tra la teologia dogmatica e la teologia sacramentaria in
particolare.

Tutto questo, anche se molto interessante, non rientra nei compiti del nostro
corso di teologia liturgica. In tal senso, ormai sembra superata - almeno nel
dibattito teologico-liturgico - la visione della liturgia come locus theologicus
(luogo teologico).

Oggi, alle soglie del terzo millennio, ci interessa, attraverso il Marsili, lo


studio della comprensione della Liturgia come locus theologicus per arrivare alla

5
comprensione della teologia come locus liturgicus. Dunque, c’è stato un
capovolgimento di prospettive. Nessuno come Marsili è arrivato ad una teologia
nel senso più profondo, sino a parlare della Liturgia come luogo teologico. In
effetti, oggi si può parlare - non in senso generale - di un superamento della
comprensione della liturgia come luogo teologico.

Questo capovolgimento avviene prima di tutto con il Movimento Liturgico.


Con Odo Casel, come si vedrà, si passerà dalla liturgia alla teologia liturgica
attraverso la “filologia”. Pure con Casel la liturgia ha ritrovato un posto centrale
nella teologia. E’ stato un lento passaggio dalla liturgia alla teologia liturgica.
Casel ha saputo dar inizio ad un nuovo modo di considerare la liturgia stessa.
Egli è stato il primo studioso a sentire il bisogno di collegare la riscoperta della
liturgia con la riformulazione del discorso teologico.

A Salvatore Marsili si deve, invece, il primo tentativo sistematico di


costruzione di una teologia liturgica, non nel senso di una liturgia interpretata
teologicamente, ma di una Liturgia come ultimo momento e prolungamento della
Storia della Salvezza.

Su questa linea, nella quale si è inserito il Concilio Vaticano II dobbiamo


muoverci, perché ci interessa la comprensione/visione della liturgia intesa come
celebrazione del mistero pasquale di Cristo dalla quale dedurne tutte le
conseguenze. Non entriamo nei particolari, ma procederemo nell’ambito della
liturgia, senza riferirci né ai sacramenti né all’Anno Liturgico o all’Ufficio
divino.

Poi ci soffermeremo fondamentalmente sul senso teologico della liturgia per


fare un lungo cammino verso una teologia della liturgia. In questo senso, si
noterà un binomio inscindibile Chiesa-Liturgia, dal momento che la liturgia
cristiana è la festa della Risurrezione di Cristo e manifesta il Mysterium Paschae,
nel senso più ampio. Ciò porta anche al mistero della Croce che diventa una
premessa importante allo stesso mistero della Risurrezione. Essa porta in sé il
mistero della croce che è poi l’ultima premessa della resurrezione. Tutto questo
ha un’ importanza fondamentale per questo corso teologico-liturgico.

Facendo un ulteriore passo, verso il Mistero di Cristo, approfondiremo pure il


Mistero della Chiesa che ci deve portare al Mistero di Dio celebrato nell’azione
teologico-liturgica nella vita dei fedeli.
Chiediamo a Dio il suo aiuto perché possiamo veramente penetrare il Mistero
di Dio, essere straordinariamente arricchiti con la sua Grazia nel Mistero che
dobbiamo sempre cercare, vivere e celebrare.

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7
PARTE PRIMA
GLI ANTECEDENTI DELLA TEOLOGIA LITURGICA

Sc h e m a

1. Verso una Teologia della Liturgia.


1.1. L’antichità cristiana: Spiritualismo cultuale.
1.2. La Liturgia romana classica.
1.3. Il Medioevo.
1.4. L ’epoca Moderna.
2. Verso il Movimento liturgico.
2.1. La sua preistoria: l'illuminismo.
2.2. Il secolo XIX: il romanticismo.
2.3. Il rinnovamento monastico: Dom Prosper Guèranger.
3. La Partecipazione liturgica: punto di partenza del Movimento Liturgico.
3.1. Ripercussioni del Motu Proprio “Tra le Sollecitudini” di Papa Pio X.
3.2. Il Movimento Liturgico ed i suoi Pionieri.
3.3. Gli inizi del Movimento Liturgico.

1. VERSO UNA TEOLOGIA DELLA LITURGIA

Se consideriamo l’espressione «teologia della liturgia» in senso tecnico, allora


dovremmo dire che il cammino storico di questa parte della teologia è
relativamente breve; ma se consideriamo l’espressione in un’accezione più lunga,
e intendiamo per «teologia della liturgia» l’impegno, da parte di tutte le
generazioni cristiane, di riflettere sulla esperienza del culto e di cogliere il
rapporto che intercorre tra la teologia (fede) e la prassi celebrativa (lex orandi -
lex credendi), allora il cammino storico da percorrere è molto più complesso. Noi
cominceremo con lo studio della storia della comprensione teologica del culto
per arrivare ai teorici e alla realizzazione di questa teologia liturgica.

Gli autori che svolgono lo studio della teologia liturgica - tra loro il Marsili -
partono dall’indagine sul termine «liturgia», allo scopo di coglierne il suo
significato nei diversi ambiti d’uso e nell’evoluzione di questo significato,
specialmente per quanto riguarda il mondo biblico1.

1 In questa direzione si può leggere il capitolo primo di Liturgia Momento nella storia della Salvezza, a
cura di S. Marsili, Marietti, Genova 21972 (VII ristampa 2001) Anàmnesis 1, pp. 33-45, o meglio ancora
Nozione di liturgia, di A. Chupungco, in Scientia Liturgica, voi. 1°, pp. 17-25, oppure il Grande Lessico del
Nuovo Testamento (Kittei), sotto la voce liturgia, leitourgia, leitourgikos, leitourgeo, anche se nell’ambito di
questo corso ci fermeremo a delle conclusioni riassuntive.

8
Le questioni che tratteremo prendono spunto dalle seguenti osservazioni:

Nella traduzione dei LXX il termine leitourgia aveva assunto un valore


tecnico per indicare il culto levitico.

Il Nuovo Testamento prende le distanze da questa concezione; tralascia il


termine tecnico e recupera la comprensione del culto nella linea
spirituale, nella linea della più genuina tradizione profetica.

Così la parola "Liturgia" si libera dai suoi modelli veterotestamentari,


intrattenuti con la liturgia giudaica, per arrivare ad esprimere propria­
mente una Teologia come culto o come azione celebrativa della
Chiesa.

Nell’Oriente, in generale, hanno valore i sacri riti, il cui riferimento


principale è la celebrazione eucaristica. La divina Liturgia è celebrare
F Eucaristia.

La parola “Liturgia” appare per la prima volta in alcuni documenti


ufficiali in lingua latina, durante il pontificato di Papa Gregorio XVI,
il primo Pontefice a comporre le Encicliche.

1.1. A n t ic h it à C r is t ia n a : S p ir it u a l is m o c u l t u a l e .

Nell'antichità cristiana la liturgia è teologia. In questo modo si può parlare di


un vero «spiritualismo cultuale», secondo anche il pensiero di Marsili. Questo
passaggio si articola tre aspetti:

Ritualismo cultuale; j la Liturgia coincide con la Teologia.


Spiritualismo cultuale ] * (Culto in Spirito e Verità)
Teologia del culto. L_ Il Mistero pervade tutta la vita cristiana.

Tutta la terminologia giudaica è passata al Cristianesimo, dove però è divenuta


portatrice di concetti elevati e spiritualizzati, coerentemente con la situazione
spirituale più elevata. Questo culto spirituale é la base della teologia liturgica e si
confronta con il culto rituale del paganesimo. Non è una semplice risposta
polemica di fronte alla materialità della Liturgia ebraica, neppure al suo
esteriorismo. Perché non possiamo dimenticare che Gesù non ha creato ex nihilo
gli atti di culto che la Chiesa celebra dal primo momento, anzi li ha ripresi dalla
prassi vigente nel tardo culto ebraico, ma aggiungendo la grande novità della sua
persona e della sua Pasqua.

9
La Chiesa apostolica ha proseguito su questa linea: le forme cultuali non
ancora praticate da Gesù, per lo più non sono state inventate ex novo dalla
Chiesa, ma essa si è ispirata ai modelli già esistenti nelle tradizioni cultuali del
giudaismo. A tale riguardo si può vedere come vengono interpretate quelle
componenti essenziali del culto, cioè il tempio, l'altare e il sacrificio, anche se
nella novità evangelica il centro del nuovo culto è Cristo che, dopo la sua morte e
resurrezione, appare come sacrificio, tempio, altare, pasqua:

Hi C rictr\ A
{ Hpi

r n’cfr»

Tempio
t r T i c t i c m i ( r t ì p t n p \ m / p cr»r\1rvi+<=» H c illr*

C rictr\ ei rvffrp arittim a Hi P'ci^ici^ir»n/=»


Altare Cristo
t nrictioni cnnn altarp» a i l l ’p cp m n in Hi C*n’ctr\

r rictr\ p 1c\ nnctra Pacnna rRpcntTP7tr»np^


Pasqua
{ i r*n eticmi cftìin onpli’pcci Pcicnim

Pridr» p 1’n n i m p Qnmmn


Sacerdozio
dimensione regale
{ dimensione
J

In merito al culto giudaico, il vocabolario, le nozioni, i concetti ed i verbi del


culto del tempio venivano gradualmente trasfigurati e reintrodotti, con estrema e
discreta delicatezza, dall’intelligenza cristiana nel proprio linguaggio. Essa li
applicava prima all’esistenza di Gesù, e poi ad ogni uomo, con la costante
preoccupazione di non confonderli con quel che avveniva sul Monte Sion, per
opera dei sacerdoti leviti e dei discendenti di Aronne.

In questo modo la presenza divina non è più legata al tempio, ma alla persona
di Cristo e pertanto “il Cristo è ormai il centro del culto”2. L’insieme del culto,
rituale e sacrificale, non ha più valore. L ’antica struttura della religione è
sostituita da una nuova. Non si passa da un culto sacrificale ad un altro tipo di

■ O. CULLMANN, Les sacrements dans l ’Evangile johannìque. La vie de Jesus et le culte de l ’èglise
primitive, Paris 1951,85.

10
culto più elevato, bensì ad un nuovo modello di religione, che dovrà strutturarsi
intorno alla fede nel Cristo Risorto .

E così si può dire che il culto dei cristiani è un culto spirituale nel senso più
etimologico della parola. Essi stessi consideravano la santità interiore come il
loro vero culto, quale omaggio al Dio tre volte santo. Per questa ragione, in
merito al tema dello spiritualismo cultuale, si possono leggere quattro testi:

Giovanni 4, 23-34;

Lettera ai Romani 12,1;

Efesini 5,5;

1 Pietro 2, 5.

Da questi riferimenti si può spendere ora una parola sul culto in Spirito e
Verità. Giovanni nei primi capitoli parla di un nuovo genere di religione e tale
religione viene caratterizzata essenzialmente come culto di Dio “in spirito e
verità”. Il vecchio culto non ha più valore, né per quanto riguarda la forma (il
luogo, il tempio) né per quanto riguarda l’oggetto, perché fin qui non c’è stata
adorazione nello Spirito, per il fatto che finora Dio non si era mai manifestato
come Spirito, ma solo come il datore della Legge. L’insieme del culto rituale e
sacrificale ormai non ha più valore.

Adesso il culto nello Spirito e nella vita si svela in termini di sacrificio, altare
e tempio, come attesta Fil 3,3:

«Siamo noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di
Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù».

Parlando di 1 Pietro 2,5 bisogna sottolineare il carattere liturgico e cultuale


che lo stesso Paolo dà alla vita cristiana4. Si tratta dell’offerta sacrificale dello
stesso Cristo che i cristiani imitano quando accettano di entrare nella dinamica di
Cristo e nella logica della sua Croce. C’è qui un contesto battesimale che viene
molto sottolineato in tutta questa lettera. Dunque, i cristiani, partecipando alla
vita del Signore risorto, diventano per opera del loro battesimo, insieme a lui, un
edificio costruito dallo Spirito Santo. I cristiani, considerati corporativamente
come un popolo sacerdotale, presentano a Dio in sacrificio la loro vita di fede e
di carità. Essendo pietre vive, la loro vita è ora il sacrificio più perfetto.

3 G. CAETA, Il Culto”in spirito e verità” secondo il Vangelo di Giovanni, in In Spirito e Verità, a cura di
Pier Cesare Bori, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996,16.
4 A. FEUILLET, Les «sacrifices spirituels» du sacerdoce royal des baptisés (lPt 2,5), Nouvelle Revue
Théologique 96 (1974) 704-728.

11
Su questa stessa linea si muove Romani 12,1 :

«Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi
come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non
conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra
mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e
perfetto.»

In questo senso, la vita cristiana deve essere culto nello Spirito tributato a Dio
ed i cristiani sono chiamati a dare alla loro vita un senso cultuale, tanto che Paolo
implicitamente li paragona agli animali immolati nei culti giudaici o pagani,
aggiungendo una nota di distinzione: l’offerta di sé stessi è viva e vivente e non
viene compiuta mediante gli animali morti. Dunque, il culto di ogni cristiano e
l’esercizio del suo sacerdozio, consistono in un’offerta del proprio corpo nella
dimensione del sacrificio.

I cristiani che si sforzano di essere tali danno alla loro vita un senso cultuale
che esprime la sua dimensione spirituale. L ’esistenza cristiana deve realizzarsi
nell’offerta del corpo come sacrifìcio vivente e come culto spirituale reso a Dio.
In questa direzione, Paolo insiste che non si tratta di un nuovo culto che occupa il
luogo del vecchio culto, ma lui stesso utilizza ancora le vecchie espressioni e le
immagini della tradizione cultuale dell’Antico Testamento per esprimere la
novità del Vangelo di Gesù.

Questo culto corporeo della vita cristiana si caratterizza per essere un culto
spirituale, che ha come soluzione il fatto che i cristiani si servono del mondo
attraverso la loro dimensione corporale. La vita cristiana non consiste
nell’astenersi dal mondo presente in senso negativo, ma in un’ottica positiva
attraverso la trasformazione di ognuno di noi ed il rinnovamento della mente e
del cuore. Certamente, per la coscienza della Chiesa nascente, tutto il culto, che
aveva luogo sul Monte Moria, si trasferisce sul Golgota5, cioè sul corpo del
Messia trafitto.

Cristo è Sacerdote, Tempio, Sacrificio, Altare e Pasqua.

* C t F R ISSI E t GASPERIS, Camminando da Gerusalemme, Piemme, Casale Monferrato 1997, 375. D


canori» r jusaone tratta proprio il trasferimento del culto dal Monte Sion al Golgota, dove si consuma la
1— ohe Jd Sonore in vista della sua risurrezione e del trionfo pasquale.
Cristo é sacrifìcio

Come è già stato detto, Cristo è l’unico Sacrificio. Non si intende quello della
vittima animale, ma semmai del Signore che si offre per la remissione dei nostri
peccati (Ef 5,56; Eb 9,147; 10,11-128) e come sacrifìcio spirituale (Eb 9,14).

Nello stesso modo in cui Cristo offrì il Suo Corpo (Eb 10,11), in eguale
maniera i cristiani offrono i loro corpi come sacrifìcio vivo, santo e gradito a Dio
(Rm 12,l)9 realizzando, in tal modo, un culto spirituale (Rm 12,1; lPt 2,5)10.

Questo sacrifìcio che di sé stessi fanno i cristiani come lo stesso Cristo, Paolo
lo qualifica proprio come "liturgia", come testimonia Fil 2,17:

«E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e


sull'offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi.»

Un pensiero simile lo si trova anche in Eb 8,2-6:

«Ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo ha
costruito. Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per offrire doni e sacrifici: di
qui la necessità che anch'egli abbia qualcosa da offrire. Se Gesù fosse sulla terra, egli
non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la
legge. Questi però attendono a un servizio che è una copia e un'ombra delle realtà
celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda:
Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.
Ora invece egli ha ottenuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è
l'alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su migliori promesse.»

Adesso abbiamo un culto incentrato non più sulla legge, ma in Cristo; un culto
dove l’unica vittima è il Signore, morto e risorto. Un culto prolungato nella

6 D testo così recita: «Perché, sappiatelo bene, nessunfornicatore, o impuro, o avaro che è roba da idolatri
avràparte al regno di Cristo e di Dio».
I II testo così afferma: «Quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza
macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalla opere morte, per servire il Dio vivente?».
8 II testo, parlando della santificazione degli uomini dice: «Ed è appunto per quella volontà che noi siamo
stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una voltaper sempre. Ogni sacerdote si
presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifìci che non possono
mai eliminare i peccati. Egli, al contrario, avendo offerto un solo sacrifìcio per i peccati una volta per
sempre si è assiso alla destra di Dio».
9 D testo afferma: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale».
10 Così afferma: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edifìcio spirituale,
per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo».
II J.J. FLORES, Adoradores en Espirituy verdad Nova et Vetera 57 (2004) 39.56.

13
Gli antichi riti, incapaci di santificare l’uomo, si spostano verso l’unico
sacrificio che il Cristo ha consumato una volta per tutte (Eb 7,2712; 9,12.2613;
10,IO14); adesso tutta l’esistenza cristiana diventa l’esercizio di un sacerdozio
santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo.
Questa interpretazione nuova del culto continua nei primi secoli della Chiesa.

E in questa stessa linea che vediamo come la morte di un martire venga


identificata come "sacrificio".

Parimenti è sacrifìcio anche l’orazione, aspetto evidenziato da Clemente di


Alessandria in Stromata. Il capitolo VI, libro VII, intitolato I sacrifici pagani e
l'incenso nell'orazione della Chiesa, al numero 31,7, afferma:

«....però, è vero, essendo per la sua stessa natura senza necessità, gode nell'essere
onorata, non senza ragione noi onoriamo Dio con l ’orazione ed eleviamo questo
sacrificio, il migliore e più santo sacrificio di giustizia, onorando Dio con il
giustissimo Logos. »

Ed ancora in VII, 6,32, 4 dice:

«....il sacrificio della Chiesa è un linguaggio emanato dalle anime sante, una volta
che i pensieri di tutti e di ciascuno si espandono davanti Dio. »

E Tertulliano aggiunge nella sudi Apologia, 30,5:

«.... il sacrificio grande che i cristiani offrono e che fu comandato da Dio


nell'orazione che sgorga da un corpo puro, da un'anima senza macchia e dallo Spirito
Santo. »

Sulla stessa linea di coerenza si colloca SantAgostino, che nel De Civitate


Dei, 10,6 dice:

«Dunque vero sacrifìcio è ogni opera con cui ci si impegna ad unirci in santa
comunione a Dio, in modo che sia riferita al bene ultimo per cui possiamo essere
veramente felici. »

Ed aggiunge ancora:

Il testo afferma: «Egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici
prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte,
offrendo se stesso».
Così recita: «Non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò m a volta per sempre
nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna...In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più
volte dalla fondazione del mondo. Ora invece ima volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per
annullare ilpeccato mediante il sacrifìcio di se stesso».
Richiamando il contesto dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, esprime l’unicità del suo sacrificio: «Ed è
appiano per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo,
fista una voltaper sempre».

14
«Quindi anche la beneficenza con cui soccorre l ’uomo, se non si compie in
relazione a Dio, non è sacrificio. Infatti sebbene il sacrificio sia compiuto e offerto
dall’uomo, è cosa divina; tanto è vero che anche i vecchi Latini l ’hanno chiamato
così. Pertanto l ’uomo stesso consacrato nel nome di Dio e a lui promesso, in quanto
muore al mondo per vivere di Dio, è un sacrifìcio. »

Dunque per Sant’Agostino tutta la città e la comunità dei Santi che in essa
abita, si trasforma in un sacrificio universale offerto a Dio per mezzo del suo
Sacerdote Gesù, di modo che il sacrificio dei cristiani consiste nel vivere tutti in
un unico corpo con Cristo. Tale contesto richiama nuovamente quello che
riferisce Paolo nella Lettera ai Romani 12,1 ss. Adesso esiste un duplice senso di
sacrificio :

di Cristo (esso configura pienamente il mistero

dei cristiani attraverso la vita, le opere buone e la

Cristo è ora tempio.

Nel culto spirituale il tempio è unicamente Cristo. Bisogna aggiungere che


tutto il senso del culto stesso si basa sulla distruzione del vecchio tempio, fatto da
mani umane.

Il prototipo di questo tempio nuovo, frutto della resurrezione, è lo stesso Cristo


in cui vive e abita la pienezza della divinità, come riferisce Col 2,9:

«E in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. »

La morte e la resurrezione di Gesù Cristo rappresentano in Cristo medesimo, il


nuovo tempio della nuova Gerusalemme (Ap 21,22); adesso si tratta di un tempio
non fatto da mani d’uomo.

Così il Nuovo Testamento vede nel sacrificio e nel tempio dellA.T. figure
destinate a scomparire, per dare spazio alle nuove realtà cultuali instauratesi in
Cristo (Eb 10,1). Su questa nuova realtà che iniziò Cristo e seguì la Chiesa,
insistette la primitiva tradizione cristiana. A tale riguardo è significativo quello
che Barnaba scrive nella sua Epistola, al capitolo 16,7:

«Dunque trovo che un tempio esiste. Ora apprenderete come sarà distrutto nel
nome del Signore. Prima che noi credessimo in Dio l ’abitazione del nostro cuore era

15
corruttibile e debole, proprio come lo è un tempio edificato con le mani; era pieno di
idolatria ed era casa dei demoni, perché noi facevamo quanto era contrario a Dio.»

Ed ai versetti dall’8 al 10 aggiunge:

«Sarà costruito nel nome del Signore». Fate attenzione, affinché il tempio di Dio
sia costruito sontuosamente, e imparate in che modo. Ricevuta la remissione dei
peccati e avendo sperato nel nome, siamo divenuti novelli, come creati di nuovo, da
principio: perciò davvero Dio abita in noi, nel nostro abitacolo. In che modo? [Solo
in noi] la parola della sua fede, la vocazione della sua promessa, la sapienza delle
disposizioni, i comandamenti della dottrina; egli profetizza in noi, abita in noi, e con
l 'aprirci la porta del tempio, cioè la bocca, e dandoci il pentimento, conduce coloro
che erano asserviti alla morte del tempio incorruttibile. Infatti, chi vuole essere
salvato non guarda all'uomo, ma a chi abita e parla in lui, meravigliandosi di non
averlo mai udito pronunciare con la sua bocca tali parole e di non aver mai
desiderato udirle. Questo è il tempio spirituale che si edifica al Signore. »

In sostanza, Barnaba pronuncia queste parole in ragione dell’abbandono di


Gerusalemme e del tempio ai nemici, nonché della edificazione del tempio di Dio
al termine della settimana cosmica. Nell’ambito del tema di distruggere e di
ricostruire, Barnaba indica che il tempio manufatto e corruttibile è il cuore
dell’uomo, “abitazione dei demoni” (Mt 12,43-45 e Le 11,24-26), prima di
aprirsi alla fede, ma che dopo la remissione dei peccati e la rigenerazione degli
uomini, diventa la vera abitazione di Dio. In questa interpretazione lo
spiritualismo trascende la polemica antigiudaica dei paragrafi precedenti: il
tempio corruttibile non è più il tempio di Gerusalemme, ma il tempio dell’uomo,
per cui gli uomini facendosi spirituali, si trasformano in tempio perfetto di Dio.
Però, il tempio per eccellenza è Cristo15: In Lui ogni uomo è chiamato ad
edificare il proprio tempio a Dio. Tutto questo viene confermato da Clemente

15 A tale riguardo appare interessante quello che dice Origene nel Commento al Vangelo di San Giovanni,
al Tomo 1,20: « Quando ebbe cacciato i venditori dal tempio, i giudei dissero a Gesù: Che segno ci mostri
per agire così? Gesù rispose: Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo ricostruirò (Gv 2,18-19). A me
sembra che qui i giudei stiano a rappresentare le persone carnali e dedite alle cose sensibili: mal sopportando
di vedere scacciati da Gesù degli uomini che, in vista dei loro interessi, trasformavano in mercato la casa del
Padre, chiedono un segno attraverso il quale si manifesti chiaramente che chi agisce in questo modo è
veramente il Verbo che essi rifiutano di accogliere. Ma il Salvatore, alla domanda: Che segno ci mostri per
agire così?, alludendo al suo corpo là dove sembra parlare del tempio, risponde con queste parole:
Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo ricostruirò. Avrebbe potuto, è vero, mostrare migliaia di altri
segni, ma nessuno sarebbe stato una risposta veramente adatta a quel: Per agire così? Perciò, piuttosto che
portare ragioni di altro genere, nella sua risposta, molto opportunamente, si riferisce al tempio. E veramente
l'uno e l’altro, il tempio e il corpo di Gesù, mi sembra che vadano interpretati nello stesso senso, e cioè come
tipo della Chiesa. La Chiesa è edificata con pietre viventi, edificio spirituale per un sacerdozio santo (lPt
2,5), costruita sulfondamento degli apostoli e dei profeti, e lo stesso Cristo Gesù ne è la pietra d ’angolo (Ef
2,20): e dunque può essere definita veramente come tempio».

16
Alessandrino, negli Strornata, VII, 6,31,8, definendo il cristiano tempio e altare.
Infatti egli afferma:

«Noi possediamo, qui nella terra, un altare: l'unione di coloro che si dedicano
all'orazione che ha, per meglio dire, una voce comune ed un identico ideale. »

Perciò il tempio acquisterà nel cristianesimo una posizione di primo piano


nella nuova teologia del culto.

Cristo è anche altare16.

Nella Lettera agli Ebrei 13,10-12, l’autore afferma:

«Noi abbiamo un altare del quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che
sono al servizio del Tabernacolo. Infatti i corpi degli/ animali, il cui sangue vien
portato nel santuario dal sommo sacerdote per i peccati, vengono bruciati fuori
dell’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio
sangue, patì fuori dalla porta della città.»

Ciò indica che questo altare non è tanto la mensa eucaristica, ma la croce sulla
quale il Cristo è stato immolato, mediante il quale noi offriamo le nostre
preghiere a Dio. In tal senso la stessa Lettera agli Ebrei 13,13-15 aggiunge:

«Usciamo dunque anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui, portando


il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella
futura. Per mezzo di lui dunque offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio,
cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome.»

Perciò i Giudei, che persistono nel servizio della tenda, non possono prendervi
parte. A tale riguardo è significativo ricordare Sant’Ambrogio che usa
l’espressione «Altare Christus est», la quale pone Cristo come l’unico e vero
altare. Questo concetto, tra l’altro, lo si può trovare in altri autori come
Sant’Ignazio di Antiochia, Tertulliano, Policarpo, Clemente Alessandrino, ed
altri ancora. Ciò indica come la tradizione patristica fosse particolarmente attenta
a questo tema.

San Gregorio Magno in un’ Omelia su Ezechiele, parlando dell’altare e del


tempio dice:

16 Nel foglio di presentazione relativo all’ingresso nella Cattedrale dei SS. Michaelis et Gudulae, a
Bruxelles, si legge: «Plus qu’un très bel object et plus qu’une oewre d ’art, l ’autel est un mystère - un
présence. En effet, il nous conduit aussi près que possible du mystère de la personne et de l oeuvre du
Christ. Il est la table du sacrifice: il rappelle à la fois la Cène et la croix. Il est la table du repas
eucharistique du Seigneur à laquelle il convie sonpeuple et annonce lefestin des noces étemelles».

17
«Che cosa è l ’altare di Dio se non l ’anima di coloro che conducono una vita
santa? A buon diritto, quindi l ’altare di Dio viene chiamato il cuore dei giusti.»11

In tutti questi autori l'altare simbolicamente è il sacrificio di Cristo e questo


sacrificio si trova al centro di questo nuovo culto. L'altare di Cristo, perciò, è il
suo corpo immolato sulla croce; questo altare non è altro che la stessa croce del
Cristo. Più tardi significherà la mensa eucaristica. Lo dice San Tommaso:

«Istud altare vel est crux Christi in qua, Christus prò nobis immolatus est; vel ipse
18
Christus, in quo et per quem preces nostras offerimus. »

A questa affermazione si può aggiungere la testimonianza di San Massimo di


Torino in un’omelia scritta per la dedicazione del Duomo di Milano:

«Nessuno che sia saggio e che abbia fede, ignora che la città è formata dalla
popolazione. Non dunque le travi ed i tetti, ma voi, o carissimi, formate la Chiesa viva
per il nostro Dio, voi rappresentate l ’intera città, e che la Chiesa è rappresentata
dalla comunità cristiana.»19

Dire perciò che i cristiani hanno un altare è dire, evocare e ricordare il


sacrificio di Cristo sulla croce. Ma l'altare è anche l'adunanza dei santi uniti nella
voce e neH'anima. I singoli fedeli sono, come dice Ignazio nella Lettera alla
Chiesa di Magnesia 7,2, «altrettante pietre che devono formare il santuario e la
casa del Padre». E Clemente Alessandrino, negli Strornata VII, 6, 31,8, afferma:

«Noi abbiamo qui nella terra un altare che è l'adunanza di quelli che si dedicano
alla preghiera e che hanno una voce comune e un medesimo ideale. »

Cristo è la vera Pasqua

Nei primi secoli avveniva soltanto una celebrazione annuale della Pasqua. La
storicizzazione dei singoli momenti celebrativi in celebrazioni separate, che
determineranno una prima struttura dell’Anno Liturgico diviso in tempi forti ed
in tempo ordinario, avverrà non prima della fine del IV secolo. La Pasqua un
tempo era solo festa annuale cristiana, insieme alla Domenica: entrambe
festeggiavano la totalità del mistero pasquale della salvezza operata da Cristo,

GREGORIO M agno , Homiliae in Hiezechielem, E, Homilia X, 19, CCL, Series Latina, CXI -TT Tumholti
1971, 394-395: Quid est templum, nisi fìdelis populus?........Et quid est altare Dei, nisi mens bene
Pentium....... Recte igitur est altare Dei, nisi mens bene dicitur, ubi ex maerore compunctionis ignis ardet
et caro consumitur
TQMMASOD’AQUINO, Super Haebreos, 13.2.
: Omelia 94, PL 57,470472.

18
celebrando la sua risurrezione. Prima del IV secolo, non esisteva alcun ciclo di
liturgie commemorative della Settimana Santa, né del Venerdì Santo, perché non
se ne avvertiva il bisogno nella vita della Chiesa.

L ’unitarietà completa del mistero pasquale era concentrata ed


inseparabilmente contenuta nella Veglia Pasquale. La sua celebrazione costituiva
il fulcro di tutta la vita spirituale della Comunità primitiva. Dal III secolo in poi,
l’aggiunta del Battesimo al rituale della Veglia Pasquale, aggiunse qualcosa in
più al significato della festa pasquale.

In origine, Gesù era l’unico protagonista della Pasqua: si commemorava solo il


suo passaggio dalla morte alla vita, in attesa di una sua ulteriore venuta. Con la
novità del battesimo inserito nella Veglia, insieme ad una rinnovata enfasi sulla
teologia paolina del Battesimo di Rm 6,3-12 e di Col 2-3, anche il cristiano
diventa protagonista della celebrazione, tanto che Paolo inségna che, come Gesù
è morto e risorto per la nostra salvezza, nel Battesimo anche il neofita muore al
peccato e risorge alla vita nuova in Lui.

All’inizio del V secolo, come conseguenza dello sviluppo del ciclo relativo
alla passione di Cristo, durante la Settimana Santa in Gerusalemme, iniziarono ad
esserci i primi segnali di una tendenza ad una vera e propria storicizzazione
dell’evento pasquale, seguito da una “commemorazione” annuale della
risurrezione di Gesù: tale fatto è da vedersi come una tendenza restrittiva che non
trova alcuna giustificazione nella prima Tradizione cristiana.

In effetti, la Pasqua non è solo la festa cristiana annuale dell’intero mistero di


Cristo, ma è comprensivo dei diversi momenti che lo scandiscono: la passione, la
morte e la risurrezione di Cristo, che diventano i capisaldi della pasqua di ogni
cristiano.

Certamente, un elemento importantissimo, che si può scorgere nella comunità


primitiva dei primi due secoli, è proprio l’attesa escatologica. Già gli Ebrei
aspettavano la venuta del Messia durante la Pasqua come riferisce il brano di Es
12,42:

«Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d ’Egitto. Questa
sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in
generazione. »

A differenza degli Ebrei, i Giudei cristiani professando che il Messia era già
venuto nella persona di Gesù, semplicemente trasponevano questa attesa della
seconda venuta di Gesù alla Parusia. La grande importanza di questa dimensione
escatologica della celebrazione della Pasqua cristiana emerse poi nella famosa

19
controversia pasquale del II secolo, riportata da Eusebio nella sua Historia
Ecclesiastica V, 23-25.

I primi cristiani discussero animatamente sulla data della Pasqua proprio


perché aspettavano il ritorno di Gesù durante la Veglia pasquale. A tale riguardo
un riferimento lo si può già avere in alcuni testi del NT: Mt 24,43; lTs 5,2; 2Ts
2,lss.; Ap 3,3-16.

Conclusione dello spiritualismo cultuale

Andando avanti e lasciandoci alle spalle il ritualismo giudaico, si arriva ad uno


spiritualismo cultuale e ad una teologia del culto che riempie tutta la vita di un
clima cultuale. In questo senso, si segue quella linea spiritualistica dei profeti che
indica un'evoluzione ed una linea continua. Tutto questo conduce, dalla
preparazione-annuncio-ombra (figura) nell'AT, al culto spirituale del NT che è
complemento dell’AT, realtà ed attualizzazione.

Allontanando ogni genere di linguaggio allegorico (che incontreremo in


seguito), ci si muove su un piano cristologico e pienamente cultuale. Siamo
davanti ad una teologia del culto cristiano, nella quale il sacrificio consiste nella
santità di vita e nella pratica dell'orazione; l'altare è Cristo, mentre il tempio è il
suo corpo, secondo una duplice dimensione: quella personale (Cristo) e quella
comunitaria (Chiesa).

A tale riguardo Marsili commenta:

«I riti cristiani erano, infatti, veramente una «novità» in materia di culto, perché
questo non risultava un'azione organizzata a fianco della vita, ma costituiva la
20
ragione stessa dell'essere cristiani, cioè creava uomini che vivevano in Cristo.»

Questo vuol dire che, per il suo carattere di culto «spirituale», il cristianesimo
non doveva possedere - e non ha in verità posseduto fin da principio - un sistema
«rituale» proprio. Certamente, esistevano dei riti, dei quali ricorre il nome fin
dagli scritti apostolici (battesimo, frazione del pane o cena del Signore-
Eucaristia, imposizione delle mani, ecc.), ma essi non erano tuttavia una
“Liturgia” nel senso dell’AT e tanto meno della religione pagana. Allora, si tratta
di una nuova impostazione del culto che continuerà ad affermarsi nei primi
secoli della Chiesa, dove la morte del martire è vista come sacrificio (Policarpo)
e dove «sacrificio» sono pure le preghiere unite alla carità del prossimo. Inoltre,

20 Anàmnesis 1,53.

20
il sacrificio di Cristo è anche il sacrificio dei cristiani. In questa direttiva, Marsili
non rinuncia a dire che:

«I riti cristiani erano fin da principio l ’espressione perfetta ed unica del culto
“spirituale ”, perché erano “segni-sintesi ” di un momento salvifico, e cioè segni nei
quali si condensava allo stesso tempo la presenza santificatrice del mistero di Cristo e
la presenza santificata dei fedeli. Il rito cristiano ha infatti avuto sempre lo scopo
diretto di consacrare e santificare l ’uomo, affinché questi diventasse in tal modo nella
sua propria persona - insieme con Cristo e per Cristo - e non per un simbolo
sostitutivo, “sacrificio-altare-tempio ” di Dio, ossia realtà e luogo spirituale del culto
di Dio.»21

Concludendo possiamo affermare che siamo lontani dal rituale levitico. La


parola «liturgia» avrà un contenuto teologico, cultuale, che sarà ben differente da
quello della «Liturgia» sacerdotale ebraica e che si esprimerà, quindi, con una
teologia del culto.

Dunque, i primi riti cristiani (Battesimo, Cena del Signore, Cresima, Unzione
degli Infermi, ecc.) sono l'espressione perfetta e unica del culto spirituale, perché
erano segni dove si condensava la presenza santificatrice del mistero di Cristo e
la presenza santificata dei cristiani.

1.2. L a L it u r g ia r o m a n a c l a ss ic a .

Il culto cristiano, pur non cessando mai di essere un culto «spirituale», non è
però sfuggito alla presa delle situazioni concrete dell’ambiente storico, sociale e
culturale nel quale era inserito. La Epistula a Diognetum, 5,1-4 e 6,1 del secolo
II, afferma:

«I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini (i pagani), né per paese, né
per lingua, né per costumanze. Non è infatti che abitino città particolari o si servano
di un linguaggio distinto o conducano una vita differente... anche se mostrano di
avere u n ’impostazione ammirevole nella propria condotta... A dirlo in una parola, i
cristiani sono nel mondo quel che l ’anima è nel corpo.»

In una parola, è il culto spirituale che essi celebrano che fa la differenza; è,


infatti, un culto invisibile, ma altrettanto efficace nell’azione e nei gesti, dal
momento che non è solo una composizione di misteri umani, bensì il mistero di
questo culto non è comprensibile per gli uomini. Esso indica la natura e
l’espressione del culto spirituale dell'antichità cristiana, che trova un suo

:i Ibidem.

21
inserimento anche nel tessuto della vita civile e culturale di interi popoli. Tutto
questo rimarrà intatto fino a quando ci saranno le persecuzioni contro i cristiani.
Con l’editto di Milano del 313, ad opera di Costantino, quando il cristianesimo
entrerà in contatto con certi elementi culturali, tipici del paganesimo, si
verificherà la corruzione dei costumi, che - più tardi - comporterà una severa
organizzazione tanto del catecumenato, quanto della penitenza che nei secoli IV
e V, raggiungerà le forme più espressive e più efficaci del culto spirituale. In
questa realtà contingente, la Chiesa ha manifestato la volontà di non cadere
vittima di una comoda facilità tanto nell’accogliere quanto nel mantenere i
convertiti in un vero impegno cristiano sia sul piano generale della vita che su
quello particolare del culto.

Le medesime catechesi mistagochiche dei secoli IV-Y presentano questo culto


spirituale con esigenze notevoli, anche se, lentamente, le forme di questo culto
cominceranno a subire l'influenza del tempo e del luogo. Questo culto spirituale,
a poco a poco, fu influenzato dall'ambiente storico, sociale e culturale nel quale
era inserito. Innanzitutto si lascerà influenzare dal genio romano.
22 • • • • • •
E. Bishop afferma: «Il genio del rito romano originario è caratterizzato dalla
semplicità, dalla praticità da una grande sobrietà e padronanza di sé, gravità e
dignità. Se dovessi indicare in due o tre parole soltanto le principali
caratteristiche che contribuiscono a formare il genio del rito romano nativo, direi
che le sue caratteristiche sono essenzialmente la sobrietà e la misura».

Il genio romano accanto alla liturgia romana classica darà origine ad una
liturgia veramente romana. I romani dimostrarono di possedere un'attitudine
speciale per questa sintesi teologica con queste tre caratteristiche:

capacità di esprimersi in forme razionalmente organizzate;

ripugnanza contro il sentimento e il sentimentalismo;

sensibilità per uno stile sobrio e per una presentazione dignitosa.

In questo senso l’apporto offertoci dal sacramentario Veronense è


fondamentale, tanto che è significativo leggere la sezione XL: V ili Kalendas
Ianuarias. Natale Domini et Martyrum pastoris Basileii et Iouiani et Victorini et
Eugeniae et Felicitatis et Anastasiae.

Si può anche leggere la sezione XXI: UH: Idus Augustas. Natale Sancti
Laurenti. A tale riguardo, né è un esempio il Ve 745:

22 The Genius o f thè Roman Rite, Liturgia Historica, 1918 (Ed. Francese Le genie du rit romain, edition
annotèe par Dom Andrò WILMART de Farborough, 1921).

22
«Vere aignum: et tuam magnificentiam propensius exorare, qui nobis hunc diem
sancii Laurenti martyrio tribuisti venerandum: quem ita omni genere pietatis
inbueras, ut idem tibi ara adque sacrificium, idem sacerdos esset et templum: per. »

In questa preghiera si trova una sintesi dello spiritualismo cultuale.

Un altro passo significativo del Ve 747:

«Omnipotens sempiterne Deus, ceclesice tuce votis propitiatus aspira; ut beati


Laurenti martyris meritis adiubetur, cuius passione Icetatur. Per. »

Andando avanti, nei secoli IV-VI è stato creato un tesoro di formule che, nella
loro rispondenza ai valori oggettivi, nella chiarezza di pensiero, nel ritmo
solenne, nell’aderenza alle verità dogmatiche fondamentali, devono essere
considerate come una delle grandi e classiche creazioni della storia umana. Tra
queste, vanno ricordate le orazioni della Veglia Pasquale. Si tratta di un
-omplesso di 12 orazioni romane, composte per la Liturgia della Parola della
Veglia Pasquale, conservate nel Gelasiano Reginensis 431-432 dell’edizione del
Molhlberg, che formano un complesso eucologico unitario ed indivisibile. A tale
nguardo J. Pinell afferma: «Per la loro forma letteraria e per il loro contenuto
minale queste dodici orazioni costituiscono il più grande capolavoro
iell'eucologia latina; sono opera di Leone Magno e contengono il nucleo
'ì'5
es senziale della teologia di San Leone» .

Alceste Catella24, sempre per quanto riguarda ciò che possiamo considerare
- ^.-ardo la liturgia romana classica, dice che le dimensioni che costituiscono
ami celebrazione sembrano riconducibili a tre:

storica, vale a dire l’intrinseca connessione della liturgia con la storia


della salvezza;

comunitaria, nel senso che là dove si ritualizza l’Alleanza, il soggetto è il


popolo;

misterica, designando così la modalità del “darsi” dell’evento salvifico


nella celebrazione.

. -este tre caratteristiche creano la liturgia romana.

1. ftNELL. Ad celebrandum Paschale Sacramentum. U complesso eucologico Per singulas lectiones ”


tetta Pasquale secondo la tradizione gelasiana, opera di San Leone Magno, Ecclesia Orans 15
163- 191.
K PATELLA, Teologia della liturgia in Scientia Liturgica Manuale di Liturgia, ed. A.
NGCO. voi. E, Liturgiafondamentale, Piemme, Casale Monferrato 1998,20.

23
Il passaggio a Roma, alla fine del secolo III, dalla lingua greca a quella latina
nella Liturgia, fu un autentico “adattamento” e, spesso, una vera creazione, in
vista delle esigenze proprie della mentalità latina e romana. Ciò, evidentemente,
non poteva che comportare un avvicinamento a formule cultuali più congeniali al
"genio" romano, sia sul piano linguistico-stilistico, sia, purtroppo, sul piano della
mentalità e, talvolta, del contenuto. A tale riguardo un’opera importantissima, la
Traditio Apostolica di Ippolito di Roma, riferendosi ad una serie di formule
liturgiche, avverte la preoccupazione di conservare una «tradizione», che si sente
minacciata da possibili errori, frutto di ignoranza e di superstizione, che
potrebbero dare un sottofondo “magico”, tipico della religione pagana. Ciò
rientra nel fatto innegabile secondo cui i libelli sono stati composti per il timore
di un errore che nel cristianesimo inciderebbe solo sulla «ortodossia», mentre nel
paganesimo, sarebbe causa di invalidità del rito.

Col tempo si perse questa linea liturgico-spiritualistica. Nel secolo IV questa


visione teologica della liturgia comincerà a mutare, in virtù dell'editto di
Costantino del 313, che diede la pace alla Chiesa e che, contemporaneamente,
aprì la Chiesa stessa al mondo ed alla sua cultura.

In merito all’involuzione ritualistico-giuridica dell’epoca romana classica,


Marsili parla di sintomi che l’accompagnano e pone, come esempio, il Canone
Romano: in esso la primitiva linea eucaristica che troviamo nella Traditio
Apostolica, ha ceduto il posto alla linea «sacrificale» che si trasforma in
dominante ed il contenuto anamnetico, che prima comprendeva tutta la storia
della salvezza, risulta ristretto al memoriale della passione-resurrezione-
ascensione, dove il momento sacrificale appare in maniera privilegiata. In
sostanza, nel Canone Romano appare, nel suo contenuto, un nuovo elemento,
caratterizzato da una mentalità giuridico-formale. In questo modo cade in disuso
la primitiva improvvisazione, per giungere ad un punto fisso che riflette la stessa
mentalità giuridica. Si avvalora di più la parola scritta che non la tradizione.

Da una comprensione genuinamente teologica del rapporto fede-culto, vita-


culto, caratteristica dell’età patristica si passerebbe a comprensioni sempre meno
teologiche e sempre più allegorizzanti, ascetiche e moralistiche. La conseguenza
sarà che il mistero non sarà più la categoria dominante della liturgia.

La mentalità giuridica, a dispetto della linea teologica, si rivela in certe


formule liturgico-cristiane che vogliono fissare ed assicurare tutto. C'è, dunque,
un desiderio di precisare l'oggetto del sacrificio, come si può ben osservare nel
medesimo Canone Romano. Tutto questo porterà ad un rubricismo, secondo
questa linea di sviluppo:

24
Mentalità giuridica—» cerimoniale sontuoso-» rubricismo

Alla mentalità giuridica, seguirà, dunque, il cerimoniale dettagliato che, sino al


secolo V, era quanto mai sconosciuto al culto cristiano. Si sarà ben lontani dal
dire che i cristiani pregavano «senza suggeritore appunto perché la loro preghiera
scaturiva dall’intimo» (Tertulliano, Apologia 30,4), ma già nel III secolo non si è
più sullo stesso piano.

Questo grosso cambiamento permetterà anche il passaggio dalla domus


ecclesia? alla Basilica: la stessa si trasformerà in un ambiente sontuoso, ricco, che
con molte difficoltà, riuscirà a testimoniare il piano spirituale del culto cristiano.
C’è da rilevare, allo stesso tempo, che la voluta lontananza dal tipico stile
architettonico cultuale pagano, sta indubbiamente nel testimoniare una positiva
volontà di distanziarsi da esso, tanto più che il culto cristiano aveva come
esigenza assoluta quella di essere un luogo nel quale si potesse radunare
un’assemblea che doveva essere insieme «assemblea della parola» e «assemblea
conviviale». Però, inevitabilmente il nuovo tempio cominciò ad assomigliare agli
edifici di culto non cristiani.

La stessa cosa avviene con l'altare . Da rappresentazione di Cristo, si passa


alla tavola che dispone i commensali intorno ad una tavola comune. Però se la
domus ecclesia? si trasforma in tempio, il tempio, a sua volta, esige un altare e
torniamo all'Antico Testamento: fissato in pietra, la mensa diventa, veramente,
anche nella forma esteriore, un altare non differente da quello ebraico. Diventato
oggetto di culto, reso intoccabile ai laici, sarà circondato dai sette candelabri
onorifici che, per un cerimoniale desunto dalla corte imperiale, avevano
accompagnato il vescovo al suo ingresso nella basilica; sarà incensato con
l'incenso che - nuovamente e secondo gli usi di corte - aveva preceduto il
vescovo.

In tal modo, pur senza pretenderlo o cercarlo, si ritorna - in qualche modo -


ad una liturgia dell'AT, la liturgia del culto rituale. Si dimentica e col tempo si
perde e si nasconde questa teologia liturgica, che più tardi ritornerà in auge.
L ’involuzione nel Medioevo fu portata al suo apice, tanto che la Liturgia era da
identificarsi come esteriorismo rubricista e non più come centro della vita e
dell’esperienza cristiana, mediante la quale si comunicava agli uomini il mistero
di Dio in Cristo.

25 Alla fine del II secolo o al principio del IH, Minucio Felice poteva scrivere: «Non abbiamo altari»
(Octavius 32,1). Era una sfida che rivendicava il carattere «spiritualista» del culto cristiano, perché «l’altare»
richiamava vittime cruente di «animali» offerti alla divinità, mentre i cristiani ofirivano se stessi come
«vittima spirituale» (Rm 12,1) a Dio in Cristo.

25
Questo è senz’altro un lento processo che arriverà fino al Medioevo e durerà
fino a oggi. Si ritornerà, dunque, ad una Liturgia come forma esteriore, non più
come teologia.

1.3. I l M e d io e v o .

Giuridicismo ed esteriorismo liturgico.

Le cose non migliorano certo nel basso Medioevo. Si continuerà su questo


piano di involuzione in cui la celebrazione cultuale assume una dichiarata
dimensione giuridica.

Prendendo l’altare come esempio troviamo dapprima l’altare-reliquiario e poi


l’altare a dossale. Così si crea - e si moltiplica - l’altare devozionale, che
accentra l’attenzione sulle reliquie e sui santi, e non ha più lo scopo diretto di
servire da «mensa del Signore» per la comunità, ma sarà il luogo da cui si
esporrà a venerazione il santo.

Marsili, al riguardo, afferma:

«La “Liturgia”, infatti sarà sempre di più, quella form a di culto che è fatta
secondo l'ordinamento ed il comando della Chiesa (gerarchica), che viene eseguita in
26
nome della Chiesa (universale) da persone deputate.»

Dunque, il clero fa la liturgia, il popolo assiste alla liturgia. Si crea una rottura
tra una liturgia clericalizzata ed il popolo che cerca nelle devozioni l'alternativa
ad una liturgia che non comprende e alla quale non partecipa. Questo fatto si
rivela come una tra le cause della crisi spirituale della Chiesa, iniziando a perdere
di vista la sua identità e la natura della sua missione.

La liturgia di quest’epoca è considerata da Marsili come «sontuosa, signorile


nel linguaggio (ignoto) e nella forma (incompresa), e posta ormai lontana, non
solo spiritualmente, ma anche materialmente»21.

Il caso più chiaro lo si ha nell' Ordo Romanus /: non è nuli’altro che un


groviglio intricatissimo di nomi e di movimenti, dove la volontà di «fare
spettacolo» non è meno evidente dell’intenzione di imporre un’aureola di
«sacralità» sulle persone e sulle cose che entrano nell’azione cultuale. In effetti,
la dimensione giuridica applicata al culto implica:

un allontanamento del popolo dalla liturgia;

* Anàmnesis 1, 59.
r Anàmnesis 1, 58.

26
si contribuisce alla materializzazione del culto;

si perdono il senso teologico, la «riservatezza» teologica delle formule


liturgiche;

la liturgia non riempie la vita spirituale e perciò l’allontanamento del


popolo dalla celebrazione.

A partire da questo momento il criterio principale seguito, anche se non è certo


l'unico sul piano giuridico, è che la liturgia venga realizzata secondo la Legge.

Tutto questo, come è già stato detto, porterà ad un culto ogni volta sempre più
esteriore. La Liturgia è ciò che deve farsi e lo si deve fare in un’unica maniera,
mentre il suo valore non dipende più dalla presenza della Chiesa, che viene
considerata come unica responsabile della celebrazione.

In questo modo la Liturgia non è più il sacrificio di Cristo e dei cristiani.

In merito alla conseguenza più evidente il Marsili dirà: «Di una tale Liturgia il
popolo non era che un soggetto passivo. Anche per esso - nella posizione in cui
ancora aveva un rapporto con la Liturgia - questa era una legge che doveva
essere osservata, ma appunto come ogni altra “legge”, cioè esteriormente. Così,
per esempio, la messa come azione “liturgica” esige dal fedele di “vedere la
cerimonia” con la generica intenzione di rendere onore a Dio e con attenzione
28
esterna» .

Da questa conseguenza ci saranno altri effetti negativi, essendo la Liturgia


divenuta ormai un fatto esteriore del culto ed una cosa riservata al sacerdote,
tanto da far si che:

la liturgia era tanto più liturgia, quanto maggiore era il risalto esterno del
rito;

quanto maggiore era lo sfarzo esteriore che si chiedeva al sacerdote,


tanto più doveva corrispondere un’adeguata retribuzione.

Il pericolo maggiore fu determinato dalla cosiddetta “inflazione della


Liturgia”, nella quale l’apparato, nella misura in cui diventava sempre più
esteriore, rendeva maggiore e profonda l’incomprensibilità dei riti stessi. In

28 Marsili (Anàmnesis 1, 60) prende il riferimento principale da TANQUEREY - QUEVASTRE, Brevior


synopsis Theologiae moralis et pastoralis, Roma 19202, 119, n. 311, secondo cui all’adempimento del
precetto basta una presenza corporale che possa essere ritenuta unione morale al sacerdote celebrante, e tale
si ha quando uno è «intra ecclesiam» oppure «in sacristia» o anche «extra ecclesiam sedprope ianuam», o
«in domo proxima ex qua videant caeremoniam». Quanto poi alla seconda condizione richiesta e cioè una
«assistentia religiosa», questa esige, per essere tale, un’intenzione implicita di rendere onore a Dio ed
un’attenzione esterna.

27
questa situazione ci troviamo dinanzi ad una Liturgia che si fa spettacolo, tanto
da essere lontani da una liturgia che si fa vita. In effetti, ci vorrà diverso tempo
prima che si ritorni a quella linea spirituale-liturgica che caratterizzava la Chiesa
dei primi secoli.

In merito a questa esteriorità, il caso più eclatante fu quello della miss a sicca o
anche della missa bifaciata, tri-quatrifaciata (che erano due forme diverse di
eludere la proibizione di celebrare più messe per altrettanti stipendi) delle quali
parla e commenta Marsili29. Egli, in modo particolare, si sofferma sull'aspetto
più negativo, cioè la Liturgia come spettacolo e dice:

«Questo infatti, è ormai la Liturgia: uno «spettacolo» religioso, cui il popolo


assiste unendo stranamente la fede più profonda ad atteggiamenti, che compongono
insieme la mondanità più sfrenata e la devozione più superstiziosa, che molto spesso
confina chiaramente con la «magia»....»

Il Marsili dirà ancora che quanto più «silenziosamente» si assiste allo


«spettacolo sacro», tanto maggiore sarà l’efficacia delle «parole del sacerdote».
In sostanza, «il tuo silenzio è necessario per l ’efficacia delle parole divine». Non
esiste la partecipazione, nemmeno l’interiorità della e nella liturgia.

Tentativi di spiritualismo cultuale. L'allegorismo e l'allegoria.

Anche a questa mentalità materialistica della Liturgia si riscontrarono alcune


reazioni. La letteratura medievale è certamente molto ricca proprio in campo
liturgico30, perché questo era per l’appunto il veicolo più diretto che il popolo
aveva con la verità della sua fede. Ma la stessa letteratura medievale
teologicamente migliore non raggiungeva che pochi lettori capaci di
comprenderne profondamente il contenuto. In questo modo venne a mancare uno
sguardo complessivo sul valore ed il significato della Liturgia in rapporto alla
fede e alla vita cristiana, ma ci si contentò di spiegare o storicamente o
allegoricamente i diversi riti su un piano che difficilmente raggiunse il popolo.

Se non incontriamo ancora tentativi validi di una teologia della liturgia, si può
vedere che sin dal Medio Evo, si perseguirono delle direttrici principali quali la
spiegazione allegorica ed il devozionalismo.

In effetti, sul piano liturgico, l'allegorismo affonda le sue radici nella


confusione creata tra simbolo ed allegoria.

29 Anàmnesis 1,60-61.
30 Cfr. M. RIGHETTI, Storia Liturgica, Milano, Edizione anastatica, 31964,83-86.

28
Il Simbolo è una "doppia" realtà che viene ad esplicarsi su due piani differenti.
Il simbolo, quindi, è un fatto o una persona che, oltre a rendere visibile la propria
realtà, manifesta in sé, contemporaneamente, quella invisibile alla quale la prima
fa riferimento. Il simbolo non esiste finché la prima realtà visibile non è percepita
come indicativa della realtà invisibile.

Il simbolo si trova sempre sul piano di realtà oggettiva31 che è, però, costituita
da due momenti interdipendenti tra loro, proprio a livello di realtà. Un esempio
concreto è la storia di Abramo e la liberazione del popolo di Israele dalla
schiavitù d’Egitto. In questo caso, si tratta di una persona e di un fatto reale sul
piano storico, dei quali la rivelazione profetica ci dirà che contengono un’altra
realtà: si tratta della scelta degli uomini da parte di Dio e la liberazione dal
peccato.

L'allegoria, invece, si colloca molto vicino al simbolo: mentre quest'ultimo


proviene dalla visione profetica della storia di Israele, l'allegoria è, al contrario,
un linguaggio soggettivo e metaforico elevato ad un sistema di interpretazione di
fatti e di cose. Nell'allegoria scompare la realtà storica dell'avvenimento o del
personaggio e si passa, invece, ad una visione soggettiva ed arbitraria32.

Il Marsili afferma che l'allegoria, nata in clima ellenistico, soprattutto come


interpretazione dei miti religiosi omerici, sarà sistematicamente applicata alla
Scrittura sia da Filone che, successivamente, dalla scuola alessandrina cristiana
(ad es. Origene) e da tutti coloro che seguiranno il metodo filonico (ad es.
Ambrogio), ed avrà, certamente, un’importanza di prim’ordine, visto che si
affiancherà a quello che poi si chiamerà il senso letterale della Bibbia, fornendo
così ad essa un "senso spirituale", a diversi livelli, dei quali, uno, era appunto
quello dell'allegoria.

Ma quando questo procedimento trovò applicazione nella Liturgia, si venne a


cadere in un allegorismo di gran lunga peggiore.

La liturgia di questo periodo fu dominata dal fatto che l'interpretazione


allegorica dei riti e dei testi venne sviluppata da Amalario, vescovo di Metz
33 • • •
(850/853) . L'allegorismo incominciò il suo cammino vittorioso. Ne è esempio
tipico la spiegazione della messa di Amalario, dove il calice raffigura il sepolcro

’1 Nella Liturgia l’offerta del sacrificio è naturalmente un «simbolo», cioè reale manifestazione di quel
reale stato d’animo che implica amicizia e omaggio, ossia volontario riconoscimento di superiorità di colui
al quale l’offerta si dirige.
32 Anamnesi, 1,62 ss.
Amalarii episcopi opera liturgica omnia. Ediz. J. M. HANSSENS, 3 voli, Studi e Testi, 138-140, Città del
Vaticano, 1948-1950.

29
di Cristo ed il celebrante è Giuseppe di Arimatea, mentre l'arcidiacono è
Nicodemo ed i diaconi sono gli Apostoli che si nascondono nella passione di
Cristo; invece, i suddiaconi sono le pie donne che si avvicinano alla Croce del
Signore.

A tale riguardo commenta Marsili: «Perduto il senso del rito e del valore
funzionale delle sue parti, anche il “simbolo” fondamentale della messa, l'essere
cioè segno sacramentale della passione del Signore, viene arbitrariamente scisso
in altrettante visioni allegoriche della passione di Cristo»34.

Su questa linea si incamminano anche parte degli autori del Medioevo, pur
con alcune eccezioni, tra le quali bisogna ricordare le Expositiones missce, e
Alberto Magno nel suo Opus de mysterio missce, dove parla contro le
interpretazioni allegoriche correnti del suo tempo; Innocenzo III con il De sacro
altaris mysterio (PL 217, 773-914), e la Summa Theologica (III, q.83, a.5 ad 3;
ad 6-9) di Tommaso d'Aquino.

Un caso tipico di allegorismo, oltre quelli già visti, lo incontriamo in


Guglielmo Durando (+1296), nel suo Rationale divini officii, I, 21-28. Insieme ad
altri esempi riportati, esso ha un valore specifico per darci un'idea chiara di ciò
che era l'allegorismo liturgico medioevale.

L ’allegorismo ed il devozionalismo, in realtà, sono due tentativi di recuperare


una certa spiritualità, ma essi stessi soffrono proprio di un’incomprensione del
mistero di Cristo celebrato. Questo spiega il perché l’allegorismo si trasforma
spesso e volentieri in una metafora del mistero liturgico, cioè della vita di Cristo,
non garantendo - però - la comunione con esso. Con il devozionalismo i misteri
della vita di Cristo sono oggetto di riflessione, di preghiera personale, di
raccoglimento e di meditazione, ma essi non sono portati ad una celebrazione
oggettiva. In realtà, si opera solo in superficie, senza penetrare tali misteri, in una
sorta di materialismo ascetico (es. le immagini sacre).

Si può arrivare alla stessa conclusione: mancava una catechesi liturgica,


perché era venuta meno una teologia della Liturgia.

La Liturgia si era trasformata sempre più in uno spettacolo, già realizzato in


una lingua sconosciuta e, per di più, preoccupato del suo esteriorismo. Come
contro risposta, si accentua sempre più il senso del mistero che circondava la
liturgia, peraltro già lontana dal popolo.

34 Anàmnesis 1,63.

30
Il devozionalismo.

Nel Medioevo si assiste alla nascita del «devozionalismo» che, di per sé, nella
sua natura, costituisce un "surrogato" della liturgia. Mentre Fallegorismo
liturgico aveva come scopo quello di conservare il contatto tra la Liturgia ed il
popolo, il devozionalismo del secondo e basso Medioevo costituì di fatto un
surrogato della Liturgia. Esso partiva dal principio di laicizzare il fatto religioso e
cercava un'alternativa alla liturgia. Frattanto, con la nascita delle lingue volgari,
si cominciò a relegare una liturgia realizzata nella lingua latina35.

Certamente, incidono in questo senso, fenomeni culturali quali la comparsa dei


comuni, delle corporazioni, delle confraternite, dei terzi ordini, ed altro ancora.
In sostanza, si trattava di associazioni religiose orientate verso varie forme di
carità o di penitenza. A tale riguardo, commenta Marsili:«Questi movimenti
religiosi laici - dei quali almeno al principio quello francescano fu certamente il
più prestigioso - anche se hanno come componente il movimento frazionistico ed
antifeudale dei Comuni, sono rivelatori del grave disagio religioso del popolo del
medioevo. Con il loro ricorso a nuove forme comunitarie - si noti bene - di vita
religiosa e con la ricerca di mezzi cultuali espressivi nuovi, come la “lauda” in
lingua volgare, essi dimostrano che erano alla ricerca di qualcosa che la Liturgia
ufficiale non dava loro, sia perché non apparteneva ad essi in quanto “laici”»36.

In questo ambiente alternativo alla liturgia, tanto distante dal popolo, si


inserisce il movimento devozionale che trova facile terreno nella sua crescita. Il
culto devozionale ha, come oggetto, Cristo, più che nella sua globalità, piuttosto
in una parte dello stesso o nel Suo mistero dell'infanzia. Molto bene, a proposito,
si esprime Marsili quando dice: «Il nostro culto verso Dio consiste nell'accogliere
la rivelazione dell'amore e l'intervento di salvezza operatosi in Cristo e - per la
celebrazione sacramentale - operantesi oggi in noi, il culto devozionale consiste
neH'offrire a Dio i nostri sentimenti di ammirazione, di penitenza e di gratitudine,
persuasi che l'intensità di questi sentimenti, sarà quella che, di fatto, opererà la
nostra salvezza»37.

In altre parole, il cambiamento è sostanziale: si passa da un accogliere la


rivelazione ad un offrire a Dio il nostro sentire, che spesso e volentieri rischia di

35 La Liturgia per il suo legame con la lingua latina, che era la lingua propria del clero, denunziava ad ogni
momento la propria esclusiva attribuzione al clero. Ma il sorgere e raffermarsi della lingua «volgare» -
quella parlata dal popolo - come mezzo valido di comunicazione sociale, rispettivamente ma anche
inevitabilmente relegava non solo la cultura - era anch’essa un fatto «clericale» - nelle università, ma anche
la Liturgia nella Chiesa.
36 Anàmnesis 1,65.
’7 Anàmnesis 1,66.

31
cadere in un vuoto sentimentalismo. In queste condizioni, quel che conta è
l’aumento delle devozioni, nella convinzione che in ogni santo si acquista un
«patrono» particolare il quale, in misura della devozione che si ha per lui, non ci
libera dal peccato, ma ci salva - ora e nella vita futura - dalle conseguenze del
peccato.

Col basso Medioevo cominciò l'epoca vera e propria delle devozioni. A fronte
del ritualismo della Liturgia, le devozioni intendevano offrire una grande libertà.
Se la Liturgia veniva svolta in latino e con un cerimoniale piuttosto rigido, le
devozioni si esprimevano nella lingua del popolo, in realtà si vennero quasi a
contrapporre due spaccati diversi della Societas del tempo. In questo frangente
ritorna il problema di una spiritualità non più viva della Chiesa, dal momento che
il rubricismo aveva preso sempre più piede ed il medesimo movimento
«devozionale» non era riuscito a salvare la vita spirituale del popolo. A tale
riguardo, Marsili arriva alla stessa conclusione già conosciuta: «Accadeva,
infatti, che venuta a mancare una visione teologica del culto cristiano e
dell’espressione che esso aveva nella Liturgia e doveva avere nella “devozione” e
nelle “devozioni”, il movimento devoto ricalcò sul piano laico gli stessi difetti
per i quali si era allontanato dalla Liturgia clericale»38.

Adesso invece di avere solo una Liturgia malata di materialismo e intrisa di


superstizione e talvolta di magia, viene ad esserci il devozionalismo che le farà
concorrenza in questi gravi difetti, superandola. Dunque, la conseguenza più
grave sarà proprio la mancanza totale di un rapporto intimo e personale con Dio e
con il mistero di Cristo. La Chiesa stessa conoscerà una profonda crisi teologica
e spirituale che si ripercuoterà a lungo e, almeno fino al Concilio di Trento, non
sarà ancora in grado di assicurare né la formazione del popolo di Dio, né la
formazione del suo stesso clero che, il più delle volte, mostrava una forte carenza
sul piano teologico e spirituale, nonché in quello pastorale. In questa particolare
situazione ci si appresta ad affrontare l’epoca moderna, nella quale il
devozionalismo si esprimerà nella forma della devotio moderna.

1.4. E p o c a m o d e r n a .

La devotio moderna.

E’ il periodo in cui venne a crearsi una rottura con qualunque forma di culto
esterno, qualunque sia. Il fatto si manifesta in un moto di riforma, nel quale,
essendo l’interiorismo religioso la meta da raggiungere, si teorizzò quella che

38 Ibidem.

32
si chiamò «devotio moderna». Ci riferiamo, dunque, ai secoli XIV - XVI
quali ci fu un ripensamento critico di tutta la situazione religioso-spirituale
provenendo da individui e gruppi diversi, convergeva in constatazioni
_ e:

una vita spirituale che non trova alcun giovamento né nella Liturgia, né
nella devozione, ambedue interessate da un materialismo cultuale;

nessun vantaggio viene tratto dalla teologia che si è arroccata


nell’intellettualismo ;

l’esigenza non corrisposta di ritornare ad una vita spirituale «nuova»,


insieme ad una vita interiore orientata all’imitazione di Cristo.

Da questi tre punti, la liturgia appare già un elemento esteriore della vita
religiosa che si va orientando verso nuove forme di pietà. I fedeli continueranno
ad assistere con gran devozione alla Messa, ma raramente ci sarà l’occasione per
ina vera comunione sacramentale con Cristo. Quindi, il vero senso della
. elebrazione rimarrà pressoché assente.

In effetti, la comunione spirituale servirà non soltanto per supplire quella


acramentale, ma piuttosto, in un certo senso, sarà il segno dei nuovi tempi per
una pietà spirituale e sensibile, accompagnata da una forma solenne ed esteriore
che la riempirà di pomposa magnificenza. Nello stesso tempo, però, senza nutrire
l'anima, contribuisce a creare forme di spiritualità più intime e personali, tanto da
essere meno teologica e più affettiva. Certamente, l’elemento più negativo è
soprattutto la mancanza del senso sacramentale nella vita dei cristiani, che creerà
ancora una situazione ben lontana da quella in cui furono scritte le catechesi
mistagogiche dei primi secoli.

D'altra parte la stessa liturgia ha aperto il cammino ad una devozione sensibile


che, dal Medio Evo in poi, è nota tipica della vita cristiana occidentale e,
contemporaneamente, sarà nota caratteristica della devotio moderna che viene a
rappresentare il sinonimo della spiritualità dei tempi moderni e che si può
definire come «ricerca del contatto con il divino, visto sensibilmente
nell umanità di Cristo e sentita in un processo interiore, personale ed individua-
39 • •
le» . Proprio questo fatto giustifica una rottura col culto esterno, avvantaggiando
e cercando proprio l’interiorismo religioso.

39 E’ il vero momento di nascita dell’individualismo religioso: la salvezza non è tanto opera ottenuta
attraverso i misteri di Cristo totale, che è la Chiesa, ma è il risultato di uno sforzo psicologico. Questo
movimento di riforma spiritualistica aggancerà la sua ricerca di devotio moderna ad un forte impegno di
meditazione, che diventa non solo il mezzo di una nuova mentalità, ma anche il segno distintivo.

33
Di esso ne sarà il fondatore Gerardo Grote (1340-1384) che, nel 1377, si
assoggettò a Ruysbroeck nelfambito dei Paesi Bassi. Non si può certo negare che
la devotio moderna sia stata una forza poderosa di spiritualità cristiana ed un
movimento che lo Spirito Santo ha dato alla Chiesa. Però, a sua volta,
rappresenta una corrente spirituale che vuole supplire la spiritualità propria della
Chiesa, che è contenuta nella Liturgia, e che portava verso uno psicologismo
volontaristico ed individuale che alcuni decenni dopo porterà al personalismo
protestante. Questo ideale di devotio moderna, era comparso sin dall'epoca di
Gerardo Grote con chiari influssi sopra l'umanesimo e sopra la riforma
protestante, per la qual cosa godette, e molto, della stima di Lutero.

Il libro più importante è Ylmitazione di Cristo attribuito a Tommaso da


Kempis (1380-1471). Un altro testo molto famoso è anche la Vita Christi, seu
meditationes secundum seriem evangelistarum di Ludolfo di Sassonia40.

Potremmo commentare dal punto di vista della teologia liturgica un


cambiamento fondamentale. Mentre la Liturgia tendeva ad unire le anime con
Dio attraverso un contatto obiettivo con l'umanità di Cristo, (in tal caso è
importante ricordare le formule del Veronense) la devotio moderna mirò verso un
contatto immediato, individuale e personale, ottenuto attraverso un processo
psicologico, ossia attraverso uno sforzo di meditazione-contemplazione circa
l’umanità di Cristo. L ’imitazione di Cristo non nasce dalla presenza sacramentale
del Signore, come sviluppo della stessa, semmai procede da una visione di Cristo
che sta davanti a noi come esempio distaccato e che è tanto più valido quanto più
è capace di impressionare la nostra sensibilità. Un esempio concreto sono i
miracoli eucaristici, i miracoli dei santi, le apparizioni dei santi, e la venerazione
del Crocifisso.

Si può dire che la devotio moderna cerca di:

imitare Cristo non solo nella povertà e nell’umiltà (francescanesimo), ma


anche in tutte le virtù;

metodizzare l'orazione, qualcosa che già San Bonaventura aveva fatto,


così come Hugo de Palma, etc. Ora si va più lontano e si
suggeriscono i temi dell'orazione per ogni giornata, i quali indicano il
lavoro da realizzare per ogni potenza, classificano gli affetti,

40 «La frequente meditazione della Passione rende dottissimo anche l’indigente, e fa maestri gli inesperti e i
non istruiti: li fa maestri, cioè, non della scienza che gonfia, ma della carità che edifica. Questa meditazione è
un certo libro della vita, nel quale si trova tutto ciò che è necessario per la salvezza» ( Vita Christi, parte E, c.
LVm, 5).

34
organizzano i propositi sino a trasformare l'orazione in un esercizio
quasi meccanico;

dare grande importanza al raccoglimento. Per i grandi autori, la


mortificazione, l'intimità, il sentimento di umiltà ed il silenzio sono
un tutt'uno, una stessa cosa. Questo affanno di interiorità e questo
desiderio di piegarsi verso le zone più intime dell'anima si spiega
tenendo conto del momento storico in cui nasce la devotio moderna,
cioè l'epoca dello Scisma d’Occidente in cui la Chiesa sbaglia nel
sapere quale sia il suo vero Capo visibile, chi sia il Vicario di Cristo a
cui restare unita. Quando tutto è confusione al suo esterno, le anime
scelte cercano la luce e la pace nel silenzio, nel ritiro e nella
preghiera;

manifesta una grande avversione verso i fenomeni mistici e verso il


linguaggio confuso dei contemplativi. Con frequenza si parla della
vita estatica e su come essa non debba essere né stimata, né
desiderata, perchè vale più la vita umile e silenziosa. Quello che
importa è solo lottare con forza contro i vizi e le passioni; di
conseguenza gli scrittori sono ascetici ed utilizzano un tono vibrante
e bellicoso, per cui le parole “virilità” e “virilmente” risuonano tra
tutte in quanto rappresentano le clausole che meglio esprimono lo
sforzo e la tensione costante della volontà;

l'uomo, al fine di unirsi di più a Cristo, mira all'umanità del Signore e per
meglio entrare in un personale contatto con lui, desidera, vuole sapere
tutto ciò che lo riguarda e si occupa di tutti i particolari della sua vita,
facendone materia di meditazione. Così si meditano e si venerano le
ferite, le piaghe, le spine, le lacrime, il cuore, il volto, il capo e le
membra.

Dinanzi a tutto questo movimento, la critica principale che si può fare è che il
mistero di Cristo, così come esso viene presentato e vissuto nella Liturgia, nella
sua integrità ed obiettività, non gode più della centralità della vita cristiana; i
misteri di Cristo sono descritti come momenti successivi della rivelazione e del
suo mistero pasquale. Ora, tutto si concentra nella meditazione-contemplazione di
ciascuna delle parti dell'umanità di Cristo che ha lo scopo di suscitare, nella
meditazione della Passione, sentimenti di compassione. Maria, la Mater Dei,
diventa la Vergine dolorosa, (Mater Dolorosa), e la Madre che vive nella
desolazione (Mater Desolata) e tutto il Suo mistero va a concentrarsi in una
devozione-contemplazione delle sue glorie, delle sue gioie e dei suoi dolori.

35
Certo, non è esagerato dire che, almeno in estensione e come intensità, sembra di
assistere in questo tempo ad un risorgimento del cristianesimo, ma in realtà
bisogna pensare che ci troviamo dinanzi ad un cristianesimo come «religione
delle devozioni». A prima vista tutto sembra rimasto come prima tanto che ciò
contribuirà ad un’espansione del movimento, ma in realtà il nuovo culto
spirituale tenderà all’abolizione più o meno completa della stessa Liturgia.
Questo fatto lo si noterà soprattutto nel protestantesimo che darà massima
importanza alla Parola di Dio, ma solo come meditazione. In realtà al posto della
Liturgia della Parola per tanti secoli, ci saranno dei libri di meditazione e al posto
della preghiera comunitaria, ci sarà sempre di più una preghiera personale,
intimistica e privata.

A tale riguardo, Marsili, così commenta:«Era la riprova che una riforma


liturgica non si poteva raggiungere senza una teologia del culto cristiano in
quanto tale. Il tentativo di giungere ad un culto autentico passando solo per il
piano psicologico, se nella riforma cattolica porterà infatti alla Liturgia
dell’epoca barocca, che sarà solo degna figlia, un po’ ripulita, di quella
medioevale, nella riforma protestante la Liturgia sarà annientata definitivamente
da quelle stesse forze psicologiche (pietismo) con le quali si voleva riportare al
suo primitivo significato»41.

La riforma protestante.

La C o n t r o r i f o r m a trid e n tin a .

Da alcune parti si è affermato che la riforma protestante "fii anche


un'insurrezione antiliturgica". La conseguenza di ciò che avvenne la spiega
Marsili: «L'assenza sempre più profonda di una vera teologia della liturgia,
affogata, ormai, nel rigoglio lussureggiante dell'allegorismo più fantasioso e
vuoto»42. Lutero fa sentire la sua voce affermando che: «La predica, o sermone, è
l'unica cerimonia e l'unico esercizio di culto che Cristo abbia istituito, affinché in
essi i cristiani si raccolgano, si esercitino e si tengano devoti»43.

Su questo piano di condotta ed in questo ambiente, non si arriva ad una


riforma, semmai ad un’abolizione della liturgia. Però, la grande critica che si può
fare a Lutero è a proposito della sua totale incomprensione "del valore teologico"
della struttura liturgica.

41 Anàmnesis 1,68.
42 Anàmnesis 1,68-69.
43 MARTINL utero, Werke, ed. Weimar, 6,231.

36
La conclusione di Marsili è sempre la stessa: mancando una “teologia della
liturgia”, la riforma luterana «fece saltare l'antica struttura», ritenuta un
«conglomerato stanco ed inaccettabile».

La Controriforma tridentina si propose un tentativo di ritorno alle fonti


liturgiche ed alla autentica tradizione liturgica. La riforma liturgica tridentina,
anche se molto importante e benefica sotto certi aspetti, non portò ad una nuova
visione del culto tramite una teologia che escludesse la «messa sacrificio» e, al
medesimo tempo, patrocinasse un ritorno alla «comunione»44. Se la «devotio
moderna» aveva posto a base unica della vita interiore, la meditazione, dandole
un valore di preminenza, il protestantesimo assunse una posizione radicalmente
opposta: sul principio di una sola Scrittura, di una sola Fede e di un solo
Battesimo, abolendo - in pratica - tutta la prassi sacramentale, ritenne che la
predica o sermone fosse Tunica cerimonia e l’unico esercizio di culto che Cristo
abbia istituito per la sua Chiesa.

Senza negare i molteplici valori della riforma tridentina, dopo di essa e con
essa, la Liturgia seguitò ad essere quello che era, un culto esterno ed un fatto
clericale, distante dal popolo il quale, però, continuava a rifugiarsi nelle sue
pratiche devozionali, dentro e fuori della celebrazione liturgica, che comporterà
nel tempo una sovrabbondanza di devozioni. A tutto questo c’è da aggiungere
che Lutero, non percependo il «valore teologico della struttura liturgica», non
promosse alcuna riforma liturgica. Se il suo intento era quello di ritornare alle
origini, di fatto, proprio perché non riusciva a vedere nell’azione liturgica
l'attuarsi dell’avvenimento salvifico, in tutta la sua ampiezza, non fu in grado di
trovare quel contatto con la Chiesa antica, che pure cercava. La conseguenza più
grave sarà l’impoverimento della preghiera della Chiesa e la definitiva perdita di
quella grandiosa visione eucaristica dell’avvenimento della salvezza, che era viva
agli occhi della Chiesa primitiva.

Malgrado questi effetti negativi, lentamente, si cominciò ad insistere in


qualcosa che con il tempo sarà il cammino giusto onde arrivare ad una
comprensione teologica della Liturgia. In questa direzione, si inizierà a pensare e

44 In questa prospettiva, Marsili rende noto che, a motivo delFambiente devozionale-teologico, che si era
venuto a creare, e della pratica liturgica che si era instaurata, si notò sempre di più un’assenza di una vera
teologia della Liturgia, «affogata ormai nel rigoglio lussureggiante dell’allegorismo». In realtà, a motivo di
quel interiorismo psicologico e soggettivo, si fece quasi a meno della realtà sacramentale, oppure c’era la
tendenza di porre il sacramento stesso sul piano altrettanto psicologico e soggettivo, distaccandolo dalla
storia della salvezza. Pur polarizzando « l’adorazione» su Cristo presente nel sacramento dell’Eucaristia,
quella medesima «devozione» non riuscì a riportare gli uomini ad una vera partecipazione della messa, nel
senso che la comunione non veniva vissuta come partecipazione al mistero di salvezza, ma Gesù stesso era
pensato come «amico», «ospite» e «sposo», atteso per un intimo colloquio.

37
a scrivere che la Liturgia, specialmente la Messa, non è più un qualcosa di
clericalizzato, ma è una realtà viva che appartiene per diritto a tutto il popolo
cristiano, in quanto a tutti gli uomini è stato dato il dono ed il potere di essere
partecipi del sacerdozio di Cristo45 secondo le dimensioni regali e ministeriali.

Alla fine del secolo XVII, Letoumeux46, fu uno dei maggiori esponenti del
ritorno alla comprensione teologica della liturgia. Assieme al M u r a t o r i (1750)
la Liturgia cominciò ad allargarsi verso nuove prospettive che arriveranno alla
riscoperta teologica della liturgia stessa, anche se il loro discorso teologico si
riferirà esclusivamente all'aspetto sacrificale della Messa, insistendo sul concetto
che «il popolo unito al sacro ministro fa il sacrificio».

Il Muratori volle fare una pubblicazione completa di tutti i sacramentari allora


conosciuti nella sua opera Liturgia romana vetus, Venetiis, 1748. Egli voleva
offrire uno studio teologico-apologetico della messa come «sacrificio».

Dinanzi a questa panoramica storica e liturgica, conclude di nuovo Marsili:

«Non c'è, ancora, una teologia della Liturgia, ma si comincia a ritrovarne qualche
elemento e, soprattutto, lo studio delle antiche fo n ti liturgiche riscopre - finalm ente in
pieno terreno liturgico - una ricchezza di pensiero che impegna ad una riflessione che
47
sarà, ormai, non più solo storica, ma teologica» .

Oltre ai due autori sopra citati, quali esponenti di una nuova epoca, si possono
ricordare:
Card. Tornasi (+1713), che pubblicò per la prima volta il Sacramentario
detto Gelasiano e tre libri gallicani detti Missale Gallicanum, Missale
Francorum e Missale Gallicanus vetus;

Mabillon (+1707), che nella sua Liturgia Gallicani (Pariis 1685) riprese i
testi gallicani del Tornasi, in edizione migliorata con altre aggiunte di
altre fonti ancora inedite;

Martène (+1739), che pubblicò e studiò molti manoscritti liturgici in due


famose opere : De antiquis monachorum ritibus, Lione 1690 e De
antiquis Ecclesiae ritibus, Rouen 1700-1702;

Bianchini (+1764), che pubblicò l’edizione Anastasii Bibliothecarii de


vitis romanorum pontificum (conosciuto sotto il nome di Liber

45 Cfr. Anàmnesis 1,71, dove si parla della Lettera apostolica di Alessandro VII.
46 Una delle sue maggiori opere è L ’annéè chrétienne, scritta tra il 1677 ed il 1686, oltre alla quale ha scritto
nel 1685 un’altra opera: La meilleure manière d ’entendre la Messe.
47 Anamensis, 1,73

38
Pontificalis), oltre collezioni di messe, che vanno sotto il nome di
Sacramentario Leoniano (per l’attribuzione a Papa Leone Magno) o
di Veronese (per il luogo dove fu scoperto, cioè la Biblioteca
capitolare di Verona);

P. Lebrun (+1729), che pubblicò l’Explication littérale, historique et


dogmatique de la Messe, con l’appendice di molte Dissertationes
historiques et dogmatiques, varie di contenuto e di valore, nel 1727 a
Parigi ;

il Gesuita portoghese De Azevedo, al quale fu affidata la prima cattedra


di Liturgia (Accademia liturgica, voluta dal Papa Benedetto XIV);

l’italiano cistercense il Cardinale Bona (+ 1674), che scrisse Rerum


liturgicam libri duo e Divina salmodia, in Opera Omnia, Anversa
1739, che furono certamente tra gi studi più accurati e letti
dell’epoca.

I Bollandisti e la publicazione degli Acta Sanctorum.

2. VERSO IL MOVIMENTO LITURGICO.

2.1. LA SUA PREISTORIA: L’ILLUMINISMO.

Il Settecento è il secolo delVIlluminismo.

Ci interessa il Movimento Liturgico, ma prima bisogna accennare


all’illuminismo . Di esso si può dire che fu un movimento ideologico e culturale,
che informò di sé tutto il Settecento, inteso a portare i lumi della ragione in ogni
campo dell'attività umana, allo scopo di rinnovare non soltanto gli studi e le varie
discipline, ma la vita sociale intera, la cultura e le istituzioni, combattendo per
mezzo della critica gli infiniti pregiudizi, frutto d'interessato inganno, che
impediscono il cammino della civiltà e si oppongono al progresso e alla felicità
degli uomini. L'illuminismo fu il modo di pensiero organico della borghesia nella
lotta per la completa conquista del potere economico e politico e dell'egemonia
ideologica: come tale, lo si può vedere storicamente crescere per circa un secolo
dai tempi della Rivoluzione inglese del 1688 sino alla grande Rivoluzione
francese del 1789, stabilendo ben presto il suo fulcro e divenendo il vessillo di un
vero parti philosophe in quella Francia in cui alla preponderanza economica della
borghesia e alla crescente coscienza, da parte di tale classe, della propria

48 E. Kant diceva che «l ’illuminismo è l ’uscita dell ’uomo da una condizione di minorità di cui è egli stesso
responsabile».

39
funzione sociale propulsiva si opponevano tenacemente i radicati poteri politici e
privilegi civili dei nobili e del clero, alleati della monarchia assoluta. Meno
impetuosa e radicale fu la fioritura dell'illuminismo nella stessa Inghilterra, dove
esso era sorto con Locke, perché il nuovo equilibrio fra aristocrazia e borghesia
stabilì un clima favorevole al conservatorismo ideologico, che in filosofia si
rispecchiava esemplarmente nell'involuzione daH'empirismo lockiano
alfidealismo soggettivo del vescovo Berkeley e all'agnosticismo di Hume.

In Francia la congregazione benedettina di S. Mauro diviene grazie all’opera


di Mabillon uno dei grandi bastioni dell’Illuminismo della Chiesa francese. La
sua fiducia nell’associazione scienza e religione trova le sue radici profonde nella
teologia dell’Ècole fran9aise.

Vario fu, dunque, il modo d'intendere i valori inerenti l’uomo e la società


(Liberté, Egalité, Fratemité) che campeggeranno sulle bandiere della
Rivoluzione, ma la loro rivendicazione costituì comunque una tappa
fondamentale nella storia dell'umanità. La morale, sganciata dalla religione, si
poneva come obiettivo la "felicità per il maggior numero", riconoscendo i diritti
dei sentimenti e dei sensi e indicando nell'utilità sociale o bienfaisance la virtù
essenziale.

In realtà, non tutto era falso in questo secolo: le principali tendenze dell’epoca
spesso erano corrette; molte di esse trovano oggi la loro realizzazione più
autentica e vera, ma nel contesto di allora, anche quello che vi si trovava di vero
e di valido era impregnato dal veleno del razionalismo esagerato,
individualistico, e da tendenze spesso, almeno parzialmente, eretiche.

Per rendere giustizia alle tendenze di quest’epoca, in riferimento a A. L.


Mayer49, e come suggerisce B. Neunheuser50, bisogna distinguere quattro gruppi
di persone:

i sostenitori di uno scetticismo radicale e anticristiano;

i fautori di un’opposizione tra Cristianesimo positivo e religione naturale


(costoro, però, non intendono distruggere la fede cristiana);

49 Con A. L. Mayer possiamo dire che «con la sua lotta contro l'esuberanza del barocco, divenuta col
tempo puro vuoto, l'Eluminismo ha reso dei grandi servizi anche nel campo della Liturgia Innanzitutto ha
fatto della questione liturgica unfatto che riguardava la Chiesa; la Liturgia divenne un movimento liturgico
popolare». Tutto questo lo si vedrà ancora più chiaramente con la SECONDA PARTE di questa dispensa sulla
Teologia della Liturgia, in modo particolare, parlando di Beauduin.
50 B. NEUNHEUSER, E movimento liturgico: panorama storico e lineamenti teologici, Anàmensis 1,
13ss.

40
i teologi intermedi, che pur non toccando il sistema dogmatico della
Chiesa come tale, spiegano però i singoli dogmi nel senso di una
cosiddetta religione morale: sono i più numerosi, soprattutto fra i
cattolici;

uomini sinceri, teologi e laici, che avendo ben colto le vere lacune del
tempo, sono pronti ad “aggiornarsi”, ma nel senso più autenticamente
cristiano. Il rappresentante più eccellente fu il grande vescovo J. M.
Sailer.

In questo ultimo gruppo si devono annoverare i seguenti gruppi e


personalità:

Il Sinodo di Pistoia ed il suo programma di riforma (1786);

Muratori 1672/1750;

I libri liturgici, neogallicani, dei secoli XVII-XVIII;

J. M. Sailer - 1741/1832 .

E ’ importante tener conto di queste differenze se si vuole ben capire con quali
motivi gli uni e gli altri hanno lottato contro certe forme di culto, come ad
esempio le devozioni accentuate e rasenti il devozionalismo. Nello stesso tempo,
però, quello che falsificò tutto era un razionalismo esasperato, che trovò campo
fertile proprio nell’illuminismo che si sviluppò come una religione entro i limiti
della ragione pura, dell’utilitarismo e del filantropismo moraleggiante.

In tale prospettiva occorre considerare anche la Liturgia, che dal punto di vista
filosofico-teoretico, non è in primo luogo l’azione salvifica di Cristo, celebrata e
partecipata nel culto, ma piuttosto un mezzo per il progresso dell’individuo in
senso morale e pedagogico. Per rendere completo questo quadro, è bene fare una
valutazione dell’Illuminismo:

positiva: questo movimento ha lottato con ragione contro il fasto


esuberante del Barocco. Per la prima volta ha messo l’accento
sull’aspetto della pastorale liturgica. In sostanza la Liturgia dovrebbe
essere la sorgente della vita della Chiesa;

negativa: l’illuminismo ha intravisto la grandezza della liturgia da


lontano, ma non ha mai potuto condurvi i fedeli; non ha avuto la
chiave del sacrario interiore della Liturgia. E ’ rimasto troppo
prigioniero della dimensione umanistica e di un intellettualismo

41
soggettivo. Ha poi concesso troppo ai potenti contro la Chiesa ed il
papa. In ultima analisi, la Liturgia per rilluminismo era poco più che
un mezzo per l’educazione morale dell’uomo e non la realizzazione
dell’adorazione di Dio in spirito e verità.

Questa nuova epoca segnerà un grosso cambiamento nella storia della Chiesa
e della Liturgia, dal momento che da più parti si invocava un ritorno al vero culto
cristiano.

I primi impulsi e le prime realizzazioni di questo programma di rinnovamento


liturgico che sarà il movimento liturgico, esistevano già, in maniera sorprendente
per chiarezza di visione e tenacia di propositi, all'epoca dell'illuminismo.

Ma l'illuminismo51, sia nelle sue tendenze manifeste e sia nelle sue correnti di
fondo, si era lasciato troppo aggravare e guidare da elementi eterodossi e, per
conseguenza, la "restaurazione" rifiutò ogni riforma liturgica e si polarizzò in un
conservatorismo di stampo tradizionalistico.

Concentrando l’attenzione all’ambito dell’illuminismo religioso ed, in


particolare, quello cattolico, c’è da dire ancora che l’illuminismo denunciò la
pietà popolare perché nutrita da una certa superstizione e dal fanatismo, mentre
intendeva cercare una pratica religiosa illuminata dall’intelligenza e dalla cultura.
Allo stesso modo denunziò i vizi entrati nel culto liturgico. Lo stesso movimento
liturgico fu una risposta concreta alle provocazioni illuministiche e lo si può
considerare come un’epoca storica con una precisa identità. Lo stesso Papa Pio
XII, nel discorso di chiusura del Congresso di Assisi, il 22 settembre 1956, dirà
che il movimento liturgico è apparso come un segno chiaro della Provvidenza di
Dio nel nostro tempo presente, come un passaggio dello Spirito Santo sulla
Chiesa, per riportare gli uomini dinanzi ai misteri della fede, arricchirli della
grazia, al fine di renderli pienamente partecipi della vita liturgica. In una parola,
la Liturgia ritorna ad essere la via della Chiesa esprimendo in pieno la sua
attitudine religiosa come caratteristica principale, dinanzi al mondo.

51 SullTlluminismo: Che cos’è l ’illuminismo. I testi e la genealogia del concetto, a cura di Andrea
Tagliapietra, Bruno Mondadori. Leggiamo: «L ’illuminismo non può certo essere inteso come una dottrina,
né, tanto meno, come un insieme unitario di teorie riconducibili ad un’unica matrice teoretica...
l ’illuminismo è un contenuto infinitamente vario, che si manifesta in tali elementi: la lotta inesausta contro
le credenze soprannaturali della chiesa e le loro conseguenzepratiche...».
Il Sinodo di Pistoia

Il Sinodo di Pistoia rappresentò il fatto più interessante dell’Illuminismo


cattolico. Ebbe sette sessioni dal 18 al 28 settembre del 1786, con la presenza
variante di circa duecentocinquanta sacerdoti. Presieduto sempre dal De’ Ricci,
fu diretto per tutta la parte teologica dal Tamburini. Una delle sessioni più
importanti fu la Sessione IV che promulgò il decreto sull’Eucaristia.

I decreti del Sinodo pistoiese furono legati profondamente all’attività


riformatrice del De’ Ricci, come si può notare dalle sue pubblicazioni, raccolte
diligentemente dal Matteucci. Uno dei punti di battaglia fu quello di porre freno
al nuovo culto sul Sacro Cuore propagato dai Gesuiti, nonché dei Santi non
pienamente riconosciuti, delle reliquie e delle immagini della Vergine Maria. In
sostanza ci fu il tentativo di ritornare all’Eucaristia allontanando ogni sorta di
devozione popolare. Il Sinodo di Pistoia è un esempio classico di come una cosa
in sé giustissima (riforma della liturgia), se viene trattata con imprudenza,
indiscrezione, esagerazione, e soprattutto se è permeata di errori dottrinali,
rischia non soltanto di essere immediatamente respinta e condannata, ma anche
di ritardare per molto tempo (per più di un secolo e mezzo!) un processo di
riforma necessario. Oggi, dopo il Vaticano II, quasi tutti i progetti liturgico-
pratici del Sinodo vengono realizzati.

C’era la preoccupazione di un vero e proprio rinnovamento che lasciava


prevedere un programma piuttosto nutrito di obiettivi che favorissero un certo
cambiamento. Infatti, tra i voti di riforma, troviamo:

la partecipazione attiva dei fedeli al sacrificio eucaristico;

la comunione con le ostie consacrate nella stessa Messa;

una minore stima della Messa privata, unicità dell'altare;

una limitazione nell'esposizione delle reliquie sull'altare;

significato della preghiera liturgica;

la necessità di riforme del breviario;

la veridicità e storicità delle letture;

la lettura annuale di tutta la Scrittura;

la lingua nazionale accanto al latino nei libri liturgici.

43
Ma l'istanza centrale nella riforma liturgica dell'illuminismo cattolico era la
tendenza alla semplificazione... al carattere comunitario... alla comprensione e
all’edificazione del popolo cristiano.

“Semplificazione” voleva dire l'eliminazione di tutto il superfluo, di ogni


elemento che poteva essere inutile. Il rischio fu quello di giungere ad una
falsificazione della Liturgia eucaristica, considerata un semplice ricordo. Ma la
maggioranza chiedeva, soltanto, una semplificazione esterna, cioè la lotta contro
le esagerazioni a proposito di processioni, pellegrinaggi e confraternite, contro
gli abusi relativi a benedizioni ed esorcismi, soprattutto circa l'uso eccessivo
della benedizione eucaristica.

Uno dei punti fermi di questo Sinodo fu la centralità dell’altare, tanto che in
un certo senso ha anticipato uno dei punti centrali della dottrina del Concilio
Vaticano II. La condanna di questo Sinodo, da parte di Pio VI, con la Bolla
Auctorem Fidei e della Chiesa considerarono eretici i primi 15 decreti che
riguardavano la Chiesa e la gerarchia.

Il vescovo De’ Ricci subì un’umiliazione pubblica, fu abbandonato dai suoi


amici e morì in solitudine nel 1809.

A livello liturgico tra il Sinodo di Pistoia ed il Vaticano II, come differenza


sostanziale si può notare che nel Sinodo di Pistoia non fu prevista alcuna
preparazione catechetica, né teologica: il vescovo aveva l’idea di iniziare una
cosa nuova, ma senza una preparazione liturgica e teologica. Invece, il Concilio
Vaticano II ebbe dietro a sé un’importante movimento liturgico che comportò un
cammino ed una preparazione ad ogni livello: da quello storico, a quello biblico,
a quello patristico, a quello teologico, a quello sacramentale, a quello dottrinale,
a quello pastorale, a quello liturgico e a quello catechetico.

Alcune disposizioni sinodali riguardarono anche il culto della Vergine e dei


Santi nell’intento di combattere la superstizione popolare.

2.2. I l s e c o l o XIX: I l R o m a n t ic ism o .

Il fallimento dell’Illuminismo (con le sue conseguenze: Rivoluzione francese e


guerre napoleoniche) condizionò politicamente tutto il secolo. Tale
condizionamento si manifestò in tutta la cultura del tempo attraverso la
restaurazione, talvolta quasi cieca, di forme dell’Ancien Régime: il
romanticismo, il ritorno nostalgico al passato, al Barocco, al Medioevo. A questo
atteggiamento era legato un rifiuto definitivo di quasi tutto ciò che costituiva il

44
frutto dell’epoca precedente (anche nei suoi aspetti positivi). Quest’opera di
restaurazione si faceva spesso con vigore, con le migliori intenzioni, ma già
dall’inizio era condannata a un successo non durevole, piuttosto artificioso e,
quindi, spesso fiacco e perfino degenerato. L ’arte contemporanea ne è una chiara
testimonianza.

Nello stesso tempo, però, si manifestarono nuove forze assai più potenti dal
punto di vista materiale, ma più povere dal punto di vista spirituale:
l’industrializzazione, la tecnica, le scienze naturali, e con loro, l’indifferentismo,
l’anticlericalismo, il liberismo antiecclesiale, l’ateismo, il materialismo, il
comuniSmo. Con ragione A. L. Mayer ha potuto chiamare questo secolo il
“gnadenloses Jahrhundert” (il secolo senza grazia).

Al centro di queste tendenze, stranamente opposte, viene a trovarsi anche la


Chiesa, una Chiesa che va cercando di tracciare il suo cammino in correnti degne
di ammirazione, benché esse non portino a risultati veramente risolutivi. E’
nell’ambito di queste tendenze che deve essere vista la situazione generale della
pietà cristiana. C ’è un grande desiderio di santità, si fanno molti sforzi sul piano
spirituale, ma tutto questo si concretizza piuttosto nell’aumento di molte
“devozioni”, con conseguenti visioni parziali del mistero della salvezza e con una
situazione liturgica piuttosto “passiva” e stagnante.

Malgrado questi limiti, c’è - comunque - l’avvio verso un interesse nuovo per
la Liturgia e il Movimento Liturgico; anche se la reazione immediata
airilluminismo, cioè il Romanticismo, nulla dice sulla Liturgia, appaiono, però,
varie correnti, come, ad esempio, Sailer (+1832) che pose l’accento

32 Professore di teologia e Vescovo di Ratisbona, nacque ad Aresing in Baveria Superiore il 17 ottobre,


1751; morì il 20 maggio 1832, a Ratisbona. Sailer era il figlio di un calzolaio povero. Fino all’età di 10 anni
frequentò la scuola elementare nel suo luogo natio; successivamente egli divenne alunno del Liceo Classico
(Ginnasio) a Monaco di Baviera. Nel 1770 entrò nella Compagnia di Gesù a Landsberg in Baviera
Superiore come novizio; durante la soppressione della Compagnia nel 1773, continuò i suoi studi teologici e
filosofici ad Ingolstadt. Nel 1775 fu ordinato sacerdote; tra il 1777 ed il 1780 fu tutore della filosofia e della
teologia, e dal 1780, ricoprì l’incarico di secondo professore di dogmatica ad Ingolstadt. Conosciuto come
insegnante e come scrittore egli fu ripetutamente chiamato ad altri incarichi; fu, in termini di amicizia, in
contatto con Cattolici e Protestanti distinti, e fu stimato universalmente dai suoi alunni, fra i quali il Principe
Luigi, che più tardi divenne Re di Baviera. Nel 1818 Sailer declinò l'offerta del Governo prussiano per
averlo nominato Arcivescovo di Colonia; nel 1819 il governo Bavarese, attraverso l'influenza della Corona
del Principe Luigi, lo nominò come Vescovo di Augsburg, ma la nomina fu rifiutata da Roma. Nel 1821,
comunque, dopo che lui si giustificò sufficientemente da alcune accuse, fu nominato canonico della
cattedrale di Ratisbona; nel 1822 divenne vescovo ausiliare e coadiutore con diritto di successione; nel 1825
coperse l’incarico di prevosto della cattedrale, e nel 1829 divenne vescovo di Ratisbona. Egli visse nel
periodo dell’illuminismo, quando oltre ad esserci un rilassamento dei costumi ecclesiastici, ci fu una certa
divisione all’interno della Chiesa. Sailer cercò di ristabilire i principi fondamentali del cristianesimo,
attraverso la testimonianza della carità e la formazione più curata del clero. Difese strenuamente il primato
papale e riuscì a rinfoltire le file dei cattolici, con il ritorno di molti al cattolicesimo.

45
sulF importanza del culto nella vita della Chiesa. Per lui la liturgia doveva essere
l’anima vivificante attraverso la quale formare i fedeli in una società organica.

Più precisamente, nello spirito del Sailer, appare in Germania J. B. Hirscher


(1788-1865). Sorge anche a Tubinga una corrente cattolica, con J. A. Mòhler
o •

(1796-1838) , ed in Inghilterra ci sarà il cosiddetto "Movimento di Oxford", del


quale uno dei principali esponenti fu il Cardinal Newmann. Su questo terreno
culturale ed in questa sfera religiosa, affondarono le loro radici Dom Prospero
Guéranger e la sua opera, tanto che lo storicismo farà di lui un ricercatore ed un
divulgatore di antiche fonti religiose che rappresenteranno un’opera di grande
valore per il presente e per il futuro.

2.3. I l r in n o v a m e n t o m o n a s t ic o : D o m P r o s p e r G u é r a n g e r .

Questo rinnovamento monastico fu l'immediato punto di partenza del


movimento liturgico. Vide i suoi primi tentativi di realizzazione negli ambienti
monastici e, soprattutto, nel monastero di Solesmes (Francia) col Guéranger e a
Beuron (Germania), con i due fratelli monaci Mauro e Placido Wolter.

Neunheuser, a tale riguardo, è chiaro nell’affermare che «un rinnovamento del


monacheSimo benedettino al secolo X IX non è pensabile senza Prospero
Guéranguer (1805-1875)»54.

Uno degli elementi che egli riscoprì come essenziali per una vita
contemplativa era, appunto, la Liturgia e, precisamente, la Liturgia nella sua
forma romana55.

Guéranguer era un nemico dichiarato di ogni forma di gallicanesimo e,


vedendo nell'unità liturgica con Roma la premessa indispensabile per ogni vera

53 Mòhler vedeva nella Liturgia il principio vitale della vita cristiana. H concetto della Chiesa come popolo
di Dio, lo spinse a difendere l’uso della lingua volgare nella Liturgia. Ciò avvenne anche in Italia con
Antonio Rosmini, che morì nel 1855: anche lui insistette molto sulla dottrina del Corpo Mistico di Cristo,
con la conseguenza che ogni fedele doveva partecipare ai sacramenti secondo la virtù del carattere
sacerdotale ricevuto dal Battesimo.
54 A tale riguardo, cfr.: C. JOHNSON, Prosper Guéranger. A Liturgical Theologien. An Introduction to this
liturgica! Writings and work, Studia Anselmiana 89, Analecta Liturgica 9, Roma, 1984.
55 Per attuare il suo disegno nel 1833 acquistò l’antica Abbazia di San Pietro di Solesmes, soppressa nel
1791 e destinata alla demolizione, e vi ristabilì la vita benedettina Egli non seguì la linea di Giansenio, ma
volle ritornare al senso della Chiesa Universale e al senso della Liturgia Universale, mediante la dottrina del
Corpo Mistico di Cristo, sia a livello pastorale, sia a livello liturgico.

46
vita ecclesiale, combattè, non solo le liturgie cosiddette neogallicane, ma anche
ogni piccolo residuo proveniente dall'antica e veneranda tradizione gallicana.

Le sue opere fondamentali sono:


1830: Considerations sur la liturgie catholique ;

1840-1851: Les Institutions liturgiques

841-1866: L ’année liturgique

Con queste opere diede impulso ad un vero e proprio movimento liturgico.


Egli voleva promuovere tale movimento soprattutto sotto l’aspetto gerarchico,
perché per lui la “gerarchia” voleva dire la Curia Romana. Con l’Année
Liturgique egli scrisse un commentario liturgico riguardante tutto PAnno
Liturgico. Guéranger morì prima di ultimare i 19 volumi di questo commentario.
Nel movimento liturgico da lui promosso, mancarono tuttavia due principi, oggi
affermati: l’esatta possibilità di riformare cerimonie e libri liturgici e l’altra di
poter usare la lingua volgare. Con la presenza dei monaci egli ebbe la possibilità
di mostrare a livello pratico quello che voleva realizzare, tanto che il monastero
da lui rifondato divenne un punto centrale di riferimento per la Chiesa stessa.

Per Guéranger la liturgia doveva essere la preghiera della Chiesa. Infatti, egli
intendeva affermare la superiorità della preghiera liturgica rispetto a quella
individuale. Per lui il latino era una lingua sacra, rappresentava la tradizione,
anche se era una lingua misteriosa e sconosciuta per il popolo che, per Guéranger
non poteva, né doveva comprendere tutto.

Con il Guéranguer non ci fu un apporto positivo sufficientemente valido per


una teologia della Liturgia e l'amore che egli nutriva per la Liturgia (e che fece
anche nascere in alcuni ambienti di élite culturale), rispondeva, soprattutto, al
tradizionalismo sentimentale e nostalgico che pretendeva vedere nel Medioevo
l’espressione più autentica della vita della Chiesa, in quanto lo si considerava
permeato di Liturgia.

Con l’inizio del movimento liturgico, Guéranger, insieme ad altri promotori,


oltre a far intendere ai vescovi della Francia come fosse giunto il momento di
rinunciare agli individualismi liturgici, ebbe il merito di sottolineare la presenza
dello Spirito Santo nella celebrazione liturgica, al popolo: non si trattava di una
questione collettiva, ma ogni cristiano doveva prendere coscienza di questa
presenza particolare. Inoltre, Guéranger volle promuovere il ritorno al canto
gregoriano nel quale vide il canto ufficiale della Chiesa di Roma, e lo voleva
affermare al posto del canto popolare. Il punto di riferimento per il gregoriano fu

47
il monastero di Solesmes, dove i Benedettini si impegnarono per far rifiorire la
tradizione del canto gregoriano che non fu facile da reintrodurre nella tradizione
della Chiesa.

Comunque, il problema con la diversità liturgica in Francia, fu determinato


soprattutto dall’infedeltà verso Roma.

Andando avanti, il movimento spirituale di Dom Guéranger ebbe un


felicissimo trapianto in Germania con l’apertura dell’antica Abbazia di Beuron,
nel 1863 ad opera dai fratelli dom Mauro e dom Placidus Wolter, ambedue
Benedettini, già abituati alla vita del monastero di Solesmes. Essi vollero
mantenere la stessa riforma monastica e liturgica in Germania56. Dunque, a
fianco della Regola, anche la liturgia assunse il posto centrale “nell'ascesi del
monaco” e nella vita stessa del monastero, tanto da redigere una medesima regola
liturgica. Nei primi anni di Beuron ci fu il desiderio di promuovere una liturgia
romana, mediante anche una stretta osservanza della regola monastica.

Circa vent’anni dopo l’esperienza di Beuron, nel 1884, Dom Anselm Schott,
anche lui monaco di Beuron, pubblicò il primo messale latino-tedesco che ebbe
un grande successo. Undici anni dopo pubblicò il Libro dei Vespri, creando delle
nuove prospettive.

Un altro merito di Beuron fu quello di aver dato alla luce la scuola di arte, che
fu fondata da Desiderio Lenz che cercò di integrare l’unità artistica in un singolo
spazio liturgico e di creare una certa armonia tra la Liturgia e l’Arte. Questo
nuovo stile si diffuse ben presto in tutto il mondo.

Un altro fatto importante seguì nel 1872 quando un gruppo di monaci di


Beuron si era stabilito in Belgio per restaurarvi la vita benedettina estinta dalla
Rivoluzione francese. Ebbe così origine l’Abbazia di Maredsous, dove Dom
Gerardo van Caloen iniziò il rinnovamento liturgico. La stessa cosa, più o meno,
avvenne in Germania, presso un altro monastero, Maria Laach, che fu rifondato
nuovamente, sempre dai monaci di Beuron. Esso divenne un importante centro di
dottrina e di riforma tedesche. Nel 1913, prima di diventare abate, Ildelfons
Herwegen (+ 1946) incontrò un gruppo di giovani laici i quali espressero il
desiderio di una maggiore partecipazione liturgica. L'anno seguente, il nuovo
abate invitò lo stesso gruppo al monastero per la Settimana Santa del 1914 dove
essi celebrarono insieme la Messa dialogata per la prima volta.

56 Anche a Beuron, non meno che a Solesmes, resta determinante un'assoluta ammirazione per il carattere
classico della Liturgia romana. In ambedue i casi, si arrivò alla riscoperta di un'autentica celebrazione
eseguita in onore di Dio, la grande cura per un'apprezzabile canto gregoriano e lo sforzo di dar vita ad un'arte
sacra di forte espressività.

48
Herwegen, con due suoi monaci, Cunibert Mòhlberg e Odo Casel (+1948), e
in collaborazione con Romano Guardini, F. R. Dòlger e Anton Baumstark,
aprirono la strada al Movimento Liturgico tedesco. Herwegen ebbe una visione
globale a livello liturgico-teologico.

La prima messa versus populum, con una partecipazione attiva del popolo,
avvenne nella cripta del monastero di Maria Laach, il 1° agosto del 1926: vi era
presente anche Burkhard Neunheuser, quando ancora era novizio.

Conclusione: alcuni studiosi ritengono che Guéranger, pur avendo avuto grossi
meriti nel campo liturgico, non può essere considerato il vero fondatore del
Movimento Liturgico in Francia. Lui si era fermato al periodo Medioevale per
attuare la sua Riforma, per cui la sua opera appare incompleta. Non essendo
ritornato alle fonti della Chiesa primitiva, non ha potuto conoscere a fondo la
tradizione della Chiesa, sin dal suo sorgere. Malgrado ciò egli è da considerarsi
uno dei pionieri del movimento liturgico il quale ha continuato a dare il suo
contributo sino al Concilio Vaticano II, quando la Riforma Liturgica inizierà a
creare importanti premesse per la Chiesa del terzo millennio.

Tutto questo null'altro era se non un periodo di incubazione e di preistoria


senza il quale non sarebbe stato pensabile il rinnovamento liturgico posteriore.
Questo nuovo atteggiamento interiore sarà terreno pronto a ricevere tutto quello
che avverrà, a cominciare dalle riforme di papa San Pio X, in materia di vita
ecclesiale e specialmente nell’ambito liturgico.

In questo senso, è fondamentale riferirsi al Motu Proprio Tra le sollecitudini


( 1903) di Papa San Pio X , il quale afferma che la liturgia costituisce la prima e
indispensabile fonte del vero spirito cristiano. Questa solenne affermazione non
descriveva la situazione dell’epoca, che nella liturgia non vedeva altro che un
ordinamento esterno dei riti religiosi cristiani ordinamento che aveva uno scopo
estetico-edificatorio, più che un senso sacro e sacramentale.

49
DOM GUÉRANGER ALL’ORIGINE
DELLA TEOLOGIA DELLA LITURGIA

Una vita fondata sulla liturgia

Nel suddetto contesto si collocano il contributo di Dom Prosper


Guéranger e le sue opere, al punto che lo storicismo farà di lui un
investigatore e un divulgatore delle antiche fonti religiose che
rappresenteranno u n ’opera di grande valore, al suo tempo come in seguito.
Guéranger nasce il 4 aprile 1805 a Sablé-sur-Sarthe e nello stesso
giorno riceve il battesimo nella chiesa di Notre-Dame di Sablé, evento che
cogliamo l ’occasione di commemorare.
N on parlerò molto della sua vita. Nel corso di queste Giornate di
studio, sarà ampiamente illustrata. Mi limiterò a menzionare i fatti e a dare
una sintesi della sua vita con le parole pronunciate dal cardinale Édouard
Pie nel corso della sua orazione funebre: “La vita liturgica della Chiesa era
divenuta la sua vita personale e costituiva il metodo della sua potente
spiritualità. Impegnato a fare della teologia il nutrimento e la linfa vitale
della devozione, egli si differenziava da altri, con cui pure simpatizzava per
coincidenza di pensiero ed un fondo dottrinale comune (nominerò qui
W illiam Faber)..., poiché aveva u n ’impronta caratteristica tutta sua: per lui
l’ordine dell’orazione e dei santi affetti, tutta la pratica della vita e delle
virtù cristiane si regolavano sul movimento e sul segnale quotidiano della
liturgia”57.
U na vita dedicata alla ricerca continua della volontà di Dio,
attraverso la cura di una comunità e l ’attenzione alla celebrazione e alla
vita liturgica.

Il rinnovamento monastico: Dom Prosper Guéranger

Come è stato ribadito precedentemente, il rinnovamento monastico


fu il punto di partenza del rinnovamento liturgico e del movimento liturgico
posteriore.

Orazione funebre del Reverendissimo Padre dom Prosper Guéranger, abate di Solesmes, superiore della
congregazione benedettina di Francia, pronunciata dal vescovo di Poitiers nella chiesa abbaziale di S.
Pietro di Solesmes il 4 marzo 1875, p. 20-21.

50
Furono alcuni monaci benedettini che diedero il primo impulso e che
formularono il pensiero teorico iniziale, permettendo così di concepire,
studiare e vivere il fatto liturgico in un modo nuovo.
N ella storia della liturgia ci sono pochi casi come quello di
Guéranger, per il quale la vita monastica è intimamente legata alla vita
liturgica. Dom Capelle dice chiaramente: “la fondazione di Solesmes resta,
58
in definitiva, la grande opera liturgica di dom Guéranger” .
Curiosa affermazione che m ostra come le due realtà sono allo stesso
tempo unite e indispensabili: chi pensa di fare una fondazione monastica ha
precedentemente pensato una liturgia, al punto che vita monastica e vita
liturgica possano identificarsi.
Per chi affronta la vita e l ’opera del restauratore di Solesmes, la
prim a cosa che provoca impressione e ammirazione è il suo amore per la
liturgia rom ana e il suo desiderio di metterla in pratica nel contesto
monastico.
Liturgia e monacheSimo sono talmente uniti tra loro, che l ’uno non
può essere compreso senza l’altra. Senza questo principio, l ’opera di
Guéranger è difficilmente concepibile.

La restaurazione liturgica: ritorno alla liturgia romana

Uno degli elementi che lui ha riscoperto come essenziale per la vita
benedettina, è, precisamente, la liturgia e, soprattutto, la liturgia nella sua
forma rom ana59.
Lo si è detto e ribadito, Guéranger era nemico dichiarato di ogni
forma di gallicanesimo, e lottò senza tregua per ottenerne l’estinzione in
numerose diocesi di Francia nel XIX secolo60. Lui ha combattuto non solo
le liturgie dette “neo-gallicane”, m a anche ogni residuo, per quanto piccolo,
proveniente dall’antica e venerabile tradizione gallicana61.
Basta aprire una qualsiasi delle sue opere per rendersene conto.

58 B. CAPELLE, “Dom Guéranger e lo spirito liturgico”, Questioni Liturgiche eParrocchiali 22 (1937),


p. 136.
59 Cf. C. JOHNSON, Prosper Guéranger. Un teologo liturgico. Introduzione ai suoi Scritti e Lavori
liturgici, StudiaAnselmiana 89 (Analecta Liturgica 9), Roma, 1984.
60 Un punto di vista più recente può interessarci: G. O’CONNOR, «Il “Messale Parigino” del 1738: un
resoconto attuale», Éphemerides Liturgicae, p .l 17 (2003) 195-220.
61 È interessante vedere come S. Marsili interpreta la stessa idea: “Mentre i suoi amici Lamennais,
Lacordaire e Montalember battagliano a favore di Roma nel campo dei principi a base di dimostrazioni
astratte, dom Guéranger risale il corso della tradizione per ciò che riguarda un punto particolare della vita
religiosa della Francia, la cui portata è immensa: la liturgia”, cf. S. MARSILI, “Nel centenario
solesmense. Ricordando l’opera liturgica di dom Guéranger”, Rivista Liturgica 24/9 (1937), p. 199.

51
Sicuramente il problema della diversità liturgica in Francia fu
determinata soprattutto dall’infedeltà verso Rom a62.
Guéranger, innamorato della liturgia e del seggio romano, concepisce
la celebrazione come un’estensione della “rom anità” della Chiesa che
prevedeva l’unità liturgica con Roma, prem essa per lui indispensabile alla
vera vita ecclesiale. Le sue opere concernenti la liturgia (1830:
Considerazioni sulla liturgia cattolica; 1840-1851: Le Istituzioni liturgiche;
1841-1866: L ’anno liturgico) sono un inno alla liturgia, fedele alla
tradizione romana, in comunione con il seggio di Pietro, in unione con le
chiese che restano fedeli alla liturgia rom ana63.
Con queste opere, egli diede impulso ad una vera e propria
restaurazione liturgica. V oleva promuovere un movimento di ritorno alla
vera liturgia che, per lui, era solo quella romana. Ciò che lo guida è il suo
amore per la gerarchia, vale a dire la Curia romana.
In questa restaurazione liturgica, c ’è una serie di punti fondamentali,
come i due principi dell’impossibilità: 1) impossibilità di riformare
cerimonie e libri liturgici, 2) uso della lingua volgare.
I suoi commenti sul latino come lingua esclusiva del culto si trovano
nella seconda metà della sua opera, Le Istituzioni liturgiche.
II ritorno alla vera tradizione spiega la sua decisione di utilizzare di
nuovo i libri romani. Con la presenza dei monaci nell’antico priorato, che
presto diviene abbazia, Guéranger ebbe l ’opportunità di mostrare in pratica
a tutta la Chiesa ciò che desiderava realizzare. Il monastero da lui
restaurato divenne, quindi, un punto di riferimento nel mondo cattolico.
Solesmes utilizza unicamente i libri dell’antica liturgia romana.
Se la liturgia è corpo mistico del Cristo vivificato dallo Spirito e voce
orante dello Spirito che sale dal più profondo del cuore della Sposa, allora
bisogna pensare, pregare e vivere come fa Roma. I particolarismi e i
nazionalismi non hanno valore. Per Guéranger, la liturgia doveva essere la
preghiera della Chiesa, dell’unica Chiesa cattolica.
Infatti egli cercava di affermare, come già affermato, la superiorità
della preghiera liturgica rispetto alla preghiera individuale. E, soprattutto,

62 Nel 1840-41, apparvero le Istituzioni Liturgiche di dom Guéranger. Con il suo senso della tradizione e
il suo ardore combattivo, l’abate di Solesmes denunciava “l’eresia antiliturgica” e il giansenismo come i
grandi responsabili delle innovazioni gallicane del XVIII secolo. Dopo vivaci polemiche, i vescovi di
Francia tornarono gradualmente alla liturgia di Roma, cf. J. GAILLARD, “Gallicana (Liturgia)”,
Cattolicesimo, t. IV, 1730.
63 La viva FEDE di dom Guéranger, la sua profonda conoscenza della storia della chiesa, delle sue
istituzioni, del diritto canonico, lo fecero intervenire nei dissidi religiosi del suo tempo, apportandovi
quelle soluzioni sicure della dottrina cattolica suggeritegli dal suo limpido e sicuro discernimento.
Questo, l ’assoluta fedeltà alla chiesa cattolica e ai suoi insegnamenti è stata la ragione della sua vita, e ne
spiega l’eccezionale fecondità, tutta ispirata alla difesa della chiesa e delle sue dottrine, cf. A.
GÉNESTOUT, “Guéranger”, Enciclopedia Catòlica, t. VI, p.1226-1227.

52
come uomo di tradizione, egli si sente in comunione con tutti gli oranti di
tutti i tempi. In questo modo, la liturgia fa della Chiesa una società di lode
divina. La liturgia è la preghiera perfetta che lo stesso Spirito suggerisce
alla comunità di cristiani che formano la Chiesa. Così comincia, con
Guéranger, il ritorno alla celebrazione liturgica come fonte di spiritualità e
come comunione ecclesiale.

Relazione tradizione-liturgia

Dom Guéranger insiste che le verità della fede si nascondono nella


liturgia; più ancora, pensa che esiste una relazione intima tra la tradizione e
la liturgia, e che per “liturgia” bisogna intendere la Tradizione della Chiesa.
La conclusione immediata è chiara: occorre aprire questi tesori ai fedeli.
Io accetto interamente l ’opinione di dom Oury il quale diceva che
«dom Guéranger considerava la liturgia il mezzo per far ritrovare ai fedeli
il senso perduto della Tradizione; voleva che con i suoi monaci il maggior
numero possibile di anime fosse “modellato sulla grande devozione alla
Chiesa”, in unione permanente con la preghiera pubblica trasmessa di
generazione in generazione fin dalle origini. Sono i Padri che hanno creato
i testi maggiori della liturgia; in essi hanno mostrato come leggere il
Vecchio Testamento alla luce del Nuovo; gli hanno conferito quel carattere
unico che essi desideravano far condividere ai fedeli del loro tempo. Dom
Guéranger ha ripreso la loro scuola e ha trasmesso il loro insegnamento ai
cristiani del suo tem po»64.

La liturgia come “luogo teologico”

Guéranger considerava la liturgia come un luogo teologico di prima


categoria perché è l ’espressione fedele della dottrina dei Padri, e di
conseguenza della Chiesa.
A fronte della dispersione liturgica francese dovuta alle liturgie
gallicano-gianseniste, Guéranger cerca, con tutti i mezzi, l ’unità con la
liturgia rom ana per trovare, in questo modo, il cammino tanto desiderato
dell’unità con la chiesa di Roma, e attraverso questa, con tutta la Chiesa di
tutti i tempi.

‘ OURY, art. cit., p. 207.

53
U na volta ammesso il valore teologico della liturgia, la sua funzione
di insegnamento e di divulgazione del dogma non potrebbe sussistere se
essa non fosse l ’espressione delPunione con la chiesa principale65. La
tradizione passa per l’unione attraverso Roma e con Roma.
In quell’epoca, queste idee non erano né diffuse, né particolarmente
amate. Al contrario esse provocarono critiche da parte della gerarchia
francese, e di conseguenza furono ampiamente discusse. Si conoscono le
critiche del vescovo di Orléans, M onsignor Fayet, sulle Istituzioni
Liturgiche, critiche che riflettevano una conoscenza della liturgia
esclusivamente rubricista e canonica, e dunque si comprende perché egli
non poteva ammettere le posizioni teologiche di Guéranger in merito alla
liturgia e alla sua celebrazione. Per il vescovo l ’errore dell’abate di
Solesmes era precisamente di aver attribuito alla liturgia un valore e delle
caratteristiche dogmatiche66.
Due modi di affrontare la realtà liturgica sono qui a confronto. Per il
vescovo di Orléans, “la liturgia è un puro affare di disciplina ecclesiastica”,
mentre dom Guéranger le conferisce un carattere dogmatico.
Le tre lettere di Mons. Fayet indicano chiaramente la visione
teologica di dom Guéranger. M a la polem ica diede i suoi frutti. Numerosi
vescovi si schierarono dalla parte dell’abate di Solesmes e, in più,
cominciarono ad adottare il rito romano nella loro giurisdizione.

Una disputa liturgica

Le tre lettere scritte in risposta a Mons. Fayet, vescovo di Orléans,


sono l ’espressione di due modi differenti di concepire la liturgia: il modo
“teologico” di Guéranger e il modo rubricista e cerimoniale del vescovo di
Orléans.
Le lettere sono state scritte per rifiutare l’esame delle Istituzioni
Liturgiche. La prima e la seconda risalgono al 1846, mentre la terza è del
1847, cioè quando Guéranger era in piena produzione.

65 “Considerata da una parte la liturgia come un luogo teologico di prima categoria, perché espressione
fedele della dottrina dei Padri e del senso della Chiesa; e considerato il fatto della dispersione liturgica
avvenuta in Francia dal sec. XVI, in poi, sotto l’impero e l’ispirazione gallicano-giansenista, s’imponeva
di necessità un ritorno all’unità della liturgia romana per ritrovare la via all’unità viva della FEDE di
Roma”, S. MARSILI, nel centenario solesmense. Ricordando l’opera liturgica di dom Guéranger, art.
cit., p. 200.
66 Furono pubblicate nella seconda edizione, quarto volume, delle Istituzioni Liturgiche, cf. P.
GUERANGER, Istituzioni Liturgiche, Seconda edizione, tomo quarto, Polemica Liturgica, Société
Générale de Libraire Catholique, Paris, 1885.

54
Il problem a di fondo era il valore dogmatico della liturgia. La
questione dogmatica, in quanto tale, sollevava il problem a teologico con
delle ripercussioni profonde nella liturgia. È attraverso questo cammino che
si arriva al senso teologico della liturgia. Per Guéranger, liturgia e
tradizione sono la stessa cosa: “La liturgia è dunque una vera professione di
fede; essa contiene la fede della Chiesa”. Questa espressione è
costantemente presentata all’attenzione di chi legge le Istituzioni liturgiche.

“La liturgia si com pone in gran parte di form ule positive nelle
quali è contenuta la fede della Chesa’’67.

In opposizione al vescovo che negava il valore dogmatico della


liturgia, l’abate di Solesmes insiste su due aspetti: il valore tradizionale della
liturgia e il fatto che quest’ultim a è una vera professione di fede, perché
contiene la fede della Chiesa, essendo il suo principale strumento di
trasmissione.
N on c ’è dubbio che la liturgia e la tradizione si identifichino, secondo
il restauratore di Solesmes, a tal punto che egli non esita a dire che la Chiesa
parla e insegna attraverso la liturgia.

“ La liturgia non è soltanto la guida che la C hiesa ci offre per la


com prensione della Scrittura; essa è anche, per m ezzo delle sue formule
di stile ecclesiastico, il deposito della dottrina cattolica”68.

N ella risposta che Guéranger dà al vescovo di Orléans, insiste che la


liturgia non è semplicemente una questione di disciplina, come sosteneva il
vescovo, m a il deposito della tradizione e, di conseguenza, essa possiede un
valore dogmatico69.

La teologia liturgica

Facciamo ora un passo in più, arrivando così al cuore del nostro


problema.
N ella prem essa della sua opera, Le Istituzioni Liturgiche, dom
Guéranger sostiene chiaramente che sotto il titolo di Teologia Liturgica
vuole racchiudere tutto ciò che scrive, e commenta:

Tomo IV, p. 461.


** Tomo IV, p. 392.
69Ibid., p. 407.

55
“Dopo aver sviluppato in dettaglio tutte le parti di questa Somma,
noi la facciamo seguire da numerosi trattati speciali nei quali
esaminiamo: 1° le regole del simbolismo in materia di Liturgia; 2° la
lingua e lo stile della Liturgia; 3° il diritto della Liturgia; 4° l’autorità
della Liturgia, come mezzo di insegnamento nella Chiesa, e terminiamo
quest’ultima sezione del nostro argomento con un piccolo lavoro nel
quale, sotto il titolo di Teologia liturgica, abbiamo collocato in ordine di
materia tutto ciò che la Liturgia, tal quale Roma la promulga, offre a
chiarimento del dogma e della morale cattolica. La Liturgia è una cosa
così eccellente che, per trovarne il principio, bisogna risalire fino a Dio;
perché Dio, nella contemplazione delle sue perfezioni infinite, si loda e
si glorifica incessantemente, proprio come si ama di un amore eterno70.

Dom Guéranger nutre per tutta la vita l’idea di elaborare concretamente


una teologia liturgica. Le Istituzioni dovevano essere un trattato completo,
come una Somma liturgica, m a non furono terminate.
Così, nel terzo volume delle Istituzioni Liturgiche, che apparve nel
1851, nella premessa, egli insiste sul fatto di aver promesso un volume
speciale dedicato proprio alla liturgia teologica:

“Noi vogliamo parlare della nostra Teologia liturgica, che formerà un


robusto volume. La nostra seconda lettera a Mons. Fayet ci ha costretto ad
anticipare la questione del valore teologico della Liturgia”71.

Un robusto volume. N on c ’è dubbio che fosse u n ’idea costante che -


come tante altre - non ha potuto essere realizzata. Tuttavia, chi legge tutto il
quarto volume delle Istituzioni Liturgiche può raccogliere —come abbiamo
fatto noi — idee, suggerimenti, pensieri che l ’autore tra i pionieri della
visione teologica della liturgia. Con dom Cabrol, possiamo dire che
“Guéranger fu un pioniere che ha aperto la via”72.

Iniziatore di un nuovo modo di accostarsi al fatto e al dato liturgico

N on c ’è dubbio che dom Guéranger vede la liturgia da una prospettiva


nuova e distinta. Dom Oury lo dice molto chiaramente:

70 Tomo I, Les Institutions Liturgiques, p. 16.


71 Tomo IH, LXX.
CABROL, “Guéranger”, dizionario di archeologia cristiana e di liturgia, tomo sesto, Seconda parte, p.
1878.
“La storia della liturgia non occupa il primo posto nelle intenzioni
dell’Abate di Solesmes: egli si pone come teologo della liturgia, e questa
scelta influisce sul suo metodo. È infatti alla maniera di un teologo che egli
procede, partendo dall'insegnamento della Chiesa, dagli atti del Magistero;
si sforza di apprezzarne la portata e di giustificarli con argomenti razionali
o storici agli occhi dei suoi lettori. Alla base del suo approccio, c’è un atto
di fede nella presenza permanente dello Spirito Santo nella Chiesa, che
guida il suo insegnamento e la sua pratica legittima (la praxis) nel corso dei
secoli”73.

Riferendosi fondamentalmente alle Istituzioni Liturgiche, dom Oury


dichiara: “l ’opera è innovativa per il suo piano e la sua concezione; è una
:eologia liturgica alla quale manca la parte principale”74.
Q uest’ultim a annotazione mi interessa. N on si può certamente
considerare come un manuale di teologia liturgica, almeno nel senso in cui
lo intendiamo oggi; non gli mancherebbe tanto un fondamento teologico -
:he possiede - quanto uno sviluppo progressivo delle nuove idee che
enuncia. Sicuramente, l ’opera rappresenta un abbozzo delle grandi idee che
sorgeranno nel corso del secolo seguente.
C ’è, insisto, uno schizzo di quelle idee, e soprattutto una volontà
marcata di dare un fondamento teologico a tutta la liturgia. A partire da
questo, e attraverso intuizioni più o meno sviluppate, “si delineano già una
oologia della Chiesa e una teologia della liturgia imperfettamente
formulate, sufficientemente precise, tuttavia, perché egli vi faccia spesso
riferimento nelle sue risposte alle obiezioni che gli saranno mosse nel corso
iella controversia. Egli ha ravvisato nella liturgia la principale
manifestazione della Chiesa e della sua natura autentica; in un certo modo,
fi può dire che la liturgia è alla base della vita del Corpo m istico”75.
In una frase profondamente teologica, Guéranger dirà:

“Visto che la liturgia ha tra i suoi scopi principali quello di


manifestare pubblicamente la verità che Dio ha conferito alla Chiesa al
fine di inculcare più profondamente nello spirito dei popoli i dogmi
rivelati, non è sorprendente che le formule sacre contengano la regola
inviolabile della fede”76.

Una frase che in seguito conquistò il movimento liturgico belga:

JURY, art. cit., p. 189.


* Ibid., p.189.
IbieL, p. 189.
Les Institutions Liturgiques, t. IV, p.387.

57
«La continuità tra il Movimento liturgico belga e le Istituzioni di
dom Guéranger è indiscutibile, almeno per ciò che concerne gli elementi
centrali di una teologia della liturgia, le sue componenti cristocentriche,
ecclesiologiche e ultramontane e i suoi influssi su una “sociologia
cattolica”. E sono le stesse difficoltà emerse dai presupposti guérangeriani
che riappaiono di fatto alla lettura dell’opuscolo di dom Lambert
Beauduin, La Devozione della Chiesa, comparso nel 1914, vero piccolo
manifesto di questa nuova fase del Movimento liturgico»11 .
• •

N on c’è dubbio che le intuizioni del pioniere Guéranger siano servite


da base per tutto ciò che, pochi anni dopo, sarà la nascita del movimento
liturgico, all’interno di un mondo monastico che recupera la fiamma
accesa a Solesmes. È chiaro che “le intuizioni del giovane abate
Guéranger restano ancora profondamente stim olanti...; Guéranger è tra
coloro che hanno aperto un fruttuoso e ricco campo di esplorazione e di
restituzione dell’affermazione storica della diversità cristiana, e non ha
temuto di fornire, in merito, testimonianze di M eaux (Concilio dell’845?),
riportando certi testi n eìVAnno liturgico.

Conclusioni

Con la base teologica della sua visione liturgica, dom Guéranger apre
una prospettiva nuova quando si tratta di esaminare la realtà liturgica, di
interpretare la celebrazione liturgica e di vivere un tipo di spiritualità che
ha come punto di partenza quella stessa celebrazione.
Figlio del suo tempo, egli apre nuove strade che l ’avvenire saprà
sviluppare.

77 J.-Y. HAMELINE, “Liturgia, Chiesa, Società. Alla nascita del Movimento Liturgico: Le considerazioni
sulla liturgia cattolica dell’abate Prosper Guéranger (Memoriale cattolico 1830)”, La maison Dieu, 208
(1996/4), p. 37-38.

58
3. LA PARTECIPAZIONE LITURGICA, PUNTO DI PARTENZA DEL
MOVIMENTO LITURGICO78.

3.1. R ip e r c u s sio n e d e l M o t u p r o p r io "T r a l e so ll ec itu i >in i "d i P a pa


Pio X

Non c'è dubbio che il Motu proprio Tra le sollecitudini (22.10.1903) di Papa
Pio X, sulla musica e il canto in Chiesa, segnò un punto di partenza nel
• 70
rinnovamento della liturgia . Quando il papa, riferendosi al vero spirito
cristiano, parlava della «partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla
preghiera pubblica e solenne della Chiesa», senza dubbio indicava un cammino
di rinnovamento nella celebrazione e nella vita della liturgia80.

La solenne affermazione papale con la quale si apre il secolo XX non riflette,


tuttavia, la situazione della liturgia dell'epoca, e nemmeno è indicativa del vissuto
liturgico delle comunità cristiane di allora. Queste continuavano a rimanere
ancorate alle leggi e ai riti esterni e a celebrazioni più estetico-edificanti che
teologico-sacramentali.

E' nostro intendimento approfondire le ripercussioni che l'indicazione di Pio X


ebbe in alcuni dei pioneri o iniziatori del movimento liturgico81.

3.2. I l M o v im e n t o L it u r g ic o e d i su o i P io n e r i .

Il secolo XX - Nei primi decenni del secolo XX nasce l'interesse per le


questioni liturgiche che poi sfocerà nel movimento liturgico82.

* J. J. FLORES, La partecipazione liturgica: punto di partenza del Movimento Liturgico, in Actuosa


Participatio. Conoscere, comprendere e vivere la Liturgia, edd. A. Montan - M. Sodi, Miscellanea Prof. D.
Sartore, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2002,229-245.
Ecco il passo del Motu proprio che ci interessa: «Essendo nostro vivissimo desiderio che il vero spirito
cristiano rifioriscaper ogni modo e si mantenga neifedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra
cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto ifedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua
prima e indispensabilefonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e
solenne della Chiesa» (ASS 36 [1903-1904], 331; C. BRAGA - A. BUGNENI, Documenta ad instaurationem
iturgicam spectantia [1903-1963], Centro Liturgico Vincenziano, Roma 2000, n° 34, p. 14).
' 1 C. Braga parla del movimento liturgico postconciliare distinguendo due fasi: «Laprima va dall'inizio del
'900 e arriva al secondo dopoguerra LI suo impegno si può esprimere con due termini: i verbi
partecipare” ed “instruere” e i sostantivi corrispondenti»: C. BRAGA Presentazione, in C. BRAGA-A.
BUGNINI, Documenta ad instaurationem liturgicam spectantia, Vili.
' Diamo per conosciuti gli articoli "classici" su questo tema, specialmente la voce "Partecipazione" di A.
M. TRIACCA in D. SARTORE - A.M. TRIACCA - J. M. Canals (edd.), Nuevo Diccionario de Liturgia Madrid
987, soprattutto per quanto si parla della «partecipazione nella celebrazione, ideale del movimento
liturgico», 1555 ss.

59
Il secolo XX può essere diviso, dal punto di vista storico-liturgico, in tre
grandi tappe83:

dagli inizi del movimento liturgico alla riforma liturgica (1909-1959);

dalla riforma liturgica al rinnovamento (1963-1990);

dal rinnovamento alla spiritualità liturgica (1990- in poi).

A sua volta il movimento liturgico può essere diviso in tre tappe: il primo
periodo, quello che ci interessa, va dalfanno 1909 al 1914; il secondo periodo,
comprende gli anni 1914-1918 / 1939-1943; il terzo periodo, invece, si estende
dal 1953 al 1955, con le riforme di Pio XII.

Primo periodo del movimento liturgico - I primi e decisivi passi nella linea
indicata dal Motu proprio di Pio X provengono dall'ambiente monastico di
Maredsous e di Mont-César (Belgio) e sono dovuti all'incontro di una forte
personalità, quale fu Dom Lambert Beauduin, con un mondo cattolico laico
molto ben disposto al nuovo atteggiamento.

Lutto quello che seguì (fino allo scoppio della prima guerra mondiale), altro
non fu che il conseguente sviluppo di quel fortunato inizio del movimento
liturgico, che si affermava attraverso una forte attività nel Belgio, con
l'instaurarsi delle sempre più famose "Semaines et conférences liturgiques",
promosse dai monaci di Mont-César, e con il sorgere delle grandi riviste
liturgiche.

Le grandi idee - Il movimento liturgico nasce con due grandi idee, il problema
spirituale e il ritorno alle fonti.

Fin dal primo momento è preoccupato del problema spirituale propriamente


detto. Benché sembrasse che la sua preoccupazione fosse rivolta alla bellezza
della liturgia, questa non era che l'occasione per attirare i fedeli. Preoccupava la
mancanza di partecipazione nelle celebrazioni liturgiche, per questo, a partire da
questo momento, si pretende ricreare l'intelligibilità del segno liturgico-
sacramentale.

8‘ Continua ad essere utile il libro di O. ROUSSEAU, Histoire du mouvement liturgique. Esquisse historique
dépuis le début du XlXjusqu'au pontificat de Pie X, Lex Orandi 3, Paris 1945, anche se il libro finisce là
dove crediamo dovrebbe situarsi l'inizio del movimento liturgico. È anche interessante: F. Brovelli (ed.),
Liturgia: temi ed autori. Saggi di studio sul movimento liturgico, Biblioteca Ephemerides Liturgicae 53,
Roma 1990.
83 In questo senso si possono vedere i tre titoli delle tre relazioni di A. PISTOIA, M. SODI, A.M. TRIACCA in
Liturgia ieri-oggi-sempre. Atti del Convegno liturgico regionale ligure 30 settembre-1-2 ottobre 1991 nel
50°anniversario del "dies natalis" di Mons. Giacomo Moglia, Genova 1992.

60
L'influsso cristologico fu fondamentale in questa preoccupazione spirituale e
ad esso hanno contribuito molto gli scritti e le conferenze di colui che in quegli
stessi anni era priore dell'abbazia di Mont-César e poi abate di Maredsous, Dom
Columba Marmión.

Le conferenze e i ritiri di Dom Marmión, riproposti nei suoi libri, trattano


come tema di fondo il mistero di Cristo; la teologia e la spiritualità
cristocentriche si basano sulla liturgia, come si può vedere nelle opere di Dom
Marmión, specialmente in Cristo nei suoi misteri. Per queste vie doveva maturare
il rinnovamento liturgico84.

Il movimento liturgico cominciò a presentarsi, pertanto, come un


rinnovamento spirituale nel quale la liturgia aveva un ruolo fondamentale, di
riferimento continuo.

Quest'orientamento spirituale si rivela nello sforzo continuo di presentare


sempre, sotto nuovi aspetti, i diversi tempi liturgici, facendoli oggetto di
considerazione di modo che potessero orientare verso una visione cristologica e
cristocentrica. Si passa così dalla liturgia alla vita spirituale.

L'Eucaristia non era più la preghiera della comunità cristiana ed era diventata
compito esclusivo dei chierici, tanto che i fedeli non vi prendevano più parte
diretta, ma potevano partecipare soltanto da lontano dedicandosi, nello stesso
tempo, a devozioni particolari. La comunione era una devozione privata non
•incoiata in modo alcuno con la Messa.

Il secondo aspetto che caratterizza il movimento liturgico è il ritorno alle fonti,


ma con la continua insistenza sul fatto che la prima fonte era la celebrazione dei
>anti misteri.

La produzione liturgica di questi primi anni è abbondante e soprattutto di


grande qualità: corsi, riviste, settimane liturgiche, sussidi liturgico-pastorali. C'è
un interesse crescente per le traduzioni liturgiche e per i commentari ai testi.

In questo primo periodo del movimento liturgico sono fondamentali tre opere.
Tre nomi che sono già indicativi di tutto un nuovo rinascere liturgico: Dom

Il contributo maggiore di Dom Marmión alla storia della spiritualità fu la sua visione del ruolo di Cristo
nel disegno di Dio. Ha dato ai suoi lettori tutta una cristologia, ponendo Cristo al centro del suo
r^egnamento. H segreto della profonda influenza che esercitava sulle anime era l'intimità della sua relazione
con Cristo. Questa intimità proveniva da una meravigliosa sintesi tra Sacra Scrittura e il meglio della
radinone monastica: M. TERNEY, Scrittore fecondo delle «cose» di Dio, in L'Osservatore Romano,
lomenica 3 settembre 2000, pag.15. Cfr. J. J. FLORES, Dom Columba Marmión, abady maestro, -Phase
■240 (noviembre-diciembre 2000), 557-564.

61
Lambert Beauduin con La piété de l'Eglise, principes et faits, Louvain 1914;
Dom Maurice Festugière con La liturgie catholique. Essai de synthese suivi de
quelques dévellopements, pubblicato nell'abbazia di Maredsous nel 1913 e con la
serie di articoli apparsi durante l'anno 1914 nella Revue Thomiste; Dom
Emmanuele Caronti, La pietà liturgica, Forino 1920, benché si tratti di
conferenze dell'anno 1913.

In quegli stessi anni inizia nell'abbazia di Maria Laach (Renania) la


pubblicazione di diverse opere come si vedrà nel paragrafo successivo.

3.3, G l i in iz i d e l M o v im e n t o l it u r g ic o .

I primi e decisivi passi in questa nuova linea si fecero soprattutto in Belgio, ed


erano passi che, provenendo dall’ambiente monastico di Maredsous e di Mont-
César (Lovanio), ebbero la possibilità di far incontrare due grandi e nobili figure:
il monaco Dom Lambert Beauduin e Godefroid Kurth. Ciò avvenne il 23
settembre 1909, come testimonia Fischer e, secondo il quale, durante il Congrès
Nationale des oeuvres catholiques, a Malines, ci fu «un felice momento
• • • 35 • • • •
creativo», grazie al quale si potè quasi fissare l'inizio di un movimento liturgico
che cessò di essere una corrente, per essere visibile e riconoscibile agli occhi di
tutti. Tutto quello che seguì, altro non fu che il conseguente sviluppo di quel
fortunato inizio.

Prendiamo, allora, la data del 1909 come inizio del movimento liturgico con il
"Congrés national de oeuvres catholiques" a Malines, con Dom Lamberto
Beauduin.

Dal 1910 al 1914 le settimane liturgiche di Mont-César prepareranno


l'ambiente favorevole per il movimento liturgico. Proprio in quegli anni la
questione liturgica divenne una questione ecclesiale.

Nel 1912 cominciò ad apparire la Bibliothèque liturgique che pubblicherà


opere molto importanti come il Rituel des fidèles, la Liturgie des défunts ed il
Missel dominical. La guerra interromperà questo inizio pieno di speranza.

85 E qui infatti - caso oltremodo raro - che «si può fissare se non proprio l'inizio, certamente però il
momentofortunato nel quale il movimento liturgico cessa di essere una corrente, per così dire, sotterranea,
e all'improvviso si apre una via in superficie, mostrandosi di colpo visibile e riconoscibile agli occhi di
tutti»', l'indicazione storica è di B. FISCHER, mentre la citazione è ripresa da B. NEUNHEUSER, Il movimento
liturgico: panorama storico e lineamenti teologici, in S. MARSILI (ed.), Anàmnesis. I. La liturgia. Momento
nella storia della salvezza, Roma 1974,21.

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Il movimento si estese anche in Germania, nelle abbazie di Beuron e Maria
Laach, dove si incontrarono l'abate I. Herwegen ed i suoi monaci Mohlberg e O.
Casel con il sacerdote italo-tedesco R. Guardini. Nel 1918 ebbero inizio le
famose tre collane:
1° - Ecclesia orans;
2° - Liturgiegeschichtliche Quellen (Le fonti della Storia della
Salvezza);
3° - Liturgiegeschichtliche Forschungen;

4° - Archiv fur Liturgiewissenschaft (si tratta di pubblicazioni di studi


liturgici, promosse dall'Istituto Herwegen).

Questo movimento arrivò poi in Austria con il contributo di Pius Parsch, uno
dei canonici regolari di Sant’Agostino a Klostemeuburg (1884-1954) che con il
suo Das Jahr des Heiles (L'anno liturgico) fece dei commenti al Messale ed al
Breviario. Nel 1950, egli poteva così riassumere i grandi scopi del suo lavoro:

riavvicinare gli strati più semplici del popolo al culto della Chiesa,
rendendo possibile, soprattutto, ad essi, una partecipazione attiva alla
Liturgia;

ridare la Bibbia in mano al popolo.

La Francia aveva il vanto di aver dato la prima spinta alle iniziative del
Belgio, oppure aveva il merito di aver dato vita a lavori di carattere scientifico,
quali erano quelli compiuti da Solesmes, cioè: q ^ .0

la Palèographie musicale; *^ ‘""vl‘~


* Av ^
il Graduale romanum (Editio Typica); .p ^,

l’Antiphonarium romanum. ’ .

Questi libri vennero dichiarati, sotto Pio X, edizioni tipiche: ad essi bisogna
aggiungere le grandi pubblicazioni come il Dictionnaire d'Archéologie chrétienne
et de la Liturgie (1907-1953) curato da F. Cabrol - H. Leclerq, i cataloghi dei
manoscritti dei libri liturgici del Leroquais, gli studi di Duchesne, la Patrologia
Latina e Greca scritta dal MIGNE e Dom Pitra, ecc. Nell'Italia del Nord ci sarà la
Rivista Liturgica (1914) a Finalpia Ligure, con don Caronti, suo primo direttore,
anche se fu arricchita successivamente dagli studi di dom L. Schuster, Abate di
San Paolo (futuro Cardinale ed Arcivescovo di Milano), con il quale attraverso il
suo Liber Sacramentorum, si ritornò all’Archeologia Liturgica. Il movimento
liturgico arrivò anche in Spagna nei monasteri di Montserrat e Silos, mentre negli

63
Stati Uniti trovò il suo primo centro nel monastero di St. John (Collegeville), nel
Minnesota.
Certamente non si può dire, né si deve credere, che tutto questo sviluppo sia
avvenuto sempre in un clima di pace e di tranquillità. Al contrario, non
mancarono all'interno della Chiesa, le discussioni, e tanto meno gli attacchi, a
motivo di vescovi che si mostrarono scettici e riservati nei confronti del
movimento liturgico in genere e di fronte a certi suoi atteggiamenti.

Ma la polemica di maggiore importanza fu quella che si sviluppò sul piano sia


della teologia sia della spiritualità intorno alla visione misterica della Liturgia di
O. Casel.
Le date più significative sono: il 1943, quando si assiste ad una prima presa di
posizione della Chiesa con la Mystici corporis, il 1946, quando Johannes Wagner
fondò l’istituto Liturgico di Trier, ed infine, il 1947, quando nella Mediator Dei
si mescolarono, in modo singolare, riconoscimenti e rimproveri, nello sforzo
molto evidente di rimuovere ogni pericolo di estremismo. C’è da ricordare anche
che si tennero importanti Congressi intemazionali di Liturgia nelle seguenti
località:
il 1951, a Maria Laach;

il 1952 a Mont Saint Odile, in Alsazia;


il 1953 a Lugano, in Svizzera, dove il Congresso trattò l’argomento
dell’iniziazione Cristiana;
il 1956 ad Assisi, dove si tenne il famoso discorso di Pio XII;

il 1960 a Munchen;

il 1965 aMontserrat.
Ritornando all’ambito di alcune date che hanno segnato momenti importanti
della vita della Chiesa, alla Mediator Dei si deve riconoscere il merito di essere
stato il primo riconoscimento ufficiale dei valori del movimento liturgico, a
livello di Chiesa universale, diventando così, di fatto, la Magna Charta del
rinnovamento che essa stessa intendeva apportare
In ultima analisi, altre vie di penetrazione del movimento liturgico sono state:
(1943) Il “Centre de Pastoral Liturgique” e La “Maison Dieu”, nonché la
collana “Lex Orandi”, le “Sessioni CPL” e le “Settimane Nazionali di
Versailles”.

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Gli stessi Congressi intemazionali di Liturgia, fino all'anno 1956, dei
quali si può ricordare il grande Congresso liturgico-pastorale di
Assisi e l'allocuzione di Pio XII, che se pur abbondante nella lode, fu
ugualmente carica di riserve molto critiche.

La conferenza di Jungmann, ad Assisi, nel 1956, intitolata La Pastorale


come chiave della storia della liturgia, dove si dice che la liturgia viva
è stata per secoli la forma più importante di pastorale.

In riferimento al tema della pastorale, come chiave della storia della Liturgia,
lo stesso Jungmann nella sua conferenza dirà: «Questo è vero soprattutto per i
secoli in cui essa fu praticamente creata. Un complesso di situazioni sfavorevoli
ha avuto come conseguenza che nei secoli del tardo Medioevo sia stata celebrata
con grande zelo e magnificenza in numerose chiese, di collegi di sacerdoti... ma
che nel medesimo tempo si sia interposta tra la liturgia ed il popolo una specie di
cortina fumogena, dietro la quale i fedeli non riuscivano a distinguere quello che
avviene sull’altare»86. Jungmann finiva la sua conferenza con queste parole: «La
nebbia comincia a svanire. Spunta un giorno luminoso. La chiesa raduna nuove
forze. Va coraggiosamente incontro ai nuovi tempi - come il popolo di Dio
87
orante» .
In questo orizzonte, si preparava, infatti, proprio ad Assisi, aprendone la via, la
grande riforma liturgica del futuro Vaticano IL Questo stato di cose fece sì che il
lavoro della Commissione Liturgica Preparatoria, creata in vista del Concilio
Vaticano II, fosse così avanzato che lo schema relativo alla riforma della Liturgia
non soltanto fu il primo ad essere discusso in Concilio, ma potè presto trovare,
come conseguenza delle discussioni conciliari, la forma di una costituzione
liturgica.

CONCLUSIONI DELLA PRIMA PARTE

In riferimento agli argomenti trattati, si possono presentare i seguenti punti


conclusivi di questa prima parte:
1° Nell’Antichità cristiana la liturgia è teologia, dunque troviamo un vero
spiritualismo cultuale che si esprime in un nuovo culto.

" J. JUNGMANN, La Pastorale come chiave della storia della Liturgia, in Entità liturgica ed attualità
pastorali, Roma 1952,572.
17 J. Ju ng m ann , op.cit. 574.

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2° Cristo è adesso il centro del culto, il Tempio, FAltare e il Sacrificio
vero, la Pasqua. Origene dirà che Cristo è altare, sacerdote e vittima,
perciò i cristiani non hanno né altari, né templi, né statue. Il culto dei
cristiani è un culto spirituale nello Spirito del Cristo risorto.

3° In questo nuovo culto l’unica vittima è il Cristo, morto e risorto. La


realtà adesso è Cristo e non l’osservanza della legge.

4° Questa nuova teologia del culto riempie tutta la vita dei cristiani. I riti
cristiani sono l’espressione perfetta e unica del culto spirituale.

5° L’ambiente storico, sociale e culturale ebbe influsso in questo culto


spirituale. I primi sintomi di involuzione appaiono nel Canone
romano con la sua mentalità giuridico-formale (v. gli Ordines
Romani).

6° Nel medioevo la liturgia ormai non è teologia. Sorgono tentativi di


spiritualismo cultuale quali l'allegorismo e il devozionalismo.

7° Con l’epoca moderna sorge anche la devotio moderna che rappresenta


la nuova spiritualità dei tempi moderni.

8° Con lo studio delle antiche fonti liturgiche si ritrova la via giusta ed


innanzitutto una ricchezza di pensiero che porta a una riflessione che
sarà non solo storica, ma teologica.

9° L’illuminismo e il rinnovamento monastico rappresentano la


preistoria del rinnovamento liturgico posteriore.

10° Col Movimento Liturgico giungiamo alla visione teologica della


liturgia.

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