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CAPITOLO 1: INTRODUZIONE AI SISTEMI DI PRODUZIONE

1. DEFINIZIONE DI SISTEMA DI PRODUZIONE

Si definisce Sistema di produzione ( nel seguito spesso useremo l’abbreviazione SP) un


insieme integrato di macchinari e risorse umane che compie una o più operazioni di
trasformazione o di montaggio su un grezzo, una parte o un insieme di parti.
I macchinari integrati includono macchine e utensili per la lavorazione, sistemi di
movimentazione, attrezzature di bloccaggio e computer in grado di coordinare e/o
controllare gli altri componenti.
I macchinari possono in generale essere classificati come:

9 Manuali: gestiti e controllati direttamente dall’uomo che deve essere costantemente


presente. La macchina fornisce l’energia necessaria al lavoro l’uomo il controllo .
9 Semi automatici: La macchina provvede a gestire con un suo programma di
controllo alcune fasi dell’intero ciclo, l’uomo provvede a gestire le restanti parti. Un
esempio può essere una macchina automatica in cui l’uomo effettua le operazioni
carico e scarico. L’uomo dunque è presente su ogni ciclo effettuato dalla macchina
ma non per l’intera sua durata. In questo caso l’uomo può gestire più di una
macchina e cioè operare in abbinamento.
9 Completamente automatici: La macchina può operare per periodi anche molto
lunghi senza necessità della presenza dell’uomo. Un esempio può essere una
macchina in grado di operare durante il cosi detto “terzo turno non sorvegliato”.

Nei sistemi di produzione si definisce stazione di lavoro o workstation una zona nello
stabilimento in cui viene svolta una ben definita operazione attraverso una macchina
automatica o una combinazione di una macchina e di un uomo o soltanto da un uomo con
apposite attrezzature ed utensili manuali. Un sistema di produzione e in genere costituito
da una o più stazioni di lavoro. Qualora le stazioni di lavoro siano disposte in sequenza
formeranno una linea o una cella di lavorazione.
Componente essenziale di un SP è il sistema di movimentazione che ha il compito di
scaricare, caricare e posizionare il pezzo da e su una stazione di lavoro. avanti.
Il carico prevede il prelievo della parte da lavorare da una posizione esterna all’unità di
lavoro e il suo trasporto all’interno dell’area di lavoro dove avverrà il posizionamento e cioè
il piazzamento dello stesso in un punto e con un orientamento assegnato. Quest’ultima
funzione viene di solito coadiuvata da un’apposita attrezzatura fissa che provvede anche
al bloccaggio del pezzo, attrezzatura che chiamiamo attrezzo di bloccaggio.
Naturalmente ad operazione ultimata il sistema provvederà a prelevare il pezzo a
collocarlo in una posizione esterna all’unità di lavoro su un sistema di stoccaggio o
preparandolo al trasporto verso la successiva stazione.
Ovviamente questa funzione potrà essere assegnata ad un operatore umano ma nei
sistemi di cui ci occuperemo e che definiremo integrati quest’operazione è completamente
automatizzata.
La movimentazione della parte tra una stazione e la successiva anche questa potrà
essere effettuata in modo manuale o in automatico singolarmente o in lotti. Di solito
quando la movimentazione avviene in automatico i pezzi vengono movimentati
singolarmente. La movimentazione potrà poi avvenire secondo un percorso fisso figura
1.1b oppure variabile, fig. 1.1a. Di norma, a parte un’eccezione di cui parleremo più avanti

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un sistema automatico opera secondo un percorso fisso mentre in un sistema in cui si
lavora per lotti si può operare secondo uno schema variabile.
In una linea automatica il pezzo può essere movimentato direttamente oppure attraverso
un attrezzo pallet che è un attrezzo di bloccaggio progettato per essere trasportato
insieme al pezzo da lavorare

a)

b)

Figura 1.1: Schema di movimentazione

Nei moderni SP è ormai sempre presente un computer che esercita un’azione generale di
coordinamento e supervisione. Anche nei sistemi manuali, come ad esempio i sistemi di
assemblaggio, il computer offre un irrinunciabile supporto all’attività produttiva.
Tipiche attività svolte sono:
• Comunicazione e istruzione all’operatore. Ad esempio in una linea di assemblaggio
può indicare all’operatore la corretta sequenza d’avvitatura ed effettuare il controllo
della coppia di serraggio delle viti.
• Download di programmi di lavoro: Nelle macchine a CN il computer provvede a
caricare sulla macchina il part program in funzione della parte ad lavorare.
• Gestione delle operazioni: Gestisce l’intero ciclo di produzione sia direttamente che
indirettamente
• Controllo del sistema di movimentazione: Provvede a coordinare il sistema di
movimentazione col ciclo delle unità di lavoro.
• Schedulazione della produzione: in alcune situazioni la schedulazione della
produzione avviene localmente.
• Diagnostica dei guasti: Funzione importantissima per semplificare le azioni di
riparazione e ridurre il fermo macchina.
• Controllo della qualità: Sempre più frequentemente alcune quote della parte
lavorata vengono ispezionate direttamente a bordo della macchina e l’esito della
misurazione può interagire con la macchina stessa.
• Statistica: monitorizza lo stato della macchina e fornisce i dati per la generazione di
report statistici.

1.1 Classificazione dei sistemi di produzione

Innanzitutto un SP va distinto sulla base delle attività svolte e pertanto parleremo di


Sistemi o linee di lavorazione o di Sistemi o linee di montaggio. Una linea di lavorazione la

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potremo poi distinguere in base alla geometria della parte lavorata distinguendo questi
ultimi in pezzi di rotazione o pezzi prismatici. Questo non tanto in riferimento ai macchinari
che verranno utilizzati ma alle modalità di movimentazione delle parti stesse.
Un altro parametro da considerare è il numero di stazioni di lavoro che lo compongono:
tanto maggiore tanto maggiore sarà la complessità del ciclo e la sua produttività.
Il livello di automazione è un altro parametro che caratterizza il nostro SP. Lo possiamo
misurare introducendo un parametro che definisce il livello di lavoro umano connesso con
il suo funzionamento, l’indice di presidio M. Se M =1 vorrà dire che un operatore deve
essere continuamente presente su un data stazione di lavoro. Naturalmente questo indice
può essere anche maggiore dell’unità ( si pensi ad esempio ad una linea di assemblaggio
finale di una vettura). Se abbiamo una linea con n stazioni l’indice medio di presidio è
espresso da:

n
wu + ∑w i
M= I =1
n
Dove:
wu, numero di operai indiretti addetti alla linea
wi, numero di operai diretti assegnati alla stazione ima
n, numero di stazioni di lavoro

Anche un linea completamente automatizzata disporrà di uno o più operatori che sono
responsabili del suo funzionamento.
Potremo dunque trovarci in presenza di uno dei seguenti archetipi:

• Tipo 0: Stazione singola con operatore (n=1, w=1, M=1)


• Tipo 1: Stazione singola in grado di operare per periodi di tempo lunghi in modalità
“non sorvegliata” (n=1, w <1, M<1)
• Tipo 2: Sistema a più stazioni tutte sorvegliate (n >1, wi=1, M>1)
• Tipo 3: Sistema a più stazioni completamente automatica (n>1, wi=0, M<1)
• Tipo4: Sistema a più stazioni ibrido (alcune stazioni sono sorvegliate altre sono
totalmente automatiche) (n>1, wi=0/ wi=1, M<1)

Altra caratteristica di un SP è la sua capacità di gestire i cambiamenti dei particolari o


dei prodotti che è in grado di produrre. Possiamo pensare a tre situazioni tipiche:

• Impossibilità a gestire alcuna variante, cioè capacità di lavorare un unico


prodotto.
• Possibilità di gestire diverse tipologie di prodotti a lotti.
• Possibilità di gestire le parti diverse in modo del tutto casuale (mix di prodotti)

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Figura 1.2: Esempi di sistemi di produzione

Nel primo caso tutte le parti da produrre sono identiche tra loro. In questo caso la quantità
di parti da produrre dovrà essere sufficiente a giustificare l’investimento. I macchinari
saranno progettati per fornire la massima efficienza e verranno adottati sistemi di
automazione rigidi.
Nel secondo caso ad essere prodotta sarà una famiglia di prodotti in genere simili tra loro
almeno sotto il profilo della forma (es. particolari prismatici) e delle dimensioni . Per
passare da un particolare al successivo la macchina deve essere riattrezzata.
L’automazione deve essere sufficientemente flessibile per consentire di minimizzare il
tempo di riattrezzamento.
Nell’ultimo caso i diversi particolari da produrre si succedono tra di loro in modo casuale
sia sul piano temporale che della loro quantità. I macchinari dovranno avere il massimo
grado di flessibilità in quanto non dovrà essere necessario alcun riattrezzamento nel
passaggio da un pezzo ad un altro della medesima famiglia.
A seconda del grado di flessibilità allora si parlerà di: Sistemi rigidi o di Sistemi flessibili.
Mentre però sul termine rigido non ci sono equivoci su termine flessibile le cose sono
diverse e si potranno chiamare flessibili tanto macchinari che possono lavorare per lotti
quanto macchinari in grado di gestire un mix di produzione. Possiamo sin d’ora dire che
mentre è abbastanza facile operare su un mix di prodotti con una singola macchina ( e
quindi con una bassa produttività) molto più difficile è farlo con una linea di macchine ( e
quindi con una produttività più elevata).

1.2 La curva d’apprendimento

Una caratteristica che i SP hanno in comune con l’uomo è la capacità di apprendere. Il


menome della curva d’apprendimento si verifica quando il tempo necessario a effettuare
un certo ciclo di produzione si riduce con il numero di pezzi prodotti.
Mentre tale fenomeno appare del tutto naturale nell’uomo sembrerebbe che un sistema
automatizzato in cui il tempo ciclo dipende solamente dalla cadenza di una macchina non
dovrebbe esserne soggetto.
Tuttavia appare che anche nei casi più semplici c’è un periodo iniziale nel quale si
manifestano tutta una serie di errori (bugs) che andranno eliminati e in cui l’uomo dovrà

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imparare come fare funzionare la macchina. In questo periodo la produttività dell’impianto
sarà nettamente al di sotto del suo valore nominale. Superato questo primo periodo di
assestamento inizierà un secondo periodo in cui verranno introdotti dei piccoli
miglioramenti che consentiranno progressivamente di conseguire degli ulteriori
miglioramenti nell’efficienza del sistema e quindi nella produttività della macchina.
In accordo con la teoria della curva d’apprendimento esiste per ogni attività una costante
tasso d’apprendimento che dipende dalle singole attività svolte. La tabella X.1 riporta
alcuni valori tipici delle attività legate alla produzione di un autoveicolo.
Tabella X.1
Attività Tasso d’apprendimento (%)
Lavorazione meccanica 90…95
Stampaggio lamiere 90
Saldatura 85
Assemblaggio 84
Collaudo 86

Si può calcolare il tempo previsto dopo aver prodotto l’nmo pezzo, Tn, con la formula:

ln(TA)
Tn = T1 ⋅ (n )m dove : m =
ln(2 )
Con:
TA, tasso di apprendimento (v. Tabella)
T1, Tempo ciclo per fare il primo pezzo

2. IL CONTROLLO NUMERICO

In passato il fattore tecnologico fondamentale per definire la competitività di un’impresa


industriale era la produttività in quanto le economie di scala regolavano il mondo
produttivo sostenendo politiche incentrate sulla produzione di massa e sulla saturazione
della capacità degli impianti. Questa situazione portò a concentrare le tecniche di
automazione sui macchinari dedicati alla produzione in grande serie cioè caratterizzati da
elevati livelli di work in process (WIP). A partire dagli anni 80 lo scenario del mercato iniziò
a modificarsi richiedendo una maggior varietà nei prodotti a disposizione per cui gli sforzi
si concentrarono nel mettere a punti dei sistemi di produzione flessibili che consentissero
di operare con livelli di WIP minori e che permettessero la riduzione dei tempi di
consegna. Ecco allora che a fianco del concetto di produttività si aggiunge quello di
flessibilità. Il mutato scenario portò ad una radicale modifica dei mezzi di produzione o
meglio al modo con cui questi potessero essere automatizzati. Alla classica automazione
di tipo elettro-meccanica o idraulica, che fino allora aveva dominata la scena della
macchina utensile, si sostituisce il Controllo Numerico che in quel periodo aveva raggiunto
la sua maturità.
Il controllo numerico è lo strumento fondamentale attraverso il quale è possibile fornire
flessibilità ad una macchina utensile rendendo possibile non solo effettuare operazioni
diverse su una stessa macchina ma abbattendo a valori molto prossimi a zero i tempi di
riattrezzaggio necessari per modificare il ciclo di lavorazione.
Il controllo numerico è ritenuto come una delle innovazioni basilari di questo secolo; esso
si è evoluto dal campo iniziale di applicazione, rivolto essenzialmente al controllo delle
macchine ad asportazione di truciolo, a tutta una più vasta popolazione di mezzi di
produzione che coprono ampi settori della produttività umana: robot per ogni tipo di

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impiego, macchine per il taglio (laser, plasma, getto d’acqua ..), sistemi di saldatura,
macchine di misura a coordinate …

La cronologia elementare del controllo numerico si può così riassumere


• Alla fine dell II Guerra Mondiale J. Parson e F. Stulen (Parson Corporate Michigan),
sub contraenti U.S. Air Force usano dati in coordinate numeriche per muovere la
tavola di lavoro di una fresatrice
• 1949 su incarico dell’U.S. Air Force il MIT sviluppa una macchina utensile prototipo
basata sul controllo numerico
• 1956 l’U.S. Air Force sponsorizza lo sviluppo delle macchine a controllo numerico
presso diverse aziende
• 1958 viene sviluppato il linguaggio di programmazione APT (automatically
programmed tooling)
• 1958-1960 le MU a CN vengono introdotte in diverse industrie interessate alla
produzione aerea1975-1980 si sviluppano i primi CNC (Computer Numerical
Control)

In circa 40 anni di costante sviluppo ben 4 generazioni di controlli numerici si sono


alternate; ogni anno si valuta che in tutto il mondo appaia circa un centinaio di nuovi
sistemi di controllo, o macchine che li utilizzano. La successione delle varie generazioni
cui si è accennato è a propria volta caratterizzato da due stadi principali di sviluppo:
• Hard-wired: costituiscono le prime generazioni di unità di governo; tutte le funzioni del
controllo venivano sviluppate circuitalmente; questo significa che tutte le funzioni quali
interpolazione, verifica del formato dell'informazione, controllo della posizione, etc.
erano determinate dai componenti elettronici fisicamente presenti nell'unità di governo.
Questo stadio di sviluppo può anche essere definito come CN "classico” e ha
caratterizzato le unità di governo sino agli anni 70 dello scorso secolo;

• Soft-wired o CNC (Computerized Numerical Control): sono le unità di governo attuali;


tutto ciò che nella versione precedente era ottenuto con l'H/W è adesso ottenuto via
S/W usando come H/W uno o più microprocessori. In questo contesto il termine "free-
programmable" viene sovente usato nell'ambito dei CNC della quarta generazione. Ciò
significa che il sistema presenta un’enorme possibilità di svolgere funzioni diverse e
quindi di essere personalizzato.

Tenuto conto dello sviluppo che oggi il controllo numerico ha preso, in quanto segue si
cercherà di fornire un quadro riassuntivo e sintetico di quali sono le sue funzioni, quali i
principali elementi che lo caratterizzano e quali le sue attuali linee di sviluppo.

Si inizia con il darne una definizione: "Il Controllo Numerico è una forma di automazione in
cui il processo è definito e controllato da numeri e lettere. Numeri e lettere costituiscono il
programma per realizzare un dato particolare".

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Cinque sono gli elementi che caratterizzano il controllo numerico:

1. l'unità di governo
2. il servomotore
3. il sistema di misura o trasduttore di posizione
4. la meccanica associata (la macchina utensile)
5. il programma ( part program )

X
Dt Sm T

no Xo

UNITA’ DI GOVERNO

Figura 1.3: Schema di asse di una macchina a CN

Praticamente, ciascuno di questi elementi è in continua evoluzione; la macchina a


controllo numerico, quindi, che il mercato potrà offrire domani differirà da quell’offerta
oggi per più d’uno dei punti precedenti.
Prima di procedere si osservi la figura 1.3 dove, in modo del tutto schematico, si è
rappresentato l’asse di una macchina a CN (per asse intendiamo uno dei movimenti della
macchina in cui è controllata una posizione, correlabile a quella di altri assi, o una sua
derivata rispetto).
Ciò che ci preme in questo momento far rilevare è come ogni asse possieda due anelli di
regolazione: uno di posizione ed uno di velocità. Nello schema, l’anello di posizione si
chiude all’interno dell’unità di governo (nel seguito adotteremo l’abbreviazione U.G.),
mentre quello di velocità è esterno ed è associato al servomotore (v. più avanti). Questa
scelta non è obbligata e nei moderni controlli multi-processore i due anelli possono
chiudersi entrambi all’interno dell’U.G..

2.1 L'unità di governo

La posizione desiderata ( l'obiettivo del controllo) X0 viene comparata, istante per istante,
con la posizione reale X all'interno di un blocco funzionale dell'unità di governo che prende
il nome di comparatore. Tipicamente si possono adottare due strategie per attuare il
controllo numerico della posizione:

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• Cut-off: il comparatore provvede ad emettere un segnale che inibisce il movimento del
servomotore quando:
X − X0 = 0

• Proporzionale : al servomotore giunge un segnale diverso da zero (riferimento di


velocità) solo se :

X − X0 ≠ 0

La prima strategia si applica ai controlli di tipo punto a punto, mentre la seconda ai


controlli di tipo continuo .

In un controllo di tipo punto a punto non esiste alcuna relazione funzionale tra i vari assi
controllati. Questi possono muoversi simultaneamente arrestandosi progressivamente
allorché raggiungano la posizione che loro compete. Questo tipo di controllo trova
applicazione in macchine molto semplici come le foratrici a C.N. .
In un controllo continuo esiste invece una precisa relazione funzionale tra le coordinate
individuali dei vari assi e tale relazione, ad esempio lineare, deve essere rispettata istante
per istante. E' pertanto necessaria la presenza di un ulteriore elemento del controllo che
è l'interpolatore; questo, note le coordinate iniziali e finali dello spostamento,
provvede a calcolare le coordinate intermedie necessarie al controllo del moto. Il
controllo di tipo continuo è oggi senz'altro il più diffuso per la sua universalità e la sua
precisione.
Secondo il numero di assi controllati simultaneamente le unità di governo possono cosi
essere suddivise (Figura 1.2):

• 2 assi (Torni)
• 2½ assi (Fresatrici)
• 3...5 assi (Fresatrici, Macchine per elettroerosione a filo e orbitali, rettificatrici, etc.)
• >5 assi (Robot)

E' certamente chiara la funzione di un controllo a due assi; l’esemplificazione del


tornio appare quanto mai significativa.
Apparentemente meno chiara e la funzione di un 2 assi e 1/2; può essere considerata
l'estensione ad una macchina con tre assi meccanici (X,Y,Z) di un controllo a due assi. E'
possibile interpolare in uno dei piani coordinati X-Y, X-Z, Y-Z mentre il terzo asse può
solamente essere controllato in modo parassiale, cioè se ne può controllare la
posizione finale e la velocità. Solamente in rapido è possibile muovere i tre assi
simultaneamente; in tal caso i tre assi si muoveranno alla stessa velocità e senza
controllo di traiettoria (punto-punto). Questo tipo di controllo è ampiamente sufficiente
nella maggior parte dei casi .
Il controllo a 3 assi deve avere l'interpolatore nello spazio; nella fig. 4.1 un esempio di
lavorazione a tre assi. Si noti come in questo caso la programmazione manuale, senza
apposite macroistruzioni, è praticamente impossibile; occorre infatti tenere presente che
nel suo moto cambia il punto di contatto tra la fresa (sferica nella figura) e il profilo
lavorato. In alcune situazioni (es. fresatura di profili complessi) non è accettabile il fatto
che la fresa modifichi il suo punto di contatto con il pezzo, che tra l’altro ciò implica la
variazione della velocità di taglio.

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C
n(x,y,z, θ,φ)

P

z=z(x,y) P
z=z(x,y)
a
b

Figura 1.4: Confronto tra lavorazione a 3 assi (a) e a 5 assi (b)

La macchina a 5 assi nasce proprio per superare questo ostacolo permettendo di


inclinare l'asse della fresa in modo da mantenere costante l’angolo formato tra la fresa e la
normale alla superficie lavorata e quindi il punto di lavoro, come indicato in figura 1.4 b. In
questo caso ciascuno dei punti che individuano il contorno viene definito non soltanto dalle
sue tre coordinate ma anche da due dei tre coseni direttori della normale alla superficie in
quel punto. Generalmente in queste macchine esiste un unico interpolatore lineare capace
di operare simultaneamente su tutti e cinque gli assi controllati, questo può rappresentare
un aspetto limitativo.
Quando si parla di più di 5 assi simultanei si fa riferimento in genere ad un robot di tipo
articolato in cui la posizione è raggiunta ruotando tutta una serie di giunti o assi, ma può
riferirsi anche a applicazioni particolari di macchine utensili, come in alcuni casi applicativi
dell’elettroerosione a filo.

2.1.1 L’interpolatore

Si è parlato d’interpolatore; sono usati i seguenti tipi:

• INTERPOLATORE LINEARE - E’ senza dubbio il più utilizzato, si vedrà in seguito che


molti linguaggi di programmazione automatica fanno esclusivamente uso
dell'interpolazione lineare per approssimare curve anche assai complesse;
naturalmente quanto maggiore e la precisione desiderata tanto maggiore sarà il numero
di parti in cui la curva verrà segmentata.

• INTERPOLATORE CIRCOLARE - E’ nato per ridurre il numero di dati richiesti specie


nel caso di programmazione manuale.

• INTERPOLATORE ELICOIDALE - Può essere considerata una funzione speciale in


quanto è un'interpolazione circolare con un incremento costante sul terzo asse. Il
suo uso è praticamente limitato alla filettatura di grandi fori mediante fresa di forma .

• INTERPOLATORE PARABOLICO E IPERBOLICO - Assai poco diffuso; trova una


qualche applicazione nella fresatura di forme speciali come palettature di turbine ,
centine alari, etc.
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• INTERPOLATORE SPLINE – Ancora poco diffuso è la soluzione ottima per la
lavorazione di curve complesse. Consente di ridurre il numero di blocchi necessari per
descrivere alla macchina il percorso da seguire (dimensioni del programma). La spline
consente di valutare l’accelerazione locale (riparleremo più avanti di questo problema).

I controlli continui richiedono che le informazioni geometriche, proprie del pezzo, vengano
tradotte in coordinate orientate di moto in modo tale che il vettore velocità dell'asse attivo
si mantenga tangente al contorno desiderato.
Il lavoro maggiore richiesto dal processamento geometrico è il calcolo di un gran numero
di coordinate. E questo è fatto proprio dall'INTERPOLATORE.

L’interpolatore deve tenere conto che:

1. i dati geometrici prodotti devono approssimare nel modo migliore possibile il reale
contorno del pezzo;
2. la velocità dell'asse deve essere tenuta sotto controllo e pertanto il risultato
dell'interpolazione deve rispettare questo vincolo possibilmente in modo indipendente
dalla forma del contorno;
3. il punto finale d'arrivo deve essere raggiunto con la massima precisione altrimenti
nascono degli errori di forma nella figura eseguita;
4. l’algoritmo d’interpolazione deve essere il più semplice possibile per consentire tempi
di calcolo molto brevi e quindi frequenze d’interpolazione molto elevate (si chiarirà
meglio più avanti questo concetto.

Per quanto detto prima l'interpolatore più usato è l'interpolatore lineare che opera tra
due o più assi lineari o circolari.
Per mezzo dell'interpolazione lineare è possibile realizzare delle segmentate, che nei limiti
della tolleranza di lavorazione, possono rappresentare un profilo qualunque.

Ma quanti segmenti sono necessari per realizzare un arco di circonferenza di α radianti


con raggio r e tolleranza ±ε? Si consideri la figura 1.5, risulta:

AB = 2 (r + ε ) − (r − ε ) = 4 rε
2 2

Il numero di segmenti necessari per approssimare tale arco sarà dato da:
n = (α ⋅ r ) / 4 r ⋅ ε
Per tracciare una circonferenza di raggio 100 mm con una tolleranza ± 0.01 mm sul raggio
saranno necessari i seguenti segmenti:
π r
n = (2πr ) / 4 rε = = 157
2 ε
Esistono diverse tecniche per realizzare un interpolatore; di seguito se ne descriveranno
due: la tecnica detta searchstep e quella per integrazione o DDA. Si tratterà il caso
dell'interpolazione lineare nel piano per la sua maggiore evidenza.

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A B
M

Figura 1.5: Realizzazione di un arco di circonferenza mediante interpolazione lineare

Il metodo searchstep

Ogni punto di un contorno piano soddisfa la relazione F(X,Y)=0 mentre per qualunque
altro punto, esterno al suddetto contorno, varrà ovviamente la relazione F(X,Y)<>0 .
L'entità del valore assunto dalla funzione ed il suo segno dipendono dalla corrispondente
entità dello scostamento e dalla sua direzione. Ciò è particolarmente evidente nel caso
della retta. Si osservi la figura 4.1; la retta congiungente i due punti PS e PE deve essere
interpolata secondo la direzione positiva dell'asse X; è facile verificare come tutti i punti
che sono situati al disotto della retta rendono negativa la funzione.

F(X,Y)= y − a ⋅ x − b = 0

mentre la rendono positiva tutti i punti situati al disopra della stessa.


Si parta dal punto PS e incrementando di una quantità piccola a piacere una delle sue due
coordinate; nell'esempio si è incrementata di ΔX la sua ascissa. Si calcoli quindi il segno
della funzione; il successivo incremento si darà in modo da modificare tale segno.
Nel caso in esame F(x,y)>0 produrrà una correzione secondo X mentre F(X,Y)<0 una
correzione secondo Y.
Nel caso particolare in cui F(X,Y) = 0 ,essendo il punto esattamente sulla retta, ci si
troverà come alla partenza e quindi sarà indifferente la scelta dell'incremento da attribuire.
Poiché ogni step viene calcolato individualmente il massimo scostamento possibile
dalla traiettoria teorica corrisponderà ad un incremento mentre l'errore misurato
perpendicolarmente alla traiettoria teorica risulterà molto inferiore (nel caso di un
traiettoria a 45 ° varrebbe √2/2 dello step). L’entità dello step è di norma pari alla
risoluzione del trasduttore e quindi almeno di un ordine di grandezza inferiore alla
precisione della macchina.

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F(X,Y)> 0
Ye Pe

Ys P1
Ps
F(X,Y)< 0

Xs Xe

FIGURA 1.6: Schema dell’interpolazione lineare

Il calcolo viene praticamente effettuato nel seguente modo: . per non dover calcolare ad
ogni passo il valore della funzione, poiché gli incrementi sono costanti, si possono
calcolare le deviazioni ΔFx e ΔFy definite come:

ΔFX = F ( X n +1 , Yn ) − F ( X n , Yn )
ΔFY = F ( X n , Yn +1 ) − F ( X n , Yn )
L'equazione della retta passante per due punti può essere scritta come :

F ( X ,Y ) = (Y − Ys ) ⋅ ( X E − X S ) − ( X − X S ) ⋅ (YE − YS )

e quindi immediato calcolare le funzioni deviazioni :

ΔFX = − ΔX ⋅ (YE − YS )
ΔFY = ΔY ⋅ ( X E − X S )

dove ΔX e ΔY sono gli incrementi lungo X e Y.

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START

Calcola: ΔFX e ΔFY

Pone : n=0 e F=0

No: step su Y Si : step su X


F≥0?

Xn+1 =Xn Xn+1=Xn+DX


Yn+1 =Yn+DY Yn+1=Yn
Fn+1 =Fn+DFY Fn+1 =Fn+DFX

N=N+1

Yn+1 ≥YE ?
no
or
Xn+1 ≥XE ?

si

Fine dell’interpolazione

Figura 1.7: Schema a blocchi della logica search-step

Nella figura 1.7 si riporta il diagramma a blocchi della routine di calcolo. Questa tecnica
può essere applicata facilmente al caso generale di una retta nello spazio, di un cerchio o
di una generica curva matematicamente definita ed è utilizzabile con uno schema di
controllo molto più semplice di quanto non sia quello schematicamente rappresentato nella
figura 1.3 e precisamente un controllo ad anello aperto.
Tale controllo, usato inizialmente sulle prime macchine a CN e oggi ancora impiegato in
macchine molto semplici di costo contenuto, fa uso di uno speciale motore , chiamato a
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passo o stepping motor, che viene pilotato da un treno d’impulsi. Ad ogni impulso compie
una rotazione di un angolo assegnato (Es. 400 step/giro => 0.9°)

Δx
X

Impulsi

Δy
Y

Figura 1.8 :Schema controllo ad anello aperto

Con uno schema di controllo più complesso ad anello chiuso questo modello è
insoddisfacente anche perché su una traiettoria circolare non assicurerebbe la costanza
del vettore velocità.

Il metodo per integrazione

Tale metodo, anche noto come DDA o Digital Differential Analizer, parte dalla
considerazione che l’utensile si deve muovere lungo la sua traiettoria compresa tra i punti
Pi e Pe, in questo caso lineare, a velocità costante, vf,e quindi:

t
x e − xi
x(t ) = v fx ⋅ t + xi = ∫ ⋅ dt + xi
0
T
t
ye − yi
y (t ) = v fy ⋅ t + y i = ∫ ⋅ dt + y i
0
T
dove:
T, il tempo per completare il movimento tra i due punti assegnati alla velocità vf
e:
v f = (v 2fx + v 2fy )

Se dividiamo l’intero intervallo T in N intervalli Δt, sufficientemente piccoli per cui si possa
scrivere:
T = N ⋅ Δt e t = υ ⋅ Δt con υ = 0,1,2,3,......., N

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allora le equazioni precedenti possono assumere la forma:
x e − xi
x (t ) = xi + ⋅υ
N
y − yi
y (t ) = y i + e ⋅υ
N
Con un processo iterativo di somma ad ogni intervallo di tempo Δt la posizione delle due
coordinate viene opportunamente aggiornata.

La grandezza N deve rispondere ad una precisa condizione:

⎧ x − xi y e − y i ⎫
max ⎨ e , ⎬ ≤ Δε
⎩ N N ⎭
essendo Δε la risoluzione del sistema di misura della posizione.
Il tempo T e di conseguenza l’intervallo Δt di campionamento dipendono dalla velocità
d’avanzamento lungo la traiettoria f.
Un semplice esempio per chiarire i concetti illustrati:

Figura 1.9 :Traiettoria lineare

Pi (12000, -60000), Pe (60000,12000), quote in μm, (fig.1.7)


vf= 500 mm/min= 8.3 mm/s
Δε = 10 μm
La lunghezza del tratto Pi-Pe vale:
L= [(x e − xi )2 + ( y e − y i )2 = ] [48000 2
]
+ 72000 2 = 86533 μm
dunque :
86533
T= = 10.425 s
8300
Il tratto più lungo è quello lungo y e quindi con tale valore si calcolerà N:
72000
N= = 7200
10
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 15
Usualmente tale valore si arrotonda alla potenza di 10 più prossima che nel nostro caso è
104 e quindi:
10.425
Δt = = 1.0425 ms
10000
con una frequenza d’interpolazione di 959 Hz.

Le tecniche di calcolo diretto

Le tecniche che abbiamo illustrato pur mantenendo una loro validità generale sotto il
profilo del metodo lasciano progressivamente il posto a tecniche di calcolo diretto della
funzione. Esse sfruttando il fatto che l’unità di governo è basata su microprocessori (CNC)
dapprima dedicati e oggi sempre più di tipo general purpose, proprio come quelli che
usiamo tutti i giorni.
L’uso della ricorsività delle formule di calcolo viene mantenuta in quanto consente di
ridurre i tempi di calcolo. Occorre sottolineare come nei moderni CNC siano
contemporaneamente aumentate la risoluzione dei sistemi di misura e la velocità di
movimento egli assi.
Di seguito, a titolo d’esempio, si illustrerà un algoritmo per l’interpolazione circolare basato
sull’utilizzo dell’equazione della circonferenza espressa in forma parametrica.
Possiamo subito scrivere che un punto di un arco di circonferenza percorso con una
velocità angolare ω ha coordinate, rispetto al suo centro:
x = R ⋅ cos ωt
y = R ⋅ cos ωt
dove:
vf
ω=
R
L’arco di circonferenza verrà approssimato con una poligonale, avendo fissato il massimo
errore cordale ammissibile Δc:
⎛ α⎞
Δc = R ⋅ ⎜1 − cos ⎟
⎝ 2⎠

Pi+1 Δc

Pi
α
β

Figura 1.10: L’interpolazione circolare

Dalla relazione precedente possiamo allora calcolare il valore di α che garantisce l’errore
cordale assegnato.
Applicando le note formule di somma di angoli possiamo calcolare le coordinate del
puntto Pn+1, infatti:

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 16
sin(α + β ) = sinα ⋅ cos β + cos α ⋅ sinβ
cos(α + β ) = cos α ⋅ cos β − sinα ⋅ sinβ
xn +1 = R ⋅ cos(α + β ) = xn ⋅ cosα − yn ⋅ sinα
yn +1 = R ⋅ sin(α + β ) = yn ⋅ cos α + xn ⋅ sinα

Le coordinate di un punto vengono calcolate da quelle del punto precedente e i valori di


sin α e cos α saranno calcolate una sola volta all’inizio del procedimento, rendendo così
ricorsivo l’algoritmo di calcolo.

L’intervallo di tempo tra un punto e l’altro lo calcoleremo secondo la:

α = ω ⋅ Δt

2.1.2 Principali funzioni dell’Unità di Governo

E’ stato affermato precedentemente che le moderne unita di governo sono del tipo "soft-
wired" o, come vengono comunemente chiamate, CNC, cioè Controllo Numerico con
Calcolatore. Questa definizione nasce dal fatto che il controllo è costituito attorno ad uno
o più microprocessori il che ne ha permesso una continua crescita in efficienza e
funzionalità.
Lo schema riportato nella figura 1.11 permette di riassumere le principali funzione svolte
da un CNC:
• L’interfaccia uomo macchina che permette il colloquio con l'operatore può contenere
tanto informazioni alfanumeriche che grafiche. L'attuale tendenza è quella di impiegare
monitor a colori con prestazioni grafiche di livello elevato. Le informazioni vengono
immesse nel controllo tramite una tastiera alfanumerica; il nastro perforato, usato
all'inizio come supporto standard per i programmi , è ormai definitivamente
abbandonato sostituito dapprima da memorie di massa standard come lettori di
nastro magnetico e unità Floppy , e oggi da una porta seriale RS232 e/o da una
scheda di rete che consentono il collegamento diretto con un computer o con una rete
di computer.
• La struttura H/W del controllo può essere basata su un solo microprocessore o su un
sistema di microprocessori o multiprocessore, secondo la tecnica più moderna
MPST (modular multiprocessing controlling system), che offre, rispetto ad ogni altra
soluzione, grande potenza di funzioni accoppiata con una estrema flessibilità. Si
possono così avere controlli diversi con la medesima struttura di programmazione
senza rinunciare ad un ottimo rapporto costi/prestazioni. Molti controlli consentono di
programmare mentre la macchina sta lavorando. La programmazione avviene con l'uso
della geometria orientata, come nei sistemi CAM che descriveremo più avanti, e
viene supportata da una grafica interattiva. in questo caso si avranno due aree di
memoria indirizzabili: l'una contiene i programmi su cui opera la macchina utensile e
l'altra quelli cui ha accesso l'operatore per operazioni di editing o di generazione.
• L’interfaccia verso la macchina utensile attraverso cui avviene lo scambio di dati sia di
tipo numerico sia analogico. La tendenza attuale, visto il largo impiego del
microprocessore vede prevalere soluzioni in cui lo scambio di dati avviene solamente
in forma digitale. Lo schema presenta la soluzione classica in cui il servomotore è
gestito all’esterno della U.G.

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Pagina 17
Interfaccia uomo-macchina Connessione DNC
•Tastiera alfanumerica •Interfaccia RS232
• Schermo video •Scheda di rete
• Pannello di controllo
•Lettore di nastro perforato
•Lettore di cassetta
•Lettore di floppy disk

riferimento
Interfaccia I/O AZIONAMENTO SERVOMOTORE

posizione
MISURA DI POSIZIONE (trasduttore)
Memoria di
programma comando
(RAM) MOTORE MANDRINO
gestione
MAGAZZINO UTENSILI
Sistema operativo controllo
DIAGNOSTICA e MISURA

CNC MACCHINA UTENSILE

Figura 1.11: Schema dell’unità di governo

Un concetto relativamente nuovo che caratterizzerà le future unità di governo è quello di


architettura aperta. Il significato di architettura aperta non è definito in modo univoco;
possiamo definirne tre livelli:
Primo livello: I sistemi di controllo sono sistemi PC-based e consentono l’integrazione tra
loro attraverso l’utilizzo di standard di comunicazione permettendo lo scambio
d’informazione tra sistemi diversi.
Secondo livello: I sistemi di controllo vengono realizzati assemblando tra loro gruppi
funzionali costituiti da componenti reperibili sul mercato (H/W e S/W) . L’integratore di
sistema è libero quindi di scegliere, tra gruppi funzionali forniti da diversi produttori, quelli
che meglio rispondono alle specifiche esigenze del sistema.
Terzo livello: Vengono rimossi tutti gli elementi hardware proprietari dal sistema di
controllo che quindi è costituito da processori generici, completamente e liberamente
programmabili; si realizza così un sistema di controllo totalmente software-based il quale
avrà, dunque, le stesse potenzialità di un PC che operi sotto WINDOWS o meglio ancora
sotto LINUS che consente una gestione totale delle funzioni del μP.
Tra tutte le funzioni, cui si è accennato, certamente la più importante è quella relativa al
controllo di posizione e cioè all’utilizzo delle informazioni provenienti dall’interpolatore da
parte degli assi della macchina. A questo dedicheremo il prossimo paragrafo.

2.1.3 L’anello di posizione

Riprendiamo lo schema della figura 1.3, riproponendolo in una forma un po’ diversa, più
utile per lo scopo che ci si propone, figura 1.12.
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 18
Notiamo quanto segue:
• l’interpolatore, la cui funzione è stata descritta al paragrafo 2.1.1, genera una posizione
x0 (t ) ,caratterizzata da una velocità x&0 che dipende dalla velocità d’avanzamento vf;
• al controllo di posizione viene applicato un segnale d’errore, εx, che continuerà a
crescere sino a quando x& = x&0 ;
• il segnale n0 di riferimento per il controllo del motore ( di cui parleremo più
diffusamente al paragrafo….) vale n0 = k ⋅ ε x avendo supposto che il controllore operi
secondo una logica puramente proporzionale;
• la velocità con cui si muove l’asse sarà v f = x& = k '⋅n .

motore
tavola
x0 , ( x& 0 ) εx Controllo n0 εn Controllo Va
di di n=K Va x, ( x& )
Posizione Velocità

nmotore

xtavola

Figura 12.1 : L’anello di posizione

Sarà poi I = I max non appena ε x ≠ 0 (equivale a supporre che il guadagno dell’anello di
velocità sia infinito), ciò fa si che la coppia erogata dal motore elettrico, e quindi applicata
alla tavola,+ sia anch’essa massima. Infatti, come meglio si vedrà al capitolo …. la coppia
è rigorosamente proporzionale alla corrente assorbita.
Per quanto detto, allora, non appena in uscita dal comparatore sarà ε x ≠ 0 nel motore
circolerà la massima corrente e quindi erogherà la coppia massima e pertanto l’asse
accelererà secondo la:
C
&x& = max
I eq
dove:
I eq , è l’inerzia equivalente del carico trascinato (v. Capitolo…….)
Lo spostamento dell’asse, nella fase di accelerazione, supposto il moto uniformemente
accelerato, sarà:
1
x = ⋅ &x& ⋅ t 2
2
cessato il transitorio al tempo:

x& 0
t0 =
&x&
l’asse si muoverà alla velocità costante desiderata poiché l’errore ε x si manterrà esso pure
costante essendo x& = x& 0 . Nel diagramma spazio tempo ciò sarà rappresentato dalla retta
di equazione:
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 19
x = x& 0 ⋅ t + C

La costante C la si calcola imponendo la condizione che al tempo t 0 il valore di x fornito


da quest’ultima equazione uguagli quello dell’equazione del moto uniformemente
accelerato e pertanto:

1 2
⋅ &x& ⋅ t 0 = x& 0 ⋅ t 0 + C
2
da cui:
1 1 x& 2
C=
⋅ &x& ⋅ t 02 − x& 0 t 0 = − ⋅ 0
2 2 &x&
La costante C rappresenta lo scostamento o errore con cui il sistema risponde al segnale
d’ingresso. La figura 1.13 riporta in forma grafica quest’ultima osservazione ponendo a
confronto l’andamento del segnale prodotto dall’interpolatore e la corrispondente posizione
dell’asse della macchina.

12

10
Asse X: vf =4 m/min
Spostamento assi (mm)

ε = 1 mm
6

Asse Y: vf =1,6 m/min


4

2
ε = 0.16 mm
0
0 0.04 0.08 0.12 0.16 0.2
Tempo (s)
Figura 1.13: Confronto tra uscita dell’interpolatore e posizione effettiva dell’asse.
(I dati usati sono puramente indicativi atti ad evidenziare il problema )

Nella stessa figura si sono rappresentati due assi, “X” ed “Y”, che, nell’esempio, si
differenziano solamente per la velocità con cui si muovono; le caratteristiche dinamiche,
quelle che determinano la &x& , si è ipotizzato essere le medesime.
Possiamo allora introdurre una nuova grandezza, che definiamo il guadagno dell’anello di
velocità:
x&
Kv = 0
ε

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 20
dove ε è l’errore costante a regime.
Utilizzando le relazioni scritte in precedenza si può scrivere:
x& &x& C 1
Kv = 0 = 2 ⋅ = k max ⋅
ε x& 0 I eq v f
e quindi Kv dipende dalla dinamica dell’asse e dalla velocità con cui esso si muove.
Il risultato rappresentato nella figura 13.1 vale nell’ipotesi che in entrambi i casi il
guadagno complessivo ad anello aperto K soddisfi la relazione:
K ⋅ ε = x&
ipotesi adottata per semplificare il problema. Se, come nella realtà così non è si
arriverebbe a regime o con un moto molto più smorzato (se K è minore del valore
ottimale) o con presenza di overshot (K maggiore del valore ottimale)

Mantenendo la semplificazione adottata sin qui ci chiediamo qual’effetto ha questo


fenomeno sulla precisione della traiettoria? Se i due assi avessero il medesimo Kv, cioè la
medesima dinamica e si muovessero lungo un traiettoria rettilinea a 45° risulterebbe:
x& 0 ε x
= = Costante
y& 0 ε y
e quindi la traiettoria sarebbe corretta; l’errore determina semplicemente un ritardo tra la
posizione attuale dei due assi e quella calcolata dall’interpolatore.

Figura 1.14: Scostamento tra traiettoria reale e traiettoria ideale

Se però questa condizione ideale non si presenta, ed è praticamente la totalità dei casi, si
avrà uno scostamento tra la traiettoria ideale e quella reale pur raggiungendo
correttamente il punto terminale dello spostamento. Nella figura 1.14, sempre a titolo di
esempio, si è rappresentato il caso in cui gli assi si muovono nelle stesse condizioni della
figura 1.13 lungo quindi lungo una traiettoria rettilinea.
Da quanto sin qui detto la sola azione proporzionale non è adatta per un controllo di tipo
continuo in quanto non è in grado di assicurare il controllo della traiettoria. Una prima
soluzione, ben nota nei sistemi di controllo, è quello di aggiungere l’azione integrale che
consente di operare a errore nullo cioè di eliminare l’errore d’inseguimento. Si può ancora

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 21
aggiungere l’azione derivativa che permette di migliorare la risposta dinamica. Nella figura
1.15 Si è rappresentato lo schema a blocchi di una regolazione PID in forma digitale per
cui l’azione integrale la potremo scrivere come:

t =n

∑ε
t =1
t ⋅ Δt

essendo Δt il tempo di campionamento. Mentre per quanto riguarda la derivata la potremo


scrivere come:
ε t − ε t −1
Δt
A titolo puramente esemplificativo nella figura 1.16 si è riportta la risposta di un sistema
dotato di azione proporzionale ed azione integrale (PI). Si vede come l’azione
proporzionale tende a portare la traiettoria reale su quella ideale.
Si vede inoltre come nel tratto iniziale esisterà sempre il problema dell’accelerazione ma di
questo può tenere conto l’interpolatore che nel calcolo delle posizioni terrà conto della
dinamica dell’asse controllato. Nella figura 1.17, utilizzando i medesimi parametri dinamici,
si è riportata la risposta del sistema allorché l’interpolatore, nel generare il segnale di
riferimento, tiene conto di tali aspetti dinamici.

- εt
+ Kp

x0 + + tavola
Kd +
- +
Interpolatore

εt-1

+
+ Ki

Figura 1.15: Schema di un controllo PID

E’ possibile notare i limiti di un controllo puramente che sono significativi overshoots e


questo in particolare si manifesterà nei cambiamenti di direzione (spigoli) e nei contorni
non lineari. E’ possibile smorzare tali effetti introducendo l’azione derivativa e ottimizzando
il valore delle tre costanti di controllo (v. fig. 1.15) ma ciò non è sufficiente e pertanto si
rende necessario adottare degli schemi di controllo più complessi che integrino l’anello di
regolazione PID, nella figura 1.18 se ne riporta uno, denominato regolatore “feed forward”,
in cui il valore della velocità dell’asse e dell’accelerazione istantanea vengono utilizzati
come parametri di riferimento, lasciando all’azione PID il compito di correggere il segnale
per mantenere costanti tali valori.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 22
0,873

0,801

0,729

0,657

0,585
Posizione

Riferimento
0,513

0,441

0,369
Risposta "PI"
0,297

0,225

0,153

0,081

0,009
0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 0,25 0,30 0,35

Tempo (s)
Figura 1.16: Risposta del sistema con controllo “PI”

0,8

0,7

0,6

0,5
Posizione

Riferimento
0,4

Ris pos ta
0,3

0,2

0,1

0,0
0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 0,25 0,30 0,35

Tempo (s)

Figura 1.17: Segnale di riferimento che tiene conto della dinamica dell’asse
e controllo “PI”
x
tavola

- εt
+ Kp

x0 + +
Kd +
- +
Interpolatore

εt-1
x& &x& +
+
+
+ Ki

Av

vf

Figura 1.18: Schema di controllo “Feed – Forward”


Capitolo 2: Il trasduttore di posizione

1.0 Introduzione

Sostanzialmente i trasduttori di posizione impiegati sulle macchine utensili si possono


distinguere in base al:

• Segnale : digitale o analogico; nel caso in cui il segnale sia di natura digitale esso
viene registrato come incrementi finiti e può essere pertanto direttamente elaborato
dall'unità di governo; si può raggiungere, senza troppe difficoltà, un'elevata
precisione. L'insieme di queste caratteristiche fa si che esso predomini nelle
applicazioni. Il segnale analogico è invece caratterizzato da una sua continua
variazione con lo spostamento dell'asse; il segnale analogico peròdeve essere
processato in un convertitore A/D prima di poter essere utilizzato dal controllo, e
quindi dalla sua risoluzione dipenderà la risoluzione del sistema di misura. Alla
categoria dei trasduttori digitali appartengono trasduttori ottici (encoder e righe ottiche)
mentre a quella dei trasduttori analogici quelli di tipo elettromagnetico (resolver ed
inductosyn).

• Modo di fornire l'indicazione : Incrementale o assoluto. Assoluto significa che il


segnale non dipende dai movimenti precedenti e quindi la distanza dall'origine e
definita in modo privo di qualunque ambiguità. Incrementale vuol dire che il segnale
fornito varia tra due livelli caratteristici, uno-zero; un contatore sente la variazione
del segnale e incrementa o decrementa il suo contenuto di un’unità. Il valore del
contatore, che rappresenta la misura, dipende quindi dai movimenti precedenti. I
trasduttori con segnale digitale sono di per se tutti di tipo incrementale ma è possibile
costruire con essi anche dei trasduttori assoluti mentre quelli con segnale analogico
sono una via di mezzo, incrementalmente assoluti; vale a dire assoluti per uno
spostamento relativamente grande, detto passo, e incrementali tra un passo e l'altro.

• Modo di effettuare la misura : diretto o indiretto. Il trasduttore può effettuare la misura


di posizione in due modi, generalmente: indirettamente, essendo montato, per esempio,
sull'asse della vite della macchina (encoder o resolver), o direttamente essendo
montato, sempre a titolo d’esempio, sulla tavola della macchina (inductosyn o riga
ottica). La misura diretta, più costosa, consente di ottenere delle precisioni maggiori
non essendo legata alla precisione dell’elemento interposto, nell’esempio la vite della
macchina. Nel caso in cui si impieghino dei motori lineari la misura sarà sempre diretta.

2.0 I trasduttori digitali

La caratteristica distintiva della misura digitale è la quantificazione dello spostamento o


dell’angolo che è in grado di misurare (risoluzione). Si possono usare differenti proprietà
fisiche per misurare tale grandezza o meglio dire per costruire il sistema di scansione
(scanner): si può sfruttare l’alternarsi di zone conduttive e non, magnetiche e non,
trasparenti e no. In particolare, a motivo dell’elevata risoluzione ottenibile, i sistemi, oggi
più usati, utilizzano uno scanner fotoelettrico per leggere una scala lineare o un disco
opportunamente codificati.
I principali componenti del sistema di misura sono una scala e l’unità di scansione. La
scansione può avvenire usando o una luce incidente o una luce trasmessa. In quest’ultimo
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 25
caso (figura 2.1a) la scala di misura è formata da un alternarsi di zone trasparenti e non,
mentre nel precedente (figura 2.1b) si alterneranno tratti riflettenti ed opachi.

L
L
f

f
a b

Figura 2.1: Principio della scansione ottica

L’unità di scansione è formata da una sorgente di luce, L, e da una fotocellula, f. Il


movimento relativo tra scanner e scala provoca la modulazione dell’intensità della luce
sulla fotocellula.

2.1 L’encoder

L’encoder è un trasduttore incrementale d’angolo; la scala circolare è letta utilizzando un


sistema di scansione in luce trasmessa. Nella figura 2.2 si è rappresentata la scala ed il
relativo sistema di scansione.

Figura 2.2: Schema dell’encoder (a), trattamento del segnale (b) e andamento dei segnali
in uscita (c)

La scala, un disco di vetro, è formata da un alternarsi di tratti trasparenti ed opachi ricavati


per fotoincisione di una sottile pellicola metallica precedentemente elettrodeposta.
Lo scanner è realizzato in modo analogo con 4 serie d’incisioni aventi lo stesso passo ma
sfasate tra di loro di ¼ di passo, 4 fotocellule ricevono i relativi segnali (F1,F’1 , F2 ed F’2).

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 26
Una quinta fotocellula legge una tacca (riferimento di zero) posta ad un livello diverso
rispetto alle precedenti.
Al ruotare della scala la singola fotocellula sarà alternativamente illuminata e oscurata con
una transizione graduale tra queste due posizione estreme. In uscita dalla fotocellula si
avrà una tensione variabile, con andamento sinusoidale, tra zero ed un massimo. Questo
segnale verrà opportunamente squadrato (v. Figura 2.2c) originando due treni di onde
quadre F1 e F2 sfasati di ¼ di passo; F1,F’1 sono tra loro sfasate di 180° così come F2 ed
F’2, i loro segnali vengono sommati al fine di generare un segnale sinusoidale a a valor
medio nullo. Una sola coppia di fotocellule consentirebbe di contare i passi ma non di
sentire il verso della rotazione. Lo schema riportato nella figura 2.2 b permette di capire
come venga riconosciuto il senso del movimento. Il segnale della fotocellula F1 ed il suo
inverso, rispettivamente:
_
F1 , F1
vengono derivati per cui, se l’encoder ruota in verso orario, in corrispondenza dei fronti di
salita si avranno i due segnali impulsivi:
_
dF1 ccw , d F1cw
che vengono portati sugli ingressi dei due AND assieme al segnale della fotocellula F2. Si
può facilmente vedere come, solamente in corrispondenza di dF1cw, il segnale di F2 è alto e
quindi, solamente in questa situazione, si avrà un impulso in uscita dall’AND A1 che andrà
ad incrementare il contatore. Se viceversa l’encoder ruoterà in verso antiorario gli impulsi
si avranno in corrispondenza di quelli che prima erano fronti di discesa e quindi l’uscita si
avrà sull’AND A2 che provvederà a decrementare il contatore (nell’ipotesi fatta che il verso
di rotazione positivo sia quello orario).
Sfruttando la tecnica esposta è possibile utilizzare per incrementare (o decrementare) il
contatore tutti i cambiamenti di livello del segnale su entrambe le fotocellule ottenendosi
così 4 impulsi di conteggio in un passo geometrico. Quest’operazione si chiama
interpolazione e può essere ulteriormente applicata aumentando il numero di coppie di
fotocellule.
Nella figura 2.3 si può vedere la sezione di un Encoder e i segnali da esso generati da cui
appare chiaro quanto detto al riguardo dell’operazione d’interpolazione. Si può rilevare la
presenza di 4 fotocellule; esse vengono accoppiate a due a due per aumentare la
regolarità del segnale.

Sorgente Lente Fotocellule


luminosa

Disco
Regolo

Figura 2.3: Sezione di un encoder e segnali in uscita

Si è detto della presenza della traccia di zero sull’encoder; essa viene utilizzata nella fase
di azzeramento dell’asse macchina, come illustrato nella figura 2.4. L’encoder sia montato
sulla vite di uno degli assi della macchina; in prossimità di una delle due estremità della
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 27
corsa è posto un micro-interruttore. In fase di azzeramento l’asse viene mosso verso di
esso. Allorché l’apposita camma schiaccerà il micro-interruttore (micro chiuso) l’asse
subirà un primo rallentamento; un secondo rallentamento avverrà quando proseguendo
nella corsa la camma lo rilascerà (micro aperto). Adesso il controllo attenderà la lettura
della traccia di zero e in quel punto si azzererà ponendovi, quindi, lo zero del riferimento.

Micro chiuso
hi
Micro aperto

Velocità asse

Azzeramento
Figura 2.4: Sequenza d’azzeramento

2.2 La riga ottica

La riga ottica, Figura 2.5, rappresenta l’omologa lineare dell’encoder e consente la misura
diretta dello spostamento.

a b

Figura 2.5: Riga ottica (Heidenhain)


a) in luce trasmessa
b) in luce riflessa

La riga ottica può essere realizzata, sia in materiale trasparente per consentire la lettura in
luce trasmessa, sia in acciaio con il reticolo in oro deposto sottovuoto; in questo caso la
lettura avviene in luce riflessa. Questa seconda soluzione è sempre da preferire laddove il
diverso coefficiente di trasmissione tra il materiale della tavola (a cui la riga viene
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 28
ancorata) può compromettere la precisione della misura. La testina di lettura (fissa
rispetto alla scala) contiene le fotocellule ,l’elettronica associata ed un regolo realizzato
con lo stesso principio e geometria (passo) della scala ma sempre in materiale
trasparente. Il regolo viene interposto tra la scala e le fotocellule è ha la funzione di non
vincolare la risoluzione della riga alle dimensioni della fotocellula. Si possono avere oltre
100 divisioni per millimetro! Lo sfasamento tra le fotocellule necessarie al riconoscimento
del verso del movimento lo si ottiene realizzando due reticoli sfasati tra loro per l’appunto
di un numero dispari di ¼ di passo. Questo principio in realtà lo si applica anche
nell’encoder al fine di contenerne, a parità di risoluzione, le dimensioni.
La riga di misura è incapsulata in una scatola in profilato di alluminio, recante nella parte
inferiore una guarnizione a labbro che la protegge dalla polvere e dalle infiltrazioni di
trucioli e di fluido da taglio. L’unità di lettura è posta anch’essa all’interno del contenitore
ed è collegata, attraverso un’opportuna staffa, alla parte fissa.

Figura 2.6: Elaborazione del segnale


Come per l’encoder anche per la riga ottica il segnale proveniente dalle fotocellule deve
essere elaborato. Ciascuna fotocellula produce un segnale, variabile con la posizione
relativa riga scanner, sinusoidale ma a valore medio non nullo. Collegando i fotoelementi
in modo antiparallelo si generano in uscita due segnali sfasati tra loro di 90° e simmetrici
rispetto allo zero (figura 2.6 a). Come già per l’encoder il segnale viene squadrato
ottenendo due onde quadre sempre sfasate di 90° (figura 2.6 b). Quindi il passo
geometrico della riga, che corrisponde al periodo del segnale di scansione, può essere
ulteriormente diviso o valutando la distanza tra due fronti successivi dei segnali Ua1 e Ua2
con conteggio x1, x2 o x4 . E’ però possibile elettronicamente aumentare ulteriormente la
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 29
risoluzione suddividendo elettronicamente il segnale di misura usando dei Schimitt-Trigger
(figura 2.6 c).Quest’operazione prende il nome di interpolazione. Nella figura si vede il
segnale fornito dalla riga suddiviso in 5 parti. Si può vedere come il passo di misura
risulterà 1/10 o 1/20 del passo di scansione a seconda che si usi una sola onda quadra o
entrambe per incrementare il contatore.
Perché non si perdano delle unità di conteggio è necessario che la frequenza massima del
segnale, ovvero la distanza temporale tra due fronti di salita successivi, siano commisurati
alle caratteristiche dell’elettronica che elabora il segnale.
Nella figura 2.7 si è rappresentato graficamente tale concetto mettendo in correlazione la
frequenza con la velocità della tavola secondo la relazione.
v f max = f ⋅ t ⋅ 10 −3 ⋅ 60 (m/min)
con:
f, frequenza massima ammessa in kHz
t, periodo del segnale di misura in (μm)
600

500
Velocità di traslazione (m/min)

400

300
200 kHz

200
100 kHz

100 50 kHz

0
0 10 20 30 40
Periodo del segnale ( μ m )
Figura 2.7: Influenza del periodo del segnale sulla velocità di traslazione

Nella tabella successiva si sono riportate le caratteristiche di alcune righe prodotte da


Heidenhain.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Tabella 3

Corsa utile (mm) 70 …. 3040 mm 140 …. 2040 240 …. 6040


Passo di divisione (μm) 8 20 40
Interpolazione x5: (μm) 0,8 4 8
Interpolazione x 10: (μm) 0,4 2 4
Vmax m/min 72 480 480
Classe di accuratezza (μm) ±1 ±5 ±15

3.0 I trasduttori analogici

Parliamo dei trasduttori analogici, anche se oggi sono stati completamente abbandonati, e
per ragioni storiche e perché sono in funzione ancora numerose macchine che li
impiegano.

x
1 3
i2

i1
2 4

Figura 2.8: Principio dell’induzione

I trasduttori analogici impiegati sulle macchine utensili sono basati sul principio
dell’induzione (legge di Lenz): Se in un conduttore, figura 2.8 viene fatta passare una
corrente alternata i1(t) essa produce un campo magnetico che induce in un secondo
conduttore una corrente i2(t) la cui intensità dipende tra l’altro dalla distanza e dalla
posizione relativa dei due conduttori. Inductosyn e resolver sono i due più noti trasduttori
operanti secondo il principio dell’induzione elettromagnetica.

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3.1 Il resolver

Può essere considerato come l’omologo dell’encoder essendo anche lui un trasduttore di
posizione angolare. La sua costruzione è simile a un motore elettrico di piccole dimensioni.
Lo statore porta due serie di avvolgimenti posti in piani perpendicolari tra loro cioè essi
sono disposti a 90° tra loro. Il rotore è realizzato in modo del tutto simile. Nella figura 2.9 si
è rappresentato quanto detto in maniera semplificata e, come ulteriore semplificazione, del
rotore si è rappresentato un solo avvolgimento.

1
V
V
V 1-2

θ
4 3

V3-4

Figura 2.9: Schema del resolver

Si alimentino i due avvolgimenti statorici con due tensioni alternate (di frequenza elevata
attorno ai 10 kHz); la tensione indotta sull’avvolgimento rotorico risulterà pari a:
V1 = V1−2 sinθ + V3−4 cosθ
Le due tensioni V1-2 e V3-4 possono essere assunte con modalità diverse; le due più note
sono:
a) due tensioni di ampiezza uguale ma sfasate tra loro di 90°
b) due tensioni in fase tra loro ma di ampiezza diversa.

Nel primo caso, poste:


V1−2 = V0 sinωt e V3- 4 = V0 cos ωt
risulterà:
V1 = V0 cos(ωt − θ)
La rotazione dell’albero del resolver opera uno sfasamento tra una delle due tensioni
d’ingresso (in questo caso la tensione in coseno) e la tensione d’uscita o, come altrimenti
si dice, opera una modulazione di fase. La misura dello sfasamento fornisce quindi la
posizione angolare dell’albero.
Nel secondo caso, poste:
V1−2 = V0 sinα ⋅ sinωt e V3−4 = V0 cosα ⋅ sinωt
risulterà:
V1 = V0 cos(α − θ) ⋅ sinωt

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La rotazione dell’albero del resolver opera una variazione dell’ampiezza della tensione
d’uscita proporzionale al coseno dell’errore tra posizione attuale dell’albero (θ) e la
posizione di riferimento (α). In questo caso si parlerà di modulazione d’ampiezza.
E’ dunque chiaro come il resolver risulti assoluto nella misura della posizione angolare del
suo albero nell’ambito di un giro (2π) e incrementale per rotazioni multiple di 2π. Di qui la
definizione di questo trasduttore come assoluto-incrementale.

3.2 L’inductosyn

L’inductosyn si compone di due parti la scala e il regolo o slider (Fig. 2.10a). Entrambi
portano un conduttore “avvolto” a formare una spirale schiacciata (Fig. 2.10b). I due
avvolgimenti hanno lo stesso passo t . Sullo slider si hanno due distinti avvolgimenti
separati tra loro da un numero dispari di ¼ di passi cioè a dire di 90° elettrici.

V1

τ
(n+ 1/4)τ

V 1-2 V 3-4

Figura 2.10: a) L’inducosyn ; b) disposizione degli avvolgimenti su scala e slider

Se si applica ai capi della riga una tensione alternata: v = v0 sinωt , ai capi dei due
avvolgimenti posti sullo slider, per la legge di Lenz, si avranno due tensioni, anch’esse
alternate rispettivamente:
V1−2 = V0 sinα ⋅ sinωt e V3−4 = V0 cosα ⋅ sinωt
dove per l’angolo α possiamo scrivere:
x
α = 2π ⋅
t
dove x è lo spostamento relativo tra slider e scala, misurato a partite dal punto in cui una
delle due tensioni si annulla.

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Come il resolver, dunque, l’inductosyn risulta assoluto nella misura della posizione
nell’ambito di uno spostamento pari al passo e incrementale per spostamenti multipli di t .
Di qui la definizione, anche per questo trasduttore di assoluto-incrementale.
Sino ad una decina di anni fa questo trasduttore era impiegato nelle macchine a cui veniva
richiesta un’elevata precisione, in quanto consente la misura diretta dello spostamento,
oggi è abbandonato in favore delle più economiche righe ottiche.

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3.3 Il trasduttore assoluto (nuovo)

Oggi alle moderne macchine utensili si richiede maggiore accuratezza, maggiore


sicurezza nelle operazioni, facilità d’uso ridotti tempi inoperativi, riduzione dei tempi di
riattivazione (start up) dopo eventuali interruzioni. Buona parte di queste richieste può
essere raggiunto solo attraverso l’uso di trasduttori di posizione assoluti.
Un sistema di trasduzione assoluto fornisce la posizione dell’asse rispetto allo zero del
riferimento, immediatamente all’atto dell’accensione della macchina. Questo significa che
non sarà più necessaria la ricerca dello zero richiesta dai sistemi incrementali e quindi si
ha una significativa riduzione del tempo di start up. Si avrà inoltre un considerevole
aumento della sicurezza di ogni posizionamento dalla conoscenza continua della
posizione assoluta e questo risulta particolarmente importante con l’uso dei motori lineari
in cui si utilizza il segnale del trasduttore di posizione, che viene ad essi integrato, per il
suo funzionamento (v. Capitolo 3).
I trasduttori assoluti utilizzati oggi industrialmente sulle macchine utensili sono sia encoder
rotativi che lineari impiegati nella misura diretta rispettivamente di rotazioni e spostamenti
lineari.
Il principio su cui si basano è illustrato nella figura 2.11 . Sul supporto della riga vengono
riportate una serie di piste (ad esempio opache se la riga opera in luce trasmessa)
ciascuna delle quali corrisponde ad un bit del numero binario in uscita dal rilevatore
(regolo). Nella figura 2.11 si è supposto di disporre di 5 piste e quindi di avere in uscita un
numero binario di 5 cifre il quale dunque originerà 32 (25) possibili combinazioni e quindi
con una risoluzione pari a 1/32 del passo della pista di peso maggiore

a) Binary code LSB


.
.
.
MSB

LSB
b) Gray code .
.
.
MSB

Figura 2.11: Schema di encoder lineare assoluto

La codifica in binario puro o binario decimale (BCD), come nella figura, possono nascere
difficoltà causate da una possibile ambiguità nella lettura che si verifica nella transizione
da una posizione a quella adiacente laddove più di un bit cambia di valore (ad esempio dal
numero 00011 =3 al successivo 00100 =4 si ha l’inversione di ben 3 bit). Se i sensori non
sono perfettamente posizionati può avvenire che i 3 bit non si commutino tutti al medesimo
momento e quindi la lettura potrebbe essere uno qualunque dei numeri: 0,1,2,4. Per
eliminare quest’ambiguità si utilizza il codice Gray che ha la proprietà di essere
progressivo e cioè si ha sempre la variazione di un solo bit nel passaggio da un numero al
successivo.
L’elettronica abbinata al trasduttore fornisce tanto il segnale assoluto quanto quello
incrementale (rilevato dalla pista di peso minore) consentendo quindi istante per istante il
controllo del valore della posizione, ottenuto sommando le misure incrementali, con la
quota assoluta. Naturalmente la domanda è come si possa raggiungere la precisione
desiderata. Nella figura 2.12 si è rappresentato il disco di un encoder assoluto.
La misura assoluta della posizione richiede la lettura di n bit (x1, x2,x3,…., xn)
contemporaneamente. La posizione P risulterà essere:

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n
P = ∑ x(k ) ⋅ 2k −1.q
k =1
dove q è il passo e x(k) il valore del bit kmo (1/0)
Se supponiamo di avere 10 piste avremmo già una risoluzione pari a 1/210 di giro (210 =
1024) ma ricordiamo (fig. 2.6) che se la pista a maggior risoluzione viene traguardata da 4
fotocellule sfasate tra loro di ½ passo si ottiene un segnale perfettamente sinusoidale.
Questo segnale è quello che può essere “interpolato”. L’interpolazione la si ottiene usando
un convertitore D/A. Se usiamo ancora un convertitore da 10 Bit la risoluzione che
potremmo ottenere è:

Risoluzione = 1/(1024 *1024)= 1/1.048.576 !

nettamente eccedenti le nostre necessità.

Figura 2.12 : Encoder Assoluto


Se volessimo applicare lo stesso principio ad un encoder lineare per avere una risoluzione
di 10 μm, avendo un passo di 20 μm, su una lunghezza di un metro avremmo bisogno di
17 piste.
Per gli encoder lineari o righe ottiche assolute si usano altri metodi che richiedono un
minor numero di piste di lettura.
Un sistema per raggiungere questo scopo è mostrato nella figura 2.13.

Figura 2.13 : Encoder Lineare Assoluto

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La scala è provvista di sei piste graduate aventi un periodo della graduazione molto simile
tra loro,come vedremo meglio più avanti, più una pista avente una graduazione molto più
fine,ad esempio 16 μm, che fornisce il segnale incrementale. Osserviamo la figura 2.14;si
supponga che la pista numero1 sia la prima delle sei e che abbia periodo pari a T1=128
μm.
1

2
3

128 μm
Δφ

Δφ
x
1024 μm

Figura 2.14 Dettaglio dell’encoder lineare assoluto di figura 2.13

La pista successiva,la numero tre, abbia a sua volta periodo pari a :


T 1024
T2 = 1 1 = = 113,77 μm
1+ 8 9
Il segnale prelevato da ciascuna delle due piste sarà, come sappiamo, sinusoidale; i due
segnali risulteranno sfasati tra loro di una quantità crescente per ricongiungersi dopo uno
spostamento lungo 1024 μm (i due periodi sono sottomultipli di 1024 μm). Pertanto
all’interno di tale corsa la misura della fase fornisce una misura assoluta dello
spostamento.
La successiva pista (non rappresentata nella figura) avrà un periodo pari a :
T1 8192
T2 = = = 112 ,22 μm
1 + 18 + 18
2
73
e quindi lo stesso ragionamento varrà su una corsa di 8192 μm; continuando arriveremo
all’ultima pista che fornirà uno sfasamento crescente, rispetto sempre al segnale prodotto
dalla pista numero due, su una corsa di 4194 mm (4.194.000 μm). Naturalmente la
risoluzione del segnale si ridurrà progressivamente con l’aumento della base di misura e
quindi combinando le letture dei diversi segnali si otterrà il valore assoluto della posizione
sull’intera corsa con la risoluzione desiderata.
La nostra scala produrrà tanto un segnale assoluto quanto un segnale incrementale a
beneficio dell’affidabilità della misura.
Un altro metodo di codifica assoluta sfrutta una graduazione della scala random, simile ad
un codice a barre, che si estende a tutta la lunghezza della scala o all’intera circonferenza
del disco (encoder) come mostrato nella figura2.15. La graduazione è tale che su una

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lunghezza “A”, la lunghezza della finestra di lettura, una data sequenza di tratti chiari e
scuri si verifichi una sola volta sull’intera lunghezza di misura.
Nella figura 2.16 si è riportato un esempio di sequenza random dove i tratti chiari e scuri
sono rappresentati dai numeri zero e uno; il corrispondente valore decimale è riportato
nella riga superiore. Con la finestra di lettura lunga 5 bit saranno possibili 32 combinazioni
(0…31).

Figura 2.15 Encoder pseudo random

La posizione assoluta della posizione attuale della finestra di lettura viene trovata per
comparazione del segnale letto con delle sequenze memorizzate.
La riga /disco è completato da una graduazione incrementale per generare il tradizionale
segnale incrementale utilizzato per un posizionamento veloce ad alta risoluzione. Il valore
codificato può essere sincronizzato con il segnale incrementale.
q

Figura 2.16 Esempio di codifica pseudo random

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Capitolo 3: La struttura delle macchine a CN

1.0 Introduzione

Nelle MU a CN sono installate potenze maggiori che nelle macchine tradizionali, esse lavorano a un ritmo più intenso e quindi devono
essere più rigide delle MU tradizionali.
Inoltre si è assistito ultimamente ad una richiesta di macchine di dimensioni maggiori che,
automatizzate il più possibile, garantiscono tutta una serie di lavorazioni con un solo
piazzamento del pezzo. Sono pertanto aumentate oltre alle dimensioni le corse, gli
sbracci, le velocità, le accelerazioni nonché‚ le potenze utilizzabili, tutto questo senza che
le tolleranze di lavorazione richieste abbiano avuto una diminuzione; a volte per la
maggiore intercambiabilità che viene richiesta ai pezzi e per le migliori caratteristiche dei
prodotti, esse devono invece essere più ristrette.
E evidente che tutto ciò porta necessariamente ad un riesame delle tecniche di
costruzione delle macchine utensili: le strutture devono essere ricontrollate sia per quanto
riguarda il comportamento statico sia quello dinamico e deve pure essere riesaminato il
criterio di scelta dei materiali base che le compongono.
Una struttura di una macchina che lavora per asportazione di truciolo deve presentare le
seguenti caratteristiche salienti:
• Adeguata rigidezza statica e dinamica: la rigidezza della struttura è una condizione
essenziale per il corretto impiego di una macchina a CN; in particolare le deformazioni
indotte dal processo di lavorazione dovute sia alle forze di taglio che ai pesi delle parti
mobili e dei pezzi devono essere contenute al massimo per garantire le tolleranze
richieste.
• Mantenimento nel tempo della geometria e delle dimensioni: le parti di scorrimento
e di guida per elementi o sistemi mobili devono possedere requisiti di durezza e
proprietà tribologiche tali da evitare un loro rapido deterioramento.
• Ridotte distorsioni e variazioni dimensionali al variare della temperatura: le
caratteristiche delle varie parti strutturali per quanto riguarda le variazioni di
temperatura devono essere sufficientemente equilibrate al fine di evitare differenze di
comportamento dei vari elementi che portino a distorsioni, raramente compensabili con
mezzi semplici. Si devono, pertanto realizzare strutture che si comportino il più
possibile in modo simmetrico, al variare della temperatura ovvero tali che eventuali
distorsioni termiche producano effetti non influenzanti la posizione reciproca degli
elementi principali in particolare tra pezzo e utensile
• buona resistenza agli agenti corrosivi esterni.
.
La struttura delle macchine utensili è normalmente eseguita in ghisa fusa (fig. 3.1) o in
acciaio saldato (fig.3.2).
L'esperienza venutasi a creare coi passare degli anni nelle fonderie, ha reso e rende
possibile l'esecuzione con la ghisa di forme anche molto complesse.

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Figura 3.1: Esempio di bancale in ghisa

Una struttura fusa in ghisa, adeguatamente proporzionata, presenta buone caratteristiche


di rigidezza statica e dinamica: l'elevato smorzamento interno, cioè l'alta capacità di
dissipare energia meccanica vibratoria, derivante dalla discontinuità della matrice metallica
con lamelle o globuli di grafite interposti, è stato sempre richiamato come uno dei suoi
pregi più importanti.
La stabilità dimensionale nel tempo, per strutture correttamente ed accuratamente distese,
e più che sufficiente anche se non assoluta, come si è talora detto sopravvalutando in tal
senso le proprietà della ghisa.
La struttura in ghisa continua a primeggiare per la facilità delle lavorazioni; anche su
macchine costruite con largo impiego di acciaio saldato si incontrano particolari in ghisa:
ad esempio teste operatrici complesse, slitte, etc.
Vengono pure eseguite in ghisa le scatole di riduttori o cambi od altri gruppi generatori o
regolatori di moto, che una volta completati sono inseriti all'interno delle strutture saldate;
ne resta facilitata così anche la manutenzione essendo possibile in ogni momento la loro
estrazione.
L'evolversi della situazione tecnico-economica, unito al crescere delle dimensioni delle
strutture ha, in questo ultimo periodo portato la ghisa fusa a non essere più, come una
volta, competitiva in assoluto.
Gli esempi di macchine utensili, in particolare di macchine che lavorano per asportazione
di truciolo, realizzate in acciaio saldato sono state di recente sempre più numerose (fig.
3.2).
Allo sviluppo hanno contribuito una serie di argomenti e di elementi che si sono resi
sempre più interessanti via via che il progettista e gli esecutori si familiarizzavano con la
struttura saldata stessa; è ormai acquisito che per ottenere risultati migliori è necessario
riprogettare la struttura della macchina, rispetto al modello realizzato in ghisa, tenendo in
particolare presenti le esigenze relative alla posizione delle saldature e all’esecuzione
delle stesse.
La elevata rigidezza statica è qui ottenibile con spessori e volumi o pesi di materiale
decisamente minori che non nel caso di fuso in ghisa: l'acciaio ha caratteristiche
meccaniche circa due volte maggiori della ghisa. La rigidezza dinamica, in linea di
principio, dovrebbe essere influenzata negativamente dal minore grado di dissipazione
interna del materiale, ma si e visto praticamente che il comportamento e legato più alla
forma, alla geometria della struttura, alla disposizione delle eventuali giunzioni, alla
accurata scelta degli spessori delle lamiere che non all'attrito interno del materiale. Lo
smorzamento di una struttura è infatti circa 10 volte maggiore di quello del materiale di cui

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è costituita essendo fortemente condizionato dai collegamenti polidirezionali (le tradizionali
nervature) che ne caratterizzano il disegno e dalla giunzioni tra le varie parti.

Figura 3.2: Esempio di struttura in acciaio saldato

La maggiore libertà di progetto consentito dall’impiego dell’acciaio saldato, non più legato
ai canoni rigidi della fusione, facilita la realizzazione di strutture più rigide che non in ghisa

fusa.
Se si aggiungono poi i minori tempi di realizzo, il minor peso complessivo del manufatto e
l’assenza di modelli di fusione si comprende perché oggi l’uso di strutture in acciaio
saldato sia così diffuso specie nella fabbricazione dei moderni centri di lavoro a CN.
Per quanto riguarda la realizzazione delle guide di scorrimento, cui peraltro dedicheremo
un intero paragrafo, mentre se la struttura è di ghisa essa potranno essere realizzate di
pezzo con la struttura stessa, nel caso dell’acciaio saldato esse andranno riportate
meccanicamente in quanto temprabilità e saldabilità sono proprietà antitetiche. Questa
distinzione oggi non è più significativa vista l’ampia diffusione delle guide a rotolamento
come meglio si dirà più avanti.

1.1 Rigidezza statica di una struttura

La rigidezza strutturale statica è definita come il rapporto tra una forza costante applicata e
la deformazione relativa ed è espressa numericamente dalla:

F
(N/μm) k=
x
Le modalità di applicazione della forza ‘F' determinano la sollecitazione statica (trazione,
compressione, flessione. torsione, taglio); in corrispondenza si può definire la rigidezza,
come di trazione o compressione, di flessione, torsione o taglio.
La rigidezza per sollecitazioni di trazione o compressione è data da:
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F σ⋅A A
k= = = E⋅
x ε ⋅l l

avendo indicato con:


A, l'area della sezione reagente
l, la lunghezza della struttura
, l’allungamento percentuale della struttura
, sollecitazione unitaria
E, modulo di elasticità del materiale

La rigidezza per sollecitazioni di trazione e compressione dipende dunque dal rapporto A/l
e cioè dal rapporto di snellezza della struttura. Oltre che dal modulo elastico del materiale.

La rigidezza flessionale, per una trave incastrata, libera ad un estremo, è il caso tipico
delle strutture di sbalzo (mensole, slittoni,…) è data da:
P 3EJ
k= = 3
f l
avendo indicato con:
P, il carico dell'estremo libero della trave
f, la freccia nel punto di applicazione della forza
l la distanza della forza dall'incastro
J, il momento di inerzia della sezione rispetto all'asse neutro.

La rigidezza torsionale è invece fornita dall'espressione:


M I G⋅Jp
k= t⋅ =
θ l l
essendo:
Mt , il momento torcente
θ ,l'angolo di rotazione di due sezioni a distanza unitaria
l, la lunghezza della trave a partire dall'incastro
G, modulo di elasticità trasversale
Jp, Momento d’inerzia assiale

A parità di rigidezza dunque, poiché il modulo di elasticità dell'acciaio è circa il doppio di


quello della ghisa, si ha l’opportunità di ridurre le dimensioni di alcune sezioni e quindi la
massa complessiva della struttura, come si era anticipato.
Occorre verificare non solo la rigidezza globale di una struttura ma pure quella locale,
elemento per elemento, per non incorrere localmente a cedimenti pericolosi per tutto
l'insieme.
La regola generale di dimensionamento di organi di macchine, come è noto, è il confronto
tra il valore della sollecitazione prevista all'utilizzo e quello della sollecitazione massima
ammissibile.
Il criterio di dimensionamento delle strutture di macchine utensili ad asportazione di
truciolo è molto più restrittivo: garantito che non si manifestino deformazioni permanenti (la
sollecitazione deve essere inferiore al limite di elasticità dei materiale ), deve essere pure
garantito che le deformazioni elastiche siano contenute al fine di consentire lavorazioni dei
pezzi con le tolleranze richieste.

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La struttura saldata, che nasce con maggiore libertà di proporzionamento e con materiale
a più alto modulo elastico può avere, se la progettazione è accurata, una rigidezza più
elevata della analoga in ghisa fusa. A parità di altro, considerevole aumento di rigidezza
globale può ottenersi con una opportuna disposizione di nervature e diaframmi posti con
l'intento di mantenere il più possibile la indeformabilità delle sezioni trasversali. E’ possibile
inoltre variare con estrema facilità la sezione delle pareti sfruttando al meglio il materiale.
Nella figura 3.3 si è rappresentato un esempio di come i diversi elementi della macchina
siano determinanti ai fini della rigidezza<statica della stessa e come questa vari al variare
della direzione di sollecitazione.

1.2 Rigidezza dinamica di una struttura

La rigidezza statica è certamente importante in una macchina utensile in quanto


garantisce la precisione geometrica della parte lavorata e lo è ancor di più in una
macchina a CN sia perché essa lavora non presidiata sia perché, nei movimenti lungo una
traiettoria, sopporta le forze d’inerzia, che in alcuni casi sono ben più importanti delle
forze di taglio ma almeno altrettanto importante è la sua rigidezza dinamica.
Semplificando molto il problema possiamo rappresentare il comportamento dinamico della
struttura della macchina con un modello ad un grado di libertà massa, molla smorzatore.
Perché ad un solo grado di libertà? Perché generalmente uno dei modi di vibrazione è
preminente rispetto agli altri. Comunque ai fini che ci proponiamo questa semplificazione è
ampiamente accettabile.
Nella figura 3.4 si è riportata la ben nota curva di risposta in frequenza, rappresentata in
forma adimesionale:

x 1
=
x0 f 2 2 c f
(1 − ( ) ) + (2 ⋅ ( ) ⋅ ( ) 2
f0 c0 f0
dove:
1 k
f0 = ⋅
2π m , frequenza propria
c0 = 4π ⋅ m ⋅ f 0 , smorzamento critico
k
x0 =
f , ampiezza statica della deformazione
da cui si vede chiaramente come, se la forza applicata non è statica, l’ampiezza della
deformazione è maggiore della deformata statica tanto più quanto minore è lo
smorzamento della struttura. Quindi la rigidezza dinamica di una macchina è affidata al
suo smorzamento, ma non solo: è opportuno che la macchina lavori in un campo di
frequenze che sia sufficientemente lontano dalla sua frequenza naturale; di qui
l’importanza di un rapporto k/m elevato.
Per comprendere l’importanza della rigidezza dinamica vediamo quali sono le possibili
cause che provocano delle forze eccitatrici con andamento periodico, esse possono
essere suddivise in due grandi famiglie:

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6

5
0.1
c
4
k

0 3
x/ m
0.2
x 2

1 0.5

0
0 0.5 1 1.5 2
f/fn

Figura 3.4: Rappresentazione semplificata del comportamento dinamico di


una struttura

Forze eccitatrici indipendenti (dal processo di taglio) che possono avere varia origine:
• Provenire, attraverso le fondazioni, da altre macchine. Si riconoscono
facilmente in quanto sono presenti con la macchina inattiva. Vengono contrastate
o eliminando la causa oppure migliorando il sistema di fondazioni su cui poggia
la macchina.
• Provenire da organi rotanti, interni alla macchina, squilibrati. Sono sempre
più improbabili sulle moderne macchine utensili caratterizzate da una meccanica
semplificata al massimo. Si tratta di un difetto di costruzione e quindi va eliminato
alla fonte. Sono facilmente riconoscibili in quanto sono presenti con la macchina
in moto a vuoto.
• Provenire dal contatto dell’utensile con il pezzo (es: tornitura di un grezzo
poligonale, lavorazione con utensili multitaglienti). Possono a loro volta essere
causa delle vibrazioni di tipo rigenerativo di cui al punto successivo. Queste non
sono eliminabili e di per se non sono pericolose se si è lontani dalla frequenza
naturale degli elementi strutturali della macchina e se lo smorzamento è
sufficientemente elevato da evitare l’insorgere di fenomeni rigenerativi laddove
siano possibili. Sono facilmente riconoscibili in quanto la loro frequenza varia con
il variare della velocità di rotazione del mandrino della macchina.
Forze eccitatrici dipendenti (dal processo di taglio) o autoeccitate, anche queste
possono avere varia origine, ma sicuramente le più pericolose sono quelle dovute a
fenomeni rigenerativi. Queste si riconoscono perché la frequenza dell’oscillazione
indotta non cambia al variare della velocità di rotazione del mandrino.

Per spiegare qualitativamente il fenomeno delle vibrazioni autoeccitate dette anche chatter
osserviamo la figura 3.5. Un utensile da tornio sta eseguendo una gola o una troncatura,
nel momento in cui l’utensile inizia a tagliare, al tempo t1, gli verrà applicata una forza a
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gradino (da zero al valore corrispondente ai parametri di taglio). Poiché l’utensile fa parte
di un sistema massa – molla – smorzatore l’applicazione della forza determinerà un
spostamento xd del tagliente, corrispondente alla rigidezza della molla, con sovrimposta
un’oscillazione armonica smorzata (tempo t2). Dopo un giro, tempo t3, l’utensile si
ripresenterà nella stessa posizione e si troverà ad asportare un sovrametallo di spessore
h + Δh in cui Δh è una componente variabile con legge armonica di frequenza uguale a
quella propria del sistema massa – molla – smorzatore. Se allora l’ampiezza Δh è
sufficientemente grande e la durata dell’oscillazione sufficientemente estesa il fenomeno,
tempo t4, si estenderà all’intera superficie lavorata e si rigenererà ad ogni giro.
Il fenomeno è altamente nocivo sia perché si genereranno superfici di qualità
insoddisfacente sia perché si potranno determinare rotture del filo tagliente dell’utensile.
Le condizioni per l’innesco di questo fenomeno sono dunque:

1. l’utensile deve ripassare su una superficie precedentemente lavorata;


2. La rigidezza del sistema deve essere bassa;
3. Lo smorzamento del sistema deve essere basso

La prima condizione fa si che le situazioni più sfavorevoli siano la fresatura e nella


tornitura, la troncatura e l’esecuzione di gole. La seconda è particolarmente evidente nella
barenatura.

Figura 3.5: Rappresentazione qualitativa del processo di vibrazione rigenerativa.


Ancora una volta dunque viene posto l’accento sull’importanza dello smorzamento tra le
caratteristiche di una macchina utensile.
Nel caso specifico delle macchine a CN che sono dei centri di lavoro sempre meno
specializzati e cioè in grado di compiere operazioni anche assai diverse tra loro (oggi si
parla con sempre maggiore insistenza di multitasking machines, macchine che possono
sia fresare che tornire), dunque, rigidezza statica e dinamica elevate sono qualità
irrinunciabili senza le quali la precisione consentita dall’unità di controllo degli assi viene
vanificata.

2.0 Le guide

Altro elemento fondamentale nella macchina utensile è la guida di scorrimento degli assi
che essere fatto in diversi modi a seconda delle caratteristiche della MU-CNC.
Nelle macchine utensili tradizionali, la traslazione fra tavola e guide avviene mediante
contatto diretto delle parti che sono costruite in ghisa. Le guide sono indurite con
procedimento di tempra e rettifica. Questa tecnica, usata da tempo, offre una grande
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robustezza costruttiva a basso costo ma presenta l'inconveniente di un elevato attrito
radente di primo distacco e soprattutto una caratteristica dinamica sfavorevole.
Infatti se osserviamo il diagramma di figura 3.6 (curva di Stribeck) che mostra l’andamento
dell’attrito in una guida a strisciamento lubrificata, al variare della velocità relativa, si
noterà che questa presenta un minimo. Ciò si deve al fatto che nel primo tratto il velo
lubrificante non si è ancora formato completamente e quindi si ha un attrito misto (tratto
discendente) mentre nel secondo tratto (tratto ascendente) il velo d’olio è uniforme e
quindi presenta l’andamento tipico dell’attrito viscoso. Il valore di minimo si ha per valori di
velocità relativa dell’ordine di alcune decine di mm/minuto e quindi valori di velocità molto
bassi. Mentre nelle macchine tradizionali tale livello rappresenta quasi sempre un valore
di transito, nelle macchine a CN esso può essere un punto di lavoro.
Si pensi ad esempio ad un’interpolazione circolare dove in 4 punti uno dei due assi
interpolanti assumono velocità nulla oppure all’esecuzione di un’interpolazione lineare a
debole pendenza (ricordiamo che la velocità impostata è sempre una velocità vettoriale).
Per comprendere cosa avviene consideriamo lo schema della guida rappresentato sempre
nella figurar 3.6. Per comodità si è supposta la tavola fissa e la guida mobile con velocità
costante v . La guida risulta vincolata attraverso un elemento di rigidezza k ed uno
smorzatore di caratteristica D; questi rappresentano il cinematismo di comando della
tavola.
Si supponga che all’istante
r
t=0 per effetto di un’azione di disturbo la tavola
r r
subisca una
variazione di velocità x ' talché la sua velocità, relativa alla guida, divenga v − x ' .
La forza di attrito esistente tra tavola e guida subirà una variazione:
ΔF = mg ⋅ Δμ = mg ⋅ x ′ ⋅ μ&
avendo indicato con μ& la derivata dell’attrito rispetto alla velocità, cioè la tangente alla
curva nel punto di ascissa v.

x, x’ k
mg D
Coefficiente d'attrito

Δμ F=μmg
v

r r Velocità relativa

v − x′ v
Figura 3.6: Curva di Stribeck

Per effetto dunque della forza ΔF il sistema massa mola smorzatore risponderà come:
mx ′′ + Dx ′ + kx = mg ⋅ x ′ ⋅ μ&
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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o ancora:
mx ′′ + ( D − mg ⋅ μ& ) x ′ + kx = 0
che è l’equazione di un moto armonico smorzato se il coefficiente del termine x’ è
maggiore di zero è invece ad ampiezza crescente ove tale termine risultasse minore di
zero. Nel nostro caso tale termine è sicuramente minore di zero poiché il termine D è
molto piccolo, addirittura trascurabile, a fronte del termine mg ⋅ μ& .
Sulla guida si manifesta un fenomeno d’instabilità denominato balbettamento o anche con
il termine anglosassone stick – slip (letteralmente incolla e scivola). In presenza di tale
fenomeno la finitura superficiale del pezzo lavorato risulterà degradata anche perché il
fenomeno viene amplificato dall’anello di regolazione di posizione.

2.1 Guide con materiale a basso attrito

La prima soluzione adottata per ovviare a tale inconveniente, valida ancora oggi, consiste
nel costruire la guida fissa in acciaio temprato e rettificato, fissato alla struttura di base,
con prigionieri e spine di riferimento mentre sulla parte mobile, o controguida, viene
incollato un materiale plastico antiattrito: Turcite B o similari.
La Turcite-B è un materiale sintetico a base di fluorocarboni (teflon), bronzo e altri
elementi di carica, prodotto in lamine (o in pasta) dello spessore di 1, 5 mm.
Essa si incolla generalmente sulle parti mobili (controguida, lardoni di registrazione ecc.) e
può essere applicata indifferentemente su ghisa, acciaio o altro materiale.
Il contatto della Turcite-B con le superfici di scorrimento riduce l’attrito di primo distacco
fino a un valore di 0.09, in assenza di lubrificazione, e di 0.03 con normale lubrificazione
manifestando inoltre un andamento monotono al variare della velocità relativa.. Può
sopportare carichi unitari molto elevati fino a 12 MPa, ma i valori consigliati di carico
variano fra 0.01 e 0.30 MPa.
Le superfici sulle quali è stata applicata la Turcite B possono essere successivamente
lavorate mediante rettifica, senza particolari accorgimenti perché il suo comportamento è
similare a quello di un acciaio a basso tenore di carbonio. La finitura deve raggiungere
valori di rugosità prossimi a 0.4 - 0.6 μm. La rapida diffusione di questo materiale la si
deve principalmente alle seguenti caratteristiche:
• grande scorrevolezza delle superfici a contatto e quindi minima differenza fra attrito
di primo distacco (effetto stick-slip) e attrito dinamico con conseguente riduzione delle
potenze necessarie per l'avviamento delle corse;
• riduzione di usura degli organi di comando (viti di manovra, chiocciole, ecc.) in
conseguenza della riduzione dell'attrito e della potenza richiesta per la trasmissione del
moto agli assi;
• eliminazione quasi totale delle vibrazioni, consentendo lavorazioni di finitura di
grado molto elevato;
• riduzione delle operazioni di registrazione degli aggiustaggi di accoppiamento fra
carri e guide;
• eliminazione della necessità di indurimento delle guide, perché detto materiale
sopperisce a tale esigenza usurandosi uniformemente in un tempo molto lungo;
• la perfetta aderenza alle guide non consente l'infiltrazione di micro trucioli
particolarmente presenti in prossimità delle zone di lavorazione, funzionando essa
stessa da raschiatore.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 45
a

Figura 3.7 : guida lineare

2.2 Guide volventi

Una soluzione che va diffondendosi sempre più e che anzi può ritenersi oggi la soluzione
generalmente adottata nelle macchine con caratteristiche dinamiche migliori ( ne
parleremo alla fine del capitolo) è l’uso dei pattini volventi (Fig. 3.7).

Figura 3.8: Esempi di applicazione

Le guide volventi sono costruite in acciaio a sezione opportunamente sagomata; fra le


guide è interposta una gabbia distanziatrice in plastica, alluminio o acciaio, portante le
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 46
sfere o i rulli d'acciaio. Nelle guide è ricavata una sede per il rotolamento delle sfere o dei
rulli.
I pattini a ricircolo di sfere (per carichi medio - bassi) o rulli (per carichi medio - alti) sono
formati da una catena di sfere o rulli tenuti dalla gabbia distanziatrice che ne permette la
ricircolazione (v fig. 3.7a); i pattini si possono usare come elemento di sostegno verticale o
di guida laterale.
Entrambi i sistemi descritti trasformano l'attrito radente in volvente con coefficienti
compresi fra 0,0005 e 0,005 a seconda dell'applicazione. In pratica, rispetto alle guide a
strisciamento tradizionali si ottengono valori di attrito da 10 a 400 volte inferiori con i
seguenti altri vantaggi:

• assoluta assenza di gioco ottenuta mediante precarico;


• spostamenti esenti da stick-slip (impuntamenti del moto);
• alta precisione nei movimenti;
• capacità di carico da medie ad elevate;
• costi di manutenzione praticamente nulli;
• ridottissima usura delle parti.
Poiché i sistemi a rulli volventi, e i pattini a ricircolo di rulli sono molto sensibili allo sporco,
trucioli, polvere, grassi eccetera, essi sono installati con protezione a labirinto e tergipista
mentre le parti fisse sono protette esternamente con adeguati ripari telescopici in lamiera
o a soffietto.
Lo scorrimento delle tavole sulle guide è facilitato da un sistema di lubrificazione forzata
ad olio con impianto di pompaggio e di rigenerazione autonomo.
Elemento critico delle guide volventi e lo scarso smorzamento che può provocare
fenomeni d’instabilità nella tavola. Per porre rimedio a tale inconveniente, nelle prime
applicazioni si utilizzava una terza guida lungo la quale si faceva correre un pattino
lubrificato il quale così migliorava lo smorzamento dell’asse. I pattini a rulli più recenti
incorporano tale dispositivo e quindi in serie al pattino a elementi volventi è posto un
elemento con sola funzione di smorzatore viscoso.
Altri elementi a sfavore delle guide volventi sono:
• il rischio di danneggiamento per effetto di forti variazioni di carico (per tale motivo le
guida rotolamento , ad esempio, sono inadatte ai torni per lavorazioni pesanti).
• l’impossibilità di riprendere i giochi che si formano con l’uso;
• la possibilità che, in presenza di forti carichi, il movimento dei rulli lasci le sue tracce
sulle superfici lavorate.

2.3 Guide idrostatiche

Per ovviare agli inconvenienti delle guide volventi alcuni costruttori propongono centri di
lavorazione e torni con guide a sostentamento idrostatico onde ottenere maggiore
precisione negli spostamenti, minor attrito e durata illimitata delle parti in moto reciproco.
Ricordiamo che il funzionamento di una guida idrostatica o oleostatica può essere così
sommariamente descritto (v. Fig.3.9): l’olio proveniente da una pompa è mantenuto ad
una pressione costante p0; il passaggio attraverso una resistenza calibrata ne riduce il
valore a p1, funzione della portata d’olio che la attraversa. L’olio giunge così alla camera 1
(pozzetto) e da questa alle superfici portanti , uscendo poi all’esterno attraverso il meato di
altezza h. La forma e la distanza h delle superfici portanti determinano la resistenza R1
che l’olio incontra mentre la sua pressione si riduce da p1 a pa.
Sempre nella figura 3.9 si è riportato un grafico sperimentale dove per R1/R0 = 1 ( R1 è la
resistenza del meato) si mostra l’andamento della portanza P di un pattino in funzione

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Pagina 47
della variazione Δh del meato, espressa in funzione della forza peso (G) della tavola. Si
vede come la caratteristica principale di questa guida sia di autoadattarsi al carico; si
comprende però anche come la lavorazione delle guide debba essere molto accurata sia
in termini dimensionali che di finitura superficiale al fine di assicurare alla macchina le
precisione desiderate (h piccolo).
4

p0 R0
p1
3
h
P/G

1
2

0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Δh/h
Figura 3.9: Schema di pattino idrostatico

La Portanza del pattino può essere scritta come:


P = p1 ⋅ Aeff
dove l’area efficace è data dal prodotto dell’area del pozzetto per una costante che
dipende dalla geometria del pattino.
La portata che attraversa il pattino vale:
Q = p1 / R1 = ( p 0 − p1 ) / R0
dove:
R0 ed R1, resistenze laminari (Re<2000)
In particolare :
12 ⋅ η ⋅ l
R1 =
L ⋅ h3
dove:
L, perimetro medio delle guide
l, dimensione lineare maggiore del pozzetto
,viscosità dell’olio
Combinando tra loro le tre relazioni precedenti si ottiene:
12 ⋅ η ⋅ l
P = Aeff ⋅ Q ⋅
L ⋅ h3
Questa ci dice che la portanza cresce con legge esponenziale al diminuire dell’altezza del
meato.
Il pattino idrostatico ideale dovrebbe però possedere una rigidezza infinita. Ora la
rigidezza vale:
dP 36 ⋅ Aeff ⋅ η ⋅ l Q
= ⋅ 4
dh L h
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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potremmo dunque far variare la portata al crescere del carico e quindi della pressione nel
pozzetto. Esistono diversi dispositivi idraulici che consentono di raggiungere questo
obiettivo, nella figura 3.10 se ne è rappresentato uno particolarmente semplice. La
resistenza R0 la si ottiene come somma di R0’ ed R0’’. La seconda varia con la pressione
P1.
p0

R0’

R0’

Figura 3.10: Schema di dispositivo per variare la portata con la pressione

Le guide idrostatiche presentano dei vantaggi importanti in termini di durata,


smorzamento, basso attrito, assenza di zone d’instabilità. La contropartita, rispetto alla
classica guida a strisciamento, è il costo di fabbricazione, la precisione necessaria, una
certa difficoltà nella sua messa a punto (dimensionamento dei pozzetti e delle
strozzature), il costo d’esercizio legato alla circolazione dell’olio.

Figura 3.11: Esempio di applicazione della guida idrostatica


Nella figura 3.11 si riporta un esempio di guida idrostatica in questo caso in congiunzione
con un motore lineare visibile tra le due guide. In primo piano le resistenze R0 relative ai
vari pozzetti. La costruzione con l’uso di tubo calibrato consente l’aggiustamento
necessario per assicurare la giusta pressione in ciascun pozzetto necessaria a garantire la
planarità della tavola.

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Pagina 49
Capitolo 4: La trasmissione del moto

1.0 – IL MOTO DEGLI ASSI

Nelle macchine utensili a CNC la traslazione delle tavole e delle teste motrici dipende di
norma da due elementi: il servomotore e la vite a ricircolo di sfere; l’alternativa è l’impiego
dei motori lineari. Cominceremo a parlare dei servomotori e cioè di quegli elementi che
possiamo considerare il muscolo dell’asse della macchina, direttamente collegato con il
suo cervello che è l’Unità di Governo

1.1 Il servomotore rotativo

E’ certamente il più diffuso sulla macchina utensile: un motore elettrico con albero rotante
si accoppia con una vite a ricircolo di sfere, o più raramente con una coppia rocchetto –
cremagliera, per generare un movimento di traslazione, o con una coppia d’ingranaggi per
realizzare un movimento di rotazione.

1.1.1 Servomotore in corrente continua

Il servomotore è costituito da un motore in c.c. del tipo a magneti permanenti, dal suo
azionamento e dal generatore tachimetrico che assicura la necessaria retroazione per
l’anello di regolazione di velocità (v. Figura 4.1). Un secondo anello di regolazione è
previsto per la limitazione della corrente (protezione dai sovraccarichi).
Il servomotore si è profondamente innovato negli ultimi dieci anni con:

1. l’introduzione dei motori a magneti permanenti con magneti in terre rare (Samario-
Cobalto) che hanno permesso di aumentare il rapporto prestazioni/peso di oltre tre
volte. L’energia specifica del Samario-Cobalto e di circa 140 kJ/m^3 contro i circa 40
kJ/m^3 della ferrite . I motori al Samario-Cobalto presentano anche un’ottima
linearità del rapporto coppia/corrente il che fornisce un’elevata elasticità al
motore e delle brillanti prestazioni in termini di coppia di spunto ; tale ultimo
parametro può attenere a valori sino a 5-6 volte quello nominale senza incorrere
in rischi di smagnetizzazione .

2. l’introduzione della tecnologia degli azionamenti a transistori con modulazione


di ampiezza PWM ( noti anche come chopper ) che presentano una elevatissima
risposta dinamica, un fattore di forma pressoché ottimale ed una notevole rigidezza ( 3
volte maggiore di quella di un azionamento a tiristori).

3. l’introduzione dei motori “brushless”; questi motori eliminano l’ultimo


inconveniente del motore in c.c. e cioè il collettore rotante con l’introduzione dei
seguenti vantaggi: acquisizione della caratteristica di anti-deflagranza, aumento
dell’affidabilità del sistema, possibilità di mantenere costante il valore massimo della
corrente che può essere fatta circolare nel motore in tutto il campo di utilizzo del
motore

Un’ulteriore profonda innovazione è alle porte: l’introduzione del motore lineare di cui
daremo un cenno più avanti.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 50
Nella figura 4.1 si può rilevare la differenza fondamentale tra un motore tradizionale con
collettore ed uno privo di tale elemento meccanico e cioè nell’inversione tra induttore ed
indotto: nel motore a collettore (v. fig 4.1a) l’induttore è lo statore, nel motore privo di
collettore o brushless diventa il rotore (fig. 4.1b)

S Rotore
Collettore Rotore

N
+ -
Magnete N Magnete
Permanente Permanente

a b
FIGURA 4.1: Confronto tra lo schema di un motore tradizionale a magneti permanenti con
collettore (a) e di uno brushless (b)

TABELLA 4.1

Motore Motore
Caratteristica Unità con senza
collettore collettore
Coppia Nominale Nm 25 8
Coppia massima di spunto Nm 250 26
Velocità di rotazione massima giri/min 2000 6000
Momento d’inerzia rotorico kgm2 ·10-3 28 8
Corrente nominale A 31 27
Corrente di picco A 310 164
Costante di coppia Nm/A 0.8 0.33
Accelerazione teorica max rad/s2 8950 32500
Massa kg 58 13
Dimensioni (Lmax x ) mm 400X180 238x146
Il servomotore brushless

I motori brushless esistono in due configurazioni tipiche: a f.c.e.m. trapezoidale (D.C.


brushless), a f.c.e.m. sinusoidale ( A.C. brushless).

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FIGURA 4.2: Motore brushless DC

Nella figura 4.2 si è rappresentato in forma semplificata di brushless in c.c.al fine di


illustrarne il principio di funzionamento; come si può osservare il polo Nord del rotore si
trova compreso tra le espansioni polari P1 e P3 e contemporaneamente la fotocellula Pt1
è scoperta e di conseguenza il transistor Tr1 è in conduzione. Questo determina che: la
corrente attraversi la bobina W1, P1 divenga polo Sud e quindi attragga il polo nord del
rotore. Appena le due polarità saranno allineate PT1 sarà coperta dall’otturatore rotante e
si scoprirà PT2. Adesso sarà W2 ad essere alimentata (P2 polo Sud) e il rotore ruoterà di
altri 120°. E poi tutto continuerà con la medesima strategia e quindi il rotore proseguirà a
ruotare. Poiché la coppia raggiunge il suo massimo valore quando rotore ed campo
magnetico di statore risultino tra loro ortogonali un motore concepito in modo così
semplice presenterebbe un ripple molto elevato. Per ridurlo (fig. 4.3a) si adotta una
configurazione trifase che rappresenta un soddisfacente compromesso in quanto non si
potrà mantenere un angolo costante di 90° tra rotore e campo di statore ma si avrà un
valore medio di 90° in fatti l’angolo varia tra 60° e 120°. Nella figura 4.3b si può osservare
la posizione relativa tra campo del rotore e dello statore al momento della commutazione.
Naturalmente neanche in questo modo sarà possibile eliminare il fenomeno del ripple che
sarà particolarmente sensibile alle basse velocità di rotazione lo si potrà ulteriormente
ridurre agendo sul disegno del motore in modo da appiattire la caratteristica di coppia
rendendola approssimativamente trapezoidale (da cui il nome).
Per comandare la commutazione si impiegano al posto delle fotocellule dei sensori ad
effetto Hall che sentono il campo magnetico generato dal rotore e quindi la sua posizione
relativa allo statore. Nella figura 4.4 l’ esploso di un motore come quello descritto.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 52
FIGURA 4.3: DC Brushless trifase

Il motore brushless in corrente alternata non differisce strutturalmente da quello sin qui
descritto, la differenza sostanziale consiste nella sua alimentazione che non sarà piu una
corrente continua ma una corrente alternata opportunamente sfasata (120°) sui tre
avvolgimenti. In questo caso però avremo bisogno di un sistema di commutazione molto
più sensibile e di un’elettronica molto più raffinata perché occorrerà generare tre correnti il
cui valore dovrà variare con la posizione del rotore. Per la commutazione si impiegherà un
encoder che peraltro potrà essere utilizzato per fornire all’unità di governo il riferimento di
posizione. Il brushless in AC si comporterà come un motore sincrono e fornisce una
caratteristica di coppia praticamente priva di ripple. Per spiegare quest’ultima affermazione
in modo semplice pensiamo in termini di un motore a due fasi1 e pertanto con due serie di
avvolgimenti (anziché tre), figura 4.5. Le due correnti saranno dunque sfasate di 90° tra
loro.
Si indichi con θ la posizione istantanea del rotore (fig.4.5) ricordando che l’andamento
della coppia al variare di θ è sinusoidale si potrà scrivere, avendo alimentato A1-A2:

C1 = I ⋅ K t ⋅ sin θ
e avendo alimentato B1-B2, analogamente:

C 2 = I ⋅ K t ⋅ cos θ

1
V.appendice per la soluzione trifase
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 53
Figura 4.4:Motore Brusless DC

Se adesso la corrente è alternata e in fase con la coppia del motore, le due relazioni
precedenti diverranno:

C1 = I 0 sin θ ⋅ K t ⋅ sin θ = I 0 ⋅ K t ⋅ sin 2 θ


C 2 = I 0 cos θ ⋅ K t ⋅ cos θ = I 0 ⋅ K t ⋅ cos 2 θ

e quindi:
C = C1 + C 2 = I 0⋅K t
dove:
Kt, costante di coppia del motore

quindi la coppia è costante ed indipendente dalla posizione del rotore. Perché questa
condizione sia vera occorre dunque che la corrente segua rigorosamente una relazione
sino-coseno nel caso semplificato illustrato (uno sfasamento di 120° nella realtà), e quindi
come si è già anticipato, si rende necessario l’impiego di un encoder o un resolver con
elevata risoluzione per controllarne il valore di corrente sugli avvolgimenti di statore.
Sotto poi il profilo della regolazione possiamo scrivere a fianco della relazione di coppia
una semplice relazione per la velocità angolare:
V = K e ⋅ω
Tra le due costanti Kt e Ke esiste in un brushless trifase la relazione :
Kt = 3 ⋅ Ke

Che si ricava ricordando che in un motore trifase la potenza erogata vale:


P = 3 ⋅ V ⋅ I (cos ϕ = 1)
Nel motore si definiscono due velocità caratteristiche, ϖ1 e ϖ 2 (fig. 4.12). La prima è la
velocità raggiungibile con I =I max e quindi a Cmax. La seconda a Vmax ma con C <

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Cmax in una condizione di Pmax = cost, rappresenta la massima compatibile con il
dispositivo di controllo e l’integrità del motore.

Figura 4.5: Schema motore AC Brushless bifase

Vediamo brevemente l’importanza della riduzione del momento d’inerzia rotorico sulla
dinamica della macchina tenendo conto che l’accelerazione è oggi una caratteristica di
notevole importanza tale da condizionare le scelte progettuali.
Possiamo schematizzare l’asse della macchina utensile come un volano collegato al
motore da un opportuno rapporto di trasmissione legato ovviamente a: velocità massima
lineare dell’asse, passo della vite di comando e velocità di rotazione del motore secondo
l’ovvia relazione:

vmax ⋅ 1000
τ= dove :
p ⋅ nmax
v f max , velocità di rapido dell'asse (m/min)
p , passo della vite (mm)
n max , velocità di rotazione massima del motore

L’inerzia dell’asse si può trasportare sull’asse del motore come rappresentato nello
schema di figura 4.6. Imponendo la condizione che il volano equivalente possegga la
medesima energia cinetica del volano reale ne viene la logica conseguenza che:
I eq = I asse ⋅ τ 2 dove :
I eq , Inerzia equivalente
I asse, , Inerzia dell' asse (vite, tavola, trasmissione)
Si può quindi concludere che tanto minore sarà il valore di τ tanto minore sarà l’inerzia
vista dal motore. Se pertanto disponiamo di motori veloci, a parità di altre condizioni,
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 55
riusciremo ad avere un asse in grado di raggiungere in un tempo più breve la velocità
assegnata (accelerazione maggiore).

τ
Iasse

Motore Motore
Imot. Iequi.
Ideale

Figura 4.6: Schema di un asse

L’azionamento di potenza utilizza la tecnologia PWM (Pulse Width Modulation); nella


figura 4.7 lo schema di principio nel caso di un motore a collettore. Il motore è alimentato
da due treni di onde quadre sfalsate di ½ periodo. Se i due treni sono simmetrici il motore
è percorso da corrente nei due versi in un periodo (corrente di ricircolo) per cui non solo
non entrerà in rotazione ma si opporrà a qualunque azione esterna tendente a provocarne
la rotazione (coppia frenante). La frequenza dell’onda quadra può variare da qualche kHz
a qualche decina di kHz. Nel momento in cui i due treni divengono asimmetrici (diversa
durata delle due semionde a parità di periodo) il motore è alimentato da una tensione di
valore medio diverso da zero, positiva o negativa in dipendenza della forma d’onda, e di
conseguenza entrerà in rotazione in uno dei due versi di marcia.
+V0

+V0

-V0

Tensione ai capi di M
-V0 a rotore fermo

FIGURA 4.7: schema di un alimentatore PWM


La figura 4.7 invece riporta un schema a blocchi semplificato dell’intero azionamento;
esaminiamolo nel dettaglio.
Come si è detto si possono notare due anelli di retroazione: il primo che fa capo
all’amplificatore A1 è l’anello di velocità, di cui abbiamo già detto nel Capitolo 1, il secondo
che fa capo all’amplificatore A2 quello di corrente.

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Pagina 56
alimentazione
Riferimento (no)

A1 V, I
A2 CHOPPER
- - Shunt

Trigger

U
I
C, n
Retroazione di corrente
Dt Motore

Retroazione di velocità

FIGURA 4.8: Schema a blocchi semplificato di un azionamento per motore in c.c.

Nello schema presentato si vede che l’anello di regolazione di corrente interviene solo
quando il valore della corrente supera un valore assegnato (Imax). In questo caso la
tensione in uscita dal trigger va a sottrarsi a quella in uscita da A1 determinando la
riduzione della tensione di alimentazione del motore al fine di far si che non venga
superata la corrente massima sia a protezione del motore che dei transistori del circuito di
potenza.
Per quanto riguarda l’anello di velocità esso fa si che la tensione di alimentazione del
motore dipenda dall’uscita dell’amplificatore A1 che a propria volta dipende dal valore di :

E = k ⋅ (n0 − n) o segnale di errore

secondo una legge che, nel caso più semplice, è del tipo proporzionale –integrale -
derivativo (PID):
_ dE
U = K ⋅ ( E + T1 ⋅ ∫ E ⋅ dt + D ⋅ essendo :
dt
_
K, costante di proporzionalità o Banda Proporzionale
T, Tempo integrale o tempo di riporto
D, Tempo derivativo o anticipo

La relazione precedente si può modificare con l’aggiunta di altri termini al fine di migliorare
le caratteristiche di risposta del sistema.
E’ possibile avere un’interazione tra l’anello di velocità e quello di corrente con lo scopo di
ridurre la corrente massima, sopportata dal motore, proporzionalmente alla velocità di
rotazione (potenza max costante) come abbiamo visto essere necessario in un motore a
collettore.

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1.1.2 Motori passo a passo

I motori passo - passo possono essere visti come motori elettrici senza commutatore.
Usualmente nel motore le bobine sono parte dello statore e il rotore è un magnete
permanente o, nel caso di motori a riluttanza magnetica variabile, un blocco dentellato di
materiale con basse proprietà magnetiche (Fig. 4.9).

Figura 4.9: Motore passo - passo

I motori p.p. sono motori a c.c. particolarmente adatti a essere comandati da dispositivi
elettronici perché funzionano per mezzo di impulsi elettrici programmabili. Il motore
p.p. riceve la corrente elettrica da una sorgente di impulsi; ogni impulso provoca la
rotazione del rotore di un certo angolo prefissato la cui ampiezza espressa in gradi, si
chiama passo. Tale angolo è ripetuto con precisione ad ogni impulso successivo. Il valore
del passo può essere, per esempio: 2°; 0,45°... che corrispondono a 180; 800; .. passi per
giro. Se per esempio il passo di un motore è 2°, per fare un giro completo saranno
necessari 180 impulsi elettrici. L'angolo minimo di rotazione provocato da ogni impulso si
chiama risoluzione del servomotore.
Il numero di impulsi e il corrispondente numero di passi fatti nell'unità di tempo si chiama
frequenza; al variare di questa varia la velocità di rotazione dell'asse del servomotore e
quindi la velocità della slitta che questo comanda. Caratteristiche notevoli di questi
servomotori sono: minima inerzia, ridotto volume e peso, alti valori di coppia motrice anche
ad elevate velocità, estrema precisione e rapidità di risposta fra l'impulso elettrico ed il
posizionamento della slitta.
La trasmissione del moto alle viti a riciclo di sfere avviene preferibilmente con
accoppiamento diretto all’albero motore, raramente con interposte ruote dentate oppure
con pulegge e cinghie dentate. Questo ultimo tipo di trasmissione ha un basso livello di
rumorosità, elimina ogni possibilità di slittamento fra cinghia e puleggia annullando il gioco
specie nelle inversioni di marcia; ha anche un rendimento molto elevato nella trasmissione
della coppia a velocità medio alte.
Noti il valore del passo del servomotore, il passo della vite a ricircolo di sfere, si calcola il
valore del minimo spostamento o incremento i della slitta semplicemente dividendo il

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passo della vite per il numero di step per giro del motore, naturalmente nel caso di
accoppiamento diretto:

pvite
i=
nstep

se per esempio pv = 5 mm, nstep= 400 passi per giro si ottiene uno spostamento minimo di
0.0125 mm.
La precisione del posizionamento dipende dalla bassa inerzia del rotore del servomotore,
dalla precisione della vite, dai bassi attriti in tutto il sistema e dall'assenza di giochi. Il
motore p.p. è fornito di freno per blocco posizione e di inversione di rotazione per
comandare il doppio verso di traslazione della slitta. La velocità di spostamento, in rapido
o di lavoro, dipende dalla frequenza degli impulsi elettrici ricevuti dal motore.
Il motore passo - passo è ideale per realizzare una regolazione ad anello aperto e quindi
controlli di macchine molto semplici. Il limite della sua applicazione è insito nel fatto che:
• i motori a passo sono di piccola taglia e quindi pone dei limiti alle dimensioni degli assi;
• laddove, per motivi diversi, il motore perda un passo ciò si traduce in un errore su ogni
successivo spostamento.
In passato si era proposto l’impiego di motori a passo accoppiati con encoder, così da
realizzare un anello di retroazione, ma a questo punto il motore a passo non reggeva il
confronto con il servomotore in cc e pertanto tale soluzione è stata abbandonata.

1.2 I servomotori lineari

Nella figura 4.10, in modo molto schematico, si è indicato il modo in cui si può interpretare
un motore lineare, ottenuto da un motore rotativo, sezionandolo secondo un semipiano,
individuato dall’asse e da un raggio, e srotolandolo su una superficie piana; il campo
magnetico induttore viene a configurarsi, non più come rotante, ma come un campo di
traslazione che scorre rettilinearmente lungo il traferro.

Figura 4.10: Schema di un motore lineare

Come per i motori tradizionali si può adottare la classica suddivisione tra motori sincroni,
asincroni e a corrente continua.

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Nel campo della macchina utensile il motore lineare che oggi risulta maggiormente
impiegato e quello sincrono a magneti permanenti, direttamente derivato dal motore
brushless AC.
Questa soluzione garantisce un rapporto forza/peso più conveniente, la presenza di un
traferro più ampio rispetto al corrispondente motore sincrono (circa 1mm contro 0.1). E
questo riduce i problemi connessi con la sua applicazione.
Nella figura si è rappresentato un motore cosi detto a singolo lato, solo impiegato nella
macchina utensile, ma ne esistono anche a doppio lato il cui uso però comporta notevoli
difficoltà di montaggio. L’attuatore a singolo lato presenta a sua volta l’inconveniente di
originare, a causa della sua forma asimmetrica, una forza perpendicolare alla direzione di
moto , pari a 5-6 volte la forza di trazione, che andrà a scaricarsi sulla guide della
macchina.
Per il motore lineare non si parlerà più di statore e rotore ma di indotto e induttore.
Ovviamente per avere movimento indotto e induttore devono essere di estensione diversa
. Si avranno dunque i motori a induttore lungo in cui è l’indotto a muoversi e l’induttore si
sviluppa lungo tutta la corsa della macchina (fig. 4.11 a) e motori a induttore corto (fig.4.11
b) in cui si invertono le parti. I motori a induttore lungo hanno un migliore rendimento ma
risultano più costosi specie per corse lunghe poiché richiedono una maggior quantità di
magneti permanenti (che costituiscono l’induttore), componenti particolarmente costosi.
Questa macchina richiede, istante per istante di conoscere la posizione della parte mobile
rispetto alla fissa onde alimentare correttamente le fasi degli avvolgimenti e generare così
il campo magnetico traslante necessario per generare il moto.
Per fare ciò si possono utilizzare dei sensori ad effetto Hall, come nei comuni motori
brushless oppure il sensore di posizione utilizzato per chiudere l’anello di posizione. Questi
sensori, abbiamo visto, sono dei sensori di tipo incrementale è quindi è necessario uno
spostamento per poter definire la posizione reale del cursore (ricerca dello zero).
Si possono usare tecniche diverse:
• il motore viene alimentato opportunamente in modo che lo statore trovi una posizione
di equilibrio a cavallo delle espansioni magnetiche. Si parte da questa posizione per
sincronizzare l’alimentazione. Si deve però accettare che si abbia uno spostamento, in
questa fase, che non sia controllato ne in posizione ne in velocità.
• Il motore dispone di sensori ad effetto Hall che consentono di individuare la posizione
relativa tra indotto e induttore e quindi ottenere la sincronizzazione.
• Utilizzare un sensore di posizione assoluto. E questa è oggi la soluzione preferita

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primario

secondario

Struttura a

induttore

Struttura b

Figura 4.11: Il motore lineare. Schema a: motore a induttore lungo. Schema b: motore a
induttore corto.

I principali vantaggi derivanti dall’uso di un motore lineare sono:

• alta velocità: un motore lineare consente oggi di raggiungere velocità di 240 m/min (8
m/s); la massima velocità è limitata dal sistema di misura impiegato per il suo controllo
• alta accelerazione: in assenza di carico un motore lineare può accelerare sino a 300
m/s2;
• alta precisione; realizzando una connessione diretta tra motore e carico si eliminano
le elasticità dell’organo di trasmissione e quindi, tenuto anche conto della riduzione
delle masse, aumenta la frequenza propria dell’asse con una serie di benefici anche
sulla dinamica dell’asse;
• migliore efficienza della movimentazione : in un sistema tradizionale la potenza del
motore viene spesa per accelerare se stesso, la catena di trasmissione ed il carico;
con il motore lineare solo per accelerare se stesso ed il carico;
• corse lunghe a pari rigidezza : in un sistema tradizionale aumentando la corsa
aumentiamo anche la lunghezza della vite e quindi diminuiamo la velocità critica e la
rigidezza, come meglio si vedrà nel successivo paragrafo;

Ma ovviamente non ci sono solo vantaggi esistono anche svantaggi:

• basso rendimento: il traferro richiesto, più grande rispetto a quello di un motore


tradizionale, ne compromette il rendimento che in genere che in genere è inferiore a
quello di un motore tradizionale di pari potenza;
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• smaltimento del calore ; il basso rendimento provoca un notevole riscaldamento del
motore che va smaltito completamente per non compromettere la precisione della
macchina;
• irregolarità del moto : l’effetto dei bordi dove il campo magnetico presenta una
discontinuità prova una certa irregolarità del moto che non può essere smorzata dagli
organi di trasmissione interposti (non ve ne sono) e quindi va corretta dal sistema di
controllo;
• moto retrogrado; il sistema è totalmente reversibile e quindi gli assi verticali vanno
opportunamente bilanciati;
• forza normale; come si è già accennato è necessario che le guide sopportino il carico
perpendicolare all’asse del motore;
• protezioni più complesse ; la protezione del motore è assai più complessa che una
macchina tradizionale perché occorre garantirsi che ne trucioli ne liquidi si infiltrino nel
traferro. Può essere necessario ricorrere a delle protezioni pressurizzate;
• costi elevati; oggi il motore lineare è parecchio più costoso di un analogo motore
rotante pur considerando l’assenza della vite;
• necessità di riprogettare la macchina utensile ; il motore lineare non può essere
pensato come un semplice sostituto della trasmissione a vite e madrevite. La macchia
va completamente riprogettata e per la diversa geometria del motore e per assicurare
la protezione dallo sporco e per poterne sfruttare le caratteristiche.

Le relazioni che descrivono il motore sono le seguenti:


e = B⋅l ⋅v
F = B⋅l ⋅ I
dI
V = RI + L +e
dt
dove:

e, forza elettromotrice
B, induzione magnetica
l, lunghezza dell’indotto
V, tensione di alimentazione
I, corrente d’armatura
v, velocità relativa
R ed L, resistenza ed induttanza dell’avvolgimento

Nel motore si definiscono due velocità caratteristiche, v1 e v2 (fig. 4.12). La prima è la


velocità raggiungibile con I =I max e quindi a Fmax. La seconda a Vmax ma con I < Imax,
rappresenta la massima compatibile con il dispositivo di controllo. Tali velocità vanno
dunque opportunamente scelte in funzione dell’applicazione.

Forza

velocità v1 v2

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Figura 4.12: Andamento della forza massima in funzione della velocità

Possiamo allora dire che:


F = KF I
v = K EMF V
Pmecc = F ⋅ v
dove:
KF, la costante di forza del motore
KEMF, la costante di velocità del motore

Figura 4.13: Variazione della forza di riluttanza durante il moto relativo induttore – indotto.

Nella realtà la forza non segue esattamente la legge ideale che la vorrebbe costante ed
esattamente proporzionale alla corrente che lo attraversa ma è caratterizzata da una certa
irregolarità dovuta alla presenza delle cave che ospitano gli avvolgimenti e alla distorsione
del campo magnetico in corrispondenza dei bordi del cursore. In un motore rotativo
chiaramente questo non succede perché il rotore non ha un inizio ed una fine.

Nella figura 4.13 si è riportato un diagramma in cui si mostra l’andamento di tale


variazione; relativa ad un motore con forza di picco pari a 6000 N.
Tale variazione è praticamente indipendente dalla corrente circolante quindi
percentualmente incide poco in condizioni di massimo carico. Essa è però sufficiente a
dare dei problemi nel posizionamento della tavola. Poiché però, come si vede nella figura
4.13, tale forza presenta una buona ripetibilità con la posizione del cursore è possibile
introdurre una compensazione sulla corrente circolante che provvede a ridurre il fenomeno
sfruttando ancora una volta il trasduttore di posizione dell’asse.

1.3 La vite a ricircolo di sfere

Come si è già detto nell’introduzione, il modo tradizionale di trasformate il moto di


rotazione del servomotore in moto di traslazione di un asse lineare è quello d’impiegare
una vite e la relativa madrevite.
Con la macchina a controllo numerico, per motivi del tutto analoghi a quelli illustrati nel
capitolo precedente per le guide, sorse la necessità di sostituire l’attrito di strisciamento tra

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vite e madrevite con quello di rotolamento e di qui la nascita delle prime viti a ricircolo di
sfere, viti che oggi sono d’impiego comune e non solo nella macchina utensile.

Figura 4.13_1: Rendimento delle viti

La vite ha forma e caratteristiche particolari ed è chiamata a ricircolo di sfere perché‚ fra la


vite e la chiocciola, che hanno lo stesso passo, sono interposte delle sfere di acciaio le
quali trasformano l'attrito radente (vite - chiocciola) in attrito volvente (vite – sfere -
chiocciola). Per questa peculiare caratteristica si perde uno dei requisiti della vite
tradizionale che è l’irreversibilità; in una vite a ricircolo di sfere, quindi, è possibile invertire
il moto: cioè traslando la chiocciola si ottiene la rotazione della vite.
La vite è in acciaio da cementazione e può essere costruita mediante rullatura, per le viti
grossolane, oppure con l'asportazione di truciolo e successiva rettifica, per quelle di
precisione impiegate nella macchina utensile, questo permettere di raggiungere precisioni
di passo molto elevate. I solchi entro cui scorrono le sfere vengono temprati ad induzione
(durezza superficiale 60..65 HRC).
Le viti a ricircolo di sfere offrono i seguenti vantaggi:
• elevato rendimento e durata;
• riduzione drastica dell'attrito fra le parti a contatto;
• eccellente resistenza all'usura;
• annullamento dei giochi mediante precarico;
• grande precisione di posizionamento;
• notevole rigidità assiale;
• ridotta produzione di calore per attrito;
• minore forza di trasmissione da applicare all'asse;
• eliminazione del funzionamento a strappi.
Per ottenere la ricircolazione ininterrotta delle sfere si adottano due tecniche che
sostanzialmente danno gli stessi risultati: ricircolo interno ed esterno. Nel primo caso (Fig.
4.14) le sfere, dopo un giro completo attorno alla vite, tornano nella loro posizione iniziale
attraverso una scanalatura interna praticata nella chiocciola; ad ogni giro, la scanalatura fa
saltare alle sfere un filetto. Questo sistema, che presenta un ingombro esterno della
chiocciola ridotto, risulta silenzioso, ha un minor numero di sfere, ha una distribuzione di
carico più uniforme perché gli elementi di ricircolo sono disposti simmetricamente, è
costruttivamente costoso ma per gli indubbi vantaggi che presenta è il più usato.

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Figura 4.14: - Vite a ricircolo interno di sfere a chiocciola semplice.
Nel secondo caso, figura 4.15 le sfere ritornano al punto iniziale dopo un certo numero di
giri attorno alla vite passando attraverso un condotto ricavato all'esterno della chiocciola.
Questo sistema è più ingombrante, economico ma rumoroso.

Figura 4.15: - Vite a ricircolo esterno di sfere.

Figura 4.16: Ripresa del gioco

Il rendimento meccanico delle viti a ricircolo di sfere è circa tre volte maggiore di quello di
una vite trapezoidale, Figura 4.16 e quindi le perdite di potenza sono bassissime.
Nelle viti a ricircolo di sfere il coefficiente di attrito μ è compreso fra 0.01 e 0.003 mentre
nella vite tradizionale risulta compreso tra 0.1 e 0.2.

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a b

Figura 4.17: modalità di precarico di una vite a ricircolo di sfere


a, precarico di compressione
b, precarico di trazione
Il rendimento meccanico η, si ricava con le seguente equazione:

1 − μ ⋅ tan α
η=
1+ μ
tan α
con α, angolo del filetto della vite pari a:
α = a tan( p π ⋅ D )
medio

I valori del rendimento generalmente sono η = 0.9 e η‘ = 0.8.


Poiché tra vite e chiocciola inevitabilmente esiste del gioco, all’atto dell’inversione del moto
si avrebbe una rotazione della vite non accompagnata dalla traslazione della tavola.
Questo, come è noto, si chiama gioco assiale e per quanto ridotto non può essere
eliminato nel sistema vite - madrevite.
Nelle MU a CN è necessario che il gioco sia abolito in modo da ottenere l'immediata
risposta ai comandi e una elevata precisione nel posizionamento specie nel caso in cui la
misura della posizione venga effettuata in modo indiretto.
Uno dei metodi usati per la riduzione del gioco è la creazione di uno scostamento ΔS tra le
piste (figura 4.17) della madrevite che obbliga le sfere ad avere due punti di contato con la
madrevite stessa anche per carichi ridotti. Ma il metodo più efficace (che volendo può
essere sommato al precedente) consiste nel montare sull'asse della vite due chiocciole
contrapposte in cui il precarico è dato dal fatto che è introdotto fra di esse un anello
distanziatore registrabile ; questo trasmette alle sfere delle due chiocciole forze opposte
che bloccano il loro moto assiale eliminando cosi il gioco, figura 4.17 b.
Se il precarico è basso la vite potrà avere ancora del gioco assiale, se invece il precarico è
eccessivo aumenta la forza tra sfere e chiocciola provocando aumento del carico
hertziano con conseguente surriscaldamento e riduzione della durata della vite; si tenga
presente che il gioco aumenta al crescere del passo della vite. Il precarico può essere a
compressione (indicato con la lettera X) se
aumenta premendo le chiocciole una contro l'altra (figura 4.17 b) o a trazione (indicato con
la lettera O) se aumenta allontanando le chiocciole l'una dall'altra (figura 4.17a).
L’elevato rendimento della vite ne determina, come già detto la reversibilità. Quando la
macchina è alimentata l’anello di posizione provvede a mantenere l’asse fermo anche se
soggetto alla forza peso (assi verticali) o alle forze di taglio. Quando la macchina non è
alimentata gli assi verticali vengono tenuti in posizione da un apposito freno di
stazionamento.

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In una vite a circolazione di sfere si definisce:
1. Carico statico: il carico assiale che, applicato ad una vite in condizione statiche,
produce una deformazione permanente dei profili pari a 1/10000 del diametro dei
corpi volventi.
2. Carico dinamico: E’ il carico assiale ammissibile che permetteai corpi volventi, di
raggiungere una durata pari o superiore ad 1 milione di giri, prima che insorgano
fenomeni di fatica
3. Rendimento diretto teorico (η) : è il rapporto tra il valore di coppia applicata ( alla
vite o alla chiocciola ) e la forza che il sistema è in grado di generare (α sia l’angolo
del filetto e p l’angolo di attrito (0,25°…0,35°).
tan( α )
η=
tan( α + p )

4. Rendimento indiretto teorico (η¹) : è il rapporto tra la forza applicata alla vite o alla
chiocciola e la la coppia prodotta
tan( α − p )
η1 =
tan( α )

ks kmv
k1
a
x

ks kmv ks
k1 k2
b
x
L

Figura 4.18: Schematizzazione della vite con i relativi supporti:


a, con singolo cuscinetto (un’estremità incastrata l’altra appoggiata)
b, con doppio cuscinetto (entrambe le estremità incastrate)

5. Rigidezza: E’ intesa come la forza che determina un cedimento complessivo pari a


1 mm nella direzione di applicazione del carico. La rigidezza di una vite a
ricircolazione di sfere è la somma delle rigidezza delle singole parti che la
costituiscono l’assieme quindi della vite, della madrevite e della zona di contatto tra
i colpi volventi e le piste di rotolamento. La rigidezza dipende dalle condizioni di
vincolo della vite.
Nella figura 4.18 si sono schematicamente rappresentati i due schemi più usuali di
supporto delle viti: con un solo cuscinetto ad una estremità, schematizzabile come
b un incastro ed un appoggio, con due cuscinetti ad entrambe le estremità,
schematizzabile come doppio incastro.

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Nella figura si sono indicate le rigidezze delle diverse parti costituenti la
trasmissione.
La rigidezza complessiva nei due casi vale:

1 1 1 1
= + + , caso " a"
K tot K s K 1 K mv
1 1 1 1
= + + , caso " b"
K tot 2 ⋅ K s K 1 + K 2 K mv

Nella figura 4.19 se ne è rappresentato qualitativamente l’andamento.

Doppio incastro
Rigidezza totale

Incastro + appoggio semplice

Posizione della slitta X/L


Figura 4.19: Andamento qualitativo della rigidezza della trasmissione al variare della
posizione della slitta

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Per quanto riguarda il calcolo dei valori delle rigidezze, si possono così approssimare:

E ⋅ π ⋅ ⋅D 2
K min =
4L
K mv = Ks
K mv = 3 ⋅ K min
dove:
D, diametro medio della vite
E, modulo elastico dell’acciaio
L, lunghezza libera della vite

Più volte si è accennato alla necessità di disporre di velocità e quindi di accelerazioni


vieppiù grandi. Si hanno, dunque, due esigenze complementari: l’aumento della velocità di
lavoro e l’aumento dell’accelerazione. Sulla base delle considerazioni fatte per aumentare
le velocità senza penalizzare l’accelerazione è bene usare motori veloci montati
direttamente sull’asse della vite. Nella figura 4.20 un esempio di montaggio; tra motore e
vite è inserito un giunto di sicurezza per proteggere il sistema in caso di collisione.
Un tale sistema di montaggio ha però dei limiti sia alla massima velocità raggiungibile che
alla massima accelerazione ottenibile.

Figura 4.20: – Applicazione delle viti a ricircolo di sfera ad un gruppo bancale

Per quanto riguarda la massima velocità il limite è la velocità critica della vite. La vite può
essere assimilata ad un albero avente massa diffusa con continuità lungo
la sua lunghezza per cui la velocità critica (la prima) è esprimibile con la relazione:
d
ω cr = β ⋅ 2
l
dove:
d, diametro dell’albero (m)
l, lunghezza libera dell’albero (m)
β, costante dipendente dalle condizioni di vincolo (v. tabella 4.2)
La velocità di rotazione può però essere limitata da un altro fattore e cioè la massima
velocità periferica dei corpi volventi. Generalmente tale velocità si esprime attraverso il
prodotto D * n dove D è il diametro della vite e n la velocità di rotazione e si assume:
D ⋅ n = 120000

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Tabella 4.2

β = 3,4.103

β = 9,7.103

β = 15,1.103

β = 21,9.103

Per quanto attiene l’accelerazione essa è chiaramente limitata dal fatto che, se a parità di
dimensioni della vite, si aumenta la taglia del motore (più coppia), automaticamente
aumenta l’inerzia del suo rotore e quindi cresce l’inerzia totale. Nell’attuale configurazione
(motore-vite-asse) la potenza viene spesa quasi tutta per accelerare il motore e la vite;
solo una piccola parte va al carico pagante.
La soluzione finale, almeno all’attuale stato delle tecnologie consiste nel passare all’uso
dei mortori lineari. Ciò consente di eliminare la vite, con tutte le limitazioni da essa
introdotte, e applicare all’asse della macchina direttamente la forza necessaria al suo
moto.

Nella tabella 4.3 si sono posti a confronto i risultati che si ottengono svolgendo un
semplice esempio nel quale si valuti un caso ideale (assenze di attriti). In apparenza si
ottengono risultati comparabili ma occorre fare almeno due osservazioni:
• la vite, alla velocità di rotazione data, non è molto lontana dalla sua velocità critica
teorica che, supposta la vite incastrata ad un estremo e appoggiata all’altro (v.
fig.4.19) vale ω cr = 780 rad/s ;
• il motore rotativo deve erogare, alla velocità massima, una potenza di oltre 8 kW contro
i 2.5 del motore lineare. E’ vero che un motore lineare ha un pessimo rendimento ma in
ogni caso la potenza necessaria sarà sempre di molto inferiore.
• Nell’esempio abbiamo preso in considerazione un asse corto; risultati diversi avremmo
ottenuto su un asse lungo.
Esiste una diversa soluzione meccanica che consente di ottenere con una vite, specie se
di dimensioni rilevanti prestazioni migliori. Essa consiste nel tenere ferma la vite facendo
ruotare la chiocciola. La soluzione però presenta diversi inconvenienti e tra questi il più
importante dovuto al fatto che il motore deve muoversi con la tavola e si trova sotto la
tavola e non ad un estremità come nelle soluzioni correnti.

Tabella 4.3

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Dati del problema:
Massa dell’asse: 200 kg
Corsa utile: 600 mm
Velocità massima: 60 m/min = 1 m/s

Soluzione: motore-vite Soluzione: motore lineare

Diametro vite: 40 mm Corsa: 600 mm


Lunghezza vite: 1000 mm Massa dei magneti: 12 kg
Passo vite: 10 mm Velocità max = 1 m/s
Jvite = 19.7 10-4 kg m2 Fmotore = 2500 N
Jeq.ass. = 5 10-4 kg m2 Cost. di forza = 180 N/A
Cmotore = 13 Nm Cost. EMF = 180 V/m/s
Jmotore = 7.9 10-4 kg m2 Attrazione magnet.= 27 kN
Jtot= (7.9+5+19.7) 10-4 kgm2

Dai dati si calcolano: Dai dati si calcolano:


ω max = 628 rad / s mtot = 200 + 12 = 212 kg
C mot Fmotore 2500
ω& = = 4000 rad/s 2 &x& = = =
J tot mtot 212

&x& = ω& ⋅
p = 11.8 m/s 2 = 1.2 g
= 6.4 m/s 2 = 0.7g

Figura 4.21: Esempio di montaggio: motore brushless in asse alla vite a ricircolazione di
sfere

1.4 Rocchetto – Cremagliera

Nelle macchine con corse lunghe (di solito superiori a 4 m) la vite presenta scarsa
rigidezza e flette sia per effetto del peso proprio che del carico assiale. In aggiunta la
velocità critica flessionale pone vincoli notevoli alla massima velocità di traslazione
dell’asse e l’inerzia dei limiti all’accelerazione. Le prestazioni della macchina risultano
pertanto fortemente compromesse.
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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Prima che il motore lineare divenisse una possibile soluzione al problema l’unica
alternativa possibile era l’impiego di un sistema rocchetto cremagliera. Naturalmente
anche in questo caso è necessario prevedere un sistema per la ripresa del gioco.
Figura 4.22: Soluzione meccanica di recupero dei giochi nella trasmissione rocchetto
Precarico

Ingresso del moto

cremagliera.

Lo schema della figura 4.22 mostra un esempio di dispositivo meccanico in cui la ripresa
del gioco è attenuto tramite un albero portante due ingranaggi elicoidali, con angoli
dell’elica opposti, che trasmette il moto a due pignoni, sempre elicoidali, che sono in presa
con la cremagliera. Un dispositivo meccanico o idraulico esercita una spinta assiale su tale
asse che si traduce in due coppie di segno contrario sui due pignoni e quindi con l’effetto
di ripresa del gioco desiderato.
Oggi però si fa ricorso ad una soluzione più moderna più compatta, più semplice e che
assicura una migliore rigidezza, figura 4.23.

Figura 4.23: Dispositivo elettrico di precarico con motori in tandem

Due servomotori vengono montati sui pignoni, direttamente o tramite un opportuno


riduttore. Ognuno di questi motori eroga una coppia di accelerazione o di frenatura e una
coppia di precarico antagonista che mantiene la dentatura dei pignoni di comando sempre
in contatto con quelli della cremagliera eliminando in questo modo la negativa influenza
dei giochi nelle fasi d’inversione.

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Un sistema di regolazione del precarico che sente le differenze di accelerazione dei due
motori evita il rischio di urti sulla dentatura nelle fasi di transizione di velocità.
In questa soluzione vengono impiegati i “motori coppia” che sono dei particolari motori
brushless molto potente a basse velocità, che consentono quindi di essere usati in presa
diretta senza riduttore.
L'eliminazione di uno stadio di riduzione dalla catena cinematica di trasmissione è un
fattore sempre positivo in quanto permette di limitare i giochi e l'elasticità del sistema.
Questo obbiettivo però è reso difficile dalla necessità di mantenere una coppia elevata, di
movimento uniforme a bassa velocità ed una buona rigidità dell'asse. I motori coppia, o
motori a bassa velocità, sono motori standard realizzati con avvolgimenti particolari con
costanti Ke (costante di tension) e Kt (costante di coppia elevate. Per comprendere
appieno le potenzialità, si consideri un motore brushless "ideale" con rendimento pari ad 1
e cosφ = 1 (in pratica buone approssimazioni). In queste condizioni, poiché il motore è a
magneti permanenti e quindi in campo costante, la tensione ai capi del motore è
proporzionale alla velocità tramite la costante Ke:
V = Ke ⋅ω
mentre la coppia del motore è proporzionale alla corrente tramite la costante Kt:

T = kt ⋅ I

Se si assume che la potenza elettrica assorbita dal motore sia pari alla potenza resa
all'asse, si avrà:

T ⋅ ω = 3 ⋅V ⋅ I

Se sostituiamo nell’ultima le due precedenti otteniamo:

ω ⋅ kt ⋅ I = k e ⋅ ω ⋅ 3 ⋅ I

che semplificando diventa:

kt = ke ⋅ 3

La costante di tensione e la costante di coppia del motore sono quindi intrinsecamente


legate. La scelta del Ke in fase di progetto del motore, è sempre tale che alla massima
velocità utile:

k e ⋅ ω ≤ Vmax
Ne consegue quindi che, se un motore è limitalo per esempio a 30 rad/sec (~300 r.p.m.),
invece dei classici 314 rad/sec (3000 r.p.m.), avrà un ke 10 volte maggiore di quello del
motore standard: la stessa proporzione si applica alla costante di coppia, così che un
motore di questo tipo, con avvolgimento speciale, arriva ad avere coppie eccezionalmente
elevate a parità di corrente assorbita.
A titolo di esempio, un motore con una ωmax di 300 r.p.m., avrà una costante di coppia di
~17NmA e può quindi erogare 100Nm con soli 6A.
Un motore brushless opera correttamente anche a bassissima velocità. La velocità minima
ottenibile è definita solamente dalla risoluzione del sensore di posizionamento utilizzato:
con encoder std a 4096 impulsi/giro si risolvono 16000 posizioni per giro e la rotazione è
uniforme ben al di sotto di 1 r.p.m.

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Figura 4.24: Motore coppia (sezione di una tavola rotante.

Ogni sistema dotato di riduttore riflette al carico l'inerzia del motore moltiplicata per il
quadrato del rapporto di trasmissione. Di conseguenza quando si elimina il riduttore si
riduce drasticamente l'inerzia del sistema. Questo può essere estremamente vantaggioso
per tutti i casi in cui la componente inerziale del carico è dominante. Lo stesso fenomeno
può per contro essere un limite dove l'inerzia del sistema veniva utilizzata per assorbire
carichi impulsivi. Senza inerzia, tali variazioni del carico devono essere compensate dalla
velocità di retroazione dell'azionamento elettronico.
Il motore coppia trova larga applicazione nella realizzazione di tavole rotanti (fig. 4.24) e
anche nelle teste tilting (4° e 5° asse). Le coppie erogabili sono comprese tra 20 e 3000
Nm, le velocità tra 70 e 300 rpm con accelerazioni sino a 2000 rad/s2.

2.0 – Il moto del mandrino

Abbiamo gia parlato dei servomotori impiegati per il movimento degli assi ma una
macchina utensile a CN dispone di molti altri motori il più importante dei quali, anche in
termini di potenza (di solito è quello che determina il dimensionamento della linea elettrica
di alimentazione della macchina) è il motore di azionamento del mandrino della macchina.
Due sono le tipologie di motori impiegati per azionare il mandrino della macchina: i motori
in c.c. ed i motori in c.a. alimentati a frequenza variabile.

2.1 – Il motore in corrente continua

I motori a c.c. utilizzati sulla macchina utensile sono motori ad eccitazione indipendente;
mentre nei servomotori, di cui abbiamo parlato al paragrafo 1.1, l’eccitazione è prodotta
dai magneti permanenti, nel motore mandrino essa è prodotta dal circuito d’eccitazione,
dotato di una sua alimentazione indipendente.
Nella figura 4.25 si è riportato lo schema del motore; le grandezze fondamentali di un
motore a c.c. sono: la potenza, il numero di giri e la coppia motrice.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Tali grandezze sono legate tra loro dalle seguenti relazioni:
E = k ⋅ω ⋅ Φ
Pmeccanica = E ⋅ I = C ⋅ ω da cui :
C = k ⋅Φ⋅ I
dove:
E, tensione ai capi del motore ideale (E = V-RI)
φ ,flusso di eccitazione

Si vede come mantenendo costante il flusso e regolando la tensione di alimentazione si ha


una regolazione a coppia costante (che è quella tipica di un servomotore v. paragrafo 3.2)
Se invece operiamo a tensione di alimentazione costante e regoliamo il flusso (agendo
sulla tensione di eccitazione) si ottiene una regolazione a potenza costante. Quest’ultima
sarebbe ideale per un motore mandrino. Ma, come si vede sempre dal diagramma, il
numero di giri minimo è limitato dal massimo flusso che è possibile generare prima che il
materiale ferromagnetico, con cui è realizzato il circuito di eccitazione, si saturi. Tale
valore indicato come numero di giri nominale è in genere compreso tra 500 e 1000
giri/min.

I
C
φ R
n
E Va
ω,C
V

nmax P
C
P
n
nmin
nnom nmax Φ
.
Figura 4.25: Schema del motore in c.c. ad eccitazione indipendente e curve teoriche di
regolazione ad I = costante.

Per poter quindi regolare la velocità di rotazione da zero alla velocità di rotazione massima
occorre operare secondo uno schema di regolazione misto. Da zero alla velocità nominale
a coppia costante (flusso di eccitazione massimo e tensione di regolazione variabile da
zero al valore massimo); dalla velocità di rotazione nominale alla massima a potenza
costante (tensione di alimentazione al valore massimo e flusso di eccitazione decrescente
sino al suo valore minimo).
In questo modo però la potenza disponibile e molto bassa ai bassi numeri di giri e questo
può creare dei problemi (arresto dell’utensile). Per far fronte a questo inconveniente si può
adottare un cambio meccanico aggiuntivo.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 75
Si osservi la figura 4.26.; tra il motore in c.c. ed il mandrino della macchina si è interposto
un cambio meccanico a due rapporti: 1/1 e 1/K dove K = nmax/nnom. Il cambio è un cambio
ad innesto con elettrofrizioni.
Iniziamo a regolare con inserito il rapporto 1/K: la regolazione avviene a coppia costante
sino a che il motore raggiungerà la sua velocità di rotazione nominale e quindi il mandrino
la velocità nnom/K per proseguire a potenza costante sino a che il motore avrà raggiunto la
sua velocità massima. Arrivati a questo punto si commuta il cambio, portandolo sul
rapporto 1/1, e contemporaneamente si aumenterà il flusso di eccitazione per riportare il
mandrino alla velocità nmax/K = nnom. Si riprenderà quindi a ridurre il flusso per portare il
mandrino a raggiungere la sua massima velocità di rotazione, coincidente, nell’esempio, a
quella del motore.
Abbiamo dunque ottenuto di portare il punto d’inizio della regolazione a potenza costante
a nnom/K (se ipotizziamo che il motore abbia: nnom= 600 giri/min e nmax= 3600, con le ipotesi
fatte, la regolazione a potenza costante del mandrino inizierebbe a 100 giri/min essendo
K=6).
Il cambio gamma viene gestito dal programma attraverso le funzioni M41,M42, … .
Nella tornitura la regolazione della velocità di rotazione è continua per ottenere la
condizione di taglio a velocità costante.
1° rapporto: τ = 1/k 2° rapporto: τ = 1/1

C = Cmax

P = Pmax
1/1

1/K

Dt M

“ “ “
nman = nnom/K nman = nmax/K nman = nmax
Figura 4.26 : Cambio meccanico per abbassare il punto di inizio della regolazione a
potenza costante.

La velocità di taglio costante dell'utensile rappresenta la condizione ideale di lavorazione


ed è stata realizzata solo con l'avvento del controllo numerico; essa permette di ottenere
superfici lavorate con eccellente grado di finitura e una maggiore durata del filo di taglio
dell'utensile.
Generalmente il motore è provvisto di sistema di raffreddamento a ventilazione forzata,
con ventola assiale o azionata da motore ausiliario. Particolari tecniche di isolamento e
filtri per l'aria assicurano una efficace protezione contro la polvere. Le sonde
termometriche incorporate negli avvolgimenti, costituiscono una sicura protezione del
motore in caso di sovraccarichi.
Tutte le funzioni per la regolazione della velocità, della corrente, arresto rapido, inversione
di marcia, ventilazione, sorveglianza termica, flusso di raffreddamento, segnalazione
guasti, inconvenienti della dinamo tachimetrica ecc. vengono svolte da microcontroller
collegati mediante interfaccia al CNC.
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Se i valori programmati vengono superati o disattesi, la macchina si ferma e sul video di
controllo compaiono i segnali o i messaggi di avvertimento per l'operatore.

2.2 Il motore in corrente alternata

Il motore in c.c. non è però il solo impiegato nei moderni centri di lavoro. In applicazioni
particolari trova impiego la macchina in c.a di tipo asincrono. Come è noto la principale
caratteristica di questo motore è costituita dalla scarsa sensibilità alle variazioni di carico.
La sua velocità di rotazione è data dalla ben nota relazione:
120 ⋅ f
n= (grir/min), p = 2,4,6,8,...
p
dove:
f, frequenza di alimentazione
p, numero di espansioni polari
Come si può vedere l’unico modo di variarne la velocità di rotazione consiste nel variare la
frequenza della tensione di alimentazione.
Prima di vederne alcune modalità d’impiego è necessario ricordare che la possibilità di
alimentare a frequenza variabile il motore è legata all’uso dell’inverter. L’inverter esegue
in pratica una doppia conversione, figura 4.27, dapprima trasforma la tensione di rete,
alternata, in continua e poi trasforma quest’ultima nuovamente in alternata con possibilità
di variarne la frequenza e non solo.

Cmax = cost (V/f=cost)

Pmax= cost (V= Vmax)


C

f
AC DC
DC AC

Figura 4.27: Schema di funzionamento di un inverter

Infatti l’uscita di un inverter per comandare un motore è caratterizzato da un primo tratto in


cui viene mantenuto costante il rapporto V/f e un secondo tratto in cui, raggiunta la
massima tensione di alimentazione, ammessa dal motore ad esso collegato, viene fatta
solamente variare la frequenza. Si ottiene una caratteristica di regolazione molto simile a
quella di una macchina in c.c con il primo tratto a coppia costante ed il secondo a potenza
costante.
Questa soluzione viene adottata in quelli che prendono il nome di elettromandrini in cui
l’albero del mandrino e l’albero del motore si integrano.
L’idea d’integrare motore e mandrino non è nuova già in passato era stata utilizzata
laddove si richiedevano elevati regimi di rotazione. dapprima riservati alle lavorazioni di
rettifica per interni, poi nella fresatura di leghe leggere e oggi anche nella fresatura di
finitura degli stampi. (figura 4.28)
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Queste macchine sono caratterizzate da velocità di rotazione superiori a 20.000
giri/minuto con potenze che possono raggiungere, oggi i 40kW. Queste macchine si
sfruttano praticamente tutte nel campo a potenza costante, il tratto di regolazione a coppia
costante non è di solito d’interesse.
Gli elettromandrini più performanti oggi hanno potenze comprese tra i 30 e i 40 kW e
velocità di rotazione prossime ai 50.000 giri.

Figura 4.28: Elettromandrini veloci di varie taglie

Nella figura 4.29 si può osservare un elettromandrino montato sulla testa di una fresatrice
a 5 assi che porta in rotazione una fresa sferica durante la lavorazione di uno stampo.

Figura 4.29: Elettromandrino impegnato nella lavorazione di uno stampo-

Di recente però prevale l’idea di utilizzare per il mandrino un brushless A.C, collegato
direttamente al mandrino della macchina; nella figura 4.30 si è rappresentato una tipica
applicazione dove si vede chiaramente il collegamento diretto motore – mandrino. Nella
stessa figura è riportato l’andamento di coppia e potenza fornito da costruttore

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Figura 4.30: Esempio di collegamento diretto motore – mandrino (senza cambio
interposto) in un tornio (Gildemeister CTX 300). A fianco la relativa curva di potenza e di
coppia.

L’andamento lineare della Coppia con la velocità di rotazione è dovuto alla scala
logaritmica di rappresentazione adottata.
Di recente però sta emergendo un’ulteriore tendenza a compattare e semplificare:
il motore principale della macchina si integra con il mandrino che ne diviene il rotore e ciò
con grandi vantaggi per la dinamica ( si possono superare i 1200 rad/s2: i n questo caso si
parla di motomandrino, o moto-mandrino, integrato. La dizione motomandrino per indicare
che in questo caso il motore usato è un brushless e sottolineare quindi la differenza
rispetto ad un elettromandrino in cui il motore impiegato è un motore asincrono

Figura 4.31: Esempio di motomandrino integrato (Gildemeister)

In figura 4.31 un esempio di tale soluzione costruttiva. E’ chiaro che con queste due
soluzioni, in particolare quest’ultima le coppie disponibili non potranno, a parità di potenza
erogata, essere comparabili con quelle ottenibili con una soluzione motore – cambio
meccanico – mandrino. In questi casi si sfrutta il fatto che i motori brushless sono
particolarmente compatti e quindi si possono montare sulla macchina, a parità d’ingombro,
motori sostanzialmente di maggiore potenza.

APPENDICE: Motore brushless sincrono

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La coppia per ciascuna delle tre fasi può essere scritta come:
C( ϑ ) = I ⋅ k t ⋅ cos( ϑ )
poniamo che la corrente assuma il valore:
I ( ϑ ) = I 0 ⋅ cos( ϑ )
La coppia all’albero risulterà pertanto:
C = k t ⋅ I 0 ⋅ (cos 2 ( ϑ ) + cos 2 ( ϑ − ϕ ) + cos 2 ( ϑ + ϕ )) [3
adesso dobbiamo ricordare che:
cos 2 ( α ) = 12 ⋅ ( 1 + cos( 2α )) per cui la relazione precedente diviene:
C = k t ⋅ I 0 ⋅ 12 ⋅ ( 3 + cos( 2ϑ ) + cos( 2( ϑ − ϕ )) + cos( 2( ϑ + ϕ ))) [2
adesso dobbiamo ricordare che:
cos( α ) + cos( β ) = 2 ⋅ cos( 12 ( α + β )) ⋅ cos( 12 ( α − β ))
applicandola agli ultimi due termini entro parentesi della [2] otterremo (ricordiamo che
φ=120°):
C = k t ⋅ I 0 ⋅ 12 ⋅ ( 3 + cos( 2ϑ ) + cos( 2ϑ ) ⋅ cos( 240° )) = 23 ⋅ k t ⋅ I 0

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Capitolo 5: II Magazzino utensili

3. Introduzione

Il sistema che automaticamente esegue il cambio dell’utensile tra magazzino e mandrino è


definito, nella letteratura anglosassone, Automatic Tool Changer (ATC) e, in italiano,
dispositivo di cambio automatico dell’utensile. La necessità di contenere i tempi morti ha
portato a considerare con grande attenzione i sistemi ATC: essi, infatti, consentono di
aumentare la produttività e quindi di diminuire il costo orario della macchina. Un dispositivo
rapido ed affidabile è essenziale per un centro di lavoro a CN.
I dispositivi ATC possono essere descritti completamente tramite le seguenti
caratteristiche:
1. tipologia di magazzino principale
2. posizione dell’utensile nel magazzino rispetto all’asse del mandrino
3. tipo di meccanismo che esegue il cambio
4. logica di allocazione dell’utensile nel magazzino
5. posizione del mandrino durante la fase di cambio
6. fase di preparazione del cambio
La spinta verso una maggiore flessibilità ha portato a dotare i centri di lavoro di un numero
elevato di utensili. Al tempo stesso, però, per non avere un magazzino troppo grande, con
inerzia troppo elevata e difficoltà di gestione, sono stati creati dei magazzini a bordo
macchina per la gestione degli utensili temporaneamente non utilizzati. Un centro di
lavoro, quindi, può essere provvisto di magazzino principale, di uno secondario, e può
condividere con altre macchine un magazzino centrale.
Il magazzino principale è deputato allo scambio degli utensili con il mandrino. Esso
contiene gli utensili necessari alla macchina per eseguire le lavorazioni necessarie al
pezzo in produzione: dunque le sue dimensioni sono strettamente correlate alla filosofia
produttiva aziendale. Per centri di una linea flessibile, ad esempio, sono sufficienti pochi
utensili (6-8), mentre per macchine che lavorano come moduli separati si ha la necessità
di maggiore flessibilità in tempi minori; in questo caso si preferiscono magazzini più
capienti (anche fino ad 80 utensili). Per garantire maggiore autonomia alla macchina, in
ogni caso, il magazzino principale può scambiare utensili anche con il magazzino
secondario, che ha la funzione di polmone tra detto magazzino e quello centrale. Il
magazzino centrale, che contiene utensili già assemblati e presettati, può servire una
singola cella o anche un’ intera linea flessibile. Il trasferimento degli utensili al magazzino
principale o secondario può avvenire sia in modo manuale sia in modo automatico,
utilizzando manipolatori, AGV e simili. Il tempo di rifornimento della macchina è influenzato
pesantemente dall’efficienza del magazzino: la posizione del magazzino rispetto alla
macchina e la posizione degli utensili nel magazzino sono determinanti per tale tempo.
La gestione degli utensili è essenziale per ottimizzare l’uso del magazzino: non solo è
necessario realizzare con tempismo i cambi tra i diversi magazzini, ma è anche
indispensabile ricondizionare gli utensili usurati, sostituire quelli rotti, montare e presettare
i nuovi utensili. Si determina, così, un complicato flusso di utensili che deve essere gestito
tramite opportuni software per minimizzare i tempi morti. Il flusso degli utensili può essere
schematizzato come in figura 5.1.

Magazzino
utensili smontati

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Carrelli di trasporto
alla stazione di montaggio

Stazione di ricondizionamento.

Montaggio e preset
utensili
Reparti produttivi

Trasporto ai
magazzini utensili Trasporto ai
reparti produttivi
Magazzini utensili
montati

Figura 5.1: Schema del flusso degli utensili

In particolare è di rilievo la fase relativa alla gestione dei magazzini e dei movimenti.
Attraverso gli strumenti della ricerca operativa, i sistemi di gestione ottimizzano i tempi
necessari ai trasferimenti degli utensili tra i vari magazzini, le macchine e le stazioni di
ricondizionamento.
L’utensile dal magazzino generale verrà portato al magazzino secondario, ove presente, e
da questo al magazzino principale della macchina utensile. Nel caso di un centro di lavoro
di fresatura si renderà necessario, ovviamente, un ulteriore spostamento dal magazzino
principale al mandrino della macchina utensile.
Il magazzino principale contiene gli utensili necessari alla macchina per compiere una
serie di determinate lavorazioni. La sua capacità, come detto sopra, va vista in relazione
alla flessibilità che deve contraddistinguere la macchina; la tipologia del magazzino da
realizzare, pertanto, è fortemente condizionata dal tipo di lavorazione cui sarà assegnata
la macchina: per HSM destinati a linee flessibili si prediligono magazzini di dimensioni
contenute, mentre per moduli flessibili magazzini più capienti, anche se più complessi. La
tipologia di magazzino solitamente è definita in base alla forma, tuttavia le differenze
riguardano anche molti altri aspetti (la possibilità del magazzino di muoversi, la capacità, le
dimensioni degli utensili immagazzinati, il moto di estrazione dell’utensile).

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2.0 Struttura del magazzino utensili

In generale, i magazzini possono essere distinti nelle seguenti strutture:

• a torretta
• a disco
• a tamburo
• a catena
• a rastrelliera o a matrice

I magazzini a torretta sono i primi ad essere stati utilizzati in quanto già impiegati; si pensi
ai torni a torretta o a tamburo.
Oggi i magazzini a torretta, a stella (figura 5.2) o a corona, sono prevalentemente utilizzati
su macchine adibite alla foratura; la loro capacità è generalmente limitata a 8 - 10 utensili.
Di norma sono utilizzati associati a dispositivi di cambio diretto, senza braccio di scambio
e con utensile coassiale al mandrino.

Figura 5.2: Magazzino a torretta a stella


Altra applicazione in cui il magazzino utensile è ancora classificabile come a “torretta” e
quella relativa ai torni dove il ridotto numero di utensili necessari non giustifica il ricorso a
dispositivi più complessi, Figura 5.3.
In questo caso è possibile motorizzare l’utensile portato nella posizione di lavoro e quindi
usare utensili rotanti come frese maschi e punte ad elica per eseguire operazioni
accessorie alla tornitura (es: fresatura di cave, forature non in asse, etc.).
I centri di lavoro, nella maggior parte dei casi, montano magazzini a disco (figura 5.4.a) e a
tamburo (figura 5.4.b), in quanto rappresentano un buon compromesso tra numero di
utensili a magazzino e rapidità di movimenti. Sia i magazzini a disco sia quelli a tamburo
sono caratterizzati da una ruota in cui sono immagazzinati gli utensili, ma mentre il
magazzino a disco è caratterizzato dal movimento radiale di sfilamento, in quello a
tamburo lo sfilamento avviene assialmente. La capacità tipica di questi magazzini è circa
di 20-40 utensili anche se, teoricamente, sarebbero realizzabili capacità maggiori;
l’ingombro della struttura circolare, l’inerzia alla rotazione, il fatto che, spesso, la rotazione
della ruota avvenga in tempo macchina e non in tempo mascherato hanno costretto i
progettisti a limitare il diametro della ruota.

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Figura 5.3: Particolare di una torretta di un tornio a CN (Daewoo Puma)

a b

Figura 5.4: Magazzino a disco a) e a tamburo b).


La massa del disco è bene che sia ridotta al minimo: avere scarsa inerzia consente minori
sollecitazioni al centro di lavoro e, a parità di coppia erogata, accelerazioni maggiori..
Il diametro minimo del disco è calcolato in relazione al numero di utensili ed al loro
diametro, lasciando dello spazio prestabilito tra posizioni adiacenti, in considerazione
dell’ingombro degli organi di presa. Il disco stesso, talvolta, può essere il vero e proprio
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meccanismo deputato allo scambio: in questo caso il magazzino è a disco senza braccio
di scambio; diversamente, se il disco ha la sola funzione di parcheggio degli utensili, la
fase di scambio è affidata ad un braccio. Nella soluzione senza braccio di scambio il disco
deve potersi muovere assialmente, pertanto necessita di un corpo traslante comandato da
un pistone idraulico o pneumatico. Per ottenere maggiore capacità, hanno trovato
applicazione soluzioni con più di un disco (multidisco figura 5.4a ) o di un tamburo
(multitamburo).

Figura 5.5: Magazzino a catena


La soluzione con magazzino a catena (figura 5.5) rispetto quella con magazzino a disco,
richiede la presenza di un braccio di scambio, dunque una struttura più complessa, ma
garantisce alla macchina una maggiore flessibilità, avendo una capacità elevata, tra 40 e
60 utensili (in qualche caso anche 100). La forma di questi magazzini può essere molto
varia, e quindi facilmente adattabile alla geometria della macchina. I dispositivi di scambio
con magazzino a disco sono più costosi sia per via della presenza del braccio di scambio,
sia per la struttura stessa del magazzino. Infatti la catena necessita di due pulegge: una
motrice, l’altra di riamando; i magazzini a disco, invece, hanno bisogno di una puleggia
soltanto.
Infine, esistono i magazzini a rastrelliera o a matrice: si tratta di celle fisse in cui viene
depositato e prelevato l’utensile, solitamente da un robot cartesiano o scara, o anche, in
alcuni casi direttamente dal mandrino della macchina. In figura 5.7 è riportata un’immagine
relativa al caricamento di un magazzino a matrice costituito da più cassette (moduli). Per
magazzini di dimensioni ridotte si utilizza una sola fila di celle ed in questo caso il
magazzino è detto a “stecca”.
Un altro elemento distintivo del sistema ATC è costituito dalla posizione relativa tra l’asse
dell’utensile nel magazzino ed il mandrino.
Affinché la sostituzione dell’utensile possa essere completata è necessario che le
coordinate che identificano la posizione del mandrino siano le stesse di quelle che
identificano la posizione dell’utensile. Sia la posizione del mandrino sia quella dell’utensile
possono essere univocamente individuate da tre coordinate relative alla traslazione ed una
relativa alla rotazione (X, Y, Z, α).

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 5.7: Magazzino a rastrelliera o matrice
Per consuetudine l’asse Z indica l’asse del mandrino e α è assunto pari a zero per l’asse
del mandrino e, conseguentemente, misura l’angolo relativo tra l’asse del mandrino e
quello dell’utensile. I gradi di libertà sono (X1, Y1, Z1, α1) per il mandrino (X2, Y2, Z2, α2)
per l’utensile. Detto P il punto rappresentativo della posizione del mandrino, U quello
dell’utensile, perché avvenga la sostituzione è necessario che P ed U coincidano, ovvero
che la distanza:
P - U = (X1 , Y1 , Z1 , α 1 ) - (X 2 , Y2 , Z 2 , α 2 ) = (X, Y, Z, α ) = 0
Quando l’utensile si trova ancora nel magazzino può capitare che la differenza P-U non
sia nulla solamente per una coordinata, oppure per due, o per tre o per i quattro gradi di
libertà. Ad esempio nel caso di figura 5.1 si ha che l’asse del mandrino e quello
dell’utensile coincidono, per cui si ha che X1=X2, Y1=Y2, α1=α2. L’unica coordinata che
differisce è la Z. Per eseguire il cambio, in questo caso, è sufficiente la sola traslazione
dell’asse Z.
Di norma questa situazione capita solamente per i cambi con magazzino a torretta; i
dispositivi dotati di magazzini diversi differiscono generalmente per più di un grado di
libertà.
Ad esempio, nella figura 5.8 si può osservare come un magazzino a tamburo imponga la
necessità di traslare l’utensile in X, Y e Z, ma non determini la necessita di ruotarlo, poiché
gli utensili possono essere alloggiati parallelamente al mandrino.

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Figura 5.8:. Magazzino con utensili paralleli al mandrino, ma traslati in X, Y e Z

• Con asse a 45°rispetto al


mandrino

• Con sistema di trasporto


Rotante attorno
ad un asse • Con sistema di trasporto e
stazione di parcheggio
Con braccio
di scambio • Con braccio di scambio
speciale
Rotante attorno
a due assi
Dispositivo
di cambio

Asse dell’utensile
coassiale al mandrino
Senza braccio
di scambio
(Diretto) Asse dell’utensile
parallelo al mandrino

Figura 5.9: Classificazione dei dispositivi di cambio utensile

3.0 Tipologia del meccanismo che esegue il cambio

L’operazione di scambio è realizzata con dispositivi diversi da costruttore a costruttore; la


classificazione di detti dispositivi è stata fatta in base alle soluzioni attualmente disponibili
sul mercato, ma occorre tenere presente che nuove soluzioni potrebbero non rientrare
negli schemi che svilupperemo in dettaglio. I dispositivi si possono suddividere come in
figura 5.9.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Una prima distinzione dei vari meccanismi può essere fatta valutando la presenza o meno
del braccio di scambio. In seconda battuta si può valutare se i dispositivi senza braccio di
scambio sono con utensile coassiale al mandrino o parallelo. I dispositivi con braccio di
scambio possono essere costituiti, oltre che, ovviamente, dal braccio di scambio, da un
braccio di trasferimento e da una stazione di parcheggio. I tre elementi non devono essere
necessariamente presenti contemporaneamente; in seconda battuta, quindi, si può
operare un’ulteriore distinzione relativa ad essi.

3.1 Sistemi senza braccio di scambio (diretti)

La modalità di cambio utensile eseguita senza braccio prende il nome di cambio diretto. La
sostituzione dell’utensile è affidata al moto relativo tra mandrino e magazzino; a seconda
della posizione relativa tra l’asse dell’utensile e l’asse del mandrino si distinguono cambi
diretti:
• con asse dell’utensile coassiale al mandrino
• con asse dell’utensile parallelo al mandrino

Se l’utensile è coassiale al mandrino, l’utensile viene fatto traslare lungo il proprio asse
(l’asse Z), ad esempio dal movimento del mandrino. Questo tipo di soluzione è molto
compatto, però ha lo svantaggio di avere magazzini con capacità molto limitata. Si adotta
spesso con magazzini a torretta a forma di corona, di stella o con magazzini a tamburo
come si vede nella figura 5.1
Per quanto riguarda la soluzione più diffusa prevede la sequenza di movimenti
rappresentata in figura 5.10a e 510b, dove il magazzino esegue la sola rotazione mentre i
restanti movimenti sono effettuati direttamente dal mandrino.

Figura 5.10a: Moti per la sostituzione dell'utensile

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 5.10b: Esempio di magazzino con scambio diretto

3.2 Sistemi con braccio di scambio

I sistemi che utilizzano la soluzione con braccio di scambio possono essere distinti in base
alla complessità del dispositivo. Come si vede in figura 5.9 è possibile distinguere, in primo
luogo, tra dispositivi con braccio rotante attorno ad uno o a due assi. Per quanto riguarda i
primi, poi, è opportuno ancora specificare quali siano gli elementi che compongono il
dispositivo, per meglio identificare la complessità del meccanismo.
Le tipologie di cambio con braccio individuate sono, complessivamente, sei; per ognuna di
esse, nelle pagine che seguono, è fornita una descrizione ed è riportata una figura che ne
illustra un esempio applicativo.

Figura 5.11: ATC con braccio di scambio ad asse parallelo al mandrino


(Colombo Filippetti )
I sistemi il cui braccio è rotante attorno ad un asse possono essere distinti in base
all’orientamento dell’asse che può essere parallelo o ortogonale al madrino.

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Nella figura 5.11 il braccio è parallelo al mandrino e ortogonale all’utensile, nella sua
posizione di riposo. Nel momento del cambio l’alloggiamento dell’ utensile compie una
rotazione di 90° portando l’asse di quest’ultimo parallelo all’asse di rotazione del braccio.

I movimenti che esegue il braccio sono generati da un meccanismo a camma che


trasforma la rotazione dell’albero motore in una sequenza ordinata e priva di urti di
movimenti rotatori e lineari. La sequenza dei movimenti che esegue il braccio è costituita
da:
1. braccio in posizione di riposo
2. rotazione per prelevare l’utensile dall’astuccio e dal mandrino
3. movimento lineare di disimpegno degli utensili (dall’astuccio e dal mandrino)
4. rotazione del braccio di 180° per sostituire l’utensile
5. movimento di traslazione per inserire l’utensile nuovo nel mandrino e quello sostituito
nell’astuccio
6. rilascio degli utensili e ritorno in posizione di riposo

Una seconda possibilità vede l’asse del braccio di scambio a 45° rispetto all’asse del
mandrino; in questo caso lo sfilamento può essere radiale o frontale.

Figura 5.12: Braccio di scambio inclinato a 45° con moto di sfilamento radiale

Se è radiale, come in figura 5.12, allora il braccio è montato su un supporto che si muove
parallelamente al mandrino, secondo la sequenza:
1. estrazione dell’utensile dal magazzino mediante traslazione del braccio di scambio
parallela all’asse del mandrino con simultanea estrazione dell’utensile dal mandrino;
2. rotazione del braccio,

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3. traslazione del braccio inversa a quella del punto 1 ed inserimento utensili nelle
rispettive locazioni.

La soluzione con braccio di scambio e stazione di parcheggio, figura 5.13, differisce di


poco dalla precedente. La stazione di parcheggio è utilizzata non solo per depositare
l’utensile mentre il magazzino si muove, ma anche per ruotare l’utensile in modo tale da
renderlo parallelo al mandrino; un braccio estrae l’utensile dal magazzino e lo colloca nella
stazione. Stazione e braccio ruotano di 90° per consentire al braccio di prelevare l’utensile
dal mandrino e scambiarlo con quello allocato.
La stazione di parcheggio può anche essere dotata di un sistema di trasporto qualora la
posizione tra utensile e mandrino sia tale da rendere difficoltosa l’operazione di cambio
(cioè si debba spostare l’utensile secondo X,Y, Z ed α). Queste condizioni disagiate si
verificano nel caso di magazzini di grosse dimensioni; si tratta solitamente di magazzini
multipli o di teste a torretta con magazzini separati. Rispetto alla situazione precedente,
l’utensile estratto dal magazzino viene depositato sul sistema di traslazione e, poi trasferito
con il sistema di trasporto (detto navetta) sino alla stazione di parcheggio.

Figura 5.13: Magazzino con braccio di scambio

Da qui in poi il funzionamento è analogo a quello di un dispositivo con braccio di scambio


e stazione di parcheggio.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 91
Figura 5.14: esempio di magazzino a matrice con stazione di parcheggio dotata di
sistema di trasporto

3.4 Modalità di allocazione dell’utensile

Il posizionamento dell’utensile nel magazzino può avvenire secondo due modalità distinte:

• a posizione fissa, cioè assegnando all’utensile sempre la stessa cella,


• variabile (random), codificando l’utensile.

Nei sistemi di allocazione a posizione fissa il tempo necessario all’operazione di cambio è


generalmente più elevato rispetto ai sistemi con posizione random. Infatti, per depositare
l’utensile è necessario che il magazzino cerchi la stessa cella da cui l’utensile era stato
prelevato, e tale cella può anche essere molto distante dalla posizione in cui si è prelevato
l’utensile nuovo. Inoltre, in questo modo, non si ha la certezza di caricare l’utensile
giusto.La soluzione oggi più diffusa, è quella con codifica dell’utensile a cui è associato un
sistema di identificazione.

Il sistema di identificazione degli utensili (figura 5.15) è composto da tre parti principali:
• l’elemento di memoria, montato sul cono portautensili, permette di conservare dei dati
senza l’uso di batterie
• la testa di lettura e scrittura che permette di leggere e scrivere i dati sull’elemento di
memoria, montato sul cono portautensili. Il suo funzionamento è ad induzione
magnetica, dunque tanto più grande è la testa, tanto maggiore può essere la distanza
tra la testa e l’elemento di memoria.
• il processore è responsabile della gestione dei dati trasferiti dall’elemento di memoria,
montato sul cono, ed il PC con il software di gestione.

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Figura 5.15:. Sensore induttivo

Spesso, gli elementi di memoria possono avere sufficiente capacità da memorizzare il


tempo di taglio, la vita residua ed eventuali raffilature dell’utensile, in modo tale da
ottimizzare la gestione del magazzino. I benefici della gestione con codifica si possono
apprezzare in diverse situazioni. Sovente capita, ad esempio, che sulla stessa macchina
siano montati più utensili uguali; affinché tutti arrivino a fine vita insieme ed insieme siano
sostituiti, in modo da fermare una sola volta la macchina, è bene disporre di una
panoramica completa sullo stato di usura degli utensili, possibile solo tramite elementi di
memoria montati sugli utensili. Un'altra situazione in cui è utile conoscere lo stato di usura
degli utensili può essere in caso di guasto: approfittando del fermo macchina, infatti, si
possono sostituire quegli utensili la cui vita residua è molto ridotta e che imporrebbero, a
breve, un’altra fermata. I benefici che derivano dalla codifica dell’utensile sono di natura
economica: diminuendo il numero di fermate, infatti, aumenta la produttività del centro.
Il sistema a codici necessita di software opportuni per gestire la ricerca dell’utensile: il
software deve memorizzare la posizione dell’utensile e stabilire il percorso più rapido per
raggiungerla. Ad esempio, in un magazzino a disco, il software deve determinare il senso
di rotazione del magazzino per rendere disponibile l’utensile nel tempo più rapido
possibile.
In figura 5.16 si può osservare l’elemento di memoria montato su un cono portautensile.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 93
Figura 5.16: Particolare del sistema di codifica degli utensili

3.6 Preparazione dell’utensile nel magazzino


Quando, nel paragrafo 3.3, sono state analizzate le sequenze dei movimenti necessari alla
sostituzione non è stato fatto esplicitamente riferimento alla preparazione dell’utensile nel
magazzino. In realtà questa fase è molto significativa per la determinazione dei tempi
necessari all’operazione di cambio. La preparazione dell’utensile a magazzino, può
avvenire in:

• tempo macchina
• tempo mascherato

La fase di preparazione in tempo macchina è tipica dei cambi diretti. Su tali cambi, infatti,
per poter sostituire l’utensile è necessario prima avere il mandrino libero, e quindi avere
depositato l’utensile nel magazzino; solo in un secondo momento si può procedere alla
ricerca del nuovo utensile. Pertanto durante la ricerca del nuovo utensile il centro non
lavora ed il tempo che passa è da considerare parte del tempo necessario all’operazione
di cambio.
Gli ATC dotati di braccio di scambio possono “mascherare” la fase di preparazione
facendola avvenire mentre la macchina lavora, in modo che il tempo di cambio non risenta
della durata di tale fase. Questo è possibile perché l’utensile estratto dal magazzino è
deposto sul braccio, nel frattempo il magazzino ruota sino a mettere a disposizione la cella
in cui si desidera disporre l’utensile estratto dal mandrino. In questo modo quando
l’operazione di cambio sarà necessaria l’utensile sul mandrino sarà estratto dal braccio, e
immediatamente sostituito con quello già pronto sull’altra estremità del braccio. Il centro
così può iniziare a lavorare; nel frattempo il braccio di scambio dispone l’utensile estratto
nel magazzino ed attende di caricare il nuovo utensile. Questa nuova fase di preparazione
avviene mentre il centro lavora, quindi apparentemente il tempo ad essa necessario è
nullo.

3.7 Valutazioni sul tempo di cambio utensile

Per comprendere l’importanza che l’operazione di cambio assume in un centro


di lavoro si ipotizzi di dover alesarei quattro fori passanti sulla piastra in alluminio di figura
5.17, e di valutare il tempo necessario ad eseguire tale operazione con utilizzando due
macchine che differiscono tra loro per le prestazioni e in particolare per la velocità di
rotazione del mandrino e per la velocità di rapido.
Per lavorare i quattro fori di figura è necessario realizzare quattro avanzamenti e quattro
traslazioni in rapido per chiudere il ciclo. Il tempo (t1) necessario per realizzare un foro
passante, si determina, nota la corsa di foratura e la velocità di avanzamento, come
segue:
l
t1 = 2 ⋅ 60 ⋅ (s)
vf

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Pagina 94
dove:
l , corsa di foratura. E’ data dallo spessore del particolare aumentato di una certa quota
per permettere all’utensile di uscire completamente dal pezzo. La misura è espressa in
mm;
vf , velocità di avanzamento, espressa in mm/min.
I coefficienti numerici (60 e 2) sono introdotti per ottenere il tempo in secondi e per
considerare che nel tempo di foratura è necessario considerare anche il ritorno della
punta. Poiché è necessario realizzare quattro fori il tempo necessario all’alesatura (tte ) è
pari a:

25
20

35

150
t te = 4 ⋅ t1

Figura 5.17: Dati geometrici per il calcolo

Il tempo (ti) necessario ai trasferimenti, considerando che essi avvengano in rapido, si


calcola come segue:
d 60
ti = ⋅
v R 1000
dove d è la somma delle distanze che intercorrono tra i quattro fori espresse in mm e vR la
velocità di rapido della macchina, espressa in m/min. E’ ragionevole pensare che il centro
debba eseguire altre operazioni sullo stesso pezzo, per questo, nel calcolo del tempo di
realizzazione della lavorazione, è necessario considerare anche il tempo di cambio
utensile. Il tempo complessivamente necessario (tc) è dato da:
t c = t te + t i + t cu
dove tcu è il tempo di cambio utensile.
Ipotizzando che il tempo di cambio utensile sia lo stesso su entrambi i centri, si può
osservare come il peso relativo sia molto diverso nei due casi, Tabella 5.2.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 95
Tabella 5.2: Esempio
Velocità al mandrino (rpm) 7.000 30.000
Velocità di rapido m/min 20 60
Tempo di cambio utensile (s) 5,80 5,80
Dati Avanzamento (mm/giro) 0,05 0,05
Velocità d'avanzamento (mm/min) 350 1.500
Velocità di taglio (m/min) 440 1.884
Tempo d'esecuzione del foro (s) 34 8
Esito

Tempo d'accostamento 1,11 0,37


tcu/(tte+Ti) (%) 16 69

La conclusione è che il tempo di cambio utensile o tempo “chip to chip” è una caratteristica
importante in un centro di lavoro specie se ad alta efficienza.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 96
Appendice: Il fissaggio dell’utensile

Il montaggio dell’utensile in un centro di lavorazione avviene con l’interposizione di un


portautensile. Nella figura 5.1 è rappresentato un cono portautensile ISO. La zona
tratteggiata è la parte che si interfaccia con l’utensile mentre la zona conica rappresenta
l’interfaccia standard con il mandrino della macchina . L’indicazione ISO xx definisce le
dimensioni geometriche del cono

Figura 5.A1 : Cono ISO 30

La figura 5.A2 riporta in forma schematica la sezione del mandrino di un centro di lavoro
per mostrare come venga fissato il portautensile (o adattatore).

Figura 5.A2 : Fissaggio del cono portautensile al mandrino della macchina

Il mandrino è cavo e nella sua parte di sinistra presenta una sede conica adatta ad
interfacciarsi con al conicità del cono portautensile. All’interno scorre una barra mantenuta
in posizione retratta da una molla che nella sua estremità di sinistra presenta una pinza
elastica che afferra il codolo posto all’estremità del portautensile . In posizione retratta
dunque la barra esercita una forza di trazione sul cono del portautensile tenendolo quindi
aderente alla sede conica del mandrino. Un fresatura posta sulla flangia del portautensile
e due chiavette poste sulla faccia del mandrino provvedono a trasmettere la coppia ( le
forze d’attrito sono deboli). A mandrino fermo si immette aria nel cilindro pneumatico,
collegato all’estremità destra del tirante, provocando l’apertura della pinza, posta
all’estremità opposta, e quindi il rilascio del portautensile.
Il cono ISO però presenta un difetto: il suo cntraggio e il suo posizionamento assiale
avviene sul cono per cui la flangia anteriore del portautensile non va in battuta sul
mandrino (figura 5.A3). Alle alte velocità avvengono allora due fenomeni:
• il cono del mandrino si apre per effetto delle forze centrifughe molto più di quanto
non possa fare il cono portautensile. Il cono, soggetto alla forza di trazione del
tirante, si sposta assialmente modificando la sua posizione rispetto al pezzo
lavorato;
• il cono si deforma e quindi il cono portautensile può muoversi radialmente al suo
interno provocando vibrazioni durante l’operazione di taglio.
Apertura del cono
alle alte velocità
velocità
di rotazione

Massa e
lunghezza
Bloccaggio
notevoli dall’
dall’esterno

Riduzione della
superficie d’
d’appoggio

Gioco frontale

Figura 5.A3: Effetti della velocità sul cono ISO

Per ovviare a questo inconveniente nelle moderne macchine utensili i cui mandrini hanno
di solito dei regimi di rotazione elevati adottano una diversa geometria dell’attacco: il cono
HSK (figura 5. A4).

Figura 5.A4: Il cono HSK


Il cono presenta una serie di specificità Figura 5.A5):

• e’ corto e dotato di bassa conicità in tal modo con un buon rispetto delle tolleranze
consente di avere il centraggio radiale sul cono pur consentendo alla flangia
anteriore di andare in battuta contro il mandrino. Viene dunque impedito lo
spostamento assiale del cono;
• è cavo e quindi tende a deformarsi come la sede conica del mandrino;la forza di
trazione, esercitata dal tirante, da luogo ad una componete di forza radiale che
agisce sul cono forzandolo ad aprirsi e quindi a mantenersi aderente alla sede
conica del mandrino: vengono così impediti gli spostamenti radiali.

Massa e
Bloccaggio
lunghezza
dall’
dall’interno
ridotte

Gioco frontale
nullo

Figura 5.A5: Geometria del bloccaggio con il cono HSK

Complessivamente, anche in condizioni statiche il bloccaggio dell’utensile con un cono HSK risulta
molto più rigido di quanto non sia usando un cono ISO (SK nella figura 5.A6).
0,45

0,40
Attacco SK 50 F
0,35

0,30

0,25
Freccia (mm/m)

0,20 Attacco HSK A 100

0,15

0,10

0,05

0,00

-0,05
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800
Momento Flettente (Nm)

Figura 5.A5: Confronto tra la rigidez


Capitolo 6: Le macchine a CN

1.0 Introduzione

Questo capitolo è prevalentemente dedicato a descrivere le macchine a CN impiegate


nella lavorazione dei metalli con asportazione di truciolo anche se si dedicherà un
paragrafo ad illustrare applicazioni diverse da queste, sempre però collegate con la
lavorazione dei metalli. Esistono molte altre applicazioni in cui il CN viene impiegato nella
la lavorazione del legno, dei materiali lapidei, nello stampaggio dei materiali polimerici etc.
La macchina a controllo numerico, alle sue origini, nasce come trasformazione di una
macchina tradizionale di cui manterrà la struttura e le funzioni tipiche. Di norma la
trasformazione comportava la sostituzione della vite tradizionale con la vite a ricircolo di
sfere azionata dal servomotore e il montaggio dei trasduttori. Ancora oggi si segue questa
strada quando si opera il ricondizionamento (o retrofitting) di una macchina già esistente.
Successivamente apparirono le prime macchine progettate sin dall’inizio per essere
abbinate ad un CN che introdussero le guide a basso attrito, i motori in corrente continua
sul mandrino e caratterizzate, in generale, da una struttura più rigida.
Esse erano inizialmente una fresa-alestrice, atta a effettuare sul pezzo lavorazioni quali:
fresatura, foratura,, maschiatura, alesatura, contornatura etc., (i torni verranno
successivamente); consentiva, dunque di effettuare una molteplicità di operazioni
differenti sullo stesso particolare.
Questa soluzione non permetteva però di sfruttare a pieno le potenzialità del controllo
numerico poiché era necessario mantenere, a fianco della macchina, la presenza
dell’uomo per effettuare le operazioni di cambio utensile oltre, ovviamente, a quelle di
carico e scarico del pezzo. Poiché il CN era nato per la lavorazione di superfici complesse,
all’inizio questa limitazione risultò poco significativo; il tempo di lavorazione per ciascuno
degli utensili impiegati risultava talmente lungo da renderla poco onerosa. Ben presto però
si comprese che l’utilizzo della macchina e la sua redditività sarebbero notevolmente
aumentate rendendo automatica la sostituzione degli utensili. E di qui la necessita dei
centri di lavorazione.
I centri di lavorazione, o machining centers possono essere suddivisi in due grandi
famiglie:
• Centri di lavorazione di tornitura
• Centri di lavorazione di fresatura

1.1 I centri di lavorazione di tornitura

Un centro di lavorazione di tornitura nasce sulla struttura del tornio da produzione a


bancale inclinato. Il bancale inclinato favorisce l’evacuazione del truciolo che in macchine
di questo tipo, che asportano truciolo per circa il 90% del tempo di lavoro, è prodotto in
volumi elevati che vanno allontanati per evitare di bloccare la macchina.
Nella figura 6.1 è riportato un esempio classico di centro di tornitura. Innanzitutto
possiamo riconoscere innanzitutto gli elementi tipici di un tornio e poi molti degli elementi
che di cui abbiamo discusso nei paragrafi precedenti:
• Motore collegato direttamente con le cinghie trapezoidali al mandrino della macchina;
• Torretta portautensili
• Comando degli assi con vite e servomotore

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La contropunta è posizionata manualmente e ha il canotto programmabile, attuato
idraulicamente.
La zona di lavoro è racchiusa in una robusta struttura metallica che protegge l’ambiente
circostante da proiezioni di truciolo e/o di fluido da taglio.
Il mandrino della macchina può fungere anche da terzo asse ed operare in congiunzione
con utensili motorizzati montati sulla torretta per eseguire foratura o fresatura.

Torretta
Mandrino

z z
z Asse “X”
z
z
U.G.

Asse “Z”

Struttura

Figura 6.1: Centro standard di tornitura

Nella figura 6.2 lo schema cinematico per la motorizzazione degli utensili e nei riquadri
esempi di lavorazioni fatte con questo tipo di utensili.

Figura 6.2: Schema cinematico di un utensile motorizzato

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Un’altra possibile variante può essere costituita dalla sostituzione della contropunta con
una testa motrice, o controtesta, figura 6.3. In questo caso il particolare può essere
afferrato da quest’ultima e completato con quelle lavorazioni non eseguibili nel corso della
prima presa. Le due teste nella fase di scambio si sincronizzano in modo da consentire
l’afferraggio senza dover arrestare il mandrino. E’ inoltre possibile disporre di un secondo
carro munito della sua torretta che può lavorare, come il primo, su entrambe le teste. In
questo modo le due teste possono lavorare contemporaneamente consentendo di
suddividere le lavorazioni e ridurre il tempo ciclo del particolare.
Macchine come quella descritta consentono la lavorazione in modo completamente
automatico, cioè senza la presenza di un operatore, di pezzi da barra. Ove invece si
lavorino pezzi da semilavorato (spezzoni di barra, fusi o stampati) la presenza dell’uomo è
necessaria per assicurare il carico e lo scarico del pezzo.

Figura 6.3: Testa e controtesta motrice

Per superare questo inconveniente il tornio deve essere attrezzato con un braccio
robotizzato in grado di effettuare il carico e lo scarico in maniera del tutto automatica.

3
1

Figura 6.4: Cella di tornitura

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Nella figura 6.4 lo schema di una macchina di questo tipo. Essa presenta alcune
particolarità rispetto alla macchina base di figura 6.1:

• Il braccio per il carico e lo scarico (1)


• Il pallet per l’alimentazione dei grezzi e la raccolta dei pezzi lavorati (2): il braccio
preleva dal disco (ma potrebbe avere forma diversa) un pezzo da lavorare, a fine ciclo
preleva il pezzo lavorato e lo ripone nella sua posizione originale, il disco ruota
presentando alla mano di presa un nuovo grezzo. Quando tutti i pezzi saranno stati
lavorati il pallet viene allontanato e sostituito con uno nuovo occupato da grezzi da
lavorare .
• Il magazzino d’inserti taglienti (3); un’apposita serie di rastrelliere, montate su un
cilindro girevole, contiene utensili nuovi uguali a quelli montati sulla torretta. Quando
un utensile, tra quelli in uso, avrà raggiunto il termine della sua vita utile
(programmata) un apposito braccio di scambio (4) lo preleva e lo pone in una delle
rastrelliere prelevando successivamente da un'altra l’omologo nuovo. Il braccio
provvede quindi a riposizionare l’utensile, appena prelevato, nella corrispondente
faccia della torretta consentendo alla macchina di riprendere il lavoro. Quando
saranno stati consumati tutti gli utensili a disposizione, un operatore provvederà a
sostituire le rastrelliere.
Il tornio è divenuto una cella di lavorazione in grado di lavorare in condizioni non
sorvegliate per lunghi periodi. La macchina dovrà però essere provvista di tutta una serie
di sicurezze, come ad esempio il controllo di eventuali rotture, che ne consentano un uso
sicuro in tali condizioni operative.
Una diversa soluzione, realizzata con l’impiego di un tornio verticale è riportata nella figura
6.5. I pezzi sono direttamente montati su una piattaforma autocentrante (o a morsetti
indipendenti nel caso di pezzi non rotosimmetrici) i quali vengono poi automaticamente
caricati sulla macchina e bloccati sul mandrino della stessa.

Figura 6.5:Cella di tornitura con tornio verticale


Al centro della figura si osserva una delle tre unità di carico di cui la macchina è dotata in
attesa di prelevare dalla macchina il pezzo finito.
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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Questa soluzione è già stata usata anche in passato, sulle trasferte meccaniche,
sfruttando il tornio verticale non già per le sue dimensioni ma per la facilità con cui può
essere messo in linea con altre macchine (fresatrici, foratrici) preposte a lavorare sullo
stesso particolare, usandone la piattaforma come pallet.

1.2 I centri di lavorazione di fresa - alesatura

Ancora oggi quando si dice semplicemente machining center si fa subito riferimento ad


una macchina appartenente a questa famiglia. Sono macchine che hanno almeno tre assi
di traslazione, dispongono di un’ampia gamma di velocità di rotazione per cui possono
anche forare e maschiare dispongono di un dispositivo di ambio utensile come quelli
illustrati nel Capitolo 5. Alcune di esse dispongono di dispositivi di cambio testa.
Queste macchine nate inizialmente per automatizzare la fabbricazione di piccole serie o
addirittura di pezzi unici oggi nelle loro varianti più spinte o aggregate a formare una linea
flessibile possono rappresentare una soluzione ottimale anche per l’automazione di grandi
serie.

1.2.1 Morfologia di un centro di lavorazione

Il mercato propone numerose versioni costruttive per un centro di lavorazione. Una prima
grossa divisione può essere fatta sulla base della giacitura del mandrino distinguendo tra
centro di lavorazione ad asse verticale e centro di lavoro ad asse orizzontale. Il primo
adatto lavorare una “piastra” (fig.6.6a) il secondo un parallelepipedo (fig. 6.6b).

a) b)
)

Figura 6.6: Caratteristiche dei pezzi da lavorare:


a) Parallelepipedo
b) Piastra

Per quanto riguarda la struttura della macchina possiamo distinguere tre versioni base:

1. a montante: caratterizzata dalla testa che scorre verticalmente lungo il montante e


posta, usualmente in posizione centrale. I restanti movimenti possono essere realizzati
in modi diversi come si può notare dalla tabella 5.1. Il campo d’impiego di macchine
con questa struttura è grandissimo andando da macchine con corse minori al metro a
macchine con corse di diversi metri. Le macchine a montante possono poi essere ad
asse verticale o orizzontale, a banco fisso o a mensola. Quest’ultima è una struttura
non molto diffusa, nasce come una variante della classica macchina per attrezzisti, è
particolarmente adatta per lavorazione di pezzi piccoli ed in particolare, munita di 4° e
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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5° asse, alla lavorazione di piccoli stampi presentando, rispetto alla classica macchina
a banco fisso e ad asse verticale, una grande accessibilità alla zona di lavoro ed una
grossa corsa verticale per la presenza dello slittone che arretrando lascia libera l’intera
zona di lavoro .
Tabella 4.1
Asse orizzontale

y
y

z
x
z x
A montante

y
z
z

x
y
Asse vericale

y x
Gantry

2. a portale o gantry : E’ una soluzione costruttiva che si presta per la lavorazione di


pezzi grandi e piatti; esempio tipico sono i grandi stampi come, ad esempio, quelli per
l’imbutitura delle lamiere per l’industria dell’auto. In quest’applicazione come meglio
vedremo negli esempi la macchina sarà munita di 4° e 5° asse.

Vediamo adesso alcuni esempi:

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Centro di lavoro ad asse orizzontale : nella figura 6.7 lo schema di un centro di lavoro a
montante con tutti i moti dati all’utensile. Sulla tavola portapezzo si nota la presenza di un
ulteriore asse di rotazione, asse B, che consente di lavorare un pezzo prismatico su
quattro facce in un solo piazzamento. Si osservi il magazzino a tamburo ed il relativo
braccio di scambio.

Figura 6.7: Centro di lavoro ad asse orizzontale

Nella figura 6.8 la fotografia ancora di un centro che presenta gli stessi assi della
precedente ma realizzati in maniera differente. La soluzione adottata consente di tenere il
baricentro delle masse in movimento molto vicino all’asse delle guide riducendo così i
momenti derivanti dalle forze d’inerzia durante le fasi di accelerazione.

Figura 6.8: Centro di lavoro ad asse orizzontale con asse “Z” realizzato sul pezzo

Centro di lavoro ad asse verticale: nella figura 6.9 un esempio di centro di lavoro con
asse verticale. Notiamo la struttura classica dei moti e la presenza del magazzino utensili
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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a tamburo. Il pezzo possiede il moto lungo X ed Y mentre i restanti sono conferiti
all’utensile.

Figura 6.9: Centro di lavoro ad asse verticale

Centro di lavoro ad asse verticale a mensola: Nella figura 6.10 possiamo notare lo slittone
che porta la testa verticale, la mensola che caratterizza questo tipo di macchina e sulla
destra il magazzino a catena.

Figura 6.10: Centro di lavoro verticale a mensola (OMV)

Centro di lavoro verticale con struttura a portale: Come abbiamo detto si tratta di una
macchina per lavorazione di grandi stampi e pertanto di grandi dimensioni. Oltre ad
osservarne la struttura, figura 6.11, facciamo osservare la testa motrice, particolare di cui
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 104
parleremo nel prossimo paragrafo, che consente la rotazione dell’asse dell’utensile attorno
a due assi ortogonale tra loro.

Figura 6.11: Centro di lavoro verticale con struttura a portale (gantry) (Parpas)

Nei diversi esempi mostrati si è potuto osservare come in alcuni casi il pezzo e fermo e
tutti movimenti sono eseguiti dall’utensile, non risulta la soluzione opposta (tutti i moti
attribuiti al pezzo) anche se non è possibile escludere che in qualche caso possa essere
stata applicata. Questa soluzione presenta diversi vantaggi, tra questi:

• buona accessibilità per il carico e lo scarico del pezzo;


• adatta a pezzi pesanti e di grandi dimensioni;
• possibilità di lavorare in pendolare su due pezzi (mentre la macchina lavora su un
pezzo si può scaricare l’altro e caricarne un successivo;
• possibilità di collegare facilmente la macchina con altre per realizzare una trasferta;
• masse in movimento di valore costante;
• Possibilità di allungare a piacere l’asse X.

ma anche alcuni svantaggi quali:

• notevole distanza tra l’asse del mandrino e le guide di scorrimento dell’asse X; può
provocare instabilità in presenza di forze rilevanti;
• il magazzino utensili si deve muovere con l’asse X (aumento delle masse in
movimento);
• slitta a croce costosa qualora sia il montante a compiere i moti lungo X e lungo

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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1.2.2 Il quarto ed il quinto asse

Prima di affrontare il problema della lavorazione di superfici complesse come possono


incontrarsi in particolari aeronautici o negli stampi ci si può presentare il problema di
eseguire una foratura con un asse inclinato rispetto ad uno dei tre assi principali della
macchina. Il controllo non ha alcun problema di interpolare una traiettoria rettilinea nello
spazio ma abbiamo la necessità di portare l’asse della punta ad elica a coincidere con
l’asse del foro. A questo scopo sono state create le teste birotative, figura 6.12, dapprima
a regolazione manuale e successivamente automatiche controllate direttamente dall’UG.

Figura 6.12: Testa birotativa (tilting )

Nella figura 6.13 si è disegnato lo schema semplificato della testa. Il mandrino portafresa
può ruotare attorno all’asse obliquo dell’angolo φ compreso tra 0° e 180°, assumendo nei
due valori estremi rispettivamente le posizioni indicate con (1) e (2). La rotazione attorno
all’asse obliquo può pensarsi ottenuta come somma di una rotazione λ attorno all’asse
orizzontale più una rotazione, non indicata nella figura, attorno ad un asse ortogonale al
piano del disegno. Se dopo aver ruotato il mandrino dell’angolo φ lo ruotiamo in senso
inverso della corrispondente componente λ l’asse del mandrino si riporterà nel piano
verticale ma ruotato, rispetto alla posizione iniziale (φ=0), di un angolo che possiamo
chiamare angolo di “tilt”. Se l’asse obliquo è inclinato di 45° sull’orizzontale, tale angolo
(θ nella figura) varierà tra 0° e 90°.
L’utilità maggiore di questa testa consiste nel poter passare dall’asse fresa verticale a
quello orizzontale e quindi nella possibilità di ruotarlo attorno all’asse orizzontale per poter
lavorare in 4 diverse posizioni a 90° tra loro o, come si è già detto per eseguire forature
inclinate (figura 6.14).

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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1 φ°
λ°

2
θ°

Figura 6.13: Correlazione tra i vari angoli di rotazione della testa

Le teste angolari, attualmente in commercio, utilizzano o un sistema di otturatori o due


coppie di innesti frontali Hirth per ottenere il bloccaggio in posizione della testa con
elevata precisione e ripetibilità. La rotazione della testa avviene: sloccando l’asse attorno
a cui si desidera far avvenire la rotazione (disinserendo le due metà dell’innesto Hirth),
bloccando l’asse fresa e ponendo in rotazione l’albero di ingresso del moto (asse
orizzontale) di cui si deve, ovviamente, controllare l’angolo λ di rotazione.

Figura 6.14: Testa basculante in movimento


Nel caso invece in cui si debba lavorare una superficie complessa (sculturata, free form,
…), si pensi allo stampo per ottenere una parte di carrozzeria, o una plancia, come si è già
detto nel capitolo 1 è necessario utilizzare una fresa sferica. Se disponiamo di una
macchina con soli tre assi controllati, al di là di alcuni limiti ovvi, come ad esempio il non
poter lavorare una superficie sferica al di sopra del suo centro (sottosquadro), sarà
impossibile mantenere costante il punto di contatto tra estremità sferica dell’utensile e

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superficie lavorata. Questo provocherà una variazione del diametro efficace della fresa,
figura 6.15 e quindi una variazione della velocità di taglio:

Raggio efficace

Figura 6.15: Definizione di diametro efficace

La soluzione è quella di dotare la macchina di due assi di rotazione che consentano di


ruotare il pezzo o l’utensile attorno agli assi X ed Y in modo da mantenere costante
l’angolo formato tra l’asse della fresa , asse Z, e la normale alla superficie nel punto di
contatto con la fresa .
Si possono usare due diverse strategie:
a) Se il pezzo da lavorare è di piccole dimensioni si può usare una tavola brandeggiabile,
figura 6.16, posto sulla tavola portapezzo. E’ una soluzione usata di norma solo su
macchine ad asse verticale. E’ una soluzione ideale per lavorare piccoli stampi,
palettature di turbine, dischi di compressore, camme cilindriche. Le due rotazioni oggi
sono ottenute utilizzando i motori torque che sono una versione rotante del motore
lineare.

Figura 6.16: Tavola brandeggiabile

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 6.17: Esempio di macchina a 5 assi con tavola basculante

b) Se il pezzo da lavorare è di grandi dimensioni l’unica soluzione è l’impiego di una testa


brandeggiabile, detta anche birotativa, figura 6.18. Si distingue chiaramente la
rotazione A attorno ad un asse orizzontale, l’altra rotazione avviene attorno all’asse
verticale Z. la combinazione dei due moti determina la rotazione dell’asse fresa, visibile
nella figura, attorno agli assi X e d Y, come richiesto. Questa soluzione è adottabile sia
nella versione con asse verticale che in quella ad asse orizzontale. Di solito è riservata
a grandi macchine destinate alla produzione di grandi stampi o di particolari
aeronautici. Anche in questo caso la soluzione moderna prevede il comando diretto
con l’uso di due motori torque.

Figura 6.18: Testa brandeggiabile o birotativa

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 6.19: Macchina a 5 assi con testa brandeggiabile durante la lavorazione di uno
stampo

1.2.3 Dispositivi di carico e scarico dei pezzi

Una prima soluzione, utilizzata ancora adesso , è stata l’utilizzo di due tavole portapezzo,
ovviamente fisse o al più dotate di tavola girevole, per cui, mentre la macchina opera su
uno dei due pezzi, l’altra tavola è disponibile per il carico e lo scarico del pezzo montato su
di essa, figura 6.20.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 6.20: Macchina predisposta per la lavorazione in pendolare
Questa soluzione, ancora vantaggiosa ove il tempo di lavorazione è molto lungo non è
sufficiente per svincolare la macchina dalla presenza di un operatore consentendole di
lavorare per tempi anche lunghi in modalità “non sorvegliata” (unmanned). La soluzione al
problema è quella di dotare la macchina di un sistema di scambio pallet che la interfacci
con il mondo esterno

S
B

Figura 6.21: Dispositivo di scambio pezzo o shuttle

Nella figura 6.21 lo schema di uno di questi dispositivi chiamati anche shuttle. Il pezzo
viene fissato su una piastra standard, definita pallet , in grado di essere ancorata alla
tavola portapezzo della macchina tramite un’opportuna interfaccia meccanica. A bordo
della macchina il dispositivo di scambio è in grado di sostituire il pallet montato a bordo
con quello nuovo ad esso affacciato. Quindi nella figura 6.21 lo shuttle “S” è in grado di
scambiare il pallet A con il B e quindi il pezzo già lavorato può essere intercambiato con il
nuovo particolare da lavorare

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 6.22: Schema di cella di lavorazione

Nella figura 6.22 al centro di lavoro munito di shuttle viene affiancata una tavola rotante
portapallet; ogni pallet porta un pezzo. Questi vengono messi in lavorazione uno dopo
l’altro cosicché alla fine ciascuno dei pallet conterrà un pezzo finito. Solo a questo punto
sarà richiesto l’intervento dell’operatore che provvederà a scaricare i pezzi lavorati e
sostituirli con altri grezzi da lavorare. I pallet possono essere dotati di un sistema di
riconoscimento, del tutto simile a quello impiegato per gli utensili, che consente di montare
pezzi diversi tra loro. La macchina, al momento del caricamento selezionerà l’opportuno
partprogram necessario per la lavorazione. L’unico limite sarà dato dalla numerosità degli
utensili necessari. Con i magazzini a catena si può dotare la macchina di alcune centinaia
di utensili.
Nella figura 6.23 un esempio di una macchina di questo tipo; si nota chiaramente un
magazzino a matrice è una stazione di carico e scarico manuale posta anteriormente alla
cella.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 6.23: Cella di lavorazione

Queste macchine consentono, dotate delle opportune sicurezze di operare durante la


notte nel cosi detto “terzo turno non sorvegliato” e in opportuni contesti può continuare a
lavorare durante il week-end.

Figura 6.24: Linea di lavorazione

Naturalmente non è l’unica soluzione. Laddove i volumi di produzione lo giustifichino è


possibile creare delle vere linee di lavorazione flessibili, figura 6.24, in cui le operazioni di
carico e scarico vengono affidate a manipolatori, o come nel caso presentato, a robot
antropomorfi, si veda il dettaglio della figura 6.25.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 6.25: Dettaglio del robot impegnato nell’operazione di carico e scarico

L’industria dell’auto di piccola serie fa ampio uso di simili linee di fabbricazione per la
fabbricazione di parti di motore, figura 6.26, ma anche quella più tradizionale impiega
sempre più frequentemente linee di questo tipo sia come integrazione a linee di
produzione più tradizionali a più elevata cadenza, sia per la fabbricazione di piccole serie
di vetture di nicchia.

Figura 6.26: Dettaglio di una linea di lavorazione di un monoblocco

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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2.1 I robot

I robot industriale, nella moderna accezione, nascono allorché il CN raggiunge la sua piena maturità
e cioè negli anni 80 dello scorso secolo. I robot industriale, che nel seguito chiameremo
semplicemente robot, possono avere diverse strutture cinematiche come mostrato in figura 6.27
nella quale si sono riportate le loro strutture cinematiche di base.

Figura 6.27: Struttura cinematica di base dei robot (P = giunto prismatico, R = giunto rotoidale)

Se si indicano con q i gradi di libertà del sistema e con r le coordinate che definiscono la posizione
terminale del braccio si avrà in generale che :
r = f (q) (6.1)

Figura 6.28: Braccio articolato nel piano x-y

R. IPPOLITO: Programmazione e controllo delle M.U : Capitolo6


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Se a titolo d’esempio consideriamo il robot articolato nella sua configurazione base la [ 6.1]
diventa:

X = l1 cos q1 + l 2 cos(q1 + q 2 )
Y = l1 sin q1 + l 2 sin(q1 + q 2 ) (6.2)
φ = q1 + q 2

Delle varie possibilità cinematiche ci occuperemo solo dell’ultima e cioè del braccio articolato,
detto anche braccio meccanico, e per la sua diffusione e per la sua flessibilità. Questa
configurazione appare molto interessante in quanto tenta di riprodurre i movimenti del braccio
umano, come si può vedere nella figura 6.29.

Avambraccio Gomito

Spalla

Polso Z

Base Tronco
Y
X

Figura 6.29: Cinematica del braccio articolato

Sulla sinistra sono indicati i movimenti del braccio umano e a destra la cinematica di un robot
articolato; il movimento 1 sarà realizzato con una rotazione del tronco attorno all’asse Z (1) , il 2
con la rotazione attorno alla spalla (2) , il 3 ed il 5 si accorpano con la rotazione dell’avambraccio
(4), il 4 è la rotazione dell’avambraccio attorno al gomito (3), il 6 ed il 7 infine sono le due rotazioni
del polso (5 e 6). Naturalmente in questo caso le [ 6.2] divengono più complesse.

Figura 6.30: Robot predisposto per la saldatura a punti


R. IPPOLITO: Programmazione e controllo delle M.U : Capitolo6
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I robot antropomorfi hanno numerosissime applicazioni: saldatura, incollaggi, manipolazione sono
tra le principali applicazioni la diversificazione avviene attraverso quello che viene chiamato
“allestimento” e cioè le speciali attrezzature che caratterizzano l’applicazione in essere.
Nella fig. 6.30 ad esempio l’allestimento che caratterizza l’operazione di saldatura per punti. Sono
state evidenziate in giallo gli elementi che caratterizzano l’allestimento: 3) è l’armadio elettrico di
controllo della corrente di saldatura, 5) i servizi ausiliari della pinza di saldatura (aria compressa,
acqua di raffreddamento, 6) i cavi di alimentazione e le tubazioni di adduzione dell’aria compressa
e dell’acqua, 7) la pinza di saldatura con il relativo trasformatore, 8) il gruppo di ravvivatura degli
elettrodi. L’armadio 2) è l’armadio elettrico de Robot con il controllo di posizione. Si osservi come
i cavi e le tubazioni di alimentazione della pinza passino all’interno del braccio del robot che è
cavo.

Figura 6.31. Robot attrezzato per la saldatura laser


Nella figura 6.31 un diverso allestimento impiegato per la saldatura Laser del padiglione di una
vettura. L’attrezzo colorato di giallo montato sul polso ha la funzione di compensare sia gli errori di
posizionamento del robot che le tolleranze sulla lamiera da saldare al fine di mantenere la posizione
del fuoco della lente di collimazione del fascio sul piano della saldatura. L’attrezzo inoltre mantiene
la corretta pressione sui lembi da unire ; le due azioni garantiscono la qualità della saldatura.

Figura 6.32. Robot attrezzato per la manipolazione


R. IPPOLITO: Programmazione e controllo delle M.U : Capitolo6
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Nella figura 6.32 si vede una cella di assemblaggio in cui il robot di destra è attrezzato per
manipolare (muovere) il pezzo da saldare mentre il robot di sinistra ha una pinza di saldatura. In
questo modo è garantita la possibilità alla pinza di coprire tutte le zone da saldare.

Figura 6.33. Robot interpresse

Infine nella figura 6.33 un ultimo esempio di applicazione di un braccio meccanico: l’interpresse. In
questo caso i robot si sostituisco agli operatori in una linea di stampaggio. L’operazione di
stampaggio, nell’esempio, richiede tre passaggi. Partendo da destra il primo robot preleva il foglio
di lamiera e lo passa al secondo che provvede inserirlo sotto il primo stampo. Il successivo estrae il
pezzo, che ha subito la prima lavorazione, e lo passa al sterzo che lo collocherà sotto il secondo
stampo in posizione invertita rispetto a quella con cui era uscito dal primo; gli ultimi due, infine
provvedono al completamento del ciclo, all’estrazione del pezzo finito dall’ultimo stampo e al suo
posizionamento su un vassoio.

R. IPPOLITO: Programmazione e controllo delle M.U : Capitolo6


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CAPITOLO 7: SISTEMI AUTOMATICI DI PRODUZIONE

1.0 Fondamenti sulle linee automatiche di produzione

Le linee a trasferimento sono dei sistemi di produzione usati per produrre elevati volumi di
parti che richiedono nella loro trasformazione un insieme di operazioni differenti. L’insieme
delle stazioni di lavoro necessarie a realizzare le singole fasi del ciclo di lavorazione sono
integrate tra loro da un sistema di trasporto formando così una linea di produzione
automatica.
Le linee di cui ci occuperemo sono linee di lavorazione ad asportazione di truciolo
(machining) ma i concetti sviluppati si applicano ad una linea di saldatura o lastroferratura
o ad una linea di montaggio.
In prima battuta ci occuperemo della versione tradizionale e cioè delle linee a
trasferimento o anche ad automazione rigida per poi vederne le varianti che ne
incrementano le doti di flessibilità.
Una linea a trasferimento trova la sua applicazione a fronte di:
• volumi di produzione elevati
• stabilità di progetto del prodotto
• lunga vita utile del prodotto
• costanza nel tempo del volume produttivo
Se queste condizioni sono soddisfatte l’uso di una linea a trasferimento, che peraltro
richiede forti investimenti, garantisce:
• basso costo di manodopera diretta
• basso costo del prodotto
• elevati volumi di produzione
• tempo di attraversamento e work in progress minimi
• occupazione dello spazio ottimale
L’idea delle linee a trasferimento nasce negli Stati Uniti negli stabilimenti Ford attorno al
1920 per realizzare una linea di montaggio in cui però le operazioni erano tutte manuali.
La prima linea di lavorazione viene realizzata in Inghilterra nel 1923 presso gli stabilimenti
della Morris per la lavorazione del blocco motore . Sulla linea si effettuavano 53 diverse
operazioni con una produttività di 15 blocchi ora. Ciascun blocco richiedeva oltre 200
minuti di lavorazione. In questa linea il particolare veniva movimentato manualmente tra
una stazione e la successiva. La prima linea completamente automatica appare l’anno
successivo, ancora presso la Morris, per lavorare la scatola cambio.
Una linea automatica di produzione o linea a trasferta consiste, come abbiamo anticipato,
di un insieme di stazioni di lavoro connesse da un sistema di movimentazione dei pezzi
che provvede a trasferire il pezzo lavorato da una stazione di lavoro alla successiva . Il
grezzo/semilavorato di partenza entra ad una estremità della linea per uscire
completamente lavorato all’altra estremità (fig.8.1).

ws1 ws2 ws3 wsn-2 wsn-1 wsn


Grezzi Finiti

Figura 7.1 : Linea a trasferimento

Nei casi più semplici il numero di pezzi contemporaneamente presenti sulla linea è pari al
numero di stazioni (un pezzo per stazione) ma è anche possibile che lungo la linea ci
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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siano uno o più stazioni di stoccaggio temporaneo e pertanto il numero medio di pezzi per
stazione sarà maggiore di uno.
Ogni stazione di lavoro sarà caratterizzata da un suo tempo ciclo, il tempo ciclo più lungo
(collo di bottiglia) caratterizzerà la cadenza dell’intera linea. Il pezzo può essere
movimentato montato su un pallet, si parlerà di linea a trasferta pallettizzata, e sarà il
pallet ad essere riferito con la massima precisione alla singola stazione di lavoro, oppure
sarà il singolo pezzo ad essere movimentato e sarà pertanto lui a possedere i riferimenti
necessari al suo preciso posizionamento su ogni singola unità di lavoro. Le stazioni di
lavoro sono delle unità di lavoro semplici ma negli ultimi anni si va affermando l’uso
combinato con macchine a CNC in modo da conferire un maggior grado di flessibilità alla
linea. Ma su questo tema ritorneremo nel paragrafo 3.0
Una trasferta può essere realizzata secondo due possibili configurazioni di base e cioè:
• In linea: Le stazioni, come nella figura 8.1, sono allineate tra loro e collegate da un
meccanismo ad avanzamento lineare. Naturalmente e possibile una variante e cioè
linee costituite da due o più tratti lineari, perpendicolari tra loro, a formare una
struttura aperta ad “L”o a “U” o chiusa a rettangolo. Tale soluzione è richiesta in
particolare quando il ciclo di lavorazione richiede un elevato numero di operazioni
come, ad esempio, nel caso della lavorazione di un basamento motore, e vi siano
delle limitazioni sugli spazi disponibili, quando sia necessario operare una
riorientazione del pezzo o quando si voglia terminare il ciclo nello stesso punto in
cui lo si è iniziato, linee rettangolari, ad esempio per recuperare il pallet. Nella
figura 8.2 un esempio di trasferta in linea.

Figura 7.2 :Linea trasferimento per la lavorazione di un basamento motore (COMAU)

• A tavola rotante: E’ una soluzione adottata quando il numero di operazioni è limitato


ed il particolare da lavorare è di dimensioni contenute (esempio: corpi valvola,
rubinetteria). Il pezzo viene fissato ad un attrezzo posto sulla periferia di una tavola
rotante (indexabile) . Ad ogni passo del ciclo la tavola ruota e presenta il pezzo
davanti alle differenti stazioni di lavoro poste attorno alla tavola Figura 8.3.. Una tale
soluzione non consente di creare dei buffer intermedi ma in compenso risulta
essere meccanicamente più semplice e quindi più economica di una in linea. Nella
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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figura 8.4 un esempio di trasferta a tavola rotante per la lavorazione di particolari
per l’industria automobilistica

Figura 7.3: Trasferta a tavola rotante

Figura 7.4: Esempio di trasferta a tavola rotante

Come si è già avuto modo di accennare in una linea a trasferimento possono essere
presenti dei buffer interoperazionali con lo scopo di:
• ridurre il danno provocato da eventuali rotture di una stazione di lavoro
• creare una riserva di pezzi in grado di alimentari i reparti di produzione a valle
• assorbire le variazioni del tempo ciclo laddove lungo la linea siano inserite
operazioni manuali

Il parametro più importante in un magazzino è la sua capacità di accumulo. Il magazzino


può essere allocato tra due stazioni operative oppure tra due segmenti di una stessa linea
come rappresentato schematicamente nella figura 8.5. Nel caso di trasferte a tavola
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 117
rotante il magazzino può essere inserito solamente a monte (grezzi) o a valle (finiti) della
stessa.

Figura 7.5: Schema di buffer tra due segmenti di una stessa linea

Una linea di produzione automatica sarà gestita da un controllore costituito ormai nella
generalità dei casi da uno o più microprocessori. Le principali attività a lui demandate sono
:
• gestire il ciclo delle singole stazioni gestione che potrà essere demandata ad un
PLC locale;
• gestire la sequenza e cioè ricevere da ogni attività gli opportuni consensi prima di
abilitare la fase successiva;
• controllare il buon funzionamento di ogni singolo elemento attivo attraverso delle
routine di autodiagnostica segnalando eventuali guasti;
• memorizzare i dati di produttività, efficienza dei diversi dispositivi, qualità delle parti
prodotte,etc. per le successive analisi statistiche.

1.0 Analisi di una linea a trasferimento

Nell’analisi di una linea trasferimento occorre analizzare tre distinti aspetti:


• il processo
• il bilanciamento
• l’efficienza
Il primo tema nel caso di una linea di lavorazione richiede di prendere in esame la
lavorabilità del materiale, la scelta dei parametri tecnologici per le diverse lavorazioni, il
controllo del truciolo, lal rigidezza dei diversi moduli di lavorazione e delle attrezzature, etc.
al fine di ottimizzare lo sfruttamento di ogni singola unità. L’insieme di questi problemi
viene risolto attingendo al vasto bagaglio di conoscenze che esiste in questo settore (best
practice).
Il secondo tema viene affrontato, a partire dai dati prodotti dallo step precedente (il
processo), in modo tale che le operazioni che ogni singola stazione dovrà effettuare
abbiano all’incirca la stessa durata. Operazioni troppo lunghe andranno frazionate oppure
si farà ricorso allo sdoppiamento della stazione (possibilità di indirizzare il pezzo all’una o
all’altra delle due stazioni che compiono l’assegnata lavorazione che rappresenta il collo di
bottiglia del ciclo).

Il tempo che così ne risulta definirà la cadenza del ciclo secondo la relazione:

t c = Max {t wsi } + t t (7.1


R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 118
dove:
tc, tempo ciclo o cadenza della linea (s)
twsi, tempo di lavorazione della stazione ima (s)
tt, tempo di trasporto

Nella (7.1) si introduce il tempo di lavorazione della stazione più lenta in quanto il
meccanismo di trasporto dovrà attenderne il completamento prima di entrare in funzione
sia che i pezzi vengano movimentati tutti assieme (sistema alza e sposta) sia che si usino
dei manipolatori.
Il problema più complesso è il terzo e cioè l’efficienza del sistema che ne condiziona
l’effettiva produttività. Le cause che possono determinare l’arresto di una stazione, e
pertanto talora dell’intera linea, sono molteplici che abbiamo provato a riassumere d i
seguito:
1. Rottura di un utensile
2. Regolazione di un utensile
3. Sostituzione programmata di utensili
4. Malfunzionamenti di natura elettrica
5. Rotture meccaniche
6. Mancanza di pezzi da lavorare
7. Saturazione del magazzino delle parti lavorate
8. Manutenzione preventiva della linea
L’effettivo tempo di produzione pertanto sarà dato dalla seguente relazione:

t p = t c + N f ⋅ Tf
(7.2
Dove:
Nf, numero di fermate per ciclo
Tf, durata media di una fermata (MTTR)

La figura 7.6 chiarisce il significato delle due tipiche grandezze che caratterizzano il
funzionamento di una macchina automatica e precisamente il tempo medio tra due
successive interruzioni (MTBF Mean Time Between Failure) e il tempo medio per il
ripristino della sua funzionalità (MTTR Mean Time To Repair).
Utilizzando allora le 7.1 e 7.2 si può definire il tasso di produzione ideale e quello effettivo
espresso generalmente il pezzi/ora e quindi anche definita semplicemente come
produzione oraria:

3600 3600
Rc = ; Rp =
tc tp
(8.3
Il produttore di macchine utensili definisce generalmente Rc parlando di produzione al
100% di efficienza in altri casi è chiamato a garantire la produzione richiesta al X%
(generalmente il 95%) di efficienza. Poiché l’efficienza rappresenta il tempo in cui la
macchina è in grado di operare rispetto al tempo in cui è disponibile sarebbe più corretto
usare il termine affidabilità.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 7.6: Significato delle grandezze MTBF e MTTR

Potremo allora scrivere che l’efficienza di una linea è definita dalla relazione:

tc tc
E= =
t p tc + N f ⋅ T f
(7.4

Per valutare il numero di fermate si possono fare due ipotesi:

a) La fermata della stazione non danneggia il pezzo che potrà proseguire il suo ciclo
(approccio upper-bound); si verifica quando la stazione si arresta per sostituire un
utensile usurato, per effettuare delle regolazioni o per normale manutenzione). La
stazione o la linea viene arrestata, l’operazione effettuata e quindi viene ravviata.
b) La fermata produce il danneggiamento del pezzo che pertanto verrà allontanato dalla
linea (approccio lower-bound); questo caso si verifica allorché la rottura di un utensile
danneggia irreparabilmente il pezzo. La stazione viene arrestata, l’utensile sostituito e il
pezzo scartato.

Nel primo caso il numero atteso di fermate sulla linea per ciascuno dei pezzi che lo
attraversano sarà data dalla somma delle probabilità che esso si fermi in una delle stazioni
in quanto è possibile (ovviamente non è probabile) che al pezzo sia associata una rottura
in ciascuna delle stazioni che dovrà attraversare. Pertanto detta pi la la probabilità di avere
una rottura in un ciclo della stazione ima, il numero di arresti previsto in un ciclo sarà dato
da:

n
N f = ∑ pi
i =1 (7.5
che, se ipotizziamo che la probabilità sia uguale per tutte le stazioni e pari a p, diviene:

Nf = n ⋅ p (7.5’

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Nel secondo caso sia sempre pi la probabilità di fermata delle stazione ima possiamo dire
che la probabilità che un pezzo passi indenne attraverso tutte le stazioni senza doversi
arrestare (assenza di guasti) sia:
n

∏ (1 − p ) i
i =1 (7.6
e pertanto:
n
N f = 1 − ∏ (1 − pi )
i =1 (7.6’
e quindi ipotizzando, come nel caso precedente, che pi sia una costante per tutte le
stazioni, avremo:

N f = 1 − (1 − p ) n (7.6”

In questo caso per calcolare la produttività occorrerà considerare che nell’unità di tempo
noi perderemo, perché scartati, un numero di pezzi pari al numero di fermate. Quindi:

(1 − N f ) ⋅ 3600
Rp =
tp
(7.3’
Un semplice esempio per comprendere il valore delle relazioni scritte:

ESEMPIO:

Una linea di produzioni è composta da 15 stazioni di lavoro. Il tempo ciclo tc e di 80 s e la


probabilità di rottura di ogni singola stazione è stata stimata pari a 0,001, il valore del
MTTR sia di 5 minuti.

Upper-bound :
N f = 15 ⋅ 0.001 = 0.015 fermate/ciclo
e pertanto la sua produttività sarà:
3600 3600
R= = = 45 pezzi/ora
t c + N f ⋅ t r 80 + 0.015 ⋅ 300
Con un’efficienza pari a:
t 80
E= c = = 95%
t p 80 + 0.015 ⋅ 300

Lower-Bound

N f = 1 − (1 − 0.001)15 = 0.0148 fermate/ciclo


e pertanto la sua produttività sarà:
(1 − N f ) ⋅ 3600 (1 − 0.0148 ) ⋅ 3600
R= = = 42 pezzi/ora
t c + Nf ⋅ t r 80 + 0.0148 ⋅ 300
E quindi con un effettivo tempo ciclo pari a :

3600
tp = = 85,7 s
R
con un’efficienza pari a:
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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tc 80
E= = = 93%
t p 85,7

I due approcci forniscono allora il limite superiore ed inferiore per la stima della produttività
della linea. Naturalmente questa valutazione non può escludere che la linea dia origine a
scarti per insufficiente qualità che ne possano ridurre ulteriormente l’efficienza.
In questa analisi la difficoltà maggiore è valutare il valore di pi . L’approccio più ragionevole
è quello di far ricorso a dati storici.
Possiamo comunque trarre alcune semplici conclusioni:

• l’aumento del numero di stazioni e/o la riduzione dell’affidabilità delle singole


stazioni (es. maggior complessità delle soluzioni realizzative adottate) provocano
una riduzione dell’efficienza del sistema;
• comparando i due approcci adottati si vede che quello upper-bound conduce a
stimare un maggior numero di fermate della linea ma porta a risultati d’efficienza
superiori a quelli forniti dall’approccio lower-bound.

Un ultimo elemento da prendere in considerazione è la presenza di un “buffer” o


magazzino interoperazionale tra due sezioni della linea. Consideriamo per semplicità una
linea formata da due soli segmenti. In assenza di un Buffer ciascun segmento si dovrà
arrestare in presenza di una fermata dell’altro infatti:
• se si ferma il primo segmento il secondo non verrà alimentato;
• se si ferma il secondo segmento il primo non potrà scaricare il pezzo lavorato.
L’efficienza della linea diventerà:

tc
E0 =
t c + ( N f 1 + N f 2 ) ⋅ Td (7.7

Se tra le due linee mettessimo un buffer di capacità infinita l’efficienza della linea
coinciderebbe con la minore tra le efficienze dei segmenti da cui è composta. Se il buffer è
di dimensioni finite si otterrà un valore di efficienza compreso tra i due:

E0 ≤ E x ≤ E∝
Vediamo quale conclusioni possiamo trarre dalle semplici considerazioni fatte:

1. Se la differenza tra E0 ed E∝ è trascurabile allora nessun vantaggio verrà


dall’impiego di un buffer. Se invece E∝ risulterà considerevolmente maggiore di
E0 allora si potrà trarre un significativo vantaggio dall’impiego del buffer.

2. Una linea di una certa estensione converrà sempre dividerla in segmenti aventi la
medesima efficienza (in quanto è la condizione in cui si avrà la massima differenza
tra E0 ed E∝ , figura 7.7) separati da magazzini interoperazionali.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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3. Se un buffer di linea risultasse sempre quasi vuoto o sempre quasi pieno questo
indicherà che uno dei due tratti posti ai suoi estremi è sbilanciato e pertanto il
magazzino servirà a poco.

4. La massima efficienza di una linea si raggiungerebbe avendo un numero di buffer


uguale al numero di stazioni

1,14

1,13

1,12

1,11

1,10
Einf / Ezero

1,09

1,08

1,07

1,06

1,05

1,04

1,03
0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8

E2/E1

Figura 7.7:Effetto dell’efficienza degli elementi compresi tra un buffer sull’efficienza totale
della linea.

1.0 Componenti di una linea a trasferimento rigida

Una linea a trasferimento viene oggi concepita assemblando attorno ad una struttura base
realizzata in acciaio saldato una serie di componenti modulari, come mostrato nella figura
7.8 dove si vede la sezione di una linea trasferimento; nella parte centrale sarà alloggiato il
meccanismo di trasferimento, nel caso in esame del tipo alza e sposta (v. più avanti),
mentre lateralmente, da entrambe le parte, saranno posizionate le unità di lavoro. Sempre
alla parte centrale, che costituisce l’ossatura della linea, verranno fissati gli attrezzi di
bloccaggio.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 7.8: Sezione di una linea a trasferimento

I componenti principali di una linea a trasferta sono:


• Le slitte di movimentazione
• Le unità di lavoro
• Gli attrezzi di bloccaggio e riferimento
• I meccanismi di trasferimento

Le slitte di movimentazione

Come è chiaro dalla descrizione che abbiamo fatto nelle pagine precedenti il pezzo viene
movimentato alla fine del ciclo dal meccanismo di trasferimento quindi viene riferito e
bloccato davanti alle singole stazioni di lavoro e quindi tutti i moti di lavoro devono essere
impressi agli utensili. A tale scopo sono presenti delle slitte di movimento sulle quali
verranno poi fissate le unità di lavoro.
Nella figura 8.9 sono rappresentate le due principali tipologie di slitte impiegate:

a) Slitta a comando meccanico: è la tipologia oggi più impiegata. Il moto viene


ottenuto impiegando un motore di tipo brushless accoppiato con una vite a
ricircolazione di sfere, le guide di scorrimento impiegate sono, ormai quasi
universalmente, delle guide con pattini a rotolamento. Questa soluzione consente
una grande flessibilità sia per programmare le velocità di movimento sia per
gestirne la posizione in quanto la tavola può essere dotata sia di encoder sulla vite(
o meglio direttamente integrato nel motore) che di riga ottica gestiti da un controllo
di tipo punto-punto. Entrambe le funzioni di controllo di velocità e di controllo di
posizione sono disponibili sul PLC.
b) Slitta a comando idraulico: e la tipologia più tradizionale ed anche la più economica.
Un cilindro idraulico provvede a realizzare il moto rettilineo, dispone generalmente
di due velocità, lenta di lavoro e rapida di accostamento e disimpegno, controllate
da due elettrovalvole e come nel caso in esame da due distinti cilindri idraulici (nella
figura il cilindro centrale a semplice effetto per la corsa di lavoro e di accostamento
e i due laterali per il comando della corsa di ritorno; il posizionamento viene
ottenuto usando degli interruttori di prossimità (proximity switch) ove necessario
accoppiati a dei riscontri fissi. Il comando idraulico conferisce grande affidabilità e
robustezza al sistema. La gestione del ciclo di lavoro sarà sempre affidata ad un
PLC .

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 7.9: Slitte di movimentazione: a) a comando elettromeccanico, b) a comando
idraulico

Nella figura 7.10 sono riassunte le tipologie possibili di slitte per configurare le diverse
stazioni di lavoro. Si può notare il concetto di modularità e come si abbia una naturale
evoluzione verso i moduli a CN ( 3 assi) di cui parleremo più avanti.

Figura 7.10: Possibili configurazione delle unità di moto meccaniche

Le unità di lavoro

Le unità di lavoro possono essere molto varie ma tipicamente possiamo suddividerle in tre
grandi famiglie:

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1) Unità di foratura e maschiatura: sono unità molto diffuse possono essere singole
come nella figura 8.8 oppure multiple come nella figura 7.11, cioè in grado di
eseguire molte forature anche di diverso diametro contemporaneamente. Ad una
unità di foratura deve corrispondere una maschera di foratura sull’attrezzo di
bloccaggio e riferimento del pezzo (figura 7.12) con la funzione di guidare la punta
visto che non viene effettuata l’operazione di centratura sul foro corrispondente. Il
moto ai vari mandrini (fusi) viene derivato da un albero centrale, di solito l’albero del
motore elettrico, attraverso una serie di rotismi che permettono di ottenere velocità
di rotazione differenziate su ciascuno di essi in funzione del diametro della punta.
Le varie punte avranno velocità di rotazione diversa in funzione del loro diametro, al
fine di mantenere costante la velocità di taglio, ma la velocità di avanzamento sarà
uguale, ovviamente, per tutte. Con il medesimo criterio si possono realizzare delle
teste multiple di maschiatura ma in questo caso non sarà possibile gestire diametri
diversi

Figura 7.11: Unità di foratura multipla

Figura 7.12: Sezione testa multipla con maschera

2) Unità di fresatura: . è particolarmente impiegata sulle linee di lavorazione del


motore dove sono richieste operazioni di fresatura su almeno 5 delle sei facce del
monoblocco e almeno su due facce del sottobasamento e della testa. La figura 7.13
mostra una di queste unità. Di norma si impiega un motore asincrono trifase
collegato con cinghia e puleggia al mandrino, non si richiede infatti di solito
variazione nella velocità di rotazione essendo la testa progettata attorno all’utensile
impiegato .
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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Figura 7.13: Testa di fresatura

Nella figura 7.14 si è riportato il disegno di una stazione di fresatura completa.


Possono notarsi: l’attrezzo di bloccaggio, a, (v. più avanti), la testa di fresatura, t,
con montata una fresa per spianare, le due slitte, s , di cui una conferisce il moto di
avanzamento di lavoro all’utensile e l’altra è necessaria per il posizionamento dello
stesso ad inizio passata e il disimpegno a fine passata, e infine la struttura della
linea.

Figura 7.14: Esempio di stazione di fresatura

3. Testa di alesatura: Chiamata ad eseguire una lavorazione delicata strutturalmente


non è molto diversa da una testa di fresatura se non per una minor potenza del
motore impiegato e per la necessità in qualche caso di usare un motore in HF per
avere delle velocità di rotazione molto elevate al mandrino senza necessariamente
dover ricorrere a moltipliche meccaniche che possono influenzare la rugosità
superficiale della superficie lavorata. Naturalmente particolare cura sarà necessaria
nella scelta dei supporti del mandrino per garantire la massima rigidezza e
precisione di rotazione.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 127
Figura 7.15: testa di alesatura
Gli attrezzi di bloccaggio

Il problema del bloccaggio è relativamente semplice nel caso in cui il pezzo venga
movimentato su un pallet. In questo caso il problema viene scisso in due parti:
• il bloccaggio ed il riferimento del pezzo sul pallet generalmente risolto con l’impiego
di sistemi di bloccaggio manuali e quindi abbastanza semplici (figura 7.16);
• il bloccaggio del pallet sulla stazione effettuato in modo automatico ma con
dispositivi standardizzati (figura 7.17);

Figura 7.16: bloccaggio di un pezzo su un pallet

Figura 7.17: Sistema di bloccaggio pallet su stazione di lavoro

Il problema diviene notevolmente più complesso, figura 7.18, nel caso in cui sulla linea si
voglia bloccare direttamente il pezzo.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 7.18: Attrezzo di bloccaggio
Occorre infatti assicurare il riferimento del pezzo e predisporre tutti i bloccaggi in
automatico. L’attrezzo diviene quindi molto articolato dovendo anche garantire delle
opportune sequenze di chiusura.

Meccanismi di trasferimento

Il meccanismo di trasferimento più diffuso in una trasferta rigida è il dispositivo chiamato


“alza e sposta”, figura 7.19.

Figura 7.19: Dispositivo alza e sposta


Il movimento è attuato da due meccanismi diversi. Il primo è una camma la cui alzata
determina il sollevamento o l’abbassamento delle due barre determinando di conseguenza
il medesimo movimento del pezzo da movimentare. Il secondo meccanismo invece
determina lo spostamento della barra di un passo.
Nella figura 7.20 si vede un tratto di una trasferta di lavorazione di un basamento motore
che raccoglie i diversi elementi sin qui illustrati: il meccanismo di trasferimento (a),
l’attrezzo di bloccaggio (b), l’unità di lavoro (c) che in questo caso è una testa di fresatura
multipla.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Al fine di garantire un certo grado di flessibilità ad una trasferta concepita secondo le linee
sin qui illustrate oggi si possono impiegare alcune stazioni di lavoro a CNC come quella
che presenta la figura 7.21

Figura 7.20: Parte di trasferta equipaggiata con dispositivo alza e sposta

Figura 7.21: Modulo a CNC con cambio utensile

Il vantaggio di questa soluzione è principalmente la possibilità di gestire sulla linea delle


varianti di un modello di base. Le stazioni tradizionali effettueranno tutte le lavorazioni
comuni, i moduli a CNC gestiranno le varianti. Naturalmente occorre gestire la produzione
dei diversi modelli per lotti. Una stazione di lavoro come quella illustrata nella figura si
presta ad effettuare anche lavorazioni diverse in sequenza sullo stesso pezzo.

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Figura 7.22: Linea a trasferta ibrida

La figura 7.22 presenta un esempio di layout ibrido: le prime tre stazioni sono attrezzate
con unità di lavoro a CNC mentre le successive sono unità tradizionali.

Nota: Molte delle immagini impiegate in questo paragrafo sono ricavate da


documentazione COMAU

1.0 I sistemi flessibili di lavorazione

Un sistema flessibile di lavorazione o FMS (Flexible Manufacturing Sistem) è un sistema di


lavorazione altamente automatizzato che consiste di macchine a CNC interconnesse da
un sistema automatico di movimentazione dei pezzi controllato da un sistema distribuito di
microprocessori. La distinzione dalle linee a trasferimento consiste nel fatto di poter
lavorare contemporaneamente sulle varie stazioni di lavoro pezzi differenti e il mix di parti
e la loro quantità può essere aggiustata al variare della domanda.
Un FMS dunque può ancora essere pensato come un sistema d’informazione gestionale
distribuito che collega tra loro sottosistemi intelligenti, detti nodi, costituiti da macchine di
lavorazione, di collaudo, di lavaggio, di montaggio e da sistemi di trasporto ed
immagazzinamento. Nella figura 7.23 si da una rappresentazione schematica a blocchi del
concetto qui espresso; essa rappresenta una cella con l’ ingresso e le uscite e
l’indicazione delle funzioni basilari:

• il processo di trasformazione;
• il carico e lo scarico del pezzo
• l’interconnessione col sistema centrale di trasporto;
• il colloquio col sistema di controllo

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 7.23: Rappresentazione schematica di un FMS

Una linea tradizionale di produzione è caratterizzata da un lotto di pezzi trasferito secondo


un flusso non necessariamente unidirezionale attraverso stazioni di lavoro dissimili o simili
tra loro. Il trasporto avviene in modo discreto e manuale. In una linea a trasferta
tradizionale, come abbiamo visto, il trasporto avviene in modo automatico, secondo un
flusso rigorosamente unidirezionale in cui i pezzi vengono trasferiti singolarmente da una
stazione di lavoro ad un’altra. I pezzi possono ancora essere lavorati in lotti ma il numero
di particolari diversi che possono essere processati sulla stessa linea è molto piccolo o
addirittura coincidente con l’unità.
Un FMS combina i benefici di una linea a trasferimento con quelli di un’officina
tradizionale, cioè flessibilità ed automazione. Essa pertanto è adatta ad operare su volumi
di produzione medi.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 7.24: Confronto (qualitativo) tra flessibilità e produttività per i diversi Sistemi
di produzione.

L’idea di questa tipologia di sistemi di produzione nacque verso la metà degli anni 60 dello
scorso secolo ad un ingegnere inglese, David Williamson, come evoluzione delle
macchine a CN; l’ idea fu brevettata nel 1965 con il nome System 24 per intendere che la
linea poteva lavorare 24 ore al giorno di cui 16 senza l’ausilio dell’uomo (unmanned).
All’inizio degli anni 70 uno dei primi FMS fu istallato negli Stati Uniti alla Caterpillar con il
nome Variable Mission System.
Abbiamo detto, all’inizio di questo capitolo che flessibilità vuol dire:
1. la capacità di riconoscere il particolare da lavorare;
2. la capacità di modificare rapidamente il programma di lavoro
3. la capacità di cambiare rapidamente attrezzature ed utensili necessari ad operare
su un pezzo secondo un assegnato ciclo di lavorazione.
Per meglio comprendere il concetto di flessibilità e quindi le difficoltà da superare per
realizzarlo consideriamo il semplice schema della figura 8.25 in cui si è rappresentata una
cella di lavorazione formata da due centri di lavoro ad asse orizzontale un magazzino di
pezzi a carosello e un robot addetto al carico e allo scarico del pezzo. La cella è in grado
di lavorare in modo non sorvegliato per lungo tempo. Periodicamente un operatore
provvederà a scaricare dal magazzino i pezzi finiti e a caricare nuovi pezzi da lavorare.
Il sistema è pertanto sicuramente automatico ma possiamo anche definirlo flessibile?
Possiamo fin da subito dire che gli elementi che compongono la cella sono per loro natura
flessibili in quanto modificando il programma di gestione potremo modificare a piacimento
e in modo praticamente istantaneo il ciclo di lavorazione. Se però la nostra cella è
predisposta per lavorare per lotti essa non potrà a rigore definirsi un FMS, sarà
semplicemente un sistema di lavorazione dotato di un certo grado di flessibilità.

Per poterlo dunque classificare come FMS dovrà rispondere ad almeno 4 requisiti
fondamentali:

Figura 7.25 Esempio di layout di cella flessibile

1. Capacità di gestire particolari diversi lavorati in modalità mix (non a lotti).


R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 133
2. Capacità di accettare facilmente cambi nella schedulazione della sua produzione e
modifiche tanto nella composizione del mix che nel volume di produzione.
3. Capacità del sistema di gestire malfunzionamenti di un componente senza
interrompere completamente la produzione.
4. Capacità del sistema di accettare facilmente l’inserimento di un nuovo prodotto nel
mix di produzione.

Di questi i primi due sono imperativi mentre i restanti due possono essere accettati a
diverso livello di realizzazione; solamente in queste condizioni un sistema di produzione
può essere definito un FMS.
Torniamo allora al nostro esempio e vediamo a quali condizioni deve sottostare per essere
considerato un FMS.
Le due macchine, poiché sono dei CNC, a patto di avere in memoria il part-program del
pezzo da lavorare e nel magazzino gli utensili richiesti dal ciclo, sicuramente sono in grado
di rispondere sia al requisito 1 che al 4. Generalmente il magazzino utensile risulterà
particolarmente esteso ( a catena o a matrice). Le due macchine saranno collegate ad un
computer centrale che avrà in memoria i part-program necessari.
Sul magazzino dei pezzi dovrà essere presente un dispositivo di riconoscimento del pezzo
che, di solito, sarà montato su un pallet che ne consente l’interfacciamento sia con la
macchina che con il robot.
Il sistema di supervisione sarà responsabile della gestione delle due macchine
permettendo di operare solamente con una delle due in caso di arresto dell’altra o
frazionando il ciclo tra le due qualora una di esse risultasse più scarica dell’altra.
Nella bibliografia si trova l’indicazione di diversi tipi di flessibilità (v. tabella 7.1) a riprova
che la flessibilità è una caratteristica a molte dimensioni.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 134
Tabella 7.1

Tipi di flessibilità Definizione Dipende da:


Flessibilità di lavorazioni Definisce il tipo di operazioni Tempo di set up. Capacità
tecnologiche (lavorazioni) della macchina di essere
che il sistema è in grado di riprogrammata, capacità del
compiere. magazzino utensili, abilità
degli operatori
Flessibilità di produzione Definisce l’insieme di Flessibilità delle singole
particolari che il sistema può stazioni di lavoro.
lavorare

Flessibilità di Mix Definisce la capacità di Flessibilità delle singole


produrre un dato particolare stazioni di lavoro
in proporzioni differenti.

Flessibilità di prodotto Definisce la capacità del Flessibilità delle singole


sistema di accettare una stazioni di lavoro
variante su un assegnato
prodotto o un nuovo
prodotto nel suo mix
Flessibilità di percorso Definisce la capacità del Similarità delle singole
sistema di generare un stazioni di lavoro,
assegnato ciclo con percorsi duplicazione delel stazioni di
differenti al suo interno lavoro, magazzino utensile
(usando differenti stazioni di in comune
lavoro).
Flessibilità di produttività Definisce la capacità del Ammontare del capitale
sistema di produrre in modo investito
economico quantità
differenti di particolari

Flessibilità di espansione Definisce la capacità del Layout del sistema, sistema


sistema di espandersi al fine di movimentazione delle
di aumentare la quantità di parti, costo delle stazioni di
prodotto per volume o per lavoro
tipologia.

I sistemi di produzione flessibili possono essere classificati in:

Celle di lavorazione con macchina singola: consiste in un centro di lavoro CNC conbinato
con un magazzino dei pezzi che ne consente l’operatività non sorvegliata. In figura 7.26 un
esempio. Si nota la zona di carico e scarico dei pallet che supportano le parti in
lavorazioni. La macchina può ovviamente lavorare per lotti o con un mix di particolari. I
pallet portano un’unità di scrittura/lettura che permette di codificarli in funzione del
particolare che viene bloccato su di essi.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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All’ingresso nel centro di lavoro, attraverso un dispositivo di cambio pallet (shuttle), il pallet
viene caricato in macchina e riconosciuto ed il centro di lavoro richiama il part-program
relativo allo specifico particolare da lavorare. Il sistema dispone di un generoso
magazzino utensili a matrice. E’ evidente che questa configurazione non possiede il terzo
requisito che abbiamo indicato come caratterizzante un sistema flessibile in quanto in caso
di interruzione del funzionamento del centro di lavoro per una qualunque anomalia (rottura
utensile) o una normale operazione di manutenzione si arresterà il ciclo. La presenza di un
magazzino a matrice consente di rimpiazzare gli utensili usurati senza dover arrestare la
macchina, le ampie dimensioni del magazzino consentono di avere più utensili uguali tra
loro e quindi di operare per lunghi periodi (es weekend in condizioni non sorvegliate.

Figura 7.26: Cella di lavorazione con macchina singola

Cella flessibile di lavorazione (FMC): Consiste di due o tre centri di lavorazione a CNC con
un sistema di manipolazione collegato con una stazione di carico e scarico (v. figura 7.25).
Anche in questo caso non è assicurato il rispetto del terzo requisito che caratterizza un
FMS in particolare se i tre centri di lavoro non sono uguali tra loro.

Sistema Flessibile di lavorazione (FMS): E’ formato da 4 o più centri di lavoro, da un


sistema di movimentazione dei particolari lavorati e da un sistema elettronico di gestione.
La fondamentale differenza da una FMC è il numero delle macchine. Un’ altra differenza è
che nella linea sono anche comprese stazioni di lavoro nelle quali non si compiono
trasformazioni sul pezzo come ad esempio stazioni di lavaggio, macchine di misura a
coordinate, stazioni di pallettizzazione dei pezzi, etc.. Anche il sistema di gestione
elettronico è assai più complesso in quanto non solo ha le funzioni tipiche dei sistemi
automatici come il monitoraggio e la diagnosi dei singoli componenti ma assolve anche a
compiti di schedulazione continua necessari a gestire le variazioni di mix tipiche di un
FMS.
Nella figura 7.27 un esempio di FMS costituita da un centro di lavoro di tornitura ad asse
verticale e tre centri di lavoro di fresatura ad asse orizzontale dotati di magazzini a utensili
a catena, una stazione di lavaggio una zona di carico e scarico. Nella figura le macchine
sono a sinistra mentre a destra è visibile il magazzino dei pallet a destra in vicinanza della

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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zona di carico e scarico. Nella parte centrale è visibile la rulliera per la movimentazione
dei pallet (sistema primario)

Figura 7.27: Esempio di FMS

4.1Componenti di un FMS

Come abbiamo detto nel paragrafo precedente tre sono i principali elementi che
compongono un FMS: stazioni di lavoro, sistema di movimentazione delle parti, sistema
computerizzato di controllo e gestione. Di seguito li analizzeremo in dettaglio.

Workstations: Poiché abbiamo indicato che ci occuperemo esclusivamente delle linee di


lavorazione certamente le stazioni di lavoro principali sono quelle di lavorazione. Queste
sono quasi esclusivamente dei centri li lavoro (Machining Centers) a CNC ad asse
orizzontale (v. Capitolo 5) attrezzati con magazzino utensile e talora con magazzino di
teste di lavoro che consente di usare teste multiple di foratura o teste di bocciatura. Le
macchine vengono dotate di sistemi di cambio pallet (shuttle) o di braccio meccanico per
un facile interfacciamento con il sistema di movimentazione. Normalmente gli FMS
trattano particolari di tipo prismatico o non-rotazionali ma ove i pezzi richiedano operazioni
di tornitura si possono introdurre centri di tornitura ad asse verticale. La parte viene
montata su un pallet che ne consente il montaggio diretto sul tornio.

Stazioni di carico e scarico:Rappresentano l’interfaccia tra il FMS e il resto della fabbrica. Il


carico e lo scarico può essere effettuato manualmente o in modo automatico. La prima
soluzione è la più frequente in quanto permette di ridurre considerevolmente la
complessità delle attrezzature di fissaggio e/o dei pallet. La stazione di carico e scarico è
attrezzata con un terminale attraverso il quale l’operatore riceve le istruzioni su quale
particolare montare sul pallet in base al programma di produzione in atto. Qualora sia
necessario un pallet o delle attrezzature specifiche per l’assegnato pezzo da inviare in
lavorazione, il sistema avrà provveduto a prelevarlo da un apposito magazzino e a inviarlo
alla stazione di carico assieme al grezzo del pezzo da lavorare. Quando la procedura di
montaggio è terminata l’operatore provvederà ad informare il sistema che provvederà a
prelevare il pallet e ad immetterlo nel sistema di movimentazione.

Altre stazioni: Stazioni di misura possono essere incorporate nella linea. Generalmente si
impiegano stazioni di misura a coordinate (CMM) ma in alcuni casi vengono impiegati
sistemi di visione con funzione di verifica, ad esempio per accertarsi che sia stato montato
il grezzo corretto o che sia stata effettuata un’assegnata lavorazione.
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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Anche stazioni di lavaggio vengono inserite in linea per eliminare residui di lavorazione
tanto dal pezzo quanto dal pallet.

Sistemi di movimentazioni e accumulo: In un sistema flessibili la movimentazione dei pezzi


all’interno della cella vede l’impiego di una grande varietà di mezzi quali: rulliere, carrelli
automotori (AGV), sistemi di cambio pallet tipo shuttle, manipolatori antropomorfi o a
portale. Il buffer di I/O può essere lo stesso sistema di trasporto.
Il sistema di movimentazione e accumulo delle parti lavorate deve svolgere le seguenti
funzioni:

i. consentire il moto indipendente e casuale dei pezzi tra le stazioni: il pezzo deve
essere in grado di muoversi da una stazione di lavoro ad una qualsiasi delle altre
per consentire di gestire cicli di lavoro differenti tra loro e di sostituire l’attività di un
macchina in caso di guasto con quella di un’altra;
ii. operare su una varietà di pezzi differenti tra loro: Per i pezzi prismatici questo è
generalmente ottenuto usando un pallet e attrezzature di fissaggio modulari che
consentono il bloccaggio ed il riferimento su una base standard dei diversi
particolari che devono essere lavorati. Nel caso di pezzi rotosimmetrici si impiegano
dei robot per montare i pezzi sul tornio con delle mani di presa modulari o
intercambiabili;
iii. consentire uno stoccaggio temporaneo: il numero di pezzi presenti sulla linea sono
in genere in numero superiore a quelli in lavorazione per cui ogni stazione ha una
piccola coda di pezzi in attesa di essere lavorati. I pezzi eccedenti vengono
mantenuti in circolazione sino a che si libera una posizione nella coda della
macchina cui sono destinati;
iv. consentire un facile accesso per il carico e lo scarico: come si è già accennato la
linea prevede una stazione manuale di carico e scarico;
v. essere interfacciato con il computer di controllo: la gestione computerizzata del
sistema è fondamentale per la gestione del percorso delle singole parti e del carico
dei pezzi secondo il mix produttivo desiderato e nella sequenza stabilita.

Il sistema di movimentazione va suddiviso in:

• Sistema primario: definisce il layout della linea ed è deputato al trasferimento dei


pezzi da una stazione alla successiva. Nella tabella 8.2 sono presentate le principali
tipologie di meccanismi impiegati correlate con la struttura impiegata per il Layout.

• Sistema secondario: consiste nei meccanismi deputati al prelievo del pezzo dal
sistema primario per trasferirlo sulla macchina e naturalmente per il percorso
inverso. A questo meccanismo è affidato il compito di posizionare il pezzo sulla
macchina con la necessaria precisione, di ri-orientare il pezzo ove necessario. Tale
funzione può essere svolta da uno shuttle, da un dispositivo di pick and place o da
un braccio robotizzato.

Il layout in linea rappresenta la forma più semplice che un FMS può assumere ed è
derivato da quello tipico di una linea a trasferimento. Il ciclo del particolare progredisce
passando da una stazione ad una successiva secondo un percorso definito con il pezzo
che può muoversi sempre e solo in una direzione.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Tabella 7.2

LAYOUT Sistemi tipici di trasporto


In linea Sistemi di trasferimento in linea, Convogliatori, Carrelli su rotaia
Ad anello Convogliatori, Carrelli filo guidati,
Ladder Convogliatori, AGV, Carrelli su rotaia
Aperto AGV, Carrelli filoguidati
Con robot centrale Robot industriali

Ciò che allora differenzia un FMS da una trasferta rigida è la varietà di pezzi che possono
essere lavorati e l’ordine del tutto casuale con cui possono essere immessi sulla linea. Per
conferire maggiore flessibilità alla linea (figura 7.28) la si può dotare di un sistema di
movimentazione secondario che consente di spostare i pezzi lungo il sistema principale
nelle due direzioni.

Figura 7.28: FMS con Layout in linea

Il layout ad anello (figura 7.29) consente ai pezzi di circolare lungo il sistema principale
arrestandosi solo per consentirne il passaggio sul sistema secondario di una delle stazioni
di lavoro dove attenderà il suo turno per essere lavorato. La stazione di carico e scarico è
generalmente sistemata ad una delle estremità dell’anello.

Figura 7.29: Schema di FMS con Layout ad anello

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


Pagina 139
Mentre con il layout in linea è abbastanza semplice aumentare il numero di stazioni di
lavoro e quindi possiede “Flessibilità di espansione” ciò è molto più complesso con il layout
ad anello ove, generalmente, se l’espansione non è prevista in sede di progettazione
difficilmente si potrà intervenire successivamente.
Sotto il profilo dell’espandibilità la soluzione ottimale è quella del layout aperto (figura 8.30)
dove non esiste un sistema di collegamento rigido tra le stazioni di lavoro che vengono
collegate tra loro attraverso impiegando degli AGV. Naturalmente è una soluzione più
costosa, anche sotto il profilo dello spazio occupato, e più complessa da gestire ma è
quella che garantisce la massima flessibilità.
Nel caso in cui i pezzi da movimentare siano rotazionali generalmente si impiega un layout
con robot centrale.

Sistema di controllo computerizzato: Come abbiamo ricordato in precedenza, in un FMS è


presente una logica di controllo distribuita che soprassiede alle funzioni di tutti i suoi
componenti. Tipicamente è formata da un computer centrale e una serie di mini computer
e/o PLC che controllano le singole unità. Possiede la struttura di un DNC cioè dati e
programmi sono inviati dal sistema centrale alle singole macchine e ai componenti
hardware del sistema e da questi dati in esecuzione e performance sono trasmessi verso
l’unità centrale. In più esiste un link tra l’unità centrale e il sistema gestionale della fabbrica
(v. figura 7.31). Spesso la gestione viene affidata a due macchine di cui una può svolgere
funzioni ausiliarie quali simulazione o preparazione di part program e sostituire la
macchina principale in caso di necessità. Le principali funzioni che vengono sviluppate dal
sistema di controllo possono così essere suddivise:
1. Controllo delle workstation: Poiché le unità di lavoro sono delle macchine a CNC
ciascuna di esse sarà dotata della propria unità di governo che ne gestisce tutte le
funzioni.
2. Distribuzione dei programmi di lavoro (part program): Il part program necessario
alla parte di ciclo di cui la singola macchina è deputata deve essere disponibile al
momento in cui il pezzo è caricato in macchina. Ciò viene fatto dal computer
centrale che dispone nella sua memoria dei programmi relativi a tutti i pezzi da
lavorare.

Controllo della produzione: E’ questa una funzione essenziale per un FMS che
gestisce il mix di parti da inviare sulla linea e la tempistica con cui farlo. I dati
d’ingresso sono quelli relativi alla composizione della produzione giornaliera ai
pallet e ai grezzi disponibili e ovviamente al tempo ciclo di ciascuna delle fasi.
Questa funzione deve anche gestire le informazioni da trasmettere all’operatore per
il carico del grezzo opportuno sul pallet assegnato Mentre però in un sistema
tradizionale la schedulazione avviene off-line poiché è applicata all’inizio di un
determinato periodo di lavoro e il risultato vale per l’intero turno di lavoro o anche
per periodi più lunghi. Pertanto ogni evento imprevisto provocherà lo
sconvolgimento del piano originale. L’FMS opera sotto il controllo di un algoritmo
dinamico per cui le decisioni di quale pezzo debba essere successivamente
lavorato in un nodo è presa alla fine dell’operazione attualmente in corso;
praticamente le decisioni vengono prese in tempo reale con la finalità di saturare al
meglio le capacità operative che la linea presenta ad un dato istante.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Figura 7.30: Schema di FMS con layout aperto(CMM: Macchina di misura a
coordinata , SR: stazione di ricarica)

4. Controllo del traffico: Gestisce il movimento dei pezzi/pallet lungo il sistema


primario, comanda gli scambi ai punti d’intersezione con il sistema secondario, e
muove i pallet verso la stazione di carico e scarico.
5. Controllo degli shuttle: Gestisce il controllo del sistema secondario di ciascuna
workstation. Ciascuno shuttle deve coordinarsi con il sistema primario e
sincronizzarsi con le operazioni relative alla macchina di cui è al servizio.
6. Monitoraggio del pezzo: Il computer centrale deve monitorare lo stato di ciascun
pallet sia nel circuito primario che nel circuito secondario così come lo stato di
ciascuno dei particolari presenti.
7. Gestione degli utensili: Occorre tracciare gli utensili di ciascuna workstation. Se ad
esempio uno o più degli utensili necessari per lavorare un certo pezzo non è
presente nella workstation che è stata indicata nel suo tracciato (part routing) il
sottosistema preposto al controllo degli utensili o individuerà una workstation
alternativa oppure avviserà l’operatore che provvederà a caricare gli utensili
necessari. Altra funzione sarà il controllo della vita degli utensili: quando uno o più
utensili avranno raggiunto la durata prefissata il sistema avviserà l’operatore perché
provveda alla loro sostituzione. Generalmente esisterà un’apposita Tool Room che
provvede alla gestione di tutta l’utensileria.
8. Monitoraggio delle prestazioni e reporting: il computer di gestione è programmato
per tenere sotto controllo l’efficienza della linea per memorizzare tutte le fermate, la
loro durata e la causa al fine poi di stilare dei report statistici quali: Disponibilità
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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(cioè il tempo in cui la linea è in grado di operare), Coefficiente di utilizzazione
(percentuale di utilizzo delle singole Ws e dell’intera linea), Produttività (quqnatità
dei singoli item (matricole) prodotte nell’unità di tempo desiderata), Stato (istante
per istante fornisce l’indicazione dello stato delle singole WS, quali e quanti pezzi
sono presenti sulla linea , etc.)
9. Diagnostica: Necessaria a prevenire i guasti e a ridurre il tempo di riparazione

SISTEMA
CENTRALE

Controllo dell’FMS

Sistema di trasporto

Cella Cella Cella

Figura 7.31 : Sistema di controllo di un FMS

Un cenno particolare merita la modalità con cui viene progettato il ciclo di lavoro su un
FMS.
L’FMS deve essere programmato come un sistema di celle intelligenti e non come un
grosso centro di lavoro a CN. Conseguentemente, i reali benefici di un FMS sono
intimamente legati alla struttura del ciclo di lavorazione.
La struttura di un ciclo di lavorazione a percorso varia bile è di tipo ad albero formato da
tre livelli:
• il ciclo del particolare (partprogram): la radice dell’albero
• il ciclo associato al pallet (pallet program): i rami dell’albero;
• l’insieme delle operazioni (operation): le foglie dell’albero.

Come è già stato detto, il pezzo si muove nella linea legato ad un pallet; l’intero ciclo di
lavorazione può richiedere il montaggio del pezzo su pallet differenti; ad esempio nella
figura 7.32 variable route FMS partprogram, tre montaggi sono necessari per i
completamento del particolare. Ad ogni pallet viene ad essere associato un ciclo che può
presentare delle varianti od opzioni. Ogni ciclo è formato da un sottoinsieme di operazioni.
Ogni operazione inizia e termina sulla stessa macchina o cella mentre il ciclo associato al
pallet coinvolge una o più celle differenti. Il programma di ogni singola operazione può
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essere pensato come partprogram di un CNC. Le attrezzature di bloccaggio e lo specifico
pallet utilizzato sono memorizzati a livello del ciclo del pallet mentre gli utensili sono
identificati a livello di ciascuna operazione.
La programmazione dinamica può usufruire dei percorsi alternativi previsti a livello di pallet
program. Supponiamo che un particolare entri nella linea come una fusione grezza e la
lasci come pezzo completamente la varato e collaudato.
IL ciclo compLeto è presentato nella figura 7.32. Il pallet program n° 1 provvede a creare
le necessarie superfici di riferimento per le operazioni seguenti; il particolare semilavorato
viene smontato e quindi si procede alle lavorazioni sulle varie facce accessibili in tale
configurazione. Infine Il particolare viene nuova mente capovolto, viene lavorata la faccia
superiore e infine si procede al collaudo del pezzo finito.
.
Part Program

Pallet Program Pallet Program Pallet Program


N°1 N°2 N°3

OP: A3
OP: A2
OP: A1

OP: AB1

OP: B3 OP: E3
OP: B1
OP: B2

OP: C3 OP: F3
OP: C1
OP: C2

Esiste un’operazione
alternativa con Non esistono OP: D3 Esistono due percorsi
operazione finale operazioni alternative equivalent
comune

Figura 7.32: Struttura del ciclo ad albero

E’ancora importante sottolineare come le varianti possano essere previste non solo a
livello di operazioni, bensì a livello di pallet program. Nel caso preso in considerazione, il
ciclo non è abbastanza complesso da prevedere l’uso anche di tale possibilità

1.0 Le linee agili

Tra le due soluzioni che sono state presentate: la trasferta rigida e l’FMS in questi ultimi
anni se ne va affermando una terza con caratteristiche intermedie. Delle trasferta rigida
mantiene l’architettura generale e cioè il percorso sequenziale del pezzo lavorato mentre
dell’FMS adotta la tipologia delle unità di lavoro.
Una tale soluzione trova applicazione nelle lavorazioni di grande serie e in particolare
quelle del comparto automotive dove progressivamente va a sostituire la classica trasferta
rigida.
La scelta di questo tipo di soluzione trova la sua motivazione nel sempre più breve ciclo di
vita di un prodotto e quindi nella necessità di poterlo facilmente modificare o sostituire
senza dover pesantemente riattrezzare una linea. Se si pensa che il ciclo di vita di un
prodotto in questo settore è passato da 10 anni a circa quattro con tendenza a scendere
ulteriormente ci si rende conto che i costi di riattrezzaggio di una trasferta rigida per
adattarla alle variati di prodotto richieste divengono insostenibili. La linea agile consente di
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tagliare drasticamente tali costi. Una caratteristica interessante di questo nuovo concetto e
che le varie unità di lavoro vengono progettate in modo da non richiedere fondazioni e non
vi è la necessità di un ancoraggio rigido tra tali unità ed il sistema di movimentazione della
parte lavorata. Questo significa che, ove necessario la linea può essere modificata sia
eliminando che aggiungendo unità di lavoro.
Nella figura 7.33 un tratto di Linea Agile. Il carico e lo scarico delle macchine viene
effettuato da un manipolatore a portale che preleva deposita il pezzo da/su una rulliera
che provvede al trasferimento verso l’unità di lavoro successiva. Altro vantaggio di questa
soluzione è la possibilità di operare per lotti su più varianti dello stesso particolare
sfruttando la flessibilità dei centri di lavoro e la capacità del loro magazzino utensili

Figura 7.33: Esempio di layout di linea Agile.

Un aspetto interessante di questa tipologia d’impianto consiste nel fatto che i vari
componenti la linea sono semplicemente appoggiati sul pavimento, cioè non sono vincolati
tra loro come in una trasferta tradizionale. Questa caratteristica ne consente un possibile
riposizionamento per modificare il layout dell’impianto ove un nuovo prodotto richiedesse
la riconfigurazione totale dell’impianto.

Figura 7.34: Modulo Agile.

R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7


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Nella figura 7.34 un modulo agile. Interessante notare come l’asse “Z” sia attribuito al
pezzo. Questo movimento viene utilizzato nella fase di carico e scarico consentendo
quindi che il portale disponga di solo due movimenti: trasversale e verticale.
Nella figura 7.35 è invece rappresentata una stazione della linea costituita da due
macchine e un robot per il carico e lo scarico. Il ciclo del robot è il seguente:

1) preleva un pezzo da lavorare P1 dalla rulliera a sinistra;


2) si posiziona sulla prima macchina preleva il pezzo lavorato P2 (OP.50.1) e deposita il
pezzo da lavorare P1
3) si sposta verso la seconda macchina preleva il pezzo lavorato P3 (OP 50.2) e
deposita il pezzo lavorato dalla precedente;
4) si sposta verso la rulliera di destra per depositare P3 che così verrà avviato verso la
successiva stazione di lavoro
5) ritorna verso la rulliera di destra per prelevare un secondo pezzo P1 e rimane in attesa
di ricominciare il ciclo.

P3

Figura 7.35: Dettaglio del layout di linea Agile.

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