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Nei sistemi di produzione si definisce stazione di lavoro o workstation una zona nello
stabilimento in cui viene svolta una ben definita operazione attraverso una macchina
automatica o una combinazione di una macchina e di un uomo o soltanto da un uomo con
apposite attrezzature ed utensili manuali. Un sistema di produzione e in genere costituito
da una o più stazioni di lavoro. Qualora le stazioni di lavoro siano disposte in sequenza
formeranno una linea o una cella di lavorazione.
Componente essenziale di un SP è il sistema di movimentazione che ha il compito di
scaricare, caricare e posizionare il pezzo da e su una stazione di lavoro. avanti.
Il carico prevede il prelievo della parte da lavorare da una posizione esterna all’unità di
lavoro e il suo trasporto all’interno dell’area di lavoro dove avverrà il posizionamento e cioè
il piazzamento dello stesso in un punto e con un orientamento assegnato. Quest’ultima
funzione viene di solito coadiuvata da un’apposita attrezzatura fissa che provvede anche
al bloccaggio del pezzo, attrezzatura che chiamiamo attrezzo di bloccaggio.
Naturalmente ad operazione ultimata il sistema provvederà a prelevare il pezzo a
collocarlo in una posizione esterna all’unità di lavoro su un sistema di stoccaggio o
preparandolo al trasporto verso la successiva stazione.
Ovviamente questa funzione potrà essere assegnata ad un operatore umano ma nei
sistemi di cui ci occuperemo e che definiremo integrati quest’operazione è completamente
automatizzata.
La movimentazione della parte tra una stazione e la successiva anche questa potrà
essere effettuata in modo manuale o in automatico singolarmente o in lotti. Di solito
quando la movimentazione avviene in automatico i pezzi vengono movimentati
singolarmente. La movimentazione potrà poi avvenire secondo un percorso fisso figura
1.1b oppure variabile, fig. 1.1a. Di norma, a parte un’eccezione di cui parleremo più avanti
a)
b)
Nei moderni SP è ormai sempre presente un computer che esercita un’azione generale di
coordinamento e supervisione. Anche nei sistemi manuali, come ad esempio i sistemi di
assemblaggio, il computer offre un irrinunciabile supporto all’attività produttiva.
Tipiche attività svolte sono:
• Comunicazione e istruzione all’operatore. Ad esempio in una linea di assemblaggio
può indicare all’operatore la corretta sequenza d’avvitatura ed effettuare il controllo
della coppia di serraggio delle viti.
• Download di programmi di lavoro: Nelle macchine a CN il computer provvede a
caricare sulla macchina il part program in funzione della parte ad lavorare.
• Gestione delle operazioni: Gestisce l’intero ciclo di produzione sia direttamente che
indirettamente
• Controllo del sistema di movimentazione: Provvede a coordinare il sistema di
movimentazione col ciclo delle unità di lavoro.
• Schedulazione della produzione: in alcune situazioni la schedulazione della
produzione avviene localmente.
• Diagnostica dei guasti: Funzione importantissima per semplificare le azioni di
riparazione e ridurre il fermo macchina.
• Controllo della qualità: Sempre più frequentemente alcune quote della parte
lavorata vengono ispezionate direttamente a bordo della macchina e l’esito della
misurazione può interagire con la macchina stessa.
• Statistica: monitorizza lo stato della macchina e fornisce i dati per la generazione di
report statistici.
n
wu + ∑w i
M= I =1
n
Dove:
wu, numero di operai indiretti addetti alla linea
wi, numero di operai diretti assegnati alla stazione ima
n, numero di stazioni di lavoro
Anche un linea completamente automatizzata disporrà di uno o più operatori che sono
responsabili del suo funzionamento.
Potremo dunque trovarci in presenza di uno dei seguenti archetipi:
Nel primo caso tutte le parti da produrre sono identiche tra loro. In questo caso la quantità
di parti da produrre dovrà essere sufficiente a giustificare l’investimento. I macchinari
saranno progettati per fornire la massima efficienza e verranno adottati sistemi di
automazione rigidi.
Nel secondo caso ad essere prodotta sarà una famiglia di prodotti in genere simili tra loro
almeno sotto il profilo della forma (es. particolari prismatici) e delle dimensioni . Per
passare da un particolare al successivo la macchina deve essere riattrezzata.
L’automazione deve essere sufficientemente flessibile per consentire di minimizzare il
tempo di riattrezzamento.
Nell’ultimo caso i diversi particolari da produrre si succedono tra di loro in modo casuale
sia sul piano temporale che della loro quantità. I macchinari dovranno avere il massimo
grado di flessibilità in quanto non dovrà essere necessario alcun riattrezzamento nel
passaggio da un pezzo ad un altro della medesima famiglia.
A seconda del grado di flessibilità allora si parlerà di: Sistemi rigidi o di Sistemi flessibili.
Mentre però sul termine rigido non ci sono equivoci su termine flessibile le cose sono
diverse e si potranno chiamare flessibili tanto macchinari che possono lavorare per lotti
quanto macchinari in grado di gestire un mix di produzione. Possiamo sin d’ora dire che
mentre è abbastanza facile operare su un mix di prodotti con una singola macchina ( e
quindi con una bassa produttività) molto più difficile è farlo con una linea di macchine ( e
quindi con una produttività più elevata).
Si può calcolare il tempo previsto dopo aver prodotto l’nmo pezzo, Tn, con la formula:
ln(TA)
Tn = T1 ⋅ (n )m dove : m =
ln(2 )
Con:
TA, tasso di apprendimento (v. Tabella)
T1, Tempo ciclo per fare il primo pezzo
2. IL CONTROLLO NUMERICO
Tenuto conto dello sviluppo che oggi il controllo numerico ha preso, in quanto segue si
cercherà di fornire un quadro riassuntivo e sintetico di quali sono le sue funzioni, quali i
principali elementi che lo caratterizzano e quali le sue attuali linee di sviluppo.
Si inizia con il darne una definizione: "Il Controllo Numerico è una forma di automazione in
cui il processo è definito e controllato da numeri e lettere. Numeri e lettere costituiscono il
programma per realizzare un dato particolare".
1. l'unità di governo
2. il servomotore
3. il sistema di misura o trasduttore di posizione
4. la meccanica associata (la macchina utensile)
5. il programma ( part program )
X
Dt Sm T
no Xo
UNITA’ DI GOVERNO
La posizione desiderata ( l'obiettivo del controllo) X0 viene comparata, istante per istante,
con la posizione reale X all'interno di un blocco funzionale dell'unità di governo che prende
il nome di comparatore. Tipicamente si possono adottare due strategie per attuare il
controllo numerico della posizione:
X − X0 ≠ 0
In un controllo di tipo punto a punto non esiste alcuna relazione funzionale tra i vari assi
controllati. Questi possono muoversi simultaneamente arrestandosi progressivamente
allorché raggiungano la posizione che loro compete. Questo tipo di controllo trova
applicazione in macchine molto semplici come le foratrici a C.N. .
In un controllo continuo esiste invece una precisa relazione funzionale tra le coordinate
individuali dei vari assi e tale relazione, ad esempio lineare, deve essere rispettata istante
per istante. E' pertanto necessaria la presenza di un ulteriore elemento del controllo che
è l'interpolatore; questo, note le coordinate iniziali e finali dello spostamento,
provvede a calcolare le coordinate intermedie necessarie al controllo del moto. Il
controllo di tipo continuo è oggi senz'altro il più diffuso per la sua universalità e la sua
precisione.
Secondo il numero di assi controllati simultaneamente le unità di governo possono cosi
essere suddivise (Figura 1.2):
• 2 assi (Torni)
• 2½ assi (Fresatrici)
• 3...5 assi (Fresatrici, Macchine per elettroerosione a filo e orbitali, rettificatrici, etc.)
• >5 assi (Robot)
2.1.1 L’interpolatore
I controlli continui richiedono che le informazioni geometriche, proprie del pezzo, vengano
tradotte in coordinate orientate di moto in modo tale che il vettore velocità dell'asse attivo
si mantenga tangente al contorno desiderato.
Il lavoro maggiore richiesto dal processamento geometrico è il calcolo di un gran numero
di coordinate. E questo è fatto proprio dall'INTERPOLATORE.
1. i dati geometrici prodotti devono approssimare nel modo migliore possibile il reale
contorno del pezzo;
2. la velocità dell'asse deve essere tenuta sotto controllo e pertanto il risultato
dell'interpolazione deve rispettare questo vincolo possibilmente in modo indipendente
dalla forma del contorno;
3. il punto finale d'arrivo deve essere raggiunto con la massima precisione altrimenti
nascono degli errori di forma nella figura eseguita;
4. l’algoritmo d’interpolazione deve essere il più semplice possibile per consentire tempi
di calcolo molto brevi e quindi frequenze d’interpolazione molto elevate (si chiarirà
meglio più avanti questo concetto.
Per quanto detto prima l'interpolatore più usato è l'interpolatore lineare che opera tra
due o più assi lineari o circolari.
Per mezzo dell'interpolazione lineare è possibile realizzare delle segmentate, che nei limiti
della tolleranza di lavorazione, possono rappresentare un profilo qualunque.
AB = 2 (r + ε ) − (r − ε ) = 4 rε
2 2
Il numero di segmenti necessari per approssimare tale arco sarà dato da:
n = (α ⋅ r ) / 4 r ⋅ ε
Per tracciare una circonferenza di raggio 100 mm con una tolleranza ± 0.01 mm sul raggio
saranno necessari i seguenti segmenti:
π r
n = (2πr ) / 4 rε = = 157
2 ε
Esistono diverse tecniche per realizzare un interpolatore; di seguito se ne descriveranno
due: la tecnica detta searchstep e quella per integrazione o DDA. Si tratterà il caso
dell'interpolazione lineare nel piano per la sua maggiore evidenza.
Il metodo searchstep
Ogni punto di un contorno piano soddisfa la relazione F(X,Y)=0 mentre per qualunque
altro punto, esterno al suddetto contorno, varrà ovviamente la relazione F(X,Y)<>0 .
L'entità del valore assunto dalla funzione ed il suo segno dipendono dalla corrispondente
entità dello scostamento e dalla sua direzione. Ciò è particolarmente evidente nel caso
della retta. Si osservi la figura 4.1; la retta congiungente i due punti PS e PE deve essere
interpolata secondo la direzione positiva dell'asse X; è facile verificare come tutti i punti
che sono situati al disotto della retta rendono negativa la funzione.
F(X,Y)= y − a ⋅ x − b = 0
Ys P1
Ps
F(X,Y)< 0
Xs Xe
Il calcolo viene praticamente effettuato nel seguente modo: . per non dover calcolare ad
ogni passo il valore della funzione, poiché gli incrementi sono costanti, si possono
calcolare le deviazioni ΔFx e ΔFy definite come:
ΔFX = F ( X n +1 , Yn ) − F ( X n , Yn )
ΔFY = F ( X n , Yn +1 ) − F ( X n , Yn )
L'equazione della retta passante per due punti può essere scritta come :
F ( X ,Y ) = (Y − Ys ) ⋅ ( X E − X S ) − ( X − X S ) ⋅ (YE − YS )
ΔFX = − ΔX ⋅ (YE − YS )
ΔFY = ΔY ⋅ ( X E − X S )
N=N+1
Yn+1 ≥YE ?
no
or
Xn+1 ≥XE ?
si
Fine dell’interpolazione
Nella figura 1.7 si riporta il diagramma a blocchi della routine di calcolo. Questa tecnica
può essere applicata facilmente al caso generale di una retta nello spazio, di un cerchio o
di una generica curva matematicamente definita ed è utilizzabile con uno schema di
controllo molto più semplice di quanto non sia quello schematicamente rappresentato nella
figura 1.3 e precisamente un controllo ad anello aperto.
Tale controllo, usato inizialmente sulle prime macchine a CN e oggi ancora impiegato in
macchine molto semplici di costo contenuto, fa uso di uno speciale motore , chiamato a
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 13
passo o stepping motor, che viene pilotato da un treno d’impulsi. Ad ogni impulso compie
una rotazione di un angolo assegnato (Es. 400 step/giro => 0.9°)
Δx
X
Impulsi
Δy
Y
Con uno schema di controllo più complesso ad anello chiuso questo modello è
insoddisfacente anche perché su una traiettoria circolare non assicurerebbe la costanza
del vettore velocità.
Tale metodo, anche noto come DDA o Digital Differential Analizer, parte dalla
considerazione che l’utensile si deve muovere lungo la sua traiettoria compresa tra i punti
Pi e Pe, in questo caso lineare, a velocità costante, vf,e quindi:
t
x e − xi
x(t ) = v fx ⋅ t + xi = ∫ ⋅ dt + xi
0
T
t
ye − yi
y (t ) = v fy ⋅ t + y i = ∫ ⋅ dt + y i
0
T
dove:
T, il tempo per completare il movimento tra i due punti assegnati alla velocità vf
e:
v f = (v 2fx + v 2fy )
Se dividiamo l’intero intervallo T in N intervalli Δt, sufficientemente piccoli per cui si possa
scrivere:
T = N ⋅ Δt e t = υ ⋅ Δt con υ = 0,1,2,3,......., N
⎧ x − xi y e − y i ⎫
max ⎨ e , ⎬ ≤ Δε
⎩ N N ⎭
essendo Δε la risoluzione del sistema di misura della posizione.
Il tempo T e di conseguenza l’intervallo Δt di campionamento dipendono dalla velocità
d’avanzamento lungo la traiettoria f.
Un semplice esempio per chiarire i concetti illustrati:
Le tecniche che abbiamo illustrato pur mantenendo una loro validità generale sotto il
profilo del metodo lasciano progressivamente il posto a tecniche di calcolo diretto della
funzione. Esse sfruttando il fatto che l’unità di governo è basata su microprocessori (CNC)
dapprima dedicati e oggi sempre più di tipo general purpose, proprio come quelli che
usiamo tutti i giorni.
L’uso della ricorsività delle formule di calcolo viene mantenuta in quanto consente di
ridurre i tempi di calcolo. Occorre sottolineare come nei moderni CNC siano
contemporaneamente aumentate la risoluzione dei sistemi di misura e la velocità di
movimento egli assi.
Di seguito, a titolo d’esempio, si illustrerà un algoritmo per l’interpolazione circolare basato
sull’utilizzo dell’equazione della circonferenza espressa in forma parametrica.
Possiamo subito scrivere che un punto di un arco di circonferenza percorso con una
velocità angolare ω ha coordinate, rispetto al suo centro:
x = R ⋅ cos ωt
y = R ⋅ cos ωt
dove:
vf
ω=
R
L’arco di circonferenza verrà approssimato con una poligonale, avendo fissato il massimo
errore cordale ammissibile Δc:
⎛ α⎞
Δc = R ⋅ ⎜1 − cos ⎟
⎝ 2⎠
Pi+1 Δc
Pi
α
β
Dalla relazione precedente possiamo allora calcolare il valore di α che garantisce l’errore
cordale assegnato.
Applicando le note formule di somma di angoli possiamo calcolare le coordinate del
puntto Pn+1, infatti:
α = ω ⋅ Δt
E’ stato affermato precedentemente che le moderne unita di governo sono del tipo "soft-
wired" o, come vengono comunemente chiamate, CNC, cioè Controllo Numerico con
Calcolatore. Questa definizione nasce dal fatto che il controllo è costituito attorno ad uno
o più microprocessori il che ne ha permesso una continua crescita in efficienza e
funzionalità.
Lo schema riportato nella figura 1.11 permette di riassumere le principali funzione svolte
da un CNC:
• L’interfaccia uomo macchina che permette il colloquio con l'operatore può contenere
tanto informazioni alfanumeriche che grafiche. L'attuale tendenza è quella di impiegare
monitor a colori con prestazioni grafiche di livello elevato. Le informazioni vengono
immesse nel controllo tramite una tastiera alfanumerica; il nastro perforato, usato
all'inizio come supporto standard per i programmi , è ormai definitivamente
abbandonato sostituito dapprima da memorie di massa standard come lettori di
nastro magnetico e unità Floppy , e oggi da una porta seriale RS232 e/o da una
scheda di rete che consentono il collegamento diretto con un computer o con una rete
di computer.
• La struttura H/W del controllo può essere basata su un solo microprocessore o su un
sistema di microprocessori o multiprocessore, secondo la tecnica più moderna
MPST (modular multiprocessing controlling system), che offre, rispetto ad ogni altra
soluzione, grande potenza di funzioni accoppiata con una estrema flessibilità. Si
possono così avere controlli diversi con la medesima struttura di programmazione
senza rinunciare ad un ottimo rapporto costi/prestazioni. Molti controlli consentono di
programmare mentre la macchina sta lavorando. La programmazione avviene con l'uso
della geometria orientata, come nei sistemi CAM che descriveremo più avanti, e
viene supportata da una grafica interattiva. in questo caso si avranno due aree di
memoria indirizzabili: l'una contiene i programmi su cui opera la macchina utensile e
l'altra quelli cui ha accesso l'operatore per operazioni di editing o di generazione.
• L’interfaccia verso la macchina utensile attraverso cui avviene lo scambio di dati sia di
tipo numerico sia analogico. La tendenza attuale, visto il largo impiego del
microprocessore vede prevalere soluzioni in cui lo scambio di dati avviene solamente
in forma digitale. Lo schema presenta la soluzione classica in cui il servomotore è
gestito all’esterno della U.G.
riferimento
Interfaccia I/O AZIONAMENTO SERVOMOTORE
posizione
MISURA DI POSIZIONE (trasduttore)
Memoria di
programma comando
(RAM) MOTORE MANDRINO
gestione
MAGAZZINO UTENSILI
Sistema operativo controllo
DIAGNOSTICA e MISURA
Riprendiamo lo schema della figura 1.3, riproponendolo in una forma un po’ diversa, più
utile per lo scopo che ci si propone, figura 1.12.
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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Notiamo quanto segue:
• l’interpolatore, la cui funzione è stata descritta al paragrafo 2.1.1, genera una posizione
x0 (t ) ,caratterizzata da una velocità x&0 che dipende dalla velocità d’avanzamento vf;
• al controllo di posizione viene applicato un segnale d’errore, εx, che continuerà a
crescere sino a quando x& = x&0 ;
• il segnale n0 di riferimento per il controllo del motore ( di cui parleremo più
diffusamente al paragrafo….) vale n0 = k ⋅ ε x avendo supposto che il controllore operi
secondo una logica puramente proporzionale;
• la velocità con cui si muove l’asse sarà v f = x& = k '⋅n .
motore
tavola
x0 , ( x& 0 ) εx Controllo n0 εn Controllo Va
di di n=K Va x, ( x& )
Posizione Velocità
nmotore
xtavola
Sarà poi I = I max non appena ε x ≠ 0 (equivale a supporre che il guadagno dell’anello di
velocità sia infinito), ciò fa si che la coppia erogata dal motore elettrico, e quindi applicata
alla tavola,+ sia anch’essa massima. Infatti, come meglio si vedrà al capitolo …. la coppia
è rigorosamente proporzionale alla corrente assorbita.
Per quanto detto, allora, non appena in uscita dal comparatore sarà ε x ≠ 0 nel motore
circolerà la massima corrente e quindi erogherà la coppia massima e pertanto l’asse
accelererà secondo la:
C
&x& = max
I eq
dove:
I eq , è l’inerzia equivalente del carico trascinato (v. Capitolo…….)
Lo spostamento dell’asse, nella fase di accelerazione, supposto il moto uniformemente
accelerato, sarà:
1
x = ⋅ &x& ⋅ t 2
2
cessato il transitorio al tempo:
x& 0
t0 =
&x&
l’asse si muoverà alla velocità costante desiderata poiché l’errore ε x si manterrà esso pure
costante essendo x& = x& 0 . Nel diagramma spazio tempo ciò sarà rappresentato dalla retta
di equazione:
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
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x = x& 0 ⋅ t + C
1 2
⋅ &x& ⋅ t 0 = x& 0 ⋅ t 0 + C
2
da cui:
1 1 x& 2
C=
⋅ &x& ⋅ t 02 − x& 0 t 0 = − ⋅ 0
2 2 &x&
La costante C rappresenta lo scostamento o errore con cui il sistema risponde al segnale
d’ingresso. La figura 1.13 riporta in forma grafica quest’ultima osservazione ponendo a
confronto l’andamento del segnale prodotto dall’interpolatore e la corrispondente posizione
dell’asse della macchina.
12
10
Asse X: vf =4 m/min
Spostamento assi (mm)
ε = 1 mm
6
2
ε = 0.16 mm
0
0 0.04 0.08 0.12 0.16 0.2
Tempo (s)
Figura 1.13: Confronto tra uscita dell’interpolatore e posizione effettiva dell’asse.
(I dati usati sono puramente indicativi atti ad evidenziare il problema )
Nella stessa figura si sono rappresentati due assi, “X” ed “Y”, che, nell’esempio, si
differenziano solamente per la velocità con cui si muovono; le caratteristiche dinamiche,
quelle che determinano la &x& , si è ipotizzato essere le medesime.
Possiamo allora introdurre una nuova grandezza, che definiamo il guadagno dell’anello di
velocità:
x&
Kv = 0
ε
Se però questa condizione ideale non si presenta, ed è praticamente la totalità dei casi, si
avrà uno scostamento tra la traiettoria ideale e quella reale pur raggiungendo
correttamente il punto terminale dello spostamento. Nella figura 1.14, sempre a titolo di
esempio, si è rappresentato il caso in cui gli assi si muovono nelle stesse condizioni della
figura 1.13 lungo quindi lungo una traiettoria rettilinea.
Da quanto sin qui detto la sola azione proporzionale non è adatta per un controllo di tipo
continuo in quanto non è in grado di assicurare il controllo della traiettoria. Una prima
soluzione, ben nota nei sistemi di controllo, è quello di aggiungere l’azione integrale che
consente di operare a errore nullo cioè di eliminare l’errore d’inseguimento. Si può ancora
t =n
∑ε
t =1
t ⋅ Δt
- εt
+ Kp
x0 + + tavola
Kd +
- +
Interpolatore
εt-1
+
+ Ki
0,801
0,729
0,657
0,585
Posizione
Riferimento
0,513
0,441
0,369
Risposta "PI"
0,297
0,225
0,153
0,081
0,009
0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 0,25 0,30 0,35
Tempo (s)
Figura 1.16: Risposta del sistema con controllo “PI”
0,8
0,7
0,6
0,5
Posizione
Riferimento
0,4
Ris pos ta
0,3
0,2
0,1
0,0
0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 0,25 0,30 0,35
Tempo (s)
Figura 1.17: Segnale di riferimento che tiene conto della dinamica dell’asse
e controllo “PI”
x
tavola
- εt
+ Kp
x0 + +
Kd +
- +
Interpolatore
εt-1
x& &x& +
+
+
+ Ki
Av
vf
1.0 Introduzione
• Segnale : digitale o analogico; nel caso in cui il segnale sia di natura digitale esso
viene registrato come incrementi finiti e può essere pertanto direttamente elaborato
dall'unità di governo; si può raggiungere, senza troppe difficoltà, un'elevata
precisione. L'insieme di queste caratteristiche fa si che esso predomini nelle
applicazioni. Il segnale analogico è invece caratterizzato da una sua continua
variazione con lo spostamento dell'asse; il segnale analogico peròdeve essere
processato in un convertitore A/D prima di poter essere utilizzato dal controllo, e
quindi dalla sua risoluzione dipenderà la risoluzione del sistema di misura. Alla
categoria dei trasduttori digitali appartengono trasduttori ottici (encoder e righe ottiche)
mentre a quella dei trasduttori analogici quelli di tipo elettromagnetico (resolver ed
inductosyn).
L
L
f
f
a b
2.1 L’encoder
Figura 2.2: Schema dell’encoder (a), trattamento del segnale (b) e andamento dei segnali
in uscita (c)
Disco
Regolo
Si è detto della presenza della traccia di zero sull’encoder; essa viene utilizzata nella fase
di azzeramento dell’asse macchina, come illustrato nella figura 2.4. L’encoder sia montato
sulla vite di uno degli assi della macchina; in prossimità di una delle due estremità della
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 27
corsa è posto un micro-interruttore. In fase di azzeramento l’asse viene mosso verso di
esso. Allorché l’apposita camma schiaccerà il micro-interruttore (micro chiuso) l’asse
subirà un primo rallentamento; un secondo rallentamento avverrà quando proseguendo
nella corsa la camma lo rilascerà (micro aperto). Adesso il controllo attenderà la lettura
della traccia di zero e in quel punto si azzererà ponendovi, quindi, lo zero del riferimento.
Micro chiuso
hi
Micro aperto
Velocità asse
Azzeramento
Figura 2.4: Sequenza d’azzeramento
La riga ottica, Figura 2.5, rappresenta l’omologa lineare dell’encoder e consente la misura
diretta dello spostamento.
a b
La riga ottica può essere realizzata, sia in materiale trasparente per consentire la lettura in
luce trasmessa, sia in acciaio con il reticolo in oro deposto sottovuoto; in questo caso la
lettura avviene in luce riflessa. Questa seconda soluzione è sempre da preferire laddove il
diverso coefficiente di trasmissione tra il materiale della tavola (a cui la riga viene
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 28
ancorata) può compromettere la precisione della misura. La testina di lettura (fissa
rispetto alla scala) contiene le fotocellule ,l’elettronica associata ed un regolo realizzato
con lo stesso principio e geometria (passo) della scala ma sempre in materiale
trasparente. Il regolo viene interposto tra la scala e le fotocellule è ha la funzione di non
vincolare la risoluzione della riga alle dimensioni della fotocellula. Si possono avere oltre
100 divisioni per millimetro! Lo sfasamento tra le fotocellule necessarie al riconoscimento
del verso del movimento lo si ottiene realizzando due reticoli sfasati tra loro per l’appunto
di un numero dispari di ¼ di passo. Questo principio in realtà lo si applica anche
nell’encoder al fine di contenerne, a parità di risoluzione, le dimensioni.
La riga di misura è incapsulata in una scatola in profilato di alluminio, recante nella parte
inferiore una guarnizione a labbro che la protegge dalla polvere e dalle infiltrazioni di
trucioli e di fluido da taglio. L’unità di lettura è posta anch’essa all’interno del contenitore
ed è collegata, attraverso un’opportuna staffa, alla parte fissa.
500
Velocità di traslazione (m/min)
400
300
200 kHz
200
100 kHz
100 50 kHz
0
0 10 20 30 40
Periodo del segnale ( μ m )
Figura 2.7: Influenza del periodo del segnale sulla velocità di traslazione
Parliamo dei trasduttori analogici, anche se oggi sono stati completamente abbandonati, e
per ragioni storiche e perché sono in funzione ancora numerose macchine che li
impiegano.
x
1 3
i2
i1
2 4
I trasduttori analogici impiegati sulle macchine utensili sono basati sul principio
dell’induzione (legge di Lenz): Se in un conduttore, figura 2.8 viene fatta passare una
corrente alternata i1(t) essa produce un campo magnetico che induce in un secondo
conduttore una corrente i2(t) la cui intensità dipende tra l’altro dalla distanza e dalla
posizione relativa dei due conduttori. Inductosyn e resolver sono i due più noti trasduttori
operanti secondo il principio dell’induzione elettromagnetica.
Può essere considerato come l’omologo dell’encoder essendo anche lui un trasduttore di
posizione angolare. La sua costruzione è simile a un motore elettrico di piccole dimensioni.
Lo statore porta due serie di avvolgimenti posti in piani perpendicolari tra loro cioè essi
sono disposti a 90° tra loro. Il rotore è realizzato in modo del tutto simile. Nella figura 2.9 si
è rappresentato quanto detto in maniera semplificata e, come ulteriore semplificazione, del
rotore si è rappresentato un solo avvolgimento.
1
V
V
V 1-2
θ
4 3
V3-4
Si alimentino i due avvolgimenti statorici con due tensioni alternate (di frequenza elevata
attorno ai 10 kHz); la tensione indotta sull’avvolgimento rotorico risulterà pari a:
V1 = V1−2 sinθ + V3−4 cosθ
Le due tensioni V1-2 e V3-4 possono essere assunte con modalità diverse; le due più note
sono:
a) due tensioni di ampiezza uguale ma sfasate tra loro di 90°
b) due tensioni in fase tra loro ma di ampiezza diversa.
3.2 L’inductosyn
L’inductosyn si compone di due parti la scala e il regolo o slider (Fig. 2.10a). Entrambi
portano un conduttore “avvolto” a formare una spirale schiacciata (Fig. 2.10b). I due
avvolgimenti hanno lo stesso passo t . Sullo slider si hanno due distinti avvolgimenti
separati tra loro da un numero dispari di ¼ di passi cioè a dire di 90° elettrici.
V1
τ
(n+ 1/4)τ
V 1-2 V 3-4
Se si applica ai capi della riga una tensione alternata: v = v0 sinωt , ai capi dei due
avvolgimenti posti sullo slider, per la legge di Lenz, si avranno due tensioni, anch’esse
alternate rispettivamente:
V1−2 = V0 sinα ⋅ sinωt e V3−4 = V0 cosα ⋅ sinωt
dove per l’angolo α possiamo scrivere:
x
α = 2π ⋅
t
dove x è lo spostamento relativo tra slider e scala, misurato a partite dal punto in cui una
delle due tensioni si annulla.
LSB
b) Gray code .
.
.
MSB
La codifica in binario puro o binario decimale (BCD), come nella figura, possono nascere
difficoltà causate da una possibile ambiguità nella lettura che si verifica nella transizione
da una posizione a quella adiacente laddove più di un bit cambia di valore (ad esempio dal
numero 00011 =3 al successivo 00100 =4 si ha l’inversione di ben 3 bit). Se i sensori non
sono perfettamente posizionati può avvenire che i 3 bit non si commutino tutti al medesimo
momento e quindi la lettura potrebbe essere uno qualunque dei numeri: 0,1,2,4. Per
eliminare quest’ambiguità si utilizza il codice Gray che ha la proprietà di essere
progressivo e cioè si ha sempre la variazione di un solo bit nel passaggio da un numero al
successivo.
L’elettronica abbinata al trasduttore fornisce tanto il segnale assoluto quanto quello
incrementale (rilevato dalla pista di peso minore) consentendo quindi istante per istante il
controllo del valore della posizione, ottenuto sommando le misure incrementali, con la
quota assoluta. Naturalmente la domanda è come si possa raggiungere la precisione
desiderata. Nella figura 2.12 si è rappresentato il disco di un encoder assoluto.
La misura assoluta della posizione richiede la lettura di n bit (x1, x2,x3,…., xn)
contemporaneamente. La posizione P risulterà essere:
2
3
128 μm
Δφ
Δφ
x
1024 μm
La posizione assoluta della posizione attuale della finestra di lettura viene trovata per
comparazione del segnale letto con delle sequenze memorizzate.
La riga /disco è completato da una graduazione incrementale per generare il tradizionale
segnale incrementale utilizzato per un posizionamento veloce ad alta risoluzione. Il valore
codificato può essere sincronizzato con il segnale incrementale.
q
1.0 Introduzione
Nelle MU a CN sono installate potenze maggiori che nelle macchine tradizionali, esse lavorano a un ritmo più intenso e quindi devono
essere più rigide delle MU tradizionali.
Inoltre si è assistito ultimamente ad una richiesta di macchine di dimensioni maggiori che,
automatizzate il più possibile, garantiscono tutta una serie di lavorazioni con un solo
piazzamento del pezzo. Sono pertanto aumentate oltre alle dimensioni le corse, gli
sbracci, le velocità, le accelerazioni nonché‚ le potenze utilizzabili, tutto questo senza che
le tolleranze di lavorazione richieste abbiano avuto una diminuzione; a volte per la
maggiore intercambiabilità che viene richiesta ai pezzi e per le migliori caratteristiche dei
prodotti, esse devono invece essere più ristrette.
E evidente che tutto ciò porta necessariamente ad un riesame delle tecniche di
costruzione delle macchine utensili: le strutture devono essere ricontrollate sia per quanto
riguarda il comportamento statico sia quello dinamico e deve pure essere riesaminato il
criterio di scelta dei materiali base che le compongono.
Una struttura di una macchina che lavora per asportazione di truciolo deve presentare le
seguenti caratteristiche salienti:
• Adeguata rigidezza statica e dinamica: la rigidezza della struttura è una condizione
essenziale per il corretto impiego di una macchina a CN; in particolare le deformazioni
indotte dal processo di lavorazione dovute sia alle forze di taglio che ai pesi delle parti
mobili e dei pezzi devono essere contenute al massimo per garantire le tolleranze
richieste.
• Mantenimento nel tempo della geometria e delle dimensioni: le parti di scorrimento
e di guida per elementi o sistemi mobili devono possedere requisiti di durezza e
proprietà tribologiche tali da evitare un loro rapido deterioramento.
• Ridotte distorsioni e variazioni dimensionali al variare della temperatura: le
caratteristiche delle varie parti strutturali per quanto riguarda le variazioni di
temperatura devono essere sufficientemente equilibrate al fine di evitare differenze di
comportamento dei vari elementi che portino a distorsioni, raramente compensabili con
mezzi semplici. Si devono, pertanto realizzare strutture che si comportino il più
possibile in modo simmetrico, al variare della temperatura ovvero tali che eventuali
distorsioni termiche producano effetti non influenzanti la posizione reciproca degli
elementi principali in particolare tra pezzo e utensile
• buona resistenza agli agenti corrosivi esterni.
.
La struttura delle macchine utensili è normalmente eseguita in ghisa fusa (fig. 3.1) o in
acciaio saldato (fig.3.2).
L'esperienza venutasi a creare coi passare degli anni nelle fonderie, ha reso e rende
possibile l'esecuzione con la ghisa di forme anche molto complesse.
La maggiore libertà di progetto consentito dall’impiego dell’acciaio saldato, non più legato
ai canoni rigidi della fusione, facilita la realizzazione di strutture più rigide che non in ghisa
fusa.
Se si aggiungono poi i minori tempi di realizzo, il minor peso complessivo del manufatto e
l’assenza di modelli di fusione si comprende perché oggi l’uso di strutture in acciaio
saldato sia così diffuso specie nella fabbricazione dei moderni centri di lavoro a CN.
Per quanto riguarda la realizzazione delle guide di scorrimento, cui peraltro dedicheremo
un intero paragrafo, mentre se la struttura è di ghisa essa potranno essere realizzate di
pezzo con la struttura stessa, nel caso dell’acciaio saldato esse andranno riportate
meccanicamente in quanto temprabilità e saldabilità sono proprietà antitetiche. Questa
distinzione oggi non è più significativa vista l’ampia diffusione delle guide a rotolamento
come meglio si dirà più avanti.
La rigidezza strutturale statica è definita come il rapporto tra una forza costante applicata e
la deformazione relativa ed è espressa numericamente dalla:
F
(N/μm) k=
x
Le modalità di applicazione della forza ‘F' determinano la sollecitazione statica (trazione,
compressione, flessione. torsione, taglio); in corrispondenza si può definire la rigidezza,
come di trazione o compressione, di flessione, torsione o taglio.
La rigidezza per sollecitazioni di trazione o compressione è data da:
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 39
F σ⋅A A
k= = = E⋅
x ε ⋅l l
La rigidezza per sollecitazioni di trazione e compressione dipende dunque dal rapporto A/l
e cioè dal rapporto di snellezza della struttura. Oltre che dal modulo elastico del materiale.
La rigidezza flessionale, per una trave incastrata, libera ad un estremo, è il caso tipico
delle strutture di sbalzo (mensole, slittoni,…) è data da:
P 3EJ
k= = 3
f l
avendo indicato con:
P, il carico dell'estremo libero della trave
f, la freccia nel punto di applicazione della forza
l la distanza della forza dall'incastro
J, il momento di inerzia della sezione rispetto all'asse neutro.
x 1
=
x0 f 2 2 c f
(1 − ( ) ) + (2 ⋅ ( ) ⋅ ( ) 2
f0 c0 f0
dove:
1 k
f0 = ⋅
2π m , frequenza propria
c0 = 4π ⋅ m ⋅ f 0 , smorzamento critico
k
x0 =
f , ampiezza statica della deformazione
da cui si vede chiaramente come, se la forza applicata non è statica, l’ampiezza della
deformazione è maggiore della deformata statica tanto più quanto minore è lo
smorzamento della struttura. Quindi la rigidezza dinamica di una macchina è affidata al
suo smorzamento, ma non solo: è opportuno che la macchina lavori in un campo di
frequenze che sia sufficientemente lontano dalla sua frequenza naturale; di qui
l’importanza di un rapporto k/m elevato.
Per comprendere l’importanza della rigidezza dinamica vediamo quali sono le possibili
cause che provocano delle forze eccitatrici con andamento periodico, esse possono
essere suddivise in due grandi famiglie:
5
0.1
c
4
k
0 3
x/ m
0.2
x 2
1 0.5
0
0 0.5 1 1.5 2
f/fn
Forze eccitatrici indipendenti (dal processo di taglio) che possono avere varia origine:
• Provenire, attraverso le fondazioni, da altre macchine. Si riconoscono
facilmente in quanto sono presenti con la macchina inattiva. Vengono contrastate
o eliminando la causa oppure migliorando il sistema di fondazioni su cui poggia
la macchina.
• Provenire da organi rotanti, interni alla macchina, squilibrati. Sono sempre
più improbabili sulle moderne macchine utensili caratterizzate da una meccanica
semplificata al massimo. Si tratta di un difetto di costruzione e quindi va eliminato
alla fonte. Sono facilmente riconoscibili in quanto sono presenti con la macchina
in moto a vuoto.
• Provenire dal contatto dell’utensile con il pezzo (es: tornitura di un grezzo
poligonale, lavorazione con utensili multitaglienti). Possono a loro volta essere
causa delle vibrazioni di tipo rigenerativo di cui al punto successivo. Queste non
sono eliminabili e di per se non sono pericolose se si è lontani dalla frequenza
naturale degli elementi strutturali della macchina e se lo smorzamento è
sufficientemente elevato da evitare l’insorgere di fenomeni rigenerativi laddove
siano possibili. Sono facilmente riconoscibili in quanto la loro frequenza varia con
il variare della velocità di rotazione del mandrino della macchina.
Forze eccitatrici dipendenti (dal processo di taglio) o autoeccitate, anche queste
possono avere varia origine, ma sicuramente le più pericolose sono quelle dovute a
fenomeni rigenerativi. Queste si riconoscono perché la frequenza dell’oscillazione
indotta non cambia al variare della velocità di rotazione del mandrino.
Per spiegare qualitativamente il fenomeno delle vibrazioni autoeccitate dette anche chatter
osserviamo la figura 3.5. Un utensile da tornio sta eseguendo una gola o una troncatura,
nel momento in cui l’utensile inizia a tagliare, al tempo t1, gli verrà applicata una forza a
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 42
gradino (da zero al valore corrispondente ai parametri di taglio). Poiché l’utensile fa parte
di un sistema massa – molla – smorzatore l’applicazione della forza determinerà un
spostamento xd del tagliente, corrispondente alla rigidezza della molla, con sovrimposta
un’oscillazione armonica smorzata (tempo t2). Dopo un giro, tempo t3, l’utensile si
ripresenterà nella stessa posizione e si troverà ad asportare un sovrametallo di spessore
h + Δh in cui Δh è una componente variabile con legge armonica di frequenza uguale a
quella propria del sistema massa – molla – smorzatore. Se allora l’ampiezza Δh è
sufficientemente grande e la durata dell’oscillazione sufficientemente estesa il fenomeno,
tempo t4, si estenderà all’intera superficie lavorata e si rigenererà ad ogni giro.
Il fenomeno è altamente nocivo sia perché si genereranno superfici di qualità
insoddisfacente sia perché si potranno determinare rotture del filo tagliente dell’utensile.
Le condizioni per l’innesco di questo fenomeno sono dunque:
2.0 Le guide
Altro elemento fondamentale nella macchina utensile è la guida di scorrimento degli assi
che essere fatto in diversi modi a seconda delle caratteristiche della MU-CNC.
Nelle macchine utensili tradizionali, la traslazione fra tavola e guide avviene mediante
contatto diretto delle parti che sono costruite in ghisa. Le guide sono indurite con
procedimento di tempra e rettifica. Questa tecnica, usata da tempo, offre una grande
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 43
robustezza costruttiva a basso costo ma presenta l'inconveniente di un elevato attrito
radente di primo distacco e soprattutto una caratteristica dinamica sfavorevole.
Infatti se osserviamo il diagramma di figura 3.6 (curva di Stribeck) che mostra l’andamento
dell’attrito in una guida a strisciamento lubrificata, al variare della velocità relativa, si
noterà che questa presenta un minimo. Ciò si deve al fatto che nel primo tratto il velo
lubrificante non si è ancora formato completamente e quindi si ha un attrito misto (tratto
discendente) mentre nel secondo tratto (tratto ascendente) il velo d’olio è uniforme e
quindi presenta l’andamento tipico dell’attrito viscoso. Il valore di minimo si ha per valori di
velocità relativa dell’ordine di alcune decine di mm/minuto e quindi valori di velocità molto
bassi. Mentre nelle macchine tradizionali tale livello rappresenta quasi sempre un valore
di transito, nelle macchine a CN esso può essere un punto di lavoro.
Si pensi ad esempio ad un’interpolazione circolare dove in 4 punti uno dei due assi
interpolanti assumono velocità nulla oppure all’esecuzione di un’interpolazione lineare a
debole pendenza (ricordiamo che la velocità impostata è sempre una velocità vettoriale).
Per comprendere cosa avviene consideriamo lo schema della guida rappresentato sempre
nella figurar 3.6. Per comodità si è supposta la tavola fissa e la guida mobile con velocità
costante v . La guida risulta vincolata attraverso un elemento di rigidezza k ed uno
smorzatore di caratteristica D; questi rappresentano il cinematismo di comando della
tavola.
Si supponga che all’istante
r
t=0 per effetto di un’azione di disturbo la tavola
r r
subisca una
variazione di velocità x ' talché la sua velocità, relativa alla guida, divenga v − x ' .
La forza di attrito esistente tra tavola e guida subirà una variazione:
ΔF = mg ⋅ Δμ = mg ⋅ x ′ ⋅ μ&
avendo indicato con μ& la derivata dell’attrito rispetto alla velocità, cioè la tangente alla
curva nel punto di ascissa v.
x, x’ k
mg D
Coefficiente d'attrito
Δμ F=μmg
v
r r Velocità relativa
v − x′ v
Figura 3.6: Curva di Stribeck
Per effetto dunque della forza ΔF il sistema massa mola smorzatore risponderà come:
mx ′′ + Dx ′ + kx = mg ⋅ x ′ ⋅ μ&
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 44
o ancora:
mx ′′ + ( D − mg ⋅ μ& ) x ′ + kx = 0
che è l’equazione di un moto armonico smorzato se il coefficiente del termine x’ è
maggiore di zero è invece ad ampiezza crescente ove tale termine risultasse minore di
zero. Nel nostro caso tale termine è sicuramente minore di zero poiché il termine D è
molto piccolo, addirittura trascurabile, a fronte del termine mg ⋅ μ& .
Sulla guida si manifesta un fenomeno d’instabilità denominato balbettamento o anche con
il termine anglosassone stick – slip (letteralmente incolla e scivola). In presenza di tale
fenomeno la finitura superficiale del pezzo lavorato risulterà degradata anche perché il
fenomeno viene amplificato dall’anello di regolazione di posizione.
La prima soluzione adottata per ovviare a tale inconveniente, valida ancora oggi, consiste
nel costruire la guida fissa in acciaio temprato e rettificato, fissato alla struttura di base,
con prigionieri e spine di riferimento mentre sulla parte mobile, o controguida, viene
incollato un materiale plastico antiattrito: Turcite B o similari.
La Turcite-B è un materiale sintetico a base di fluorocarboni (teflon), bronzo e altri
elementi di carica, prodotto in lamine (o in pasta) dello spessore di 1, 5 mm.
Essa si incolla generalmente sulle parti mobili (controguida, lardoni di registrazione ecc.) e
può essere applicata indifferentemente su ghisa, acciaio o altro materiale.
Il contatto della Turcite-B con le superfici di scorrimento riduce l’attrito di primo distacco
fino a un valore di 0.09, in assenza di lubrificazione, e di 0.03 con normale lubrificazione
manifestando inoltre un andamento monotono al variare della velocità relativa.. Può
sopportare carichi unitari molto elevati fino a 12 MPa, ma i valori consigliati di carico
variano fra 0.01 e 0.30 MPa.
Le superfici sulle quali è stata applicata la Turcite B possono essere successivamente
lavorate mediante rettifica, senza particolari accorgimenti perché il suo comportamento è
similare a quello di un acciaio a basso tenore di carbonio. La finitura deve raggiungere
valori di rugosità prossimi a 0.4 - 0.6 μm. La rapida diffusione di questo materiale la si
deve principalmente alle seguenti caratteristiche:
• grande scorrevolezza delle superfici a contatto e quindi minima differenza fra attrito
di primo distacco (effetto stick-slip) e attrito dinamico con conseguente riduzione delle
potenze necessarie per l'avviamento delle corse;
• riduzione di usura degli organi di comando (viti di manovra, chiocciole, ecc.) in
conseguenza della riduzione dell'attrito e della potenza richiesta per la trasmissione del
moto agli assi;
• eliminazione quasi totale delle vibrazioni, consentendo lavorazioni di finitura di
grado molto elevato;
• riduzione delle operazioni di registrazione degli aggiustaggi di accoppiamento fra
carri e guide;
• eliminazione della necessità di indurimento delle guide, perché detto materiale
sopperisce a tale esigenza usurandosi uniformemente in un tempo molto lungo;
• la perfetta aderenza alle guide non consente l'infiltrazione di micro trucioli
particolarmente presenti in prossimità delle zone di lavorazione, funzionando essa
stessa da raschiatore.
Una soluzione che va diffondendosi sempre più e che anzi può ritenersi oggi la soluzione
generalmente adottata nelle macchine con caratteristiche dinamiche migliori ( ne
parleremo alla fine del capitolo) è l’uso dei pattini volventi (Fig. 3.7).
Per ovviare agli inconvenienti delle guide volventi alcuni costruttori propongono centri di
lavorazione e torni con guide a sostentamento idrostatico onde ottenere maggiore
precisione negli spostamenti, minor attrito e durata illimitata delle parti in moto reciproco.
Ricordiamo che il funzionamento di una guida idrostatica o oleostatica può essere così
sommariamente descritto (v. Fig.3.9): l’olio proveniente da una pompa è mantenuto ad
una pressione costante p0; il passaggio attraverso una resistenza calibrata ne riduce il
valore a p1, funzione della portata d’olio che la attraversa. L’olio giunge così alla camera 1
(pozzetto) e da questa alle superfici portanti , uscendo poi all’esterno attraverso il meato di
altezza h. La forma e la distanza h delle superfici portanti determinano la resistenza R1
che l’olio incontra mentre la sua pressione si riduce da p1 a pa.
Sempre nella figura 3.9 si è riportato un grafico sperimentale dove per R1/R0 = 1 ( R1 è la
resistenza del meato) si mostra l’andamento della portanza P di un pattino in funzione
p0 R0
p1
3
h
P/G
1
2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Δh/h
Figura 3.9: Schema di pattino idrostatico
R0’
R0’
Nelle macchine utensili a CNC la traslazione delle tavole e delle teste motrici dipende di
norma da due elementi: il servomotore e la vite a ricircolo di sfere; l’alternativa è l’impiego
dei motori lineari. Cominceremo a parlare dei servomotori e cioè di quegli elementi che
possiamo considerare il muscolo dell’asse della macchina, direttamente collegato con il
suo cervello che è l’Unità di Governo
E’ certamente il più diffuso sulla macchina utensile: un motore elettrico con albero rotante
si accoppia con una vite a ricircolo di sfere, o più raramente con una coppia rocchetto –
cremagliera, per generare un movimento di traslazione, o con una coppia d’ingranaggi per
realizzare un movimento di rotazione.
Il servomotore è costituito da un motore in c.c. del tipo a magneti permanenti, dal suo
azionamento e dal generatore tachimetrico che assicura la necessaria retroazione per
l’anello di regolazione di velocità (v. Figura 4.1). Un secondo anello di regolazione è
previsto per la limitazione della corrente (protezione dai sovraccarichi).
Il servomotore si è profondamente innovato negli ultimi dieci anni con:
1. l’introduzione dei motori a magneti permanenti con magneti in terre rare (Samario-
Cobalto) che hanno permesso di aumentare il rapporto prestazioni/peso di oltre tre
volte. L’energia specifica del Samario-Cobalto e di circa 140 kJ/m^3 contro i circa 40
kJ/m^3 della ferrite . I motori al Samario-Cobalto presentano anche un’ottima
linearità del rapporto coppia/corrente il che fornisce un’elevata elasticità al
motore e delle brillanti prestazioni in termini di coppia di spunto ; tale ultimo
parametro può attenere a valori sino a 5-6 volte quello nominale senza incorrere
in rischi di smagnetizzazione .
Un’ulteriore profonda innovazione è alle porte: l’introduzione del motore lineare di cui
daremo un cenno più avanti.
S Rotore
Collettore Rotore
N
+ -
Magnete N Magnete
Permanente Permanente
a b
FIGURA 4.1: Confronto tra lo schema di un motore tradizionale a magneti permanenti con
collettore (a) e di uno brushless (b)
TABELLA 4.1
Motore Motore
Caratteristica Unità con senza
collettore collettore
Coppia Nominale Nm 25 8
Coppia massima di spunto Nm 250 26
Velocità di rotazione massima giri/min 2000 6000
Momento d’inerzia rotorico kgm2 ·10-3 28 8
Corrente nominale A 31 27
Corrente di picco A 310 164
Costante di coppia Nm/A 0.8 0.33
Accelerazione teorica max rad/s2 8950 32500
Massa kg 58 13
Dimensioni (Lmax x ) mm 400X180 238x146
Il servomotore brushless
Il motore brushless in corrente alternata non differisce strutturalmente da quello sin qui
descritto, la differenza sostanziale consiste nella sua alimentazione che non sarà piu una
corrente continua ma una corrente alternata opportunamente sfasata (120°) sui tre
avvolgimenti. In questo caso però avremo bisogno di un sistema di commutazione molto
più sensibile e di un’elettronica molto più raffinata perché occorrerà generare tre correnti il
cui valore dovrà variare con la posizione del rotore. Per la commutazione si impiegherà un
encoder che peraltro potrà essere utilizzato per fornire all’unità di governo il riferimento di
posizione. Il brushless in AC si comporterà come un motore sincrono e fornisce una
caratteristica di coppia praticamente priva di ripple. Per spiegare quest’ultima affermazione
in modo semplice pensiamo in termini di un motore a due fasi1 e pertanto con due serie di
avvolgimenti (anziché tre), figura 4.5. Le due correnti saranno dunque sfasate di 90° tra
loro.
Si indichi con θ la posizione istantanea del rotore (fig.4.5) ricordando che l’andamento
della coppia al variare di θ è sinusoidale si potrà scrivere, avendo alimentato A1-A2:
C1 = I ⋅ K t ⋅ sin θ
e avendo alimentato B1-B2, analogamente:
C 2 = I ⋅ K t ⋅ cos θ
1
V.appendice per la soluzione trifase
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 53
Figura 4.4:Motore Brusless DC
Se adesso la corrente è alternata e in fase con la coppia del motore, le due relazioni
precedenti diverranno:
e quindi:
C = C1 + C 2 = I 0⋅K t
dove:
Kt, costante di coppia del motore
quindi la coppia è costante ed indipendente dalla posizione del rotore. Perché questa
condizione sia vera occorre dunque che la corrente segua rigorosamente una relazione
sino-coseno nel caso semplificato illustrato (uno sfasamento di 120° nella realtà), e quindi
come si è già anticipato, si rende necessario l’impiego di un encoder o un resolver con
elevata risoluzione per controllarne il valore di corrente sugli avvolgimenti di statore.
Sotto poi il profilo della regolazione possiamo scrivere a fianco della relazione di coppia
una semplice relazione per la velocità angolare:
V = K e ⋅ω
Tra le due costanti Kt e Ke esiste in un brushless trifase la relazione :
Kt = 3 ⋅ Ke
Vediamo brevemente l’importanza della riduzione del momento d’inerzia rotorico sulla
dinamica della macchina tenendo conto che l’accelerazione è oggi una caratteristica di
notevole importanza tale da condizionare le scelte progettuali.
Possiamo schematizzare l’asse della macchina utensile come un volano collegato al
motore da un opportuno rapporto di trasmissione legato ovviamente a: velocità massima
lineare dell’asse, passo della vite di comando e velocità di rotazione del motore secondo
l’ovvia relazione:
vmax ⋅ 1000
τ= dove :
p ⋅ nmax
v f max , velocità di rapido dell'asse (m/min)
p , passo della vite (mm)
n max , velocità di rotazione massima del motore
L’inerzia dell’asse si può trasportare sull’asse del motore come rappresentato nello
schema di figura 4.6. Imponendo la condizione che il volano equivalente possegga la
medesima energia cinetica del volano reale ne viene la logica conseguenza che:
I eq = I asse ⋅ τ 2 dove :
I eq , Inerzia equivalente
I asse, , Inerzia dell' asse (vite, tavola, trasmissione)
Si può quindi concludere che tanto minore sarà il valore di τ tanto minore sarà l’inerzia
vista dal motore. Se pertanto disponiamo di motori veloci, a parità di altre condizioni,
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 55
riusciremo ad avere un asse in grado di raggiungere in un tempo più breve la velocità
assegnata (accelerazione maggiore).
τ
Iasse
Motore Motore
Imot. Iequi.
Ideale
+V0
-V0
Tensione ai capi di M
-V0 a rotore fermo
A1 V, I
A2 CHOPPER
- - Shunt
Trigger
U
I
C, n
Retroazione di corrente
Dt Motore
Retroazione di velocità
Nello schema presentato si vede che l’anello di regolazione di corrente interviene solo
quando il valore della corrente supera un valore assegnato (Imax). In questo caso la
tensione in uscita dal trigger va a sottrarsi a quella in uscita da A1 determinando la
riduzione della tensione di alimentazione del motore al fine di far si che non venga
superata la corrente massima sia a protezione del motore che dei transistori del circuito di
potenza.
Per quanto riguarda l’anello di velocità esso fa si che la tensione di alimentazione del
motore dipenda dall’uscita dell’amplificatore A1 che a propria volta dipende dal valore di :
secondo una legge che, nel caso più semplice, è del tipo proporzionale –integrale -
derivativo (PID):
_ dE
U = K ⋅ ( E + T1 ⋅ ∫ E ⋅ dt + D ⋅ essendo :
dt
_
K, costante di proporzionalità o Banda Proporzionale
T, Tempo integrale o tempo di riporto
D, Tempo derivativo o anticipo
La relazione precedente si può modificare con l’aggiunta di altri termini al fine di migliorare
le caratteristiche di risposta del sistema.
E’ possibile avere un’interazione tra l’anello di velocità e quello di corrente con lo scopo di
ridurre la corrente massima, sopportata dal motore, proporzionalmente alla velocità di
rotazione (potenza max costante) come abbiamo visto essere necessario in un motore a
collettore.
I motori passo - passo possono essere visti come motori elettrici senza commutatore.
Usualmente nel motore le bobine sono parte dello statore e il rotore è un magnete
permanente o, nel caso di motori a riluttanza magnetica variabile, un blocco dentellato di
materiale con basse proprietà magnetiche (Fig. 4.9).
I motori p.p. sono motori a c.c. particolarmente adatti a essere comandati da dispositivi
elettronici perché funzionano per mezzo di impulsi elettrici programmabili. Il motore
p.p. riceve la corrente elettrica da una sorgente di impulsi; ogni impulso provoca la
rotazione del rotore di un certo angolo prefissato la cui ampiezza espressa in gradi, si
chiama passo. Tale angolo è ripetuto con precisione ad ogni impulso successivo. Il valore
del passo può essere, per esempio: 2°; 0,45°... che corrispondono a 180; 800; .. passi per
giro. Se per esempio il passo di un motore è 2°, per fare un giro completo saranno
necessari 180 impulsi elettrici. L'angolo minimo di rotazione provocato da ogni impulso si
chiama risoluzione del servomotore.
Il numero di impulsi e il corrispondente numero di passi fatti nell'unità di tempo si chiama
frequenza; al variare di questa varia la velocità di rotazione dell'asse del servomotore e
quindi la velocità della slitta che questo comanda. Caratteristiche notevoli di questi
servomotori sono: minima inerzia, ridotto volume e peso, alti valori di coppia motrice anche
ad elevate velocità, estrema precisione e rapidità di risposta fra l'impulso elettrico ed il
posizionamento della slitta.
La trasmissione del moto alle viti a riciclo di sfere avviene preferibilmente con
accoppiamento diretto all’albero motore, raramente con interposte ruote dentate oppure
con pulegge e cinghie dentate. Questo ultimo tipo di trasmissione ha un basso livello di
rumorosità, elimina ogni possibilità di slittamento fra cinghia e puleggia annullando il gioco
specie nelle inversioni di marcia; ha anche un rendimento molto elevato nella trasmissione
della coppia a velocità medio alte.
Noti il valore del passo del servomotore, il passo della vite a ricircolo di sfere, si calcola il
valore del minimo spostamento o incremento i della slitta semplicemente dividendo il
pvite
i=
nstep
se per esempio pv = 5 mm, nstep= 400 passi per giro si ottiene uno spostamento minimo di
0.0125 mm.
La precisione del posizionamento dipende dalla bassa inerzia del rotore del servomotore,
dalla precisione della vite, dai bassi attriti in tutto il sistema e dall'assenza di giochi. Il
motore p.p. è fornito di freno per blocco posizione e di inversione di rotazione per
comandare il doppio verso di traslazione della slitta. La velocità di spostamento, in rapido
o di lavoro, dipende dalla frequenza degli impulsi elettrici ricevuti dal motore.
Il motore passo - passo è ideale per realizzare una regolazione ad anello aperto e quindi
controlli di macchine molto semplici. Il limite della sua applicazione è insito nel fatto che:
• i motori a passo sono di piccola taglia e quindi pone dei limiti alle dimensioni degli assi;
• laddove, per motivi diversi, il motore perda un passo ciò si traduce in un errore su ogni
successivo spostamento.
In passato si era proposto l’impiego di motori a passo accoppiati con encoder, così da
realizzare un anello di retroazione, ma a questo punto il motore a passo non reggeva il
confronto con il servomotore in cc e pertanto tale soluzione è stata abbandonata.
Nella figura 4.10, in modo molto schematico, si è indicato il modo in cui si può interpretare
un motore lineare, ottenuto da un motore rotativo, sezionandolo secondo un semipiano,
individuato dall’asse e da un raggio, e srotolandolo su una superficie piana; il campo
magnetico induttore viene a configurarsi, non più come rotante, ma come un campo di
traslazione che scorre rettilinearmente lungo il traferro.
Come per i motori tradizionali si può adottare la classica suddivisione tra motori sincroni,
asincroni e a corrente continua.
secondario
Struttura a
induttore
Struttura b
Figura 4.11: Il motore lineare. Schema a: motore a induttore lungo. Schema b: motore a
induttore corto.
• alta velocità: un motore lineare consente oggi di raggiungere velocità di 240 m/min (8
m/s); la massima velocità è limitata dal sistema di misura impiegato per il suo controllo
• alta accelerazione: in assenza di carico un motore lineare può accelerare sino a 300
m/s2;
• alta precisione; realizzando una connessione diretta tra motore e carico si eliminano
le elasticità dell’organo di trasmissione e quindi, tenuto anche conto della riduzione
delle masse, aumenta la frequenza propria dell’asse con una serie di benefici anche
sulla dinamica dell’asse;
• migliore efficienza della movimentazione : in un sistema tradizionale la potenza del
motore viene spesa per accelerare se stesso, la catena di trasmissione ed il carico;
con il motore lineare solo per accelerare se stesso ed il carico;
• corse lunghe a pari rigidezza : in un sistema tradizionale aumentando la corsa
aumentiamo anche la lunghezza della vite e quindi diminuiamo la velocità critica e la
rigidezza, come meglio si vedrà nel successivo paragrafo;
e, forza elettromotrice
B, induzione magnetica
l, lunghezza dell’indotto
V, tensione di alimentazione
I, corrente d’armatura
v, velocità relativa
R ed L, resistenza ed induttanza dell’avvolgimento
Forza
velocità v1 v2
Figura 4.13: Variazione della forza di riluttanza durante il moto relativo induttore – indotto.
Nella realtà la forza non segue esattamente la legge ideale che la vorrebbe costante ed
esattamente proporzionale alla corrente che lo attraversa ma è caratterizzata da una certa
irregolarità dovuta alla presenza delle cave che ospitano gli avvolgimenti e alla distorsione
del campo magnetico in corrispondenza dei bordi del cursore. In un motore rotativo
chiaramente questo non succede perché il rotore non ha un inizio ed una fine.
Il rendimento meccanico delle viti a ricircolo di sfere è circa tre volte maggiore di quello di
una vite trapezoidale, Figura 4.16 e quindi le perdite di potenza sono bassissime.
Nelle viti a ricircolo di sfere il coefficiente di attrito μ è compreso fra 0.01 e 0.003 mentre
nella vite tradizionale risulta compreso tra 0.1 e 0.2.
1 − μ ⋅ tan α
η=
1+ μ
tan α
con α, angolo del filetto della vite pari a:
α = a tan( p π ⋅ D )
medio
4. Rendimento indiretto teorico (η¹) : è il rapporto tra la forza applicata alla vite o alla
chiocciola e la la coppia prodotta
tan( α − p )
η1 =
tan( α )
ks kmv
k1
a
x
ks kmv ks
k1 k2
b
x
L
1 1 1 1
= + + , caso " a"
K tot K s K 1 K mv
1 1 1 1
= + + , caso " b"
K tot 2 ⋅ K s K 1 + K 2 K mv
Doppio incastro
Rigidezza totale
E ⋅ π ⋅ ⋅D 2
K min =
4L
K mv = Ks
K mv = 3 ⋅ K min
dove:
D, diametro medio della vite
E, modulo elastico dell’acciaio
L, lunghezza libera della vite
Per quanto riguarda la massima velocità il limite è la velocità critica della vite. La vite può
essere assimilata ad un albero avente massa diffusa con continuità lungo
la sua lunghezza per cui la velocità critica (la prima) è esprimibile con la relazione:
d
ω cr = β ⋅ 2
l
dove:
d, diametro dell’albero (m)
l, lunghezza libera dell’albero (m)
β, costante dipendente dalle condizioni di vincolo (v. tabella 4.2)
La velocità di rotazione può però essere limitata da un altro fattore e cioè la massima
velocità periferica dei corpi volventi. Generalmente tale velocità si esprime attraverso il
prodotto D * n dove D è il diametro della vite e n la velocità di rotazione e si assume:
D ⋅ n = 120000
β = 3,4.103
β = 9,7.103
β = 15,1.103
β = 21,9.103
Per quanto attiene l’accelerazione essa è chiaramente limitata dal fatto che, se a parità di
dimensioni della vite, si aumenta la taglia del motore (più coppia), automaticamente
aumenta l’inerzia del suo rotore e quindi cresce l’inerzia totale. Nell’attuale configurazione
(motore-vite-asse) la potenza viene spesa quasi tutta per accelerare il motore e la vite;
solo una piccola parte va al carico pagante.
La soluzione finale, almeno all’attuale stato delle tecnologie consiste nel passare all’uso
dei mortori lineari. Ciò consente di eliminare la vite, con tutte le limitazioni da essa
introdotte, e applicare all’asse della macchina direttamente la forza necessaria al suo
moto.
Nella tabella 4.3 si sono posti a confronto i risultati che si ottengono svolgendo un
semplice esempio nel quale si valuti un caso ideale (assenze di attriti). In apparenza si
ottengono risultati comparabili ma occorre fare almeno due osservazioni:
• la vite, alla velocità di rotazione data, non è molto lontana dalla sua velocità critica
teorica che, supposta la vite incastrata ad un estremo e appoggiata all’altro (v.
fig.4.19) vale ω cr = 780 rad/s ;
• il motore rotativo deve erogare, alla velocità massima, una potenza di oltre 8 kW contro
i 2.5 del motore lineare. E’ vero che un motore lineare ha un pessimo rendimento ma in
ogni caso la potenza necessaria sarà sempre di molto inferiore.
• Nell’esempio abbiamo preso in considerazione un asse corto; risultati diversi avremmo
ottenuto su un asse lungo.
Esiste una diversa soluzione meccanica che consente di ottenere con una vite, specie se
di dimensioni rilevanti prestazioni migliori. Essa consiste nel tenere ferma la vite facendo
ruotare la chiocciola. La soluzione però presenta diversi inconvenienti e tra questi il più
importante dovuto al fatto che il motore deve muoversi con la tavola e si trova sotto la
tavola e non ad un estremità come nelle soluzioni correnti.
Tabella 4.3
&x& = ω& ⋅
p = 11.8 m/s 2 = 1.2 g
= 6.4 m/s 2 = 0.7g
2π
Figura 4.21: Esempio di montaggio: motore brushless in asse alla vite a ricircolazione di
sfere
Nelle macchine con corse lunghe (di solito superiori a 4 m) la vite presenta scarsa
rigidezza e flette sia per effetto del peso proprio che del carico assiale. In aggiunta la
velocità critica flessionale pone vincoli notevoli alla massima velocità di traslazione
dell’asse e l’inerzia dei limiti all’accelerazione. Le prestazioni della macchina risultano
pertanto fortemente compromesse.
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 71
Prima che il motore lineare divenisse una possibile soluzione al problema l’unica
alternativa possibile era l’impiego di un sistema rocchetto cremagliera. Naturalmente
anche in questo caso è necessario prevedere un sistema per la ripresa del gioco.
Figura 4.22: Soluzione meccanica di recupero dei giochi nella trasmissione rocchetto
Precarico
cremagliera.
Lo schema della figura 4.22 mostra un esempio di dispositivo meccanico in cui la ripresa
del gioco è attenuto tramite un albero portante due ingranaggi elicoidali, con angoli
dell’elica opposti, che trasmette il moto a due pignoni, sempre elicoidali, che sono in presa
con la cremagliera. Un dispositivo meccanico o idraulico esercita una spinta assiale su tale
asse che si traduce in due coppie di segno contrario sui due pignoni e quindi con l’effetto
di ripresa del gioco desiderato.
Oggi però si fa ricorso ad una soluzione più moderna più compatta, più semplice e che
assicura una migliore rigidezza, figura 4.23.
T = kt ⋅ I
Se si assume che la potenza elettrica assorbita dal motore sia pari alla potenza resa
all'asse, si avrà:
T ⋅ ω = 3 ⋅V ⋅ I
ω ⋅ kt ⋅ I = k e ⋅ ω ⋅ 3 ⋅ I
kt = ke ⋅ 3
k e ⋅ ω ≤ Vmax
Ne consegue quindi che, se un motore è limitalo per esempio a 30 rad/sec (~300 r.p.m.),
invece dei classici 314 rad/sec (3000 r.p.m.), avrà un ke 10 volte maggiore di quello del
motore standard: la stessa proporzione si applica alla costante di coppia, così che un
motore di questo tipo, con avvolgimento speciale, arriva ad avere coppie eccezionalmente
elevate a parità di corrente assorbita.
A titolo di esempio, un motore con una ωmax di 300 r.p.m., avrà una costante di coppia di
~17NmA e può quindi erogare 100Nm con soli 6A.
Un motore brushless opera correttamente anche a bassissima velocità. La velocità minima
ottenibile è definita solamente dalla risoluzione del sensore di posizionamento utilizzato:
con encoder std a 4096 impulsi/giro si risolvono 16000 posizioni per giro e la rotazione è
uniforme ben al di sotto di 1 r.p.m.
Ogni sistema dotato di riduttore riflette al carico l'inerzia del motore moltiplicata per il
quadrato del rapporto di trasmissione. Di conseguenza quando si elimina il riduttore si
riduce drasticamente l'inerzia del sistema. Questo può essere estremamente vantaggioso
per tutti i casi in cui la componente inerziale del carico è dominante. Lo stesso fenomeno
può per contro essere un limite dove l'inerzia del sistema veniva utilizzata per assorbire
carichi impulsivi. Senza inerzia, tali variazioni del carico devono essere compensate dalla
velocità di retroazione dell'azionamento elettronico.
Il motore coppia trova larga applicazione nella realizzazione di tavole rotanti (fig. 4.24) e
anche nelle teste tilting (4° e 5° asse). Le coppie erogabili sono comprese tra 20 e 3000
Nm, le velocità tra 70 e 300 rpm con accelerazioni sino a 2000 rad/s2.
Abbiamo gia parlato dei servomotori impiegati per il movimento degli assi ma una
macchina utensile a CN dispone di molti altri motori il più importante dei quali, anche in
termini di potenza (di solito è quello che determina il dimensionamento della linea elettrica
di alimentazione della macchina) è il motore di azionamento del mandrino della macchina.
Due sono le tipologie di motori impiegati per azionare il mandrino della macchina: i motori
in c.c. ed i motori in c.a. alimentati a frequenza variabile.
I motori a c.c. utilizzati sulla macchina utensile sono motori ad eccitazione indipendente;
mentre nei servomotori, di cui abbiamo parlato al paragrafo 1.1, l’eccitazione è prodotta
dai magneti permanenti, nel motore mandrino essa è prodotta dal circuito d’eccitazione,
dotato di una sua alimentazione indipendente.
Nella figura 4.25 si è riportato lo schema del motore; le grandezze fondamentali di un
motore a c.c. sono: la potenza, il numero di giri e la coppia motrice.
I
C
φ R
n
E Va
ω,C
V
nmax P
C
P
n
nmin
nnom nmax Φ
.
Figura 4.25: Schema del motore in c.c. ad eccitazione indipendente e curve teoriche di
regolazione ad I = costante.
Per poter quindi regolare la velocità di rotazione da zero alla velocità di rotazione massima
occorre operare secondo uno schema di regolazione misto. Da zero alla velocità nominale
a coppia costante (flusso di eccitazione massimo e tensione di regolazione variabile da
zero al valore massimo); dalla velocità di rotazione nominale alla massima a potenza
costante (tensione di alimentazione al valore massimo e flusso di eccitazione decrescente
sino al suo valore minimo).
In questo modo però la potenza disponibile e molto bassa ai bassi numeri di giri e questo
può creare dei problemi (arresto dell’utensile). Per far fronte a questo inconveniente si può
adottare un cambio meccanico aggiuntivo.
C = Cmax
P = Pmax
1/1
1/K
Dt M
nman = nnom/K nman = nmax/K nman = nmax
Figura 4.26 : Cambio meccanico per abbassare il punto di inizio della regolazione a
potenza costante.
Il motore in c.c. non è però il solo impiegato nei moderni centri di lavoro. In applicazioni
particolari trova impiego la macchina in c.a di tipo asincrono. Come è noto la principale
caratteristica di questo motore è costituita dalla scarsa sensibilità alle variazioni di carico.
La sua velocità di rotazione è data dalla ben nota relazione:
120 ⋅ f
n= (grir/min), p = 2,4,6,8,...
p
dove:
f, frequenza di alimentazione
p, numero di espansioni polari
Come si può vedere l’unico modo di variarne la velocità di rotazione consiste nel variare la
frequenza della tensione di alimentazione.
Prima di vederne alcune modalità d’impiego è necessario ricordare che la possibilità di
alimentare a frequenza variabile il motore è legata all’uso dell’inverter. L’inverter esegue
in pratica una doppia conversione, figura 4.27, dapprima trasforma la tensione di rete,
alternata, in continua e poi trasforma quest’ultima nuovamente in alternata con possibilità
di variarne la frequenza e non solo.
f
AC DC
DC AC
Nella figura 4.29 si può osservare un elettromandrino montato sulla testa di una fresatrice
a 5 assi che porta in rotazione una fresa sferica durante la lavorazione di uno stampo.
Di recente però prevale l’idea di utilizzare per il mandrino un brushless A.C, collegato
direttamente al mandrino della macchina; nella figura 4.30 si è rappresentato una tipica
applicazione dove si vede chiaramente il collegamento diretto motore – mandrino. Nella
stessa figura è riportato l’andamento di coppia e potenza fornito da costruttore
L’andamento lineare della Coppia con la velocità di rotazione è dovuto alla scala
logaritmica di rappresentazione adottata.
Di recente però sta emergendo un’ulteriore tendenza a compattare e semplificare:
il motore principale della macchina si integra con il mandrino che ne diviene il rotore e ciò
con grandi vantaggi per la dinamica ( si possono superare i 1200 rad/s2: i n questo caso si
parla di motomandrino, o moto-mandrino, integrato. La dizione motomandrino per indicare
che in questo caso il motore usato è un brushless e sottolineare quindi la differenza
rispetto ad un elettromandrino in cui il motore impiegato è un motore asincrono
In figura 4.31 un esempio di tale soluzione costruttiva. E’ chiaro che con queste due
soluzioni, in particolare quest’ultima le coppie disponibili non potranno, a parità di potenza
erogata, essere comparabili con quelle ottenibili con una soluzione motore – cambio
meccanico – mandrino. In questi casi si sfrutta il fatto che i motori brushless sono
particolarmente compatti e quindi si possono montare sulla macchina, a parità d’ingombro,
motori sostanzialmente di maggiore potenza.
3. Introduzione
Magazzino
utensili smontati
Stazione di ricondizionamento.
Montaggio e preset
utensili
Reparti produttivi
Trasporto ai
magazzini utensili Trasporto ai
reparti produttivi
Magazzini utensili
montati
In particolare è di rilievo la fase relativa alla gestione dei magazzini e dei movimenti.
Attraverso gli strumenti della ricerca operativa, i sistemi di gestione ottimizzano i tempi
necessari ai trasferimenti degli utensili tra i vari magazzini, le macchine e le stazioni di
ricondizionamento.
L’utensile dal magazzino generale verrà portato al magazzino secondario, ove presente, e
da questo al magazzino principale della macchina utensile. Nel caso di un centro di lavoro
di fresatura si renderà necessario, ovviamente, un ulteriore spostamento dal magazzino
principale al mandrino della macchina utensile.
Il magazzino principale contiene gli utensili necessari alla macchina per compiere una
serie di determinate lavorazioni. La sua capacità, come detto sopra, va vista in relazione
alla flessibilità che deve contraddistinguere la macchina; la tipologia del magazzino da
realizzare, pertanto, è fortemente condizionata dal tipo di lavorazione cui sarà assegnata
la macchina: per HSM destinati a linee flessibili si prediligono magazzini di dimensioni
contenute, mentre per moduli flessibili magazzini più capienti, anche se più complessi. La
tipologia di magazzino solitamente è definita in base alla forma, tuttavia le differenze
riguardano anche molti altri aspetti (la possibilità del magazzino di muoversi, la capacità, le
dimensioni degli utensili immagazzinati, il moto di estrazione dell’utensile).
• a torretta
• a disco
• a tamburo
• a catena
• a rastrelliera o a matrice
I magazzini a torretta sono i primi ad essere stati utilizzati in quanto già impiegati; si pensi
ai torni a torretta o a tamburo.
Oggi i magazzini a torretta, a stella (figura 5.2) o a corona, sono prevalentemente utilizzati
su macchine adibite alla foratura; la loro capacità è generalmente limitata a 8 - 10 utensili.
Di norma sono utilizzati associati a dispositivi di cambio diretto, senza braccio di scambio
e con utensile coassiale al mandrino.
a b
Asse dell’utensile
coassiale al mandrino
Senza braccio
di scambio
(Diretto) Asse dell’utensile
parallelo al mandrino
La modalità di cambio utensile eseguita senza braccio prende il nome di cambio diretto. La
sostituzione dell’utensile è affidata al moto relativo tra mandrino e magazzino; a seconda
della posizione relativa tra l’asse dell’utensile e l’asse del mandrino si distinguono cambi
diretti:
• con asse dell’utensile coassiale al mandrino
• con asse dell’utensile parallelo al mandrino
Se l’utensile è coassiale al mandrino, l’utensile viene fatto traslare lungo il proprio asse
(l’asse Z), ad esempio dal movimento del mandrino. Questo tipo di soluzione è molto
compatto, però ha lo svantaggio di avere magazzini con capacità molto limitata. Si adotta
spesso con magazzini a torretta a forma di corona, di stella o con magazzini a tamburo
come si vede nella figura 5.1
Per quanto riguarda la soluzione più diffusa prevede la sequenza di movimenti
rappresentata in figura 5.10a e 510b, dove il magazzino esegue la sola rotazione mentre i
restanti movimenti sono effettuati direttamente dal mandrino.
I sistemi che utilizzano la soluzione con braccio di scambio possono essere distinti in base
alla complessità del dispositivo. Come si vede in figura 5.9 è possibile distinguere, in primo
luogo, tra dispositivi con braccio rotante attorno ad uno o a due assi. Per quanto riguarda i
primi, poi, è opportuno ancora specificare quali siano gli elementi che compongono il
dispositivo, per meglio identificare la complessità del meccanismo.
Le tipologie di cambio con braccio individuate sono, complessivamente, sei; per ognuna di
esse, nelle pagine che seguono, è fornita una descrizione ed è riportata una figura che ne
illustra un esempio applicativo.
Una seconda possibilità vede l’asse del braccio di scambio a 45° rispetto all’asse del
mandrino; in questo caso lo sfilamento può essere radiale o frontale.
Figura 5.12: Braccio di scambio inclinato a 45° con moto di sfilamento radiale
Se è radiale, come in figura 5.12, allora il braccio è montato su un supporto che si muove
parallelamente al mandrino, secondo la sequenza:
1. estrazione dell’utensile dal magazzino mediante traslazione del braccio di scambio
parallela all’asse del mandrino con simultanea estrazione dell’utensile dal mandrino;
2. rotazione del braccio,
Il posizionamento dell’utensile nel magazzino può avvenire secondo due modalità distinte:
Il sistema di identificazione degli utensili (figura 5.15) è composto da tre parti principali:
• l’elemento di memoria, montato sul cono portautensili, permette di conservare dei dati
senza l’uso di batterie
• la testa di lettura e scrittura che permette di leggere e scrivere i dati sull’elemento di
memoria, montato sul cono portautensili. Il suo funzionamento è ad induzione
magnetica, dunque tanto più grande è la testa, tanto maggiore può essere la distanza
tra la testa e l’elemento di memoria.
• il processore è responsabile della gestione dei dati trasferiti dall’elemento di memoria,
montato sul cono, ed il PC con il software di gestione.
• tempo macchina
• tempo mascherato
La fase di preparazione in tempo macchina è tipica dei cambi diretti. Su tali cambi, infatti,
per poter sostituire l’utensile è necessario prima avere il mandrino libero, e quindi avere
depositato l’utensile nel magazzino; solo in un secondo momento si può procedere alla
ricerca del nuovo utensile. Pertanto durante la ricerca del nuovo utensile il centro non
lavora ed il tempo che passa è da considerare parte del tempo necessario all’operazione
di cambio.
Gli ATC dotati di braccio di scambio possono “mascherare” la fase di preparazione
facendola avvenire mentre la macchina lavora, in modo che il tempo di cambio non risenta
della durata di tale fase. Questo è possibile perché l’utensile estratto dal magazzino è
deposto sul braccio, nel frattempo il magazzino ruota sino a mettere a disposizione la cella
in cui si desidera disporre l’utensile estratto dal mandrino. In questo modo quando
l’operazione di cambio sarà necessaria l’utensile sul mandrino sarà estratto dal braccio, e
immediatamente sostituito con quello già pronto sull’altra estremità del braccio. Il centro
così può iniziare a lavorare; nel frattempo il braccio di scambio dispone l’utensile estratto
nel magazzino ed attende di caricare il nuovo utensile. Questa nuova fase di preparazione
avviene mentre il centro lavora, quindi apparentemente il tempo ad essa necessario è
nullo.
25
20
35
150
t te = 4 ⋅ t1
La conclusione è che il tempo di cambio utensile o tempo “chip to chip” è una caratteristica
importante in un centro di lavoro specie se ad alta efficienza.
La figura 5.A2 riporta in forma schematica la sezione del mandrino di un centro di lavoro
per mostrare come venga fissato il portautensile (o adattatore).
Il mandrino è cavo e nella sua parte di sinistra presenta una sede conica adatta ad
interfacciarsi con al conicità del cono portautensile. All’interno scorre una barra mantenuta
in posizione retratta da una molla che nella sua estremità di sinistra presenta una pinza
elastica che afferra il codolo posto all’estremità del portautensile . In posizione retratta
dunque la barra esercita una forza di trazione sul cono del portautensile tenendolo quindi
aderente alla sede conica del mandrino. Un fresatura posta sulla flangia del portautensile
e due chiavette poste sulla faccia del mandrino provvedono a trasmettere la coppia ( le
forze d’attrito sono deboli). A mandrino fermo si immette aria nel cilindro pneumatico,
collegato all’estremità destra del tirante, provocando l’apertura della pinza, posta
all’estremità opposta, e quindi il rilascio del portautensile.
Il cono ISO però presenta un difetto: il suo cntraggio e il suo posizionamento assiale
avviene sul cono per cui la flangia anteriore del portautensile non va in battuta sul
mandrino (figura 5.A3). Alle alte velocità avvengono allora due fenomeni:
• il cono del mandrino si apre per effetto delle forze centrifughe molto più di quanto
non possa fare il cono portautensile. Il cono, soggetto alla forza di trazione del
tirante, si sposta assialmente modificando la sua posizione rispetto al pezzo
lavorato;
• il cono si deforma e quindi il cono portautensile può muoversi radialmente al suo
interno provocando vibrazioni durante l’operazione di taglio.
Apertura del cono
alle alte velocità
velocità
di rotazione
Massa e
lunghezza
Bloccaggio
notevoli dall’
dall’esterno
Riduzione della
superficie d’
d’appoggio
Gioco frontale
Per ovviare a questo inconveniente nelle moderne macchine utensili i cui mandrini hanno
di solito dei regimi di rotazione elevati adottano una diversa geometria dell’attacco: il cono
HSK (figura 5. A4).
• e’ corto e dotato di bassa conicità in tal modo con un buon rispetto delle tolleranze
consente di avere il centraggio radiale sul cono pur consentendo alla flangia
anteriore di andare in battuta contro il mandrino. Viene dunque impedito lo
spostamento assiale del cono;
• è cavo e quindi tende a deformarsi come la sede conica del mandrino;la forza di
trazione, esercitata dal tirante, da luogo ad una componete di forza radiale che
agisce sul cono forzandolo ad aprirsi e quindi a mantenersi aderente alla sede
conica del mandrino: vengono così impediti gli spostamenti radiali.
Massa e
Bloccaggio
lunghezza
dall’
dall’interno
ridotte
Gioco frontale
nullo
Complessivamente, anche in condizioni statiche il bloccaggio dell’utensile con un cono HSK risulta
molto più rigido di quanto non sia usando un cono ISO (SK nella figura 5.A6).
0,45
0,40
Attacco SK 50 F
0,35
0,30
0,25
Freccia (mm/m)
0,15
0,10
0,05
0,00
-0,05
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800
Momento Flettente (Nm)
1.0 Introduzione
Torretta
Mandrino
z z
z Asse “X”
z
z
U.G.
Asse “Z”
Struttura
Nella figura 6.2 lo schema cinematico per la motorizzazione degli utensili e nei riquadri
esempi di lavorazioni fatte con questo tipo di utensili.
Per superare questo inconveniente il tornio deve essere attrezzato con un braccio
robotizzato in grado di effettuare il carico e lo scarico in maniera del tutto automatica.
3
1
Il mercato propone numerose versioni costruttive per un centro di lavorazione. Una prima
grossa divisione può essere fatta sulla base della giacitura del mandrino distinguendo tra
centro di lavorazione ad asse verticale e centro di lavoro ad asse orizzontale. Il primo
adatto lavorare una “piastra” (fig.6.6a) il secondo un parallelepipedo (fig. 6.6b).
a) b)
)
Per quanto riguarda la struttura della macchina possiamo distinguere tre versioni base:
y
y
z
x
z x
A montante
y
z
z
x
y
Asse vericale
y x
Gantry
Nella figura 6.8 la fotografia ancora di un centro che presenta gli stessi assi della
precedente ma realizzati in maniera differente. La soluzione adottata consente di tenere il
baricentro delle masse in movimento molto vicino all’asse delle guide riducendo così i
momenti derivanti dalle forze d’inerzia durante le fasi di accelerazione.
Figura 6.8: Centro di lavoro ad asse orizzontale con asse “Z” realizzato sul pezzo
Centro di lavoro ad asse verticale: nella figura 6.9 un esempio di centro di lavoro con
asse verticale. Notiamo la struttura classica dei moti e la presenza del magazzino utensili
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 103
a tamburo. Il pezzo possiede il moto lungo X ed Y mentre i restanti sono conferiti
all’utensile.
Centro di lavoro ad asse verticale a mensola: Nella figura 6.10 possiamo notare lo slittone
che porta la testa verticale, la mensola che caratterizza questo tipo di macchina e sulla
destra il magazzino a catena.
Centro di lavoro verticale con struttura a portale: Come abbiamo detto si tratta di una
macchina per lavorazione di grandi stampi e pertanto di grandi dimensioni. Oltre ad
osservarne la struttura, figura 6.11, facciamo osservare la testa motrice, particolare di cui
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 104
parleremo nel prossimo paragrafo, che consente la rotazione dell’asse dell’utensile attorno
a due assi ortogonale tra loro.
Figura 6.11: Centro di lavoro verticale con struttura a portale (gantry) (Parpas)
Nei diversi esempi mostrati si è potuto osservare come in alcuni casi il pezzo e fermo e
tutti movimenti sono eseguiti dall’utensile, non risulta la soluzione opposta (tutti i moti
attribuiti al pezzo) anche se non è possibile escludere che in qualche caso possa essere
stata applicata. Questa soluzione presenta diversi vantaggi, tra questi:
• notevole distanza tra l’asse del mandrino e le guide di scorrimento dell’asse X; può
provocare instabilità in presenza di forze rilevanti;
• il magazzino utensili si deve muovere con l’asse X (aumento delle masse in
movimento);
• slitta a croce costosa qualora sia il montante a compiere i moti lungo X e lungo
Nella figura 6.13 si è disegnato lo schema semplificato della testa. Il mandrino portafresa
può ruotare attorno all’asse obliquo dell’angolo φ compreso tra 0° e 180°, assumendo nei
due valori estremi rispettivamente le posizioni indicate con (1) e (2). La rotazione attorno
all’asse obliquo può pensarsi ottenuta come somma di una rotazione λ attorno all’asse
orizzontale più una rotazione, non indicata nella figura, attorno ad un asse ortogonale al
piano del disegno. Se dopo aver ruotato il mandrino dell’angolo φ lo ruotiamo in senso
inverso della corrispondente componente λ l’asse del mandrino si riporterà nel piano
verticale ma ruotato, rispetto alla posizione iniziale (φ=0), di un angolo che possiamo
chiamare angolo di “tilt”. Se l’asse obliquo è inclinato di 45° sull’orizzontale, tale angolo
(θ nella figura) varierà tra 0° e 90°.
L’utilità maggiore di questa testa consiste nel poter passare dall’asse fresa verticale a
quello orizzontale e quindi nella possibilità di ruotarlo attorno all’asse orizzontale per poter
lavorare in 4 diverse posizioni a 90° tra loro o, come si è già detto per eseguire forature
inclinate (figura 6.14).
2
θ°
Raggio efficace
Una prima soluzione, utilizzata ancora adesso , è stata l’utilizzo di due tavole portapezzo,
ovviamente fisse o al più dotate di tavola girevole, per cui, mentre la macchina opera su
uno dei due pezzi, l’altra tavola è disponibile per il carico e lo scarico del pezzo montato su
di essa, figura 6.20.
S
B
Nella figura 6.21 lo schema di uno di questi dispositivi chiamati anche shuttle. Il pezzo
viene fissato su una piastra standard, definita pallet , in grado di essere ancorata alla
tavola portapezzo della macchina tramite un’opportuna interfaccia meccanica. A bordo
della macchina il dispositivo di scambio è in grado di sostituire il pallet montato a bordo
con quello nuovo ad esso affacciato. Quindi nella figura 6.21 lo shuttle “S” è in grado di
scambiare il pallet A con il B e quindi il pezzo già lavorato può essere intercambiato con il
nuovo particolare da lavorare
Nella figura 6.22 al centro di lavoro munito di shuttle viene affiancata una tavola rotante
portapallet; ogni pallet porta un pezzo. Questi vengono messi in lavorazione uno dopo
l’altro cosicché alla fine ciascuno dei pallet conterrà un pezzo finito. Solo a questo punto
sarà richiesto l’intervento dell’operatore che provvederà a scaricare i pezzi lavorati e
sostituirli con altri grezzi da lavorare. I pallet possono essere dotati di un sistema di
riconoscimento, del tutto simile a quello impiegato per gli utensili, che consente di montare
pezzi diversi tra loro. La macchina, al momento del caricamento selezionerà l’opportuno
partprogram necessario per la lavorazione. L’unico limite sarà dato dalla numerosità degli
utensili necessari. Con i magazzini a catena si può dotare la macchina di alcune centinaia
di utensili.
Nella figura 6.23 un esempio di una macchina di questo tipo; si nota chiaramente un
magazzino a matrice è una stazione di carico e scarico manuale posta anteriormente alla
cella.
L’industria dell’auto di piccola serie fa ampio uso di simili linee di fabbricazione per la
fabbricazione di parti di motore, figura 6.26, ma anche quella più tradizionale impiega
sempre più frequentemente linee di questo tipo sia come integrazione a linee di
produzione più tradizionali a più elevata cadenza, sia per la fabbricazione di piccole serie
di vetture di nicchia.
I robot industriale, nella moderna accezione, nascono allorché il CN raggiunge la sua piena maturità
e cioè negli anni 80 dello scorso secolo. I robot industriale, che nel seguito chiameremo
semplicemente robot, possono avere diverse strutture cinematiche come mostrato in figura 6.27
nella quale si sono riportate le loro strutture cinematiche di base.
Figura 6.27: Struttura cinematica di base dei robot (P = giunto prismatico, R = giunto rotoidale)
Se si indicano con q i gradi di libertà del sistema e con r le coordinate che definiscono la posizione
terminale del braccio si avrà in generale che :
r = f (q) (6.1)
X = l1 cos q1 + l 2 cos(q1 + q 2 )
Y = l1 sin q1 + l 2 sin(q1 + q 2 ) (6.2)
φ = q1 + q 2
Delle varie possibilità cinematiche ci occuperemo solo dell’ultima e cioè del braccio articolato,
detto anche braccio meccanico, e per la sua diffusione e per la sua flessibilità. Questa
configurazione appare molto interessante in quanto tenta di riprodurre i movimenti del braccio
umano, come si può vedere nella figura 6.29.
Avambraccio Gomito
Spalla
Polso Z
Base Tronco
Y
X
Sulla sinistra sono indicati i movimenti del braccio umano e a destra la cinematica di un robot
articolato; il movimento 1 sarà realizzato con una rotazione del tronco attorno all’asse Z (1) , il 2
con la rotazione attorno alla spalla (2) , il 3 ed il 5 si accorpano con la rotazione dell’avambraccio
(4), il 4 è la rotazione dell’avambraccio attorno al gomito (3), il 6 ed il 7 infine sono le due rotazioni
del polso (5 e 6). Naturalmente in questo caso le [ 6.2] divengono più complesse.
Infine nella figura 6.33 un ultimo esempio di applicazione di un braccio meccanico: l’interpresse. In
questo caso i robot si sostituisco agli operatori in una linea di stampaggio. L’operazione di
stampaggio, nell’esempio, richiede tre passaggi. Partendo da destra il primo robot preleva il foglio
di lamiera e lo passa al secondo che provvede inserirlo sotto il primo stampo. Il successivo estrae il
pezzo, che ha subito la prima lavorazione, e lo passa al sterzo che lo collocherà sotto il secondo
stampo in posizione invertita rispetto a quella con cui era uscito dal primo; gli ultimi due, infine
provvedono al completamento del ciclo, all’estrazione del pezzo finito dall’ultimo stampo e al suo
posizionamento su un vassoio.
Le linee a trasferimento sono dei sistemi di produzione usati per produrre elevati volumi di
parti che richiedono nella loro trasformazione un insieme di operazioni differenti. L’insieme
delle stazioni di lavoro necessarie a realizzare le singole fasi del ciclo di lavorazione sono
integrate tra loro da un sistema di trasporto formando così una linea di produzione
automatica.
Le linee di cui ci occuperemo sono linee di lavorazione ad asportazione di truciolo
(machining) ma i concetti sviluppati si applicano ad una linea di saldatura o lastroferratura
o ad una linea di montaggio.
In prima battuta ci occuperemo della versione tradizionale e cioè delle linee a
trasferimento o anche ad automazione rigida per poi vederne le varianti che ne
incrementano le doti di flessibilità.
Una linea a trasferimento trova la sua applicazione a fronte di:
• volumi di produzione elevati
• stabilità di progetto del prodotto
• lunga vita utile del prodotto
• costanza nel tempo del volume produttivo
Se queste condizioni sono soddisfatte l’uso di una linea a trasferimento, che peraltro
richiede forti investimenti, garantisce:
• basso costo di manodopera diretta
• basso costo del prodotto
• elevati volumi di produzione
• tempo di attraversamento e work in progress minimi
• occupazione dello spazio ottimale
L’idea delle linee a trasferimento nasce negli Stati Uniti negli stabilimenti Ford attorno al
1920 per realizzare una linea di montaggio in cui però le operazioni erano tutte manuali.
La prima linea di lavorazione viene realizzata in Inghilterra nel 1923 presso gli stabilimenti
della Morris per la lavorazione del blocco motore . Sulla linea si effettuavano 53 diverse
operazioni con una produttività di 15 blocchi ora. Ciascun blocco richiedeva oltre 200
minuti di lavorazione. In questa linea il particolare veniva movimentato manualmente tra
una stazione e la successiva. La prima linea completamente automatica appare l’anno
successivo, ancora presso la Morris, per lavorare la scatola cambio.
Una linea automatica di produzione o linea a trasferta consiste, come abbiamo anticipato,
di un insieme di stazioni di lavoro connesse da un sistema di movimentazione dei pezzi
che provvede a trasferire il pezzo lavorato da una stazione di lavoro alla successiva . Il
grezzo/semilavorato di partenza entra ad una estremità della linea per uscire
completamente lavorato all’altra estremità (fig.8.1).
Nei casi più semplici il numero di pezzi contemporaneamente presenti sulla linea è pari al
numero di stazioni (un pezzo per stazione) ma è anche possibile che lungo la linea ci
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 115
siano uno o più stazioni di stoccaggio temporaneo e pertanto il numero medio di pezzi per
stazione sarà maggiore di uno.
Ogni stazione di lavoro sarà caratterizzata da un suo tempo ciclo, il tempo ciclo più lungo
(collo di bottiglia) caratterizzerà la cadenza dell’intera linea. Il pezzo può essere
movimentato montato su un pallet, si parlerà di linea a trasferta pallettizzata, e sarà il
pallet ad essere riferito con la massima precisione alla singola stazione di lavoro, oppure
sarà il singolo pezzo ad essere movimentato e sarà pertanto lui a possedere i riferimenti
necessari al suo preciso posizionamento su ogni singola unità di lavoro. Le stazioni di
lavoro sono delle unità di lavoro semplici ma negli ultimi anni si va affermando l’uso
combinato con macchine a CNC in modo da conferire un maggior grado di flessibilità alla
linea. Ma su questo tema ritorneremo nel paragrafo 3.0
Una trasferta può essere realizzata secondo due possibili configurazioni di base e cioè:
• In linea: Le stazioni, come nella figura 8.1, sono allineate tra loro e collegate da un
meccanismo ad avanzamento lineare. Naturalmente e possibile una variante e cioè
linee costituite da due o più tratti lineari, perpendicolari tra loro, a formare una
struttura aperta ad “L”o a “U” o chiusa a rettangolo. Tale soluzione è richiesta in
particolare quando il ciclo di lavorazione richiede un elevato numero di operazioni
come, ad esempio, nel caso della lavorazione di un basamento motore, e vi siano
delle limitazioni sugli spazi disponibili, quando sia necessario operare una
riorientazione del pezzo o quando si voglia terminare il ciclo nello stesso punto in
cui lo si è iniziato, linee rettangolari, ad esempio per recuperare il pallet. Nella
figura 8.2 un esempio di trasferta in linea.
Come si è già avuto modo di accennare in una linea a trasferimento possono essere
presenti dei buffer interoperazionali con lo scopo di:
• ridurre il danno provocato da eventuali rotture di una stazione di lavoro
• creare una riserva di pezzi in grado di alimentari i reparti di produzione a valle
• assorbire le variazioni del tempo ciclo laddove lungo la linea siano inserite
operazioni manuali
Figura 7.5: Schema di buffer tra due segmenti di una stessa linea
Una linea di produzione automatica sarà gestita da un controllore costituito ormai nella
generalità dei casi da uno o più microprocessori. Le principali attività a lui demandate sono
:
• gestire il ciclo delle singole stazioni gestione che potrà essere demandata ad un
PLC locale;
• gestire la sequenza e cioè ricevere da ogni attività gli opportuni consensi prima di
abilitare la fase successiva;
• controllare il buon funzionamento di ogni singolo elemento attivo attraverso delle
routine di autodiagnostica segnalando eventuali guasti;
• memorizzare i dati di produttività, efficienza dei diversi dispositivi, qualità delle parti
prodotte,etc. per le successive analisi statistiche.
Il tempo che così ne risulta definirà la cadenza del ciclo secondo la relazione:
Nella (7.1) si introduce il tempo di lavorazione della stazione più lenta in quanto il
meccanismo di trasporto dovrà attenderne il completamento prima di entrare in funzione
sia che i pezzi vengano movimentati tutti assieme (sistema alza e sposta) sia che si usino
dei manipolatori.
Il problema più complesso è il terzo e cioè l’efficienza del sistema che ne condiziona
l’effettiva produttività. Le cause che possono determinare l’arresto di una stazione, e
pertanto talora dell’intera linea, sono molteplici che abbiamo provato a riassumere d i
seguito:
1. Rottura di un utensile
2. Regolazione di un utensile
3. Sostituzione programmata di utensili
4. Malfunzionamenti di natura elettrica
5. Rotture meccaniche
6. Mancanza di pezzi da lavorare
7. Saturazione del magazzino delle parti lavorate
8. Manutenzione preventiva della linea
L’effettivo tempo di produzione pertanto sarà dato dalla seguente relazione:
t p = t c + N f ⋅ Tf
(7.2
Dove:
Nf, numero di fermate per ciclo
Tf, durata media di una fermata (MTTR)
La figura 7.6 chiarisce il significato delle due tipiche grandezze che caratterizzano il
funzionamento di una macchina automatica e precisamente il tempo medio tra due
successive interruzioni (MTBF Mean Time Between Failure) e il tempo medio per il
ripristino della sua funzionalità (MTTR Mean Time To Repair).
Utilizzando allora le 7.1 e 7.2 si può definire il tasso di produzione ideale e quello effettivo
espresso generalmente il pezzi/ora e quindi anche definita semplicemente come
produzione oraria:
3600 3600
Rc = ; Rp =
tc tp
(8.3
Il produttore di macchine utensili definisce generalmente Rc parlando di produzione al
100% di efficienza in altri casi è chiamato a garantire la produzione richiesta al X%
(generalmente il 95%) di efficienza. Poiché l’efficienza rappresenta il tempo in cui la
macchina è in grado di operare rispetto al tempo in cui è disponibile sarebbe più corretto
usare il termine affidabilità.
Potremo allora scrivere che l’efficienza di una linea è definita dalla relazione:
tc tc
E= =
t p tc + N f ⋅ T f
(7.4
a) La fermata della stazione non danneggia il pezzo che potrà proseguire il suo ciclo
(approccio upper-bound); si verifica quando la stazione si arresta per sostituire un
utensile usurato, per effettuare delle regolazioni o per normale manutenzione). La
stazione o la linea viene arrestata, l’operazione effettuata e quindi viene ravviata.
b) La fermata produce il danneggiamento del pezzo che pertanto verrà allontanato dalla
linea (approccio lower-bound); questo caso si verifica allorché la rottura di un utensile
danneggia irreparabilmente il pezzo. La stazione viene arrestata, l’utensile sostituito e il
pezzo scartato.
Nel primo caso il numero atteso di fermate sulla linea per ciascuno dei pezzi che lo
attraversano sarà data dalla somma delle probabilità che esso si fermi in una delle stazioni
in quanto è possibile (ovviamente non è probabile) che al pezzo sia associata una rottura
in ciascuna delle stazioni che dovrà attraversare. Pertanto detta pi la la probabilità di avere
una rottura in un ciclo della stazione ima, il numero di arresti previsto in un ciclo sarà dato
da:
n
N f = ∑ pi
i =1 (7.5
che, se ipotizziamo che la probabilità sia uguale per tutte le stazioni e pari a p, diviene:
Nf = n ⋅ p (7.5’
∏ (1 − p ) i
i =1 (7.6
e pertanto:
n
N f = 1 − ∏ (1 − pi )
i =1 (7.6’
e quindi ipotizzando, come nel caso precedente, che pi sia una costante per tutte le
stazioni, avremo:
N f = 1 − (1 − p ) n (7.6”
In questo caso per calcolare la produttività occorrerà considerare che nell’unità di tempo
noi perderemo, perché scartati, un numero di pezzi pari al numero di fermate. Quindi:
(1 − N f ) ⋅ 3600
Rp =
tp
(7.3’
Un semplice esempio per comprendere il valore delle relazioni scritte:
ESEMPIO:
Upper-bound :
N f = 15 ⋅ 0.001 = 0.015 fermate/ciclo
e pertanto la sua produttività sarà:
3600 3600
R= = = 45 pezzi/ora
t c + N f ⋅ t r 80 + 0.015 ⋅ 300
Con un’efficienza pari a:
t 80
E= c = = 95%
t p 80 + 0.015 ⋅ 300
Lower-Bound
3600
tp = = 85,7 s
R
con un’efficienza pari a:
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 121
tc 80
E= = = 93%
t p 85,7
I due approcci forniscono allora il limite superiore ed inferiore per la stima della produttività
della linea. Naturalmente questa valutazione non può escludere che la linea dia origine a
scarti per insufficiente qualità che ne possano ridurre ulteriormente l’efficienza.
In questa analisi la difficoltà maggiore è valutare il valore di pi . L’approccio più ragionevole
è quello di far ricorso a dati storici.
Possiamo comunque trarre alcune semplici conclusioni:
tc
E0 =
t c + ( N f 1 + N f 2 ) ⋅ Td (7.7
Se tra le due linee mettessimo un buffer di capacità infinita l’efficienza della linea
coinciderebbe con la minore tra le efficienze dei segmenti da cui è composta. Se il buffer è
di dimensioni finite si otterrà un valore di efficienza compreso tra i due:
E0 ≤ E x ≤ E∝
Vediamo quale conclusioni possiamo trarre dalle semplici considerazioni fatte:
2. Una linea di una certa estensione converrà sempre dividerla in segmenti aventi la
medesima efficienza (in quanto è la condizione in cui si avrà la massima differenza
tra E0 ed E∝ , figura 7.7) separati da magazzini interoperazionali.
1,14
1,13
1,12
1,11
1,10
Einf / Ezero
1,09
1,08
1,07
1,06
1,05
1,04
1,03
0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8
E2/E1
Figura 7.7:Effetto dell’efficienza degli elementi compresi tra un buffer sull’efficienza totale
della linea.
Una linea a trasferimento viene oggi concepita assemblando attorno ad una struttura base
realizzata in acciaio saldato una serie di componenti modulari, come mostrato nella figura
7.8 dove si vede la sezione di una linea trasferimento; nella parte centrale sarà alloggiato il
meccanismo di trasferimento, nel caso in esame del tipo alza e sposta (v. più avanti),
mentre lateralmente, da entrambe le parte, saranno posizionate le unità di lavoro. Sempre
alla parte centrale, che costituisce l’ossatura della linea, verranno fissati gli attrezzi di
bloccaggio.
Le slitte di movimentazione
Come è chiaro dalla descrizione che abbiamo fatto nelle pagine precedenti il pezzo viene
movimentato alla fine del ciclo dal meccanismo di trasferimento quindi viene riferito e
bloccato davanti alle singole stazioni di lavoro e quindi tutti i moti di lavoro devono essere
impressi agli utensili. A tale scopo sono presenti delle slitte di movimento sulle quali
verranno poi fissate le unità di lavoro.
Nella figura 8.9 sono rappresentate le due principali tipologie di slitte impiegate:
Nella figura 7.10 sono riassunte le tipologie possibili di slitte per configurare le diverse
stazioni di lavoro. Si può notare il concetto di modularità e come si abbia una naturale
evoluzione verso i moduli a CN ( 3 assi) di cui parleremo più avanti.
Le unità di lavoro
Le unità di lavoro possono essere molto varie ma tipicamente possiamo suddividerle in tre
grandi famiglie:
Il problema del bloccaggio è relativamente semplice nel caso in cui il pezzo venga
movimentato su un pallet. In questo caso il problema viene scisso in due parti:
• il bloccaggio ed il riferimento del pezzo sul pallet generalmente risolto con l’impiego
di sistemi di bloccaggio manuali e quindi abbastanza semplici (figura 7.16);
• il bloccaggio del pallet sulla stazione effettuato in modo automatico ma con
dispositivi standardizzati (figura 7.17);
Il problema diviene notevolmente più complesso, figura 7.18, nel caso in cui sulla linea si
voglia bloccare direttamente il pezzo.
Meccanismi di trasferimento
La figura 7.22 presenta un esempio di layout ibrido: le prime tre stazioni sono attrezzate
con unità di lavoro a CNC mentre le successive sono unità tradizionali.
• il processo di trasformazione;
• il carico e lo scarico del pezzo
• l’interconnessione col sistema centrale di trasporto;
• il colloquio col sistema di controllo
L’idea di questa tipologia di sistemi di produzione nacque verso la metà degli anni 60 dello
scorso secolo ad un ingegnere inglese, David Williamson, come evoluzione delle
macchine a CN; l’ idea fu brevettata nel 1965 con il nome System 24 per intendere che la
linea poteva lavorare 24 ore al giorno di cui 16 senza l’ausilio dell’uomo (unmanned).
All’inizio degli anni 70 uno dei primi FMS fu istallato negli Stati Uniti alla Caterpillar con il
nome Variable Mission System.
Abbiamo detto, all’inizio di questo capitolo che flessibilità vuol dire:
1. la capacità di riconoscere il particolare da lavorare;
2. la capacità di modificare rapidamente il programma di lavoro
3. la capacità di cambiare rapidamente attrezzature ed utensili necessari ad operare
su un pezzo secondo un assegnato ciclo di lavorazione.
Per meglio comprendere il concetto di flessibilità e quindi le difficoltà da superare per
realizzarlo consideriamo il semplice schema della figura 8.25 in cui si è rappresentata una
cella di lavorazione formata da due centri di lavoro ad asse orizzontale un magazzino di
pezzi a carosello e un robot addetto al carico e allo scarico del pezzo. La cella è in grado
di lavorare in modo non sorvegliato per lungo tempo. Periodicamente un operatore
provvederà a scaricare dal magazzino i pezzi finiti e a caricare nuovi pezzi da lavorare.
Il sistema è pertanto sicuramente automatico ma possiamo anche definirlo flessibile?
Possiamo fin da subito dire che gli elementi che compongono la cella sono per loro natura
flessibili in quanto modificando il programma di gestione potremo modificare a piacimento
e in modo praticamente istantaneo il ciclo di lavorazione. Se però la nostra cella è
predisposta per lavorare per lotti essa non potrà a rigore definirsi un FMS, sarà
semplicemente un sistema di lavorazione dotato di un certo grado di flessibilità.
Per poterlo dunque classificare come FMS dovrà rispondere ad almeno 4 requisiti
fondamentali:
Di questi i primi due sono imperativi mentre i restanti due possono essere accettati a
diverso livello di realizzazione; solamente in queste condizioni un sistema di produzione
può essere definito un FMS.
Torniamo allora al nostro esempio e vediamo a quali condizioni deve sottostare per essere
considerato un FMS.
Le due macchine, poiché sono dei CNC, a patto di avere in memoria il part-program del
pezzo da lavorare e nel magazzino gli utensili richiesti dal ciclo, sicuramente sono in grado
di rispondere sia al requisito 1 che al 4. Generalmente il magazzino utensile risulterà
particolarmente esteso ( a catena o a matrice). Le due macchine saranno collegate ad un
computer centrale che avrà in memoria i part-program necessari.
Sul magazzino dei pezzi dovrà essere presente un dispositivo di riconoscimento del pezzo
che, di solito, sarà montato su un pallet che ne consente l’interfacciamento sia con la
macchina che con il robot.
Il sistema di supervisione sarà responsabile della gestione delle due macchine
permettendo di operare solamente con una delle due in caso di arresto dell’altra o
frazionando il ciclo tra le due qualora una di esse risultasse più scarica dell’altra.
Nella bibliografia si trova l’indicazione di diversi tipi di flessibilità (v. tabella 7.1) a riprova
che la flessibilità è una caratteristica a molte dimensioni.
Celle di lavorazione con macchina singola: consiste in un centro di lavoro CNC conbinato
con un magazzino dei pezzi che ne consente l’operatività non sorvegliata. In figura 7.26 un
esempio. Si nota la zona di carico e scarico dei pallet che supportano le parti in
lavorazioni. La macchina può ovviamente lavorare per lotti o con un mix di particolari. I
pallet portano un’unità di scrittura/lettura che permette di codificarli in funzione del
particolare che viene bloccato su di essi.
Cella flessibile di lavorazione (FMC): Consiste di due o tre centri di lavorazione a CNC con
un sistema di manipolazione collegato con una stazione di carico e scarico (v. figura 7.25).
Anche in questo caso non è assicurato il rispetto del terzo requisito che caratterizza un
FMS in particolare se i tre centri di lavoro non sono uguali tra loro.
4.1Componenti di un FMS
Come abbiamo detto nel paragrafo precedente tre sono i principali elementi che
compongono un FMS: stazioni di lavoro, sistema di movimentazione delle parti, sistema
computerizzato di controllo e gestione. Di seguito li analizzeremo in dettaglio.
Altre stazioni: Stazioni di misura possono essere incorporate nella linea. Generalmente si
impiegano stazioni di misura a coordinate (CMM) ma in alcuni casi vengono impiegati
sistemi di visione con funzione di verifica, ad esempio per accertarsi che sia stato montato
il grezzo corretto o che sia stata effettuata un’assegnata lavorazione.
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 137
Anche stazioni di lavaggio vengono inserite in linea per eliminare residui di lavorazione
tanto dal pezzo quanto dal pallet.
i. consentire il moto indipendente e casuale dei pezzi tra le stazioni: il pezzo deve
essere in grado di muoversi da una stazione di lavoro ad una qualsiasi delle altre
per consentire di gestire cicli di lavoro differenti tra loro e di sostituire l’attività di un
macchina in caso di guasto con quella di un’altra;
ii. operare su una varietà di pezzi differenti tra loro: Per i pezzi prismatici questo è
generalmente ottenuto usando un pallet e attrezzature di fissaggio modulari che
consentono il bloccaggio ed il riferimento su una base standard dei diversi
particolari che devono essere lavorati. Nel caso di pezzi rotosimmetrici si impiegano
dei robot per montare i pezzi sul tornio con delle mani di presa modulari o
intercambiabili;
iii. consentire uno stoccaggio temporaneo: il numero di pezzi presenti sulla linea sono
in genere in numero superiore a quelli in lavorazione per cui ogni stazione ha una
piccola coda di pezzi in attesa di essere lavorati. I pezzi eccedenti vengono
mantenuti in circolazione sino a che si libera una posizione nella coda della
macchina cui sono destinati;
iv. consentire un facile accesso per il carico e lo scarico: come si è già accennato la
linea prevede una stazione manuale di carico e scarico;
v. essere interfacciato con il computer di controllo: la gestione computerizzata del
sistema è fondamentale per la gestione del percorso delle singole parti e del carico
dei pezzi secondo il mix produttivo desiderato e nella sequenza stabilita.
• Sistema secondario: consiste nei meccanismi deputati al prelievo del pezzo dal
sistema primario per trasferirlo sulla macchina e naturalmente per il percorso
inverso. A questo meccanismo è affidato il compito di posizionare il pezzo sulla
macchina con la necessaria precisione, di ri-orientare il pezzo ove necessario. Tale
funzione può essere svolta da uno shuttle, da un dispositivo di pick and place o da
un braccio robotizzato.
Il layout in linea rappresenta la forma più semplice che un FMS può assumere ed è
derivato da quello tipico di una linea a trasferimento. Il ciclo del particolare progredisce
passando da una stazione ad una successiva secondo un percorso definito con il pezzo
che può muoversi sempre e solo in una direzione.
Ciò che allora differenzia un FMS da una trasferta rigida è la varietà di pezzi che possono
essere lavorati e l’ordine del tutto casuale con cui possono essere immessi sulla linea. Per
conferire maggiore flessibilità alla linea (figura 7.28) la si può dotare di un sistema di
movimentazione secondario che consente di spostare i pezzi lungo il sistema principale
nelle due direzioni.
Il layout ad anello (figura 7.29) consente ai pezzi di circolare lungo il sistema principale
arrestandosi solo per consentirne il passaggio sul sistema secondario di una delle stazioni
di lavoro dove attenderà il suo turno per essere lavorato. La stazione di carico e scarico è
generalmente sistemata ad una delle estremità dell’anello.
Controllo della produzione: E’ questa una funzione essenziale per un FMS che
gestisce il mix di parti da inviare sulla linea e la tempistica con cui farlo. I dati
d’ingresso sono quelli relativi alla composizione della produzione giornaliera ai
pallet e ai grezzi disponibili e ovviamente al tempo ciclo di ciascuna delle fasi.
Questa funzione deve anche gestire le informazioni da trasmettere all’operatore per
il carico del grezzo opportuno sul pallet assegnato Mentre però in un sistema
tradizionale la schedulazione avviene off-line poiché è applicata all’inizio di un
determinato periodo di lavoro e il risultato vale per l’intero turno di lavoro o anche
per periodi più lunghi. Pertanto ogni evento imprevisto provocherà lo
sconvolgimento del piano originale. L’FMS opera sotto il controllo di un algoritmo
dinamico per cui le decisioni di quale pezzo debba essere successivamente
lavorato in un nodo è presa alla fine dell’operazione attualmente in corso;
praticamente le decisioni vengono prese in tempo reale con la finalità di saturare al
meglio le capacità operative che la linea presenta ad un dato istante.
SISTEMA
CENTRALE
Controllo dell’FMS
Sistema di trasporto
Un cenno particolare merita la modalità con cui viene progettato il ciclo di lavoro su un
FMS.
L’FMS deve essere programmato come un sistema di celle intelligenti e non come un
grosso centro di lavoro a CN. Conseguentemente, i reali benefici di un FMS sono
intimamente legati alla struttura del ciclo di lavorazione.
La struttura di un ciclo di lavorazione a percorso varia bile è di tipo ad albero formato da
tre livelli:
• il ciclo del particolare (partprogram): la radice dell’albero
• il ciclo associato al pallet (pallet program): i rami dell’albero;
• l’insieme delle operazioni (operation): le foglie dell’albero.
Come è già stato detto, il pezzo si muove nella linea legato ad un pallet; l’intero ciclo di
lavorazione può richiedere il montaggio del pezzo su pallet differenti; ad esempio nella
figura 7.32 variable route FMS partprogram, tre montaggi sono necessari per i
completamento del particolare. Ad ogni pallet viene ad essere associato un ciclo che può
presentare delle varianti od opzioni. Ogni ciclo è formato da un sottoinsieme di operazioni.
Ogni operazione inizia e termina sulla stessa macchina o cella mentre il ciclo associato al
pallet coinvolge una o più celle differenti. Il programma di ogni singola operazione può
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 142
essere pensato come partprogram di un CNC. Le attrezzature di bloccaggio e lo specifico
pallet utilizzato sono memorizzati a livello del ciclo del pallet mentre gli utensili sono
identificati a livello di ciascuna operazione.
La programmazione dinamica può usufruire dei percorsi alternativi previsti a livello di pallet
program. Supponiamo che un particolare entri nella linea come una fusione grezza e la
lasci come pezzo completamente la varato e collaudato.
IL ciclo compLeto è presentato nella figura 7.32. Il pallet program n° 1 provvede a creare
le necessarie superfici di riferimento per le operazioni seguenti; il particolare semilavorato
viene smontato e quindi si procede alle lavorazioni sulle varie facce accessibili in tale
configurazione. Infine Il particolare viene nuova mente capovolto, viene lavorata la faccia
superiore e infine si procede al collaudo del pezzo finito.
.
Part Program
OP: A3
OP: A2
OP: A1
OP: AB1
OP: B3 OP: E3
OP: B1
OP: B2
OP: C3 OP: F3
OP: C1
OP: C2
Esiste un’operazione
alternativa con Non esistono OP: D3 Esistono due percorsi
operazione finale operazioni alternative equivalent
comune
E’ancora importante sottolineare come le varianti possano essere previste non solo a
livello di operazioni, bensì a livello di pallet program. Nel caso preso in considerazione, il
ciclo non è abbastanza complesso da prevedere l’uso anche di tale possibilità
Tra le due soluzioni che sono state presentate: la trasferta rigida e l’FMS in questi ultimi
anni se ne va affermando una terza con caratteristiche intermedie. Delle trasferta rigida
mantiene l’architettura generale e cioè il percorso sequenziale del pezzo lavorato mentre
dell’FMS adotta la tipologia delle unità di lavoro.
Una tale soluzione trova applicazione nelle lavorazioni di grande serie e in particolare
quelle del comparto automotive dove progressivamente va a sostituire la classica trasferta
rigida.
La scelta di questo tipo di soluzione trova la sua motivazione nel sempre più breve ciclo di
vita di un prodotto e quindi nella necessità di poterlo facilmente modificare o sostituire
senza dover pesantemente riattrezzare una linea. Se si pensa che il ciclo di vita di un
prodotto in questo settore è passato da 10 anni a circa quattro con tendenza a scendere
ulteriormente ci si rende conto che i costi di riattrezzaggio di una trasferta rigida per
adattarla alle variati di prodotto richieste divengono insostenibili. La linea agile consente di
R. IPPOLITO: Sistemi integrati di produzione: Capitolo 7
Pagina 143
tagliare drasticamente tali costi. Una caratteristica interessante di questo nuovo concetto e
che le varie unità di lavoro vengono progettate in modo da non richiedere fondazioni e non
vi è la necessità di un ancoraggio rigido tra tali unità ed il sistema di movimentazione della
parte lavorata. Questo significa che, ove necessario la linea può essere modificata sia
eliminando che aggiungendo unità di lavoro.
Nella figura 7.33 un tratto di Linea Agile. Il carico e lo scarico delle macchine viene
effettuato da un manipolatore a portale che preleva deposita il pezzo da/su una rulliera
che provvede al trasferimento verso l’unità di lavoro successiva. Altro vantaggio di questa
soluzione è la possibilità di operare per lotti su più varianti dello stesso particolare
sfruttando la flessibilità dei centri di lavoro e la capacità del loro magazzino utensili
Un aspetto interessante di questa tipologia d’impianto consiste nel fatto che i vari
componenti la linea sono semplicemente appoggiati sul pavimento, cioè non sono vincolati
tra loro come in una trasferta tradizionale. Questa caratteristica ne consente un possibile
riposizionamento per modificare il layout dell’impianto ove un nuovo prodotto richiedesse
la riconfigurazione totale dell’impianto.
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