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Appunti di lettura di Marco Fantechi

Susan Sontag
Sulla Fotografia, realtà e immagine nella nostra società
Torino, Einaudi, 1978

Cominciò tutto con un saggio su certi problemi, estetici e morali, posti dall'onnipresenza delle
immagini fotografiche: ma quanto più pensavo a che cosa sono le fotografie, tanto più diventavano
complesse e suggestive.....

Nella grotta di Platone

L'umanità si attarda, non rigenerata, nella grotta di Platone, continuando a dilettarsi, per
abitudine secolare, di mere immagini della verità. Ma essere stati educati dalle fotografie non
è come essere stati educati da immagini più antiche e più artigianali... (p.3) (Vedi anche p.131)

Le fotografie possono essere ricordate più facilmente delle immagini in movimento, perché sono
una precisa fetta di tempo anziché un flusso... Ogni fotografia è un momento privilegiato,
trasformato in un piccolo oggetto che possiamo conservare e rivedere (p.17)

Partendo dall'immagine fotografica si è dato un nuovo significato al concetto di informazione. La


fotografia è una sottile fetta di spazio, oltre che di tempo. In un mondo dominato dalle immagini
fotografiche, tutti i confini (le cornici) sembrano arbitrari. Ogni cosa può essere separata da ogni
altra: basta inquadrarne il soggetto in maniera diversa.....
Attraverso le fotografie, il mondo diventa una serie di particelle isolate e a sé stanti, e la storia,
passata e presente, un assortimento di aneddoti e di “faits divers”.....
E' una visione del mondo che nega la connessione e la continuità, ma che conferisce a ogni
momento il carattere di mistero. Ogni fotografia ha una molteplicità di significati; in effetti, vedere
qualcosa in forma di fotografia equivale a incontrare un potenziale oggetto di fascino. La suprema
saggezza dell'immagine fotografica consiste nel dire: <<Questa è la superficie. Pensa adesso, o
meglio intuisci, che cosa c'è da là da essa, che cosa deve essere la realtà se questo è il suo
aspetto>>. Le fotografie, che in quanto tali non possono spiegare niente, sono inviti inesauribili alla
deduzione, alla speculazione e alla fantasia. (p.21/22)

Tuttavia, rappresentando la realtà, la macchina fotografica deve sempre nascondere più di


quanto riveli.
Il limite della conoscenza fotografica del mondo è che, può spronare le coscienze, ma non può
mai essere alla lunga, conoscenza politica o etica. La conoscenza raggiunta attraverso la
fotografia sarà sempre una forma di sentimentalismo, cinico o umanistico. Sarà una
conoscenza a prezzi di liquidazione, un'apparenza di conoscenza, un'apparenza di saggezza;
come l'atto di fare una fotografia è un apparenza di appropriazione. (p.22)

L'enorme catalogo fotografico della miseria e dell'ingiustizia nel mondo ha dato a tutti una
certa consuetudine con l'atrocità, facendo apparire più normale l'orribile, rendendolo
familiare, remoto, inevitabile. (p.19/20)
L'America vista nello specchio scuro della fotografia

Nei primi decenni della Fotografia si chiedeva alle fotografie di essere immagini idealizzate.
Questo è ancora l'obiettivo di moltissimi fotografi dilettanti, per i quali una bella fotografia è
la fotografia di qualcosa di bello, una donna o un tramonto.
Nel 1915 Edward Steichen fotografò una bottiglia di latte sulla scala antincendio di una casa
popolare, e diede uno dei primi esempi di una nozione totalmente differente della bella
fotografia. E dagli anni venti, i professionisti più ambiziosi, quelli che arrivano ai musei con le
loro opere, hanno continuato a staccarsi dai soggetti lirici, esplorando consapevolmente
materiali insignificanti, pacchiani o addirittura insulsi.
Negli ultimi decenni, poi, la Fotografia è riuscita ad imporre a tutti una parziale revisione
delle definizioni del bello e del brutto.... Se (per citare Walt Whitman) “ogni soggetto o
condizione o combinazione o processo esprime una sua bellezza”, diventa superficiale definire
belle certe cose e non belle altre.
Se “tutto ciò che una persona fa o pensa è rilevante”, diventa arbitrario considerare
importanti certi momenti della vita e banali certi altri.
Fotografare significa attribuire importanza. Non esiste probabilmente soggetto che non si
possa rendere bello; non si può inoltre eliminare la tendenza, insita in tutte le fotografie, ad
attribuire valore ai loro soggetti. (p.25)

La poetica di Walker Evans deriva ancora da Whitman, e precisamente dall'abbattimento delle


discriminazioni tra bello e brutto, tra importante e banale. Ogni cosa o persona fotografata diventa...
una fotografia, ed è quindi moralmente equivalente a qualunque altra sua fotografia. L'obiettivo di
Evans rivelava la stessa bellezza formale negli esterni delle case vittoriane di Boston all'inizio degli
anni trenta e nelle facciate dei negozi delle vie principali delle cittadine dell'Alabama nel 1936. Ma
si trattava di un livellamento in alto, non in basso. Evans voleva che le sue fotografie fossero “colte,
autorevoli, trascendenti”. Ma poiché l'universo morale degli anni trenta non è più il nostro, questi
aggettivi paiono oggi quasi incredibili. Nessuno chiede più che la fotografia sia colta. Nessuno
riesce a immaginare come potrebbe essere autorevole. Nessuno capisce più come una cosa
qualunque, e tanto meno una fotografia, possa essere trascendente. (p.27/28)

Whitman predicava l'empatia, la concordia nella discordia, l'unità nella diversità (p.28)

Oggetti melanconici

La fotografia ha la dubbia fama di essere la più realista, e quindi la più superficiale, delle arti
mimetiche. In realtà è l'unica arte che sia riuscita ad attuare la grandiosa secolare minaccia di una
conquista surrealista della sensibilità moderna, dopo che molti candidati più quotati si erano ritirati
dalla gara (ndr.: pittura e poesia)... Le arti nelle quali il surrealismo è giunto a piena espressione
sono invece la narrativa in prosa, il teatro, le arti dell'assemblage e, in forma particolarmente
trionfale, la fotografia. (p.45/46)
La linea principale della attività fotografica ha dimostrato che una manipolazione surrealista, o
teatralizzazione del reale, è superflua se non addirittura ridondante. Il surrealismo è al centro della
disciplina fotografica: nella creazione stessa di un mondo duplicato, di una realtà di secondo grado,
più limitata ma più drammatica di quella percepita dalla visione naturale. Quanto meno la fotografia
era elaborata e palesemente costruita, quanto più ingenua appariva, tanto maggiore era spesso alla
lunga il suo prestigio. (p.46)

Il fotografo saccheggia e insieme conserva, denuncia e insieme consacra. (p.57)

Gli americani considerano la realtà del loro paese tanto enorme e mutevole che riterrebbero pura
presunzione affrontarla con metodo scientifico, classificatorio. Ci si può arrivare indirettamente,
per vie traverse, spezzandola in strani frammenti che potrebbero in qualche modo, per
sineddoche, essere scambiati per il tutto. (p.58/59)

Gli stabilimenti più squallidi e le strade ingombre di cartelloni pubblicitari appaiono, se visti con
l'occhio della macchina fotografica, belli come chiese o paesaggi bucolici. Anzi di più, secondo il
gusto moderno. Ricordiamoci che furono Breton e altri surrealisti a inventare la bottega di roba
usata come tempio del gusto d'avanguardia e a fare delle visite ai mercati delle pulci un
pellegrinaggio estetico alla moda. L'acume dello straccivendolo surrealista mirava a trovare bello
ciò che altri ritenevano brutto o privo d'interesse e rilevanza. (p.70)

Il carattere contingente delle fotografie conferma che tutto è caduco; l'arbitrarietà della
documentazione fotografica indica che la realtà è sostanzialmente inclassificabile. Essa si riassume
in uno spiegamento di frammenti casuali, in un modo di misurarsi con il mondo che è insieme
infinitamente allettante e intensamente riduttivo. (p.71)

I surrealisti, nella loro aspirazione ad essere radicali, o addirittura rivoluzionari, della cultura, sono
spesso stati vittime della nobile illusione di potere, anzi di dovere, essere marxisti. Ma l'estremismo
surrealista è troppo soffuso d'ironia perché sia compatibile con la più attraente forma di moralismo
del Novecento. Marx rimproverava alla filosofia di limitarsi a cercare di capire il mondo, anziché di
cambiarlo. I fotografi, che agiscono nell'ambito della sensibilità surrealista, suggeriscono quando
sia vano cercare di capire il mondo e propongono invece di collezionarlo. (p.73)

L'eroismo della visione

Nessuno ha mai scoperto la bruttezza tramite le fotografie. Ma molti, tramite le fotografie,


hanno scoperto la bellezza. A parte situazioni nelle quali la macchina viene usata per
documentare o per registrare riti sociali, ciò che induce la gente a fare fotografie è l'aver
trovato qualcosa di bello.
Il nome con il quale Fox Talbot brevettò la fotografia nel 1841 era <<calotipo>>, da kalòs che
significa appunto bello.
E' abituale che coloro che hanno visto qualcosa di bello si dicano dispiaciuti di non aver
potuto fotografarlo. E il successo della macchina fotografica nell'abbellire il mondo è stato
tale che ora sono le fotografie, e non il mondo, il modello della bellezza. (p.74)

La storia della fotografia potrebbe essere letta come la storia della lotta tra due differenti
imperativi: quello di abbellire, che proviene dalle belle arti, e quello di dire la verità.
....
Come il romanziere post-romantico e il reporter, il fotografo era tenuto a smascherare l'ipocrisia e a
combattere l'ignoranza. Per svolgere questo compito la pittura era un procedimento troppo lento e
scomodo, anche se molti pittori ottocenteschi facevano propria la tesi di Miller che <<le beau c'est
le vrai>> (Il bello è il vero). (p.75)

Liberati dalla necessità di dover fare scelte limitate (come i pittori) sulle immagini degne di
contemplazione, grazie alla rapidità con la quale le macchine registravano qualsiasi cosa, i fotografi
fecero del vedere un'arma di tipo nuovo: come se il vedere in sé potesse effettivamente conciliare le
esigenze di verità e il bisogno di trovare bello il mondo.
Dopo essere stata un tempo oggetto di meraviglia per la sua capacità di riprodurre fedelmente la
realtà, e insieme disprezzo per la sua volgare precisione, la macchina fotografica ha finito per far
aumentare in misura straordinaria il valore delle apparenze. Delle apparenze cioè quali le
registra la macchina. Non è solo che la fotografia rappresenti realisticamente la realtà, è la realtà che
viene esaminata e valutata secondo la sua fedeltà alle fotografie.
Dichiarava nel 1901 Zola: <<A mio parere non si può sostenere di aver veramente visto qualcosa
finché non lo si è fotografato>>
Invece di accontentarsi di registrare la realtà, le fotografie sono diventate il modello di come ci
appaiono le cose, modificando così il concetto stesso di realtà e di realismo. (p.76)

I primi fotografi parlavano come se la macchina fotografica fosse stata soltanto una copiatrice;
come se, anche se erano le persone che la facevano funzionare, fosse la macchina stessa a vedere.
...
La macchina fotografica si proponeva a Fox Talbot come una nuova forma di notazione, la cui
attrattiva era appunto l'impersonalità, in quanto registrava un 'immagine <<naturale>>, cioè
un'immagine che prende vita <<per opera della sola Luce, senza alcun aiuto del pennello
dell'artista>>.
Si riteneva che il fotografo fosse un osservatore acuto, ma imparziale; uno scrivano, non un poeta.
Ma quando la gente scoprì, e non ci volle molto, che nessuno fotografa nello stesso modo la stessa
cosa, l'ipotesi che le macchine fornisse un'immagine impersonale e oggettiva dovette cedere al fatto
che le fotografie non attestavano soltanto ciò che c'è, ma ciò che un individuo ci vede, che non sono
soltanto un documento, ma una valutazione del mondo (*).
(*) Il limitare la fotografia a una visione impersonale ha ancora i suoi sostenitori. Per i Surrealisti la fotografia era
liberatoria nella misura in cui si spingeva otre la mera espressione personale... Nello schieramento estetico opposto, i
teorici del Bauhaus, sostennero opinioni non dissimili, considerando la fotografia creativa ma impersonale e libera da
vanità quali la superficie pittorica e il tocco personale. (p.77)

Divenne allora chiaro che non si trattava di un'attività semplice e unitaria chiamata <<vedere>>, ma
di una <<visione fotografica>> che era insieme un nuovo modo di vedere e una attività da svolgere.

Per visione fotografica si cominciò a intendere la capacità di scoprire la bellezza in ciò che
ognuno vede ma trascura, ritenendolo troppo banale. Si chiedeva ai fotografi di non limitarsi
a vedere il mondo così come è, comprese le sue meraviglie già riconosciute: loro compito era
suscitare interesse con nuove decisioni visive.
Da quando sono state inventate le macchine fotografiche, esiste nel mondo un particolare
eroismo: l'eroismo della visione.

Alfred Stieglitz racconta con orgoglio di essere rimasto per tre ore sotto la bufera di neve del 22
febbraio 1893 <<ad aspettare il momento adatto>> a fare la sua famosa fotografia “Inverno nella
Quinta Avenue”. Il momento adatto è quello in cui si possono vedere le cose (soprattutto quelle che
tutti hanno già visto) in maniera diversa. (p.78)

La bellezza non è insita in nulla; bisogna trovarla, con un altro modo di vedere – nonché
un'idea più ampia del significante, illustrata e vigorosamente rafforzata dagli usi molteplici
della fotografia. (p.149)

L'apoteosi della vita quotidiana e il tipo di bellezza che solo la macchina può rivelare, un angolo di
realtà materiale che l'occhio non vede o non riesce normalmente a isolare...

I fotografi avevano scoperto che, quando riuscivano a rifilare maggiormente la realtà, comparivano
forme splendide.

Quando venne ulteriormente violata la visibilità consueta, e si isolò l'oggetto dal suo contesto,
rendendolo astratto, entrarono in vigore nuove convenzioni su ciò che si considera bello. Bello
diviene ciò che l'occhio non può vedere (o non vede): quella visione frantumata e dislocata che solo
la macchina può dare. (p.79)

La pittura non aveva mai promesso così spudoratamente di rivelare la bellezza del mondo (p.80)

Il pittore costruisce, il fotografo rivela. (p.81)

Secondo la tesi abituale, ciò che la fotografia fece fu di appropriarsi del compito del pittore di
fornire immagini che trascrivessero accuratamente la realtà.... la fotografia lasciò libera quest'arte di
seguire la sua grande vocazione modernista, cioè l'astrazione.

Quando entrò in scena la fotografia, la pittura aveva già iniziato per proprio conto la lunga ritirata
dalla rappresentazione realistica.... e il territorio che la fotografia andò ad occupare con successo
così rapido e completo sarebbe stato probabilmente abbandonato in qualunque caso. (p.82)

Alcuni fotografi non si accontentavano di sfornare quei trionfi di ultra-realismo con i quali i pittori
non potevano competere. Così, dei due famosi inventori della fotografia, se Daguerre non pensò
mai di spingersi oltre la gamma rappresentata del pittore naturalista, Fox Talbot si accorse
immediatamente della capacità della della macchina fotografica di isolare forme che sfuggono
normalmente all'occhio nudo e che la pittura non aveva mai registrato.
A poco a poco i fotografi parteciparono alla ricerca di immagini sempre più astratte, professando
scrupoli che ricordavano il rifiuto del mimetico, in quanto puramente descrittivo, da parte dei pittori
modernisti. Ma per quanto i fotografi siano arrivati a condividere, in parte, i medesimi
atteggiamenti sul valore intrinseco della percezione.... le loro applicazioni a questi atteggiamenti
non possono essere eguali a quelle dei pittori. E' infatti nella natura di una fotografia l'impossibilità
di trascendere del tutto il soggetto, come invece può fare un quadro. E non può neanche andare oltre
il visuale, cosa che in un certo senso è l'obiettivo supremo della pittura modernista. (p.83)

L'ethos della fotografia sembra più vicino a quello della poesia modernista che a quello della
pittura. Se la pittura è diventata sempre più concettuale, la poesia si è sempre più definita
come attività interessata al visivo.
La dedizione della poesia alla concretezza e all'autonomia del linguaggio poetico è parallela
alla dedizione del fotografo alla pura visualità. Entrambe comportano discontinuità, forme
disarticolate e unità compensatoria: strappare le cose dal loro contesto (per vederle in modo
nuovo)e metterle insieme secondo le esigenze della soggettività. (p.84)

Un' accresciuta famigliarità non basta a spiegare perché certe convenzioni di bellezza si consumino
e altre rimangono. É un logoramento insieme morale e sensoriale. Difficilmente Strand e Weston
potevano immagine che le loro idee di bellezza sarebbero diventate così banali, e tuttavia sembra
inevitabile che ciò avvenga quando si insiste, come faceva Weston, su un così molle ideale della
bellezza come perfezione. (p.88)

L'opinione di Stieglitz, Strand e Weston - secondo la quale le fotografie dovrebbero essere anzitutto
belle (vale a dire perfettamente composte) - sembra oggi poco persuasiva, troppo insensibile alla
verità del disordine: come sembra quasi pernicioso l'ottimismo sulla scienza e la tecnologia che sta
alla base della concezione fotografica del Bauhaus. Le Weston, per quanto belle e ammirevoli, sono
diventate per molti meno interessanti (p.89)

L'imperfezione tecnica viene oggi apprezzata proprio perché spezza la pacata equazione tra Natura
e Bellezza. La natura è divenuta un soggetto di nostalgia e di sdegno più che un oggetto di
contemplazione: lo sottolinea la distanza di gusto che separa sia i maestosi paesaggi di Ansel Adams
(il più noto discepolo di Weston), sia l'ultimo importante corpus di fotografie nella tradizione del
Bauhaus - The Anotomy of Nature (1965) di Andreas Feininger - dalle attuali immagini fotografiche
della natura profanata. (p.89)

Come questi ideali estetici formalisti sembrano, retrospettivamente, legati ad un certo clima storico,
cioè all'ottimismo dell'epoca moderna, così il declino delle norme della purezza fotografica
(rappresentata da Weston e dalla scuola del Bauhaus) ha coinciso con la delusione morale vissuta
negli ultimi decenni.
Nell'attuale clima storico di disillusione è sempre più difficile trovare un senso nell'idea formalistica
di una bellezza eterna. Hanno acquistato invece importanza determinante modelli di bellezza più
cupi e più transeunti, ispirando una rivalutazione della fotografia del passato; e, in evidente rivolta
contro il Bello, le più recenti generazioni di fotografi preferiscono mostrare il disordine e distillare
un aneddoto, il più delle volte allarmante, anziché isolare una <<forma semplificata>>
(l'espressione è di Weston) alla lunga consolatoria.
Ma nonostante la finalità dichiarata... la fotografia continua ad abbellire, anzi, il suo trionfo più
duraturo è stata la capacità di scoprire il bello nell'umile, nel banale, nel decrepito. (p.90)
Inizialmente giudicati secondo le norme della pittura, che presuppone un progetto consapevole e
l'eliminazione di tutto ciò che non è essenziale, si considerarono, sino a poco tempo fa, successi
tipici della visione fotografica le opere di quel numero relativamente ristretto di fotografi che,
attraverso sforzi e riflessioni, riuscivano a trascendere la meccanicità della macchina fotografica per
soddisfare le norme dell'arte.
Oggi invece è evidente che non esiste un contrasto intrinseco tra un uso meccanico o ingenuo della
macchina e una bellezza formale di primissimo ordine, e neanche un tipo di fotografia nel quale non
possa rivelarsi questa bellezza: un'istantanea funzionale e priva di pretese può essere visivamente
interessante, eloquente e bella quanto le fotografie artistiche più acclamate.
Questa democratizza dei criteri formali è il logico completamento della democratizzazione dell'idea
di bellezza che la fotografia ha prodotto. (p.91)

La macchina fotografica può essere clemente, ma sa anche essere crudele. Questa sua crudeltà,
però, produce soltanto un altro tipo di bellezza, secondo i dettami surrealisti che governano il gusto
fotografico. (p.92)

Poiché ogni fotografia è soltanto un frammento, il suo peso morale ed emotivo dipende da
dove viene inserita. Una fotografia, insomma, cambia a seconda del contesto nel quale noi la
vediamo.... Vale per ogni fotografia ciò che Wittgenstein diceva delle parole: che il significato è
l'uso. (p.93)

La forza di una fotografia è nel conservare, passibili di indagine, momenti che il normale fluire del
tempo sostituisce immediatamente. Questo congelamento del tempo - la stasi indolente e straziante
di ogni fotografia - ha portato a canoni estetici sempre più inclusivi. Ma le verità che di possono
rappresentare in un momento dissociato, per quanto significanti e decisive, hanno un rapporto assai
limitato con le esigenze della comprensione.
Contrariamente a quanto dicono le tesi umanistiche proposte per la fotografia, la capacità
della macchina fotografica di trasformare la realtà in qualcosa di bello proviene dalla sua
relativa debolezza come mezzo per trasmettere la verità. (p.98)

Vangeli fotografici

Cartier-Bresson si paragonva ad un arciere zen che deve diventare il bersaglio per riuscire a
colpirlo; <<bisognerebbe pensare prima e dopo, - dice, - mai mentre si scatta una fotografia>>. Si
ritiene che il pensiero offuschi la trasparenza della consapevolezza del fotografo e violi l'autonomia
di ciò che si sta fotografando.
...
Si propone la fotografia come una forma di conoscenza senza conoscenza.
...
Ma anche quando denigrano il pensiero i professionisti ambiziosi sentono solitamente il bisogno di
insistere su quanto debba essere rigorosa questa visualizzazione permissiva. <<Una fotografia non è
un caso, è un concetto, - insiste Ansel Adams. - Il metodo di fotografare a “mitraglia” - che consiste
nel fare molti negativi sperando che uno venga bene - è disastroso per la serenità dei risultati>>. Per
fare una buona fotografia, si sostiene comunemente, bisogna vederla prima (p.100/101)
Per Ansel Adams <<una grande fotografia>> deve essere <<un'espressione piena di ciò che uno
sente, nell'accezione più profonda del termine, su ciò che la fotografa, ed è quindi una vera
espressione di ciò che si sente sulla vita nella sua totalità>>.
Che esista una differenza tra fotografia concepita come <<vera espressione>> e fotografia concepita
(cosa assai più comune) come registrazione fedele, è evidente; benché quasi tutti i saggi sulla
missione della fotografia tendono ad attenuarla, essa è implicita nei termini decisamente
polarizzanti ai quali i fotografi ricorrono per descrivere emotivamente ciò che fanno. (p.102)

Ma tra la difesa della fotografia come mezzo superiore per esprimere se stessi e l'elogio della
fotografia come modo superiore di porre se stessi al servizio della realtà, c'è meno differenza
di quanto non paia. Hanno in comune il presupposto che la fotografia offra un sistema unico
di rivelazioni: che ci mostri la realtà come non l'avevamo mai vista. (p.103)

Mostrare qualcosa, qualunque cosa, nella visione fotografica significa mostrare ciò che è
nascosto. Ma non occorre sottolineare il misterioso con soggetti esotici o eccezionalmente
impressionanti. (p.104)

Se teoricamente tutti i soggetti sono pretesti validi per l'esercizio della visione fotografica, c'è oggi
la convenzione che essa sia più lucida se applicata ad argomenti insoliti o triviali. Si sceglie un
soggetto in quanto banale o noioso. Data la nostra indifferenza nei suoi confronti, esso rivela meglio
la capacità di <<vedere>> della macchina fotografica. (p.118)

Il linguaggio con il quale in genere si valutano le fotografie è estremamente povero. A volte è


parassitario del vocabolario pittorico: composizione, luce, ecc.

La fotografia propone un processo dell'immaginazione e un appello al gusto parecchio diversi da
quelli della pittura (almeno come viene tradizionalmente concepita).
La differenza tra una bella fotografia e una brutta fotografia non ha niente a che vedere con quella
tra un bel quadro e un brutto quadro. Le norme di valutazione estetica elaborate per la pittura
dipendono da criteri di autenticità (o contraffazione) e di abilità, criteri che in fotografia sono più
permissivi o addirittura inesistenti. E mentre in pittura il lavoro dell'esperto presuppone sempre il
rapporto organico di un quadro con il corpus delle opere di un individuo nella sua totalità, nonché
con scuole e tradizioni iconografiche, in fotografia un vasto corpus di opere di un individuo non ha
necessariamente una coerenza stilistica interna e il rapporto del singolo fotografo con le varie scuole
è assai più superficiale.
Uno dei criteri di valutazione che pittura e fotografia hanno in comune è la qualità innovativa:
quadri e fotografie vengono spesso apprezzati perché impongono nuovi schemi formali o
modificazioni al linguaggio visivo. (p.120/121)

Non è del tutto sbagliato dire che non esistono brutte fotografie, ma solo foto meno
interessanti, meno rivelanti, meno misteriose. (p.122)
In fotografia la successione delle riscoperte è più rapida che in qualsiasi altra arte. Illustrando quella
legge del gusto... secondo la quale ogni nuova opera importante modifica necessariamente la nostra
percezione dell'eredità del passato, le nuove fotografie cambiano la maniera in cui noi guardiamo le
vecchie. (p.123)

Nella storia della fotografia i movimenti sono effimeri, casuali, a volte puramente nominali, e non
esiste fotografo di prim'ordine che sia meglio comprensibile come membro di un gruppo.

Raggruppare i fotografi in scuole o movimenti sembra un fraintendimento, basato (ancora una
volta) sull'irrefrenabile analogia, invariabilmente ingannevole, tra fotografia e pittura. (p.124/125)

Il mondo dell'immagine

La realtà è sempre stata letta attraverso i rapporti che ne forniscono le immagini; e, da Platone in
poi, i filosofi hanno cercato di alleviare questa nostra dipendenza dalle immagini evocando il
modello di un modo di comprendere il reale indipendente dalle immagini stesse. Ma quando, a metà
dell'Ottocento, questo modello apparentemente raggiungibile con l'avanzata del pensiero umanistico
e scientifico, non portò alle previste defezioni verso il reale. Al contrario la nuova era
dell'incredulità consolidò la dipendenza dalle immagini.
….
Nella prefazione alla seconda edizione del “L'essenza del cristianesimo” (1843), Feuerbach osserva
che la nostra epoca <<preferisce l'immagine alla cosa, la copia all'originale, la rappresentazione alla
realtà, l'apparenza all'essenza>>, rendendosene conto perfettamente.

Le parole di Feuerbach – scritte pochi anni dopo l'invenzione della macchina fotografica –
sembrano un presentimento dell'impatto della fotografia. Le immagini che in una società moderna
hanno un'autorità praticamente illimitata sono infatti soprattutto le immagini fotografiche.
(p.131/132)

Nelle società primitive, la cosa e la sua immagine erano soltanto due manifestazioni differenti, cioè
fisicamente distinte, della medesima energia o del medesimo spirito.
….
Per i difensori del reale, da Platone a Feuerbach, considerare l'immagine mera apparenza –
presumere cioè che l'immagine sia assolutamente distinta dall'oggetto raffigurato – è parte
integrante di quel processo di dissacrazione che ci distacca irrevocabilmente dal mondo tempi e dei
luoghi sacri, quando si credeva che l'immagine partecipasse della realtà dell'oggetto raffigurato.
… L'originalità della fotografia risuscitò – in termini del tutto laici – qualcosa che assomigliava alla
condizione primitiva delle immagini. Una fotografia non è soltanto una raffigurazione del suo
soggetto, un omaggio ad esso, ne è parte integrante, ne è un prolungamento, ed è un potente mezzo
per acquisirlo, per assicurarsene il controllo.
La fotografia è acquisizione in varie forme. Nella più semplice, abbiamo in una fotografia il
possesso per sostituzione di una persona o di una cosa cara.... Attraverso la fotografia abbiamo
inoltre un rapporto da consumatori con gli eventi, sia quelli che sono parte della nostra esperienza,
sia quelli che non lo sono.... Una terza forma d'acquisizione consiste nella possibilità di acquisire
qualcosa – attraverso macchine che fabbricano o duplicano immagini – come conoscenza anziché
come esperienza.
La fotografia ha di fatto de-platonizzato la nostra concezione della realtà, rendendo sempre meno
plausibile riflettere sulla nostra esperienza sulla base di una distinzione tra immagini e cose, tra
copie e originali.
Corrispondeva all'atteggiamento sprezzante di Platone verso le immagini paragonandole a ombre,
compresenze transitorie, minimamente informative, immateriali e impotenti delle cose reali che
emettono.
Ma la forza della fotografia deriva dal fatto che esse sono realtà materiali in sé, depositi riccamente
informativi lasciati sulla scia di ciò che le ha emesse.... Le immagini sono insomma più reali di
quanto chiunque avesse supposto..... (p.155/156)

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