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Chroniques italiennes web 32 (1/2017)

SULLA LINGUA DI LEONARDO:


SUONI, FORME, PAROLE

Ringrazio Anna Sconza per avermi invitata a tenere questa lezione che
mi ha dato la possibilit di essere qui a Parigi in una sede tanto prestigiosa.
Ma la ringrazio anche per avermi dato la possibilit di tornare a parlare di
Leonardo dopo un periodo di silenzio, dovuto a studi che sono andati in
altre direzioni1. Ma pur vero che quando si entra nellopera di Leonardo
(che non a caso stata spesso paragonata a un labirinto) non se ne esce pi;
e anche quando si allenta il contatto come successo a me, la fascinazione
resta e si sa che prima o poi rientreremo da qualche porta.
Dicevamo che il labirinto unimmagine ricorrente per designare
lopera leonardiana, unimmagine che si giustifica immediatamente
pensando alla mole di manoscritti superstiti, dove si depositano testi
appartenenti ai generi pi diversi e dove i vari gradi di elaborazione formale
non arrivano mai a configurare uno stato di compiutezza. Questi caratteri
di eterogeneit e di frammentariet rendono assolutamente unica lopera

1
Per uno studio pi approfondito della lingua di Leonardo si veda P. Manni, Percorsi nella
lingua di Leonardo: grafie, forme, parole, XLVIII Lettura vinciana, 12 aprile 2008,
Firenze, Giunti, 2008.
P. MANNI

leonardiana, della quale ha colto bene lessenza Carlo Vecce quando


afferma che

Laspetto forse pi distintivo degli scritti di Leonardo, e il segno pi


radicale della loro alterit dalle convenzioni del sistema letterario, dato
dalla relazione indissolubile di quegli scritti con lo strumento materiale che
ne assicura la sopravvivenza, il manoscritto. Gli appunti di Leonardo si
sono stratificati lungo larco di pi di quarantanni su quelle carte, senza
soluzione di continuit, con una paradossale coerenza di metodo. E
linsieme dei manoscritti si presenta in effetti come ununica immensa
opera, la cui struttura coincide con la successione cronologica di
composizione dei testi [].

Questa unica immensa opera, che in ultima analisi trova la sua misura
ideale nella singola carta, ha due colonne portanti: la lingua e il disegno. E
qui si viene a toccare un altro carattere costitutivo della testualit
leonardiana che dobbiamo subito ricordare: il rapporto imprescindibile fra
testo verbale e disegno; un rapporto di reciproca interazione, una simbiosi
che davvero essenziale. Sappiamo del resto che pi volte, soprattutto nelle
trattazioni di argomento pi tecnico, il disegno costituisce il punto centrale
dellesposizione e il testo verbale funzionale a spiegare quanto limmagine
rappresenta. E a proposito del binomio che unisce testo e disegno e della
funzione preminente che spetta al disegno, Leonardo stesso, in una delle
fitte annotazioni che accompagnano i disegni anatomici conservati nei fogli
della Royal Library di Windsor (foglio 19013v), ci ha lasciato
unilluminante dichiarazione che rileggeremo:

E tu che vogli con parole dimostrare la figura dellomo con tutti li aspetti
della sua membrificazione, removi da te tale opinione, perch quanto pi
minutamente descriverai, tanto pi confonderai la mente del lettore e pi lo
removerai dalla cognizione della cosa descritta. Adunque necessario
figurare e descrivere.

E niente meglio di queste parole esprime il duplice versante della testualit


leonardiana, il figurare col disegno e il descrivere con le parole.

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Sulla lingua di Leonardo: suoni, forme, parole

Alla luce di queste indispensabili premesse, cercheremo ora di


entrare nella lingua a cui Leonardo affid il suo descrivere, e lo faremo con
gli strumenti dello storico della lingua, che pone sotto la sua lente tutti gli
elementi della lingua, partendo da quelli che ne costituiscono lossatura di
base, suoni e forme, ovvero quegli elementi che costituiscono laspetto
fonomorfologico. Ed sotto questo aspetto che la lingua di Leonardo rivela
i suoi caratteri pi saldi e tenaci, pur nel variare dei generi, degli argomenti,
degli intenti. E possiamo dire fin da ora che sotto questo aspetto quella
lingua mantiene anche nel tempo uno straordinario grado di fedelt a se
stessa. Processi di acculturazione e lunghe permanenze fuori da Firenze non
intaccano nella sostanza una lingua che nelle sue strutture fonomorfologiche
resta saldamente ancorata al fiorentino del tardo Quattrocento. E bisogna qui
ricordare che il fiorentino quattrocentesco una lingua ben diversa da quella
in cui scrissero i grandi autori che hanno fondato la letteratura e la lingua
italiana. Il fiorentino quattrocentesco rispetto a quello trecentesco, infatti,
caratterizzato da una serie di trasformazioni che ne hanno mutato la
fisionomia; tali trasformazioni sono in parte dovute a fatti di mobilit
interna, dallaltro lato allaccoglimento di tratti nuovi provenienti soprattutto
dallarea occidentale e dal contado. I fermenti e le innovazioni che si fanno
strada non escludono per la vitalit di quanto preesiste. Vecchio e nuovo si
intrecciano in una situazione di instabilit e polimorfia che viene via via
accrescendosi e raggiunge i massimi livelli negli ultimi decenni del secolo.
Baster varcare la soglia del 500, perch si creino condizioni del tutto
nuove che porteranno il fiorentino a fissarsi nelle griglie di una norma
grammaticale fondata sui grandi modelli della letteratura trecentesca. Tappa
emblematica saranno, nel 1525, le Prose della volgar lingua di Pietro
Bembo. Ma litinerario biografico, intellettuale e linguistico di Leonardo si
consuma tutto prima di quel discrimine e a prima di quel discrimine va
ricondotto.
Accade cos che alcune forme abituali per Leonardo come fussi per
fossi, o i possessivi plurali in -a del tipo i mia fratelli, i fatti sua, o voci
verbali come vadino per vadano siano stati esclusi dalla norma
grammaticale e abbiano oggi un marchio di popolarit e scorrettezza. Ma
ovvio che tali forme, per una valutazione oggettiva, in Leonardo, devono
essere riportate al di l del discrimine cinquecentesco, a quel contesto pre-
grammaticale in cui si produssero. Pu quindi accadere che forme simili
siano condivise da autori di alta cultura come ad esempio Lorenzo de
Medici. Ci non vuol dire beninteso che non compaiano nei testi leonardiani

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P. MANNI

anche tratti autenticamente popolari, come ad esempio il passaggio di


consonante + l a consonante + r (in casi come frusso, grobo, refresso,
obrigo, ecc.) con le conseguenti vistose ipercorrezioni (del tipo cleato,
pleda, refligerio, complendere, ecc.). Forme come queste rimandano a un
livello sicuramente basso, e lo conferma la loro estraneit ai testi di Lorenzo
e, invece, il loro ricorrere frequente in vari testi di semicolti.
Non ci sono dubbi che lanalisi della lingua leonardiana debba tener
conto anche della grafia. un fatto risaputo: la grafia rivelatrice preziosa
della formazione e della cultura dello scrivente. pur vero che anche la
grafia nel 400 priva di una regolamentazione, ma le opzioni che essa
ammette fra tradizione volgare e orientamenti colti di stampo umanistico si
prestano in modo particolare a indicare il livello socioculturale dellautore e
le sue eventuali tendenze allemancipazione, come hanno ben dimostrato le
indagini svolte da Lucilla Bardeschi Ciulich sugli autografi di
Michelangelo. Cos, anche nel caso di Leonardo, il complesso degli usi
grafici e il loro evolversi nel tempo andranno valutati con grande attenzione,
nella consapevolezza che essi possono essere pi significativi di alcuni tratti
fonomorfologici che, seppure presentano divergenze rispetto alla norma che
diventer canone dellitaliano, se riportati alla loro epoca, non sono selettivi
di un ambito socioculturale.

Ma credo che a questo punto sia giunto il momento di rendere il


nostro discorso pi concreto attraverso il contatto diretto con la lingua. I
brani che abbiamo scelto ci fanno entrare in uno degli settori tecnico-
scientifici a cui con pi insistenza e genialit si applic la mente poliedrica
di Leonardo, quello della meccanica. Il fatto che egli si appassionasse alle
arti meccaniche fin dallepoca giovanile ci permette peraltro di tracciare un
percorso che attraversa i suoi manoscritti nel tempo, mettendo bene in luce
alcuni tratti evolutivi della sua lingua.
Partiremo da una delle carte sicuramente appartenenti al periodo
giovanile, gli anni fiorentini anteriori al 1482, anno del trasferimento a
Milano. Prenderemo la carta 891 r del codice Atlantico, dove raffigurato e
descritto un semplice strumento per fare lamine di stagno (non ha attinenza
col testo il disegno in basso raffigurante un argano):

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Sulla lingua di Leonardo: suoni, forme, parole

Prima di procedere alla lettura, preciso che abbiamo trascritto il testo


utilizzando i criteri stabiliti da Arrigo Castellani, comunemente usati dagli
storici della lingua nelle edizioni di testi medievali. Sono criteri che
potremmo dire diplomatico-interpretativi che consentono di cogliere tutti i
caratteri linguistici del testo, compresi quelli di natura grafica, senza
rinunciare allinterpunzione e ad una resa interpretativa del testo che ne
agevoli la lettura.
Leggiamo dunque questannotazione che descrive il Modo da ffare
piasstre sottili di stagnio. Lo strumento descritto in sostanza una cassetta

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P. MANNI

con dei fori sul fondo, vi si mette prima uno strato di rena molle che fa
tenuta, poi uno strato di rena asciutta, quindi uno strato di stagno fuso;
quando la rena molle si asciuga, esce dai fori insieme al resto della rena e
sul fondo della cassetta resta la lamina di stagno:

Modo da ffare piasstre sottili di stagnio. Ma tien q(ue)sto modo.


Abbi il primo tratto la chassetta nel modo che di sopra ffighu-
rata e rienpi il suo <suo> fondo di spessi e mminuti fori, e ttogli rena
molle e ffanne un suolo sopra i detti fori, e cholla rasiera che v
5 di sopra fighurata pianala i modo sia equale. Di poi toi uno stacco
e mettivi dentro rena assciutta e sstacciala sopra la rena molle,
e cchomponi tanto r[i]mangha la sua sup(er)ficie assciutta, e rradi cho-
lla medesima rasiera. Di poi gitta lo sstagnio nelluna delle tesste,
che ssie fonduto, e va tirando la rasiera piana mente i mmodo
10 giungha imsino da pi della doccia; ed fatta.

Questa annotazione ci dice molto di quello che fu il punto di partenza


di Leonardo come scrittore. E ce lo dice in primo luogo attraverso
lorganizzazione testuale.
facile infatti rendersi conto che Leonardo descrive questo semplice
strumento utilizzando delle modalit espositive che rimandano in modo
molto diretto ed evidente ai libri dabaco, i libri che insegnavano ai mercanti
e ai tecnici la matematica necessaria agli usi professionali. Con i libri
dabaco il giovane Leonardo, apprendista a Firenze nella bottega del
Verrocchio, venne sicuramente a contatto; anzi essi furono probabilmente i
primi libri con cui ebbe una certa dimestichezza. Le analogie fra il brano
leonardiano e le annotazioni dei libri dabaco si possono vedere bene
confrontando il brano con un tipico problema abachistico, quale si presenta
sua forma classica: abbiamo preso quindi un problema qualsiasi, uno dei
tanti che si potrebbero citare, ripreso dal libro dabaco (Tractatus algorismi)
di Jacopo da Firenze secondo il codice Riccardiano 2236 (si tratta di un
semplice problema geometrico basato sullapplicazione del teorema di
Pitagora, ricondotto per, come era normale nei libri dabaco, a una
situazione di tipo pratico: la necessit di misurare la corda che scende da
una torre).

Una torre la quale alta 50 braccia et al piede di questa torre si uno


fosso lo qual ampio 30 braccia. Ora voglio porre (39r) una fune, overo
corda, chagiungha da lorlo del fosso infino in cima de la torre. Dimmi

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Sulla lingua di Leonardo: suoni, forme, parole

quanto sar lungha la detta corda. Fa cos. Die: per che 50 braccia alta
la torre, si multiplica 50 via 50, fanno 2500. Et per che 30 braccia alto
il fosso, sie multiplica 30 via 30, fanno 900. Et giungi insieme 2500 e
900, sono 3400. Ora truova radice di 3400, la quale 58 et 9/29. Et tanto
vuole essere lunga la fune chagiunga dallorlo del fosso infino in cima
alla torre, cio braccia 58 et 9/29 di di braccio. Et fatta.2

Lanalogia marcata anzitutto dal ricorrere di determinate formule


che scandiscono lorganizzazione testuale:
1) Si noti la formula che fa da cerniera fra la presentazione
dellargomento (Modo da ffare piasstre sottili di stagnio) o lesposizione del
problema () e la parte propriamente descrittiva. Nel brano leonardiano
tale formula data dalla frase Ma tien q(ue)sto modo, cui corrisponde, nel
problema, Fa cos.
2) Identica poi la formula di chiusura ed fatta, che in entrambi i testi
sancisce la fine del procedimento e la soluzione dei problema.
Se poi si guarda alla parte descrittiva del procedimento e alla
soluzione del problema, evidente che entrambe procedono attraverso un
andamento prescrittivo, scandito dalla serie incalzante degli imperativi,
sempre riferiti al lettore: da un lato tien, Abbi, rienpi, ttogli, fanne, ecc.; e
dallaltra Die, giugni, truova. Domina, in entrambi i testi, una costruzione di
tipo paratattico che privilegia la coordinazione rispetto alla subordinazione;
e spicca il larghissimo uso della congiunzione e (3, 4, 5, ecc.), che svolge la
sua funzione di connettivo per eccellenza, allinterno del periodo ma anche
in apertura di periodo.
Veniamo ora alla grafia. In questo brano scritto da un Leonardo non
ancora trentenne a colpirci non sono tanto certi usi grafici abbastanza
consueti per lepoca, come ad esempio luso di ch, gh per esprimere i suoni
velari anche davanti alle vocali a, o, u: chassetta (2), ffighurata (2-3), cholla
(4), fighurata (5), cchomponi (7), r[i]mangha (7), cholla (7-8), giungha
(10). O luso delle doppie ad inizio di parola, per esprimere il cosiddetto
raddoppiamento fonosintattico (cio un reale raddoppiamento che le
consonanti iniziali subiscono dopo i monosillabi cosiddetti forti e che la
grafia moderna non rileva): da ffare 1, ffighurata 2-3, e mminuti 3, e ttogli

2
Dal Codice Riccardiano 2236, carte 38v 39r : Jacopo da Firenze, Tractatus algorismi,
trascrizione A. Simi, Dipartimento di Matematica dellUniversit di Siena, 1995 Rapporto
Matematico n 287.

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3, ecc. Lelemento pi rilevante si coglie in absentia. Mi riferisco


allassoluta mancanza in questo brano, come in tutto il complesso delle carte
appartenenti al periodo giovanile, di grafie di stampo latino o latineggiante.
In unepoca come quella tardoquattrocentesca in cui losmosi volgare-latino
a livello grafico diffusissima e tende a riflettersi anche nelle scritture dei
meno colti, la totale esclusione delle grafie latineggianti un fatto davvero
notevole, che va segnalato, a ulteriore conferma di un tipo di formazione
priva di fondamenti umanistici, tutta ancorata a quegli ambienti come le
scuole dabaco o le botteghe dove si faceva un uso puramente strumentale
dello scrivere.
Passiamo ora alla seconda carta che ci offre un assaggio della lingua
leonardiana della maturit:

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Sulla lingua di Leonardo: suoni, forme, parole

Si tratta della carta 116r del primo codice di Madrid (8937 della Biblioteca
Nacional di Madrid). Questo codice stato composto nel periodo milanese
inoltrato ed attribuito agli ultimi anni del Quattrocento (presumibilmente
gli anni 1493-1497). Siamo quindi negli anni della piena maturit dello
scienziato e siamo anche di fronte a un testo che documenta uno stadio di
elaborazione formale fra i pi avanzati che si possano avere. Infatti le carte
del codice di Madrid ci restituiscono la fase pi avanzata di un libro
dedicato agli elementi machinali. Questi caratteri risultano evidenti anche
dallimpostazione della carta presa in esame, che tratta come si legge nel
titolo posto allinizio dei denti e llor diritture, ovvero del profilo dei denti
delle ruote in funzione del loro accoppiamento. Argomento quanto mai
arduo, che Leonardo affronta alla luce di un rigore teorico che mai prima si
era avuto. Dopo il titolo, si succedono una serie ordinata di annotazioni
(sette in tutto), due delle quali, al centro, sono affiancate da disegni di
grande raffinatezza. E anche la lingua, nella ricerca di un consapevole
intento comunicativo, ispirata ad un controllo superiore a quello che si ha
solitamente nei testi vinciani.
Prendiamo due di queste annotazioni, la terza e la sesta, che sono
sufficienti a darci unimmagine significativa del tenore linguistico. Esse
bastano a farci percepire come la lingua, mantenendosi fedele alle strutture
del fiorentino tardoquattrocentesco, abbia acquisito una notevole sicurezza e
una notevole capacit argomentativa. Nella lettura si tenga fin da ora conto
che con crenna si indica lincavo che c fra i denti di una ruota dentata, e
con charello si indica la minore delle due ruote dentate che compongono un
ingranaggio:

Quando il chontatto fatto dal meo della fronte del dente chol meo
della chonchavit della crenna che 'l ricieve sar fatto sulla propria linia
che ss'astende infra 'l cientro del charello e della rota, allora i lati di tal
dente no debbono ess(er)e tochi in nessuna parte dalli oppositi denti che
'l rinchiudano, ov(er) dai lati della crenna che llo ricieve.
[]
Tu, il quale desideri i moti p(er) via di rote dentate, sappi che inani che
hentri in tal /ci/cime(n)tatione, ti bisognia prima bene, ani
perfettame(n)te, sap(er)e achonpagniare la dentatura della rota cholla
de(n)tatura del suo charello, altreme(n)ti la tua faticha h vana.

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Nella prima annotazione si noter come lesposizione di un principio


teorico estremamente complesso proceda con sicurezza affidata ad un unico
periodo a struttura ipotattica (una subordinata di tipo temporale pi due
relative precedono la proposizione principale alla quale si lega unaltra
relativa).
Molto significativa, poi, la seconda annotazione, finalizzata ad
avvertire colui che di fatto si applicher alla costruzione di ruote dentate
dellassoluta necessit di conoscere i principi teorici appena esposti. Questa
annotazione assume dunque la forma di un appello al lettore, direttamente
introdotto dallallocutivo tu e ispirato a un tono di grave ammonizione. Qui
Leonardo si rivela in grado di gestire anche una certa strumentazione
retorica. Il tu che qui ricorre non il tu delle prescrizioni dei libri dabaco,
ma il tu della fictio dialogica della trattatistica medievale: rappresenta
quindi il recupero di un modulo dotto. Siamo ad un culmine di sostenutezza
stilistica, che si coglie anche nella scelta dei vocaboli, attraverso la voce
cimentatione che non pu non colpirci, se non altro per leco galileiana che
ci suggerisce. Come cimento, parola che sar poi usata da Galileo, anche
cimentazione ha il senso di esperimento, prova. Si tratta in entrambi i
casi di traslati che derivano da cimento (cemento) nel senso primitivo e
concretissimo di mistura usata dagli orafi per saggiare e purificare metalli
preziosi. Ma se cimento esperimento e il relativo verbo cimentare
sperimentare sono attestati fin dalla fine del Trecento, come si deduce dai
dizionari storici (Tesoro della Lingua Italiana delle Origini), la forma
cimentatione costituisce un hapax, di cui non si registrano altre attestazioni
n nellopera leonardiana n altrove. Non quindi azzardato pensare che la
creazione della voce sia dovuta a Leonardo stesso, che attraverso il suo
strenuo esercizio del vocabulizzare (penso naturalmente al codice
Trivulziano) ha imparato le regole della derivazione e ha identificato nel
suffisso -azione uno dei pi produttivi per la formazione dei sostantivi
astratti.
La voce cimentatione peraltro significativa anche dal punto di vista
puramente grafico in quanto, attraverso la scrizione etimologica ti per
laffricata alveolare, ci dimostra come la lingua leonardiana abbia ora
acquisito (e stabilmente acquisito dato che scrizioni simili sono
frequentissime) quelle grafie dotte che erano del tutto assenti nella fase
giovanile. E si pu notare anche come accanto a grafie autenticamente
etimologiche si hanno grafie falsamente ricostruite sul latino come hentri,
h, che per non sono necessariamente indicative di uno scarso grado di

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Sulla lingua di Leonardo: suoni, forme, parole

cultura, ma andranno ricondotte al dilagante gusto umanistico. E almeno per


quanto concerne i monosillabi come h (voce del verbo essere), he
congiunzione, ho congiunzione, luso dellh che affiora anche in altri testi
di area sia toscana che lombarda sembra legato anche allesigenza di
isolare e rimarcare delle forme dotate di una scarsa consistenza grafico-
fonologica.
Ho tenuto finora fuori dal mio discorso il grande tema della
terminologia tecnico-scientifica e vorrei quindi dedicare a questo tema,
centrale per chi scrive di scienza e di arte, lultima parte della mia relazione.
un tema enorme, anche questo, e per non perdermi nel labirinto mi
aggancer, anche qui, ai testi e a quanto ci documentano le annotazioni che
abbiamo letto dalla carta 116 r del codice di Madrid, e in particolare la
prima annotazione, che concentra in s un certo numero di termini tecnici
appartenenti al settore della meccanica pratica (oggi si direbbe piuttosto
della meccanica applicata).
Notiamo anzitutto alcune voci di uso comune che assumono un
preciso significato tecnico: dente, di cui si distingue la fronte (oggi si dice
piuttosto la testa) e il lato (ovvero il profilo laterale). Si tratta di termini
comuni, quotidiani possiamo dire, che, attraverso procedimenti di natura
metaforica, vengono ad acquisire un nuovo significato tecnico. Cos dente
dal suo significato primitivo, che tutti conosciamo, assume il senso di dente
di un ingranaggio. di questo tipo ed rimasta di questo tipo tanta parte
della terminologia della meccanica applicata, che un sapere venuto dal
basso, legata alla pratica artigianale.
Troviamo poi altre voci di natura pi prettamente tecnica, come
crenna e carello: crenna indica lincavo interno ai denti di una ruota in cui
si posizionano i denti di una ruota concorrente; carello indica la minore
delle ruote dentate che compongono un ingranaggio.
Nel caso di crenna, si deve muovere dal latino tardo CRENA che
voleva dire incavo, tacca, scanalatura. E qui con ogni probabilit siamo
di fronte a un lombardismo, una voce acquisita da Leonardo allorch venne
a contatto con gli ambienti lombardi. Perch se vero che il nucleo fondante
della terminologia meccanica leonardiana ha riscontro nellambiente
toscano dove lo scienziato si era formato e si era appassionato alla materia
(molto importante fu, come si sa, il contatto con le grandi macchine allestite
da Brunelleschi per la fabbrica del Duomo), non mancano interferenze e
acquisizioni dovute alla permanenza nellambiente lombardo. E qui siamo
di fronte ad una di queste. Ce lo dicono i riscontri che il termine ha in altri

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P. MANNI

testi. Propriamente il termine crenna non ha, almeno allo stato attuale delle
conoscenze, attestazioni precedenti a Leonardo, ma lo ritroviamo poco dopo
nel commento del milanese Cesare Cesariano alla traduzione del De
Architettura di Vitruvio, uscita a Como nel 1521: un commento che nello
sforzo di spiegare i termini latini vitruviani crea continui riferimenti alla
lingua delle botteghe e dei cantieri lombardi. E pi tardi compare nel
Prodromo del bresciano Francesco Lana, uscito a Brescia nel 1670 (siamo
sempre quindi in area lombarda). Resta invece privo di riscontri carello nel
senso leonardiano di ruota minore di un ingranaggio (nessun dizionario
storico o altro repertorio ce ne d attestazione). E qui cogliamo loccasione
per segnalare come pi volte la terminologia leonardiana non trovi adeguato
riscontro nei dizionari storici, che come si sa hanno unimpostazione
prevalente letteraria. Per ricostruire il retroterra dei termini leonardiani e
capirne la provenienza spesso occorre fare indagini pi ampie, pi
approfondite nellambito di una documentazione che sfuggita alla
lessicografia tradizionale.
comprensibile come la componente dotta, in un settore
eminentemente pratico come quello delle macchine, sia assolutamente
minoritaria; eppure se ne dovr cogliere la presenza anche nella misura
brevissima della nostra annotazione attraverso la forma contatto. Oggi
contatto una voce comunissima, ma quando, Leonardo parla di chontatto
fatto dal meo della fronte del dente chol meo della chonchavit della
crenna, usa un termine che allepoca era raro, un puro latinismo che viene
investito da un significato squisitamente tecnico.
Come avrete capito anche da questi pochi esempi, la terminologia
tecnica leonardiana costituisce un campo quanto mai vasto, problematico, e
ancora in gran parte da indagare. tuttavia doveroso che, a conclusione di
questa relazione, ricordi quanto stato fatto negli ultimi anni per lo studio
della lingua leonardiana sotto questo aspetto. Mi riferisco in particolare
alliniziativa del Glossario leonardiano, meritoriamente ideata da Romano
Nanni nellambito dellarchivio e-Leo, che si poi realizzata anche in
forma cartacea nei due volumi fin qui editi, presso leditore Olschki di
Firenze: un volume uscito nel 2012 dedicato alla meccanica, curato da me e
da Marco Biffi; e un volume uscito nel 2013 dedicato alla scienza dellottica
e della prospettiva nei codici di Francia, curato da Margherita Quaglino.
Altri volumi sono in preparazione Il modo con cui stato compilato il
Glossario, e i criteri con cui stata organizzata la scheda-tipo, si possono
vedere attraverso la scheda riprodotta relativa alla voce rocchetta:

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Sulla lingua di Leonardo: suoni, forme, parole

Unindagine su vasta scala come quella condotta per la redazione del

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P. MANNI

Glossario della meccanica, che raccoglie 350 lemmi, ci consente di fare


delle considerazioni generali sia sulla fisionomia del lessico utilizzato in
questa determinata branca del sapere, sia anche sullatteggiamento di fondo
che ispira Leonardo di fronte alla terminologia tecnico-scientifica nel suo
complesso. E quello che soprattutto mi sembra utile mettere in evidenza nel
poco tempo che mi rimane la grande attenzione che lo scienziato dedica
agli aspetti terminologici, nella consapevolezza che la scelta dei termini, la
loro chiarezza e la loro univocit, hanno un ruolo fondamentale nellambito
del discorso scientifico. Chi a questepoca si trova a scrivere di scienza in
volgare spesso non ha a disposizione una terminologia istituzionalizzata,
funzionale, riconosciuta. Di questo ben consapevole Leonardo che pi
volte sente il bisogno di soffermarsi sui termini da lui utilizzati per
precisarli, spiegarli, quando non addirittura per fornire una vera e propria
definizione. Laver incluso nel nostro Glossario, come abbiamo visto, una
sezione relativa agli esempi, che fa vivere il lemma nel suo contesto, ci ha
consentito di cogliere quanto siano diffusi questi interventi che diremo
metalinguistici. Essi talora si presentano nella forma pi semplice della
corrispondenza sinonimica, come ad esempio la rochetta ov(er) rota (67 v);
lle rochette ov(er) charelli (120 v); la fronte ov(er) testa della rocha (20 r);
stile ov(er)o alb(er)o (21 r); rotelle ov(er) girelle (36 v); un piolo ov(er)
birolo (87 v); Lotro, ov(er) baga, o voglian dire mantace (114 v). E si capisce
come la ricchezza sinonimica, qui, sia in realt una povert, un limite, perch
denuncia che ancora non stato selezionato un termine univoco e condiviso.

Ma si hanno anche interventi pi marcati, veri e propri procedimenti di


denominazione potremmo dire, procedimenti cio che istituiscono il
rapporto fra loggetto e il termine attraverso formule del tipo si chiama, si
dice, e simili. Si tratta in pratica di definizioni. Si prenda ad esempio questa
carta tratta dal primo codice di Madrid (carta 86 r, met superiore):

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Sulla lingua di Leonardo: suoni, forme, parole

Nellindicare quellorgano che trasforma il moto rotatorio in moto rettilineo


alternato, quellorgano che noi oggi chiamiamo biella, Leonardo sente la
necessit di fare una sosta per spiegare:

a n quel me(n)b(r)o che apresso alli ingiegnieri h detto il mezano,


p(er)ch propio mezo infra 'l manicho che llo move e lla chosa mossa da
lui (86r)

Qui lintervento metalinguistico arriva a dare una spiegazione che


potremmo dire etimologica. Notevole anche il richiamo agli ingegneri
dellepoca ovvero a quel mondo delle professioni da cui Leonardo attinge
tanta parte della sua terminologia. evidente la volont di dare una
legittimazione al termine, una legittimazione tanto pi necessaria in quanto
mezzano, come tanti altri termini della meccanica pratica, proviene da un
vocabolo comune, non tecnico. Dunque occorre dare uninvestitura nuova,
una rideterminazione semantica che sottragga termini come questo alla
banalit del loro significato comune e li battezzi come tecnicismi, li
trasformi cio da parole a termini.

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P. MANNI

Analogamente di fronte al termine servidore che nella carta 117r dello


stesso codice di Madrif indica una specie di elemento allungato che ha la
funzione di innescarsi alloccorrenza nei denti di una ruota e bloccarla,
Leonardo spiega:

E i sostentachulo che ssapogia ne denti di detta rota detto s(er)vidore,


p(er)ch a ttale rota obedisscie e ss(er)ve.

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Sulla lingua di Leonardo: suoni, forme, parole

Una definizione molto accurata, e a lungo pensata come mostrano alcuni


appunti preparatori in una carta dellAtlantico, accompagna lespressione
vite retrosa che indica una vite che unisce sul suo gambo due filettature
contrapposte (oggi si dice vite inversa):

Vite retrosa h detta quella, della quale le sue volte comi(n)ciano al meo
della sua lungea e da esso meo hequalmente si partano e poi finisscano
alli oppositi sstremi d'essa vite (58r).

Noi oggi sappiamo che le definizioni costituiscono un momento


importantissimo che contrassegna la nascita di un sapere che ambisce a
proporsi come scientifico. Non dunque un caso che la maggior parte delle
definizioni e degli interventi metalinguistici che abbiamo citato si trovino
nel codice di Madrid I, che ci offre la fase pi compiuta di un trattato
organico dedicato alle macchine.
Leonardo dunque presta grande attenzione alle scelte terminologiche e
sente la necessit, che sar poi essenziale per la scienza moderna, di poter
contare su termini precisi, sicuri, che consentano di cogliere con la massima
esattezza possibile gli oggetti e i fenomeni della natura e, al tempo stesso,
permettano una comunicazione chiara ed efficace, cosa a cui egli
massimamente teneva: no(n) fare come queli si legge in una nota del
codice Atlantico (549 v) che no(n) sapie(n)do dire una cosa p(er) lo suo
propio vochabulo, vanno p(er) via di circuitione e p(er) molte lungee
co(n)fuse.
Va detto comunque il termine, pur opportunamente definito, non viene
mai imprigionato nella sua specializzazione, ma resta libero, duttile,
disponibile per altri eventuali usi in ambito settoriale. La dilatazione del
termine sul piano semantico attraverso il moltiplicarsi delle accezioni appare
anzi ricercata da Leonardo in quanto capace di esprimere le molteplici
corrispondenze presenti nella natura e nelle sue leggi. Ce ne danno la prova
alcuni termini stessi della meccanica che vengono reimpiegati nel campo
dellanatomia. Polo che nella meccanica significa perno, cerniera, sar
poi utilizzato per descrivere le articolazioni del corpo umano; e lieva e
contrallieva, altri due termini tipici della meccanica, saranno usati anche a
proposito dei movimenti degli arti superiori e inferiori; e chiavatura
prender anche il senso di giuntura (della coscia, del piede, ecc.). E come
c il contatto fra organi meccanici, si parler di contatto fra i nervi.

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P. MANNI

A questa circolarit dei termini, che passano da un settore allaltro, si


lega in modo indissolubile il tema del tasso di innovazione della
terminologia tecnico-scientifica leonardiana: tema assai ricorrente e pi
volte sollecitato dalla domanda che, anche a livello vulgato, ci siamo sentiti
rivolgere dopo la pubblicazione del Glossario della meccanica. Il genio di
Vinci stato pure inventore di parole? In che misura egli stato ideatore
della propria terminologia tecnica? Certo, Leonardo anche in questo campo
fu un innovatore, ma risulta sempre pi evidente, via via che si
ricompongono i pezzi del suo grandioso sistema, che egli non ag tanto da
onomaturgo nel senso miglioriniano del termine, ovvero non coni parole
del tutto nuove, ma ag piuttosto sul piano della semantica dando nuovi
significati tecnici a vocaboli gi esistenti e trasferendoli da un settore
allaltro attraverso procedimenti di riuso e rideterminazione.
Certo che ancorata alla tradizione e duttile nellaprirsi al nuovo, la
terminologia tecnico-scientifica costitu per Leonardo una risorsa solida ed
efficace a cui affidare il suo descrivere.

I tanti v[o]cavoli nella mia lingua materna, chio m piutossto da doler


del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io
possa bene esspriemere il co(n)cetto della me(n)te mia.

si legge in una delle carte anatomiche della Royal Library di Windsor


(f. 19086r), dichiarazione famosa che esprime la profonda fiducia che
Leonardo ebbe nelle proprie risorse lessicali, la piena certezza di non
rimanere senza parole. E se si pensa che questa dichiarazione scritta nel
1513, a pochi anni dalla morte, non si pu non percepire in essa anche un
ultimo atto di omaggio di Leonardo quella lingua materna, che il volgare
fiorentino, che lo aveva accompagnato per tutta la vita e che, insieme col
disegno, gli aveva fornito i mezzi a cui affidare la sua immensa opera di
descrizione della natura.

Paola MANNI
Universit di Firenze

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