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LINGUA POTERE
LUSOFONIE
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Roberto MULINACCI
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lungi dal limitarsi a elaborare, quasi freudianamente, il lutto per la perdita della
sua grandeur imperiale, mirava comunque a farne sopravvivere lo spirito, riconvertendola in egemonia linguistica.
Pertanto, proprio allo scopo di sfrondarlo dai risvolti psicologistici, oltre che
ideologici, di cui la storia ha sovraccaricato il suo nucleo concettuale, ho preferito sostituire al singolare lusofonia il plurale lusofonie, nellintento di rimarcare,
perfino terminologicamente, lo scarto critico da quel principio di unit nella diversit che troppo spesso i filologi portoghesi e brasiliani hanno trasformato in
una specie di petizione di principio. Cos, la vexata quaestio delle variet nazionali della loro lingua, nonostante il riconoscimento delle oggettive differenze
che le separano, ha finito per soggiacere alla logica centripeta di una dogmatica
reductio ad unum, con il falso mito della grammatica comune assunto a vero e
proprio feticcio di ogni approccio storico al problema della variazione. Ecco
perch, senza cadere nellestremo opposto, esasperando centrifugamente gli effetti di deriva nel portoghese contemporaneo, vorrei invece partire da una equidistanza analitica in grado di far dialogare sincronia e diacronia in un quadro di
riferimenti teorici condivisi.
A cominciare da quella nozione di lingua, la quale, nonostante sia spesso fatta riduttivamente coincidere con il complesso delle sue regole grammaticali e
da cui, tra laltro, discende anche lovvio corollario dellapparato valutativo-sanzionatorio messo in atto dalla scuola 2 contro le trasgressioni della norma
devessere necessariamente reintegrata nella sua fondamentale dimensione sociale e politica, in quanto specchio dellidentit di un popolo, anzich puro e semplice strumento di comunicazione. Ne consegue che ostinarsi a identificare tout
court il portoghese con linsieme delle possibilit astratte offerte dallomonimo sistema linguistico rischia forse di far perdere di vista il valore storico e culturale
per tacere di quello simbolico delle sue concrete attualizzazioni normative nellambito delle principali comunit nazionali.
Se creare automatiche equivalenze tra lingua ufficiale e lingua nazionale
(nel senso di lingua materna) sempre sconsigliabile anche in contesti apparentemente meno problematici quali lItalia, dove comunque, la linea di demarcazione tra italofoni e dialettofoni risulta tuttora attiva, a dispetto delle percentuali statistiche nettamente a favore dellitaliano si pu dunque immaginare il
grado di aleatoriet insito nelle disinvolte sovrapposizioni tra lingua ufficiale e
lingua nazionale in realt plurilingui. il caso dei Palop (Paesi africani di lingua
ufficiale portoghese), nei quali non solo esiste una pluralit di lingue nazionali
diverse dal portoghese e rispetto ad esso largamente maggioritarie, ma in cui lo
stesso portoghese presenta variet locali distinte da quella standard usata a livello istituzionale. Dire insomma che in tutti i paesi membri della lusofonia si parla
portoghese, pi che impropria, unaffermazione incompleta. Oltre a non tene-
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re in debito conto i rapporti di forza interni alle singole aree e tra i vari idiomi
di volta in volta concorrenti, essa omette di precisare la natura del suo oggetto,
omogeneizzando dallesterno, sulla base di un modello linguistico artificiale (e
perlopi importato), norme e variet troppo eterogenee per prestarsi a simili
semplificazioni.
Il portoghese del Portogallo e quello del Brasile sono la stessa lingua? Il
portoghese africano rientra davvero in ununica categoria onnicomprensiva, priva di distinzioni geografiche? E Timor Est? Siamo sicuri che possa essere considerata una nazione lusofona? Ebbene, la risposta forse pi pertinente a tutte
queste domande : Dipende. Dipende da quale concetto di lingua si assume
a parametro di riferimento. Se la discriminante la lingua ufficiale, quella standardizzata delle istituzioni pi che quella dei media sensibile, malgrado certe
recrudescenze di vetero-purismo, agli inevitabili fenomeni di nativizzazione allora non c dubbio che si possa rispondere positivamente alla filza di interrogativi retorici test citati. Solo che una lingua fatta per essere parlata pi che
scritta. Ed ecco riproporsi, nella loro assoluta fondatezza, le ragioni intrinseche
di quelle domande, a cui spero di offrire risposte un po meno ovvie di quanto
sia lecito attendersi.
Intendiamoci: so perfettamente, e lho gi scritto altrove 3, che lusofonia
unetichetta di comodo, chiamata a dare compattezza descrittiva a un universo
linguisticamente frastagliato. E da questo punto di vista non nego neppure che
la parola assolva con sufficiente pertinenza, faute de mieux, a tale primario
compito di nominazione. Essa si rivela per palesemente inadeguata quando si
tratti, appunto, di far combaciare i nomi e le cose. Giacch al nome portoghese non corrisponde sempre lo stesso referente nei molteplici spazi culturali dove si trova ad essere declinato, tanto da richiedere spesso un supplemento di
designazione mediante il ricorso ad attributi geografici (portoghese europeo,
portoghese brasiliano, portoghese mozambicano eccetera). Lunit glottonimica
implicita nel nome comune di lusofonia si sfalda nei nomi propri in cui si articola internamente linsieme delle variet del portoghese, demandando cos alla
geografia la responsabilit di supplire alle titubanze epistemologiche dellapproccio linguistico.
Da qui lopzione per quellinsolito plurale di matrice saramaghiana, le lingue portoghesi, con cui intendo affrontare lanalisi geopolitica dellattuale policentrismo lusofono. A partire dal riconoscimento previo della significativa, insopprimibile variabilit che caratterizza oggi il portoghese diffuso nel mondo e
che in modo non dissimile da altre lingue internazionali come linglese (ma il
discorso vale in generale anche per lingue di minor proiezione geopolitica, tipo
il tedesco) ne rende ormai impropria una trattazione in termini unitari.
3. Cfr. R. MULINACCI, Della lusofonia: itinerari di una presenza tra passato e futuro, in A Lngua em
Mil Pedaos Repartida. Sulla divulgazione della letteratura lusofona in Italia, a cura di V. TOCCO e
M. LUPETTI, Pisa 2010, Edizioni Ets, pp. 13-22.
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Di solito, quando ci si riferisce a una lingua, si comincia col fornire i dati utili al suo inquadramento nel contesto linguistico internazionale: dove si parla e
quanti sono, grosso modo, coloro che la parlano. Una specie di carta didentit
con cui la lingua si presenta al mondo. Non voglio certo sottrarmi a questa necessaria incombenza informativa. Vorrei per cercare di renderla un po meno
ovvia e scontata di quel che appare normalmente nella sua formulazione essenziale, allargando i contorni di una geografia linguistica la cui intrinseca complessit rischia altrimenti di sfuggire al lettore non specialista. Se infatti la vecchia regola una lingua, un popolo e una nazione divenuta ormai da tempo uneccezione su scala globale, ci non significa che la nuova regola delle lingue condivise da popoli e nazioni diverse abbia risolto demble il problema delle implicazioni territoriali di quel rapporto.
Si prenda, per esempio, loggetto di questo articolo, il portoghese, che rientra nel novero delle cosiddette languages of wider communication. Lingue, cio,
distribuite in pi regioni e continenti, allinterno dei cui singoli Stati esse svolgono frequentemente anche funzioni di lingue ufficiali, non soltanto per popolazioni di parlanti nativi. Anzi, nella fattispecie, lutilizzo del portoghese in veste ufficiale avviene, in maggioranza, proprio nellambito di aree plurilingui, ovvero nelle quali i suoi parlanti madrelingua convivono, per giunta in condizioni di inferiorit numerica, con quelli delle varie lingue etniche locali. Come dimostrano
anzitutto Angola e Mozambico in cui spetta inoltre al portoghese anche lo status di lingua veicolare oppure la Guinea-Bissau e Timor Est. Altre volte, invece,
come a Capo Verde e a So Tom e Prncipe, il portoghese coesiste con il creolo
(o i creoli) in un sostanziale regime di bilinguismo, ancorch senza parlanti
esclusivi e con interessanti sfumature diglossiche (tra macrodiglossia e microdiglossia) per quel che concerne gli specifici domini duso. Ebbene, degli otto
paesi che compongono la cosiddetta Lusofonia (Angola, Brasile, Capo Verde,
Guinea-Bissau, Mozambico, Portogallo, So Tom e Prncipe, Timor Est), sono
appena due quelli in cui il portoghese risulta come lingua effettivamente nazionale, oltre che ufficiale: Portogallo e Brasile. In tutti gli altri, la presenza del portoghese, almeno in quanto lingua materna, si attesta su bassi indici percentuali,
compresi tra il 5 e il 40% dellintera popolazione.
Poco importa che questo squilibrio sia compensato dal fatto che Portogallo e
Brasile rappresentano da soli la parte pi consistente demograficamente parlando dellenorme contenitore linguistico cui appartengono, ospitando oltre
200 dei suoi complessivi 235 milioni di abitanti attuali. Quello che conta, da un
punto di vista strettamente geopolitico, piuttosto che sei Stati su otto presentino
situazioni di alloglossia latentemente o potenzialmente conflittuali, bench il tipo
e lintensit dei conflitti tra le lingue in contatto vari a seconda dei differenti territori. Non dobbiamo pensare per forza a tali conflitti in termini drammatici, di vera e propria guerra tra entit statuali o militari contrapposte e di cui la lingua sa-
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rebbe ancora una volta un emblematico riflesso. Sebbene ci sia stato qualcosa di
simile perfino nel recente passato di alcuni paesi membri della Lusofonia 4, oggi
nessuno di essi sembra correre di questi rischi. Non a caso ho parlato di stato di
latenza o, al massimo, di potenza come quello che meglio identifica la conflittualit linguistica attuale di questarea. Ma latente non significa inesistente, n
potenziale ha qui il valore di impossibile.
Tra laltro, non che poi Portogallo e Brasile siano completamente immuni
da situazioni del genere, dato che neppure l, a voler essere rigorosi, vige il monolinguismo assoluto. Solo che le tensioni a cui si trova sottoposto il portoghese
a Lisbona o a San Paolo ossia, le tensioni pi o meno tipiche delle moderne
societ multiculturali, dal bilinguismo da emigrazione alle questioni delle minoranze linguistiche (come ad esempio quelle storiche, legate alle lingue indigene
in Brasile, che la costituzione del 1988 ha finalmente elevato al rango di lingue
nazionali, soggette a specifici piani di tutela) non sono minimamente comparabili con quelle delle propaggini in Africa o Asia. Dove, per contro, agli eventuali problemi connessi allallargamento delle sfere dinfluenza di altre grandi
lingue europee in contesti gi non egemonicamente lusofoni (come linglese in
Mozambico e a Timor, oppure il francese in Guinea-Bissau), si sommano i problemi reali di quella che rimane perlopi una lingua seconda, appresa quasi
esclusivamente a scuola e non di rado estranea al repertorio linguistico delle comunit di parlanti autoctone. Nonostante di fronte alla profonda frammentazione linguistica di quelle aree il portoghese assolva anche al compito di garantire
relativa stabilit politica 5, al punto da configurarsi in Mozambico addirittura
come simbolo di unit nazionale 6, resta il fatto che proprio la sua ancora parziale diffusione geografica e sociale (che la riduce a lingua essenzialmente urbana, elitaria, maschile e giovanile) non solo rischia di mettere a repentaglio quellunit, ma finisce altres per limitare fortemente i diritti di cittadinanza di ampie
fasce della popolazione.
Non stupisce che proprio al fine di favorire una maggiore integrazione delle
loro variegate componenti etniche e sociali allinterno del progetto di nazione
postcoloniale, alcuni Stati di questa Lusosfera abbiano deciso di adottare o prevedano di farlo come lingue ufficiali, a fianco del portoghese, le lingue nazionali. il caso del ttum a Timor Est e soprattutto del creolo capoverdiano, la cui
auspicata, futura parificazione rispetto al portoghese verrebbe a sancire, pi che
un preciso impegno costituzionale, il riconoscimento della sua assoluta premi4. Penso a Timor Est, la cui invasione da parte delle truppe indonesiane (avvenuta il 7 dicembre
1975) segna il passaggio del piccolo Stato asiatico sotto il dominio di Giacarta fino al 1999, periodo
durante il quale, alla violenta repressione delluso del portoghese ha fatto pendant limposizione del
bahasa indonesia come lingua dellinsegnamento e dellamministrazione.
5. A. JORGE LOPES, O portugus como lngua segunda em frica: problemticas de planificao e
poltica lingustica, in Uma Poltica de Lngua para o Portugus, a cura di M.H. MIRA MATEUS, Lisboa
2002, Edies Colibri, p. 23.
6. G. FIRMINO, A Questo Lingustica na frica Ps-Colonial. O Caso do Portugus e das Lnguas
Autctones em Moambique, Maputo 2002, Promdia.
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Popolazione
% lusofoni
Tot. lusofoni
ANGOLA
BRASILE
CAPO VERDE
GUINEA - BISSAU
MOZAMBICO
PORTOGALLO
SO TOM E PRNCIPE
TIMOR EST
TOTALE
14.900.000
187.464.211
508.900
1.565.000
19.696.234
10.564.541
159.250
949.750
235.807.886
40 %
99,7 %
40 %
5%
6,5 %
96 %
20 %
6%
5.960.000
186.901.818
230.560
78.250
1.280.255
10.141.960
31.850
56.985
204.681.678
E qui sta il punto: limitarsi a una visione brutalmente semplificata di una lingua, qual quella che si riduce ai dati spaziali e quantitativi, pu far incorrere in
errori di prospettiva. La vera grandezza di una lingua, quel valore aggiunto a cui
sono affidate, in qualche misura, le sue chances di successo nellagone mondiale,
non deriva unicamente dalla demografia, bens da una complessa concomitanza
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7. Nel suo saggio Cabo Verde Ir Escola em L2 (in Lngua Portuguesa e Cooperao para o Desenvolvimento, a cura di M.H. MIRA MATEUS e L. TEOTNIO PEREIRA, Lisboa 2005, Edies Colibri, p.
123), Mafalda Mendes cita la testimonianza dello scrittore capoverdiano Tom Varela, secondo il
quale il creolo sarebbe usato a volte addirittura dai deputati dellAssembleia Nacional nellambito
delle sedute parlamentari.
8. C. MARAZZINI, Litaliano nellepoca della globalizzazione, in Quaderns dItali, n. 8/9, 2003/2004,
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di fattori descritta in un celebre articolo di George Weber (1997) 9. Tra i quali figurano sia il peso economico dei paesi che usano quella lingua sia il prestigio
socio-culturale della stessa (a cui si riallaccia, in fondo, anche un altro parametro
fondamentale: quello dei locutori che la parlano come lingua seconda). interessante notare come, a distanza di oltre dieci anni, i sei criteri cardine di quellindice di valutazione delle lingue non solo risultino ancora sostanzialmente validi sebbene, nel 2007, un altro grande linguista, Louis-Jean Calvet 10, ne abbia
proposto indirettamente una corposa integrazione, che nulla toglie alle felici intuizioni del predecessore ma sembrino dare esiti pressoch analoghi a quelli
originari, con il portoghese sempre relegato in ottava posizione, a fianco del
giapponese.
Ora, quantunque non sia peregrino immaginare che George Weber in persona potrebbe forse oggi sottoscrivere lavvenuto sorpasso del portoghese sul concorrente nipponico in questa speciale top ten delle lingue pi influenti al mondo,
credo che ci si dovrebbe tuttavia imputare non tanto a impennate nella consistenza numerica dei lusofoni, madrelingua o bilingui, quanto alla maggiore crescita economica e culturale delle loro molte patrie, in primo luogo il Brasile. Non
per niente, proprio al gigante sudamericano che Weber faceva riferimento nel
suo saggio, quando trattava del portoghese (sempre espressamente qualificato
dallattributo Brazilian). Certo, i grafici di Weber relativi al portoghese risentono
di stime consapevolmente parziali, legate appunto allopzione selettiva per la variet brasiliana, il che pregiudica ulteriormente la rappresentativit di quei risultati a livello di insieme. Ma non il rango, alto o basso, del portoghese che mi
preme discutere, bens i fattori, massime extralinguistici, che presiedono alla sua
classificazione tra le principali lingue internazionali. E qui bisogna ammettere
che, pur con tutti i suoi limiti, lanalisi di Weber coglieva nel segno ad additare
nel portoghese brasiliano lelemento trainante della lusofonia, giacch individuava nel fattore Brasile, inteso come potenza economica e politica in ascesa, il
maggiore volano del prestigio linguistico di quellarea. In altre parole, sarebbero
i quasi 190 milioni di brasiliani, nelle vesti di nuovi attori di spicco della globalizzazione, a tenere alta la bandiera del portoghese di oggi e sicuramente di domani, le cui legittime ambizioni di protagonismo, non solo su scala regionale,
passano ormai pi dallAmerica Latina che dallEuropa (o dallAfrica). la legge
dei numeri, e in particolare del mercato, a decretarlo.
Sar pur vero, insomma, secondo quanto scrive Jos Palmeira 11, che il progetto geopolitico lusofono ha come asse strategico il triangolo costituito da Portogallo, Brasile e Angola, ma certo non si pu negare che sia un asse decisamen9. Di cui disponibile adesso anche la versione online (www.andaman.org/BOOK/reprints/weber/rep-weber.htm), rivista dallautore e aggiornata al maggio 2008.
10. Le poids des langues: vers un index des langues du monde, testo presentato nel corso dellEncontro Internacional do Gt de Sociolingustica da Anpoll, tenutosi presso la Puc di Rio de Janeiro
(31/7-3/8/2007).
11. J. PALMEIRA, Xeoestratexia lusfona na era global, Tempo Exterior, n. 12 (segunda poca) gennaio-giugno 2006, p. 19.
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12. Il dato, da rivedere forse un po al ribasso, considerato il minor numero di parlanti nativi presi a
riferimento, tratto da P. BAKER, J. EVERSLEY, Multilingual capital, London 2000, Battlebridge Publ.
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ricani e sudafricani, siano da liquidare con lanalogo disincanto che un nostro illustre linguista riservava (forse un po sprezzantemente) agli albanesi e nordafricani sensibili al fascino dellitaliano, traendone lanaloga conclusione absit iniuria verbis che quel tipo di fascino, su masse povere e diseredate, non d prestigio internazionale alle lingue 13. Sta di fatto che le magnifiche sorti e progressive della lusofonia non possono prescindere dallavanzata anche in meridiani
culturali come quelli suddetti, forse apparentemente meno nobili dei corrispettivi
europei, ma di rilevanza strategica cruciale in questo risiko linguistico di dimensione ormai planetaria.
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scaturita dal Big Bang dellomonima ex nazione imperiale e perfino degli sforzi
promozionali della sua concreta incarnazione statuale (il Portogallo, appunto,
ma con la maiuscola) 15 sconta in Europa diverse debolezze. Quelle croniche
di questantica finis terrae continentale, quali leconomia, la demografia, la marginalit geografica eccetera. Ma anche il penalizzante confronto con la storica
rivale iberica, quella Spagna che gli anni della movida postfranchista hanno trasformato nel miglior spot pubblicitario possibile soprattutto per la propria lingua, assurta rapidamente a unica vera alternativa romanza al tramontato universalismo del francese.
Cos, se la partita geopolitica del portoghese si gioca, oltre che sui banchi di
scuola, anche su fattori meno palpabili (rispetto a quelli politici, economici e territoriali) quali sono le valutazioni di importanza attribuite dai parlanti alle singole
lingue, fondate su criteri di giudizio spesso non disgiunti dal senso comune, il
successo del Portogallo quale promotore europeo del portoghese dipender molto anche da come sapr sfruttare la sua rendita di posizione lusofona. Ci nel
quadro di un collateralismo strategico col Brasile che ha gi trovato un primo,
ambizioso banco di prova nella richiesta congiunta di inserimento del portoghese
tra gli idiomi ufficiali dellOnu. Solo che su questa presunta lobby politica lusobrasiliana continua a gravare, per lappunto, quella moderna questione della lingua che ha spaccato le due sponde dellAtlantico fin dallOttocento e che nel
corso di una storia ormai davvero secolare, iniziata nel 1911 16 tende periodicamente a materializzarsi sub specie ortografica, sulla scia delle varie proposte con
cui, da una parte e dallaltra, si cercato di far illusoriamente convergere, almeno
nello scritto, ci che il parlato ha irrimediabilmente diviso.
Traguardate da questa angolatura prospettica, le polemiche non ancora sopite che hanno accompagnato, soprattutto in Portogallo, lentrata in vigore (1 gennaio 2009) dellultimo accordo ortografico, presentato alla stregua di unulteriore
resa incondizionata alla brasilianizzazione selvaggia del portoghese contemporaneo, sono la riprova pi lampante non solo della persistenza di certe anacronistiche velleit egemoniche di Lisbona sulla propria lingua ma anche di come il
principale fronte geopolitico della lusofonia del XXI secolo coincida sostanzialmente con quello interno.
Solo se la lingua portoghese riuscir a sfuggire al paradosso geopolitico che
la sovrasta e a integrare davvero paritariamente, dentro di s, le due norme in
cui si articola il suo spazio simbolico attuale sottraendo, cio, la norma brasiliana a una storica subalternit nei confronti di quella europea, ma senza rovesciarla in una nuova asimmetria solo in questo modo, forse, la comunit immaginata dei lusofoni potr aspirare a diventare finalmente una comunit reale.
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