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Dies Academicus
Padova, 2 marzo 2010
Prolusione di Francesco Botturi
CHI LUOMO PERCH TE NE PRENDA CURA?
RIFLESSIONI SULA DOMANDA EDUCATIVA
Educazione ed esperienza
Qual il termine di riferimento fondamentale dellidea di educazione? Una costellazione di concetti
accompagna lidea di educazione (tradizione, formazione, libert, autorit, valore, virt, ), ma dal punto di
vista antropologico, che il nostro, sembra piuttosto che esperienza sia lidea pi strettamente correlata. A
che cosa propriamente si educa, infatti, se non allesperienza, al far esperienza, a fare autenticamente
esperienza ed esperienza secondo verit? Mi sembra che lidea di esperienza aiuta a cogliere la portata
antropologica globale delleducazione, salvandola da una sua interpretazione riduttiva. Perci compio tale
scelta, con lintenzione di fare una proposta, che spero pi allaltezza dellattuale sfida educativa.
Esperienza, infatti, non sinonimo di soggettivismo, ma di sintesi antropologica del soggettivo e
delloggettivo, del singolare e del trascendentale; lidea dinamica delluniversale concreto antropologico,
lidea della struttura antropologica del chi del quale leducazione si prende cura.
Per questo ritengo che la questione dellesperienza sia anche il luogo genetico dellinedita difficolt e
urgenza (emergenza) in cui viene a trovarsi oggi lidea educativa e la sua pratica. Ed esperienza, daltra
parte ancora, rinvia al livello dal quale solamente ragionevolmente possibile un lavoro immediato nella
condizione di crisi di oggi e una ripresa coerente del progetto educativo domani.
Unit dellesperienza
Che cosa da intendersi per esperienza? Vi esperienza, se si d unit dellesperienza, cio se si d un
accadere a) dotato di unit di vissuto, unificato e qualificato dalla coscienza di contenuto e datto, dal sapersi
cio del contenuto e dal sapersi dellatto con cui si d esperienza; se si d un accadere b) dotato di unit di
senso, cio dellunit in riferimento a un significato in grado di comprendere molti significati inferiori, un
metasignificato partecipato da molti significati (come un viaggio verso d senso a molte conoscenze,
incontri, ecc. o viceversa un incontro d senso a un viaggio, ecc.). Pi ampiamente, senso vuol dire
significato e direzione, capacit di dare un nome alle proprie esperienze ed esigenze, azioni e relazioni, entro
un ordine pi vasto che orienta il progetto e aiuta la valutazione dellagire; per cui senso e il correlativo
dar senso (Sinngebung) rendono possibile lunit dellesperienza.
Dunque, coscienza (che istituisce lunit di vissuto dei significati) e senso (che istituisce lunit dei
significati) costituiscono il lato soggettivo e oggettivo dellesperienza in quanto unificata. I due lati, daltra
parte, si qualificano reciprocamente: si tratta del vissuto di senso e di un senso vissuto, n luno n laltro
mai puramente soggettivo o puramente oggettivo; per cui lesperienza sempre insieme Erlebnis e
Erfahrung. Esperienza, dunque, come sinonimo del vivere consapevole in quanto dotato di senso, fornito di
connessione interna e di direzione intrinseca; vissuto cio, significativo perch in se stesso connesso,
direzionato perch orientato nelloltre di se stesso, dinamico perch agto. Di qui il fatto che lesperienza non
mai neutra, ma ha sempre valore, cio appartiene in prima istanza allordine pratico e riguarda lagente
nel suo insieme, come totalit soggettiva in gioco nel suo fare esperienza.

Il nesso, poi, tra vissuto e senso dato, segretamente, dalla libert: il vissuto, infatti, implica ci che mio
e rinvia a quel mio per eccellenza che latto di libera scelta; mentre il senso prende rilievo a sua volta in
base a ci che del contenuto dellesperienza appare pi rilevante per la libert stessa: il viaggio e lincontro
sono significati comprensivi e qualificanti, perch rilevanti per la libert in gioco nellesperienza in atto
dellagente.
Fare esperienza: razionalit dellesperienza
Lesperienza dunque costituita secondo la regola hegeliana della mediazione dellimmediato 1.
Lesperienza come mediazione dellimmediato significa due cose. Anzitutto la sua composizione di
oggettivo e soggettivo, di dato e di costruito, di necessitato e di libero. In secondo luogo, di conseguenza, tale
composizione afferma che, entro le condizioni date, c esperienza solo nella misura in cui si fa esperienza;
lesperienza esiste solo come fare esperienza. Essa, quindi, esige una competenza che non pu essere
attribuita o trasmessa, ma che esiste solo come propriet dellessere soggetto: soggetto precisamente chi ha
la competenza di fare esperienza, cos come, insieme, chi assoggettato alla necessit di fare esperienza.
Esperienza dunque esercizio del logos, in cui una certa datit antropologica e mondana elaborata con
coscienza e secondo un senso e tramite una qualche misura di libert. Esperienza e pensiero costituiscono
perci un binomio originario e inscindibile, contro ogni esperienzialismo irrazionalista e contro ogni
razionalismo intellettualista: lesperienza sempre esperienza (in virt) di pensiero e il pensiero sempre
pensiero (nellorizzonte) dellesperienza. Lesperienza, nel suo significato pi compiuto, un vissuto
sapiente e un sapere vissuto e il pensiero, a sua volta, il modo unificante (quanto alloggetto) e integrante
(quanto alle diverse dimensioni del soggetto) lesperienza da parte del logos.
Il pensiero dellesperienza da intendersi, dunque, secondo la pi ampia gamma antropologica, dalla
coscienza alla determinazione intellettuale del senso, dalla percezione sensibile e immaginativa allesercizio
argomentativo del ragionamento. Pluralit antropologica essenziale allesperieza e, quindi, oggetto di diritto
di inziativa educativa.
Far fare esperienza: fiducialit dellesperienza
Lesperienza lambito della singolarit, del vissuto in quanto mio. Tuttavia essa non un luogo
solipsistico, al contrario lambiente della relazione e della fiducia. Ci si evidenzia fenomenologicamente
dal fatto che il linguaggio dellesperienza tipicamente quello della narrazione. Il vissuto sensato, di cui
consta lesperienza, pu contenere anche momenti argomentativi, ma nel suo principio e nel suo insieme non
pu che essere raccontato, come linguaggio di una testimonianza o di unattestazione. Anzi, il racconto
latto con cui lesperienza si costituisce compiutamente. Il racconto il discorso che d compiuta unit e
coerenza di senso a eventi e che fornisce unidentit al soggetto che, narrandola, si narra in essa.
Se ogni racconto costituito inizia una sua (piccola o grande) tradizione, cio un vincolo che predispone e
condiziona lulteriore possibile esperienza, prima ancora appartiene per sua stessa natura a una storia
precedente, a una qualche tradizione di racconti. In effetti, prima che inizi un nostro racconto, siamo stati gi
raccontati da altri. Il nostro raccontare da sempre stato preceduto anzitutto dal racconto di chi ci ha portato
in grembo e di coloro che si sono presi cura di noi. Il nostro stesso nome stato raccontato prima che noi
venissimo allesistenza ed esso parte di un racconto familiare, a sua volta preceduto da altri racconti, parte
di un racconto culturale pi vasto, al modo di unintersezione sincronica di linee e di una serie diacronica di
cerchi concentrici.
In questo senso si pu dire che lesperienza nasce dallascolto. Nessuna esperienza inizia con unoriginalit
assoluta, ma prende vita allinterno di una tradizione di racconti antecedenti, che forniscono categorie
interpretative e attivano la capacit di fare esperienza. Infatti, se la competenza di fare esperienza intrinseca
al soggetto, labilit acquisita e la pertinenza va educata. Cos, paradigmaticamente, linventiva del
bambino messa in movimento dal racconto che la anticipa e la sua esperienza si struttura nellorizzonte del
racconto che di lui fanno i suoi genitori e le figure adulte importanti.
In tal senso, si diventa soggetti di esperienza attraverso un certo assoggettamento allesperienza altrui,
purch ci significhi essere accolti da narrazioni e accogliere racconti che non siano perversi modi di

Cfr. Enciclopedia delle scienze filosofiche, parr. 65 e 66, ed it. Laterza, Bari 1973, pp. 74 e
75.

imprigionamento dellesperienza: il buon racconto predispone e muove le capacit di fare a propria volta
esperienza.
Non esiste, perci, il punto zero dellesperienza quanto al suo contenuto, perch essa prende avvio
allinterno di una tradizione o comunque di un contesto gi sempre in atto. Come L. Pareyson dice della
libert umana, cos si pu dire anche dellesperienza di ciascuno, che non mai n pura ripetizione daltri, n
pura novit, ma sempre una iniziativa iniziata 2.
Il fare esperienza si colloca dunque nel contesto di un far fare esperienza, che non obietta in nulla alla
singolarit del fare esperienza, ma ne evidenzia invece lintrinseca relazionalit. La capacit di fare
esperienza, originaria nel soggetto umano, deve anche essere attivata; la forma dellesperienza deve essere
trasmessa affinch la forma ricevuta solleciti e insegni a dar forma alla nuova esperienza. Lesperienza ha
perci anche un essenziale significato generativo: la vita umana procede per connaturalit coinvolgente e
insieme differenziante e perci solo lesperienza suscita esperienza e genera luomo alla capacit di
compierla nel suo modo proprio e differente. Per questo nulla sostituibile alla capacit attivatrice e
comunicativa di una sintesi vivente dellesperienza, che si rivolga ad altri perch questi sia messo in grado
compiere a sua volta la propria.
In ci si gioca linevitabile dialettica del riconoscimento tra soggetti, listituirsi della loro identit, il
determinarsi della loro libert, il rischiarsi della loro fiducia. La relazione educativa appartiene a questo
universo antropologico, come iniziativa normale e specifica di attivazione, collaborazione e cura della
competenza di esperienza, innanzitutto rivolta alle nuove generazioni.
Scissione dellesperienza
Si parla di post-modernit per indicare lorizzonte culturale delloggi, come qualcosa che non ha rilevanza
solo per la filosofia, ma riguarda lorientamento diffuso della mentalit, il senso comune condiviso e una
certa sensibilit valoriale. Il cuore della sensibilit post-moderna sta nella crisi della fiducia, tipica invece
della moderna, nella capacit razionale di intendere e dominare lintera realt, di interpretarla secondo
categorie universalistiche e di condurla per questa via verso esiti onnicomprensivi e migliori; nella
convinzione presupposta che esiste una fedelt alla ragione che porta in s la garanzia di un dominio
benefico sul mondo, di unorganizzazione valida della societ, di un reggimento felice della cosa pubblica.
La critica interna di questa ragione e le tragiche sconfitte della storia del XX secolo hanno indotto una
revisione radicale della pretesa totalizzante della razionalit moderna. Ci che resta a processo consumato
una condizione frammentaria dellesperienza, e perci tendente allentropia esperienziale. La ragione postmoderna non crede pi ai grandi racconti come ha detto paradigmaticamente F. Lyotard , che danno
senso unitario allesperienza e accetta, di conseguenza, che ogni ambito dellesistenza vada per proprio
conto, godendo della sua finitezza secondo i propri criteri interni, senza alcuna garanzia di verit e di valore.
Ontologia ed etica della finitezza senza fondamento sembrano costituire cos lorizzonte culturale pi
condiviso delloggi, al di sotto e al di l del pur accentuato pluralismo contemporaneo.
In breve, nellet del nichilismo si radicalizza la difficolt a dare al vissuto la forma di
unesperienza reale in prima persona, come vissuto sensato dotato dei caratteri di una
totalit unificata, dinamica e aperta. La condizione delluomo contemporaneo non
favorevole al fare esperienza, ma favorisce la scomposizione degli elementi
costitutivi dellesperienza umana in forme di esperienzialismo e di emotivismo, di
tecnicismo o di estetismo, di esteriorismo pragmatico o di interiorismo spiritualista,
ecc. Non solo come forme alternative, ma in modo tipicamente postmoderno come
antinomie compresenti e vissute aproblematicamente, in una sorta di non sense
esistenziale.
Pu essere utile ricordare alcuni aspetti palesi di tale situazione. La scomposizione di ragione e affetti oggi
forse il principale ostacolo al comporsi dellesperienza. La scissione tra razionalit calcolante (tecnologicoscientifica ed economica) e vissuto affettivo ed emotivo sembra essere una condizione normale delluomo
contemporaneo, ai suoi differenti livelli sociali e culturali, in particolare nello stile di vita giovanile o
giovanilistico. Si d in tal modo una fatale separazione di emozione e razionalit, una catastrofe
emotiva, afferma D. Kamper che nessuna precedente epoca dellumanit ha conosciuto in forma cos

L. PAREYSON, Ontologia della libert. Il male e la sofferenza, Einaudi, Torino 1995, pp. 15-17.

acuta, [che] conduce a una dolorosa e sorda anti-logica, da un lato, e dallaltro lato a una vuota logica
formale che si ripercuote sulle emozioni secondo lo schema del dominio e dello sfruttamento 3.
Questa giustapposizione di ragione calcolante e di affettivit emotiva ben rappresentata oggi dal duplice
trattamento che il corpo umano riceve: da una parte esso corpo tecnologico, oggetto di sperimentazione e
di manipolazione, dallaltra corpo di desiderio, vissuto e pubblicizzato come sacrario della soddisfazione
privata e dellautoesaltazione erotica ed estetica.
Tutto ci comporta che , sotto lesaltazione dei successi tecnologici e lesibizione dei corpi, si dia un
preoccupante prevalere dellimpersonale: la corporeit tecnologica e la corporeit pulsionale, non innervate
da un logos superiore unificante, impongono di fatto una visione del mondo i cui protagonisti sono la forza
organizzativa e lenergia del desiderio possessivo e in cui la persona e le sue relazioni personalizzate
spariscono.
In questo contesto di esaltazione del soggettivismo affettivo vigoreggia la
rivendicazione insindacabile della libert individuale, cui per si giustappone
clamorosamente una diffusa predicazione sul determinismo (neuronale, psichico,
sociale).
Ci non significa, daltra parte, che di tale pratica individualistica della libert non si
avverta lincongruenza con le esigenze del convivere. Il superamento della concezione
individualistica moderna esigenza diffusa;
la dimensione intersoggettiva
dellidentit umana avvertita in modo nuovo, cos come il senso comune sensibile
alla dimensione pratica della giustizia e della solidariet. Ma i due lati della libert
(potere di scelta e scelta del bene nel vincolo della relazione) rischiano di coesistere
giustapposti e senza conciliazione. Cos, se, da una parte, viva la sensibilit a grandi
valori delletica pubblica, quali le libert civili, la tolleranza, la democrazia, la pace, la
giustizia, la tutela dellambiente, ecc., valori in cui si afferma un senso forte di
universalit, di uguale dignit dellessere umano, di protezione delle relazioni tra gli
uomini; dallaltra, esiste unarea assai vasta dellesistenza in cui valgono criteri affatto
diversi, anzi contrari, che prevalgono nella sfera individuale o che si pretende che
abbia a che fare solo con lindividuo: sono gli ambiti gi considerati degli affetti, della
sessualit, della generazione, della cd qualit della vita e, similmente, del consumo,
dello spettacolo, del divertimento, ecc.
Infine, unaltra tipica antinomia riguarda il piano della verit conoscitiva, per la quale al largo credito
accordato alla conoscenza scientifica e tecnologica si accompagna un sorprendente e diffuso scetticismo e
relativismo quanto alla capacit delluomo di conoscere la verit. Una fiducia fideista nella tecnoscienza,
che poggia su una pi profonda sfiducia nellopera della ragione; un apprezzamento del valore delle
conoscenze scientifico-tecnologiche che si accompagna a unincertezza radicale sullidentit e sul valore del
soggetto conoscente.
Lesperienza di vita diventa cos schizofrenica e frammentata, come dimostra in modo
sempre pi esteso la biografia di molti: razionalit della vita pubblica e disordine
crescente di quella privata; instabilit dei legami affettivi e impossibilit della vita
famigliare, crisi profonda dei legami generativi-generazionali; fragilit nei confronti dei
pesi o dei compiti dellesistenza. Ci che ormai in gioco non dunque qualche
pur rilevante aspetto morale dellesistenza, ma la possibilit della stessa costituzione
dellidentit personale, cio relazionale dei soggetti, la consistenza della loro biografia,
la permanenza delle relazioni primarie significative. Insomma, la vita umana come
contesto/tessitura valoriale. Come potrebbe non esservi insicurezza sempre maggiore
e sempre pi diffusa nellimpegno educativo?
Tutto ci incide in profondit sulla condizione giovanile, caratterizzata da un disagio che, giustamente,
stato detto essere non di natura psicologica, ma culturale (U. Galimberti) e perci anche vastamente
esistenziale. La condizione giovanile, infatti, risente senza protezione del deserto di insensatezza a cui
sembra giunta lesistenza contemporanea, per la quale il vivere non privo di senso per qualche grave causa
di sofferenza, bens sofferente perch privo di senso. Una privazione che non un lontano fatto teorico, ma
3

D. Kamper, Desiderio, in AA.VV., Cosmo, corpo, cultura, a cura di R. Bodei, Mondadori,


Milano, 2002, pp. 1021 sgg.

unatmosfera culturale e una condizione interiore. Linsensatezza domina lesistenza, producendo le


patologie del cinismo carrierista o del conformismo gregario, del desiderio di appropriazione rapace e della
violenza gratuita oppure del rifugio in mondi allucinati, in cui comunque, contro altri o contro se stessi, si
manifesta un risentimento verso una realt opaca e muta.
Per una rinnovata esperienza educativa
Leducazione ha dunque a che fare con il costituirsi dellesperienza umana, e quindi con i suoi pi semplici e
profondi interrogativi, quelli che accompagnano lenigma del venire-al-mondo: lesistenza ricevuta rinvia a
un volto amico oppure a una casualit muta, forse ostile? Sono stato chiamato alla vita senza il mio
permesso: una promessa o un accadimento senza senso? Nascere un dono buono o avvelenato? Un debito
o una colpa? Unavventura affascinante o linizio di una disavventura irrimediabile? il nascere semplice
provenienza o anche appartenenza? Unappartenenza anonima o una figliolanza? Sono le domande che
stanno sul fondo della coscienza umana e che ritmano la pulsazione di un cuore giovane. Non meno di tali
interrogativi sono implicati nellesperienza quindi nella questione delleducazione.
La cultura postmoderna ama rappresentare lesistenza con la metafora del gioco, inteso come gratuit
dellaccadere sgravato da responsabilit e da scopi, perch senza fondamento e senza direzione: non si pu,
n si deve insegnare dove si diretti, ma solo a vivere nella condizione di chi non diretto da nessuna parte
(G. Vattimo): sparita la terra ferma, galleggiamo e ci muoviamo su un globo oceanico che tutto e solo un
immensa distesa dacqua senza direzione possibile o su cui la direzione risulta superflua, perch in ogni caso;
non si sta andando da nessuna parte. Si nasce a caso su un globo casuale su cui ogni ordine, forma e
relazione solo un fatto culturale. Nessun senso raccoglie e accomuna e si appartiene a nessuno.
Ma il fatto stesso di nascere bisognosi di accoglienza e di affidamento, e di crescere grazie alla cura e al
riconoscimento, il fatto stesso che lidentit umana abbia bisogno di essere generata nella libert, sembra dire
una cosa tuttaffatto diversa: che il nascere direzionato, che lesistenza consegnata a relazioni sensate,
che lappartenenza personale e costitutiva, che lesser figli un dono e una promessa che proietta sul
mondo la luce di unattesa di senso ancora maggiore.
In quel contesto, per, lappello ai valori, bench indispensabile, di per s inefficace, perch, anche quando
essi sono ancora idealmente riconosciuti, sono sprovvisti ormai di significato storico concreto; e quindi,
percepiti in modo astratto e immobile, sono incapaci di muovere lesistenza e di promuovere nuova
esperienza. Quando la trasmissione viva tra generazioni si interrompe, i valori, anche se riproposti, non
bastano da soli a suggerire la loro continuazione nellesperienza. E, se non se ne vede il modo efficace della
continuazione, significa che non hanno pi davvero a che fare con lesperienza reale del mondo e della vita.
Ci che d vita e vigore a quanto vale (valore) ci cui esso mira, cio lesperienza che se ne pu fare, non
viceversa. La pertinenza alla vita ci che d rilievo ai valori, per cui essi hanno senso per lesperienza
interessante che rendono possibile.
Ma per far proprio un patrimonio di valori non basta volerlo: bisogna anche esservi introdotti da chi gi ne
vive ed in grado di trasmetterlo. In questo senso un patrimonio come dice la parola ha bisogno di una
funzione paterna, cio della buona autorit che accompagni al senso vivibile delle cose.
La capacit di fare esperienza come dicevamo originaria nel soggetto umano, ma allo stesso tempo ha
anche bisogno di essere attivata. Il soggetto deve essere in un certo senso generato alla sua esperienza.
Nellattuale contesto culturale diventa decisiva la coscienza che lesperienza in tutta la sua complessit
umana ha un essenziale significato generativo: solo lesperienza suscita esperienza e quindi genera luomo
alla capacit del suo compierla. E questo significa che si diventa capaci di esperienza essendo assunti in
vario modo e misura nel circolo di un riconoscimento e di un insegnamento.
Forse il retaggio pi negativo della cultura moderna sta nellaver cancellato la generazione dal novero
delle categorie ontologiche e antropologiche fondamentali o nellaverla conservata, come nelle filosofie
idealistiche, nel solo significato sintomatico dellautogenerazione del pensiero. La postmodernit, a sua
volta, ha attaccato sulla linea della demolizione dellindividualismo, ma non ha portato a fondo la
discussione del paradigma della soggettivit moderna; da un lato, si limitata a distruggerla, dallaltro ha
cercato di innovarla in prospettiva relazionale linguistica e morale. necessario andare oltre, riconoscendo
che del soggetto umano ha un senso compiuto maggiore parlare come del vivente dotato di identit
relazionale generativa.
La barbarie, tipica anche dellideologia tecnologica, sta nel rimuovere il fatto che prima di essere soggetti
capaci di manipolare la realt delle cose e degli uomini siamo tutti figli e nati di donna. Con profondit

E. Lvinas invita ad una riflessione sulla condizione umana, che ci riporta al nostro titolo, quando,
riferendosi allepisodio di Caino, scrive: Non bisogna prendere la risposta di Caino (sono forse io il
custode di mio fratello?) come se deridesse Dio o rispondesse infantilmente non sono io (Abele), laltro.
La risposta di Caino sincera. In essa manca solo letica, vi solamente lontologia: io sono io, e lui lui 4.
In termini nostri potremmo dire: lalienazione di Caino sta nel non rendersi conto del legame che lo unisce
costitutivamente a suo fratello; legame che fa parte della sua identit, per il quale egli custode di suo
fratello cos come, a sua volta, suo fratello il suo custode. La custodia tra gli uomini infatti il modo
attraverso cui essi fanno del mondo una dimora. Al contrario, non prendersi cura del fratello non edifica la
dimora che custodisce la propria umanit. Lassassinio di Abele, infatti, significa per Caino perdere la
dimora e andare errabondo ed estraneo in un mondo ostile. Senza relazioni generative il mondo anche l
dove sembra funzionare si desertifica.
Come ha scritto S. Vegetti Finzi, in una pensosa riflessone sul dramma dellaborto, nessuno basta a se
stesso e lappello allaltro costituisce lunica modalit con la quale possiamo affermare la nostra identit.
Per questo ci di cui pi c bisogno unetica della maternit: nel senso pi profondo del genitivo
soggettivo, cio di unetica che assuma la maternit come un paradigma umano; di unetica che inizi dalla
consapevolezza che la vita condivisione, che si sviluppi perci come decisione di autolimitazione del
proprio dominio e come accoglienza e cura dellaltro in quanto valore per s 5.
Liniziativa educativa rinasce nel momento in cui si accede a un simile orizzonte antropologico, che
immediatamente fa percepire che il dono iniziale dellesistenza ha bisogno di essere affidato a chi sia in
grado di accoglierlo e di farlo crescere, perch per luomo vivere essenzialmente e costantemente crescere.
La vita consegnata nella nascita chiede di essere affidata a chi sia in grado di proseguirne la profonda logica
di novit: nascere inizio e novit, come ha ricordato H. Arendt. Leducare, in un certo senso, per aprire
lesistenza alla sua capacit di sempre nuovo inizio, preservandola dellinganno di ritenere che conservare la
vita significhi attirare tutto a s e imporla contro tutti.
Se la generazione il senso primo della relazione umana, che comporta fiducia e promessa, allora vi un
nesso strettissimo tra generazione e educazione: leducazione quellagire con cui i genitori per primi
rendono ragione al figlio della promessa che essi gli hanno fatto mettendolo al mondo (G. Angelini). Cos
che, al contrario, dove la generazione non continua nellatto educativo, al suo stesso livello di senso, si
smentisce: il generare coincide drammaticamente con un gesto di abbandono. Leducazione ha bisogno alla
sua base di unesperienza elementare di positivit, di relazioni semplici e buone, in cui sia tangibile la stima
per luomo, la (com)passione per il suo cammino e il suo travaglio, la speranza forte nelle sue risorse;
relazione dunque di fiducia creativa. Per questo il prendersi cura iscritto nelleducare non nasce e non
giustificato da un senso di insufficienza cui provvedere e di vuoto conoscitivo da riempire (funzionalismo
educativo), oppure da un senso di esuberanza senza direzione da lasciar esprimere (spontaneismo educativo),
secondo i modelli oggi prevalenti. Laccoglienza, che si esercita nella relazione educativa, non pu avvenire,
invece, che alla luce di un senso di sovrabbondanza dellesistenza; quello per cui si pu dire che lesistenza
cosa buona. A riprova, tutti sappiamo che le relazioni educative autentiche che abbiamo vissuto sono
divenute indelebili e indimenticabili nella nostra vita.
Educazione di chi?
Il soggetto che possibile generare nella relazione educativa quello ritenuto dotato di una consistenza
interiore e, quindi, di una capacit relazionale, che la grande tradizione culturale dellOccidente ha chiamato
persona. Precisamente a questo proposito si raggiunge il punto pi intimo della crisi educativa
contemporanea.
Per educare nel senso della relazione generativa di cui si sta dicendo, bisogna presupporre che vi sia
qualcuno da generare, qualcuno cio che dalla relazione non tragga qualche profitto e qualche incremento
esteriore, ma abbia in essa una via di accesso a se stesso, abbia cio tramite altri la possibilit di diventar se
stesso. Diventa ci che sei il detto tipico della tradizione umanistica, che significa che ci che gi sono
non si conclude in se stesso, ma ha un ulteriore spazio significativo: ci che gi sono si rapporta a una misura
pi grande, che superandomi apre dallinterno la mia umanit alla sua migliore verit.
4
5

E. Lvinas, Filosofia, giustizia e amore, in aut-aut, 209-210, 1985, p. 9.


S. Vegetti Finzi, Volere un figlio. La nuova maternit fra natura e scienza, Milano 1997, pp.
135 e 7.

Sii ci che sei potrebbe essere, invece, il detto tipico di gran parte della cultura postmoderna. Come
recitava una pubblicit di qualche anno fa i am what i am, dove la i minuscola stava a sottolineare
limmediatezza di tale soggetto: sono ci che sono e non sono altro che ci che sono, anzi sono ci che mi
sento essere ora, ci di cui faccio esperienza ora, secondo lautenticit che mi attribuisco con la spontaneit
dellora presente.
Nei confronti di un soggetto cos concepito (e soprattutto cos vissuto) uniniziativa educativa possibile
solo in senso drasticamente ridotto. Appunto secondo i modelli di formazione della competenza o di
espressione della spontaneit; oppure secondo quelle idee di educazione settoriale a valori socialmente
condivisi educazione alla legalit, allambiente, alla comunicazione sociale, alla tolleranza, alla
cittadinanza, allinterculturalit, ecc. , sicuramente rilevanti, ma che, isolate da un contesto educativo pi
fondamentale o usate in modo sostitutivo di questo, possono costituire altrettante forme di frammentazione e
di morte civile delleducazione. chiaro, infatti, che se non c un soggetto-persona come protagonista
della vicenda educativa, ci che resta un soggetto-operativo, che non pu ricevere che un perfezionamento
e un completamento operativo, in cui non in gioco unidentit antropologica in crescita.
Leducazione in senso forte ha come contenuto, invece, un soggetto libero, dotato di preziose risorse e
ancora indeterminato, ma non autosufficiente e anche ambivalente, aperto al bene e al male, capace di
crescita ma esposto ai rischi dellinibizione e della regressione. Ovviamente anche in questa prospettiva ha
rilievo la formazione operativa (conoscenze, competenze, abilit), ma questa solo una importante
componente, non il cuore del processo educativo.
Unautentica relazione educativa si stabilisce tra soggetti personali che possono fare appello a un apertura
della mente e del cuore, che unapertura di intelligenza e di desiderio insieme.
Leducazione non pu non essere, perci, educazione dellintelligenza e allintelligenza. Allintelligenza,
anzitutto, in quanto attivazione delle capacit intellettuali di ascolto, di interrogazione e di comprensione e,
quindi, delle capacit razionali di ragionamento e di argomentazione, che evitino il blocco della mente sul
caleidoscopio delle informazioni, sullimmaginario virtuale, sulla comunicazione informatica, senza nulla
togliere allutilit strumentale di queste cose.
Educare e educarsi allincrocio di profondit e estensione della ragione significa, invece, avere il senso della
verit e nello stesso tempo saper sostare nella condizione dellincertezza che la complessit e la specificit
dei saperi comportano. Proprio il senso della verit aiuta a mantenere il confronto con la problematicit e a
sostenere il peso della difficolt. In ci il rigore critico della conoscenza e della pratica scientifica porta in s
un insegnamento di grande rilievo teorico e educativo.
Leducazione non pu non essere educazione al desiderio e dellaffettivit. Non come questione a parte
rispetto alla ragione, ma come dimensione sempre attiva in tutto larco dellesperienza. Anche da questo lato
si tratta di educare anzitutto al desiderio, risvegliando nellaffettivit la sua profondit elementare di
desiderio del bene e del bene umano nella sua pienezza, in cui tutte le persone, ciascuna secondo la sua
sensibilit, cultura e storia, comunicano. Bene atteso dal desiderio e compreso dalla ragione, bene di tutto
lumano promesso con la nascita e sperimentato, simbolicamente ed efficacemente, in tutti gli atti di
accoglienza.
Educazione perci dellaffettivit a regolarsi su questa ampiezza, profondit ed estensione del desiderio
umano, contro la tendenza di unaffettivit emotiva strappata dalle radici del desiderio e della sua propria
ragionevolezza; affettivit perci episodica e errabonda, frenetica o depressa, comunque fiaccata nella sua
energia propulsiva di tutto lumano e snervata nella sua capacit di relazione. Unaffettivit dunque restituita
a se stessa, cio alla sua capacit di essere legame, in cui identit e differenza cercano la loro conciliazione,
come nel caso paradigmatico della identit-differenza sessuale, e alla sua capacit di amare in modo intenso,
stabile, generoso.
Leducazione non pu non essere educazione alla libert e della libert. Anzitutto nei confronti di una
predicazione sulluomo che da una parte incentiva ed esaspera la ricerca e la rivendicazione della libert,
soprattutto a livello individuale, e dallaltra proclama culturalmente il determinismo neuronale, psichico,
sociale. Un messaggio contraddittorio, che sembra fatto apposta per motivare una sorta di nevrosi collettiva,
lanciata a inseguire limpossibile, con effetti pesantemente negativi soprattutto in ambito giovanile. Educare
alla libert vuol dire anzitutto non fare discorsi sulla libert, ma far fare esperienza della libert, come
appello rivolto alla libert e insieme una sua messa a prova nello spazio della relazione educativa. Educare
la libert, poi, significa liberare la libert dalla disastrosa idea di essere tutta e solo potere di scelta e non
anche capacit di adesione al bene, e capacit di relazione con laltra libert. Senza la giusta dialettica tra le

due forme della libert, lesperienza oscilla negativamente tra lautoritarismo del bene e larbitrariet della
volont. Leducazione della/alla libert anche essenzialmente educazione alla relazione tra le libert ed
esperimento della loro convivenza. Soprattutto a questo riguardo, leducazione mostra la sua valenza pratica
di gesto che forma una mentalit e crea spazi desistenza. Per questo un processo educativo vivente sempre
in qualche misura parte di una comunit educante, alla quale anche sempre rinvia. Inoltre, educare alla
libert significa formarne lattitudine alla socialit secondo le sue virt (lealt, iniziativa, servizio,
solidariet, ecc.) e secondo la sua naturale apertura politica, locale, nazionale, mondiale. Non possibile,
infatti, educarsi alla libert senza avvertire il legame che la propria ha con quella degli altri e di tutti gli altri.

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