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DOMANDA ANTROPOLOGICA E M ODELLO REGALE FORTUNE ALTERNE DI UNA CIFRA UNIVERSALE DELLELEZIONE *

Roberto Vignolo
1. PRELIMINARI 1.1. Premesse antropologiche circa lelezione biblica Riprendendo alcune considerazioni di P. BEAUCHAMP -nel merito un po' meno oscure, ma non meno dense del solito-,1 partiamo anzitutto considerando come al concetto di elezione risulti indispensabile uno schema triadico, ovviamente ridisegnabile secondo una molteplice e variabile geometria, costituito dal concorso interattivo di tre termini: rispettivamente lunico, alcuni, tutti. Lelezione biblica tocca senzaltro un singolo (individuo, ovvero gruppo o popolo), ma per definizione mai direttamente quei tutti nella cui indispensabile cornice appunto l'elezione si produce. L'eletto, anzi, si oppone per sua stessa definizione ad una residua totalit, perfino maggioritaria, di cui pu suscitare di volta in volta la gelosia, o il disprezzo, nel migliore dei casi il riconoscimento. Per quanto sia, il rapporto tra l'eletto e il non eletto non pu risolversi per in termini di piatta contrapposizione tra un soggetto a statuto completamente speciale, in tutto e per tutto diverso dagli altri, e un residuo universale indistintamente comune. Quel rapporto chiede piuttosto di essere pensato come integrazione reciproca, dal momento che per un verso l'eletto - in quanto umano -non perder mai completamente i caratteri universali di soggetto comune, comunque iscritti in lui; per l'altro la sua differenza specifica di eletto (questo almeno avviene nell'ambito biblico) deve comunque pur rendere conto all'universale orizzonte da cui spicca, nel senso che il suo privilegio di elezione ha da mostrare la rilevanza specifica, possiamo dire perfino salvifica, della differenza vantata nel contesto dell'universalit medesima. Insomma, se l'elezione ha ovviamente un lato esclusivo, essa tuttavia comporta simultaneamente un aspetto inclusivo, sia in quanto al proprio interno ospita, condividendola, l'umana infrastruttura a tutti comune, sia in quanto la propria differenza di eletto implica una qualche ricaduta a vantaggio dell'altro. Cos,
lelezione deve necessariamente comporsi con altre dimensioni. Il concetto di elezione trova un orizzonte che si dilata e dei limiti che lo preservano. Lorizzonte allargato quello di un concetto universale di umanit, che insorge con forza nellambito stesso in cui lindividuo si afferma. Per esempio, il supplice si lamenta daver cessato

Apparso in: Atti del XIII Convegno di studi veterotestamentari (Foligno 8-10 settembre 2003), a cura di C. Termini, Ricerche storico bibliche nr. 1/2005 (gennaio - giugno), EDB Bologna 2005, 239-283.

P. BEAUCHAMP, lection et universalit dans la Bible, in tudes 382/3 (1995) 373-383, ora in Id., Testament biblique, Bayard Paris 2001, 95-112 (cito da quest'ultima edizione). Id., Le rcit, la lettre et le corps. Essais bibliques. Nouvelle dition augmente (Cogitatio Fidei 114) Du cerf Paris 1992, 172 ss.; 254 ss. Id. L'un et l'autre Testament . Essai de Lecture, Paris, du Seuil, 1976 (trad it. Paideia, Brescia 1985), 236-238. 253-254. Id. L'un et l'autre Testament 2. Accomplir les Ecritures, du Seuil, Paris 1990, 238-264.
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dessere un uomo (Sal 22,7; cfr. 139,15). Per una molto rilevante coincidenza anzitutto sullorizzonte della morte che si manifestano al tempo stesso quanto la condizione del salmista ha di universale e la distretta che legittima il proprio grido. Ricordati, dice a Dio, per quale nulla hai creato ogni uomo (Sal 89,48; cfr. 90,10). Non c pi differenza tra leletto e gli uomini, se non il fatto che leletto protesta a loro nome.

Per cogliere in qualche modo l'anima stessa dell'elezione, inquadriamo il momento e la dimensione pi illuminanti di presa coscienza di questo status, e l'esperienza dove esso affiora a livello di parola. Lasciando ancora la parola a BEAUCHAMP, eccoci rimandati al linguaggio della preghiera, trattabile (senza per questo nulla togliere alla sua qualit teologale) in termini radicalmente antropologici come luogo peculiarmente rivelativo dell'umano desiderio2:
... nella certezza dessere eletto, laudacia della preghiera biblica non ha solo la propria fonte. Essa costruisce lelezione. Paradossalmente, certo, poich in senso ovvio lelezione un atto di Dio, non iniziativa umana. Ma ci non contraddice che possa radicarsi nel rischio assunto dalluomo. Lelezione laudacia del desiderio. Latto primo delluomo biblico di credere alla propria esistenza, di crederci tanto da trovarvi Dio. Ci facendo, senza saperlo, la supera. Questo atto di rischio distacco da se stesso, questo rischio una speranza. E per averlo trattenuto a forza e a lungo fino al punto di vincere Dio che Giacobbe benedetto.3

Quale ipotesi di lavoro e in vista di un'adeguata precomprensione antropologica del nostro concetto, su questo sfondo, l'elezione potr allora definirsi come risposta dell'umano desiderio, e pi precisamente: - risposta avanzata in termini di singolare autoidentificazione rispetto ad una comune condizione antropologica universale, di cui farsi in qualche modo interprete; - risposta comunque intensiva alla gratuit e alle opportunit della vita teologalmente e responsabilmente intesa, storicamente determinata, improntata a speranza. A meglio orientarci nel mare magnum del desiderio, soccorre, come scandaglio messo a disposizione dalla psicologia del profondo, un'apprezzabile distinzione, segnata da un minimo scarto vocalico, trai due termini dall'etimo perfettamente indipendente, elezione ed elazione.4 Mentre la prima, come gi accennato, intende una selezione dell'eletto, che per quanto messo a parte, tuttavia non abbandona completamente lo stato comune e universale di tutti, mantenendo appunto dimensioni comunque (pi o meno) inclusive,

Del resto, il privilegio filiale del re di Giuda, consisteva in una preghiera a Dio come proprio padre, avanzata in totale parrhesia, per cui egli poteva chiedere tutto ci che voleva, direttamente secondo il proprio desiderio (1Re 3,5; cfr. Is 7,11; Sal 2,8; 20,5; 21,3.5. Cf G. VON RAD, Teologia dell'Antico Testamento. I. Le tradizioni storiche, Paideia Brescia 1972, 364-365). 3 P. BEAUCHAMP, Testament, 99-100; sott. mia. 4 Elezione viene dalla radice del verbo eligere, scegliere, mentre elazione viene piuttosto dal ptc. pass. di efferre, innalzare, ed sinonimo di orgoglio, arroganza, tracotanza (S. BATTAGLIA, Grande Dizionario della lingua italiana.V, Utet Torino 1968, 74).
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l'elazione si caratterizza invece per l'unilaterale rivendicazione di esclusivit, antropologicamente parlando registrabile in una duplice accezione: a/ a livello di psicologia del S- come quel vissuto di unicit, di pacificazione e di soddisfacimento privo di bisogni che stato sperimentato nel corso della vita prenatale, e che costituisce la base della formazione narcisistica, b/ e in ambito psichiatrico come di uno stato di felicit sporporzionato rispetto alla situazione che dovrebbe motivarlo, frequente negli stati di mania come stadio antecedente all'esaltazione dove compaiono elementi di grandiosit e di euforia.5 Circa questa distinzione abbiamo buone ragioni per preventivare come, universalmente parlando (e quindi, c' da starne sicuri, anche biblicamente), ogni istanza di elezione non si avanzer mai perfettamente innocente, del tutto scevra da qualche pi o meno accentuato risvolto elativo. Il che perfettamente comprensibile, nel momento in cui accettiamo di riconoscervi l'investimento proiettivo di un desiderio vitale, quindi da una spinta tendenzialmente altomimetica di affermazione del S, in un senso appunto almeno potenzialmente elativo. Ma, rispetto a questa tendenza primaria pi ingenua, ogni desiderio vitale , come sappiamo, pur sempre destinato a rielaborarsi in un processo di posizione, decostruzione e ricostruzione. Il che implica certamente uno spurgo delle suggestioni elative, nonch la stessa decantazione di tutte le migliori istanze elettive, le une come le altre misurate, non solo ovviamente sul principio della libert divina elettiva, ma anche sul principio di realt, ovvero della storia, ordinario banco di prova in vista di una migliore appercezione del S, di un desiderio vitale reintegrato con l'universale. In quanto frutto del desiderio chiamato a declinarsi nel tempo, lelezione nel suo storico decorso mai corrisponde ad attese troppo preventivabili, mai e poi mai si profila e si compie effettivamente come uno se laspettava in precedenza. Avanzando invece sempre in termini immancabilmente spiazzanti e ultimamente ironici (perfino comici, e - auspicabilmente - umoristici) subisce una duplice messa alla prova (non dimentichiamo, in merito, il singolare, costitutivo bassomimetismo delle figure bibliche, valide non in quanto allettanti e affascinanti, bens in quanto piegate a quella straniante obbedienza, che colpiva la perspicacia di E. AUERBACH).6 Sar, per un verso, la prova dell'elezione nella sua dimensione strutturale, che ne decostruisce l'illusione elativa per dilatare la dimensione elettiva e portarla a pi adeguata capienza interna, effettivamente ospitale dell'universale condizione umana a fronte della quale messa a parte, e di cui, infine, chiamata a rendere ragione. Per l'altro sar la prova della dilazione temporale, cio della capacit protensiva verso il proprio effettivo compimento a suo tempo (Sl 1,3; Gb 24,1), quale momento ultimamente escatologico (indisponibile quindi all'eletto, ma solo a Dio), e quindi verso la ricomposizione in una nuova e pi piena figura della propria elezione.
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U. GALIMBERTI, elazione, in Psicologia (le Garzantine), Garzanti Milano 1999, 352. E. AUERBACH, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale. Volume I, (PBE 69) Einaudi Torino, 1964, 17.

1.2. Premesse euristiche per un'antropologia dell'elezione Sullo sfondo di queste pi generali premesse teologico-bibliche e antropologiche, ci proponiamo di raccogliere qui una significativa manciata di testi, a inanellare una rabbinica charizah, una collana di voci storicamente differenziate, e tuttavia almeno contrappuntisticamente concertabili, in quanto affini e solidali per linguaggio, tematica, e passione condivisa non tanto in merito a questa o quella esperienza o idea dell'elezione, bens, pi radicalmente, alla questione antropologica in quanto tale tematizzata appunto in termini di elezione. Tali voci s'intrecciano, si contrappongono e si integrano lungo la tradizione biblica (e dintorni), evidenziandosi come una tra le innumerevoli riletture che danno respiro alle Scritture d'Israele, e configurandosi addirittura come una sorta di dialogo a distanza sulla elezione come statuto antropologico come tale. Esse sono effettivamente convocabili ad un confronto organico tra loro stante la concomitante ricorrenza di quattro fattori euristici, fungenti da criterio selettivo pertinente alla nostra ricerca, in concreto i seguenti: una formula -anzi, una forma-, una illocuzione, un modello, e un problema. 1.2.1. Fattore euristico primario la domanda antropologica,7 che si interroga sulla humana condicio per lo pi nei termini stilizzati di una formula di autodenigrazione (mah 'ensh k...: Sal 8; 144; Gb 7 ecc.; Eb 2; cf Sal 89),8 proveniente dal linguaggio di corte, trasportata nel linguaggio orante, e passibile di significative rivisitazioni (Qo 1,3; Sir 18,8-14 ...). Pi che d'una formula rigida, si tratta in realt di una forma plastica, suscettibile di sviluppo e riadattamento, capace di rideclinarsi ed espandersi in termini dichiarativi piuttosto che interrogativi, segnando cio, nelle sue atGi oggetto di attenzione specifica da parte di M. HENGEL , Was ist der Mensch? Erwgungen zur biblischen Anthropologie heute, in Probleme Biblischer Theologie. FS G. Von Rad, Kaiser Verlag, Mnchen 1971, 116-135, e di W. ZIMMERLI, Was ist der Mensch?, in ID., Studien zur altestamentlichen Theologie und Prophetie, Kaiser Verlag Mnchen 1974, 311-324. Rispetto a questi contributi, si presta qui maggior attenzione alla forma (genere letterario) della domanda, nonch all'aspetto linguistico-pragmatico (illocutorio e perlocutorio). 8 I. LANDE, Formelhafte Wendungen im Umgangsprache des Alten Testament, Leiden, 1949, 101-102. G. W. COATS, Self-Abasement and Insult Formulas, in Journal of Biblical Literatur 89 (1970) 14-26. Formule stereotipe di autodenigrazione (Self-Abasement formulas), ovvero di denigrazione (Insult formulas) ricorrono per esprimere un accentuato understatement per lo pi del soggetto in questione, che denuncia la propria (talvolta l'altrui) inconsistenza rispetto a qualcuno (qualcosa) esaltato come benefattore superiore ai propri meriti. La loro frequenza e diffusione -almeno 27x nellAT, soprattutto nei testi narrativi, ma reperibile anche nelle lettere di El-Amarna (25x, frequentemente in parallelo vocaboli quali il cane, il tuo servo) e di Lakish (5x)-, fa legittimamente pensare ad una formula stereotipa, dalla struttura binaria di base ben riconoscibile: a/ una proposizione principale nominale interrogativa (pronome interrogativo mah/m -, seguito da pronome personale o da nome); b/ segue una subordinata introdotta da k, asher, waw consecutivo. La struttura prevede il possibile raddoppio di uno o di entrambi gli elementi (abb, ovvero aab; nel caso di testi poetici, anche strutture pi elaborate del tipo abab come in Sl 8,5; 144,3; Gb 6,11; 21,15, ecc.). Nella principale ci si interroga circa il rango della persona in questione, per dimostrare che quanto assicuratogli nella subordinata costituisce un bene che propriamente non gli spetterebbe (I. LANDE, 101-102). Pi che dal linguaggio ordinario, provengono da quello di corte e cultuale, e, comunque da una situazione di confronto diretto tra un inferiore con qualcuno di rango superiore, o come insulto lanciato contro terzi (COATS, 26). Non a caso questa formula torna in bocca a due grandi eletti in Israele (Mos: Es 3,11;16,6.8 (2x); e Davide: 1Sam 18,18; 2Sam 7,18; 2Sam 9,8. Vedasi inoltre 1Re 18,9; 2Re 8,13; Sl 144,3; Gb 6,11; 7,17; Sir 18,7). Come denigrazione di un avversario, in ordine ad abbatterne qualsiasi rivendicazione, (Es 5,2; Gdc 9,28; 1Sam 17,26; 25,10-11; Gb 21,15). Espansioni della formula in Gen 31,36; 37,26; 1Re 18,9; Gb 3,12b; 6,11; 21,16a.
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testazioni pi recenti, un significativo passaggio dal livello di una interrogazione intrinsecamente problematica a quello d'una vera e propria confessione fiduciale (Sap 7,1-6; 9,5-6.13-16),9 e perfino di un'ostensione epifanica (ecce homo/ecce rex vester: Gv 19,5.14), sottesa tra un compimento cristologico effettivo e gi contemplabile e l'attesa di uno, ben pi radicale, ancor tutto a venire (Eb 2,5-9; cf Sal 8,5-7 LXX).

1.2.2. Che si tratti di confessione e di ostensione, piuttosto che di vera e propria domanda antropologica, abbiamo comunque sempre a che fare con un'autentica illocuzione teologale, coincidente con un'invocazione (di lode, supplica, o protesta), dal tono quindi orante,10 ovvero d'una d'una parola sempre intensamente meditativa, con radicale autoimplicazione del locutore e del destinatario, e perfino di una deissi epifanica, testimoniale, rivelativa. In termini teologici potr dirsi che, dosate in percentuali variabili, s'intrecciano sempre le tre dimensioni di una parola di Dio sull'uomo, di una parola dell'uomo su se stesso, di una parola di Dio attraverso l'uomo. 1.2.3. Ad elaborare il contenuto tematico pi specifico dei nostri testi, pi o meno esplicitamente, ma comunque abitualmente, interviene quel modello antropologico individuabile nella figura regale. Arcinota alla cultura dell'intero MOA come pure all'ellenismo, soprattutto per il trasversalismo della tradizione sapienziale, sar difficile esagerarne la portata di cifra sintetica, emblematica di molteplici aspetti dell'inconscio collettivo universale.11 Notoriamente nella figura regale Israele fa intervenire la mediazione di interessi universali (legati, come la stessa assunzione dell'istituzione regale, alla propria omologazione con le altre nazioni: 1Sam 8,5), insieme a quelli pi speciali, inerenti al suo statuto di popolo eletto, dotato di una propria tradizione storico salvifica. Tuttavia ci interessa quello specifico salto di qualit della coscienza d'Israele per cui la regalit viene intesa non come privilegio di un singolo, ma in verit piuttosto audacemente come cifra universale dell'humana condicio (Gen 1-2; Sal 8; Sir 18; Sap 9). Qui l'autocoscienza che Israele ha della propria elezione, mentre valorizza un patrimonio culturale comune al MOA, si media con la consapevolezza (ovR . VIGNOLO, Sapienza, preghiera e modello regale. Teologia, antropologia, spiritualit di Sap 9 in G. BELLIA A. PASSARO, Il Libro della Sapienza. Storia, Tradizione, Teologia, Citt Nuova, Roma 2004, 271-300. Id., La "confessione antropologica" di Sap 7,1-6, anticamera della preghiera per la Sapienza, in FACOLT TEOLOGICA ITALIA SETTENTRIONALE, L'intelletto cristiano. Studi in onore di mons. Giuseppe Colombo per l'LXXX compleanno, Glossa ed. Milano 2004, 277-300. 10 R . VIGNOLO, Domanda (Sal 8), in ID., Sillabe preziose. Quattro salmi per pensare e pregare, Vita e Pensiero, Milano 1997, 21-76. R. TORTI MAZZI, Quando interrogare pregare. La domanda nel Salterio e nella letteratura accadica (Studi sulla Bibbia e il suo ambiente 7), San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 180-183. 11 Il re rappresenta generalmente la personalit eccezionale che si eleva al di sopra delle limitazioni dell'esistenza comune e si fa portatore del mito, vale a dire dei messaggi dell'inconscio collettivo (C. G. JUNG, Opere, Vol 14/2. Mysterium Coniunctionis, Bollati Boringhieri Torino 1991, 273). Lo si chiama rex, re, roi; e migliore ancora il nome inglese king, knning, che significa can-ning, uomo che pu e sa, uomo capace. Egli praticamente per noi la sintesi di tutte le varie forme di eroismo (T. CARLYLE, Gli eroi e il culto degli eroi e leroico nella storia [1840], Utet Torino 1943, 295). In merito alla figura regale, cfr. H.U. von BALTHASAR, Introduzione al dramma. Volume uno di Teodrammatica, Jaca Book Milano, 1978, 571-578.
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vero la problematica) relativa alla condizione antropologica universale. Viene cos a configurarsi un modello di peculiare spessore antropologico, dove lo specifico patrimonio elettivo d'Israele, abituale marcatore della propria differenza, diventa un catalizzatore dell'universale e problematica umana condizione, funzionale quindi alla domanda intorno all'uomo, per stabilire se (e come) possa (o meno) riconoscersi nel segno di una peculiare elezione divina. Contributo insostituibile di questi testi alla riflessione sull'elezione - tema specifico del convegno - di inoculare nelle Scritture quegli anticorpi indispensabili a scongiurare una idea troppo esclusivista, e quindi sciovinista dell'elezione speciale d'Israele (ma anche di Ges, della chiesa), dal momento che il suo pi peculiare patrimonio, usato come specchio di rifrazione circa l'universale umana condizione, propone cos di quest'ultima come della prima una nuova, meno restrittiva ermeneutica.

1.2.4. La misura di come in questi testi il tema elezione possa ritrascriversi sul registro dell'universalit messa fornita da un fattore di gran rilievo (gi accennato nella citazione iniziale di BEAUCHAMP), costituito dall'attenzione progressiva ivi prestata alla finitezza mortale dell'umana esistenza. Proprio questa dimensione viene in diverse modalit dialettizzata in rapporto alla figura regale, con soluzioni fenomenologicamente e in certo qual modo anche diacronicamente ripartibili sotto un triplice orientamento o esito, rispettivamente di reciproca compatibilit (Sl 8; 144), ovvero d'incompatibilit (Sl 89; Gb 7; Qo 1-2), fino ad una pi recente riaffermazione di compatibilit, in nome d'una effettiva reintegrazione della condizione mortale nel quadro della figura regale assegnata all'umanit (Sir 18; Sap 79), addirittura in termini di epifania rivelativa (Gv 19) e di speranza escatologica cristologicamente centrate (Eb 2). A questo filone della domanda antropologica supportata dal modello regale, soggiace, in concreto, un unico interrogativo costante cos riformulabile: pu l'uomo al tempo stesso pensarsi destinato a regnare e tuttavia morire? C' compatibilit tra questa aspirazione e l'universale destino di morte, oppure perfetta esclusione reciproca? Se nel suo destino imprescindibile il morire, potr mai sperar di regnare, senza incorrere nell'illusione? Questo genere d'interrogativi talmente costitutivo dei nostri testi disposti nella loro plausibile sequenza cronologica da svilupparne un'articolazione della materia stessa, scandendo un intreccio in tre momenti, intitolati appunto nel segno di rispettiva compatibilit, incompatibilit, e integrazione tra elezione e figura regale da una parte e condizione mortale dall'altra.
Questa dunque la griglia per una sensata cernita di testi utilmente ritagliabili dal corpo biblico e da qualche contesto parallelo pi prossimo (soprattutto Qumran, mentre sar serenamente ignorata la letteratura gnostica, che pure della domanda antropologica fa notoriamente il proprio cavallo di battaglia), allo scopo di mostrare il risvolto universalistico della e6

lezione, quale dimensione intrinseca alla condizione e problematica antropologica generale. L'interesse di tipo teologico-biblico tien d'occhio qui lo sviluppo genetico dei testi in base alla cronologia stimata pi plausibile, valorizzandone la loro sempre alta qualit letteraria, e non senza un approccio psicanalitico,12 pertinente a questioni e testi del genere. Pur riprendendo il filo di un discorso da una decina d'anni almeno perseguito in diversi contributi, la trattazione qui abbozza si sa un disegno comunque preliminare.

2.1. Compatibilit 2.1.1. Stupefazione innica per la regalit dell'uomo: Sal 8,5 Nel Sal 8 - inno in anomalo stile diretto e prima lode dell'intero salterio la domanda antropologica (mah-ensh k tizkerenn/ben-adam k tipqedenn: Sal 8,5) insediata proprio come pivot centrale della sua struttura concentrica, inventa la sua prima euforica formulazione in chiave di regalit universale, in straordinaria fusione d'orizzonti tra teo- e antropocentrismo. Prendendo a prestito le formule di self-understatement autodenigratorio con cui un inferiore pensa bene di sottodimensionarsi in presenza del proprio signore, la domanda subisce in realt -illocutoriamente parlando-, un'originale distorsione quasi parodistica, che, nel caso specifico, euforizza piuttosto che abbattere l'umana posizione. Qui infatti non vale pi quale effettiva autodetrazione del locutore (nel senso primitivo di questo genere d'interrogazione), bens piuttosto come originario stupore per le meraviglie del Signore a favore dell'uomo, che ne esce infatti gratificato da una destinazione regale umanamente parlando del tutto improbabile, ma realissima agli occhi di Dio, e magnifica a quelli dell'orante. La sottodeterminazione diventa il supporto d'un singolare ossimoro. Per un verso infatti, il mahensh k tizkerenn/ben-adam k tipqedenn del v.5 strutturalmente corrispondente al suddetto ritornello dell'inclusione maggiore (mah 'addr shimka bekl ha'arez: vv. 2.9), accende l'interrogazione antropologica proprio nel cuore della pi ampia cornice di stupefazione per il nome divino. Non per in termini di semplice replica, bens con la caratteristica semantica di ensh13 introducendovi una vena elegiaca decisamente nuova rispetto al restante contesto del salmo, in sostanza un inedito, circostanziato momento
R . VIGNOLO, Maschera e sindrome regale: interpretazione ironico-psicanalitica di Qoh 1,12-2,26, in Teologia 26 (2001) 12-64. 13 Lo ensh un bn-adam, un individuo rappresentante e figlio dell'umanit, un misto di essere generico e specifico, un singolo definito ma non isolato, emergente da una comune appartenenza (Is 51,12; 56,2; Sal 8,5; Gb 25,6); uno che per definizione dipende nell'aver ricevuto vita, non potendo esser padre di se stesso, e comunque restando sempre debitore alla donna che l'ha generato (Gb 15,14; 25,4; Gal 4,4). La sua sorte di pochi giorni, elegiacamente assimilata a quella dell'erba, del fiore del campo (Is 51,12; Sal 103,15; Gb 25,4; Mt 7,28-30; 1Pt 1,24), magari vittima di decimazioni collettive (Is 13,12; 24,6), destinato a ritornare alla polvere (Sal 90,3). Come tale sta in incomparabile differenza rispetto a Dio (Gb 7,17; 10,4-5; 13,9; 32,8; 33,12; 36,25), nell'impossibilit di prevalervi (cf 2Cor 14,10). Mai al plurale, sempre senz'articolo, di casa nei testi poetici (Sal, Gb, Is), sconosciuto a quelli narrativi, applicabile a chiunque, questo nome collettivo risulta particolarmente adatto alla caduca e comune condizione umana, confrontata non solo al cosmo che lo sovrasta (v.4), ma anche alla gratuita elezione divina che inaspettatamente promuove il proprio eletto (cf Es 3,11; 2Sam 7,18), elevandolo regalmente al di sopra del mondo animale.
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problematico, centrato sull'uomo in un contesto complessivamente laudativo piuttosto teocentrico. Per altro verso, tuttavia, illocutoriamente parlando, quel mah-ensh centrale suona a ben vedere, con un accento molto pi esclamativo-ammirativo (e quindi anche in qualche modo gi confessante), che non davvero interrogativo-problematico,14 in omogenea assonanza (pi che in contrasto) con la cornice di lode dell'intero salmo. In effetti, piuttosto che imputare un deficit all'uomo, il v. 5 sanziona un recupero d'autostima antropologica, solidamente fondata sui favori divini, tanto pi che a partire da qui, fino alla fine, il testo ebraico non presenta soluzione alcuna di continuit nelle azioni divine appese a questa domanda, tutte propter homines, et ad salutem,15 il cui senso ultimo torna tuttavia evidentemente a maggior gloria del nome divino (vv. 2.9), celebrabile non solo cosmicamente (terra, cieli, astri, animali), ma anche antropologicamente, per il tramite di quella piccola creatura autointerrogantesi, luogo di cruciali differenze rispetto a Dio e al mondo. Scandita in triplice parallelismo binario (ricordare//visitare, farlo poco meno di elohm//coronare d'onore e gloria, conferire potere sulle opere delle proprie mani// tutto sottoporre ai suoi piedi) la serie di queste sei azioni che accendono tutto lo stupore dell'orante, va considerata imperfetta ma soprattutto aperta, come suggerito non solo dalla paratassi, ma anche dal loro computo di sei, gioco numerico che nel salterio lancia segnali (talvolta inquietanti: Sl 77,8-10; 88,11-13) di aporetica incompiutezza (6= 7-1), e di non-ancora in urgente attesa del decisivo compimento. Netta risuona l'evocazione storico-salvifica della coppia ricordare//visitare, caratteristica di un rapporto servo/signore16 applicabile anche in senso punitivo, come
TORTI-MAZZI, Quando interrogare pregare, 183 In genere le traduzioni bloccano la domanda al v. 5 (che cos' l'uomo perch te ne ricordi, un figlio d'uomo perch te ne curi?: la LXX colloca qui il segno d'interrogazione), ponendo i successivi vv. 6-9 in termini di antitesi (eppure l'hai fatto poco meno di...), quasi in risposta alla domanda precedente. Ma, in realt, tra i vv. 5 e 6 il testo ebraico non registra soluzione alcuna di continuit, tantomeno un'antitesi. Sintatticamente parlando l'interrogazione che cos' l'uomo? si prolunga quindi fino a tutto il v. 9, alimentandosi cos di sempre nuova stupita ammirazione per tutte queste azioni divine (effettive, non eventuali) a promozione dell'uomo (che cos' l'uomo per ricordartene, visitarlo, farlo poco meno di un dio, incoronarlo di gloria e onore, dargli potere sul tuo creato, tutto sottoporre ai suoi piedi...?"). Il variegato agire divino non quindi tanto l'oggetto della domanda, quanto piuttosto la ragione stessa del suo istituirsi. Questa traduzione propongono gi E. DELITZSCH (1867), e, pi recentemente L. ALONSO SCHKEL - HKEARNITI, I Salmi I, Borla Roma 1992, ad loc.). 16 Negli ostraca di Lakish, come pure nelle lettere di Tel-el-Amarna. ricordare (zkr) si usa, biblicamente e non, nel contesto sapienziale e nello stile di corte (W. SCHOTTROFF, zkr, in E. JENNI -C. WESTERMANN, Dizionario teologico dell'Antico Testamento, I, Marietti Torino 1978, 443). Avente per soggetto Dio, spesso allimper. Ricorda! (Sal 89,48; Gb 7,7; 10,9 con oggetto lumana caducit; la vergogna: Sal 89,51 Lm 5,1. Dio effettivamente lo fa (Sal 8,5; 78,39; 103,14). Visitare nellAT ha un molto ampio ventaglio dimpiego. Con Dio soggetto prevale quantitativamente il senso inquisitorio/punitivo (magari in chiave escatologica) su quello salvifico, secondo lidea di una verifica da parte di un superiore. In entrambi i sensi si esprime lidea di un molto intenso interessamento di Dio al mondo delluomo e alle sue azioni (W. SCHOTTROFF, pqd, in JENNI - NESTERMANN, Dizionario, II, 430.432). Nella supplica non si scongiura mai non ricordarti/non visitarci , mentre invece la coppia ricorre solo come invocazione in senso salvifico (ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo, visitaci con la tua salvezza! : Sal 106,4; Tu lo sai, Signore, ricordati di me, e visitami, vendicati per me dei miei persecutori: Ger 15,15), come appunto nel Sal 8,5 (dove non pu che avere valore positivo). Lesaltazione delluomo comprensibile a partire da Sal 8,6-9, ma non ancora da 8,5, che di per s potrebbe implicare una dimensione punitiva (nei paralleli di Lakish la coppia ricordare/visitare riguarda una colpa del suddito, che il re tiene presente e punisce: cfr. COATS, 25). In effetti il parallelo ricordare/visitare nellAT cos anceps che, qualora interrompessimo la lettura di Sal 8,5 al primo emistico, non sapremmo ancora deciderci. La successiva serie tutta positiva di azioni divine non lascia dubbi in merito.
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nel ritornello di Os 8,13; 9,9 (recuperato da Ger 14,10): si ricorder delle loro iniquit, visiter i loro peccati17. Quando invece -come nel caso- prende valenza favorevole, il Dio che ricorda e visita incornicia consistenti segmenti narrativi, configurando intere unit storico-salvifiche nel segno d'una effettiva fedelt divina, d'una promessa andata a compimento.18 Destinatario della memoria/visita divina tuttavia nel Sal 8,5 un soggetto di fisionomia perfettamente universale, esteso quindi ben oltre i confini d'Israele. La specifica competenza d'Israele quale popolo eletto, ricordato e visitato dal Signore, acclamante la rivelazione universale del suo nome (O Yhwh, nostro signore, come splende il tuo nome su tutta la terra!: vv.2.9), lo rende qui sorprendentemente competente in merito al comune destino umano, anch'esso proiettato su di una promessa di regalit di portata universale (tutto hai posto sotto i suoi piedi...),19 in subordine al nome divino. Nulla di esplicito vien detto circa il dove e quando si producano la memoria e la visita divina per l'uomo, comunque manifeste nelle quattro ulteriori azioni divine. La stupefazione per il nome divino splendente su tutta la terra (vv. 2.9) gravita quindi sulla domanda di sapore sapienziale (v.5) come sulla strozzatura d'una clessidra, sicch il pathos tutto ammirativo/laudativo del ritornello iniziale, centrato in asse su questo perno, ritorna alla fine incrementato d'un nuovo, significativo tocco esistenziale ed elegiaco, introdotto dal termine ensh, che al pi luminoso e saldo scenario della gloria divina di tutta la terra, affianca quello pi opaco del genere umano e d'ogni suo esponente, almeno per un istante contemplati nella loro finitezza esistenziale semanticamente coerente con la domanda in chiave di understatement.20 Come di frequente anche qui parallelo a bn-adam, ensh suggerisce il senso d'un essere caduco e debole, comune e socievole, gravato dall'angoscia per la propria finitezza, che qui per fa solo un fugace capolino, sapientemente dissimulata nello stupor admirationis.
Salvifica o giudiziale che siano la sua attenzione e visita, comunque significativo che Dio non smentisca la sua procedura dintervento. 18 A beneficio, di volta in volta, d'Israele schiavo in Egitto (Gen 50,24-25; Es 2,24; cfr. 3,6.15.16; 4,15.31; 6,3.8), di Anna la sterile (1Sam 1,11.19.21)., e perfino di orgogliose citt pagane, come Tiro (Is 23,15-18). Il ventaglio di soggetti ricordati e visitati, come pure larco narrativo sotteso tra ricordo e visita dimostrano quindi entrambi consistente ampiezza, che copre tanto una destinazione collettiva e individuale, quanto una tappa salvifica in s completa, racchiusa tra una ripresa di divina sollecitudine (zkr) che apre una tensione d'attesa, ed un'esecuzione (pqd) che ne induce il correlativo scioglimento. 19 Luomo su cui il salmo sinterroga un mortale ricordato da Dio e visitato da Dio. Il salmista conosce questa umana esistenza in quanto israelita, come membro del popolo dellalleanza. Ma la sua questione non concerne il solo Israele, bens lintero genere umano. Egli crede e assume che Dio si ricordi e visiti ogni umano, e che lesperienza dIsraele con Dio sia la verit riguardo alla via di Dio verso tutti. (J. L. MAYS, Psalms, John Knox Press Louisville 1994, 68). 20 L'integrazione trai vv. 2.9 e 5 avviene non solo sul registro stupore/domanda a fronte dell'agire divino, ma anche su quello di due diversi profili di universalit, rispettivamente cosmica e antropologica, della recezione del suo agire. La domanda sul destino universale dell'uomo (v. 5) si radica entro lo stupore per l'universale rivelazione del nome di Dio, notoriamente affidata a Israele, ma destinata a prodursi su tutta la terra (vv.2.9). La storia speciale d'Israele segnata dalla potenza del nome divino, come ben sa il Faraone, sopravvissuto al giudizio di Dio in quanto destinatario dell'epifania del suo nome su tutta la terra (Es 9,14-6). Ma anche la storia di tutti i popoli, senza eccezione, corre incontro al riconoscimento escatologico universale di questo nome (Zc 14,9; Ml 1,11.14; Ap 11,15). La domanda antropologica fa quindi parte integrante della rivelazione del nome divino sulla terra, di cui diventa al tempo stesso fulcro e destinazione.
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In effetti quanto quest'umana finitezza, focalizzata proprio al centro del salmo, sia nonostante tutto trattata piuttosto eufemisticamente, lo si evince dallla progressione del discorso: ...per farlo poco meno di elohm (v. 6a) dove con un linguaggio davvero molto originale si parla della creazione delluomo in termini come di poetica michelangiolesca, con un Dio che, artigiano delicato cogli astri (opera delle tue dita: v.4), pi rude cogli animali (opera delle tue mani: v.7), crea l'uomo togliendogli qualcosa di soverchio, realizzando questa sua creatura per sottrazione21 rispetto ad un archetipo evidentemente dotato proprio di questo sovrappi. Notoriamente vicino alla tradizione di Gn 1,26, probabilmente una sua pi arcaica22 versione orante ed elegiaca, il Sal 8 riprende un modello decisamente mitologico, ma antropologicamente rilevante, per cui l'uomo, nella sua costitutiva, mortale fragilit, risulta comunque partner di Dio, appena poco meno apprezzabile (quindi quasi alla pari) della divinit stessa, ovvero degli esseri celesti, addetti al consiglio divino.23 In effetti questa creazione per sottrazione si misura bassomimeticamente rispetto all'altomimetica condizione dei membri della corte celeste, dotati di quell'immortalit per l'appunto negata all'uomo.24 Ma pur sminuito perch escluso dal novero degli immortali, addetti alla celeste stanza dei bottoni, ensh--bn-adam ne esce comunque compensato dalla cura personale di Dio e dalla regalit intramondana da lui attribuitagli, fino a farne un re vittorioso (M. MANNATI) su tutto il mondo animale (e quant'altro inteso dalla sua potente simbolica). Coi rituali d'incoronazione (Sal 8,6b), di assegnazione di potere (v. 7a), nonch d'un trionfo bellico (v.

piel di hasar, qui costruito con min (cf Qo 4,8; 6,2), un verbo nella tradizione esodica richiamante il cammino del popolo, cui, nel deserto, nulla mancato dal Signore (Dt 2,7; cfr. Neem 9,21), nonch la futura dimora nella terra (dove non ti mancher nulla: Dt 8,9; cfr Sal 23,1, in contrasto coll'esilio o collassedio, quando invece verr a mancarti tutto: Dt 28,48.57). Pesante e mai attenuata risulta abitualmente la privazione implicita in questo verbo (haser leb l'uomo senza testa di Pr 6,32 ecc.: 10x). L'unico caso di attenuazione Es 16,18, dove anche chi raccoglie manna in quantit minore di altri, tuttavia non ne manca. 22 Nella tradizione il Sal 8 starebbe a met strada tra Gn 2 e Gn 1 (cos H.J. KRAUS, Psalmen 1-59, Neukirchener Verlag 19795, (BKAT XV/1), p. 70; analogamente Cazelles, Vanhoye. Altra traduzione (e interpretazione) possibile poco meno di Dio (per cui avremmo un'antropologia ancor pi vicina a Gn 1: cos p. es. Schmidt, Ravasi. Tuttavia mi sembra preferibile il riferimento agli esseri della corte divina, secondo una concezione mitologica ben nota al MOA. Per questa traduzione, anche J.A. SOGGIN, Il Salmo 8, in G. DE GENNARO (a cura di), L'antropologia biblica, Dehoniane, Napoli 1981 (SBTA); R. TOURNAY, Le Psaume 8 et la doctrine biblique du nom, in Rvue Biblique, LXXVIII (1971), pp. 18-30; B.S. CHILDS, Psalm 8 in the context of Christian Canon, in Interpretation, 23 (1969), pp. 20-31. Gn 1,26 propone un'antropologia sulla stessa falsariga, ma meno mitologica, meno elegiaca, e in qualche modo pi forte, preferendo a un modello di sottrazione dell'uomo rispetto allo status di creature superiori, piuttosto quello d'una sua pi diretta configurazione teomorfa all'archetipo divino, che ne fa la sua propria statua, innalzata in mezzo al suo tempio mondano (N. LOHFINK, in Id., Allombra delle tue ali. Meditazioni sullAntico Testamento, Piemme Casale Monferrato 2002, ). 23 A seconda che si tratti 'elohm come il solito plurale excellentiae applicabile a Dio, ovvero come plurale reale, per dire i membri della corte divina, altrimenti chiamati figli di Dio (Dt 32,8; Sal 29,1; 82,6; 89,7; Gb 1,6; 38,7), suoi consiglieri, coinvolti nell'elaborazione ed esecuzione dei suoi progetti salvifici (1Re 22), che accedono alla sua santit (Is 6), corresponsabili della signoria divina sul mondo, dotati di immortalit (Sal 82). I LXX identificheranno con gli angeli questi esseri della corte celeste. E, invece che di sottrazione, parleranno di abbassamento dell'uomo rispetto a loro. 24 Cos comunemente nel MOA, come p. es. attesta, in Ugarit, la preghiera di Ilhu per Keret: Ma tu, o padre, morirai come gli uomini? Come si pot dire: Keret figlio di El, la posterit del misericordioso e santo? Forse che gli dei muoiono? Non vivr la posterit del misericordioso? (A. CAQUOT, Textes Ougaritiques T. I. Mythes et Lgendes Paris 1974, 551 ss.). E come risuona nel poema di Ghilgamesh (Gli dei si son tenuti la vita, agli uomini han dato la morte)****
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7b), con cui Jhwh gratifica l'uomo di gloria, onore,25 e vittorioso dominio sul mondo animale (cfr. Sal 47,4; 110,1; Gs 10,24; 1Sam 17,51; Lam 3,34; 1Re 5,17),26 ecco allora altomimeticamente celebrata la destinazione regale d'ogni umana creatura, originariamente fragile e di condizione bassomimetica, segnata da una costitutiva mancanza a essere rispetto all'archetipo. Insomma, un costituzionale statuto di ossimoro presiede al nostro ensh bn-adam, mortale eppur gratificato da un'elezione divina regale, la cui promessa tutt'ora in corso. Il Sal 8 segna una vera e propria rivoluzione nell'idea dell'uomo vigente nel Medio Oriente Antico e nello stesso Israele, in ragione della democratizzazione del modello regale, esteso senza riserve all'umanit intera, ad ogni suo membro. Per il Medio Oriente Antico (e comunque per l'immaginario collettivo pi diffuso) il re il prototipo, l'unico esponente riuscito dell'umanit, immagine terrena di Dio,27 il suo stesso figlio, dalla cui condizione tutto il resto di umanit sar evidentemente esclusa.28 Il Sal 8 sfata audacemente questa restrizione, schiudendo all'umanit senza preclusioni il destino d'una elezione regale. Tuttavia quest'allargamento dell'elezione apre pi problemi di quanti non ne risolva, se -a differenza degli immortali elohm-, il nostro ensh bnadam miseramente muore, segnato com' originariamente da questo misterioso stigma di deprivazione di vita eterna. In merito a questa sanzione privativa all'insegna della diminutio, il Sal 8 non si pronuncia. Anzi, sorvola disinvolto, forte dell'originale metafora inventata per aggirare il pensiero della morte, evidentemente poco interessato a scavare il senso di questa sottrazione, preferendo appassionarsi alle effettive facolt regali da Dio concesse all'uomo. Nient'affatto risentito, l'orante si dimostra semmai appagato della propria situazione, un po' come quegli israeliti che nel deserto, pur avendo raccolto manna in misura minore di altri, nondimeno non ne mancano (Es 16,18: hammameit lo hehesr), e non se ne lagnano. Tutto preso dalla propria euforia ammirativa, il Sal 8 minimizza la sottrazione subta,
Gloria e onore quali prerogative di Dio (Sal 29,1; 96,8; 104,1; 111,3; 145,5; Gb 40,10); del re (Sal 21,6; 45,4); del sacerdote (Es 28.2.40; Sir 45,7-13; 50,5-11). Per l'incoronazione del re (Sal 21,4; Ct 3,11; Sir 40,3-4); del sommo sacerdote (Sir 45,12; cfr. Es 29,6). Nel Sal 8 prevalgono i tratti regali. 26 Due note iconografie mediorientali son qui rifuse a mo' di evocativa multimedialit del testo, e cio quella bellica del re vittorioso con il piede calcato sul collo dei nemici, e quella mitologica del cosiddetto signore degli animali. Si tratta di un'immagine assai corrente nella glittica del MOA dal 2 millenio fino all'epoca persiana, fiorente soprattutto tra l'VIII e il V sec., che raffigura un domatore/protettore di animali posti al suo fianco (un personaggio quasi divino, spesso dai tratti regali, in rapporto all'organizzazione cosmica del mondo). Questa figura svela quanto diffusa sia nell'immaginario collettivo mediorientale l'istanza (e l'illusione!) antropologico-antropocentrica di controllare una dimensione del mondo sentita in realt come superiore alle proprie forze. Questa tradizione sar valorizzata da Gb 38-42, ma nel segno perfettamente inverso rispetto al Sal 8, e con attribuzione a Dio di questa funzione: Lui, non l'uomo il Signore degli animali! 27 In merito, cfr. H. RINGGREN, Le religioni dellOriente Antico, (Biblioteca di Cultura religiosa 58), Paideia Brescia 1991, Egitto (pp. 54-59); Sumer (pp. 111-117); Babilonia e Assur (pp. 177-186); Hittiti (pp. 214-215); semiti occidentali (pp. 266-270) 28 Ora, con il Sal 8, l'uomo regale, l'immagine e il rappresentante di Dio in terra, non un singolo, un'eccezione, che si sente innalzato su tutti gli altri uomini, e li domina con il suo disprezzo. Regale ogni uomo, sia egli potente o misero, ricco o povero, maschio o femmina, adulto o fanciullo. A ogni uomo al pastore, all'allevatore di bestiame, al cacciatore, al pescatore... appartiene la dignit che quel re divino pretendeva per s solo, e che proprio perci stravolge e falsifica. (G. EBELING, Sui Salmi. Meditazioni, Queriniana, Brescia 1973, 60).
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circondandola di efficace retorica (reticenza, litote, eufemismo), tant' vero che non s'azzarda a nominare esplicitamente una condizione mortale, evocandola solo con un paio di connotazioni allusive. Presumibile frutto di consapevole censura pi che d'inconscia rimozione,29 l'impatto di questo fragile enosh, proiettato sulla regalit col suo destino mortale viene attutito. Ma i problemi ad essa inerenti restano perfettamente intatti, incancellabili da qualunque pur brillante censura. Merito indiscutibile del Sal 8 sta nelllo schiudere l'universale promessa (elezione) divina per l'uomo in chiave di stupore ammirativo pi che di pensiero problematico. Ma in quella domanda antropologica subordinata alla pura stupefazione, a confessione ammirata e propulsiva di speranza, si annidano ancora incandescenti e irriducibili domande del tipo: 1/ perch mai l'uomo sia stato da Dio deprivato dell'immortalit, e come possa nella sua finitezza mortale regnare vittorioso su tutto. 2/ Tutto hai posto ai suoi piedi, -davvero proprio tutto? Dando per scontato quell'egemonia sull'intero mondo animale (che tuttavia sar rimessa in discussione da Gb 38-42), anche sul tempo, sulla morte, sul male, sulle forze a lui ostili riuscir l'uomo a regnare? Al Paolo di 1Cor 15,26-28, ma soprattutto all'autore di Eb 2,8, non sfugge questo iperottimismo esposto a qualche entusiamo di troppo, un po' trionfalistico, quantomeno precipitoso e passibile di una lettura critica e perfino resistente, come opportunamente puntualizza Eb 2,8: nu'n de; ou[pw oJrw'men aujtw'/ ta; pavnta uJpotetagmevna:30 Toccher in ogni caso alla tradizione biblica impegnata intorno a questa domanda antropologica a misurarsi sul problematico nodo del non-detto, brillantemente aggirato, ma non risolto, dalla sapiente censura al tempo stesso abile e candida del Sal 8,5.

2.1.2. Nella supplica elegiaca del re: Sal 144,3 Offrendoci un esempio di Nachdichtung (ripresa recente di materiale pi antico, desunto dal Sal 18, salmo davidico per eccellenza, ma anche dal Sal 33, e appunto dallo stesso Sal 8, all'altro capo del Salterio in posizione piuttosto simmetrica)31 il Sl 144,3 rielabora la domanda antropologica, imprimendole un nuovo, pi realistico corso.32
Anche se altrove (VIGNOLO, Sillabe ) ho parlato di rimozione, mi pare pi opportuno per il Sal 8,5 parlare di censura della morte, quindi di un'operazione poetica intenzionale, stante la rapidit dell'allusione alla morte solo per connotazione (implicita in 'ensh) e per la geniale trovata della sottrazione. Cos dicendo non si induce di per s alcun giudizio di valore. Che comunque, ermeneuticamente, potrebbe essere anche molto lusinghiero, stante l'opportunit (per non dire la necessit strategica e tattica) di certe censure. Mentre si potr leggere Qo 1-2 come storia di una rimozione della morte e del suo inquietante ritorno che infrange ogni narcisistica (elativa) deriva dell'elezione, a partire dal quale Qo inaugura initium sapientiae non pi individuato nel timor Domini, bens nella meditatio mortis. 30 In merito, cf l'ampia trattazione di A. VANHOYE, Situation du Christ. pitre aux Hbreux 1-2, Cerf, Paris 1969, 255-328. 31 La simmetria di posizione tra Sal 8 e 144 nel corpo del libro sar apprezzabile considerando che il Sal 144 il settultimo salmo del libro, e che anche il Sal 8 pu essere computato come il settimo salmo dall'inizo del libro, se contiamo il Sal 1 e il Sal 2 come unico salmo, prefazio del Salterio. In tal senso la domanda antropologica rispettivamente nella sua espressione laudativa (Sal 8) come in quella pi accentuatamente elegiaca (Sal 144) funge da
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a/ In primo luogo la domanda assume qui la forma d'una verace problematizzazione della condizione umana, cui fornisce una sincera risposta. Dello schema della sottrazione dalla condizione di 'elohm non c' bench minima traccia: ormai subentra qui una prospettiva radicalmente antropologica, per cui la domanda non fa da trampolino allo stupore, ma risuona in piena verit, tanto che riceve esplicita risposta confessante lo 'ensh/ben -'adam come hevel, e i suoi giorni come ombra fuggevole. Ecco quindi la svolta capitale, per cui comincia qui il processo di riassorbimento delluniversale nelleletto, con lesplicitazione sempre pi consapevole della sua problematica condizione mortale. b/ Questa linea di radicalizzazione antropologica privilegia una rappresentazione della condizione umana non pi spaziale ma temporale. In effetti, rispetto alla statica dell'uomo saldamente intronizzato dentro un creato tripartito su terra, cielo e mare, come signore degli animali, egemone sui loro diversi habitat (Sal 8), vien qui preferita piuttosto la configurazione temporale dellesistenza, quanto mai transitoria e fugace (aspetto, questo, implicito gi nel paradigma dello 'ensh/ben -'adam del Sal 8,5, ma comunque solo obliquamente, per allusioni e connotazioni intrinseche a questi due paradigmi nominali). Per dirla brevemente, il quadro antropologico qui profilato non pi quello di un aspirante egemone su altre creature in forza del favore divino, ma di un evanescente soffio, con pochi giorni disponibili. c/ Ulteriore mutazione subiscono pure i paradigmi dellagire di Dio verso luomo. Non tanto a livello del campo semantico, pur sempre nell'ambito del linguaggio di elezione, quanto piuttosto perch le voci verbali introdotte (yd//hashab)33, comunque nuove, obbediscono ad una sequenza temporale e logica intrinseca in certo qual modo specularmente inverse rispetto a Sal 8,5. Qui Dio prima si ricorda (zkr) dell'uomo, e quindi lo visita (pqd): parrebbe qui insinuarsi l'idea di una successione simultaneamente temporale e causale (post hoc, et quidem propter hoc), mentre il Sal 144,3 parrebbe invece obbedire ad un procedimento in senso opposto, per cui Dio conosce (yd) l'uomo e lo tiene in conto (hashab), nel senso che appunto quest'ultima considerazione di stima spiega come sia potuto verificarsi il previo riconoscimento elettivo. Se zkr e yd' praticamente coincidono nel caratterizzare un gesto di elezione divina, esplicitamente carico d'investimento affettivo, nel secondo membro del Sal 144,3 (dove le due azioni divine presentano un
grande inclusione che abbraccia l'intero libro, fornendo una sua possibile chiave di interpretazione sintetica in chiave di una antropologia dell'ossimoro, polarizzata tra i due estremi di un ensh bn-adam regale rappresentante di Dio ovvero mero soffio, ombra che passa. 32 Con la maggioranza degli autori, si suppone qui la dipendenza del Sal 144,3 dal Sal 8,5. Il che, per quanto ragionevole, naturalmente solo ipotetico. Tuttavia anche rovesciando la diacronia dei testi non muterebbe pi di tanto l'organizzazione complessiva interna di questa riflessione, ma solo parte della sua disposizione discorsiva. 33 yd qui in senso elettivo come in Am 3,2 (per indicare lelezione dIsraele, in antitesi con pqd in senso punitivo: solo voi ho conosciuto, perci vi faro scontare le vostre iniquit). In pratica sinonimo di bhr anche se non perfettamente fungibile (W. SCHOTTROFF, yd', in JENNI - NESTERMANN, Dizionario, I, 600). Frequentemente esprime lelezione del singolo Abramo (Gen 18,19), Mos (Es 33,12.17; Dt 34,10). Geremia (Ger 1,5) Davide (2Sam 7,20=1Cron 17,18). hashab dice invece latto mentale con inerente valutazione estimativa. hshb dice lapprezzamento soggiacente (W.SCHOTTROFF, 558).

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parallelismo sinonimico in certo modo pi ripetitivo), questo aspetto viene ulteriormente accentuato. Nella misura in cui yd dice latto di amorosa elezione e hashab quello di un'estimazione previa, ecco che, invece di contemplare affascinato i benevoli interventi storici di Dio (come fa il Sal 8), il Sal 144,3 sembra soprattutto intento a sondarne l'intentio profondior, risalendo fino alle sue pi riposte disposizioni verso l'uomo (qualcosa di analogo, in termini pi pacificati, ritroviamo in Dt 7,7-8: il Signore vi ha scelto, perch vi ama. Cos pure si muover Gb 7, ossessionato dalle sospette intenzioni divine). La voce interrogante/orante, subito replicata da una lucida quanto struggente risposta, comunque quella d'un soggetto regale, nello splendore della sua posizione davanti al Signore, posto sotto la custodia divina, addestrato da Dio stesso alla guerra, destinato a ricevere la sottomissione dei popoli, ma che tuttavia incorpora a s la comune misera condizione umana:
questo re, nella sua gloria e nel suo legame con Dio , al tempo stesso, anche debole e misero. E continuamente dipendente dallaiuto del Signore. La miseria del re la miseria dello adam. Non porta il contrassegno di nessuna prerogativa di umanit originaria, archetipa. Partecipa al destino mortale. Tuttavia gode del privilegio della preghiera e del rapporto immediato. Cos difronte alle minacce della transitoriet e delle potenze ostili, egli pu supplicare una teofania, pu invocare lintervento immediato e vitale di Dio. Gli alti privilegi del re eletto risplendono. Potendo rivolgersi al suo Dio, il reggente vive nella lode e nel rendimento di grazie.34

Del re che gode dei suoi peculiari privilegi e quindi corrisponde alla propria elezione, ecco che si comincia a contemplare la necessaria reintegrazione alla comune condizione mortale. Non pi censurabile, questa diventa semmai oggetto di schietto riconoscimento, di quella che chiamiamo appunto la confessione antropologica, naturale prosieguo della rispettiva domanda, dichiarante (confessante) l'umana condizione, umbratile hvl di fuggevoli giorni. Prendendo un tono pi accentuatamente elegiaco di esistenziale angoscia (nel Sal 8,5 solo latente), essa per si mantiene qui tuttora libera dal risentimento. Rispetto al Sal 8,5, ecco dunque la figura regale guadagnare ulteriormente in universalit sviluppando un dinamismo empatico in senso inverso, cio non pi coi privilegi regali proiettati sull'umanit intera, ma piuttosto umanizzando la figura dell'eletto, riconoscendola fondamentalmente uniforme a quella per tutti comune, mortale e transeunte, nonch parimenti enigmatica. Se il Sal 8,5 esulta poich ogni 'ensh-ben-'adam, ciononostante da Dio incoronato re, il Sal 144,3 preferisce pi realisticamente ammettere che anche il re, l'eletto e custodito dal Signore, un 'ensh/hvl di pochi giorni. La domanda antropologica cos' l'uomo? consente qui di rileggere la figura regale solidale all'umanit minacciata dalla sua stessa finitezza, gravata da un problema irriducibile e ad essa intrinseco. Rinun34

H. J. KRAUS, Psalmen, II, 1125.

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ciando all'ammirazione e raccogliendo la sfida dell'angoscia, davvero problematizzando e rispondendo non retoricamente, la questione antropologica, lungi dallo spegnere la fiducia teologale, semmai finisce per sostenerla e alimentarla con un'intensa invocazione di aiuto e di divina benedizione per s e per il popolo.35 Indiscutibile guadagno del Sal 144,3 che questa volta il problema viene apertamente posto, senza pi eufemismi o censure: l'eletto a condizione regale, e addirittura qualunque uomo in genere, potr mai sopportare la propria umbratile ed evanescente condizione36? Per il momento la compatibilit si mantiene, ma sul cielo prima quasi tutto terso, ora vanno addensandosi nubi.37

2.2. Incompatibilit 2.2.1. L'eletto detronizzato e la morte di tutti: Sal 89,47-50 La preghiera regale, con riferimento allerede di Davide, del Sal 89,47-50, che chiude il terzo libro del salterio (Sal 73-89) non riesce pi a comporre la tensione tra elezione e condizione mortale. Ed eleva invece una virulenta doglianza contro linaffidabilit della promessa davidica (vv. 39-46.50-52), che, mentre vede una fallimentare detronizzazione dell'eletto, ospita al proprio interno un'altra pi universale protesta contro l'insensata destinazione mortale voluta dal creatore, percepita intollerabile non solo per il discendente di Davide, ma per tutti, senza differenza (vv. 47-49):
Fino

a quando, Signore, continuerai a tenerti nascosto, arder come fuoco la tua ira? Ricorda quant' breve la mia vita! Perch quasi un nulla hai creato ogni uomo? Quale vivente non vedr la morte, sfuggir al potere degli inferi? Dove sono, Signore, le tue grazie di un tempo, che per la tua fedelt hai giurato a Davide? Ricorda, Signore, l'oltraggio dei tuoi servi: porto nel cuore le ingiurie di molti popoli,
Come nel Sal 8,5 la domanda su se stesso avvicina l'uomo a Dio, e l'uomo all'uomo. Inserita tra la lode iniziale (vv. 1-2) e la richiesta di intervento divino (vv. 5-15), funge da motivo di ulteriore fiduciosa invocazione, facendo leva sulla differenza tra uomo e Dio: Se Dio roccia, l'uomo un soffio; se Dio scudo e guerriero invincibile, l'uomo vanit segnata dalla morte. Ma proprio questa radicale diversit fonda la certezza della salvezza. Perch se Dio forte, suo dovere difendere il debole. Se Dio stabile ed eterno, dovr venir in aiuto di chi non pu trovare in s appoggio e consistenza (B. COSTACURTA, Con la cetra e con la fionda. L'ascesa di Davide verso il trono, Dehoniane, Roma 1994, 79). 36 Da segnalare a riguardo E. BECKER, Il rifiuto della morte, ed. Paoline Roma 1982, e Z. BAUMAN, Il teatro dell'immortalit. Mortalit, immortalit, e altre strategie di vita, Il Mulino Bologna 1995.
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Molto significativamente questa domanda/confessione antropologica esce dalla bocca non di un qualunque orante, ma di un re, l'archetipo stesso dell'eletto, a immagine e rappresentanza di Dio. Consapevole della propria relazione speciale con lui, sa per altrettanto bene che questo suo status regale-filiale non lo scorpora dalla natura effimera comune a tutti. Quale ricomposizione potr mai prodursi tra queste due dimensioni? La maggior schiettezza del Sal 144,3 guadagna in chiarezza ed esplicitazione di problematica, non certo in effettiva risposta. Potremmo parlare di una soluzione di compromesso - un po' come la sua stessa preghiera compositiva che combina generi diversi -, e collocarla a met tra Sal 8 da una parte, comunque nel segno della compatibilit tra regalit e condizione mortale, e il Sal 89, Gb 7, Qo 1,3 dall'altra, tutte voci piuttosto nel segno dell'incompatibilit di queste due grandezze.

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con le quali, Signore, i tuoi nemici insultano, insultano i passi del tuo consacrato! Benedetto il Signore per sempre, Amen, amen! (Sal 89,47-52).

Cos il Sal 89 nella sua terza parte (vv. 39-51.52) chiude cupamente una preghiera avviatasi e protratta nel clima solare di un inno alla bert eterna di Dio con Davide e discendenza (vv. 1-19), rincalzato da una rievocazione dell'oracolo ad essa relativo (vv. 20-38; cf 2Sam 7).
In effetti nelle prime due parti del Sal 89 la celebrazione della fedelt, grazia e favore divini per Davide e discendenza ('emnah/'emeth regolarmente associate allo chesed) non potrebbe essere pi confidente, entusiasta, e solenne.38 Perfino nell'ipotesi di trasgressione dell'eletto, le contromisure divine saranno solo castighi medicinali, provvedimenti di rigore, umanamente parlando tutte sanzioni di prammatica di qualunque padre risoluto a non viziare il proprio figlio (vv.31-33), ma, anche in caso di punibilit, escludendone il ripudio. Istituita per libero favore divino, la promessa/alleanza (bert) per la casa (discendenza) di Davide (vv. 37-38) permane quindi -come quella abramitica- indipendente dalla prestazione del suo partner umano (ma non gli toglier la mia grazia e alla mia fedelt non verr mai meno, non violer la mia alleanza, non muter la mia promessa: vv.34-35). Varr la pena rammentare come si tratti dell'unico salmo dove, coerentemente colla promessa divina di 2Sam 7,14, risuona l'invocazione filiale dell'orante a Dio: Tu, mio padre! (v.27).

Ma questo Dio dello chesed, che istituisce la bert e agisce con 'emnah/'emeth, sollecito a farsi filialmente invocare, eccolo inopinatamente trasformato in motivo e oggetto del pi acuto risentimento per linfamia da lui inflitta e lasciata infliggere da parte dei nemici al suo consacrato, al tempo stesso detronizzato e misconosciuto. Con il crollo della monarchia davidica regante su Giuda, l'eletto del Signore da lui stesso proclamato proprio figlio primogenito (v.28; e chiunque vi si identifica) esce totalmente deluso nelle proprie attese, pur assai narcisistiche scoprendosi n intoccabile, n tanto meno- immortale, in realt non troppo diverso dagli altri. Svanita come illusoria ogni posizione elativa, ecco allora scattare quel transfert empatico (impossibile al narcisista, che, percependosi dissimile e superiore a chicchessia, per l'appunto non ha transfert), per cui anche l'eletto subisce scacco al pari degli altri mortali, reietto come tutti. Non stupisce quindi che il risentimento per la mancata salvaguardia della dinastia davidica (vv. 3946.50) ne dischiuda dal proprio stesso interno un altro di ben pi sostanziale e universale portata, rigirando interrogativamente, con ulteriore radicalismo, la confessione del Sal 144,3: ma perch Dio ci crea quasi un nulla, perch ci fa morire? Tuttavia una pi singolare sorpresa ci riserva il Sal 89 nella laconica benedizione conclusiva (colofon del libro centrale del Salterio: Sal 73-89), che,
Per un'analisi pi diffusa sulla finale e la dossologia del Sal 89, mi permetto rimandare al mio R. VIGNOLO, Circolarit tra libro e preghiera nella poetica dossologica del Salterio. Contributo alla "terza ricerca" del Salterio come Libro, in LA PAROLA DI DIO TRA SCRITTURA E RITO. Associazione Professori di Liturgia. XXVIIII Settimana di studio (Ephemerides Liturgicae - Subsidia 122), Edizioni Liturgiche, Roma 2002, 127-188 (ivi, 157-161).
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contestualizzata in risonanza collintero salmo di appartenenza, dimostra l'estrema chance di una fede provata dal risentimento. E gi di per s notevole che la cocente smentita delle promesse (vv.39-46.50-52) al cui interno trova spazio la tragica domanda/accusa sul mortale destino dellumanit (vv.48-49), non vietino al nostro salmo una dossologia analoga a quelle degli altri quattro libri del Salterio: Benedetto il Signore per sempre, Amen, amen! (Sal 89,52). Analoga, e tuttavia originale, risultando infatti ridotta e pi contratta rispetto alle altre tre. Contestualizzato al suo salmo d'appartenenza questo amen, amen conclusivo d voce coraggiosa e dignitosa ad una fede risentita che sarcasticamente rivendica per Israele quella fedelt verso Dio, rispetto alla quale Dio stesso si dimostra inadempiente. Parafrasando, diremmo: Eccoti, o Dio, la nostra fedelt, ben migliore della tua, che pure abbiamo celebrato con tanta gioia (v. 2-3), come garanzia perpetua della discendenza davidica (vv.5.29.37-38), che tu non hai pi custodito! Ma, dal momento che non l'hai reintegrata sul suo trono, infliggendole ogni umiliazione, eccoci noi pi affidabili di te, poich, a dispetto della tua evanescente 'emnah/'emeth, il nostro amen a te tuttora perdura le'lam! (cf vv. 3.5.29.37-38). A provocatorio confronto confliggono da un lato la mancata continuit storica dell'assegnazione del regno di Giuda ad una discendenza eletta, a smentita della garanzia divina; e, dallaltro, la continuit/perpetuit della lode divina, in cui invece i destinatari dell'elezione, comunque permangono. Ulteriore fattore tragico sta nel fatto che l'eletto (ovvero chi gli d voce, in qualche modo identificandovisi), pur detronizzato, non recede dalla lode del suo Signore, innalzandogli una benedizione all'insegna di una fede nonostante tutto39. Nel contesto celebrativo dellelezione davidica questo esito prende antifrastico e crudo risalto: leletto, autostimatosi custodito al riparo della grazia e fedelt divina, si scopre dolorosamente abbandonato e reietto da Dio quanto alla promessa speciale (89,39-46.50-52), la cui disilllusione lo fa riscoprire anche lui esposto e solidale alla stessa mortalit d'ogni uomo, amaramente registrata come un analogo tradimento divino, questa volta all'indirizzo non d'una dinastia, ma dell'umanit intera. In merito si dovrebbe tener conto della contiguit contestuale del Sal 89, sia con il precedente Sal 88 (universalmente riconosciuto come il pi buio del salterio, centrato sull'invocazione a partire da una permanente esposizione alla morte); sia con il
Se teniamo conto delle tre grandi parti del poema (inno: 1-19; oracolo: 20-38; supplica: 39-52), nella brevissima dossologia conclusiva rieccheggia l'intero componimento portato alla sua drammatica e provocatoria conclusione, antifrastica rispetto alle prime due parti (vv.1-38). Questo il duplice effetto finale a/ del lam - lelam che abbraccia inclusivamente lintero salmo (vv.1.2.53), nonch b/ del doppio amen, che trova reiterata corrispondenza prima con l'ampia celebrazione (vv.2-38) poi con la tragica problematizzazione (vv.39ss.) della 'emnah/'emeth divina un tempo percepita fiduciosamente, in seguito del tutto latitante. Nell'intero componimento menzionata 12x (il numero delle trib d'Israele, contando la duplice ricorrenza della stessa radice aman anche nella dossologia: la tua fedelt vv.2-3.6.9; - fedelt e grazia v.15; - la mia fedelt vv.25.34; - la mia alleanza fedele v.29 - v..50: Dove sono, Signore, le tue grazie di un tempo, che per la tua fedelt hai giurato a Davide?;- Benedetto il Signore per sempre! amen amen v.53. Non difficile trovare paralleli, soprattutto nella letteratura relativa alla Shoah (Z. KOLITZ, Yossl Rakover si rivolge a Dio, Adelphi Milano 1997, 28-29: Tu fai di tutto perch io non creda in Te. ... Non ti servir a nulla! Io invece muoio cos come sono vissuto, pervaso da una incrollabile fede in Te!).
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successivo Sal 90, non a caso l'unico attribuito a Mos, che inaugura il quarto libro del Salterio, centrato sulla regalit del Signore, capolavoro di sapienza orante postesilica, e magnifico esempio di confessione antropologica capace di vincere il risentimento conclusivo del Sal 89 e dell'intero terzo libro del Salterio.40

2.2.2. L'eletto detronizzato: l'accusa di Giobbe (Gb 7,1-21) Al pi virulento risentimento per leletto detronizzato e reietto d una flessione pi nettamente parodistica e sarcastica la voce di Giobbe,41 la cui domanda insorge dalla situazione-limite del giusto -anzi, il pi grande dei figli d'oriente, che Dio chiama mio servo: Gb 1,3.8; 2,3- sovrastato dall'eccesso di dolore innocente, come tale quindi incomprensibile, nonch aggravato dalle accuse degli amici, disinvolti nel razionalizzarlo quale palese sintomo della sua colpevolezza. Nell'infuocato scontro che li contrappone, Giobbe e i suoi mancati consolatori si ritrovano tuttavia d'accordo sul fatto che, breve e fragile, lumana esistenza non sar pi affatto riconoscibile come una elezione regale, somigliando piuttosto all'umiliante coazione di un soldato di leva, di uno schiavo, di un operaio a cottimo (Gb 7,1ss.; cfr. 14,1ss.), figure tutte agli antipodi della regalit, che ne esce, ai loro occhi, come modello del tutto improponibile. In assonanza con la situazione del Sal 89, anche nell'antropologia di Giobbe al modello del sovrano vittorioso subentra quello di un re detronizzato,42 dove il previo sentimento di elezione si rovescia nella delusione del ripudio, cocente smentita della promessa. Tuttavia, specifico di Gb 7,17, quello di caratterizzarsi come bellesempio di esegesi aggadica intrabiblica43 come ripresa mirata della meraviglia del Sal 8,5 stravolta in sarcastica e aggressiva parodia, per cui ne esce un mondo tutto alla rovescia rispetto all'armonico ed euforico assetto precedente. Lammirazione laudativa si tramuta infatti in una serrata doglianza, una Klage dura e pura, un dettagliato protocollo di terribili accuse al creatore. Tuttavia, se il testo del Sal 8,5 ne esce totalmente stravolto quanto al suo tenore complessivo, non deve per sfuggire quanto esso si presti -pi di quanto non paia e almeno virtualmente- a tanta distorsione, in certo qual
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Sal 90 avrebbe figurato a pieno diritto nella presente charizah. La sua assenza sia parzialmente colmata rimandando a L. MANICARDI, "Insegnaci a contare i nostri giorni" (Sal 90), in Parola, Spirito, e Vita, 36 (1997) 47-71. K. SEYBOLD, Zu den Zeitvorstellungen in Psalm 90, in Theologische Zeitschrift 53 (1997) 97-108. B. COSTACURTA, L'homme est comme l'herbe. La caducit de l'homme dans le Psaume 90, in F. MIES (ed.), Toute la sagesse du monde; Hommage Maurice Gilbert, Presses Universitaires de Namur, Editions Lessius 1999 Namur, 341-359. H. IRSLIGER, Psalm 90: der vergngliche Mensch vor dem ewigen Gott, in ID., Vom Adamsohn zum Immanuel: Gastvortrge Pretoria, (ATSAT 58) St Ottilien 1997, 49-69. R. VIGNOLO, Imparare a contare, imparare a pregare: Un commento al Salmo 90, in La Rivista del Clero Italiano 9. Anno LXXXII - settembre 2001, 577-591. 41 L. ALONSO -SCHKEL - HKELICRE DIAZ, Giobbe. Commento teologico e letterario , Borla Roma 1985. 187-188. 42 Concludendo la propria perorazione, Giobbe si descrive proprio coi tratti di un re prima strabenedetto da Dio e idolatrato dalla gente, e poi detronizzato dalla propria signoria (Gb 29,25: kemelek bagghedd: come un re con la sua truppa/scorta; cfr. anche 31,37: naghid si dice anche del re, a conclusione di una rievocazione che contiene molti tratti regali, tra cui l'essere garante di giustizia e benedizione al popolo: 29,12ss.). Non c tuttavia bisogno di estendere la portata della figura regale anche ai dialoghi con gli amici, come vorrebbe A. CAQUOT, Les Traits royaux dans le personnage de Job, in Maqqel shqdh. La branche d'amandier. Hommage W. Vischer, Montpellier 1960, 32-45. R. GIRARD, Lantica via degli empi, Adelphi Milano 109-112. 43 M. FISHBANE, Biblical Interpretation in Ancient Israel, Clarendon Press, Oxford, 1985, 216-217.

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modo potenzialmente precontenendola a livello affettivo, verbale, retorico. Affettivamente il passaggio dallo stupor admirationis allangoscioso, accusatorio risentimento si spiega infatti rammentando come langoscia sia l'altra faccia dello stupore, annidata al suo stesso interno, in quanto l'una e l'altro si accendono da un'analoga, se non identica esperienza di gratuita contingenza, differenziata solo in quanto percepita sotto diverso segno.44 Inoltre, verbalmente, la coppia ricordare/ visitare del Sal 8,5 - come si detto - si presta ad una ambiguit semantica, applicabile com' in senso punitivo e salvifico. Retoricamente, infine, il self-understatement difensivo tipico della formula di autodenigrazione trova qui ricco sviluppo illocutorio, riconnotandosi di sarcasmo, amarezza, terrore, aggressivit. Imponente il raddoppio delle azioni divine intentate sulluomo, con climax sarcastico nel secondo stico,45 nonch lincalzante incremento delle domande (moltiplicazione del mah interrogativo e dei suoi composti):46
17. Cos' un uomo (mah-ensh) perch lo stimi tanto (gadal - piel), perch gli presti attenzione (sht leb), 18. e lispezioni (paqad) ogni mattino, e lo scruti (bahan) ad ogni momento? 19. Fino a quando (kammah) avr addosso il tuo sguardo, senza neanche la tregua di un respiro? 20. Se ho peccato, che cosa (mah) ti avr fatto, o custode dell'uomo? Perch (lammah) mi prendi a bersaglio e ti son diventato di peso? 21. Perch (mah) non cancelli il mio peccato e dimentichi la mia colpa? Ora mi stendo nella polvere, domattina mi cercherai, ma io non sar pi! (Gb 7,17-21).

Elezione e predilezione divina quindi come sadica inquisizione, ingiustificata persecuzione. Dio scruta luomo per pescarlo in fallo e condannarlo (7,18). Un accusatore che gli toglie il respiro (7,19), e che kafkianamente nemmeno notifica all'uomo il peccato imputatogli, il male che avr pure commesso, lasciandolo in angosciata ignoranza della sua effettiva responsabilit. Non pi custode benevolo del proprio eletto, vigilante sulla vita sua (cf Is 27,3; Prov 24,12; Sal 64,2), e dei suoi fedeli (Sal 31,24; cf 122), ma piantone d'un sorvegliato speciale (Gb 7,20), Dio diventa un'insidia, piuttosto che una garanzia perenne alla vita dell'uomo. Implacabile nell'archiviare le colpe, invece di cancellarle, e nel negare il perdono (lui di cui Mi 7,18, come pure Es 34,6-7 e Num 14,18 confessano: qual Dio come te, che toglie l'iniquit e perdona il peccato?).
Come richiama M. HEIDEGGER, Che cos' la metafisica?, La Nuova Italia Firenze 1948, 18ss. 33ss. Rispetto al Sal 8,5 Gb 7,14 tiene solo il verbo pqd. Nel primo stico la coppia gdl/syt lb non lascia ancora presentire nulla di negativo: gdl al piel infatti il verbo della promessa abramitica (Gen 12,2), e della continuit di quella davidica per Salomone (1Re 1,37.47; 1Cron 29,25; 2Cron 1,1), qui trasferito pi universalmente verso l'uomo in genere. Lintensa attenzione personale di Dio per luomo del primo stico diventa tuttavia gi intollerabile nel secondo, dove si trasforma in ispezione quotidiana mattutina, e in uno scrutinio ad ogni istante. Oltre che sul Sal 8,5 la distorsione parodistica di Gb 7,17 si riversa anche contro il mattino, tradizionale momento di grazia divina, e probabilmente anche contro il Sal 139, dove lo scrutinio di Dio sulluomo, tema dellintero salmo, invece favorevolmente recepito, e perfino conclusivamente invocato (139,1-2.23). 46 Ironico-difensivo (vv. 17-18), terrorizzato (v. 19), aggressivo (v. 20), di nuovo ironico (v. 21).
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Capace perfino di attaccare Dio, attaccandosi a lui (C. WESTERMANN), con un'invocazione e una protesta infine capaci di farsene rispondere, Giobbe percorrer il rischioso cammino della libert,47 investendo tutto il proprio terrore di una praedestinatio ad mortem, e insieme tutta la segreta speranza che Dio non sia cos.48 Nella sua replica finale, un Dio finalmente loquace e pure lui prodigo di domande (Gb 38-42), ricollocher il proprio interlocutore in una esposizione cruciale alle differenze, non solo tra uomo e Dio, ma anche tra uomo e cosmo, nonch tra uomo e mondo animale. Giobbe potr cos riscoprirsi due volte sovrastato: dall'alto, cio dall'imponenza degli elementi macrocosmici primordiali (Gb 38,4-38), rispetto a cui nessuno pu mai coltivare illusioni egemoniche, ma anche dal basso, cio da quel vitalissimo (Gb 38,39-39,30), perfino mostruoso (40,15-41,26) regno animale, che una certa tradizione (Sal 8; Gen 1-2), qui ridiscussa, voleva dal Signore stesso assoggettato all'umanit. Ecco allora anche Dio proporre, se non proprio una parodia, quantomeno un ridimensionamento di questa illustre tradizione, illustrando appunto a Giobbe quanto il mondo animale sia irriducibile all'umana egemonia (38,36-39,30), risultando depositario duna sapienza superiore perfino nella creatura meno perspicace (come lo stupido struzzo, che abbandona la sua covata esponendola a rischi d'ogni tipo, ma che nessuno uguaglia in velocit: 39,13-18). Nella sua risposta a Giobbe Dio si propone lui come quel signore degli animali, (ruolo dallEgitto attribuito al faraone, ma dal Sl 8 e Gen 1-2 invece alluomo),49 un signore senza alcun prepotente tratto egemonico, benevolo verso ogni creatura,50 che ribalta una prospettiva univocamente antropocentrica,51 ricalibrandone una pi accentuatamente teocentrica. Alla fine del secondo discorso divino Giobbe prova ancora repulsione per la propria evanescente condizione mortale (perci detesto polvere e cenere,) e tuttavia se ne riconosce sollevato (ma ne sono consolato: 42,6)52
A. NEHER, Chiavi per l'ebraismo, Marietti, Genova 1988, p. 112. Il suo stesso nome proprio prefigura per intero il suo dramma, contenendo la chiave sintetica di questa sua paura fondamentale: iyyb infatti un nome teoforico, diffuso nell'ambito semitico, il cui senso alla lettera suona: Dov' il Padre?. Ma, poich questo nome ha le stesse consonanti di yeb nemico, e, com' noto, essendo il nemico dell'uomo per antonomasia nella Bibbia, quella Morte (Sal 13; 30 ecc.; Os 13,14), che ancora Paolo penser personificato, con tanto di maiuscola (1Cor 15,54-55), ecco che contestualmente al libro il nome del suo protagonista risuona con un interrogativo di speciale spessore ermeneutico:Dov' il Padre dell'uomo? Forse che si alleato al suo nemico? Forse che il padre dell'uomo sia la morte?. 49 Si tratta di un'immagine corrente nella glittica medio-orientale dal secondo millenio fino all'epoca persiana, fiorente soprattutto tra l'VIII e il V sec., che raffigura un domatore/protettore di animali posti al suo fianco (anche qui ritroviamo praticamente tutta la serie di Gb 38 )- un personaggio quasi divino, spesso dai tratti regali, in rapporto all'organizzazione cosmica del mondo. Questa figura svela quanto diffusa sia nell'immaginario collettivo mediorientale l'istanza (e l'illusione!) antropologico-antropocentrica di controllare una dimensione del mondo sentita in realt come superiore alle proprie forze. Orbene, Gb 38-39 demitizza l'illusione di questa istanza: Dio, non l'uomo il Signore degli animali. 50 Cos la divina passeggiata zoologica fa intendere che il mondo non privo di potenze ricavate dal caos, selvagge nel modo pi impressionante e che rappresentano una terribile forza distruttiva, tuttavia esso non senza ordine - meglio : non senza chi tiene le redini di questo caos, senza trasformarlo in un ordine sclerotico (O. KEEL, Dieu rpond Job. Une interprtation de Job 38-41 la lumire de l'iconographie du Proche-Orient ancien, Cerf (LD C 2) Paris 1993, 103). Tuttavia il Dio di Giobbe non va a caccia degli animali, come invece usa fare il faraone. 51 Gen 1-2 e Sal 8 offrono una chiave di lettura, ma non l'unica! 52 Per questa traduzione di 42,6 (al ken emas wenihamti al apar we eper versetto anche di recente molto dibat47

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poich gli appare ora reinscritta entro il nuovo orizzonte di un creatore finalmente eloquente, onnipotente s, ma non prepotente. Permane tuttavia in lui ancora un cruccio antropologico53 intorno alla dolorosa fragilit dell'umana esistenza, un enigma che cos come non si risolve completamente per nemmeno gli impedisce di affidarsi all'onnipotenza mite di Dio, finalmente a lui manifesta.

2.2.3. L'antropologia dell'esecrazione: gli amici di Giobbe e la deriva qumraniana Gb 7 non funge solo da contrappunto54 alla tradizione attestante il volto salvifico del Signore, ma al tempo stesso polemizza pure contro lantropologia sottesa dalla prima replica di Elifaz, che aveva proposto la questione antropologica in termini di radicale denigrazione. Secondo unidea inedita ed estranea a Israele, a dire del pi eloquente amico di Giobbe (che, spacciandosi come profeta, la vende come visione notturna, goduta in tardemah), l'uomo davanti a Dio sarebbe ontologicamente non solo fragile, ma addirittura impuro, affetto da un male metafisico (proprio per questo non pu contestare Dio e pretendere di avere ragione davanti a lui). La differenza tra l'uomo peccatore e il Dio santo raggiunge un parossismo, non per relativo a un'imperfezione etica, bens ontologica: l'impurit ormai connaturale all'uomo e alla sua stessa fragile condizione creaturale. Questa considerazione torna come tiritera sulla bocca degli amici di Giobbe come argomento progressivamente vacuo, ripetitivo, per zittirlo nella sua disputa con Dio (4,17; 15,12). In bocca a loro la formula non vale come autodifesa giocata sul Self-Abasement, bens, secondo l'applicazione prevista dalla Insult-Formula (insulti contro un terzo)- come denigrazione d'una humana condicio perfettamente esecrabile:
Che cos' l'uomo per ritenersi puro (mah ensh k yizkeh), per volersi giusto un nato di donna (wek yizdeq yeld isshah)? Ma se neppure dei suoi santi Egli ha fiducia, neanche i cieli sono puri ai suoi occhi,
tuto) seguo la soluzione grammaticalmente e filologicamente ben argomentata di G. BORGONOVO, La notte e il suo sole. Luce e tenebre nel libro di Giobbe. Analisi simbolica, Roma PIB 1995, pp. 82-84. Oltretutto, tradurre perci ritratto e mi pento sopra polvere e cenere intenderebbe l'ultima parola di Giobbe come dichiarazione di penitenza, cfr. p. es. CEI e la maggioranza delle traduzioni italiane), e quindi offrirebbe un finale davvero troppo convenzionalmente edificante, nonch un appiattimento del personaggio, Giobbe, che invece (nella traduzione adottata) fino all'ultimo si dimostra un resistente, anche nell'abbandono fiducioso! (cos gi J. EISENBERG SENBIESEL, Giobbe o il Dio nella tempesta, SEI, Torino 1989, p. 360). Polvere e cenere sono l'emblema di ci che Giobbe stesso dichiara di essere diventato con la sua afflizione mortale (30,19). Di cenere il cumulo su cui Giobbe siede dall'inizio del racconto (2,8). La polvere (da cui l'uomo fu tratto e a cui ritorna, Gn 3,19) sta come cifra della condizione mortale. Il nostro il libro biblico che pi d'ogni altro ne parla (25 volte), per lo pi in rapporto alla morte (4,19; 7,21; 10,9; 17,16; 19,25; 20,11; 21,26; 34;15), all'afflizione (16,15) e umiliazione (40,13). Con qualche sfumatura differente, M. MILANI, A immagine del Cristo paziente. Sofferenza, malattia e salvezza nella Scrittura, Ed. MessaggeroPadova 2003, 87-88. 53 Per questo concetto e per un'interpretazione della risposta di Dio, cfr. R. VIGNOLO, Giobbe: il male alla luce della rivelazione, in AA.VV., Giobbe: il problema del male nel pensiero contemporaneo, Cittadella Editrice, Assisi 1996, pp. 27-73 (ibi p. 64). 54 W. BRGGEMANN, Teologia dell'Antico Testamento, Queriniana Brescia 2002 imposta l'intera propria teologia biblica appunto in una dialettica di voci attestanti e controattestanti relativamente al Signore dIsraele.

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quanto meno un abominevole, un corrotto, l'uomo, che beve iniquit come acqua! (15,12-16; cfr.4,17; parla Elifaz) Come pu giustificarsi un uomo davanti a Dio e apparire puro un nato di donna? Ecco, la luna stessa manca di chiarore e le stelle non sono pure ai suoi occhi: quanto meno l'uomo, questo verme, l'essere umano, questo bruco! (25,4-6; parla Bildad).55

Sintonicamente al Sal 8, gli amici ricollocano luomo entro un contesto cosmologico a lui superiore, e tuttavia (qui una prima inquietante novit) esso stesso impuro agli occhi di Dio. Diversamente dal salmo, rinunciano per a mantenere la domanda antropologica nei termini d'una allocuzione diretta a Dio. A lui mai gli amici si rivolgono. Al contrario, Giobbe, pur devastato, non rinuncia a questo tratto orante e quindi espressamente teologale della domanda antropologica. Pur non illudendosi d'esserne ascoltato e averne risposta (cf 9,16), non desiste dalla sua domanda-accusa diretta a Dio. Ma oltre a questo scarto in senso teologale, la domanda antropologica sulla bocca di Giobbe segna un'ulteriore distanza proprio nel diverso trattamento inflitto all'uomo, dal momento che egli non accetta di esasperare l'autodenigrazione dell'uomo fino a trasformarla in un'autoesecrazione, fino a sostenere una correlativa equazione e parit tra creaturalit mortale e ontologica impurit. Esecrabile sar semmai quel Dio onnipotente-prepotente (9,12), che fa perire allo stesso modo innocente e colpevole (9,22), lui giudice comunque troppo inesorabile su chi gode d'unesistenza tanto caduca (14,1ss.). Per bocca degli amici si intravvede una nuova maniera di intendere la profanit in Israele. In precedenza riconosciuta fondamentalmente sana nella sua distanza da Dio, ora identificata con la stessa impurit, mentre la purit viene riservata sempre pi esclusivamente a Dio.56 Di qui ne viene che esistere come creatura significa essere peccatore: non in ragion d'una situazione di fatto, nemmeno in relazione a un peccato originale, di ascendenza angelica, ma a un male costitutivo la stessa struttura originaria dell'uomo. Attingendo a questo linguaggio, l'idea sar ulteriormente radicalizzata nelle qumraniane Hodayt (ca .150 a.C.), che in una decina di testi complessivi -57 per un verso, in compagnia di Giobbe, mantengono la forma orante della domanda, sostanziandola per non con la sua coraggiosa libert di ricerca di Dio, bens con l'esecrabile, pi piatta antropologia degli amici:
Ma cos lo spirito di carne Perch possa comprendere tutte queste cose, E per afferrare il tuo segreto meraviglioso e grande?
Interessante notare come il confronto uomo peccatore/Dio puro mantenga come punto di riferimento il mondo degli esseri divini (i suoi santi 15,15), proprio come in Sal 8,6. 56 P. SACCHI, Storia del secondo tempio. Israele tra il VI sec. a.C. e il I sec. d.C., Torino Sei 1994, 165; 431-432. 57 1QS XI,20-22; 1QHa V,20-211QHa VII,25; XII,29-30; XV,32; XVIII,3-4; XXIII fr. 2,7-8; 1QHb fr.1 6-7; 4QH fr. 7,16-18.
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Cos il nato di donna fra le tue opere terribili? Egli struttura di polvere modellata con acqua, suo fondamento il peccato colpevole indecenza immonda, fonte dimpurit su cui domina uno spirito di perversione. (1QHa V,20-21).58

Poich il peccato avvolge completamente l'esistenza umana, cade ogni riferimento alla grandezza naturale dell'uomo inteso quale immagine di Dio.59 Unico scampo a questa condizione la rivelazione che Dio elargisce ai suoi eletti, da lui predestinati60 alla conoscenza della sua verit, sicch, nonostante il peccato, Dio illumina l'uomo:
E che cos' luomo vuoto, vano, per comprendere le tue (grandi) opere meravigliose? (1QHa XV, 32).

Evidentemente ai qumraniti fa buon gioco insistere sullantropologia dellesecrazione, dal momento che dal loro punto di vista la diminutio hominis funge benissimo a far risaltare vieppi la laudatio Dei. Allettante risulta ai loro occhi l'idea di un'umanit esecrabile, in quanto contropartita apparentemente vantaggiosa in funzione teocentrica, offrendo lo sfondo di massima inerzia e contrapposizione al libero agire di Dio secondo la pi rigida predestinazione binaria di giusti e reietti. In fondo questo dualismo costituisce gi una soluzione benevola e vantaggiosa per tanto esecrabili creature, una porzione delle quali, messa a parte per sua insindacabile volont, viene salvata dalla conoscenza rivelata dei misteri di Dio. Lasciando da parte le punte inaccettabili di questa soteriologia predestinazionistica e infine gnosticheggiante, si resta per colpiti da quanto intensamente la domanda che cos' l'uomo? Chi sono io affascini i membri di questa comunit, non solo stante la sua alta frequenza nelle Hodayt (che sono pur sempre componimenti salmici, testi d'uso orante), ma soprattutto in quanto menzionata addirittura in un testo normativo come la regola della comunit, per cui a questa forma di preghiera sar da ascrivere un implicito valore, se non proprio fondativo istituzionale, quantomeno assai caratterizzante la spiritualit del gruppo:
Chi pu reggere la tua gloria?

Che cos' veramente luomo / fra le tue opere meravigliose Che cos il nato di donna in tua presenza? E stato formato nella polvere, / pasto di vermi sar la sua dimora saliva sputata,/ argilla modellata E alla polvere (lo trascina) il suo istinto.
Traduzione di C. MARTONE, Testi di Qumran a cura di F. G. Martinez, Paideia, Brescia 1996. Cfr. anche 1QHa VII,25; XII,29-30; XV,32; XVIII,3-4; XXIII fr. 2,7-8; 1QHb fr.1 6-7; 4QH fr. 7, 16-18). 59 SACCHI, Storia, p. 342. 60 Pacifica per i qumraniti una praedestinatio gemina degli eletti, ab aeterno spartiti dei dannati.
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Che cosa risponder largilla e colui che stato formato dalla mano? E quale consiglio potr comprendere? (1 QS XI, 20-22).

Tuttavia, con queste pregiudiziali antropologiche pessimistiche, predestinazionistiche e gnosticheggianti, l'illuminazione dei qumraniti resta lontana anni luce dalla conoscenza cui Giobbe perviene, l'esito di chi percorre il rischioso cammino della libert,61 precluso a qualsiasi predestinazionismo.

2.2.4. La domanda in prosa e la regalit abdicata di Qohelet


La domanda antropologica che Qo 1,3 (che guadagno c per luomo da tutta la sua fatica per cui fatica sotto il sole?) inserisce a ridosso del suo famoso motto (1,2), e appena prima del non meno noto poemetto (1,4-11) e della sua mascherata regale (1,12-2,26, pi opportunamente estensibile fino a 3,15) assume si carica di polivalente energia critica, rivestendosi di retorica e sorniona seriet. Suona infatti a modo suo anchessa parodistica rispetto alla primitiva connotazione orante ed elegiaca (Sal 8,5; 144,3)62, resistente anche sotto le terribili distorsioni di Giobbe. Epper, al tempo stesso, avanza satirica allindirizzo dellideologia economicistico-rampante del proprio tempo e contesto benestante, che pretenderebbe affrontare il problema antropologico non pi in termini di mahensh-ben-adam, bens di mah yitrn laadam (che guadagno/ vantaggio c' per l'uomo?). L'abbandono del parallelismoensh/ben-adam, forse avvertito un po' lagnoso e troppo stancamente elegiaco, come pure la caduta di una diretta invocazione divina con la rinuncia alla forma orante; e per giunta lassunzione del vocabolo economicistico yitrn (guadagno/ vantaggio), questi tre fattori complessivi suggeriscono di riconoscere in questa domanda quasi gergale,63 la ritrascrizione spoetizzata e rigorosamente feriale rispetto alla tradizionale e pur sempre aulica interrogazione. In gioco c semplicemente ha-adam, ossia lumanit terrigena, il cui grembo e destinazione ultima (casa di eternit) sono a tutti inesorabilmente comuni (12,5). Questa originale forma di domanda antropologica fa pensare cos ad un'agile critica satirica volta a contrastare simultaneamente un duplice fronte: da una parte contro la pi tradizionale, nobile versione dellantropologia regale (il cui principio basilare delluomo a immagine di Dio sar totalmente ribaltato nell'impietosa assimilazione delluomo alla bestia: 3,18-21); ma dallaltra anche contro la pi bieca ideologia economicistica del suo tempo (et tolemaica, come preferisce la maggioranza, oppure achemenide, come vorrebbero alcuni?), in ogni caso
A. NEHER, Chiavi per l'ebraismo, Marietti, Genova 1988, p. 112. Qo sar ancora pi radicale affermando che il destino dell'uomo come quello della bestia (miqre hehad per entrambi: 3,18-20). Situato sotto il sole l'uomo sta sottomesso alle meravigliose e ferree leggi di natura che trascendono il breve corso della nostra vita. 63 Fast jargonhaft formulierte Frage (N. LOHFINK).
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giudicato malato, per quanto possiamo capire, di frenesia produttiva e affaristica, che allumana avventura pretenderebbe guardare con lo stesso utilitarismo con cui si procacciano buoni affari. Nel giro di un capitolo Qohelet smonta questillusione: non c nessun vantaggio sotto il sole (2,11),64 sanzionando che, in forza della morte che tutti di tutto disappropria, un approccio antropologico in termini di yitrn intrinsecamente fallimentare, insensato. Una domanda quindi spoetizzante, ma nientaffatto banalizzante, semmai satirico antidoto contro ogni banalizzazione, sia essa in nome della pi antica consuetudine ovvero del pi recente spirito del tempo. A questa versione economicistico-utilitaristica della domanda antropologica corrisponde, come intrinseco risvolto del pensiero di Qohelet, un suo molto peculiare concetto - oltre che di sapienza -65 dello stesso modello regale, a suo avviso inguaribilmente viziato da un peccato dorigine, cio da un tipico rischio deccesso cui, tradizionalmente anche nella coscienza dIsraele, sta esposta proprio la figura del re. Avendo il potere - quasi come Dio (Sal 115,3; 135,6) - di far tutto quel che vuole (Qoh 8,2-4), il re facile preda delleccesso fuori misura e dellimmane pretesa narcisistica di un io sovrano (A. RIZZI), ancora succube del delirio donnipotenza infantile, ossessionato dall'accumulo troppo (harbeh) -avverbio che con la sua quindicina di ricorrenze raggiunge in Qohelet il primato di frequenza in tutto lAntico Testamento,66 in Dt 17,16-17 regolarmente presente nel suo triplice divieto al re di possedere troppe mogli, troppi cavalli, troppe ricchezze... Lo stesso genere di imprese di re Qohelet rientra in questo orizzonte pi restrittivo,67 emblematico di una sindrome regale,68 di quellillusione ossessiva e compulsiva, almeno virtualmente comune a tutti gli umani, di acquisirsi unimmortalit fabbricata con le proprie mani. Anche nellautobiografia regale di Qo 1-2 tutto parte da una rimozione della morte ben pi pesante e clamorosa della censura insinuata dal Sal 8. E tuttavia merito impagabile di questo anonimo saggio travestito da re proprio daverne fornito una diagnosi e una terapia attraverso una fittizia versione autoironica, adottando
Alla domanda mah yitrn (1,3), anche per assonanza e rima, risponde gi la conclusione del poemetto: en zikrn (1,11). 65 Rispetto a una sapienza inizialmente tutta metodica, strumentale, elativa - da Qo chiamata, con molta bora, la mia sapienza (Qoh 1,12-18), vantata come strumento di acquisizione ossessivamente narcisistica (per me: 2,110), e inseguito pi dolorosamente elusiva, sempre pi lontana ad ogni tentativo di avvicinamento (7,23-24; 8,1617) - lo pseudoSalomone pu contrapporre la tua Sapienza, quel personificato dono teologale, capace di custodire e guidare il re per la missione al popolo (Sap 9,4.10-12.17.1). Cos per entrambi i nostri saggi la sapienza si propone come compagnia e guida, ma in termini di sostanziale differenza tra l'applicazione strumentale di un metodo tutto funzionale al proprio vantaggio (Qoh 2,3.9), e una presenza teologale personale (Sap 9,10c.11b). 66 1,16; 2,7; 5,6.11.16; 6,11; 7,16-17; 9,18; 10,14; 11,8 (2x); 12,9.12 (2x). 67 Nettamente alternativo il genere di opere intraprese. Lamministrazione della giustizia e la costruzione del tempio volute da Dio in Sap 9,8 sono proprio due lacune nelle imprese di Qohelet (1,12-2,26), impegnato semmai a costruire le proprie case (Qoh 2,4), e la propria architettura di godimento. Il Salomone di Sapienza occupa cos brillantemente lo spazio lasciato vuoto da Qo, assumendo una pseudoepigrafia anonima e implicita, ma effettiva. Preghiera di domanda, costruzione del tempio, esercizio della giustizia costituiscono tre sicuri segnali di identit e di spiritualit. Mentre Salomone si riconosce eletto da Dio (Sap 9,7), ed preoccupato di piacergli (9,9cd.10d.12a), il re Qohelet non menziona affatto la propria elezione ed preoccupato solo di attuare la propria agenda e della propria personale soddisfazione (Qoh 2,10). 68 Per una chiave ironica e psicanalitica pi dettagliata, mi permetto rimandare a R. VIGNOLO, Maschera e sindrome regale: interpretazione ironico-psicanalitica di Qo 1,12-2,26, Teologia 26 (2001) 12-64.
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cio - dopo il poemetto iniziale (1,4-11) -una maschera regale funzionale a smascherarla (1,12-2,26).69 A prezzo di una conclamata crisi depressiva (ho odiato la vita...tutte le opere delle mie mani: 2,16-17) innescata dal semplice pensiero della propria morte (si badi: dal puro pensiero, da un evento puramente interiore, riflessivo, non esterno, come le sventure economiche, familiari, sociali, fisiche di Giobbe), Qohelet si guadagna un ridimensionamento minimale, assestandosi sul mangiare, bere, godere delle fatiche delle proprie mani come dono di Dio (2,24-26). A questo livello di unumanit elementare ma non triviale, feriale piuttosto che festiva. A partire da 3,1ss. in poi non esibisce pi la vasta e minuziosa rassegna delle proprie conquiste, ma attentamente calibra, girandola e rigirandola, una pi modesta e agile bussola, che, a partire dalla morte, innalzata a punto di partenza della riflessione antropologica (N), apprezza il dono di Dio nella gioia di vivere (S), mantenendo nella luce del suo timore (E), in temperata e diuturna attivit (O). Certamente l'elezione regale per Qo non vocazione divinamente assegnata a misura duomo, ma hybris, tentazione di accumulo del vantaggio/profitto destinato a svanire. E il desiderio nel cassetto, laspirazione narcisistica pi pretenziosa che cova nel cuore di tutti, frutto del desiderio impazzito, espressione del narcisismo pi vulnerabile cui bisogna abdicare. Questa la conclusione - non scritta, e tuttavia chiara quanto basta, solidale con Giobbe-: poich muore, luomo non potr mai regnare. Il suo eschaton giudiziale la morte, dove si consuma la sanzione divina estrema misteriosamente uguale per tutti. Quindi la sua non regale vocazione consiste nel godere della propria limitata parte (3,22; 5,17-18; 9,6.9) effettivamente assegnabile al comune mortale. Per Qohelet la regalit allora una cifra senzaltro fallace della condizione antropologica, una sua narcisistica misinterpretazione, elazione barattata come elezione divina. Tutto il libro non solo satirico e parodistico allindirizzo della tradizionale antropologia della regalit, ma soprattutto decostruttivo di questillusione universale di cui Qo si sbarazza alla svelta, invitando il proprio lettore a far altrettanto. Il suo distanziarsi da aspirazioni regali e sapienziali eccessive suona dunque meno come uno scetticismo, e pi come monito a non volersi fuori misura (Sal 131), monito invero illuminato perch pronunciato in un'epoca di benessere in eccesso, quando cio sobriet in ogni senso arriva quale la parola dordine benedetta. La regalit inscenata da Qo con il suo effetto autoironico iniziale (1,123,15) svolge una funzione rispettivamente ermeneutica - fornendo la precomprensione indispensabile del discorso successivo - e comunicativa - non spaventando nessuno e divertendo tutti, lautoironia costituisce una formidabile captatio benevolentiae che, abbassando le difese delluditorio, favoriSotto il sole - ci dice il poema di 1,4-11 - sei un effimero, impegnato dagli eventi ciclici, insaturo e immemoriale. E oltre a ci - aggiunge la mascherata di 1,12-2,26 - sei immemoriale della tua stessa morte, visceralmente alieno ad accettare la misura fissata a te dalla finitezza.
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sce la recezione pi ampia possibile). Maschera regale e autorit sapienziale lungo tutto il libro di Qo si costruiscono cos in un chiasma: dietro il sedicente re davidico supersapiente si cela e si svela in realt un sapiente che nella finzione regale inscenata in cornice iniziale di libro, trasmette il pi efficace dei suoi meshalm (12,9-10), facendo di una maschera personale uno specchio universale per denunciare leccessiva pretesa del cuore umano. Un sapiente pronto a negarsi - forse con un vezzo di troppo - anche questa qualifica professionale (7,23), e che tuttavia uno dei suoi discepoli-editori, non senza ironizzare il grande ironista, non rinuncia ad attribuirgli (12,9). Dunque non un re supersapiente, ma un sapiente che si finge re fallimentare, e che, denunciandola in primo luogo come sua propria, svela cos luniversale insipienza, proponendo lalternativa di una sapienza minimale, una bussola di sempre nuovo orientamento al posto d'una mappa delle pretese gi acquisite conquiste.

2.3. Reintegrazione di condizione mortale e figura regale 2.3.1. Ben Sirach: la domanda ridimensionata e la regalit recuperata Nella domanda antropologica Ben Sirach (190/180 a.C.) introduce qualche nuova cadenza: Tiv a[nqrwpo", kai; tiv hJ crh'si" aujtou' tiv to; ajgaqo;n aujtou', kai; tiv to; kako;n aujtou' (Sir 18,8)
Propriamente una riflessione (piuttosto che una preghiera), che non respira l'entusiamo del salmista, n la rabbia di Giobbe, offrendosi bens come meditazione impregnata di atteggiamento orante (assai familiare a questo sapiente grande maestro al riguardo),70 e proposta nel dialogo d'istruzione del proprio discepolo (16,24). Contestualmente affiora nell'ultimo di una serie di inni (16,24-18,14),71 come pausa meditativa incastonata entro un piccolo poema (18,1-14) a lode della giustizia e misericordia divine. Con il Sal 8,5 condivide quindi un generale orientamento laudativo, ma meno estroverso e pi interiorizzato, conforme a un testo didattico e non di culto. Analogamente a Qo, anche Ben Sira evidentemente condivide lo stesso stile di approccio molto diretto e pragmatico al problema antropologico, dal momento che la domanda circa la funzionalit/finalit positiva o negativa dell'umano agire risulta semanticamente omogeneo a quello di Qo 1,3, che si interrogava circa il guadagno/vantaggio di tutta l'umana fatica sotto il sole, concetto anch'esso gi nell'ordine degli effetti e dei risultati. Per con una fondamentale differenza, dal momento che Ben Sira modifica sostanCfr. p. es. 26,1-6; 33,1-13; 36,16-22; 42,15-43.33; 50,22-24; 51,1-12. Secondo la divisione di P.W. SKEHAN EHANI LELLA, The Wisdom of Ben Sirach, New York Doubleday (AB,39), 1987: 16,24-30; 17,1-24.25-32; 18,1-14.
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zialmente l'iniziale tutto troppo antropocentrico approccio di Qo 1,3, chiedendosi infatti non pi quale sia il vantaggio autoreferenziale per l'uomo, ma piuttosto a chi/che cosa egli sia referenzialmente di vantaggio (o di nocumento),72 con una svolta quindi definibile come passaggio dall'autonomia all'eteronomia; e tuttavia con un esito comunque simile, dal momento che al pari del suo predecessore, anche Ben Sira propone di ammainare come insensata una siffatta domanda. Sir non ne fa questione astratta, per determinare quanto l'uomo debba o non debba lecitamente compiere, problema di cui gi tratta con particolareggiata ampiezza. La sua domanda antropologica si focalizza non tanto sulle premesse, bens sugli esiti e sugli effetti dell'agire, per ponderare cio davanti a Dio, alla storia, all'uomo stesso, il peso del bene e del male che si alternano e si compiono in lui: a che/ a chi serviamo, e quanto incide su noi stessi quanto facciamo? Rispetto all'utilitarismo egocentrico di Qo 1,3 l'orizzonte quindi molto pi ampio, ma anche pi pretenzioso. Siracide nutre ferma convinzione della libera responsabilit dell'uomo, da Dio posto di fronte alle sue scelte, per il bene o per il male (15,16-17). Ma sa con altrettanta certezza che Dio e il suo sapiente disegno trascendono e abbracciano tutti i contrasti della vita umana, essendo Egli tutto (43,27) come pure al di sopra di tutto (43,28), e ogni cosa disponendo egli a coppie nel suo disegno (33,15; 42,24-25; cfr. Qo 3,1-8),73 e finalizzando magnificamente al bene dell'uomo, in termini che inducono allo stupor admirationis quale attitudine assolutamente preferibile ad ogni specifica interrogazione: Cos direte nella vostra lode: "Quanto sono magnifiche tutte le opere del Signore!" Non
c' da dire: "Che questo? Perch quello?" poich tutto sar ritrovato al suo tempo! Non c' da dire: "Che questo? Perch quello?" poich tutto fu disposto utilmente! (39,16.21).

Formulato secondo il principio pragmatico della sua effettiva incidenza, il problema dell'utilit dell'uomo non trova quindi alcuna risposta diretta, rubricandosi, secondo il nostro saggio, nella serie delle domande impossibili, semplicemente da lasciar cadere. Come pochi attento all'utile (e al bene morale) di di tutta la sfera antropologica,74 Siracide dispone per d'un altrettanto profondo senso del mistero, stimando perfettamente impossibile per ogni umano soggetto qualunque computo della propria Wirkungsgeschichte sotto il profilo del bene e del male compiuto, dal momento che soddisfare un interrogativo del genere vorrebbe in ultima analisi dominare nientemeno che l'escatologia (sia pur quella strettamente personale). Pur entro questa ignoranza radicale, l'uomo pu comunque confidare che la propria vita abbia un senso, riposizionando le sue stesse questioni, entro i due poli del meraviglioso (gratuito) disegno divino, rispettivamente quello antropologico e
Prima che sull'uomo, per, Ben Sirach si interroga su Dio (18,1-6), chiedendosi chi mai sia in grado di indagarne le grandezze, misurarne la potenza e la maest, narrarne le misericordie. Ne conclude che non sappiamo farlo adeguatamente, e che in merito, quando ci sembra di avere concluso, eccoci daccapo (18,6; cfr. Sal 40,6; 139,1718). Solo a questo punto Ben Sirach solleva la sua domanda antropologica (18,7).
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Cfr. 3,22; 8,9; 11,9.23; 13,6; 15,12; 29,2.3.27; 35 (33),2.7; 37,8; 38,1.12; 39,21.26.31.33; 42,23.

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teologico, reciprocamente correlati a ridisegnare la grande differenza. Il primo ovviamente costituito dalla imprescindibile finitezza dell'uomo (18,89). Creatura di pochi giorni, goccia nel mare, granello di sabbia, non dovr cedere all'insensatezza di misurare se stesso, n angustiarsi nel terrore della morte (40,1-11)! Piuttosto l'uomo accetti quest'ultima come decreto di Dio per tutti (41,1-4), e contempli con pacificato disincanto la propria costitutiva fragilit abbracciata dal misericordioso e molteplice perdono divino (18,10-11). Entro la differenza tra trascendenza di Dio e umana piccolezza, ecco che l'incisivit del bene come del male del singolo ne esce davvero in termini di non troppa considerazione (Gb 35,5-7). Riuscito o fallimentare che sia, ogni impegno ed esito etico tenga presente la fragilit dell'uomo, contemplandola con lo sguardo paziente e misericordioso di Dio, consapevole dell'instabilit di un mortale (cfr. Sal 79,32-39; 103,8-16). Se chiunque in grado di usare misericordia verso il proprio prossimo, Dio fa questo nei confronti di ogni carne (18,13): rimprovera, corregge e insegna, riconduce come fa il pastore con il gregge (18,13-14). Terribilmente limitato, l'uomo creatura che Dio educa alla responsabilit (15,11-20; 17,1-12), all'amore per la sapienza (1,1-8; 4,11-19; 6,18-37; 14,20-15,10; 24,1-32), al timore di Lui (1,9-2,18), guidandolo alla conversione (17,20-27) e al dominio di s e delle proprie passioni (22,27-23,6), agendo come Maestro e Padre (23,1.4). Costituito nella differenza tra la propria fragilit ontologica ed etica e l'onnicomprensiva e multiforme misericordia di Dio (pari solo alla sua grandezza: 2,18), l'uomo quindi pur sempre figlio e re. Riprendendo la dottrina di Gen 1-2, Ben Sirach reintegra la regalit nella destinazione dell'uomo, stimandola comunque compatibile con la finitezza mortale,75 ma scorporandola nettamente da una domanda antropologica troppo funzionalisticamente intesa, all'insegna d'una curiositas troppo spinta e invasiva. Addirittura su Ben Sirach la percezione della divina misericordia tanto intensa da placare quel cruccio antropologico che, persistente ancora in Giobbe, qui invece ormai diluito in una consapevolezza della morte tanto acuta (effetto di Gb e Qo) quanto fatale, accetta come volere di Dio (8,7; 14,17-19; 17,2.25-27; 18,9; 22,9-11; 38,16-23; 40,1-11; 41,1-4).

2.3.2. Sap 7-9, ovvero la confessione antropologica dello pseudo-Salomone


Il passaggio dalla domanda alla confessione antropologica, che dimostra tutta la sua fluidit fin dal Sal 8,5; 144,3; Gb 7,17-18 trova un suo peculiare salto di qualit nella Sapienza di Salomone. Rispetto al superamento della censura e della rimozione della morte, come pure ad un'antropologia di esecrazione, il nuovo guadagno, ricavato dal confronto tra elezione regale e destino mortale, consiste qui nel riattingere l'idea d'un uomo, nonostante tutto
Illuminante il disinvolto parallelismo interno a 17,2, dove il primo stico dichiara la mortalit (Dio assegn agli uomini giorni contati e un tempo fissato), e il secondo la regalit (diede loro il dominio di quanto sulla terra).
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teomorfo, e progettato per l'immortalit (2,23). Ma ulteriore acquisizione sta nel superamento di un'altra rimozione, e cio quella della nascita (Sap 7,1-6), rappresentata come esperienza umana elementare, originaria cui la figura regale salomonica viene empaticamente assimilata, in vista di costituirsi -nella nota preghiera per la Sapienza (Sap 9,1-22)- archetipo e modello universale di umanit corrispondente alla propria elezione. Quale eccellente preliminare a questa pi nota pagina ad Sapientiam petendam, merita ogni interesse la limpida confessione antropologica di Sap 7,1-6, testimonianza eccellente tra quanto l'intera letteratura antica ci ha lasciato circa l'esperienza della nascita.76 Del resto, proprio la stessa tematica della fragile umanit, qui anticipata,77 fornir infatti la base primaria della preghiera stessa, nella sua fase tanto iniziale (9,1-6) quanto finale (9,13-18), disposta attorno al centrale riferimento salomonico (9,7-12). Non a caso solo qui pseudoepigraficamente identificabile come lautore del libro, Salomone si fa valere non solo quale eletto consapevole della propria speciale missione giudiziaria e cultuale in Israele, ma altres anche come individuo perfettamente conscio della propria assimilazione alluniversale, fragile umanit, generosa e severa verso tutti (compresi i rampolli di stirpe reale: 7,5-6). Coerentemente allelaborato pensiero di questo libro, Sap 7,1-6 respira in effetti di una speciale virt riconciliatrice e di pacificazione con linquietante contingenza dellumano esistere, mai tanto esposto e malamente interpretabile come nell'inerme frangente di venire al mondo, ma proprio in questo vissuto -come nessun altro iniziatico rispetto alle ulteriori esperienze-, additabile come magnifico analogo (presupposto e fondamento) di vita teologale e di risposta all'elezione, coincidente con lo stesso ingresso nel mondo: 71 2 3

Eij m i; me; n kaj g w; qnhto; " a[ n qrwpo" i[ s o" a {pasin kai; ghgenou'" ajpovgono" prwtoplavstou: kai; ejn koiliva/ mhtro;" ejgluvfhn sa;rx dekamhniaivw/ crovnw/ pagei;" ejn ai{mati ejk spevrmato" ajndro;" kai; hJdonh'" u{pnw/ sunelqouvsh". kai; ej g w; de; genovmeno" e[spasa to; n koino; n aj e v r a kai; ej p i; th; n oJ m oiopaqh' katevpeson gh'n prwv t hn fwnh; n th; n oJ m oiv a n pa' s in i[ s a klaiv w n:
ejn spargavnoi" ajnetravfhn kai; frontivsin. ouj d ei; " ga; r basilev w n eJ t ev r an e[ s cen genev s ew" aj r chv n , miv a de; pav n twn ei[ s odo" eij " to; n biv o n e[ x odov " te i[ s h. dia; tou'to eujxavmhn, kai; frovnhsi" ejdovqh moi: ejpekalesavmhn, kai; h\lqevn moi pneu'ma sofiva".

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In merito vedere i testi raccolti e studiati da M. BETTINI, Nascere. Storie di donne, donnole, madri ed eroi (Saggi 818) Einaudi Torino 1998 (Sap 7,1-6 avrebbe da essere contato in questo ricco dossier). 77 Nell'elaborata struttura concentrica della sezione centrale, Sap 7,1-6 sta in esatto parallelo a 8,17-21, a propria volta diretta anticamera alla grande supplica di 9,1ss.
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7,1a 1b 1c 2a 2b 3a 3b 3c 4 5 6 7a 7b

Anch'io sono un mortale, uomo come tutti, discendente del protoplasto fatto di terra, nel grembo materno fui scolpito una carne coagulato nel sangue lungo dieci mesi, da seme maschile e dal piacere d'un sonno. L'aria comune, anch'io respirai appena nato, caduto sopra una terra come a tutti sofferta, col primo grido in pianto, come tutti. Fui avvolto in fasce e cresciuto tra assilli. Per nessun re altro inizio di esistenza, si entra in vita e se ne esce come tutti. Perci pregai, e mi fu data saggezza, invocai, e venne a me uno spirito di sapienza...

L'autore, appena prima riconoscibile ancora solo quale sapiente e molto autorevole precettore di re (6,22-25), a questo punto ribassando il tono (7,1ss.), va ragionando in quanto comune mortale, come tutti debitore della propria esistenza a quella necessaria sequela di eventi indispensabili per una nuova vita: accoppiamento, concepimento, gestazione, parto, allevamento. Al termine di questa schietta fenomenologia della propria nativa, fragile carne, e in diretto riferimento al comune, nativo e mortale destino, eccolo lasciar cadere una prima rapida allusione ad un proprio eventuale status regale (7,5-6), in seguito esplicitato in termini che consentono di identificarlo pseudoepigraficamente con il re Salomone, per divina elezione preposto su Israele (9,7-8), quale garante della giustizia e del culto (in quanto fondatore del tempio), mediatore decisivo quindi dogni relazione orizzontale e verticale (del popolo al proprio interno e quindi anche con Dio). Tuttavia lidentificazione salomonica resta qui, allinizio della sezione centrale del libro ancora in ombra: accuratamente dissimulata dietro la propria comune e universale humana condicio, nulla ancora la farebbe presagire. Martellante Leitwort in tal senso il triplice come tutti (i[so" ajvpasin: vv. 1a.3c.6a), a conferma che il tema dell'uguaglianza di Salomone rispetto ad ogni altro uomo il tema centrale.78 Proprio su questo sfondo solidale tra l'uomo e il re Salomone -che nella pi consistente struttura chiastica di Sap 9 rispettivamente aprir (9,1-6) e chiuder (9,13-18) l'invocazione per ottenere la Sapienza-, verr pure rivelata la condizione eletta, regale e l'identit dellautore del libro, sicch la figura salomonica verr a collocarsi come perno centrale (9,7-12) della preghiera per ottenere la Sapienza. (Un'identit svelata, tuttavia, non per esplicita denominazione, bens per inequivocabile allusione alla sua proverbiale attivit giudiziale e alla costruzione del tempio di Gerusalemme: Sap 9,7-8; cfr. 1Re 3,15-28; 5-8). La teologia dellelezione speciale legata alla promessa davidica - di per s materia incandescente, a rischi di illusioni etnocentriP. BIZZETI, Il Libro della Sapienza (Suppl. della Rivista Biblica 11) Paideia Brescia 1984, 67. Inoltre l'arrangiamento chiasmatico dellinclusione (condizione mortale/ e comune origine: v.1-2; comune origine/ comune esito mortale: v.6) focalizza ancora pi limpidamente i due estremi dell'esistenza, tutta inclusa nella consueta opposizione polare di ingresso nel mondo/uscita dal mondo.
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che, elazioni narcisistiche e delusioni estreme (cfr. 2Sam 7; 1Cron 17; Sal 2; 18; 72; 89; 132; 144; Qo 1-2), ma anche modello catalizzatore di pi estese e universali promesse (Is 55,3) - trova proprio qui, nella sezione centrale del libro (Sap 7-9), una rielaborazione di speciale maturit e finezza. Lelezione speciale viene infatti qui ripensata in intima saldatura ad un'antropologia teologica perfettamente universale, addirittura elaborata in sua funzione, non quindi per mera giustapposizione, n per contrapposizione frontale, bens per interna e reciproca ospitalit di un caso massimale ed esemplare di regalit sapiente, ottimo corrispettivo di un destino universale da Dio impresso originariamente nell'uomo. Congiurano a questo eccellente risultato l'assunzione di due distinti modelli regali, ciascuno con una propria vicenda autonoma, ma qui felicemente confluenti, rispettivamente: uno di ascendenza extrabiblica e di finalit pi accentuatamente politica, relativo al sovrano ideale, quale fu elaborato da quella feconda trattatistica neoellenistica, che ne accentua i tratti umanistici e teologali allinsegna di somma temperanza, nella linea della imitatio Dei.79 Laltro invece piuttosto intrabiblico e d'impronta pi strettamente antropologica, relativo alla concezione delluomo in quanto tale destinato e creato conforme ad un modello regale, nella linea della imago Dei. Non ignara della prima, ma certo anche fedele a questa seconda tradizione (Sal 8; Gen 1-2), e sulla sca di un'analoga pi recente ripresa da parte di Ben Sirach (Sir 17,1-12), la Sapienza di Salomone supera il verdetto dincompatibilit intrinseca tra destino regale e umanit mortale sanzionato prima (sarcasticamente) da Giobbe detronizzato da Dio, e poi (autoironicamente) dal Qohelet spontaneamente abdicante al proprio narcisismo, per ripristinare vigorosamente ripristinata l'opzione per una regalit come cifra di una antropologia fondamentale, stimata perfettamente compaLapproccio alla regalit in Sapienza si ispira al filone stoico del sapiente come re e alla trattatistica di formazione del buon sovrano, aspetti questi che caratterizzano la destinazione del libro (1,1; 6,1-11). In merito, cfr. E.R. GOODENOUGH, The Political Philosophy of Hellenistic Kingship, in Yale Classical Studies 1 (1928) 53-102. L. DELATTE, Les traits de la royaut dEcphante, Diotogne et Sthnides, Universit de Lige 1942. Secondo J. M. REESE, Hellenistic Influence on the Book of Wisdom and its Consequences, (An Bi 41) Biblical Institute Press Rome 1970., 71-89 (daccordo con P.W. SKEHAN, The Literary Relationship between the Book of Wisdom and the Protocanonical Wisdom Books of the Old Testament, Washington 1938, 33) il riferimento di Sap allideale ellenistico-stoico del re saggio e del saggio come re sarebbe perfino preponderante rispetto alle ascendenze bibliche. Sul tema lo stesso ARISTOTELE - precettore di Alessandro Magno - avrebbe addirittura scritto un trattato andato perduto (analogamente PERSEO di CIZIO, e CLEANTE). Insomma, si tratta di un topos e un genere fortunati soprattutto tra gli stoici (cfr. FILONE, Quod omnis, 30-31; 13-15; 159-160; 187; S ENECA, de clementia. E PITTETO, Diatr. III,22. ARISTEA, Lettera (i sette banchetti offerti da Tolomeo Filadelfo ai 72 saggi traduttori). Tre autori pitagorici (DIOTOGENE, STENIDA, ECFANTO sono menzionati da CLEMENTE, Strom, 5.97.7; 5.99.3-101; 5,107). Il saggio come re idea condivisa anche dalla tradizione biblica (Pr 4,9; Sir 4,15 (H); 6,29-31), precedente a Sap 3,8; 5,6; 6,20. Secondo la trattatistica ellenistica il re terreno riproduce le perfezioni divine, che sono volentieri rappresentate come quelle di un sovrano temperato, magnanimo e clemente (proprio come in Sap 12,15-19 si descrivono di Dio la dynamis, la epieikeia, la philanthropia (una triade reperibile nello stesso ordine in ARISTEA, Lettera, 206-208). A dire di REESE quindi, piuttosto che riprenderne lidea biblica (Sl 8; Gn 1-2), Sap preferirebbe un pi analitico riferimento ai trattati sulla regalit. Una spia in tal senso fornirebbe la frequenza del vocabolo anthropos (ben 32x in Sap, e fin 5x solo in Sap 9), usato con simpatia anche da ARISTEA, Lettera, 174. Nulla eccependo alla pertinenza di questi paralleli, sembra per quantomeno improbabile precludere a Sap questascendenza biblica in merito alla regalit, proprio in quanto tradizione sempre pi impegnata a render ragione della condizione mortale ad essa comunque intrinseca. Se lautore di Sap giustamente ammirato (anche da REESE, Hellenistic, 81-2) per la sua brillante integrazione di molteplici filoni di cultura ellenistica (la scienza medica, la filosofia religiosa ellenistica e la psicologia aristotelica), non si vede perch negargli interesse e capacit a far altrettanto con la tradizione specifica biblica, tanto pi in quanto portatrice di un tema e di una sensibilit affini a quella ellenistica.
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tibile con la condizione mortale (Sap 7,1-6; 9,1ss.). Proprio la rivisitazione non pi enfatica (come nel pur splendido Sal 8), bens misurata di questa compatibilit costituisce il patrimonio pi prezioso del nostro testo (anzi di tutta la sezione centrale: Sap 7-9). Una compatibilit pensabile solo a partire dalla necessit di invocare e ricevere il dono della Sapienza, rispetto a cui Salomone, come tutti, dipende (neanche per lui si tratta di un dono innato, meno che mai del frutto/diritto implicito di una nascita soprannaturale, che lo assimilerebbe a un dio).80 Non a caso l'esordio di Sap 7,1 propone una piccola distorsione antifrastica dimplicita polemica verso l'ambiente greco, che divinizza i propri re, i quali tutti pretendevano di derivare da una divinit.81 Lattacco con anchio (kai; ejgw;: vv. 1.3, anteposto al dichiararsi come tutti gli altri), suona infatti parodistico rispetto alla convenzione degli eroi omerici, che aprivano il racconto autobiografico davanti a una udienza illustre, vantando a propria volta natali eccellenti e fuori dal comune.82 Introducendo in questa formula un contenuto e valore esattamente inverso rispetto alla sua applicazione abituale, ecco che l'esordio in tono abitualmente altomimetico ma parodisticamente ribaltato in bassomimetico, confessa non una genealogia speciale, bens la pi ordinaria possibile, quella di un'esistenza principiata da un concepimento, una gestazione e una nascita perfettamente comuni. La tipica contrapposizione delleletto (uno) rispetto alla massa non eletta (molti/tutti) viene qui anticipatamente stemperata nella perfetta assimilazione dell'unico ad una condizione ugualmente vulnerabile, inclusiva dello stesso eletto, per la nascita in nulla differenziabile rispetto ai molti/tutti. Sicch l'io qui pronunciato da Salomone non suona con accenti diversi da un io comune, bens sintonica con chiunque pronuncierebbe il proprio. Si badi come la novit non stia qui nel compiangere, a denti stretti, che leletto, il re, anche lui muore purtroppo come tutti. Nuove sono piuttosto la maggior estensione dellumana sfera a tutti comune (re compresi) all'ambito della nascita, oltre che della morte; nonch la pi riconciliata disposizione verso l'umana fragilit e finitezza. Secondo una pi matura consapevolezza (psicologica, spirituale, teologale), la coscienza credente dIsraele nella diaspora dellacculturato ambiente alessandrino ricompone integrativamente il morire-come-tutti, in qualche modo gi metabolizzato, con il nascere-cometutti, aspetto pi tenacemente rimovibile e quindi di pi arduo recupero. Entro un'esperienza universale, il cui codice prevalente quello di conformit (comune l'aria respirata per la prima volta, come a tutti sofferta la terra su cui si cade, uguale il primo grido levato in pianto), rispetto a 7,1 e 7,6, in posizione perfettamente centrale (7,3) spicca molto efficacemente il trauma della nascita,83 esperienza archetipa di tutte le successive
Totale la sdivinizzazione del re, anche rispetto al neopitagorico ECFANTO, per cui il re mortale come tutti, e tuttavia pi di tutti simile al dio supremo. 81 G. SCARPAT, Libro della Sapienza II, (Biblica, Testi e studi 3), Paideia Brescia 1996, 18. 82 Del resto, anch'io mi vanto stirpe di nobile padre: cos parla Diomede (OMERO, Iliade, 14,113). 83 O. RANK, Il trauma della nascita, Sugarco Milano 1990.
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forme di angoscia di separazione, destinate a prodursi entro quello schema di fondo: v. 3 kai; ej g w; de; genovmeno" e[spasa to; n koino; n aj e v r a kai; ej p i; th; n oJ m oiopaqh' katevpeson gh'n prwv t hn fwnh; n th; n oJ m oiv a n pa' s in i[ s a klaiv w n: A diretta riprova della intrinseca bont del nascere ecco che, finalmente, qualcuno risponde all'invocazione in pianto del neonato (Sap 7,4). Qualcuno ne placa langoscia di separazione, prestandogli un premuroso accudimento, fatto di pannolini e preoccupazioni, rispettivamente un oggetto e un concetto che ben riassumono il carico di chi si dedica a una nuova vita.84 Le fasce neonatali simbolizzano simultaneamente sia le rassicuranti cure materne in risposta al primo grido infantile, sia linquietante analit cui far fronte (quel lato pi bassomimetico, anzi triviale del quotidiano, contrastante tutte le somme aspirazioni d'ogni individuo, e quindi per lo pi rimosso).85 Ecco allora saldate assieme, indissolubili, la precariet della vita nascente, rivendicante aiuto fin dal primo grido, e la sua corrispondente cura effettiva, giustamente prestata, segno di una giustizia/giustezza umana responsabile della situazione obbiettiva, segno della reciproca inclusione di ontologia ed etica. Ne consegue che, chiunque pon mente alla propria nascita, a partire da quel frangente dovr ammettere due elementari verit: di riconoscersi, per un verso, contingente come non mai,86 e per laltro per riscoprirsi gratificato non soltanto della vita cui stato generato, ma altres di quella che lo custodisce in reiterata cura amorosa, corrispondente alla sua prima invocazione d'aiuto.87 La nostra fenomenologia della nascita si chiude sulla consueta opposizione polare (entrare/uscire: 7,6) che abbraccia lintero arco dellesistenza, dall'inizio alla fine. La stessa formula si ritrova gi sulle labbra di Salomone giovinetto al santuario di Gabaon durante il suo sogno d'incubazione nella notte precedente la sua incoronazione (1Re 3,7). E' proprio in questo contesto che egli si guadagna il primo meritato alloro di sapiente quando, interpellato dal Signore relativamente al suo privilegio filiale di re di Giuda (chiedimi ci che di devo dare!), Salomone trascura di chiedergli i soliti marcatori di vita benedetta (longevit, prosperit, fecondit, vittoria sui nemici, onore e fama). Confessando la propria inesperienza (non so n entrare n uscire) a fronte di un popolo numeroso da governare, opta piuttosto per un cuore in ascolto (1Re 3,5), con cui saper discerLaoristo (incoativo o complessivo) di ajnetravfhn praticamente apax nei LXX: cfr. 4Mac 10,2; 11,15) dice la prolungata cura genitoriale. 85 In merito, cfr. E. BECKER, Il rifiuto della morte, Paoline 1983. 86 M. MCGLYNN, Divine Judgement and Divine Benevolence in the Book of Wisdom, (WUNT 2.R 139), Mohr Siebeck Tbingen 2001, 108. 87 Il sentimento di contingenza (mortalit, occasionalit, spaesamento: vv. 1-3), quello stesso che induce gli empi di Sap 2 alla loro cupa opzione nichilista, vien temperato dallaccoglienza e cura materna incontrate, usualmente destinate alla vita neonatale (cfr. 2Mac 7,27; Ez 16,1-7; Lc 2,7).
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nere e giudicare tutte le questioni relative al popolo. E' riconosciuto come Sap 7-9 rievochi e rilegga la pagina di 1Re 3,88 ma comunque introducendo nuove e pi profonde valenze sapienziali e antropologiche, il che vale anche nel nostro caso. Non solo infatti il dono invocato dallo pseudo-Salomone trascende l'ambito di una sia pur eccellente facolt spirituale, riguardando piuttosto la Sapienza nella pienezza della sua ipostatica qualit teologale, ma la stessa situazione antropologica a partire da cui muove la preghiera viene ripensata con un'inedita intensit. A Gabaon, infatti, Salomone schiettamente denuncia la propria incapacit tipicamente giovanile di assumere le iniziative necessarie per l'esercizio del governo del popolo. Dunque si tratta pur sempre della carenza di una facolt, di inesperienza ancora al di qua d'una et adulta. La medesima opposizione polare in Sap 7,6 allude invece alla pi radicale finitezza ontologica dell'umana esistenza, per tutti sottesa tra ingresso nel mondo e uscita da esso. Quindi non pi franca dichiarazione d'inesperienza, ma piuttosto confessione di ontologica precariet di cui ogni umano soggetto, per stagionato che sia, ha da riconoscersi affetto. L'originalit del nostro testo sta cos nel contemplare l'uguaglianza degli uomini soprattutto in ragion della comune nascita, piuttosto che come invece pi spesso avviene nella stessa Bibbia- per riferimento alla morte, ma senza mancare di ricollegare questi due termini entro un unico pensiero. Connettere assieme il nascere e il morire come esperienze a tutti comuni comporta una pi robusta e ricca spirituale autoconsapevolezza, di certo con qualche impegno e risultato in pi rispetto alla tradizione antecedente. in relazione alla confessione della propria umanit inclusa tra nascita e morte. In particolare, riappropriandosi con lucida serena coscienza della propria nascita, il nostro supera perfino la spregiudicatezza di Qo. Questi infatti si era mirabilmente impegnato a saldare il debito contratto con la rimozione della propria morte intrinseca alla sua sindrome narcisistica,89 non solo in ordine ad accettarla, ma addirittura riproponendola come inedito punto di partenza della riflessione sapienziale, almeno parzialmente alternativo al noto adagio: initium sapientiae, timor domini. Nella sua straordinaria lungimiranza, non riusciva per a includere la stessa nascita nel recupero delle sue rimozioni: qualche ancor troppo arcaica zavorra, qualche residuo di narcisismo gli impedivano un'adeguata considerazione della condizione filiale.90 L'opzione pregiudiziale eucologica (dia; tou'to eujxavmhn: 7,7),91 che d consistenza alla supplica per la Sapienza, trova quindi le proprie motivazioni
In merito, cfr. M. GILBERT, La Sapienza di Salomone 1, Ed. ADP, Roma 1995, 69-98. La rimozione della nascita fa parte del complesso edipico (il segreto desiderio di volersi causa sui, per non riconoscersi debitore di s ad alcuno, e quindi anche della rimozione della morte (almeno nel senso della sua necessit altrettanto ingovernabile quanto la nascita). 90 Non a caso, infatti, Qo l'apprezza pi limitatamente, cio in coincidenza con la figura dell'erede, cio in un pi ristretto modello di rapporto generazionale, strettamente confinato all'ambito del possesso e del godimento personale dei beni. 91 dia; tou'to segna una svolta importante nel discorso (sia profetico: Fil 2,10, che innico: Sir 44,21), che prende una nuova piega sulla base di quanto precedentemente esposto.
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ragioni nella confessione antropologica di un'esistenza finita, che si riconosce generata oltre che creata e accolta, cio accudita a partire dalla sua prima invocazione di neonatale indigenza. A ormai notevole distanza temporale da quel momento infantile come pure della su aprima invocazione (parla qui uno gi esperto del dono invocato), lo pseudo-Salomone recupera la pi pervicace rimozione della nascita, riguadagnando cos una pi salda base d'invocazione a Dio per la Sapienza. Di nuovo, un'originale ripresa di 1Re 3 inchiave esistenziale: il Salomone di Sap 7-9, infatti, non prega pi nello stesso luogo (il santuario di Gabaon), n allo stesso modo (in risposta alla teofania in sogno, durante il quale il Signore gli offre di esercitare il suo privilegio elettivo regale e filiale: chiedimi!: 1Re 3,5ss.). Sorvolando completamente su queste contingenze, egli ricava le buone ragioni dellinvocazione del dono di Sapienza evocandole dalla memoria immemoriale della propria nascita, e coniando la propria supplica in analogia alla sua esperienza d'invocazione neonatale. L'uomo che si confessa creatura generata e iniziata alla vita dissoda cos il terreno per l'arrivo della Sapienza,92 nel senso che quella supplica pi adulta costituisce una ripresa -in termini di nuova consapevolezza e volont- di quel primario grido infantile, questa volta lanciato non pi sotto la spinta di un'insopprimibile (eppur degnissima, verissima) fisiologica necessit, bens sapendo e deliberando di dovere/volere ri-nascere dall'alto (per dirla con il Ges giovanneo: Gv 3,38), condividendo -per riprendere Rom 8,19-27, le doglie del parto dell'intera creazione. Filtrato da una bella confessione antropologica, il grido neonatale prefigura la stessa preghiera che medita la grazia della nascita, che in nuce precontiene ogni futura e matura invocazione teologale di Sapienza, capace di rivitalizzare la propria precariet creaturale, riparandola da ogni tentazione nichilista. Antropologicamente e spiritualmente parlando il paradigma della nascita offre infatti lanalogatum princeps di tutte le esperienze iniziatiche, di transizione, ovvero, pi semplicemente, di ogni prova futura, d'ogni compiuta esperienza di fede, addirittura il primo paradigma della stessa elezione adeguatamente riconosciuta e corrisposta, al riparo di ogni elazione. Cos, se nascere sinonimo di separazione da ci che ci genera, e di conseguente messa alla prova circa la necessaria rifigurazione del nostro rapporto con lorigine,93 Sap 7,1ss. restituisce uno spaccato particolarmente profondo
J. VILCHEZ LINDEZ, Sapienza, Borla Roma, 1990, 281. Nascere consiste nellessere separati o nel separarsi da ci che ci concepisce nellordine della carne come nellordine del pensiero. Senza questa separazione della vita nella Vita, la stessa realt che ci concepisce ci blocca, ci fissa, o ci uccide. Il ventre materno, , diventa una tomba, il suo linguaggio una prigione. Senza la parola che nomina e che separa dallaltro, il fatto stesso di nascere ci fa irrimediabilmente correre il rischio dessere abortiti: cio di non uscirne vivi. Lidentit delluomo implica separazione e perdita. E chiaro, allora che nascere morire a ci che ci concepisce il che implica che ci che ci concepisce ci dona a noi stessi. Ci che ci concepisce dal lato della descrizione nel discorso, dal lato del visibile e dellimmagine, dal lato della forma, della carne e della rappresentazione. Nascere, morire a ci che ci concepisce, significa morire alla nostra propria immagine per essere affidati alla parola che ci nomina con un nome proprio in un corpo. Se non c soggetto altrimenti che allo stato nascente, e se nascere essere separati da ci che ci concepisce per essere istituiti nel campo del desiderio dellaltro, piuttosto che come incontro, la nascita va considerata come la messa alla prova del soggetto. La nasci92 93

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delle condizioni pi adeguate di tale rifigurazione. Altrimenti detto: se pregare simultaneamente rinascere e rispondere alla grazia della propria elezione, allora il pensiero riconciliatore con la propria nascita, capace di superarne la rimozione, conviene in modo speciale alla preghiera stessa e all'autodeterminazione non elativa per la propria elezione, in ordine a desiderare e volere la propria pi personale comunione con la Sapienza, che sempre e dovunque graziosamente ci anticipa.

3. Conclusione Secondo i dichiarati intenti resterebbe da esplorare il passaggio al Nuovo Testamento, con attenzione specifica a due testi: quello giovanneo dello ecce homo/ecce rex vester (Gv 19,5.14), come pure la lunga citazione del Sal 8,57 LXX in Eb 2,6-8a, nel suo pi ampio contesto (Eb 2,1-12), applicato al Cristo signore, figlio e fratello, quel Ges che fu fatto per poco inferiore agli angeli94, ma che vediamo ora coronato di gloria e di onore (2,9). Accontentiamoci qui d'un semplice riferimento in actu signato, quanto basta intuitivo per riconoscere come la tendenza di un ricompattamento della figura regale (e quindi di elezione) con l'humana condicio massimamente espressa nella Sapienza di Salomone trovi conforto e compimento secondo la scrittura neotestamentaria con una valorizzazione epifanica dell'ecce homo/ecce rex vester giovanneo (19,5.14),95 dove gloria ed esaltazione regale sono addirittura anticipate nel rex iudeorum rifiutato e crocifisso. Sarebbe da sviluppare come la domanda antropologica, dal Quarto Vangelo spostata sull'identit di Ges (Gv 8,25; 21,12), diventi a questo punto piuttosto epifania e deissi cristologica, che nella macabra parodia regale inflitta al giusto e al Figlio consegnato alla croce, indica l'avvenuto compimento messianico, con correlativo risvolto antropologico: in una parola, l'eletto regna compiutamente proprio gi a partire dalla sua pi inerme e vilipesa umanit.96 A bilanciare la nota tendenza giovannea ad un cristocentrismo dell'anticipazione del compimento, ci pensa Eb 2,1-12 con la sua diffusa citazione e interpretazione del Sal 8,5-7 LXX, dove l'accento in ogni caso anche qui fortemente cristocentrico, cade piuttosto sul non ancora relativo al Cristo glota del soggetto dipende dalla messa alla prova dei significanti, nellatto duna parola. (D. VASSE, La chair envisage. La gnration symbolique, Seuil Paris 20022, 31-32). Per le differenze, rispetto al testo ebraico, di Sal 8 LXX citato in Eb 2,6-8a, cfr. CHILDS, Psalm 8, 24-26; VANHOYE, Situation du Christ, cit.
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R . VIGNOLO, Chi pronuncia l'ecce homo (Gv 19,5c)? - ovvero la ritrattazione di una consuetudine, in IL VANGELO GIOVANNI. Nuove proposte di esegesi e di teologia. Scritti per i settant'anni di Giuseppe Segalla, in Studia Patavina L (2003) 717-726.
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SECONDO

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In sinossi con la parodia regale autoironicamente inscenata da re Qohelet (in ordine ad escludere ogni sensata attribuzione regalit ad un mortale), quella inflitta a Ges Nazoraio a titolo di scherno dai suoi carnefici e rappresentata in termini di ironia drammatica, forma un efficace chiasma cos leggibile: nonostante le proprie pretese regali, dal momento che muore, l'uomo non pu regnare, ma semmai, riscoprendo il dono di Dio, vivere e pensare a partire dalla morte (cos Qo); tuttavia quell'uomo, comune e singolare che Ges Nazoraio, vivendo e pensandosi come dono di Dio mandato dal Padre, fa della sua stessa morte un'epifania di regalit divina e sua propria (cos Gv).

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rioso dopo la sua breve umiliazione, ma, al momento, ancora sguarnito almeno ai nostri occhi- di una veramente universale signoria (in realt, noi non vediamo ancora che tutto gli sia stato sottomesso). Mantenendosi in posizione di riserva escatologica e nella speranzosa protensione verso un compimento ancora non completamente e totalmente realizzato, bens solo anticipato e parziale, e quindi sapendosi forte d'una promessa ancora pendente circa la sua ricaduta universale, la domanda antropologica del Sal 8 si mantiene vitale, riproponendosi in termini di irriducibile attesa, coerente, anzi ancora pi marcata rispetto al suo assetto originario, che abbiamo visto proiettato in attesa dell'ulteriore agire di Dio propter homines. In ogni caso, la tendenza tracciata dalla tradizione biblica impegnata sulla domanda antropologica nel quadro della figura regale come cifra di elezione divina, disegna, una parabola quantomeno affascinante. Proiettata in risposta ad un audace, universale destino regale, sia pur a prezzo di qualche censura in merito alla condizione mortale dell'umanit e alla correlativa immagine di Dio (Sal 8), la domanda antropologica sfonda rapidamente ogni reticenza, trovandosi a fronteggiare angoscia (Sal 144) e risentimento (Sal 89; Gb 7) consistenti. Conosce pure la deriva di una cupa e autocolpevolizzante denigrazione antropologica (amici di Giobbe e Qumran), come anche i tortuosi e pi istruttivi meandri di una narcisistica sindrome regale (con rimozione della morte, e suo faticoso recupero: Qo 1-3). Cos attraverso alterne oscillazioni la compatibilit tra regalit come universalmente nota cifra di elezione divina e humana condicio ottimale riprende quota con Ben Sira, e poi con Sap, fautori entrambi di una rinnovata compatibilit e ricomposizione delle due grandezze. Superando le riserve pi radicali avanzate dalla sapienza critica di Gb e di Qo, e comunque tesaurizzandone l'apporto, Sir e Sap ripropongono una pi ponderata compatibilit tra condizione umana ed elezione regale, coltivando l'idea d'un uomo eletto non propriamente a dispetto di e nonostante, bens proprio entro la sua stessa condizione creaturale e mortale. Rispetto a pi egemoniche aspirazioni la dimensione di umanit in rapporto ai suoi aspetti ptici (riferibili non solo alla morte, ma alla stessa nascita, e ad ogni possibile minaccia), viene sempre meglio riconosciuta come intrinseca alla figura regale, che per quanto problematica, misteriosa, vilipesa, schiude un orizzonte percepito comunque integrabile, addirittura come spazio di rivelazione. Un sensibile spostamento d'accento si registra proprio quando, nella logica di una vera e propria confessione antropologica (preferita alla stessa domanda, da cui comunque sporge), regalit ed elezione sono percepite sempre meno elativamente, e sempre pi per riferimento ad una umanit ordinaria e feriale, benevola e mite, resistente a qualunque esecrazione, anche considerandone l'incresciosa ma preziosa condizione nascente. La sequenza di compatibilit, incompatibilit, nuova compatibilit tra condizione antropologica e destinazione regale coincide con quella successione e orga-

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nizzazione che W. BRUEGGEMANN reperisce nel Salterio come salmi di orientamento di disorientamento di nuovo orientamento.97 Guadagno ricavabile da questa charizah di testi relativi alla domanda antropologica correlata alla figura regale in fondo quello di chiamare ogni singola e differenziata teologia biblica dell'elezione alla prova dell'universale condizione umana, riconoscibile quale sua effettiva pietra di paragone, capace di offrire un efficace antidoto ad ogni troppo esclusiva e ingenua (elativa) pretesa (per biblica che sia).

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W. BRGGEMANN, La spiritualit dei salmi, Queriniana Brescia , 2004.

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