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PRIMA EDIZIONE:
IL PRATO - COLLANA I CENTOTALLERI
PADOVA 2011
EDIZIONE IN FORMATO EBOOK:
2014
MARCO TRAINITO
Umberto Eco:
Odissea nella Biblioteca di Babele
Con unintervista dellautore a Umberto Eco
INDICE
Avvertenza
Premessa
Introduzione
TRA NARRATIVA E FILOSOFIA DEL SEGNO
Capitolo 1
BENVENUTI A BLITIRIA
Capitolo 2
SFIDA AL LABIRINTO
Capitolo 3
LINIZIAZIONE DEL LETTORE
Conclusione
CHECK-UP PER UN COMPLEANNO
Appendice 1
DIALOGO CON UMBERTO ECO
Appendice 2
SOMMARIO ANALITICO DEL PENDOLO DI FOUCAULT
Riferimenti bibliografici
AVVERTENZA
PREMESSA
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quali, essendo legati pi alla realizzazione tecnica che allinvenzione, sono destinati ad essere migliorati dagli imitatori, contrariamente a quanto avviene nella grande arte, dove i pittori caravaggeschi non possono mai competere con Caravaggio e Carolina Invernizio non potr mai essere confusa con Balzac.
Chiss se Eco rimarrebbe deluso anche oggi che abbiamo
la possibilit di rivedere il film di Kubrick con un grado di risoluzione delle immagini e di nitidezza dei colori tale che il suo
impatto visivo risulta incommensurabile con quello prodotto
dagli schermi televisivi del 1983, bench naturalmente limpressione di antico della tecnologia, dei costumi e degli arredamenti sia ancora e pi che mai ineliminabile. Ma non questo
che qui ci interessa. Qui ci basta sapere che Eco ha subto il fascino di questo film, al punto che in altra occasione, per dire che
a volte il modo simbolico esibisce una sua logica ferrea, se pur
paranoide, e il simbolo duro, geometrico e pesante, non trova
di meglio che evocare il monolito nero in forma di levigatissimo
parallelepipedo che appare in 2001: Odissea nello spazio (cfr.
Eco 2002: 167).
Il presente saggio sullopera narrativa di Eco, condotto
ponendo Il nome della rosa al centro del gruppo dei sei romanzi
sia per ragioni di organizzazione formale sia perch a parere di
chi scrive esso resta la summa di tutta la produzione echiana,
intende usare il film di Kubrick come faro per illuminare un
aspetto preciso dellesperienza dei personaggi principali e dei
lettori di Eco. Chiamando Odissea nella Biblioteca di Babele
questa ipotesi di lettura, si intende proprio alludere a un approc-
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infinita (Eco 2007b: 55). E a questo punto inevitabile ricordare lincipit de La Biblioteca di Babele: Luniverso (che altri
chiama la Biblioteca) si compone dun numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali (in Borges 1984: 680).
interessante osservare, peraltro, che se qui si usa Kubrick per decifrare Eco, sarebbe possibile usare Eco per decifrare Kubrick. Anzi, per ricorrere al linguaggio della logica modale, si potrebbe dire che questa possibilit necessaria, semplicemente perch si gi realizzata almeno una volta. In un saggio di Omar Calabrese su Kubrick, intitolato I mondi possibili
in Kubrick. Ovvero: la poetica delle porte e stampato in Brunetta (a cura di) 1999: 33-44, viene fatto uso degli strumenti di analisi testuale proposti da Eco in Lector in fabula. In particolare,
esaminando alcuni momenti di film come 2001, Arancia meccanica, Barry Lyndon e Shining, il semiologo amico di Eco mette
in luce quelle strategie testuali (nel caso specifico relative alla
narrazione filmica) che innescano la generazione di mondi possibili, che a loro volta sono operazioni di gioco previsionale
costituite insieme con il testo. Il mondo possibile, insomma,
una specie di tappa della cooperazione narrativa fra autore e lettore, e succede che mentre il testo dispiega nel tempo la narrazione, vi siano dunque, contemporaneamente, una serie di ipotesi su come andranno a finire le azioni raccontate. Queste ipotesi
possono essere ipotesi dellautore, ipotesi, naturalmente, del lettore, e ipotesi anche dei personaggi. Il testo stesso, poi, oltre a
prevedere ci che pu essere previsto e ci che non lo pu essere, (...) si incaricher anche di rispondere alla domanda se quelle
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previsioni erano azzeccate oppure no (p. 35). E questa esattamente una delle pi classiche teorie di Eco del processo di interpretazione di un testo e di interazione tra lettore e opera.
Ecco perch le odissee illustrate nel presente saggio riguardano sia i personaggi di Eco che i suoi lettori. E si tratter di
naufragi non necessariamente o non sempre tragici. Anzi, per
dirla con i nostri poeti, bens vero che nel suo itinerario verso
Dio la mente umana destinata a naufraga di fronte allinesprimibile geometria della Trinit (o alla sua irrimediabile insensatezza, come diremmo oggi), ma tale naufragio pu anche rivelarsi dolce, e persino allegro, se si dei lupi di mare irresistibilmente spinti dalla sete di conoscenza e pronti dopo ogni caduta
o dopo ogni approdo a riprendere il viaggio.
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INTRODUZIONE
I
Una perplessit non di rado petulante e stucchevole sul
citazionismo sfrenato dellEco romanziere stata pi volte e da
pi parti sollevata con un certo fastidio per dire che in fondo
Eco non fa altro che sfruttare ed esibire le proprie sterminate
conoscenze enciclopediche per gettare fumo negli occhi del lettore e nascondere cos la propria incapacit creativa e poetica di
fare letteratura pura basata sullinvenzione di storie nuove. Tutto questo pu anche essere vero, ma il fatto che Eco, nei suoi
romanzi, non mai (del tutto) gratuito nel sommergere il lettore
con citazioni attinte da buona parte dello scibile umano. A ben
guardare, i suoi romanzi sono costruiti e concepiti in modo tale
da giustificare in qualche modo la complessa trama di riferimenti letterari e filosofici di cui sono intessuti, e questo un aspetto
da cui non possibile prescindere per una loro adeguata valutazione, altrimenti si rischia di rigettarli guidati inconsciamente
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dal ben noto meccanismo psicologico della volpe di fronte alluva che non pu raggiungere perch troppo alta.
Per capire come funziona la narrativa a pi livelli di fruizione di Eco, occorre innanzi tutto tenere presente che egli fondamentalmente non un romanziere puro, ma uno studioso di
semiotica, con tutte le sue ramificazioni nella semantica cognitiva, nella storia della cultura simbolica, nella filosofia del linguaggio, nei mass-media, nelle tecniche letterarie, nelle teorie
dellinterpretazione, ecc. In tal senso, in quanto teorico egli
cos addentro alle strategie stilistiche, retoriche, narrative e di
genere che stanno alla base della costruzione di un testo letterario che nei romanzi si diletta a metterle in atto con un atteggiamento ironico e ludico esplicitamente dichiarato. Non a caso, se
si va a guardare la produzione teorica coeva ai romanzi, si scopre che questi ultimi spesso non sono che il cantuccio ricreativo
e applicativo della prima. Ad esempio, allepoca del Nome della rosa Eco era molto interessato alla logica abduttiva (nel senso
di Peirce) che sta alla base delle detective stories (e del metodo
di Sherlock Holmes in particolare), come dimostra il saggio
Corna, zoccoli, scarpe: tre tipi di abduzione1, dove sono svelati
molti dei trucchi e delle citazioni del romanzo (ad esempio si
apprende che tutto lepisodio iniziale del cavallo Brunello ripreso da Zadig di Voltaire ed ri-narrato alla Conan Doyle). Le
stesse innumerevoli citazioni che fa Adso da Melk nel corso del1
Nato dalla fusione di due saggi pi brevi, uno del 1980 e uno del 1981, esso
usc originariamente in Eco e Sebeok (a cura di) 1983 e venne poi ristampato
come 4.3 di Eco 1990.
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E affine per alcuni versi persino allo Zen. Di tale questione si discuteva
ampiamente in Eco 1962: 224-229, dove tra gli altri citato e discusso anche
il passo del Tractatus sulla scala (cfr. in particolare le pp. 226-228). Tale dialogo sotterraneo e continuo tra produzione saggistica e produzione letteraria
nellopera di Eco, che qualcuno (come Lorusso 2008) tende a sottovalutare,
esattamente ci che si intende mostrare in questo libro.
3 Wittgenstein 1922, propp. 6.522, 7.
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tra Guglielmo e Ubertino da Casale nel loro primo dialogo, laddove stanno parlando di un certo Bonagrazia da Bergamo:
Ho sentito che ora vicino a un mio amico che alla curia, Guglielmo di
Occam.
Lho conosciuto poco. Non mi piace. Un uomo senza fervore, tutta testa,
niente cuore.
Ma una bella testa.
Pu darsi, e lo porter allinferno.
Allora lo rivedr laggi, e discuteremo di logica. (R 63)
Ebbene, Russell ha riferito vari aneddoti, divenuti celeberrimi, relativi alle prime discussioni sulla logica avute con il
giovane Wittgenstein a Cambridge tra la fine del 1911 e il 1912,
ma ce n uno particolarmente gustoso rievocato dallo stesso
Wittgenstein in una annotazione del 1937: Nel corso dei nostri
colloqui, Russell usciva spesso nellesclamazione: Logics
hell!. E ci esprime interamente quello che sentivamo nel
riflettere sui problemi logici; cio la loro enorme difficolt, la
loro durezza e levigatezza6 . difficile sottrarsi allimpressione
che Eco alluda anche a questo aneddoto nella citata battuta di
Guglielmo, che in ogni caso rievoca certamente almeno due
luoghi famosi della letteratura in cui si mettono in stretta relazione il diavolo e la logica: il verso dellInferno (XXVII, 123) in
cui uno dei neri cherubini, cio un diavolo, dopo essersi aggiudicato lanima di Guido da Montefeltro al termine di un duello dialettico con Francesco dAssisi, dice: tu non pensavi chio
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II
Discorso analogo potrebbe essere fatto per tutti gli altri
romanzi di Eco.
Il Pendolo di Foucault costituisce una parodia di tutte le
interpretazioni selvagge della Storia che stanno alla base della
ricerca del Graal e della credenza nei complotti delle sette segrete, come i Templari, i Rosacroce, i Massoni, ecc. Il numero spaventoso di citazioni contenuto in questo romanzo si spiega in
gran parte con lesigenza di ripercorrere e smontare tutta una
ben nota letteratura-spazzatura di carattere ermetico, esoterico e
misterico, compresa (sia detto per inciso) quella che sta alla base
del Codice da Vinci o del pi recente Il simbolo perduto, tant
vero che lo stesso Eco in unintervista a Deborah Solomon ap7
In Goethe 2005: 463. Cfr. anche quanto dice Belbo in un file sul quale
avremo modo di tornare: Ho studiato a fondo, e con ardente zelo, filosofia,
giurisprudenza e medicina, e purtroppo anche teologia. Ed eccomi qui, povero pazzo, e ne so quanto prima (P 328), che riprende alla lettera il famoso
inizio del primo monologo di Faust (I, 354-359, in Goethe 2005: 409). Per
altre citazioni del Faust nel Pendolo, cfr. P 213, 429, 433, e 479.
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alle nozioni teoriche di segno, dizionario ed enciclopedia, metafora, simbolo e codice; Eco 1985, invece, era una raccolta di
scritti occasionali (prefazioni, convegni, saggi gi pubblicati in
volumi collettanei, ecc.) composti tra il 1972 e il 1985 e incentrati in gran parte sui temi del segno, della rappresentazione, dellimmagine, dellillusione e della strutturazione del sapere. Degna di nota anche la raccolta di saggi di autori vari che costituisce Eco e Sebeok (a cura di) 1983, perch lanalisi della logica dellinvestigazione di Sherlock Holmes e di altri eroi del genere poliziesco proposta da Eco e dagli altri studiosi consente di
capire molte cose del contesto teorico in cui aveva preso vita
limpianto giallo del Nome della rosa.
Negli stessi anni, per, in polemica con lermeneutica
pantestualista (incentrata su, e talvolta ridotta polemicamente a,
uno slogan del tipo nulla esiste fuori dal testo, riconducibile a
Derrida, o non esistono fatti ma solo interpretazioni, ripreso
da Nietzsche) del cosiddetto pensiero debole italiano (Vattimo),
del pragmatismo postmodernista americano (Rorty) e del decostruzionismo francese (Derrida) tutte correnti filosofiche in
qualche modo derivate dallidea nietzscheana della morte di
Dio, dalle nozioni heideggeriane di circolo ermeneutico e
oblio dellEssere, nonch dal principio gadameriano secondo
cui lessere che pu essere compreso linguaggio Eco era
molto interessato ai problemi dellinterpretazione di un testo e al
ruolo del lettore, e in particolare allo sviluppo e alla rielaborazione di idee gi in vario modo espresse in saggi teorici come
Eco 1962 ed Eco 1979. Gli scritti relativi a questo campo di in-
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Creatura silvana met donna e met capra che vive con le altre ipazie, discendenti delle discepole di quellIpazia di Alessandria dEgitto, filosofa
neoplatonica e matematica di gran vaglia, che nel 415 venne trucidata dai
cristiani. Lincontro di Baudolino con una di queste ipazie senza nome, che si
distinguono solo per il nome dellunicorno con cui si accompagnano (quello
di questa ipazia si chiama Acacio), costituisce un vertice di romanticismo e
filosofia del romanzo, perch lapatica ipazia (che perder la sua apatia ascetica con lamore carnale, al punto che sarebbe stata persino disposta ad abbandonare le sue compagne pur di non perdere Baudolino) lo inizia subito
alla metafisica e alla spiritualit del neoplatonismo, di gran lunga pi raffinate di quelle del cristianesimo (che le ipazie ovviamente detestano). Cfr. B
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male) cose gi dette in passato (possibilmente meglio)12. E allora, se abbiamo un personaggio smemorato che vive tra Milano e
il Monferrato, obbligatorio come minimo fare un riferimento
al caso famoso dello Smemorato di Collegno, che tra laltro
ha ispirato un dramma di Pirandello (Come tu mi vuoi), un omonimo film con Tot e un libro di Sciascia (Il teatro della memoria). E se il personaggio riacquista la memoria ma precipita in
un coma cosciente, normale che la sua memoria culturale di
bibliofilo e di uomo colto ripeschi almeno il cogito ergo sum di
Cartesio, lesse est percipi di Berkeley e i cervelli nella vasca
di Putnam.
Il cimitero di Praga, il sesto romanzo di Eco (forse
lultimo, se si deve credere a qualche battuta dello stesso autore
fatta nel corso di interviste e presentazioni promozionali), uscito
il 29 ottobre del 2010, addirittura una sorta di eco ironica e
non del tutto volontaria dello Zeitgeist. Questa storia ottocentesca volutamente ad effetto, che addirittura simula i romanzi
dappendice ed un trionfo soprattutto di stereotipi anticlericali
e antisemiti e paranoie complottiste, apparsa infatti nellepoca
in cui, in Italia e nel mondo, sulla stampa si discuteva a non finire della costruzione ad hoc di dossier diffamanti nei confronti di
politici e di giornalisti da parte di altri giornalisti e di uomini dei
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La bellezza del corpo tutta nella pelle. In effetti se gli uomini vedessero
ci che sta sotto la pelle, la sola vista delle donne gli riuscirebbe nauseabonda: questa grazia femminile non che suburra, sangue, umore, fiele. Considerate quello che si nasconde nelle narici, nella gola, nel ventre E noi che
non osiamo toccare anche solo con la punta delle dita il vomito o il letame,
come possiamo dunque desiderare di stringere nelle nostre braccia un sacco
di escrementi?.
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Cfr. Popper 1963: 212-213, dove si osserva che la teoria sociale della cospirazione deriva da Omero e dal teismo antico (per esempio quello dellAntico Testamento), laddove questi spiegano gli accadimenti del mondo con i
complotti o i voleri di una o pi divinit. Morti gli di cospiratori, gli uomini,
la cui propensione ad attribuire intenzioni ad agenti esterni innata, li hanno
successivamente rimpiazzati con altri uomini, come i gruppi di potere o di
pressione, per continuare a spiegare in termini cospirativi soprattutto i fatti
sociali. La cosa interessante, osserva Popper, che soltanto quando i teorizzatori della cospirazione giungono al potere, essa assume il carattere di una
teoria descrivente eventi reali (). Per esempio, quando Hitler conquist il
potere, credendo nel mito della cospirazione dei Vecchi Saggi di Sion, egli
cerc di non essere da meno con la propria contro-cospirazione. Ma il fatto
interessante che una tale cospirazione, mai o quasi mai si realizza
nella maniera prestabilita. Si noti come proprio in questo contesto ricorra
lesempio dei Protocolli tanto caro a Eco, il quale tra il Pendolo e il Cimitero
vi tornato pi volte anche nella produzione saggistica: cfr. Eco 1994:
164-172, Eco 2002: 310-314, Eco 2005: V-VI.
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sognava di scrivere e che avrebbe scritto se non fosse morto appeso al Pendolo (molti suoi file sono abbozzi postmoderni e
combinatori di romanzi dappendice). Ma siccome Belbo un
doppio di Eco (condividono buona parte dellinfanzia15), questi,
da grande appassionato del romanzo ottocentesco, ha deciso di
fare questo regalo al suo Belbo, scrivendo al posto suo un romanzo in forma di summa metalinguistica del feuilleton. E infatti, il dispositivo narratologico che sta alla base del Cimitero
Praga, per cui lAutore immagina un visitatore invisibile che
entra nella stanza di un individuo anziano e sbircia sopra le sue
spalle mentre questi sta scrivendo la storia che stiamo per leggere e che il Narratore, ormai tuttuno col visitatore, metter via
via in forma di romanzo a beneficio del Lettore, anchegli visitatore curioso e intrusivo (cfr. C 10), prefigurato in uno dei file
pi deliranti di Belbo, Lo strano gabinetto del Dottor Dee. Qui
Belbo, tra le infinite altre cose, immagina di essere il medium e
alchimista del XVI secolo Edward Kelley, di scrivere insieme a
Bacone le opere di Shakespeare, di finire in carcere nella Torre
di Londra (dove noto ai carcerieri come Jim della Canapa) per
le trame del Verulamio e di avere come compagno di cella lex
templare portoghese Soapes (maschera anagrammatica di Pessoa, altro maestro di maschere onomastiche). Alla fine del lungo
file, Kelley-Jim sbircia sopra le spalle di Soapes e vede che questi sta scrivendo una cosa per lui incomprensibile (ma si tratta
nientemeno che dellincipit del Finnegans Wake di Joyce). Soa15
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pes, maschera di una maschera (e maschera anche di Eco, oltre che di Pessoa), nasconde il foglio, guarda lintruso pallido
come uno spettro, legge nei suoi occhi la morte e gli dice: Riposa. Non temere. Scriver io per te (P. 330).
Per fare questa operazione, per, ci vuole una precisa
estetica filosofica sul rapporto tra arte e realt, e tale teoria abbozzata dallo stesso Belbo allinizio del capitolo 97 del Pendolo:
Avevo rivisto Belbo il mattino dopo. Ieri abbiamo scritto una bella pagina di
feuilleton, gli avevo detto. Ma forse, se vogliamo fare un Piano attendibile,
dovremmo rimanere pi aderenti alla realt.
Quale realt? mi aveva chiesto. Forse solo il feuilleton che ci d la vera
misura della realt. Ci hanno ingannato.
Chi?
Ci hanno fatto credere che da una parte c la grande arte, quella che rappresenta personaggi tipici in circostanze tipiche, e dallaltra il romanzo dappendice, che racconta di personaggi atipici in circostanze atipiche. Pensavo che
un vero dandy non avrebbe mai fatto allamore con Scarlett OHara e neppure con Costanza Bonacieux, o con la Perla di Labuan. Io col feuilleton giocavo, per passeggiare un poco fuori della vita. Mi rassicurava, perch proponeva lirraggiungibile. Invece no.
No?
No. Aveva ragione Proust: la vita rappresentata meglio dalla cattiva musica che non da una Missa Solemnis. Larte ci prende in giro e ci rassicura, ci
fa vedere il mondo come gli artisti vorrebbero che fosse. Il feuilleton finge di
scherzare, ma poi il mondo ce lo fa vedere cos com, o almeno cos come
sar. Le donne sono pi simili a Milady che a Lucia Mondella, Fu Manchu
pi vero di Nathan il Saggio, e la Storia pi simile a quella raccontata da
Sue che a quella progettata da Hegel. Shakespeare, Melville, Balzac e Dostoevskij hanno fatto del feuilleton. Quello che successo davvero quello
che avevano raccontato in anticipo i romanzi dappendice. (P 389)
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narrativo in qualche modo dialettico e dialogico, e ciascuna storia prende corpo dallincrocio e dalla sovrapposizione dei loro
testi.
A proposito dei piani temporali del romanzo, c un punto che non mi torna e in cui, se non ci sono delle cose che mi
sfuggono e che quindi mi impediscono di sbrogliare il nodo, forse Eco stato impreciso. Nel secondo capitolo, a pagina 35, Simonini, gi smemorato, riporta la seguente lista di impegni stilata prima della perdita della memoria (avvenuta il 22 marzo per
Simonini-Dalla Piccola e il 23 marzo per Simonini-Simonini):
21 marzo, messa
22 marzo, Taxil
23 marzo, Guillot per testamento Bonnefoy
24 marzo, da Drumont?
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se, perch ha sempre avuto a che fare con Dalla Piccola (cfr. C
472). Dunque, se non mi sfuggito qualcosa che potrebbe fare
chiarezza lasciando le cose come stanno, il secondo punto della
lista degli appuntamenti di Simonini incongruente e, se si tratta di un errore di Eco, credo di poter fare unipotesi per spiegarne la genesi. In effetti, nel romanzo il nesso tra la messa e
lincontro con Taxil subito dopo c, ma non riguarda laccadere
di questultimo il giorno dopo la messa. La messa avviene effettivamente la sera del 21 marzo, ma Simonini, nelle vesti di Dalla
Piccola, che il giorno dopo la messa aveva perso la memoria, la
ricorda allalba del 18 aprile (cfr. C 465). Ed la mattina del 18
aprile che Simonini, ormai guarito e sicuro di essere lui stesso
Dalla Piccola, veste di nuovo i panni dellabate e va a trovare
Taxil per giustificare con delle menzogne lassenza di circa un
mese e per mettersi daccordo con lui per la sceneggiata del
giorno dopo sul caso Diana Vaughan (cfr. C 471, dove tra laltro
si ribadisce che Taxil aveva cercato invano per quasi un mese
Dalla Piccola nella casa di Auteuil, dove soleva recarsi comunque per amoreggiare con Diana). Dunque, il nesso messa-Taxil
avviene nel romanzo nello spazio di poche pagine tra la fine del
capitolo 23 e linizio del capitolo 24, ma tra la messa e lincontro con Taxil passa quasi un mese, dal 21 marzo al 18 aprile, e
Simonini non pu aver fissato un appuntamento con Taxil per il
22 marzo, visto che, come detto, lo aveva congedato il 19 o il 20
marzo dandogli appuntamento per il 19 aprile.
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III
Una fetta consistente delle riflessioni di Eco sulle strategie testuali della narrazione dedicata alla distinzione tra Lettore Empirico e Lettore modello (cui fa da pendant quella tra Autore Empirico e Autore Modello). Al lettore dei romanzi Eco ha
infatti dedicato uno dei suoi saggi teorici pi noti e influenti:
Lector in fabula, uscito nel 1979, guarda caso un anno prima del
Nome della rosa. E proprio nelle importantissime Postille a Il
nome della rosa del 1983 Eco riprende le idee di Eco 1979 sul
Lettore Modello in un paragrafo che si intitola proprio Costruire il lettore. In sostanza, egli sostiene che ogni testo letterario
vuole, persegue, postula, incoraggia un Lettore Modello, la cui
attiva cooperazione interpretativa essenziale per cogliere ed
esplicitare le intenzioni implicite del testo. In tal senso il Lettore
Modello (Joyce, ad esempio, diceva di scrivere per un lettore
affetto da unideale insonnia) una sorta di ideale regolativo cui
i vari lettori empirici tendono per successive approssimazioni.
Naturalmente, la distanza tra Lettore Empirico e Lettore Modello proporzionale al grado di complessit e di valore estetico di
un testo, per cui, se i lettori empirici dei romanzi Harmony hanno da faticare poco per raggiungere il modello di lettura ad essi
richiesto, tuttaltra faccenda per il Finnegans Wake, lHorcynus Orca e Il Pendolo di Foucault. LAutore Empirico lavora al
testo creando contemporaneamente un modello di scrittura (Autore Modello) e un modello di lettura (Lettore Modello): una
volta che il testo l, pubblicato ed esposto alla fruizione, la let-
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Come evidente, qui Belbo, un personaggio colto preso da entusiasmo quasi infantile (P 27) per i primi programmi di videoscrittura al computer, si lancia in una serie folle di citazioni tratte da Eco stesso (che a sua volta, nei due incipit del Nome della
rosa, citava il vangelo di Giovanni e scimmiottava Snoopy e
lattacco del quarto capitolo del Frankenstein di Mary Shelley),
da Omero, da Ariosto, da Derrida, da Joyce e da Dante. Naturalmente, non necessario che tutti i lettori individuino tutte le
citazioni per capire il senso del passo, e molte di esse sono alla
portata di un liceale passabilmente sveglio.
Oppure prendiamo il seguente passo tratto da Loana:
Scriva quello che le viene in mente, ha detto Gratarolo. Mente? Ho scritto:
amor che nella mente mi ragiona, lamor che muove il sole e laltre stelle,
meglio sole che male accompagnate, spesso il male di vivere ho incontrato,
ahi vita ahi vita mia ahi core di questo core, al cuore non si comanda, De
Amicis, dagli amici mi guardi Iddio, o Dio del ciel se fossi una rondinella, si
fossi foco arderei l mondo, vivere ardendo e non sentire il male, male non
fare paura non avere, la paura fa novanta ottanta settanta milleottocentosessanta, la spedizione dei Mille, mille e non pi mille, le meraviglie del Duemila, del poeta il fin la meraviglia. (L 25)
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IV
Data la natura non strettamente accademica del presente
saggio, si evitato di appesantire il testo con eccessivi riferimenti alla letteratura critica su Eco, peraltro ormai cos vasta da
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richiedere da sola anni di studi per poter essere percorsa e sintetizzata. Quello che segue vuole essere un attraversamento quanto pi possibile leggero e stimolante soprattutto del Nome della
rosa, inteso come esemplificazione e summa dello smarrimento
nei labirinti dellEnciclopedia totale, insieme ricettacolo ideale,
ideale regolativo e simbolo della conoscenza prodotta dalluomo. Il viaggio, privo di approdi consolatori, offrir anche una
particolare prospettiva sub specie rosae sul resto dellopera narrativa di Eco e di volta in volta metter in luce le diverse modalit attraverso cui luomo corre il rischio di rimanere vittima delle sue stesse creazioni simboliche e culturali nel tentativo di decifrare il disordine del mondo, riuscendo talvolta a pervenire a
forme sensate di conoscenza spinto dalla stessa forza della falsit e dellerrore, cui strutturalmente votato. In tal modo, Guglielmo da Baskerville diventer una sorta di modello per decifrare anche Belbo e Casaubon, Roberto de la Grive, Baudolino,
Yambo Bodoni e Simone Simonini, i quali, sotto lipotesi interpretativa di una articolata continuit poetico-filosofica, risulteranno legati da una rete di somiglianze di famiglia ed appariranno come emblemi della ricerca conoscitiva e dellautoinganno.
Tuttavia, alcune monografie su Eco sono state tenute
presenti, e si tratta di lavori esemplificativi, ciascuno a suo
modo, degli approcci possibili allopera vastissima e al pensiero
multiforme e complesso di Eco.
Lagile Cotroneo 2001 una ricognizione dei quattro
romanzi usciti fino a quella data effettuata sulla base dellassunto che essi costituiscano una maschera attraverso la quale il dif-
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fidente ed ironico autore ha celato le proprie ossessioni autobiografiche, legate allinfanzia, al paesaggio di Alessandria e allesperienza della Resistenza vista con gli occhi di un dodici-tredicenne; in tal senso, il testo occasionale e autobiografico Il miracolo di san Baudolino, risalente al 1981 e poi ristampato in coda
a Eco 1992, diventa la chiave interpretativa per accedere alla
dimensione intimamente autobiografica dei romanzi di Eco.
Lampio Forchetti 2005 ha il pregio di addentrarsi, con
ricchezza di riferimenti alla letteratura critica e con notevole
competenza nel campo dei simbolismi pi o meno esoterici, nei
meandri della complessa trama di simboli che percorre i primi
cinque romanzi di Eco, individuando tre territori dindagine,
tre mappe concettuali con le quali sfidare i labirinti narrativi di
Eco: i luoghi, le assenze e le memorie (p. 11); il rischio, per,
quello di cadere in uno schema interpretativo troppo rigido e
preconcetto, perch lautore ha elaborato la propria chiave interpretativa filosofico-teologico-simbolica nella tesi di laurea (che
risale al 1999), incentrata sulla poetica del simbolo e dellintertestualit nei primi tre romanzi di Eco (cfr. p. 8).
Lorusso 2008 invece un illuminante profilo biografico-intellettuale (p. 9) di Eco che tocca i diversi campi teorici di
interesse dellautore, dal problema del testo estetico a quello
dellinterpretazione e della semiosi, dalla delimitazione delle
unit culturali al rapporto tra semiosi e percezione, fino alla sua
elaborazione di una vera e propria teoria della cultura; da questo
studio, come si legge nella quarta di copertina, esce un profilo
intellettuale complesso e sfaccettato, levoluzione e linterna
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stanzo) di varia natura e di vario peso scientifico, tutti per mirati a rendere omaggio allintellettuale Eco e al suo genio versatile, la cui conoscenza, nota Montalto, troppo spesso divorata,
presso il grande pubblico ma anche e vada a loro disdoro
presso gran parte della classe intellettuale, dalla conoscenza (ma
di vera conoscenza si tratta?) del romanziere Eco, magari con la
sola aggiunta di una parziale conoscenza dellopinionista
Eco (p. 11). Il ricco volume suddiviso in quattro parti, i cui
titoli danno unidea della variet dei contributi e degli approcci,
che vanno dal saggio specialistico al puro divertissement erudito
(tanto caro allo stesso Eco): Saggi su Umberto Eco, Saggi in
omaggio a Umberto Eco, Testimonianze, Amenit. In risposta alla preoccupazione di Montalto, il quale teme il rischio
di riduttivismo che una eccessiva attenzione allEco romanziere
comporta, il presente lavoro intende anche mostrare che nei romanzi annidato e messo in azione e alla prova il nucleo pi
profondo ed originale di tutto il pensiero dellintellettuale Umberto Eco.
CAPITOLO 1
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BENVENUTI A BLITIRIA
I
Quando usc Il nome della rosa, nel 1980, il professore
di semiotica allUniversit di Bologna Umberto Eco era al suo
primo romanzo, aveva compiuto quarantotto anni ed era gi un
intellettuale e uno studioso molto conosciuto sia presso la cerchia ristretta dei filosofi, dei critici letterari e dei semiologi, con
opere teoriche e specialistiche come per citare le maggiori
Eco 1962, 1968, 1971, 1975 e 1979, sia presso il pubblico pi
vasto dei lettori, con opere di carattere pi divulgativo costituite
da brevi scritti di invenzione, saggi tra il serio e il faceto su personaggi popolari e articoli sullattualit, sul costume, sui massmedia e su fatti culturali vari apparsi su quotidiani e riviste,
come per citare le pi note Eco 1963, 1964, 1973, 1976 e
1977a. Inoltre, vero e proprio manualetto di culto presso lesercito dei laureandi era (e per molti versi ancora, malgrado si
sia passati nel frattempo dalla macchina da scrivere alla videoscrittura, allipertesto, a internet e alle-book) quellEco 1977b
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che, con brio irresistibile, guida il giovane aspirante al titolo accademico nella selva dei trucchi e delle tecniche indispensabili
per condurre con rigore la ricerca bibliografica, citare correttamente le fonti e curare la stesura e limpaginazione della tesi di
laurea.
Ma il romanzo arrec allautore una fama planetaria e il
suo nome raggiunse strati del pubblico generalmente impermeabili non solo alle speculazioni filosofiche e semiologiche, ma
anche alla saggistica pi divulgativa. Io stesso ho il ricordo indelebile di uno scambio di battute con un amico avvenuto nel
1984 in una strada polverosa e assolata della periferia abusiva di
una citt posta alla periferia della periferia dellImpero. Siamo
due quindicenni appena alfabetizzati che stanno bighellonando e
a un certo punto, non so perch, il mio amico mi comunica che
sua sorella, che ha qualche anno pi di noi, ha iniziato a leggere
un romanzo che tanti, si dice, hanno in quel momento tra le
mani.
Come si intitola?, chiedo.
Il nome della rosa, risponde.
E di che parla?, insisto.
Dice che parla di un cavallo che si perso, ribatte.
E da questo si capisce a cosa si possa ridurre un best seller di somma complessit e cultura tra le mani di gente meccaniche, e di piccol affare; ma si capisce anche che un testo prima
facie elitario pu avere una forza comunicativa tale da riuscire a
penetrare anche nei livelli socio-culturali pi improbabili e dare
pure l i suoi frutti diciamo cos pedagogici scatenando
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una curiosit intellettuale irresistibile, un po come fa il monolito di Kubrick con gli ominidi in una famosa sequenza iniziale di
2001: Odissea nello spazio.
Una delle cose che affascinavano di pi i lettori attenti e
attivi era quel titolo apparentemente semplicissimo che per
sfuggiva a qualsiasi tentativo di dargli un senso chiaro e che addirittura diventava ancora pi misterioso alla luce delle ultime,
famosissime parole in latino del romanzo: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Ancora la rosa, ancora il suo nome,
peraltro nudo come tutti gli altri. Che significa? Il mistero venne
in parte svelato dallo stesso Eco nelle Postille a Il nome della
rosa, uscite sul numero 49 di Alfabeta del giugno 1983 e da
allora ristampate in coda al romanzo, che ha avuto una infinit
di edizioni.
Le postille iniziano proprio con la questione del titolo e
dellesametro latino finale. A proposito di questultimo, spiega
Eco, esso compare nel De contemptu mundi di Bernardo Morliacense, un benedettino del XII secolo, il quale varia sul tema
dellubi sunt (da cui poi il mais o sont les neiges dantan di
Villon), salvo che Bernardo aggiunge al topos corrente (i grandi
di un tempo, le citt famose, le belle principesse, tutto svanisce
nel nulla) lidea che di tutte queste cose scomparse ci rimangono
puri nomi. Ricordo che Abelardo usava lesempio dellenunciato
nulla rosa est per mostrare come il linguaggio potesse parlare
sia delle cose scomparse che di quelle inesistenti. Dopodich
lascio che il lettore tragga le sue conseguenze (R 507).
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della Frugoni: Poich sono stati scritti tanti articoli sul significato di Il nome della rosa, romanzo meritatamente celebre, mi
pare sia giusto sottolineare che quel titolo, cos attraente ed
enigmatico, nasca da una cattiva edizione di un poema medievale, dalla poca perspicacia del primo editore del De Contemptu
mundi (). Larticolo di Ronald Pepin ha avuto una sorte ingrata, peggiore dei nomina nuda tenemus, giacch stato totalmente ignorato: per questo mi parso giusto ricordarlo con il
rilievo che gli dovuto17.
Ora, a tal proposito doveroso fare delle precisazioni,
perch qui la Frugoni sembra piuttosto fuori strada. Intanto,
vero che Eco con ogni probabilit ha citato lesametro di seconda mano, usando appunto lundicesimo capitolo di Huizinga
1919, dedicato allimmagine della morte nel Medioevo. Il fatto
per noto da tempo nella letteratura sul romanzo, e ormai viene dato per scontato18, al punto che lo si trova citato persino in
qualche forum di lettori on line. Se si vuole, una prova ulteriore
costituita dal fatto che allinizio delle Postille, quando rivela la
fonte dellesametro, Eco cita di nuovo (questa volta in originale)
anche il famoso verso sulle nevi dantan di Villon, esattamente come fa Huizinga subito dopo la citazione delle due strofe di
Bernardo. Ma risaputo che sin da giovane Eco frequentava
quellopera di Huizinga, e non solo in quanto medievalista: sua,
infatti, lintroduzione alledizione italiana Einaudi del 1973 di
17
18
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Homo ludens, altra opera famosa di Huizinga, e in tale introduzione Lautunno del Medioevo ovviamente citato (il saggio
ora in Eco 1985 e si intitola Huizinga e il gioco), cos come
citato per ben tre volte nel capitolo 8 di Eco 2007b, in parte risalente addirittura a un saggio del 1961. Inoltre, non vero che il
saggio del 1986 di Pepin su rosa/Roma sia stato totalmente
ignorato, perch, pur senza citarlo esplicitamente, ne ha parlato
addirittura lo stesso Eco pochi anni dopo la sua uscita: si vedano
infatti Eco 1990: 118 e Eco 1995: 94 (i passi sono quasi
identici), dove Eco ironizza sul fatto che se avesse conosciuto la
variante quando scriveva il romanzo avrebbe potuto intitolarlo Il
nome di Roma, dando cos la stura a tutta una serie di interpretazioni fasciste! Per non dire del fatto che, come si pu verificare
con una rapida ricerca su Google, il saggio di Pepin citato non
solo in diversi studi a stampa sul Nome della rosa, ma persino
nella voce in inglese di Wikipedia sul romanzo, in relazione
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Il nome della rosa era entrato nella lista dei titoli possibili proprio grazie allesametro latino di Bernardo Morliacense che
chiude il romanzo, ma nelle postille questo dettaglio taciuto
perch gli preme dire qualcosaltro: Lidea del Nome della rosa
mi venne quasi per caso e mi piacque perch la rosa una figura
simbolica cos densa di significati da non averne quasi pi nessuno: rosa mistica, e rosa ha vissuto quel che vivono le rose, la
guerra delle due rose, una rosa una rosa una rosa una rosa, i
rosacroce, grazie delle magnifiche rose, rosa fresca aulentissima.
Il lettore ne risultava giustamente depistato, non poteva scegliere una interpretazione; e anche se avesse colto le possibili letture
nominaliste del verso finale ci arrivava appunto alla fine, quando gi aveva fatto chiss quali altre scelte. Un titolo deve confondere le idee, non irreggimentarle (R 508).
II
Fin qui le Postille su titolo ed esametro finale. Esse,
per, se pure spiegano molto, non spiegano tutto ed Eco abile
nel seminare maliziosamente disordine laddove sembra intento a
mettere ordine. Vediamo innanzi tutto di trarre alcune conclusioni dalle prime spiegazioni di Eco. Lesametro latino che chiude il romanzo una meditazione malinconica sul fatto che delle
cose lontane nel tempo o in qualche modo perdute ci rimangono
al pi solo i nudi nomi; lo stesso, sulla scia di Abelardo, vale
per le cose inesistenti, e quindi anche possiamo aggiungere
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che si potrebbe rendere in italiano con: Se (come afferma Platone nel Cratilo) / il nome larchetipo della cosa, / Nel nome
23 In
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della rosa contenuta la rosa / E il Nilo nella parola Nilo. Siamo esattamente agli antipodi, come si vede, dellesametro di
Bernardo morliacense.
Se si aggiunge che quello che vale per i nomi vale anche
per le proposizioni (ma non tutti fanno un tale passo), questo
tipo di nominalismo sfocia in un pessimismo conoscitivo assoluto, e il linguaggio destinato a rimanere entro se stesso, ovvero
a costruire attorno a noi una rete invalicabile che lascia la realt
nel suo complesso, ovvero nella sua natura essenziale, sempre
fuori. Come dir con mirabile sintesi Wittgenstein nel 1931 in
uno dei Pensieri diversi: Il limite del linguaggio si mostra nellimpossibilit di descrivere il fatto che corrisponde a una proposizione (che la sua traduzione) senza appunto ripetere la
proposizione24 (e qui adombrato quel processo della semiosi
illimitata, cio lo slittamento continuo dal segno da interpretare al suo segno interpretante, saltando loggetto designato, che
Eco, sulla base di Peirce, ha discusso a lungo, soprattutto nelle
sue versioni patologiche ermetiche e decostruzioniste). La rosa
primordiale, la rosa dantan, la rosa di uno stemma, la rosa inventata dai poeti e dai teologi (come quella mistica o quella di
Gertrude Stein) e addirittura questa stessa rosa sono dunque
solo rosa, il loro nome nudo: il nome della rosa, appunto, che
un flatus vocis, un nulla. A questo allude Eco quando dice che
la rosa cos carica di significati da non averne nessuno e che
dunque il lettore avrebbe dovuto smarrirsi in questa selva di ri24
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III
Nel capitolo di Sulla letteratura intitolato Borges e la
mia angoscia dellinfluenza, che una versione abbreviata del
suo intervento a un convegno sui rapporti letterari tra lui e Bor25
Non a caso lidea opposta difesa nel Pendolo di Foucault dal fanatico
Agli, sostenitore della tradizione ermetica: il simbolo tanto pi pieno,
rivelante, possente, quanto pi ambiguo, fugace, altrimenti dove finisce lo
spirito di Hermes, il dio dai mille volti? (P 342). Questa caratterizzazione di
Hermes la si ritrova in Eco 1990: 42-43 ed alla base di quello che Casaubon
chiama filosofema ermetico quando sente dire al commissario De Angelis:
a questo mondo tutto centra con tutto (P 250).
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ges tenutosi nel maggio 1997 allUniversit di Castilla-La Mancha, Eco torna per lennesima volta sul titolo del romanzo26, ma
questa volta ci sono alcuni particolari in pi rispetto alle Postille, uno dei quali risulta oltremodo interessante: Come ho pi
volte raccontato, il titolo Il nome della rosa stato scelto da alcuni amici guardando la lista di dieci titoli che avevo buttato gi
allultimo momento. In effetti il primo titolo era Delitti allabbazia (ovvia citazione del Murder in the Vicarage, tema ricorrente nel romanzo poliziesco inglese) e il sottotitolo era Storia
italiana del XIV secolo (citazione manzoniana). Poi il titolo mi
era parso un po pesante, ho fatto una lista di titoli tra cui quello
che preferivo era Blitiri (blitiri insieme a babazuf un termine che i tardi scolastici usavano per indicare una parola priva
di senso), e poi, siccome lultima riga del romanzo citava un
verso di Bernardus Morliacensis che avevo scelto per il suo sapore nominalistico (), avevo messo anche Il nome della rosa.
Come ho detto altrove mi pareva un buon titolo perch era generico, perch la rosa aveva assunto nel corso della storia della mistica e della letteratura tanti significati diversi, spesso contraddittori, e quindi speravo che non si sarebbe prestato a decifrazioni univoche. Inutile: tutti hanno cercato un significato preciso (Eco 2002: 140-141). Eco, dunque, sperava che anche il
titolo, come lopera, fosse aperto alle interpretazioni pi svariate e contrastanti, e che esse si annullassero a vicenda e collas26
Si veda ad esempio Eco 1990: 118 e ss., ripreso a sua volta in Eco 1995: 94
e ss.
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come p. es. blitiri, il discorso sempre significante27. Il curatore, nella nota relativa a blitiri, rimanda a Sesto Empirico,
Adversus mathematicos, VIII, 133 (perch anteriore a Diogene
Laerzio, che ne cita il nome in IX, 87) e a uno studio del 1964 di
Maria Luisa Altieri Biagi sulla fortuna del termine nel Settecento.28 Nel passo di Sesto, in cui si sta criticando dal punto di vista
scettico la nozione stoica di verit, si legge: pur ammettendo
che il vero risieda in un suono [in precedenza Sesto ha confutato
lidea che il vero e il falso possano risiedere in un detto incorporeo], esso dovr risiedere o in un suono significante o in
uno non-significante. Ma non pu risiedere nel suono che non
abbia un qualche significato, ad esempio nel suono blitiri o
skindapss: come, infatti, si pu recepire come vera una cosa
priva di significato?29 (laddove skindapss assomiglia a
kindapsos, che il nome di uno strumento musicale di scarso
valore).
Il brano citato di Diogene Laerzio, inoltre, si trova nel
capitolo dedicato al fondatore dello stoicismo, Zenone di Cizio,
ma in quel preciso contesto Diogene Laerzio sta riferendo il
contenuto di un trattato sulla voce attribuito a Diogene di Babilonia. Chi era costui? Si tratta di un discepolo di Crisippo vissuto tra il III e il II secolo avanti Cristo che, insieme allaccademico Carneade, un suo allievo in materia di dialettica30, e al peri27
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come buba. Le voci significative si distinguono in voci significative ad placitum e voci significative per natura. Voce significativa per natura quella che per tutti rappresenta la stessa cosa,
come il gemito degli infermi e il latrato dei cani. Voce significativa ad placitum quella che, a discrezione di chi la istituisce,
rappresenta qualcosa, come uomo35. Inoltre, come si ricorda
in Marmo 1990 nella nota ad locum (cio al passo di R 114 citato sotto) delledizione commentata per le scuole superiori del
Nome della rosa, unespressione come buf-baff compare nel
Compendium totius logicae di Giovanni Buridano. Il famoso
asino di questultimo, peraltro, ricordato nel corso della rissa
sopracitata, allorch Guglielmo confessa ad Adso di non sapere
cosa fare, perch se riferisce allassemblea lopinione dei teologi
imperiali (cio soprattutto dei suoi amici Marsilio da Padova e
Guglielmo di Occam, che negavano alla Chiesa il diritto di legiferare sulle cose terrene, R 349) la sua missione va in porto,
essendo anche questo quello che egli era venuto a fare l; ma se
lo riferisce, la sua missione fallisce, perch Giovanni XXII non
avrebbe mai accettato di ricevere ad Avignone una delegazione
imperiale incaricata di sostenere una simile opinione, e facilitare
un tale secondo incontro ad Avignone era il compito principale
di Guglielmo su mandato dellimperatore Ludovico il Bavaro:
E allora sono preso tra due forze contrastanti, come un asino
che non sappia da quale di due sacchi di fieno mangiare (R
350). Ma si veda anche R 353, dove Guglielmo di nuovo di35
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Biagi, il significato specialistico del termine era ancora ben presente ad esempio a Parini, Alfieri e Goldoni, che avevano frequentato le aride e ardue lezioni di logica scolastica, al punto
che Goldoni, rievocando gli anni trascorsi a Rimini e lepoca in
cui lo assalirono le pustole del vaiolo, confessa che la malattia
gli sembrava una delizia in confronto alle nozioni di logica a
base di blittri ed ente di ragione.37
IV
Alla luce di tutto ci, siamo in grado ora di dare uno
sguardo pi penetrante ai due luoghi del Nome della rosa in cui
compare lespressione blitiri, usata prima dallAdso da Melk
vecchio narratore e poi da Guglielmo da Baskerville in un dialogo con il giovane Adso come esempio di voce insensata. Mentre
Adso e Guglielmo, la mattina del loro arrivo, sono perduti nella
contemplazione delle terribili visioni istoriate nel portale della
chiesa dellabbazia, sentono alle loro spalle la presenza del mostruoso Salvatore, le cui prime, stranissime parole danno al narratore lo spunto per una importante riflessione sul linguaggio:
Penitenziagite! Vide quando draco venturus est a rodegarla lanima tua! La
mortz est super nos! Prega che vene lo papa santo a liberar nos a malo de
todas le peccata! Ah ah, ve piase ista negromanzia de Domini Nostri Iesu
Christi! Et anco jois mes dols e plazer mes dolors Cave el diabolo! Sem37
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gua nellasse della sincronia. E lo certamente per Adso, un benedettino per il quale i limiti del mondo coincidono con i limiti
della venerabile Regola del suo ordine monastico. Ma cosa accadrebbe se il mondo non avesse un ordine, se il mondo assomigliasse al caos? Perch vi sia specchio del mondo occorre che
il mondo abbia una forma, dice a un certo punto Guglielmo
riferendosi allabbazia come microcosmo39 , finch, avendo scoperto che lordine da lui immaginato per decifrare la logica dei
delitti era solo uno strumento da buttare, perch era errato e solo
per caso lo aveva condotto alla verit, dovr ammettere di essersi comportato da ostinato, inseguendo una parvenza di ordine,
quando dovevo sapere bene che non v un ordine nelluniverso (R 495). E un ordine nelluniverso non pu esservi non perch Dio non esista o sia morto (lateismo filosofico e Nietzsche
sono ancora di l da venire), ma perch lidea di un ordine vincolante per lo stesso Dio ne offenderebbe la volont libera e
lonnipotenza.
In queste pagine finali in cui Guglielmo, come visto nellIntroduzione, riecheggia un passo finale del Tractatus di Wittgenstein relativo alla scala che va buttata dopo averla usata per
salire da qualche parte, c anche una critica implicita a un vecchio argomento razionalista, contenuto nello stesso Tractatus, a
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favore dei vincoli logici cui anche Dio sarebbe sottoposto40, perch si tratta di una concezione che ripugna al volontarismo occamista del francescano Guglielmo, per il quale i limiti vanno
posti non a Dio ma alla superbia metafisica umana. Critica implicita, questa, che Guglielmo aveva gi anticipato verso la fine
dellimportante dialogo con Adso sul grande fiume ereticale e
sulla conoscibilit delle leggi generali che si svolge a nona del
terzo giorno nellofficina del vetraio Nicola da Morimondo: La
scienza di cui parlava Bacone verte indubbiamente intorno a
queste proposizioni [le leggi universali]. Bada, parlo di proposizioni sulle cose, non di cose. La scienza ha a che fare con le
proposizioni e i suoi termini, e i termini indicano cose singolari.
Capisci, Adso, io devo credere che la mia proposizione funzioni,
perch lho appresa in base allesperienza, ma per crederlo dovrei supporre che vi siano leggi universali, eppure non posso
parlarne, perch lo stesso concetto che esistano leggi universali,
e un ordine dato delle cose, implicherebbe che Dio ne fosse prigioniero, mentre Dio cosa cos assolutamente libera che, se
volesse, e di un solo atto della sua volont, il mondo sarebbe
altrimenti. () perci non c da meravigliarsi se non si pu
dimostrare che una cosa sia la causa di unaltra cosa (R
210-211). Idea, questa, tipica del giovane Wittgenstein, che lha
esposta quasi con le stesse parole: In nessun modo pu concludersi dal sussistere duna qualsiasi situazione al sussistere duna
40
Si diceva una volta: Dio pu creare tutto, ma nulla che sia contro le leggi
logiche. Infatti, dun mondo illogico noi non potremmo dire quale aspetto esso avrebbe (Wittgenstein 1922: prop. 3.031).
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situazione affatto differente da essa. Un nesso causale, che giustifichi una tale conclusione, non v. () La credenza nel nesso
causale la superstizione. () Tutto ci che vediamo potrebbe
anche essere altrimenti. Tutto ci che possiamo descrivere potrebbe anche essere altrimenti. Non v un ordine a priori delle
cose41. Con la non trascurabile differenza, per, che, mentre
Wittgenstein, come visto, poneva il limite della logica alle stesse infinite possibilit creative di Dio, il volontarista radicale Guglielmo considera inammissibile il pensiero di una tale limitazione della potenza divina.
Ma se cos stanno le cose, Salvatore rientra in gioco e la
sua lingua impossibile diventa unipotesi sullunico modo possibile di parlare di un mondo senza ordine. Le sue cacofonie linguistiche sono sintetizzate dal suono blitiri, che non ha alcuna
pretesa di possedere misteriose propriet espressive quali il contatto magico con le cose significate. Se il mondo un disordine
indecifrabile e Dio indistinguibile dal caos primigenio (R
496), allora Salvatore ne il profeta, seppure ancora impreciso,
con la sua pseudo-lingua caotica e tuttavia ancora decifrabile
(come ammette lo stesso Adso), mentre il suono stridulo di blitiri che non significa nulla e che serpeggia nelle pagine riempiendole di urlo e furore ne lunico racconto possibile, come
quello dellidiota di cui parla Macbeth (V, 5), se non addirittura
il titolo stesso o il nome.
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La seconda ricorrenza di blitiri si ha allorch Guglielmo comincia a riflettere sui segni che costellano il luogo del ritrovamento del cadavere di Venanzio e sul segno stesso rappresentato da questo delitto. Che ci faceva il corpo del traduttore
dal greco a testa in gi dentro lorcio pieno del sangue dei maiali, con i piedi che fuoriuscivano come due pali piantati a croce
per farne uno spaventapasseri? Evidentemente chi glielo aveva
messo in maniera cos plateale voleva tuttaltro che occultare il
cadavere. E che significano le tracce sulla neve lasciate da chi
ha trascinato il cadavere dal refettorio alla giara? Siamo di
fronte allopera di una mente contorta, dice Guglielmo allerborista Severino (R 113), e ad Adso che chiede di cosaltro possa mai essere segno un simile teatro, Guglielmo risponde: Questo ci che non so. Ma non dimentichiamo che ci sono anche
segni che sembrano tali e invece sono privi di senso, come blitiri o bu-ba-baff (R 114). Il commento di Adso sconsolato:
Sarebbe atroce, dissi, uccidere un uomo per dire bu-babaff (R 115), ma Guglielmo gli ricorda che sarebbe atroce uccidere un uomo anche per dire Credo in unum Deum
Ecco dunque che si delineano meglio il mondo del romanzo e il romanzo del mondo. Nella labirintica Blitiria lordine
un caso particolare di disordine, un accidente casuale che si
scorge a volte attraverso segni ingannevoli combinati con ostinazione quasi blasfema da chi non sa accettare la mancanza di
vincoli logici nel tutto e va alla ricerca di parvenze di forme, di
simulacri di ordine. I segni privi di senso di Blitiria non sono un
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CAPITOLO 2
SFIDA AL LABIRINTO
I
Si molto discusso intorno al grado di influenza esercitato da Borges sullinvenzione della biblioteca-labirinto del
Nome della rosa, e lo stesso Eco, come vedremo, ha dovuto precisare alcune cose. Certo, un cieco di nome Jorge da Burgos che
controlla da tempo immemorabile una misteriosa biblioteca labirintica in rapporto di rispecchiamento geografico col mondo,
costituita da 56 stanze, di cui 4 eptagonali e 52 pi o meno quadrate (cfr. R 220), distribuite su una pianta ottagonale, con al
centro un pozzo pure ottagonale, che in 4 degli 8 lati, uno s e
uno no, genera altrettanti eptagoni minori che allesterno manifestano 5 lati (cfr. R 29), per cui i 4 eptagoni hanno ciascuno 5
stanze di 4 lati e una, al centro, di 7, unevidentissima allusione a Jorge Luis Borges, il cieco direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires dal 1955 al 1974, nonch autore del celebre racconto La Biblioteca di Babele. Qui si parla di una biblio-
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In Pierre Menard, autore del Chisciotte, Borges descrive in dettaglio lopera di un autore (naturalmente immaginario) attivo nei primi decenni del XX secolo che, come risulta
dalla bibliografia delle sue opere note, accuratamente ricostruita
dal narratore, si era occupato dellarte combinatoria di Raimondo Lullo, della ricerca della lingua perfetta da parte di Leibniz,
della logica simbolica di Boole (tutti temi ampiamente trattati in
Eco 1993) e del paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga
nella reinterpretazione in chiave matematica di Bertrand Russell.
Ma il progetto pi ambizioso di Pierre Menard, segreto, eroico e
apparentemente folle e insensato, era una forma estrema e ai limiti dellimpossibile di applicazione del calcolo combinatorio:
Menard voleva riscrivere, identico, il Don Chisciotte. Naturalmente non doveva trattarsi di una trascrizione, perch Menard
voleva ri-concepire nel XX secolo il Chisciotte con le medesime
parole rimanendo se stesso e non calandosi nella mente e nellepoca di Cervantes. Lopera che ne sarebbe risultata, bench
identica sul piano dei significanti, sarebbe stata profondamente
diversa su quello dei significati, perch un medesimo passo
avrebbe avuto un senso se concepito e interpretato nel XVII secolo e un senso completamente diverso se concepito e interpretato nel XX secolo, per via dei differenti contesti e delle differenti enciclopedie di riferimento. Per esempio, dire la verit, di
cui madre la storia, emula del tempo, deposito delle azioni,
testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso
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dellavvenire (Don Chisciotte, I, IX45) nel XVII secolo, significa fare un semplice elogio retorico della storia, ma dirlo nel XX
secolo, quando si contemporanei del pragmatista americano
William James, significa esprimere lidea meravigliosa, nota
Borges, che la storia non sia tanto lindagine su ci che avvenne,
ma linvenzione di ci che giudichiamo che avvenne, ovvero la
creazione stessa della verit storica da parte del pensiero storico
per scopi pratici, diversi da epoca ad epoca. Scrive Eco: In
questi giorni sono stato portato a riflettere piuttosto su quanto mi
abbia influenzato il modello Menard. una storia che non ho
mai smesso di citare da quando lho letta la prima volta. In che
senso ha determinato il mio modo di scrivere? Ecco, direi che la
vera influenza borgesiana nel Nome della rosa non sta tanto nellavere immaginato una biblioteca labirintica, perch di labirinti
pieno luniverso dai tempi di Cnosso, e i teorici del postmoderno considerano il labirinto come una immagine ricorrente in
quasi tutta la letteratura contemporanea. piuttosto che io sapevo di stare scrivendo una storia medievale e che questa mia riscrittura, per quanto fedele, agli occhi di un contemporaneo
avrebbe avuto significati diversi. Sapevo che se riscrivevo quello che era davvero successo nel XIV secolo con i fraticelli e fra
Dolcino, il lettore (anche se io non avessi voluto) avrebbe visto
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modo che il detective vada ad attenderlo sul luogo del suo prossimo delitto, salvo che la vittima del prossimo delitto dellassassino sar il detective stesso. E questo quanto avviene ne La
morte e la bussola. Non sorprende allora che Eco, a proposito
di questo racconto borgesiano, abbia potuto confessare: non
escludo che nel momento in cui sorto il fantasma di Borges io
sia stato influenzato dallo schema di La morte e la bussola,
che mi aveva certamente molto impressionato (in Eco 2002:
135). E non c dubbio che Eco sia stato impressionato da questo racconto, tant vero che la sua eco, questa volta relativa non
allo schema del giallo ma alla tematica della cabala, delloccultismo e delle fantomatiche sette provenienti dal passato per realizzare nel presente un presunto piano misterico e sapienziale,
risuoner anche nel Pendolo.
La ricerca di Averro coglie il grande medico e filosofo
arabo del XII secolo in un momento di impotenza culturale.
nella sua casa dellamata Cordova e sta stendendo lundicesimo
capitolo della Distruzione della distruzione, opera in cui la filosofia viene difesa dalle accuse contenute nella Distruzione dei
filosofi dellasceta persiano al-Ghazali, scritta verso la fine dellXI secolo. Averro vi sostiene anche che la divinit conosce
delluniverso solo le leggi generali e le specie, non gli individui.
Ma un pensiero lo assilla, relativo allopera che lo avrebbe reso
immortale, il gran commento ad Aristotele. Il giorno prima ha
incontrato nella Poetica due parole, tragedia e commedia, di cui
ignora il significato, sia perch non conosce il greco (lavora su
traduzioni arabe da traduzioni siriache delloriginale greco) sia
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perch da arabo gli estranea la nozione di teatro. Lignoranza culturale tale che guardando dal balcone non capisce di avere proprio sotto gli occhi quello che sta cercando: dei bambini,
gi nel patio, stanno giocando mettendo in scena la preghiera
musulmana, con uno che fa da minareto, un secondo che in piedi
sulle sue spalle fa il muezzin salmodiando Non c altro dio che
Allah, e un terzo che, inginocchiato nella polvere, fa la parte
dei fedeli. Alla fine, dopo una serata passata a casa dellamico
Farach, sulla base di suggestioni dovute alla discussione con gli
amici, pensa di aver risulto lenigma, stabilendo erroneamente
che Aristotele chiama tragedia i panegirici e commedia le satire
e gli anatemi. Il narratore, nella considerazione conclusiva, percepisce la condizione di Averro, che voleva immaginare cos
il dramma senza aver mai visto un teatro, come simbolo della
propria, perch egli ha preteso di immaginare Averro basandosi
su notizie di seconda e terza mano tratte da autori moderni.
Eco ha ammesso di essere stato sempre affascinato da
questa storia borgesiana e ha cos raccontato il modo in cui essa
ha agito sulla sua narrativa: Direi che nei miei romanzi io rovescio il modello Averro: il personaggio (culturalmente stupido) spesso descrive con occhi attoniti una cosa che vede e di cui
non capisce molto, mentre il lettore indotto a capire. Cio lavoro per produrre un Averro intelligente. Pu darsi che, come
qualcuno ha detto, questo sia uno dei motivi della popolarit
della mia narrativa: io () familiarizzo il lettore con ci che
non conosceva ancora. Introduco un lettore del Texas, che non
ha mai visto lEuropa, in una abbazia medievale () e lo faccio
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1994: 57 e 59.
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II
Fin qui, leco di Borges, cio il Borges di Eco. Ma per
capire il significato estetico, cio relativo a una vera e propria
poetica letteraria, del labirinto-cosmo del Nome della rosa, occorre tornare a un saggio del 1962, apparso originariamente nel
numero 5 del Menab (diretto da Italo Calvino ed Elio Vittorini) e poi ristampato come ultimo capitolo di Opera aperta a
partire dalla seconda edizione di questopera-manifesto (1967).
Dopo aver discusso, tra laltro, il romanzo Nel labirinto di Robbe-Grillet (1959), il trentenne Eco concludeva questo saggio,
intitolato Del modo di formare come impegno sulla realt, delineando un modello desiderabile di letteratura e di arte in generale: Su questa via la letteratura come la nuova musica, la pittura, il cinema pu esprimere il disagio di una certa situazione
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per raffigurare lo spazio geografico (per andare da Roma a Milano si pu passare teoricamente da dove si vuole, anche da Napoli), quello dellEnciclopedia (si pensi allEncyclopdie e soprattutto alla rete internet, che permette teoricamente di raggiungere qualsiasi informazione a partire da qualsiasi altra, giocando di clic e di link) e soprattutto quello delle congetture: Lo
spazio delle congetture uno spazio a rizoma. Il labirinto della
mia biblioteca ancora un labirinto manieristico, ma il mondo
in cui Guglielmo si accorge di vivere gi strutturato a rizoma:
ovvero, strutturabile, ma mai definitivamente strutturato (Postille, in R 525). Ed , questo, un altro modo di parlare del disordine caotico di Blitiria, che abbiamo delineato nel capitolo
precedente, ovvero del labirinto del mondo, come recita il
quinto capitolo de Lisola del giorno prima, dove tra laltro si
legge che Roberto de la Grive, pensando allassedio di Casale
(momento marginale della Guerra dei Trentanni), stava rendendosi conto che lo stesso assedio nullaltro era che un capitolo
di una storia senza senso (I 51). In tal modo Roberto si avvicina alla consapevolezza di Stephen Dedalus (che gi nel nome
rimanda al mitico costruttore del labirinto di Cnosso), il quale,
nel secondo capitolo dellUlisse di Joyce, dopo aver cercato invano di interrogare i ragazzi della scuola di Dalkey sulla vittoria
di Pirro venuto in aiuto dei Tarantini, al cattolico preside Mr
Deasy, provvidenzialisticamente convinto che la storia si muove verso ununica grande meta, la manifestazione di Dio, con-
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III
Nella prima edizione il romanzo si presentava come una
storia di labirinti, e non di labirinti spaziali (Postille, R 525),
cio una storia di labirinti anche testuali e semantici, dietro a
quello fisico rappresentato dalla biblioteca (come vedremo), sin
dalla copertina, che recava una riproduzione del perduto labirinto della cattedrale di Reims, di cui la pianta della biblioteca
una riproduzione quasi identica, mentre una nota in quarta (poi
sparita nelle edizioni successive) informava: In copertina lo
schema del labirinto che appariva sul pavimento della cattedrale
di Reims. A pianta ottagonale, recava ai quattro ottagoni laterali
limmagine dei maestri muratori, coi loro simboli, e al centro si dice - la figura dellarcivescovo Aubri de Humbert che pose la
prima pietra della costruzione. Il labirinto fu distrutto nel XVIII
secolo dal canonico Jacquemart perch gli dava fastidio luso
giocoso che ne facevano i bambini i quali, durante le funzioni
sacre, cercavano di seguirne gli intrichi, per fini evidentemente
perversi. Si noti la simmetria tra il canonico Jacquemart e Jor50
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Ma con quali strumenti raziocinativi intenzionali Guglielmo lancia la sua sfida al labirinto? A Guglielmo la biblioteca si annuncia come un labirinto minaccioso fin da subito, attraverso le parole dellabate Abbone. Questi, nel tentativo di mettergli paura, non fa altro che eccitare la sua curiosit investigativa da Sherlock Holmes (cui il personaggio allude a partire dal
nome della citt inglese di provenienza, visto che Baskerville
rimanda a Il mastino dei Baskerville, il terzo dei quattro romanzi
di Conan Doyle dedicati al suo famosissimo investigatore) e risvegliare il suo istinto della caccia di ex inquisitore, per usare
una ben nota espressione legata a Dashiell Hammett, al cui personaggio Sam Spade Eco tributer un grande omaggio nel Pendolo per bocca del narratore Casaubon, il quale verso la fine
dice addirittura: sono ancora una volta Sam Spade, che cerca
lultima traccia51 . Nel loro primo colloquio, alla richiesta di
Guglielmo di visitare la famosa e ricca biblioteca dellabbazia,
Abbone cos spiega la sua inaccessibilit: La biblioteca nata
secondo un disegno che rimasto oscuro a tutti nei secoli e che
nessuno dei monaci chiamato a conoscere. Solo il bibliotecario
ne ha ricevuto il segreto dal bibliotecario che lo precedette, e lo
comunica, ancora in vita, allaiuto bibliotecario, in modo che la
morte non lo sorprenda privando la comunit di quel sapere. E le
labbra di entrambi sono suggellate dal segreto. Solo il bibliotecario, oltre a sapere, ha il diritto di muoversi nel labirinto dei
libri (R 45). questa la prima delle ben quarantasette ricorren51
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IV
Con ci entriamo nel cuore della logica della scoperta
investigativa di Guglielmo, che Eco costruisce sulla falsariga
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Cfr. in particolare il primo capitolo di Dennett 1978 (il cui decimo capitolo,
sulla distinzione tra iconofili e iconofobi nellambito delle scienze cognitive, sar pi volte citato in Eco 1997: cfr. 97, 397 e 416), nonch il 8.6 di
Dennett 1995.
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Supponiamo che su un tavolo ci sia un sacchetto di fagioli e che io sappia che tutti i fagioli del sacchetto sono bianchi (legge); allora, se io prendo senza guardare un pugno di fagioli dal sacchetto (caso) posso predire senza dubbio che i fagioli che ho nel pugno saranno bianchi (risultato). Questo un
esempio di ragionamento deduttivo: da una legge, attraverso un
caso, posso predire con certezza un risultato particolare. Ma
ovvio che nella vita o nella scienza o in unindagine poliziesca
raramente possiamo fare ricorso a un esempio di deduzione pura
come questa, perch in genere non abbiamo leggi a disposizione
da cui partire.
Se invece non so cosa ci sia nel sacchetto, posso infilare
la mano e constatare che, come risultato, ho tirato fuori dei fagioli bianchi. Ripeto loperazione un certo numero di volte e
ottengo sempre lo stesso risultato. Allora posso inferire, con un
certo grado di sicurezza (ma mai con assoluta certezza), che
questi risultati siano casi di una legge, la legge secondo cui tutti
i fagioli del sacchetto sono bianchi. Questo un esempio di ragionamento induttivo, perch da una serie di risultati particolari
interpretati come casi di una stessa legge arrivo a formulare
lipotesi che tale legge generale sia vera (anche se da un momento allaltro pu spuntare il fagiolo non bianco che la falsifica
irrimediabilmente).
Immaginiamo ora una situazione ben diversa. Ho davanti
a me un sacchetto e, accanto ad esso, un mucchietto di fagioli
bianchi. Non so cosa ci sia nel sacchetto, n so chi abbia messo
l i fagioli. La loro presenza un fatto, cio un risultato, curioso
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CAPITOLO 3
I
Ma Il nome della rosa non solo un romanzo in cui
messa in scena la sfida al labirinto ad opera di un personaggio e
del suo giovane accompagnatore. Il nome della rosa esso stesso un labirinto testuale che il lettore chiamato a sfidare, sottoponendosi nel contempo a un vero e proprio rito di iniziazione.
Naturalmente questo vale per ogni testo estetico, e nessuno
come Eco ha saputo spiegare il piacere dello smarrimento nei
boschi narrativi. Ma proprio perch egli aveva cos a lungo riflettuto sul coinvolgimento del lector nella fabula, analizzando
il modo in cui un testo esige dal lettore tutta una serie di atti di
cooperazione interpretativa, nel Nome della rosa ha portato alle
conseguenze estreme il gioco delle strategie di interazione tra
lettore e testo, costruendo una vera e propria macchina labirinti-
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II
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Cosa fa Poe? Intanto premette al romanzo una Nota introduttiva firmata da A. G. Pym, cio lo stesso protagonista
che esordir nel racconto in prima persona dicendo Mi chiamo
Arthur Gordon Pym. Fin qui, niente di strano. Ma si d il caso
che nella nota Pym faccia riferimento a un certo mister Poe, il
quale lanno prima, cio nel 1837, aveva pubblicato sul Southern Literary Messenger a proprio nome due puntate delle
stesse avventure, narrate da Pym in prima persona. E allora?
Pym che inventa Poe o Poe che inventa Pym? Naturalmente a
questo livello lautore empirico Poe che inventa il personaggio-narratore Pym che parla dellautore empirico Poe come se
fosse una propria invenzione. Ma le cose sono ancora pi complicate, perch in appendice al romanzo il lettore trova una
Nota in cui un terzo personaggio-editore, chiamiamolo Mister
X perch anonimo, parla sia della morte di Pym e della perdita
degli ultimi due o tre capitoli della storia da lui stesso raccontata
sia di mister Poe, il primo curatore della storia, cui peraltro, a
detta di Mister X, sarebbe sfuggita la chiave per decifrare le
strane figure che compaiono verso la fine del racconto superstite
di Pym. Conclude Eco: Dovremmo allora giustificare il lettore
che iniziasse a sospettare che lautore empirico fosse il signor
Poe, che aveva inventato un personaggio romanzescamente dato
come reale, il signor X, che parla di una persona falsamente reale, il signor Pym, che a propria volta agisce come il narratore di
una storia romanzesca. Lunico elemento imbarazzante sarebbe
che questo personaggio romanzesco parla del signor Poe (quello
reale) come se fosse un abitante del proprio universo fittizio.
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s il padre Athanasius Kircher (ma quale opera?) (R 13), un gesuita dagli interessi bizzarri ed enciclopedici del XVII secolo, di
cui il bibliofilo Eco possiede oggi tutte le numerose opere originali meno una (cfr. Eco e Carrire 2009: 117).
Il disegno del labirinto di specchi in cui il lettore viene
catapultato non appena apre il romanzo ora completo, anche se
tutto questo riguarda solo il problema di capire chi stia parlando.
Ebbene, appena il lettore comincia a leggere il Prologo, si imbatte nella caratteristica principale del romanzo, che consiste nel
fatto che esso risulta scritto quasi interamente con pezzi di altri
libri e testi vari, appartenenti non solo a una ideale biblioteca
medievale, ma anche alla biblioteca universale, che comprende
cio testi scritti prima del Medioevo e addirittura dopo. Nelle
prime parole del romanzo, infatti, Adso usa frasi tratte dallincipit del Vangelo di Giovanni (che gi costituivano lincipit del
Morgante di Pulci) e da Paolo (a sua volta gi citato da Huizinga, come visto), e questo solo un anticipo di riscaldamento
dellincubo intertestuale che aspetta il lettore, il quale capisce
subito di essere sotto penitenza e di aver bisogno di una qualche
iniziazione.
III
Per capire di che tipo di penitenza e di iniziazione si tratti occorre soffermarsi su un passo insieme curioso e interessante,
uno di quei passi che contengono per speculum et in aenigmate
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come una sorta di figura della situazione del lettore, tanto che
con Adso egli pu dire a se stesso: de te fabula narratur. Nelle
prime edizioni del romanzo, a pagina 135 (siamo poco oltre la
met di Secondo giorno terza), laddove Guglielmo ispeziona
nello scriptorium il tavolo del povero Venanzio, nella notte trovato morto dentro lorcio pieno del sangue dei maiali, si legge:
Un altro libro greco era aperto sul leggo, lopera su cui Venanzio stava compiendo nei giorni scorsi il suo lavoro di traduttore.
Io allora non conoscevo ancora il greco, ma il mio maestro lesse
il titolo e disse che erano le Metamorfosi di Apuleio, una favola
pagana di cui avevo sentito parlare come di opera sconsigliata ai
novizi. Ora, il passo innanzi tutto curioso perch contiene un
lapsus calami abbastanza divertente (che neanche il pi scarso
dei liceali potrebbe mai commettere, visto che se prende un
brutto voto su Apuleio sa benissimo in quale materia lo ha preso), dato che Venanzio non poteva tradurre dal greco al latino
unopera gi scritta in latino! Ebbene, nelle edizioni successive
compare la dovuta correzione, ed interessante vedere come ha
proceduto Eco. Il passo, ora, suona cos: Un altro libro greco
era aperto sul leggo, lopera su cui Venanzio stava compiendo
nei giorni scorsi il suo lavoro di traduttore. Io allora non conoscevo ancora il greco, ma il mio maestro disse che era di un tale
Luciano e narrava di un uomo trasformato in asino. Ricordai
allora una favola analoga di Apuleio, che ai novizi era di solito
severamente sconsigliata. Di conseguenza stato anche aggiustato un rigo di pagina 137, dove si riprende largomento e Guglielmo dice a Jorge: Certo, Apuleio e Luciano erano colpevoli
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chio (senzaltro la pi celebre riformulazione moderna della favola di Lucio) la situazione del lettore del Nome della rosa. Si
ripensi alla situazione di Lucio: pasticciando con dei filtri magici si ritrova trasformato in asino, anzich in uccello, come desiderava (cfr. Apuleio, III, 24-25 e Luciano, 13), e dopo mille peripezie potr finalmente mangiare le rose che lo faranno ritornare uomo. noto che in Apuleio il rito iniziatico che permetter a
Lucio di riacquistare la forma umana molto complesso e prevede pi fasi o livelli, anche perch dovr diventare sacerdote
della dea Iside, mentre in Luciano lasino si imbatte casualmente
nelle rose allorch si trova in un teatro dove costretto ad esibire le sue prodigiose doti sessuali (cfr. Luciano, 52-54). In ogni
caso, anche in Apuleio lelemento-chiave una corona di rose
(cfr. XI, 13), e questo fatto spinge irresistibilmente a istituire un
parallelismo, magari un po arbitrario e forzato, ma in ogni caso
rivelatore, con la situazione del lettore, chiamato a uscire dal
labirinto mangiando con gli occhi e con la mente un romanzo
intitolato Il nome della rosa e raggiungendo lilluminazione del
Senso attraverso la decifrazione, cio la digestione, di un esametro latino finale che parla della rosa primigenia e del suo nome.
Sarebbe troppo facile sostenere questo parallelismo tra il mangiar rose e il comprendere il romanzo e lesametro sulla rosa
ricordando che il verbo latino sapere significa sia sentire il sapore che venire a sapere e che sul legame etimologico tra
sapore e sapienza giocava gi Tommaso Campanella, ma
qui basta richiamare un passo del quinto capitolo del Pendolo di
Foucault, romanzo ironicamente sapienziale e iniziatorio come
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Cfr. anche P 491-492, nonch Eco 1990: 45, 50 e 85. Si tratta di una tecnica di cui si ricorder anche il falsario e spia Simonini, il quale far sua una
regola come questa: Meglio non possedere nessun segreto e far credere di
possederne (C 335).
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IV
Rimanendo in tema di costruzione narrativa volutamente
complessa che ha lo scopo di iniziare il lettore ai misteri del testo (cio del linguaggio e del suo rapporto con il mondo), vale la
pena dare uno sguardo pi attento al Pendolo, perch qui Eco
raggiunge vette cos alte che nei quattro romanzi successivi eviter di andare oltre e si accontenter di strategie testuali relativamente pi lineari. Quello che egli mette in atto in questo romanzo un dispositivo narrativo labirintico che coinvolge e
scompiglia non pi solo il chi e il come narra (come era accaduto nel Nome della rosa) ma anche il quando e persino il da dove
narra (altro che il Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi
duole di Adso: R 503).
In termini generalissimi, il romanzo narrato in prima
persona dal milanese di origini valdostane Casaubon, laureato in
filosofia con una tesi sui Templari, uno dei tre personaggi principali insieme a Jacobo Belbo, un intellettuale piemontese inquieto e apparentemente scettico, e Diotallevi, pure lui piemontese e cos appassionato di cabala da autoconvincersi di essere
ebreo. Sulla base delle indicazioni interne, per la verit non
sempre esplicite, si pu arguire che nel 1984 Casaubon abbia 33
anni (cfr. P 27 e 47), Belbo ne abbia 52 (cfr. P 54 e soprattutto
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perch mi ero introdotto stolidamente in una macumba organizzata per turisti e mi ero lasciato prendere dallipnosi dei perfumadores, e dal ritmo dei pontos... E la mia memoria tentava volta per volta il disincanto, la piet e il sospetto, nel ricomporre il
mosaico, e quel clima mentale, quella stessa oscillazione tra illusione fabulatoria e presentimento di una trappola, vorrei conservare ora, mentre a mente ben pi lucida sto riflettendo su
quello che allora pensavo, ricomponendo i documenti letti freneticamente il giorno prima, e la mattina stessa allaeroporto e durante il viaggio verso Parigi. () Sono qui, ora, dopo aver raggiunto spero la serenit e lAmor Fati, a riprodurre la storia
che ricostruivo, pieno di inquietudine e di speranza che fosse
falsa nel periscopio, due sere fa, per averla letta due giorni
prima nellappartamento di Belbo e per averla vissuta, in parte
senza averne coscienza, negli ultimi dodici anni, tra il whisky di
Pilade e la polvere della Garamond Editori (P 42-43).
Inoltre, questo doppio gioco oscillatorio tra due dimensioni del tempo della memoria e tra passato e presente d a Casaubon loccasione per proiettare il proprio sdoppiamento sul
piano metafisico, sulla base dellinsegnamento cabalistico di
Diotallevi, il quale, come vedremo, d il suo contributo allarchitettura del romanzo: Ricordo (e ricordavo), per dare un senso al disordine della nostra creazione sbagliata. Ora, come laltra
sera nel periscopio, mi contraggo in un punto remoto della mente per emanarne una storia. Come il Pendolo. Diotallevi me lo
aveva detto, la prima sefirah Keter, la Corona, lorigine, il
vuoto primordiale. Egli cre dapprima un punto, che divenne il
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Pensiero, ove disegn tutte le figure... Era e non era, chiuso nel
nome e sfuggito al nome, non aveva ancora altro nome che
Chi?, puro desiderio di essere chiamato con un nome... In
principio egli tracci dei segni nellaura, una vampa scura scatur dal suo fondo pi segreto, come una nebbia senza colore che
dia forma allinforme, e non appena essa cominci a distendersi,
al suo centro si form una scaturigine di fiamme che si riversarono a illuminare le sefirot inferiori, gi sino al Regno (P 21).
Come si vede, qui comincia a insinuarsi maliziosamente anche
Eco attraverso dei doppi sensi: la frase mi contraggo in un punto remoto della mente per emanarne una storia. Come il Pendolo, infatti, se mettiamo in corsivo la parola Pendolo, possiamo attribuirla allautore del romanzo, che ne pur sempre il
vero Demiurgo. Dunque, il narratore Casaubon si contrae in un
punto, come il Pendolo, per rievocare oscillando nel tempo la
storia che lo ha condotto fin l (prima nel Periscopio e poi nella
pavesiana casa in collina) e che coincide con il romanzo; lautore Eco, analogamente, si contrae in un punto per emanare il
romanzo, cio una storia come il Pendolo. Entrambi, poi, scimmiottano il processo creativo di Keter, che si serve di figure e
di segni (le sefirot) come uno scrittore. Oppure, meglio: Keter che, come Dio creatore, stato inventato dagli uomini e dipinto come la scimmia di uno scrittore, lunico essere capace di
creare con la parola.
Ora, poich Casaubon riceve da Diotallevi la sapienza
cabalistica e alle sue istruzioni fa costante riferimento ogni volta
che trascrive la sua storia sul palinsesto delle emanazioni sefiro-
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ch in questo romanzo Eco non solo d un colpo mortale ad alcune influentissime mode filosofiche dellepoca (oggi un po
appannate, considerato anche che nel frattempo Gadamer, Derrida e Rorty sono morti) ma smaschera le procedure mentali ed
interpretative deliranti che sono alla base sia della teoria della
cospirazione che dello stesso atteggiamento religioso, come era
gi chiaro nel passo di Popper 1963 citato nellIntroduzione.
Dando unocchiata al dibattito sulla stampa apertosi subito dopo luscita del romanzo61 , si nota come la critica si divise
tra chi, come Maria Corti, apprezzava la borgesiana arguzia affabulatoria di Eco e chi o denunciava, come Pietro Citati, un
cialtronesco vuoto di idee e di valore letterario dietro liper-letterariet istrionica dello stile citazionista, oppure, come LOsservatore Romano, lanciava anatemi contro il presunto laicismo nichilista di un autore che riduceva in modo offensivo la
Storia a un caos di stupidit e complotti incrociati, senzalcuna
speranza di recupero di una visione saldamente cristiana e provvidenzialista (visione che tra laltro appare, alla luce del Pendo-
61
Un bilancio si trova in Erbani 1990. Erbani partiva dal dato che per Il
Pendolo di Foucault di Umberto Eco il bilancio comunque in rosso: di 36
recensioni comparse su quotidiani e periodici italiani 17 sono quelle negative,
12 quelle positive, 7 quelle problematiche e, dopo una esauriente carrellata
di opinioni pro e contro il romanzo (tra cui quelle citate qui), concludeva:
Lipotesi che la severit verso Eco nasconda tanta invidia fra le pi verosimili.
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Gli intellettuali clericali, del resto, non perdono mai occasione per attaccare il laico e loico Eco. Si vedano ad esempio Introvigne 1987 e Introvigne
2010, rispettivamente sul Nome della rosa e sul Cimitero di Praga.
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vraccoperta annuncia unopera complessa di cui difficile stabilire le classiche unit di tempo, luogo e azione, perch i piani
delle tre unit sono molteplici e intrecciati e non si capisce se il
romanzo duri sette o diciotto secoli, dodici anni tra il 1972 e il
1984 o due anni tra il 1943 e il 1945, o addirittura una sola sera,
n se tale sera sia quella parigina del 23 giugno 1984 o quella
langhigiana tra il 26 e il 27 giugno dello stesso anno (e qui il
lettore che taglier il traguardo della pagina 509 dovr rendersi
conto che c un refuso, perch la notte finale in realt quella
tra il 25 e il 26 giugno), essendo vere in un certo senso tutte
queste cose insieme. In ogni caso il lettore capisce che avr a
che fare con il museo parigino dove esposto il Pendolo di Foucault, con il Brasile, con il sapere ermetico e gnostico, con i
Templari e i Rosa-Croce, e con tre sconsiderati redattori di una
casa editrice che la combinano grossa inventando un Piano per
la conquista del mondo che qualcuno prender terribilmente sul
serio Gi a pagina 2, cio prima ancora del frontespizio, il
lettore si trova di fronte a una riproduzione cinquecentesca a
stampa dellalbero delle sefirot, una struttura esagonale di cerchi
con strane parole dentro collegati da linee, che per essere anche
solo compresa passabilmente richiede un corso accelerato di cabala ebraica di alcune ore. A pagina 5 si incontrano due citazioni
abbastanza scoraggianti a mo di epigrafi generali: una tratta dal
De occulta philosophia del medico, astrologo, alchimista, mago
e cabalista rinascimentale tedesco Agrippa di Nettesheim, in cui
si dice che questopera (quindi anche il Pendolo) scritta solo
per i figli della dottrina e della sapienza che sapranno deci-
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spinge ad attribuire al piano di oscillazione una velocit angolare di rotazione proporzionale al seno della latitudine del punto
del pianeta in cui si trova sospeso il Pendolo. Ed precisamente
qui che il campo si riempie di cadaveri di lettori che non hanno
retto oltre.
Ricordo che a ventanni, nel 1989, riuscii a sopravvivere
a queste pagine per una pura combinazione di circostanze fortuite. Avevo letto due anni prima il Nome della rosa e quindi anchio ero curioso di leggere il Pendolo, che mi procurai attraverso il prestito bibliotecario. Ero un ex liceale appassionato di filosofia che aveva appena abbandonato gli studi di ingegneria al
Politecnico di Torino, e pertanto ero fresco di studi di matematica e fisica. Ebbene, la frustrazione sopra descritta fino allincipit
venne improvvisamente e inaspettatamente compensata dalla
sensazione di trionfo provata alla scoperta di quelle che mi sembrarono subito due gravi imprecisioni nella prima descrizione
della formula del periodo del pendolo semplice: Io sapevo ()
che il periodo era regolato dal rapporto tra la radice quadrata
della lunghezza del filo e quel numero , comincia a dire
Casaubon (P 9). Alt! Non solo nessun manuale di fisica chiamerebbe rapporto un prodotto (visto che per rapporto si intende comunemente la divisione), ma qui, per bocca di Casaubon,
Eco dimentica la costante di gravit g, che compare naturalmente nellespressione matematica della formula cos come si trova
nellepigrafe del capitolo 114, costituita dallestratto di una lettera del matematico e professore di ingegneria civile e architettura alla Columbia University Mario Salvadori indirizzata al-
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P 277. Per altre menzioni del labirinto nel corpo del testo, cfr. P 267, 287,
304, 320, 358, 368, 391, 415, 463, mentre in P 352 Casaubon, in pieno furore
creativo per la costruzione del labirinto del Piano, dice di s non casualmente
che entr nella clinica dove Lia aveva appena partorito barcollando come se
avesse la labirintite. E a proposito dellIsola del giorno prima, Eco dir:
nellIsola volevo che il lettore si confondesse, e non riuscisse pi a orientarsi nel piccolo labirinto di quella nave che riservava sempre nuove
sorprese (Eco 2002: 339. Cfr. anche 333-334).
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V
A proposito dei labirinti, della semiosi ermetica alla
Khunrath e pi in generale dellinterpretazione sospettosa e delleccesso di meraviglia, tutti temi comuni a Eco 1990 e al Pendolo di Foucault (ma che costituiscono una costante un po in
tutta lopera di Eco e si ritrovano anche, in qualche modo e variamente declinati, nel Nome della rosa), c un fatto curioso che
vale la pena mettere in luce. A un certo punto del sabba del capitolo 113 del Pendolo, il fantasma di Khunrath, evocato dai medium in forma di civetta (la stessa che appare in una tavola
khunrathiana, dove si vede una specie di gufo o civetta con occhiali e naso umano, con due candele nei rispettivi candelabri ai
lati e con due fiaccole incrociate davanti: cfr. anche le ultime
righe di P 467), pronuncia in sequenza le quattro seguenti stringhe verbali (P 468-469):
HalleluIah HalleluIah
Was helfen Fackeln Licht oder Briln so die Leut nicht sehen wollen
Symbolon ksmou t ntra ka tn enkosmin dunmen erthento
oi theolgoi
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Ora, non difficile scoprire che si tratta di formule tratte dallAmphitheatrum (della cui prima edizione del 1595 Agli possiede una copia: cfr. P 226-227). La prima e la quarta ricorrono
insieme pi di una volta, per esempio nel paratesto introduttivo
e nella parte bassa della ciambella di testo che circonda la famosa tavola della stanza dellalchimista; mentre la seconda, in tedesco (A cosa servono le fiaccole, la luce o gli occhiali, quando
la gente non vuol vedere?), compare in un cartiglio ai piedi della
civetta o gufo della tavola summenzionata. Ma la terza che
rivela delle sorprese molto interessanti. In unopera alchemica in
cui trionfano, tra laltro, le caverne cabalistiche (come si dice
in P 158), e in cui una tavola importante dedicata proprio alla
caverna, il cui accesso con scalinata circondato da formule latine, ebraiche e greche, non sorprendente trovare un passo in
greco in cui si dice che i teologi consideravano gli antri simboli
del cosmo e delle potenze cosmiche. E il lettore di primo livello
del Pendolo potrebbe fermarsi qui. Tuttavia, tuttaltro che futile chiedersi come mai Eco abbia scelto proprio quel passo, visto
che si tratta di una citazione tratta da uno scritto minore di Porfirio, il discepolo di Plotino attivo tra la seconda met del III e i
primi anni del IV secolo cui si devono, tra laltro, la pubblicazione delle Enneadi del maestro e la prima formulazione, nella
sua breve introduzione alle Categorie di Aristotele nota come
Isagoge, di quel problema filosofico che ha scatenato nel Me-
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dove tra laltro si difendono tesi vegetariane sulla base di argomenti a sostegno dellintelligenza e della sensibilit animale.
Daltra parte, in Eco 1985: 218 e in Eco 2007b: 124 (nota 9),
Eco menziona tra gli altri anche Porfirio allorch, basandosi su
studiosi come Auerbach e Ppin (a sua volta autore di un saggio
del 1966 proprio su Porfirio esegeta di Omero), osserva che,
cos come i medievali, anche gli autori classici consideravano
simbolo e allegoria come sinonimi. E sembra che qui si
possa scorgere unallusione a Lantro delle Ninfe, ancorch molto indiretta, perch in questo testo (cfr. ad es. 3, 4 e 7) si dice
indifferentemente che nei versi presi in esame Omero cela unallegoria e che lantro un simbolo del cosmo. Ma significativo
il fatto che in tali contesti Eco citi di Ppin non il saggio sullAntro delle Ninfe (Porphyre Exgte dHomre) ma quelli sullallegorismo (Mythe et allgorie, 1958 e Dante et la tradition
de lallgorie, 1970).
Ora la domanda : allepoca in cui ha scritto il Pendolo,
Eco aveva presente il contenuto dellopera di Porfirio da cui
tratto il passo messo in bocca al fantasma di Khunrath e prelevato dallAmphitheatrum? Il problema non di poco conto, perch, come vedremo, Lantro delle Ninfe riserva molte sorprese
in relazione alle tematiche che stanno a cuore ad Eco. Gi sulla
base di quanto illustrato sopra, si potrebbe congetturare ragionevolmente una risposta negativa alla domanda. Ma il 25 gennaio
2010 ho avuto una conferma dallo stesso Eco, al quale ho potuto
sottoporre la questione di persona a Venezia, al termine della sua
presentazione di Vertigine della lista a Palazzo Grassi. Con la
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sua consueta disponibilit, Eco ha chiarito il mio dubbio dicendomi che allepoca citava direttamente da Khunrath, senza avere
presente Lantro delle Ninfe.
Per ironia della storia, poi, la prima traduzione italiana di
questo testo di Porfirio uscita presso Adelphi nel 1986, cio
proprio mentre Eco lavorava al romanzo.65 Ma di cosa parla
Lantro delle Ninfe? Il breve scritto del filosofo neoplatonico si
inserisce in una tradizione esegetica che leggeva Omero in chiave ermetica (in senso lato, cio non strettamente limitato ai contenuti del Corpus Hermeticum), considerandolo portatore di una
sapienza antica e perenne che lo accomuna per esempio a Platone, agli Orfici, ai Pitagorici, a Eraclito, agli Egizi, ai Caldei e
persino a Mos, per cui nei suoi versi si nasconderebbe una Dottrina unitaria che questo accostamento sincretistico permette di
mettere in luce. La fortuna di Porfirio che tutte le sue fonti
(cio i lavori analoghi di filosofi precedenti di area soprattutto
mediopitagorica e medioplatonica che lui cita come punti di riferimento) sono andate perdute, sicch per noi il De antro Nympharum diventa un documento eccezionale anche per la ricostruzione della storia della tradizione ermetica e dellermeneutica neoplatonica.
Lantro delle Ninfe prende le mosse dai versi 102-112 del
tredicesimo libro dellOdissea, che si trovano nel contesto in cui
65
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si racconta che Ulisse, raggiunta finalmente la sua Itaca, nasconde in un antro i ricchi doni che gli avevano fatto i Feaci al
momento della sua partenza dalla loro isola. Porfirio dichiara
subito che lantro, per come descritto in tali versi, un enigma:
In capo al porto vi un olivo dalle ampie foglie:
vicino un antro amabile, oscuro,
sacro alle Ninfe chiamate Naiadi;
in esso sono crateri e anfore
di pietra; l le api ripongono il miele.
E vi sono alti telai di pietra, dove le Ninfe
tessono manti purpurei, meraviglia a vedersi;
qui scorrono acque perenni; due porte vi sono,
una, volta a Borea, la discesa per gli uomini,
laltra, invece, che si volge a Noto, per gli di e non la
varcano gli uomini, ma il cammino degli immortali66.
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tichi teologi gli antri rappresentavano il cosmo che si forma dalla materia (cfr. 5), che la loro oscurit era simbolo delle potenze invisibili allo sguardo dei sensi (cfr. 7) e che quindi negli
antri veniva posto il simbolo del cosmo e delle potenze cosmiche ( 9).67 Sulla base di tali assunti, Porfirio si lancia nei 36
brevi paragrafi dello scritto in una lettura funambolica che mette
insieme tutto e il contrario di tutto (il miele simbolo di purificazione, di conservazione e di piacere sessuale, quindi di vita,
ma anche di morte: cfr. 15-18). Per cui pu capitare che in
uno stesso giro di frasi del 1068 , un po come accade anche nel
confusissimo Mancuso 2007 (che su questo ha senza saperlo un
lontano precursore in Porfirio), per esprimere lidea di un nesso
tra lanima e lacqua, vengano messi insieme per
somiglianza (come direbbe Eco) il passo biblico sullo spirito
divino che aleggiava sulle acque (Genesi, 1, 2), la dottrina egizia
secondo cui tutte le divinit stanno su una barca e il frammento
77 di Eraclito (tramandatoci proprio grazie a questo luogo di
Porfirio), in cui espressa lidea che per le anime diventare
umide vuol dire provare un piacere grossolano, se non addirittura morire.
67
!152
In particolare, il passo omerico, che per Porfirio nasconde il dramma della caduta dellanima nel mondo e del suo ritorno nella dimensione del divino, decodificato nel modo seguente (ma si tenga presente che si tratta di una decodifica mobile,
non rigida): lantro simbolo del cosmo; le ninfe e le api sono le
anime; i mantelli tessuti dalle Ninfe rappresentano il rivestimento corporeo, mentre le due porte si riferiscono ai due percorsi
cosmici dellanima, quello della discesa nel mondo materiale e
quello della risalita in quello spirituale. Rappresentante emblematico di questo dramma metafisico dellanima poi Ulisse, di
cui il poema nella sua interezza illustra le tappe della discesa
nella generazione e della risalita verso il mondo di chi ignora il
mare, il cui moto fluttuante era gi per il Platone del Timeo segno di materialit (cfr. 34). A questo punto, in relazione alla
figura di Ulisse e al suo viaggio, Laura Simonini fa un riferimento per noi interessante al significato ermetico e iniziatico del
labirinto: Il lungo viaggio di Odisseo evoca, e in qualche modo
qui sostituisce, il percorso del labirinto, spesso associato al simbolo della caverna, che ha una duplice finalit: permettere
laccesso al centro grazie a un viaggio iniziatico, e proibire o
difendere lentrata ai non iniziati. Esso implica una serie di prove, preliminari al raggiungimento del centro, nasconde sempre
qualcosa di celato e sacro, consacra chi lo ha superato. In una
prospettiva ascetico-mistica, percorrere il labirinto significa
concentrarsi su se stessi, attraverso le mille vie delle sensazioni,
delle passioni, delle idee, superando ogni ostacolo alla pura intuizione per ritornare alla luce. Il percorso labirintico anche
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di senso da riempire, a dispetto di chi, come lo studioso di semiotica, crede che il linguaggio serva per comunicare un pensiero univoco.
Ed ecco allora che, leggendo il passo omerico come se
fosse la pergamena di Provins, Porfirio potrebbe benissimo figurare tra i personaggi del Pendolo. Un curioso aneddoto biografico riferito da lui stesso nel 15 della sua Vita di Plotino ci fornisce lassist perfetto: Io avevo letto, nella festa di Platone, un
poema, Il matrimonio sacro, e siccome avevo detto molte cose
da ispirato nel loro senso mistico e segreto, qualcuno osserv:
Porfirio matto70. Ebbene, questo fa pensare al Monsieur,
vous tes fou (P 485) che lo psicanalista lacaniano Wagner dice
a Casaubon quando questi, verso la fine del romanzo, va a raccontargli la folle storia del Piano da lui inventato per scherzo
insieme a Belbo e Diotallevi, fino al naufragio delle loro menti
nella loro stessa menzogna: Quando ci scambiavamo le risultanze del nostro fantasticare ci sembrava, e giustamente, di procedere per associazioni indebite, cortocircuiti straordinari, a cui
ci saremmo vergognati di prestar fede se ce lo avessero imputato. che ci confortava lintesa ormai tacita, come impone
letichetta dellironia che stavamo parodiando la logica degli
altri. Ma nelle lunghe pause in cui ciascuno accumulava prove
per le riunioni collettive, e con la tranquilla coscienza di accumulare pezzi per una parodia di mosaico, il nostro cervello si
abituava a collegare, collegare, collegare ogni cosa a qualsiasi
70
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VI
Si diceva del filtraggio tramite Pinocchio, dove la metamorfosi in asino del protagonista legata al suo rifiuto della
scuola e dellistruzione. Ebbene, la prima sensazione di smarri-
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mento che prova il lettore che entra nel labirinto del Nome della
rosa (ma il discorso vale anche per gli altri cinque romanzi)
legata proprio al suo disagio culturale, perch come se gli crollasse addosso lintera Enciclopedia. Lautore, cio, si diverte a
umiliare il lettore facendolo sentire un asino che si aggira per i
corridoi della biblioteca di Babele e, come visto, gli richiede uno
sforzo notevole, una sorta di addestramento che lo avvicini al
modello di lettore cui il testo alla fine doner laccesso ai segreti
di unintuizione filosofica sul nonsenso del mondo e sui limiti
autoreferenziali del linguaggio, cui si fatto cenno nel primo
capitolo.
Ritorniamo ancora una volta allimportante passo di R
495 e confrontiamolo con il contesto, nel Tractatus logico-philosophicus, della citazione criptica di Wittgenstein che vi ricorre. Di chi sta parlando Wittgenstein quando dice che egli (Er)
deve gettare via la scala dopo essere salito su di essa e oltre
essa? Wittgenstein sta parlando nientemeno che del Lettore Modello (come lo chiamerebbe Eco71 ), ovvero di quel lettore che lo
comprende, che comprende cio lui in quanto Autore Modello
del Tractatus, e quindi del lettore che comprende davvero il
Tractatus. Ma qual il vero senso dellopera che il lettore
chiamato ad afferrare? Il vero senso dellopera che essa co71
E si noti che lo stesso Eco ha discusso un altro celebre passo di Wittgenstein (il 66 della prima parte delle Ricerche filosofiche, quello sui vari giochi e sulle loro somiglianze di famiglia) alla luce delle sue nozioni teoriche di
Lettore e Autore Modello intesi come mere strategie testuali: cfr. Eco 1979:
61 e Eco 1994: 30-31.
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stituita da proposizioni insensate72 , e questo Wittgenstein lo rivela nella penultima delle 526 proposizioni di cui lopera
composta e che sono numerate secondo un ordine gerarchico
attorno alle sette principali. Eccola per intero: Le mie proposizioni illuminano cos: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se asceso per esse su esse oltre esse. (Egli
deve, per cos dire, gettar via la scala dopo esser asceso su essa.)
Egli deve trascendere queste proposizioni; allora che egli vede
rettamente il mondo73 . Come si vede, anche il Tractatus prevede un percorso iniziatico per il lettore, il quale alla fine, cio
dopo lardua impresa dellattraversamento di 526 labirintiche
proposizioni spesso oscure, oracolari e dense di sapienza logicomatematica, avr il privilegio di conquistare una retta visione
del mondo. La retta visione del mondo che si illumina davanti
agli occhi del lettore costituita prevalentemente da questi principi fondamentali: 1) il mondo costituito da fatti isolati che
hanno una forma logica, la quale si rispecchia in quella delle
proposizioni del linguaggio che descrivono tali fatti; 2) solo tali
proposizioni hanno senso, e se il fatto possibile che descrivono
sussiste, esse sono vere, altrimenti sono false; 3) la totalit delle
possibili proposizioni vere coincide con la totalit delle scienze
72
Cio unsinnig, ovvero senza un senso (Sinn) perch a certi segni di esse
non stato dato alcun significato (Bedeutung). Questa la situazione tipica,
per Wittgenstein, degli enunciati metafisici, che non va confusa con quella
delle tautologie e delle contraddizioni, che invece sono sinnlos, cio senza
senso empirico. Cfr. ad es. le propp. 4.461, 4.4611, 5.473, 5.4733 e 6.53.
73 Wittgenstein 1922: prop. 6.54.
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insiste cos tanto nelle opere di semiotica). Ecco perch Guglielmo, in occasione dellepisodio di Brunello, dice ad Adso:
le idee, che io usavo prima per figurarmi un cavallo che non
avevo ancora visto, erano puri segni, come erano segni dellidea
di cavallo le impronte sulla neve: e si usano segni e segni di segni solo quando ci fanno difetto le cose (R 36).
Le cose, vero, come queste rose o le pesche di Casaubon non ci fanno difetto nella semplice vita ordinaria. Con ci
Eco non varca mai i limiti di un sano realismo da senso comune
(e in tal senso il primo capitolo di Eco 1997 e lultimo capitolo
di Eco 2007b sono dei veri e propri manifesti filosofici in difesa
di unidea di Essere che sta l, fuori di noi, e oppone resistenza
ai nostri tentativi di piegarlo ai nostri desideri smodati, siano
essi biologici o metafisici74), perch sa bene che basta solo un
passo per cadere nel labirinto della simpatia e della somiglianza
universale del pensiero ermetico rinascimentale, la cui influenza
si fa sentire ancora in molte concezioni post-moderne della critica (Eco 1990: 47): Il pensiero ermetico trasforma lintero
teatro del mondo in fenomeno linguistico, e contemporaneamente sottrae al linguaggio ogni potere comunicativo (Eco 1990:
45).
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VII
Sono storie diverse di naufragi quelle che racconta Eco.
Naufragio della ricerca, come quello di Guglielmo da Baskerville; o della tracotanza ludico-esegetica, come quello di Casaubon,
Diotallevi e Belbo; o letterale, come quello di Roberto de la
Grive; o dellautoinganno geografico, come quello di Baudolino; o della psiche, come quello di Yambo Bodoni; o dellesistenza paranoica, come quello di Simone Simonini. Ma tutti
sono accomunati dallansia della conoscenza e in vario modo
questi personaggi, e con loro i lettori, percorrono fino in fondo il
loro cammino nel labirinto della biblioteca di Babele, ovvero nel
labirinto del mondo.
Sfuggito allecpirosi della biblioteca, Guglielmo smetter
di parlare della storia in cui ha visto trionfare e naufragare la sua
logica e verr inghiottito anni dopo dalla peste della met del
XIV secolo (cfr. R 500-501). La sorte dei tre giocherelloni del
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nel giorno prima e salvare cos lamata morente del suo romanzo; oppure, pensa pi realisticamente, per sospendere se stesso e
quindi Lilia ( lui il Demiurgo della storia e tutto dipende dalla
sua volont) fuori dal tempo, ritardando allinfinito la morte di
entrambi, finch, resi leggeri e volatili dal calore del sole, non si
fossero congiunti fondendosi nel vuoto cosmico sotto forma di
atomi (cfr. I 459-463): allora entrambi avrebbero continuato il
loro viaggio nel presente, dritti verso lastro che li attendeva,
pulviscolo datomi tra gli altri corpuscoli del cosmo, vortice tra i
vortici, ormai eterni come il mondo perch ricamati di vuoto (I
464). Baudolino e Simonini naufragano nel loro stesso castello
di menzogne. Il primo, ormai vecchio e deluso dallesperienza
di saggio stilita, mosso dalla convinzione che viaggiare ringiovanisce (B 524), parte cocciutamente alla volta del favoloso
regno del Prete Gianni (proprio lui, che con gli amici aveva redatto la falsa lettera del Prete Gianni a Federico Barbarossa: cfr.
B 139-151), per dare un senso alla propria vita mantenendo la
promessa fatta al buon padre Federico e per ritrovare la donna-capra Ipazia e la creatura avuta da lei (cfr. B 523). Il secondo,
frustrato per il fatto che il grande gioco dei Protocolli, la sua
creatura migliore di falsario dopo una vita da Demiurgo della
Storia, fosse passato nelle mani dei russi, pensa che il modo migliore di riempire il vuoto della sua vita al tramonto (Guardo la
vita degli altri per passare il tempo, C 505) sia quello di accettare la proposta di Rachkovskij di far esplodere una bomba negli
scavi per la metropolitana di Parigi, unazione dimostrativa che
suoni come una minaccia e una conferma (C 507) delle falsit
!166
contenute nei Protocolli (in cui tra laltro si legge che una parte
del piano di dominio degli ebrei prevede di far saltare le grandi
citt minando le metropolitane). Tutto lascia pensare che Simonini non torner da quella missione: il diario si interrompe con
un E che diamine, non sono ancora un rammollito (C 512)
che, scritto da un bugiardo di professione, per giunta imbottito
di cocaina e cognac, suona come involontariamente falso. E
inoltre c il sospetto che Gaviali, avendo validissimi motivi per
servirgli una bella vendetta su un piatto freddo, con le sue meticolose istruzioni su come preparare una bomba a orologeria sicura per lattentatore (cfr. C 511-512) gli abbia in realt fornito
la ricetta per la bomba del perfetto attentatore suicida.75
Ma sul peculiare naufragio di Yambo che vorrei attirare maggiormente lattenzione, perch esso riassume meglio
quello che abbiamo cercato di mostrare sin qui sulla base di una
suggestione fornitaci da Adso, in quanto, essendo un libraio antiquario condannato a sforzarsi di leggere nella propria memoria
(popolata di libri, compresi quelli seducenti della cattiva letteratura, L 443) per riconquistarne le parti perdute a causa di un
75
Si noti che lautore di Opera aperta sempre ambiguo con precisione nel
finale dei suoi romanzi. In una ipotetica caduta nella serialit, infatti, non
sarebbe impossibile ritrovare un Guglielmo scampato dalla peste, un Casaubon non trovato (o mai cercato) dai sicari, un Roberto recuperato da una
provvida nave di passaggio, un Baudolino che, resosi conto della inutilit del
suo ultimo viaggio, se ne torni a Costantinopoli e infine ad Alessandria, uno
Yambo che si risvegli improvvisamente dal coma e un Simonini che torni
vivo dal suo attentato nel sottosuolo di Parigi.
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mai appurato che anche il Colonna partecip alle spese editoriali), si rivolge a Guidobaldo da Montefeltro, Duca di Urbino,
pregandolo di farsi eleggere protettore del libro, in modo che
esso possa circolare in suo nome, e fungere cos presso i lettori
da vero e proprio marchio di garanzia. Ma interessante (e rivelatore) il modo in cui Leonardo Crasso delinea la natura del libro, ovvero la strategia testuale messa in atto dallautore, perch le stesse parole potrebbero essere applicate al romanzo di
Eco:
Questuomo sapientissimo (...) si regol in modo che non solo chi fosse dottissimo potesse penetrare nel sacrario della sua sapienza, ma anche lignorante, pur non potendovi entrare, comunque non cadesse in disperazione. Ne
consegue che se anche alcune cose, per loro natura, fossero difficili, sono
comunque esposte e svelate in una prosa piacevole e con una certa grazia e,
come un giardino disseminato di ogni genere di fiori, sono dischiuse e messe
dinanzi agli occhi con immagini e simboli (HP 1998: 6).
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cezionalit, valore di emblema allusivo: sono infatti solo Diodoro 5, 77 ed Esichio () a tramandare che il pi antico luogo di
culto di Afrodite era nella citt cretese. E come se non bastasse,
in una lettera di un certo Matteo Visconti, prima stampata e poi
espunta dal paratesto ufficiale di HP (ma sopravvissuta in un
solo esemplare, quello ora conservato nella Staatsbibliothek di
Berlino), si affermava che il Colonna era stato in sinu Veneris
educatum.
Tutto questo modo sibillino di introdurre il lettore alliniziazione di Polifilo e Polia al culto di Venere, che poi la fabula misteriosofica di HP, indubbiamente evocato, seppure in
maniera ironica e quasi parodistica, nel romanzo di Eco, che
fondamentalmente la storia quasi-onirica della ricerca (fallita),
tra indizi evocativi e sibillini, di un amore perduto: Sibilla, appunto.
Nel tentativo di scoprire una relazione triangolare pi
sotterranea tra Polia (la donna amata da Polifilo), Paola e Lila
(rispettivamente la moglie e la Beatrice di Yambo: cfr. L 285),
evocando il demone combinatorio che possiede senza dubbio sia
il Colonna che Eco, ho anagrammato Lila + Paola e ho trovato
che una delle permutazioni Alla Polia, che sembra proprio
un omaggio occulto alla Beatrice di HP. Ed forse meno superfluo sottolineare che, cos come la Loana del fumetto in
grado di risuscitare i morti con la sua misteriosa fiamma, ragion per cui alla fine del romanzo Yambo la invoca per ottenere
di poter almeno trarre dalloblio ed evocare nel ricordo il volto
di Lila, allo stesso modo Polia, nel capitolo XXIX, in grado di
!175
ridare la vita al morto Polifilo coprendolo di lacrime e abbracciandolo: piangendo, et illachrymando, et amplexabunda, ello
suscita (p. 417 delledizione aldina del 1499). Ma chiaro che
qui bisogna andar cauti, altrimenti si cade in quellossessione
ermetica di cui si parla nel 3.1.3 di Eco 1990, allorch, confondendo luso allegro di un testo con la sua interpretazione seria, si va alla ricerca di improbabili messaggi nascosti, come
aveva fatto quel suo studente che si era messo ad esaminare tutte
le poesie di Leopardi cercandovi acrostici disseminati della parola malinconia81 .
Seguendo ancora il commento di Ariani e Gabriele ad HP
(in particolare la nota 13 alla p. 12, la nota 14 alla p. 19 e la nota
9 alla p. 396), possibile ravvisare inoltre una notevole simmetria strutturale tra le due opere.
HP ha una partizione esterna in due libri: il primo copre i
capp. I-XXIV (pp. 11-379) e il secondo i capp. XXV-XXXVIII
(pp. 381-465). Ma sul piano interno, ovvero strettamente simbolico-narrativo, la vera suddivisione in tre parti, nelle quali il
Colonna segue fedelmente lonirologia classica, e in particolare
i Commentarii in Somnium Scipionis di Macrobio e varie altre
suggestioni mistico-oniromantiche di matrice neoplatonica (ma
in una scansione onirica ascensiva senza precedenti, in cui un
lungo sogno incastonato in un altro sogno):
81
Ed curioso osservare che in questo contesto Eco inser una parentesi sullacrostico formato dai capitoli di HP, parentesi che assente dalla Tanner
Lecture del 1990 di cui il paragrafo citato una rielaborazione: cfr. Eco
1990: 113 ed Eco 1995: 86-87.
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1) Parte prima, pp. 11-19: Polifilo racconta in prima persona che, giacendo sopra el lectulo della sua conscia
camera familiare (p. 12), dopo una notte insonne a causa di tormenti amorosi, alle prime luci del giorno si addormenta di un sonno leggero e agitato e sogna di trovarsi prima in unampia pianura (Ad me parve de essere in
una spatiosa planitie, pp. 12-13) e poi in una dantesca e
paurosa selva oscura (Et cus dirrimpecto da una folta
silva ridrizai el mio ignorato viagio, p. 13).
2) Parte seconda, pp. 20-379: uscito dalla spaventevole
silva (p. 20), Polifilo trova riparo e ristoro sotto de una
ruvida & veterrima quercia (p. 19), e, giacendo sul
fianco sinistro, si addormenta profondamente e nel sogno
sogna di trovarsi in una valle amena, nella quale, attraverso visioni mirabolanti (una piramide sovrastata da un
obelisco, un cavallo, un colosso disteso, un elefante, una
magnifica porta, un drago, il regno di Euterillide, ninfe,
fontane, danze che animano partite a scacchi, templi,
ecc.), d il via al suo vero e proprio itinerarium mentis,
fino allunio mystica con Polia.
3) Parte terza, da pag. 381 alla fine (= secondo libro): Polia
e Polifilo, alternandosi, narrano, in maniera genealogicovisionaria, la storia del loro innamoramento tra morti e
resurrezioni. Come nota Gabriele, il secondo libro ()
se da un punto di vista compositivo letteralmente ancora compreso nel somnium, contiene di fatto lacme psico-
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che coi suoi illuminosi splendori [p. 465] viene a scacciare la notte e il bel sogno, e lavido sole nero che appare a Yambo al termine della visio).
Va ricordato, da ultimo, che quando riacquista la memoria e cerca di capire lo stato in cui si trova (coma? sogno? cervello in una vasca? ecc.), Yambo riprende il tema del sogno nel
sogno (proprio di HP, appunto), ma solo per usarlo filosoficamente come argomento contro la possibilit di essere in un sogno, in un passo che ironicamente, dallinterno di unopera letteraria, rivendica uno statuto di realt in opposizione alle controfattuali fantasie letterarie: Forse sono, s, in coma, ma nel coma
non ricordo, sogno. So di certi sogni in cui si ha limpressione di
ricordare, e si crede che quel che si ricorda sia vero, poi ci si
sveglia e si deve concludere, a malincuore, che quei ricordi non
erano nostri. Sogniamo falsi ricordi. () Per mi mai accaduto, in un sogno, di sognare un altro sogno, come starei facendo
ora? Ecco la prova che non sogno. E poi, nei sogni i ricordi sono
sfocati, imprecisi, mentre io ricordo ora pagina per pagina, immagine per immagine, tutto quello che ho sfogliato a Solara negli ultimi due mesi. Ricordo cose realmente accadute (L 413).
Finch, giunto ormai in limine visionis, Yambo si chiede se sia
possibile sognare di dormire, riagganciandosi cos ancora una
volta, seppure in maniera scettica, alla situazione di Polifilo (cfr.
HP, pp. 19-20): ho certamente veduto, ma la prima parte della
mia visione stata cos accecante che come se dopo fossi ripiombato in un sonno nebbioso. Non so se in un sogno si possa
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CONCLUSIONE
Mosso da unidea seminale, quella di avvelenare un monaco mentre legge un libro in una biblioteca, come egli stesso ha
raccontato gi nelle Postille82, Eco cominci a scrivere il Nome
della rosa nel marzo del 1978. La premessa al romanzo porta in
calce la data del 5 gennaio 1980, che il giorno del suo quarantottesimo compleanno. Vista la fortuna planetaria che arrise alla
sua prima opera narrativa, Eco svilupp una sorta di rito superstizioso che lo portava a imporsi di terminare la stesura definitiva di quasi tutti i suoi romanzi successivi il giorno del suo compleanno (si veda Eco 2002: 353). Il nome della rosa, dunque, nel
2010 ha compiuto trentanni e vale la pena fargli un piccolo
check-up per appurare il suo stato di salute dal punto di vista di
quello che ha ancora da dirci sugli anni che stiamo vivendo.
Per fare ci, si pu partire dalla definizione di effetto
poetico che Eco stesso fornisce nelle Postille: esso la capa82
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Questo pur rimanendo vero che, in prima istanza, per il semiologo Eco i
testi letterari sono unorganizzazione di significanti che, anzich servire a
designare un oggetto, designano istruzioni per la produzione di un significato (Eco 1990: 21). E poich il mondo e lEnciclopedia mutano, ecco che nel
corso del tempo linterpretazione di un testo si arricchisce di effetti di senso
sempre nuovi e diversi, purch non cada in un suo uso sconsiderato e aberrante (cfr. Eco 1990: 32-33).
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sapete tutto degli eretici, tanto da sembrare uno di loro, dove sta
la verit?. E quando Guglielmo riconosce tristemente che talora la verit non sta da nessuna parte, Abbone spiega la sua regola semplicistica, tipica di chi sta sempre dalla parte del pi
forte e ignora le sfumature della realt. Chiunque turbi lordine
su cui si regge il popolo di Dio un eretico e chiunque garantisca questordine (sia esso il papa o limperatore) va difeso e sostenuto; e siccome tutta lerba ereticale costituisce un fascio, va
falciata alla cieca, perch tanto, poi, Dio riconoscer i suoi,
come disse Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux, prima della
strage, ad opera dei crociati da lui guidati, dei cittadini di Bziers, sospettati di essere tutti dei catari (luglio 1209): Guglielmo abbass gli occhi e stette alquanto in silenzio. Poi disse:
La citt di Bziers fu presa e i nostri non guardarono n a dignit n a sesso n a et e quasi ventimila uomini morirono di
spada. Fatta cos la strage, la citt fu saccheggiata e arsa. Anche una guerra santa una guerra. Anche una guerra santa
una guerra. Per questo forse non dovrebbero esserci guerre sante. Ma cosa dico, sono qui a sostenere i diritti di Ludovico, che
pure sta mettendo a fuoco lItalia. Mi trovo anchio preso in un
gioco di strane alleanze. Strana lalleanza degli spirituali con
limpero, strana quella dellimpero con Marsilio, che chiede la
sovranit per il popolo. E strana quella tra noi due, cos diversi
per propositi e tradizione. E non un caso che la frase di Arnaldo Amalrico torni in mente a Simonini quando questi capisce
che, grazie ai suoi falsi Protocolli, i russi, cui li aveva consegnati, sarebbero stati finalmente in grado di pervenire alla soluzio-
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Venendo allItalia in particolare, certe pagine del romanzo risultano pi attuali oggi che quando furono scritte. Alla fine
degli anni Settanta lItalia usciva da una stagione di grandi conquiste laiche in materia di diritti civili (si pensi allaborto e al
divorzio) e quindi certi passi anticlericali del romanzo potevano
benissimo essere letti come esclusivamente circoscritti allo stesso dibattito medievale. Si consideri, per esempio, il seguente
passo, in cui Guglielmo, un francescano inglese amico di Marsilio da Padova e Guglielmo di Occam, cio due acerrimi nemici
delle pretese temporaliste della Chiesa, critica quella che Gramsci chiamava la religiosit lazzaronesca del cattolicesimo allitaliana84: Io non vorrei essere ingiusto con la gente di questo
paese in cui vivo da alcuni anni, ma mi sembra che sia tipico
della poca virt delle popolazioni italiane non peccare per paura
di qualche idolo, per quanto lo chiamino col nome di un santo.
Hanno pi paura di san Sebastiano o santAntonio che di Cristo.
Se uno vuol conservare pulito un posto, qui, perch non ci si pisci, come fanno gli italiani alla maniera dei cani, ci dipingi sopra
unimmagine di santAntonio con la punta di legno, e questa
scaccer quelli che stan per pisciare. Cos gli italiani, e per opera
dei loro predicatori, rischiano di tornare alle antiche superstizioni e non credono pi alla resurrezione della carne, hanno solo
una gran paura delle ferite corporali e delle disgrazie, e perci
han pi paura di santAntonio che di Cristo (R 127). Ebbene,
oggi un passo del genere produce tutto un altro effetto di senso
84
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in un Paese regredito a forme di culto idolatriche e miracolistiche e tenuto sotto libert vigilata da una classe politica che
prende ordini dal Capo di una teocrazia estera e dalla Cei e di
conseguenza si guarda bene dal varare leggi sgradite alle fobie
paranoiche degli anziani custodi del Vaticano, che scimmiottano
quelli immaginati dal Platone delle Leggi. Si pensi al successo
di Padre Pio o alle storie di madonne piangenti, per non parlare
della suscettibilit politicamente trasversale nei confronti della
statuetta del crocifisso, anche quando la sua ingiustificata onnipresenza nei luoghi pubblici censurata persino dalla Corte europea di Strasburgo per i diritti delluomo, come si visto ai
primi di novembre del 2009 (e su questa polemica intervenuto
il 13 novembre lo stesso Eco su LEspresso con una Bustina
di Minerva dal titolo Il crocefisso: un simbolo quasi laico, sostenendo ironicamente una tesi un po salomonica e proponendo,
pro bono pacis, lesposizione nelle scuole di una croce nuda e
cruda, cio senza il crocifisso).
Pensiamo infine alla rete, che allepoca delluscita del
romanzo era immaginabile con lo stesso grado di plausibilit
con cui lo era limpero galattico sognato da Asimov. Ebbene, la
biblioteca inizialmente definita dallabate Abbone con queste
parole: La biblioteca si difende da sola, insondabile come la
verit che ospita, ingannevole come la menzogna che custodisce. Labirinto spirituale, anche labirinto terreno (R 46); pi
avanti Jorge aggiunge: La biblioteca testimonianza della verit e dellerrore (R 136), finch Guglielmo, di fronte alla sua
ecpirosi, lamenta: Era la pi grande biblioteca della cristianit
!190
85
Non sar superfluo sottolineare che molte delle reliquie storiche elencate in
Eco 2009: 173-177 sono esattamente quelle gi collocate nella finzione dentro la cripta del tesoro dellabbazia (cfr. R 425-427).
!191
Tant vero che Eco 2009 si conclude con una rivisitadella vertiginosa lista creata dallautore della Biblioteca
di Babele nel saggio Lidioma analitico di John Wilkins di Altre inquisizioni87. Borges immagina unenciclopedia cinese intitolata Emporio celeste di conoscimenti benevoli in cui gli animali vengono classificati nel modo seguente: (a) appartenenti
allimperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli,
(e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa
classificazione, (i) che sagitano come pazzi, (j) innumerevoli,
(k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l)
eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche88 . Eco commenta (cfr. pp. 395-396) che se qui il
lettore ingenuo perde la testa a causa di una classificazione palesemente assurda, il lettore esperto di logica nota lanalogia con
lantinomia, scoperta da Russell, dellinsieme degli insiemi
normali (cio che non contengono s stessi tra i propri
elementi): se infatti ci si chiede se tale insieme di insiemi normali sia normale o non normale, si cade in un paradosso senza
uscita, e lascio al lettore il compito di rendersene conto da solo,
tenendo presente che per insieme non normale si intende un insieme che contiene se stesso tra i propri elementi, come linsizione86
86
!192
89
Ci sono molti altri esempi di cosiddetti oggetti impossibili noti ai matematici e agli psicologi. Lo stesso Eco ne discuteva uno molto conosciuto,
nella sua lezione-passeggiata dedicata ai mondi possibili della narrativa, in
Eco 1994: 100-101.
90 E pazienza se nel 1983 ad Eco sembrassero Kitsch e tali che ciascuno, per
via della loro vaghezza pseudo-filosofica, pu vedervi le allegorie che vuole
(cfr. Eco 1983: 212).
!193
APPENDICE 1
Una prima versione di questo testo apparsa sul Corriere di Gela del 26
gennaio 2007; una versione pi ampia, quasi identica alla presente, era stata
postata su Sitosophia, il sito degli studenti di filosofia dellUniversit di Catania (http://www.sitosophia.org/forum/viewtopic.php?p=588)
!194
92
Trainito 2002.
!195
Trainito 2004.
!196
94
Cfr. anche Eco 2007b: 522-523, in cui si ribadisce la fonte popperiana dellidea centrale di Eco 1990.
!197
Nella sua lunga risposta, Eco ha fatto altre due interessanti considerazioni su Popper, pur ammettendo francamente di
non essere un frequentatore assiduo delle sue opere95.
1) A suo parere, Popper ha dimenticato di riconoscere il
debito con Peirce per la sua concezione del carattere ipoteticodeduttivo delle teorie scientifiche, visto che essa non altro che
una versione della teoria peirceana dellabduzione, cio della
congettura, contrapposta alla semplice induzione e alla semplice
deduzione (com noto, per Eco anche il metodo investigativo di
Sherlock Holmes e di altri suoi emuli, nonch le pseudo storie di
detection di Borges, sono inconsapevoli esemplificazioni dellabduzione di Peirce). Inoltre, secondo Eco, Popper si limitato
a menzionare Peirce solo in relazione al suo fallibilismo. E in
effetti, Popper stesso riconobbe di aver preso da Perirce il termine fallibilismo, ma aggiunse anche che lidea molto pi antica, non essendo altro che una riedizione del socratico So di
non sapere.96 Analogamente, per quanto riguarda labduzione,
Popper avrebbe senza dubbio obiettato che se Peirce ha il merito
di aver introdotto il nome, la cosa molto pi antica ed riconducibile alle speculazioni ipotetico-deduttive dei Presocratici
95
Altri due riferimenti non banali a Popper, uno allultimo capitolo di Popper
1945 e uno al 29 di Popper 1944-1945, entrambi relativi a punti ben precisi
della teoria popperiana della logica delle scienze sociali, si trovano nel saggio
Segni, pesci e bottoni. Appunti su semiotica, filosofia e scienze umane, incluso in Eco 1985, ma si ha la fondata impressione che in questo caso si tratti di
citazioni di seconda mano tratte da un testo di Marco Santambrogio (cfr Eco
1985: 319, 322, 323 e 333).
96 Cfr. Popper 1979: XXI.
!198
!199
della cospirazione, cio lidea secondo cui dietro certi fenomeni sociali c un regista occulto, unico e intenzionale. Gi Omero spiegava quello che accadeva a Troia per mezzo di complotti
orditi nellOlimpo dagli di, e un esempio classico nel XX secolo sono i cosiddetti Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un falso
documento che illustrava un complotto sionista per la conquista
dellOccidente e che godette di ampio credito presso gli ambienti antisemiti europei, e soprattutto presso Hitler e Mussolini99 .
Per inciso, la critica di Popper alla teoria sociale della cospirazione, contenuta gi ne La societ aperta e i suoi nemici (in
particolare nel capitolo XIV), al centro della sua metodologia
delle scienze sociali, basata sullanalisi delle conseguenze sociali non intenzionali delle azioni umane intenzionali, e della sua
filosofia della politica, basata sulla difesa della democrazia dalle
tentazioni autoritarie dei nemici della societ aperta, non a caso
ossessionati dalle cospirazioni altrui e quindi pronti a complottare contro la libert. Come ha mostrato Eco nello scritto citato di
A passo di gambero e in altri contenuti nella stessa raccolta, in
Italia Mussolini stato un tipico seguace della teoria della cospirazione, e in altre forme essa oggi allopera nellossessione
berlusconiana del complotto delle toghe rosse o pi in genera99
In effetti, uno stesso ampio passo su questo tema, tratto dal quarto capitolo
di Popper 1963, citato da Eco con leggere differenze in Eco 1990: 50, verso
la fine del saggio La forza del falso (in Eco 2002: 320) e nella conferenza del
2004 intitolata Il lupo e lagnello. Retorica della prevaricazione, ora in Eco
2006 (cfr. p. 49); e alcune righe del medesimo passo di Popper sono riportate
in testa al cap. 118 del Pendolo.
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libri usano per parlare una gallina lartificio che un uovo usa
per produrre un altro uovo) si conoscano lun laltro. Il fatto
che molti dei racconti di Borges sembrano esemplificazioni perfette di quellarte dellinferenza che Peirce chiamava abduzione
o ipotesi, e che altro non che la congettura (in Eco 1985:165166).
Ora, quando lavoravo al mio saggio su Loana e mi interrogavo sul mistero di Lila, la ragazza amata dal protagonista
Yambo, mi sono imbattuto in un problema analogo. C infatti
un romanzo di Robert Pirsig, uscito nel 1991 (cio nello stesso
anno in cui si svolge il romanzo di Eco), che si intitola proprio
Lila e che per giunta contiene sorprendenti analogie con il romanzo di Eco. Allora mi sono chiesto se Eco conoscesse questopera dellautore del celebre Lo Zen e larte della manutenzione della motocicletta, e sono giunto a una conclusione ipotetica, cio basata su unabduzione peirceana: Il minimo che si
possa dire che saremmo di fronte a una coincidenza singolare
se Eco avesse costruito la sua Lila ignorando Lila di Pirsig. Nelle opere di Eco successive al 1991 non si trova (mi pare) alcun
accenno a questo romanzo. Ma in un articolo apparso su LEspresso del 22 maggio 1983, La moltiplicazione dei media,
poi incluso in Sette anni di desiderio, si trova un cenno esplicito
a Lo Zen e larte della manutenzione della motocicletta: non
molto, certo (il primo romanzo di Pirsig stato un cult negli
anni Settanta e oltre, e non poteva sfuggire allattenzione di uno
studioso della cultura di massa come lui), ma basta per dire che
Eco conosce abbastanza bene almeno il primo Pirsig. Io sono
!202
!203
era falsa. Ma questo fatto rende le coincidenze ancora pi sorprendenti, perch come se si fosse realizzato davvero quello
che nel passo di Eco su Borges e Peirce, citato sopra, era presentato sotto forma di ironico paradosso: cos come le galline possono essere considerate artifici creati dalle uova per produrre
altre uova, allo stesso modo gli scrittori (e anche i lettori) possono essere considerati come degli artifici che i libri creano per
parlare tra di loro100 .
100
Su questo si vedano anche Eco 1990: 114-122 e Eco 1995: 87-100, dove
vengono discussi casi analoghi di citazioni involontarie ravvisate dai lettori
del Nome della rosa e del Pendolo di Foucault.
!204
APPENDICE 2
Poich Il pendolo di Foucault resta il romanzo pi ampio, articolato e impervio di Umberto Eco, e poich neppure
lindice consente di farsi unidea dei contenuti, si ritenuto opportuno approntare il seguente sommario analitico, che pu tornare utile come strumento di consultazione (viceversa, R contiene un indice dei sottotitoli che riassumono il contenuto dei singoli capitoli, C contiene unappendice con una tabella dei rapporti, capitolo per capitolo, tra livello dellintreccio e livello della fabula, mentre gli indici di I, L e soprattutto B danno, almeno
per sommi capi, indicazioni sui contenuti). I numeri a sinistra
indicano le parti (10) e i capitoli (120).
1. Keter
[1-2]
Notte tra il 25 e il 26 giugno 1984. Da una casa in collina Casaubon racconta che alle quattro del pomeriggio del 23 giugno
si trovava di fronte al Pendolo di Foucault, al Conservatoire
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[4-6]
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3. Binah
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[9]
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[11]
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[13-14]
[15]
Fine 1972. Ritorno al primo incontro con Belbo, il quale espone a Casaubon la sua personale teoria della differenza tra cretini, imbecilli, stupidi e matti. Questi ultimi, in particolare, sono
degli stupidi ignari dei paralogismi (in cui gli stupidi puri eccellono), procedono per cortocircuiti mentali, per loro tutto
dimostra la loro idea fissa e prima o poi tirano fuori i Templari.
Questo riferimento spinge Belbo a chiedere a Casaubon se vuole dare unocchiata a un dattiloscritto sui Templari lasciato due
giorni prima da un tizio alla casa editrice Garamond, per la
quale egli lavora come redattore.
Casaubon capisce che Belbo soffre la sua condizione lavorativa
di redattore e scrittore per interposta persona e si cimenta in
prove narrative nelle quali punisce il suo desiderio della creazione letteraria, perch pensa di non averne diritto.
FILENAME: Jim della Canapa. Belbo si vede come un redattore editoriale demiurgo che dirige il lavoro altrui come un
autore incognito e d suggerimenti persino a Shakespeare sullambientazione e la struttura dellAmleto. Poi immagina di
essere un autore tradito da una donna che per il dolore si imbarca sul Titanic e fa naufragio nei mari del sud, finch mette
radici su unisola abitata da papuasi, coltiva la canapa e diventa Jim della Canapa per i nativi, mentre per i commercianti
occidentali Kurtz. Tornato dopo 18 anni, scopre di essere il
Grande Poeta Scomparso letto da tutti, rivede la sua donna ma
non le parla e osserva come un Dio le sue creature, per esempio Shakespeare, diventate famose.
Il giorno dopo. Casaubon va alla Garamond rispondendo allinvito di Belbo, vi incontra anche Diotallevi e viene agganciato dai due per le sue conoscenze sui Templari e per il suo
acume logico.
Dopo cena, da Pilade, Casaubon racconta a Belbo e Diotallevi
lorigine dei Templari e le varie fasi della loro storia, fino al
processo (1118-1314).
Inizio del 1973. Tempo dopo Casaubon incontra Belbo e una
donna, Sandra, a un corteo antifascista a Milano e insieme fuggono davanti alla carica della polizia. Belbo rievoca altre fughe: nel 43 la sua famiglia viene sfollata e si trasferiscono a
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[16]
[16-20]
[21-22]
4. Hesed
[22-25]
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[31]
[32]
[33]
4. Geburah
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[34]
[35]
[36]
[37-39]
1979-1981. Casaubon ritorna nellItalia confusa del dopo delitto-Moro, quando si mitizza il Desiderio, la sinistra si ispira a
Nietzsche e Cline e la destra celebra le rivoluzioni del Terzo
Mondo. Al bar Pilade Belbo contempla Lorenza Pellegrini
mentre gioca al vecchio flipper e se ne innamora, sentendo la
macchina come metafora del corpo cosmico e avvertendo oscuramente nella ragazza come una promessa del Pendolo.
FILENAME: Flipper. Larte di giocare a flipper richiede un
pube femminile per esprimersi al meglio perch si tratta di una
sorta di interazione erotica tra lessere umano e la macchina.
Casaubon si inventa un lavoro aprendo unagenzia di informazioni culturali, come una sorta di investigatore privato del sapere enciclopedico.
16 luglio 1981. Casaubon incontra in biblioteca Lia, che lavora
rivedendo voci di enciclopedia. Dopo una cena che dura oltre
la mezzanotte, lei lo chiama Pim dal suo gesto e verso di
spararle simulando la pistola col pollice e lindice.
Fine 1981. Casaubon, che andato a vivere da Lia, incontra di
nuovo Belbo, il quale un giorno gli offre un lavoro: la raccolta
in giro per archivi e biblioteche del materiale illustrativo per un
libro sulla storia dei metalli che unazienda siderurgica ha
commissionato alla Garamond.
Lo strano rapporto di Belbo con Lorenza Pellegrini, una donna
disinvolta. Entra in scena il dottor Wagner, psicoanalista lacaniano, decostruzionista, non cartesiano, sostanzialmente epicureo: la Garamond ha tradotto una sua raccolta di saggi minori e
con loccasione Belbo entra in contatto con lui.
FILENAME: Doktor Wagner. Un giorno Wagner psicoanalizza Belbo gratis e senza volerlo, facendo emergere il suo difficile rapporto con Lorenza, condivisa con un altro.
Casaubon accetta il lavoro propostogli dalla Garamond; Belbo
gli parla del Conservatoire e del Pendolo e lo presenta al padrone, che possiede anche la Manuzio, casa editrice APS
(Autori a Proprie Spese), che spenna polli vanitosi come il doganiere in pensione commendator De Gubernatis, poeta dilettante affamato di gloria.
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[41-42]
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6. Tiferet
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7. Nezah
[107-110]
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[111]
8. Hod
[112]
[113]
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[114-116]
il Pendolo che oscilla. Ma Madame Olcott, una delle druidesse della radura piemontese, ora a capo di un circo, a prendere
in mano la situazione facendo eseguire unevocazione di spiriti
(quello di Kelley, quello di Khunrath e quello del conte di san
Germano) ai suoi tre medium, i fratelli Fox. A quel punto Casaubon esce dal suo nascondiglio e si mescola tra la folla. I
fratelli Fox finiscono soffocati dai loro stessi demoni rigurgitati
come bava dalla bocca e la Olcott esce dal gioco, che passa
nelle mani del sanguinario Pierre, il quale esige il sacrificio
umano. I suoi uomini mettono Belbo sul tavolo e gli avvolgono
al collo il filo del Pendolo, mentre Agli fa un ultimo tentativo
di estorcergli il segreto con un discorso solenne e melodrammatico, interrotto dal Ma gavte la nata! (Ma togliti il tappo
dal culo!) sferzante e offensivo di Belbo. Succede il parapiglia: Agli batte la testa spinto dalla Olcott, Lorenza si risveglia
ma mentre si lancia su Belbo per liberarlo pugnalata a morte
da Pierre, qualcuno spinge Ardenti contro il tavolo e Belbo
finisce impiccato al filo del Pendolo, finalmente senza paura e
avendo riacquistato la percezione del ridicolo di tutta la situazione. Ripresa da una macchina fotografica di Maybridge la
macabra struttura oscillante ternaria costituita dalla testa di
Belbo, dal tronco di Belbo e dalla sfera del Pendolo simulerebbe lalbero delle sefirot, e quando il corpo di Belbo si ferma e il
Pendolo comincia a oscillargli sotto, egli si trasforma nel Punto
Fermo, nel Perno Fisso, riconciliandosi cos con lAssoluto
(nella sua casa di campagna, dir Casaubon nel capitolo successivo, cera la lettera di qualcuno, cui Belbo aveva chiesto
chiarimenti, in cui era spiegata la dinamica del Pendolo doppio).
Passando per il basamento della statua di Gramme, Casaubon
fugge attraverso le fogne di Parigi e riemerge negli scantinati
coi cessi di un bar malfamato orientale. Erra per le strade nella
notte parigina e si imbatte nei simboli da cui sta scappando:
una libreria rosacrociana, il Beaubourg, unaltra libreria occultistica, una di cose arcane, una alchemica, la Tour Saint-Jacques degli esperimenti di Pascal sul peso dellaria, il Bafometto
sul portale di Saint-Merri. Casaubon cerca confusamente qual-
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[117]
9. Jesod
[118]
cosa, vede la citt come una catacomba di percorsi preferenziali per iniziati, scorge un cane che gli ricorda Faust e Wagner (in
base al passo del Faust posto in epigrafe al capitolo 107), e
quindi capisce che sta cercando lo studio del dottor Wagner;
prende un taxi e d un indirizzo che sembra rivelarsi sbagliato
(avenue Elise Reclus), si incammina verso lalbergo e si ritrova quasi sotto la Tour Eiffel, lo strumento immondo del potere
dei Signori, che con la sua gelida minaccia e realt gli ricorda
la morte di Belbo e la verit del Piano. Casaubon fugge su un
taxi e va a dormire in albergo.
Due del pomeriggio del 24. Casaubon si risveglia in una domenica di disordini a Parigi causati dalle manifestazioni degli
studenti. Attraversando i cortei, torna al Conservatoire e trova
tutto in ordine, come se la notte prima non fosse successo nulla. La sera va a mangiare pesce in un ristorante e guardando
lacquario si ritrova circondato da segnature alchemiche e geroglifici ittici che rinviano ai Templari. Capisce di aver bisogno
della terapia della parola perch pensa che tutto possa essere
stato solo un incubo.
Lindomani mattina alle 9,30 riesce a fissare lappuntamento
con il dottor Wagner, il quale, dopo averlo ascoltato in silenzio,
lo congeda dandogli del pazzo, e uscendo si accorge che lo
studio proprio in avenue Elise Reclus. Alle undici si reca in
aeroporto, nellattesa telefona alla Garamond e da Gudrun apprende che Diotallevi morto alla mezzanotte di sabato e che
nessuno dei suoi amici, tranne un misterioso ebreo, era al suo
funerale svoltosi quella mattina.
Primo pomeriggio del 25. Sullaereo Casaubon ripensa agli
avvenimenti della notte al Conservatoire e si rende conto che il
Piano inventato esiste perch altri lo hanno realizzato, essendo
vissuti nella speranza di appartenervi; riflette sulla teoria del
complotto e sul suo reggersi su un segreto vuoto che d potere
a chi dichiara di possederlo, come era accaduto a Belbo prima
della fine, quando anche Agli lo implorava di rivelarglielo
allorecchio. Col loro gioco hanno scatenato la fame di piani
dei frustrati. Belbo ha rifiutato la salvezza che avrebbe potuto
!225
[119]
10. Malkut
[120]
ottenere mentendo perch sembrava aver raggiunto la saggezza, ovvero la coscienza che non v alcun segreto e che semplicemente qualcosa ha pi senso di qualcosaltro. Ma cosa? La
risposta di Lia Giulio, la vita nella sua semplice espressione
naturale. Allarrivo a Milano Casaubon si ritrova in tasca le
chiavi della casa in collina di Belbo e si ricorda (cfr. cap. 55)
dellarmadio segreto contenente gli scritti giovanili dellamico.
Vi giunge verso le sei del pomeriggio e comincia subito a
spulciare i vecchi testi di Belbo, finch non trova quello chiave, pi volte rimaneggiato negli anni. Cena alle dieci di sera
con salame e acqua e alle tre di notte del 26 medita ancora
sullultimo segreto di Belbo, come Sam Spade alla ricerca dellultima traccia.
Fine aprile del 1945, accade levento decisivo della vita di
Belbo. Ha tredici anni, si trova a San Davide, a pochi chilometri da *** , perch con la banda musicale comunale ha accompagnato il corteo funebre dei due partigiani caduti nellultimo
scontro con i fascisti. Poich il trombettista titolare si rifiuta,
Belbo si offre volontario ed ha cos loccasione di accompagnare da solo con la tromba lattenti e il riposo nel cimitero per
la sepoltura. Ma nel sole meridiano cui tiene puntata la tromba,
il piccolo Belbo prolunga allinfinito il do dellattenti ed
come se col filo del suono tenesse il sole fermo come un palloncino, legando cos la terra al Polo Mistico, allunico Punto
Fermo delluniverso, quello creato da lui in quellistante infinito col suo soffio. Di questo brevissimo momento di verit e
trionfo, la successiva ricerca del Pendolo sarebbe stata per Belbo solo limmagine ossessiva, il simulacro di un momento reale, rimosso e sempre cercato inconsciamente.
Notte alta del 26 giugno 1984. Casaubon combattuto tra la
pace e linquietudine di aver capito. La saggezza arriva allultimo momento e dice che non c niente da capire. Non c
Piano, non c arguzia interpretativa di fronte alla saggezza del
Regno di Malkut (la Terra) e di Lia che d la vita, se non dopo,
per spiegare linnocenza dei dinosauri che un tempo pascolavano in quel luogo e le pesche che vi crescono adesso. Ma chi
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