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2011 & 2014 MARCO TRAINITO

PRIMA EDIZIONE:
IL PRATO - COLLANA I CENTOTALLERI
PADOVA 2011
EDIZIONE IN FORMATO EBOOK:
2014

MARCO TRAINITO

Umberto Eco:
Odissea nella Biblioteca di Babele
Con unintervista dellautore a Umberto Eco

INDICE
Avvertenza
Premessa
Introduzione
TRA NARRATIVA E FILOSOFIA DEL SEGNO
Capitolo 1
BENVENUTI A BLITIRIA
Capitolo 2
SFIDA AL LABIRINTO
Capitolo 3
LINIZIAZIONE DEL LETTORE
Conclusione
CHECK-UP PER UN COMPLEANNO
Appendice 1
DIALOGO CON UMBERTO ECO
Appendice 2
SOMMARIO ANALITICO DEL PENDOLO DI FOUCAULT
Riferimenti bibliografici

Come mai la filosofia una costruzione cos


complicata? Certo che se fosse quella cosa
ultima, indipendente da ogni esperienza, per la
quale vuoi farla passare, dovrebbe essere assolutamente semplice. La filosofia scioglie i
nodi del nostro pensiero, perci il suo risultato
deve essere semplice, ma la sua attivit deve
essere tanto complicata quanto i nodi che scioglie.
(Ludwig Wittgenstein, Big Typescript, XII,
90.1, tr. it. Einaudi 2002, p. 421)
Tra poco sarai () un nome o neppure un
nome. E il nome non che rumore o uneco.
(Marco Aurelio, I ricordi, tr. it. Einaudi 1968,
V, 33)

AVVERTENZA

Per comodit, soprattutto nei riferimenti bibliografici si ritenuto


opportuno indicare i romanzi di Eco con una sigla semplice e intuitiva, secondo la seguente corrispondenza:
R : Il nome della rosa (Bompiani, Milano 1980)
P : Il pendolo di Foucault (Bompiani, Milano 1988)
I : Lisola del giorno prima (Bompiani, Milano 1994)
B : Baudolino (Bompiani, Milano 2000)
L : La misteriosa fiamma della regina Loana (Bompiani, Milano 2004)
C: Il cimitero di Praga (Bompiani, Milano 2010)
Il numero che segue la sigla indica quello della pagina secondo
limpaginazione della prima edizione (non sempre mantenuta nelle edizioni
tascabili). I numeri separati dal trattino indicano che il passo relativo sta a
cavallo tra le due pagine corrispondenti, mentre i numeri separati dalla virgola o dalla congiunzione e indicano passi diversi nelle diverse pagine corrispondenti, di solito accomunati da qualcosa. Per gli altri testi citati si adottato di solito il sistema Cognome data: pagina, il cui scioglimento si trova
nei Riferimenti bibliografici in fondo al volume. Per le opere straniere, la
data che segue il cognome dellautore indica quasi sempre quella della prima
edizione originale (qualche eccezione riguarda i classici della letteratura e
della filosofia), mentre il numero di pagina si riferisce alla traduzione italiana
indicata in bibliografia.

PREMESSA

Ogni atto di lettura una transazione difficile


fra la competenza del lettore (la conoscenza
del mondo condivisa dal lettore) e il tipo di
competenza che un dato testo postula per essere letto in maniera economica.
(Eco 1990: 110)

In un articolo apparso su LEspresso del 22 maggio


1983, intitolato La moltiplicazione dei media, Umberto Eco
esordiva descrivendo la delusione provata da lui e dai suoi amici
dopo aver rivisto in televisione 2001: Odissea nello spazio di
Stanley Kubrick. Eppure, riconosceva Eco, dallepoca della sua
uscita (1968) il film aveva lasciato nel ricordo ammirazione,
affetto e rispetto, perch aveva provocato stupore per le
straordinarie novit tecniche e figurative e per il suo respiro
metafisico (in Eco 1983: 212). Certo, linizio con le scimmie e
il dramma di HAL 9000 sono ancora grande cinema, diceva Eco,
ma le astronavi non-aerodinamiche sono ormai roba per giocattoli e risultano superate in verosimiglianza e complessit per
esempio da quelle di Guerre stellari, di cui pure costituiscono il
modello. Riflettendo sulle ragioni di questo effetto di delusione,
Eco osservava che esso dipende dalla natura dei mass-media, i

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quali, essendo legati pi alla realizzazione tecnica che allinvenzione, sono destinati ad essere migliorati dagli imitatori, contrariamente a quanto avviene nella grande arte, dove i pittori caravaggeschi non possono mai competere con Caravaggio e Carolina Invernizio non potr mai essere confusa con Balzac.
Chiss se Eco rimarrebbe deluso anche oggi che abbiamo
la possibilit di rivedere il film di Kubrick con un grado di risoluzione delle immagini e di nitidezza dei colori tale che il suo
impatto visivo risulta incommensurabile con quello prodotto
dagli schermi televisivi del 1983, bench naturalmente limpressione di antico della tecnologia, dei costumi e degli arredamenti sia ancora e pi che mai ineliminabile. Ma non questo
che qui ci interessa. Qui ci basta sapere che Eco ha subto il fascino di questo film, al punto che in altra occasione, per dire che
a volte il modo simbolico esibisce una sua logica ferrea, se pur
paranoide, e il simbolo duro, geometrico e pesante, non trova
di meglio che evocare il monolito nero in forma di levigatissimo
parallelepipedo che appare in 2001: Odissea nello spazio (cfr.
Eco 2002: 167).
Il presente saggio sullopera narrativa di Eco, condotto
ponendo Il nome della rosa al centro del gruppo dei sei romanzi
sia per ragioni di organizzazione formale sia perch a parere di
chi scrive esso resta la summa di tutta la produzione echiana,
intende usare il film di Kubrick come faro per illuminare un
aspetto preciso dellesperienza dei personaggi principali e dei
lettori di Eco. Chiamando Odissea nella Biblioteca di Babele
questa ipotesi di lettura, si intende proprio alludere a un approc-

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cio che, a partire dal viaggio conoscitivo di Ulisse, vede nella


biblioteca dellabbazia del Nome della rosa un modello possibile
della nozione di Enciclopedia tanto cara a Eco, nei cui romanzi,
che ne sono di volta in volta una simulazione in scala, personaggi e lettori si perdono, si specchiano e si conoscono come accade
nei corridoi eternamente ricorsivi della biblioteca borgesiana e
nello spazio kubrickiano. In tal modo, ciascuno dei romanzi di
Eco pu essere visto come unodissea a s, ma in qualche modo
legata alle altre: Il nome della rosa come unodissea nel labirinto
della biblioteca dellabbazia; Il pendolo di Foucault come unodissea oltre i limiti dellinterpretazione; Baudolino come unodissea nello spazio del Medioevo fantastico; Lisola del giorno
prima come unodissea nello spaziotempo barocco; La misteriosa fiamma della regina Loana come unodissea nella memoria
individuale e collettiva e infine Il cimitero di Praga come unodissea nelle imposture della storia europea moderna. La rete di
somiglianze di famiglia che tiene insieme i romanzi investe tutti
i livelli, dal semplice dettaglio alla struttura. Per fare subito
qualche esempio rapido, R e B condividono una buona porzione
della biblioteca medievale; B e I condividono il problema cognitivo del riconoscimento percettivo e della definizione dellignoto; I e C condividono il tema del doppio; L e C quello della perdita e del recupero della memoria; P e C hanno in comune molta
letteratura ermetica e complottista; P, I, B, L e C, con il loro movimento a spirale sullasse del tempo, condividono la forma serpentina (ma sempre variata) dellintreccio; R, P, I, B ed L giocano sul motivo del sogno e della ricerca dellamore perduto; R, P,

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I e C sono variazioni sulla tecnica del manoscritto ritrovato, ecc.


Inoltre, Belbo mostra di aver letto R, perch in P 27 e 328 ne
cita lincipit e lexplicit, mentre in L 23 e 215 Yambo mostra di
aver letto P, perch di nuovo ne cita lincipit e lexplicit. E il
pollice che doleva al vecchio Adso nel freddo dello scriptorium
(cfr. R 503), duole anche a Belbo (cfr. P 328), a Baudolino (cfr.
B 16) e a Simonini (cfr. C 47). Tutti, poi, anche se con gradazioni diverse, sono delle rappresentazioni narrative del problema
logico-filosofico, molto caro a Eco (cfr. Eco 2002: 292-323),
della forza del falso, nonch dei suoi risvolti socio-politici.
Come sanno i logici, il falso ha maggiore forza del vero, perch
dal falso segue anche il vero, mentre dal vero segue solo il vero
(ex falso sequitur quodlibet e ex vero nihil sequitur nisi verum
dicevano gi i medievali per sintetizzare quelli che oggi sono
ben noti teoremi del calcolo proposizionale relativi allimplicazione). Ci comporta che da premesse false possono essere dedotte validamente delle conseguenze vere: per esempio, se io
credo che oggi sia domenica, anche se di fatto marted, posso
validamente concludere che oggi non gioved, ed vero. Il
grave errore logico consiste nel credere poi che la conseguenza
(vera) costituisca una conferma della credenza (falsa) di partenza, mentre, dal punto di vista della pura forma logica, si tratta
solo di un token del type costituito da una riga dalla tavola di
verit delloperatore logico dellimplicazione, per cui si confonde la validit dello schema di inferenza con il valore di verit
degli enunciati in gioco (in questo quello dellantecedente). In
un tale bias cognitivo sono caduti anche alcuni grandi filosofi e

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vi cade persino un raffinato logico e detective come Guglielmo


da Baskerville. Figuriamoci, quindi, cosa accada alla gente comune (la cui credulit per esempio in materia di religione e
astrologia sfruttata in genere facendo leva proprio su questo
bias) e ai ciarlatani delloccultismo e dei complotti, come quelli
turlupinati dai protagonisti del Pendolo di Foucault, i quali a
loro volta rimarranno vittime del loro stesso scherzo; per non
parlare dei potenti, per natura potenzialmente dannosissimi, manipolati da abili falsari come Baudolino e Simone Simonini.
Lo stesso Eco usa spesso la metafora spaziale nelle sue
tante esposizioni della nozione di Enciclopedia. Non solo la biblioteca dellabbazia un labirinto, come vedremo, ma Lenciclopedia come Labirinto il titolo dellultima sezione de Lantiporfirio, e in Dallalbero al labirinto Eco ricorre a una suggestiva immagine planetaria: potremmo raffigurarci gli stati (e
strati) di quella che Putnam ha chiamato divisione sociale del
lavoro linguistico ipotizzando una sorta di sistema solare (Enciclopedia Massimale) dove moltissime Enciclopedie Specialistiche compiono orbite di grandezza diversa intorno a un nucleo
centrale (Enciclopedia Media), ma nel centro di quel nucleo dovremmo anche immaginare un brulicare di Enciclopedie Individuali che rappresentano in modo vario e imprevedibile le conoscenze enciclopediche di ciascun individuo (Eco 2007b: 77).
LEnciclopedia Massimale, inoltre, dominata dal principio
peirciano della interpretazione e quindi della semiosi
illimitata (Eco 1985: 356); in tal senso essa potenzialmente

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infinita (Eco 2007b: 55). E a questo punto inevitabile ricordare lincipit de La Biblioteca di Babele: Luniverso (che altri
chiama la Biblioteca) si compone dun numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali (in Borges 1984: 680).
interessante osservare, peraltro, che se qui si usa Kubrick per decifrare Eco, sarebbe possibile usare Eco per decifrare Kubrick. Anzi, per ricorrere al linguaggio della logica modale, si potrebbe dire che questa possibilit necessaria, semplicemente perch si gi realizzata almeno una volta. In un saggio di Omar Calabrese su Kubrick, intitolato I mondi possibili
in Kubrick. Ovvero: la poetica delle porte e stampato in Brunetta (a cura di) 1999: 33-44, viene fatto uso degli strumenti di analisi testuale proposti da Eco in Lector in fabula. In particolare,
esaminando alcuni momenti di film come 2001, Arancia meccanica, Barry Lyndon e Shining, il semiologo amico di Eco mette
in luce quelle strategie testuali (nel caso specifico relative alla
narrazione filmica) che innescano la generazione di mondi possibili, che a loro volta sono operazioni di gioco previsionale
costituite insieme con il testo. Il mondo possibile, insomma,
una specie di tappa della cooperazione narrativa fra autore e lettore, e succede che mentre il testo dispiega nel tempo la narrazione, vi siano dunque, contemporaneamente, una serie di ipotesi su come andranno a finire le azioni raccontate. Queste ipotesi
possono essere ipotesi dellautore, ipotesi, naturalmente, del lettore, e ipotesi anche dei personaggi. Il testo stesso, poi, oltre a
prevedere ci che pu essere previsto e ci che non lo pu essere, (...) si incaricher anche di rispondere alla domanda se quelle

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previsioni erano azzeccate oppure no (p. 35). E questa esattamente una delle pi classiche teorie di Eco del processo di interpretazione di un testo e di interazione tra lettore e opera.
Ecco perch le odissee illustrate nel presente saggio riguardano sia i personaggi di Eco che i suoi lettori. E si tratter di
naufragi non necessariamente o non sempre tragici. Anzi, per
dirla con i nostri poeti, bens vero che nel suo itinerario verso
Dio la mente umana destinata a naufraga di fronte allinesprimibile geometria della Trinit (o alla sua irrimediabile insensatezza, come diremmo oggi), ma tale naufragio pu anche rivelarsi dolce, e persino allegro, se si dei lupi di mare irresistibilmente spinti dalla sete di conoscenza e pronti dopo ogni caduta
o dopo ogni approdo a riprendere il viaggio.

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INTRODUZIONE

TRA NARRATIVA E FILOSOFIA DEL SEGNO

I
Una perplessit non di rado petulante e stucchevole sul
citazionismo sfrenato dellEco romanziere stata pi volte e da
pi parti sollevata con un certo fastidio per dire che in fondo
Eco non fa altro che sfruttare ed esibire le proprie sterminate
conoscenze enciclopediche per gettare fumo negli occhi del lettore e nascondere cos la propria incapacit creativa e poetica di
fare letteratura pura basata sullinvenzione di storie nuove. Tutto questo pu anche essere vero, ma il fatto che Eco, nei suoi
romanzi, non mai (del tutto) gratuito nel sommergere il lettore
con citazioni attinte da buona parte dello scibile umano. A ben
guardare, i suoi romanzi sono costruiti e concepiti in modo tale
da giustificare in qualche modo la complessa trama di riferimenti letterari e filosofici di cui sono intessuti, e questo un aspetto
da cui non possibile prescindere per una loro adeguata valutazione, altrimenti si rischia di rigettarli guidati inconsciamente

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dal ben noto meccanismo psicologico della volpe di fronte alluva che non pu raggiungere perch troppo alta.
Per capire come funziona la narrativa a pi livelli di fruizione di Eco, occorre innanzi tutto tenere presente che egli fondamentalmente non un romanziere puro, ma uno studioso di
semiotica, con tutte le sue ramificazioni nella semantica cognitiva, nella storia della cultura simbolica, nella filosofia del linguaggio, nei mass-media, nelle tecniche letterarie, nelle teorie
dellinterpretazione, ecc. In tal senso, in quanto teorico egli
cos addentro alle strategie stilistiche, retoriche, narrative e di
genere che stanno alla base della costruzione di un testo letterario che nei romanzi si diletta a metterle in atto con un atteggiamento ironico e ludico esplicitamente dichiarato. Non a caso, se
si va a guardare la produzione teorica coeva ai romanzi, si scopre che questi ultimi spesso non sono che il cantuccio ricreativo
e applicativo della prima. Ad esempio, allepoca del Nome della rosa Eco era molto interessato alla logica abduttiva (nel senso
di Peirce) che sta alla base delle detective stories (e del metodo
di Sherlock Holmes in particolare), come dimostra il saggio
Corna, zoccoli, scarpe: tre tipi di abduzione1, dove sono svelati
molti dei trucchi e delle citazioni del romanzo (ad esempio si
apprende che tutto lepisodio iniziale del cavallo Brunello ripreso da Zadig di Voltaire ed ri-narrato alla Conan Doyle). Le
stesse innumerevoli citazioni che fa Adso da Melk nel corso del1

Nato dalla fusione di due saggi pi brevi, uno del 1980 e uno del 1981, esso
usc originariamente in Eco e Sebeok (a cura di) 1983 e venne poi ristampato
come 4.3 di Eco 1990.

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la sua narrazione hanno una loro ragione, ad esempio, nel fatto


che egli un anziano monaco imbevuto di cultura medievale che
rievoca fatti avvenuti molti anni prima, e per un uomo di fede e
di dottrina del XIV secolo la realt passata e il vissuto personale
sono il risultato di ci che gli occhiali dellenciclopedia culturale del suo tempo gli permettono di vedere e capire (anche se,
nella finzione, Adso spiega alla fine che le sue memorie sono
costruite con i brandelli di pergamena salvatisi dal rogo della
biblioteca, che lui aveva recuperato molti anni prima allorch
era tornato, anni dopo i fatti narrati, tra le rovine dellabbazia:
cfr. R 501-502). Lo stesso Eco, riferendosi nella circostanza al
Pendolo di Foucault (ma il discorso vale per tutti gli altri romanzi), ha dichiarato che, laddove mette in bocca ai personaggi
molte citazioni letterarie, la funzione di queste citazioni di
mostrare lincapacit di questi personaggi di guardare al mondo
se non per interposta citazione (Eco 2003: 151). E cos, se deve
raccontare lepisodio del cavallo, poich lauctoritas medievale
sulle fattezze di un cavallo nobile Isidoro di Siviglia, ecco
che Adso usa le parole di questultimo (Etimologie, XII, I, 46)
direttamente in latino; se invece deve raccontare lestasi erotica
raggiunta nel tumultuoso accoppiamento con la ragazza, la sua
cultura di monaco non pu che fargli utilizzare il frasario dei
mistici, certa poesia erotica del XII secolo (O sidus clarum
puellarum), i Carmina Burana (Oh langueo) e soprattutto
i passi del Cantico dei Cantici (in particolare 6-7) sulla fanciulla
bella e terribile come un esercito schierato in battaglia (secondo
la ben nota analogia, sul piano psico-fisico, tra la visione mistica

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e lorgasmo). Non a caso, poi, anche al seicentesco padre Caspar


che istruisce Roberto de la Grive torner in mente quel passo del
Cantico allorch vorr connotare luccello color arancio dellIsola di Salomone, terribilis ut castrorum acies ordinata (I
258).
Naturalmente non c solo questo. Che dire, ad esempio,
delle molte citazioni anacronistiche (cio tratte da autori vissuti
dopo il XIV secolo)? Qui non si tratta solo di autocompiacimento narcisistico da erudito consumato: si tratta piuttosto di ammiccamenti intertestuali al lettore colto per suggerire di volta in
volta parallelismi tra le diverse epoche storiche basati sulla permanenza di certi atteggiamenti, idee o teorie. Sono famosi alcuni passi sui dolciniani che riecheggiano i proclami delle Brigate
Rosse (vi torneremo nella Conclusione). Oppure si pensi a
quando Adso, nel descrivere il bibliotecario Malachia dopo la
sua morte, usa una formula come vaso di coccio tra vasi di ferro (R 428), che una strizzatina docchio dellautore per indurre il lettore a non dimenticare che sta leggendo unopera che
deve molto alla lezione manzoniana, dalla tecnica narrativa del
romanzo storico basato sul manoscritto ritrovato al tema della
caccia agli untori di ogni epoca (streghe, eretici, ecc.). O ancora, si pensi allultima pagina dellUltimo Folio (R 503), laddove Adso cita in tedesco una definizione di Dio come sonoro
Nulla, che di Angelo Silesio, un mistico del XVII secolo.
Ma prendiamo il caso a mio parere pi affascinante, che
quello cui lo stesso Eco ha alluso nelle Postille quando ha
scritto: tutto quello che personaggi fittizi come Guglielmo di-

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cevano avrebbe dovuto esser stato detto a quellepoca. Non so


quanto sono stato fedele a questo proposito. Non credo di averlo
disatteso quando mascheravo citazioni di autori posteriori (come
Wittgenstein) facendole passare per citazioni dellepoca. In quei
casi sapevo benissimo che non erano i miei medievali a esser
moderni, caso mai erano i moderni a pensar medievale (R 532).
Verso la fine (Settimo giorno Notte), troviamo il seguente dialogo tra Guglielmo e Adso:
Non ho mai dubitato della verit dei segni, Adso, sono la sola cosa di cui luomo
dispone per orientarsi nel mondo. Ci che non ho capito stata la relazione tra i segni.
() Dove sta tutta la mia saggezza? Mi sono comportato da ostinato, inseguendo una
parvenza di ordine, quando dovevo sapere bene che non vi un ordine nelluniverso.
Ma immaginando degli ordini errati avete pur trovato qualcosa
Hai detto una cosa molto bella, Adso, ti ringrazio. Lordine che la nostra mente
immagina come una rete, o una scala, che si costruisce per raggiungere qualcosa.
Ma dopo si deve gettare la scala, perch si scopre che, se pure serviva, era priva di
senso. Er muoz gelchesame die Leiter abewerfen, s Er an ir ufgestigen ist... Si dice
cos?.
Suona cos nella mia lingua. Chi lha detto?.
Un mistico delle tue terre. Lo ha scritto da qualche parte, non ricordo dove. E non
necessario che qualcuno un giorno ritrovi quel manoscritto. Le uniche verit che servono sono strumenti da buttare. (R 495)

Un lettore comune pu godersi il passo (peraltro molto


bello) pur essendo indotto a pensare erroneamente che si stia
parlando di un non altrimenti specificato mistico medievale
austriaco che ha scritto quella cosa sulla scala che devessere
buttata dopo che stata usata per salire da qualche parte. Il lettore colto, per, riconosce nel passo in tedesco medievale nientemeno che un riadattamento della penultima proposizione (6.54)
del Tractatus logico-philosophicus del viennese Ludwig Witt-

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genstein, unopera uscita quasi sei secoli dopo il 1327 (nel


1921-1922)! Come mai Eco ha inserito questa citazione anacronistica? La spiegazione molto semplice: il Tractatus non solo
la summa del cosiddetto atomismo logico e del neo-empirismo
(che Wittgenstein aveva appreso dal suo maestro Bertrand Russell), ma unopera pervasa, nelle ultime proposizioni, da uno
spirito mistico non lontano da certa teologia negativa
medievale2, echeggiata anche dal passo di Silesio ricordato sopra (Lineffabile c, esso mostra s. il Mistico. () Di ci,
di cui non si pu parlare, si deve tacere3 ). Di conseguenza,
perfettamente plausibile che Guglielmo da Baskerville, amico
del teologo e logico empirista inglese Guglielmo di Occam, citi
il Tractatus: in tal modo Eco vuole ironicamente alludere alle
radici occamiste dellatomismo logico (una delle pi influenti
filosofie del Novecento, grazie al prestigio di Russell) e del misticismo del giovane Wittgenstein, peraltro ben note anche a livello manualistico.
Ma c di pi. Sebbene nel Tractatus ricorrano pochissimi riferimenti ad altre filosofie e soprattutto ad altri filosofi,
escludendo i maestri Russell e Frege, coi quali Wittgenstein dialoga di continuo, il cosiddetto rasoio di Occam (Entia non
2

E affine per alcuni versi persino allo Zen. Di tale questione si discuteva
ampiamente in Eco 1962: 224-229, dove tra gli altri citato e discusso anche
il passo del Tractatus sulla scala (cfr. in particolare le pp. 226-228). Tale dialogo sotterraneo e continuo tra produzione saggistica e produzione letteraria
nellopera di Eco, che qualcuno (come Lorusso 2008) tende a sottovalutare,
esattamente ci che si intende mostrare in questo libro.
3 Wittgenstein 1922, propp. 6.522, 7.

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sunt multiplicanda praeter necessitatem) citato per ben due


volte4 ed esso d a Wittgenstein loccasione per spiegare che con
tale regola, tuttaltro che arbitraria o giustificata solo dal successo pratico, si intende che se un segno logico-linguistico inutile
o non necessario, esso privo di significato e quindi va eliminato. In tal senso, il Tractatus lopera della filosofia moderna in
cui il rasoio di Occam allopera pi che in qualsiasi altra, perch non si limita a raccomandare di non moltiplicare gli enti o i
segni se non quando strettamente necessario, ma sfocia nellimposizione del silenzio a chiunque non abbia da pronunciare
proposizioni della scienza naturale5. Ebbene, il rasoio di Occam, che prescrive la semplicit e leconomia nelle spiegazioni,
esattamente la prima cosa cui ricorre Guglielmo quando formula la sua prima ipotesi sulla dinamica della morte del primo
monaco, Adelmo da Otranto, che per lui pu essere solo quella
tipica di un suicidio: Caro Adso, non occorre moltiplicare le
spiegazioni e le cause senza che se ne abbia una stretta necessit (R 99).
Le citazioni, si sa, sono come le ciliegie, una tira laltra,
e quella somiglianza di famiglia che sussiste tra la coppia Wittgenstein/Russell da un lato e la coppia Guglielmo da Baskerville/Guglielmo di Occam dallaltro consente per pura associazione
di idee di rileggere sotto una nuova luce uno scambio di battute

4
5

Cfr. Wittgenstein 1922: propp. 3.328 e 5.47321.


Wittgenstein 1922: prop. 6.53.

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tra Guglielmo e Ubertino da Casale nel loro primo dialogo, laddove stanno parlando di un certo Bonagrazia da Bergamo:
Ho sentito che ora vicino a un mio amico che alla curia, Guglielmo di
Occam.
Lho conosciuto poco. Non mi piace. Un uomo senza fervore, tutta testa,
niente cuore.
Ma una bella testa.
Pu darsi, e lo porter allinferno.
Allora lo rivedr laggi, e discuteremo di logica. (R 63)

Ebbene, Russell ha riferito vari aneddoti, divenuti celeberrimi, relativi alle prime discussioni sulla logica avute con il
giovane Wittgenstein a Cambridge tra la fine del 1911 e il 1912,
ma ce n uno particolarmente gustoso rievocato dallo stesso
Wittgenstein in una annotazione del 1937: Nel corso dei nostri
colloqui, Russell usciva spesso nellesclamazione: Logics
hell!. E ci esprime interamente quello che sentivamo nel
riflettere sui problemi logici; cio la loro enorme difficolt, la
loro durezza e levigatezza6 . difficile sottrarsi allimpressione
che Eco alluda anche a questo aneddoto nella citata battuta di
Guglielmo, che in ogni caso rievoca certamente almeno due
luoghi famosi della letteratura in cui si mettono in stretta relazione il diavolo e la logica: il verso dellInferno (XXVII, 123) in
cui uno dei neri cherubini, cio un diavolo, dopo essersi aggiudicato lanima di Guido da Montefeltro al termine di un duello dialettico con Francesco dAssisi, dice: tu non pensavi chio
6

In Wittgenstein 1977: 65.

!15

loico fossi, e il passo del Faust di Goethe (I, 1898-1911) in cui


Mefistofele, travestito da Faust, a uno studente che chiede consiglio al professore per diventare sapientissimo e abbracciare
tutto lo scibile della terra e del cielo, dice: Vi consiglio per
questo, caro amico, di cominciare dal Collegium Logicum7 .

II
Discorso analogo potrebbe essere fatto per tutti gli altri
romanzi di Eco.
Il Pendolo di Foucault costituisce una parodia di tutte le
interpretazioni selvagge della Storia che stanno alla base della
ricerca del Graal e della credenza nei complotti delle sette segrete, come i Templari, i Rosacroce, i Massoni, ecc. Il numero spaventoso di citazioni contenuto in questo romanzo si spiega in
gran parte con lesigenza di ripercorrere e smontare tutta una
ben nota letteratura-spazzatura di carattere ermetico, esoterico e
misterico, compresa (sia detto per inciso) quella che sta alla base
del Codice da Vinci o del pi recente Il simbolo perduto, tant
vero che lo stesso Eco in unintervista a Deborah Solomon ap7

In Goethe 2005: 463. Cfr. anche quanto dice Belbo in un file sul quale
avremo modo di tornare: Ho studiato a fondo, e con ardente zelo, filosofia,
giurisprudenza e medicina, e purtroppo anche teologia. Ed eccomi qui, povero pazzo, e ne so quanto prima (P 328), che riprende alla lettera il famoso
inizio del primo monologo di Faust (I, 354-359, in Goethe 2005: 409). Per
altre citazioni del Faust nel Pendolo, cfr. P 213, 429, 433, e 479.

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parsa su Repubblica del 25 novembre 2007, ha dichiarato:


Dan Brown uno dei personaggi del mio romanzo Il pendolo
di Foucault, in cui si parla di gente che incomincia a credere nel
ciarpame occultista. E se si vuole una prova, si vedano i capitolo 65 e 66 del Pendolo, che da soli dimostrano come questo romanzo sia una sorta di Critica della ragion pura per romanzi
come Il codice da Vinci, solo che in genere i numerosi lettori di
questi ultimi, che ne determinano il successo, non sanno di essere del tipo di quelli ipotizzati da Garamond, Belbo, Diotallevi e
Casaubon per la collana Iside svelata della Manuzio.
Si pu immaginare quale attesa circondasse luscita del
Pendolo di Foucault, nellottobre del 1988, ben otto anni dopo
quella del Nome della rosa. Dopo il successo clamoroso del
primo romanzo, rilanciato a livello internazionale nel 1986 dal
film omonimo di Jean Jacques Annaud, con un memorabile Sean
Connery nei panni di Guglielmo da Baskerville, il Professore era
atteso al varco della seconda prova narrativa, che in genere per
uno scrittore quella del nove, perch esordire con un romanzo
che insieme un capolavoro e un best seller potrebbe essere soltanto una fortunata coincidenza. Nel frattempo, Eco aveva pubblicato tre volumi riconducibili ai suoi normali campi di interesse, oltre naturalmente a vari saggi e articoli sparsi su riviste e
giornali. Eco 1983 raccoglieva interventi di semiologia del costume giornalistico, politico e culturale apparsi in gran parte su
Repubblica e LEspresso tra il 1977 e il 1983; Eco 1984 era
una riorganizzazione sistematica di cinque voci di semiotica,
scritte tra il 1976 e il 1980 per lEnciclopedia Einaudi, relative

!17

alle nozioni teoriche di segno, dizionario ed enciclopedia, metafora, simbolo e codice; Eco 1985, invece, era una raccolta di
scritti occasionali (prefazioni, convegni, saggi gi pubblicati in
volumi collettanei, ecc.) composti tra il 1972 e il 1985 e incentrati in gran parte sui temi del segno, della rappresentazione, dellimmagine, dellillusione e della strutturazione del sapere. Degna di nota anche la raccolta di saggi di autori vari che costituisce Eco e Sebeok (a cura di) 1983, perch lanalisi della logica dellinvestigazione di Sherlock Holmes e di altri eroi del genere poliziesco proposta da Eco e dagli altri studiosi consente di
capire molte cose del contesto teorico in cui aveva preso vita
limpianto giallo del Nome della rosa.
Negli stessi anni, per, in polemica con lermeneutica
pantestualista (incentrata su, e talvolta ridotta polemicamente a,
uno slogan del tipo nulla esiste fuori dal testo, riconducibile a
Derrida, o non esistono fatti ma solo interpretazioni, ripreso
da Nietzsche) del cosiddetto pensiero debole italiano (Vattimo),
del pragmatismo postmodernista americano (Rorty) e del decostruzionismo francese (Derrida) tutte correnti filosofiche in
qualche modo derivate dallidea nietzscheana della morte di
Dio, dalle nozioni heideggeriane di circolo ermeneutico e
oblio dellEssere, nonch dal principio gadameriano secondo
cui lessere che pu essere compreso linguaggio Eco era
molto interessato ai problemi dellinterpretazione di un testo e al
ruolo del lettore, e in particolare allo sviluppo e alla rielaborazione di idee gi in vario modo espresse in saggi teorici come
Eco 1962 ed Eco 1979. Gli scritti relativi a questo campo di in-

!18

dagine, che confluiranno poi in Eco 1990, delineano lorizzonte


filosofico principale in cui matura Il pendolo di Foucault, che,
attraverso la messa alla berlina dellermetismo, delloccultismo
e della cabala tradizionali, soprattutto un regolamento di conti
ferocemente ironico con le suddette scuole di pensiero (poi messo in forma definitiva nel saggio pi recente Il pensiero debole
vs i limiti dellinterpretazione, che costituisce lultimo capitolo
di Eco 2007b e che rivolto soprattutto contro Vattimo e Rorty).
importante tenere conto di questo aspetto del Pendolo come di
romanzo a chiave polemico con certe mode filosofiche contemporanee, perch esso spiega anche, pi o meno direttamente, alcune reazioni negative che ne salutarono luscita.
Lisola del giorno prima, uscito nel settembre del 1994,
testimonia linteresse di Eco in quegli anni per il XVII secolo (il
primo dei cd-rom enciclopedici sui vari secoli da lui ideati per
Encyclomedia era proprio dedicato al Seicento) e per la semantica cognitiva (basti pensare a Eco 1997). Qual infatti il
problema di Roberto de la Grive, il giovane del XVII secolo
naufragato su una nave deserta di fronte a unirraggiungibile
isola dei mari del sud? Nominare e conoscere, con gli strumenti
concettuali e culturali di un uomo del barocco, la realt mai vista
che ha davanti (come la Colomba color Arancio8, descrittagli
di padre Caspar, che per Roberto non vedr mai: cfr. I 257-258
e 465), al fine anche di manipolarla per i suoi scopi (il raggiun8

Si tratta dellOrange Dove, o Ptilinopus Victor, che vive nellarcipelago


delle Figi, e in particolare a Taveuni, lisola attraversata dal 180 meridiano
che Eco immagina di identificare con lIsola del romanzo (cfr. I 468).

!19

gimento dellisola). Ecco perch quel romanzo, in cui Eco mima


con mirabile padronanza la lingua della gente senzanima (I
473) del tempo, diventa una summa della cultura barocca, dal
Cannocchiale Aristotelico del Tesauro alla Conversazione sulla
pluralit dei mondi di Fontenelle, dalle Passioni dellanima di
Cartesio al Dialogo sui massimi sistemi di Galilei, per non dire
dei vari riferimenti alle questioni geografiche sulla localizzazione dellInferno e del Punto Fisso, alle tecniche di navigazione e
di guerra, al linguaggio manierista e marinista delle poesie
damore (come nelle lettere che Roberto scrive alla sua amata
Lilia), ecc.
Questopera, se escludiamo le funamboliche riflessioni e
sperimentazioni di Belbo, quella pi ricca di riflessioni metanarrative su quella che Milan Kundera chiamava larte del romanzo, peraltro condotte dal narratore in una sorta di dialogo
teorico con il protagonista, imbevuto di cultura barocca e a sua
volta narratore improvvisato e improvvido. Il gioco della narrazione, qui, piuttosto complesso, sebbene, come vedremo, siamo al di qua delle mostruose complicazioni del Nome della rosa
e del Pendolo. Il narratore, venuto in possesso di certe carte autobiografiche e narrative di un naufrago del XVII secolo, ha il
problema di trarre un romanzo da una storia s romanzesca ma
priva di un finale, ovvero di un vero inizio (cfr. I 466). E a questa difficolt formale si aggiunge il fatto che lautore delle carte
a sua volta uno che non solo ha voluto raccontare una storia
damore e di gelosia tipicamente romanzesca, disquisendo sul
problema dellOrigine dei Romanzi (come suona il titolo del

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capitolo 28: cfr. I 339-343) ma alla fine ha perso il senso della


distinzione tra realt e finzione e va incontro alla morte per salvare lamata protagonista del suo romanzo, entrando egli stesso
nel suo racconto (I 459). Ecco perch il narratore gioca a carte
scoperte (o se non altro finge maliziosamente di farlo) e alla fine
fa una dichiarazione di metodo e di poetica che sta alla base di
tutti gli altri romanzi di Eco: se da questa storia volessi farne
uscire un romanzo, dimostrerei ancora una volta che non si pu
scrivere se non facendo palinsesto di un manoscritto ritrovato
senza mai riuscire a sottrarsi allAngoscia dellInfluenza. N
sfuggirei alla puerile curiosit del lettore, il quale vorrebbe poi
sapere se davvero Roberto ha scritto le pagine su cui mi sono
intrattenuto sin troppo. Onestamente, dovrei rispondergli che
non impossibile che le abbia scritte qualcun altro, che voleva
solo far finta di raccontare la verit. E cos perderei tutto leffetto romanzesco: dove, s, si fa finta di raccontare cose vere, ma
non si deve dire sul serio che si fa finta (I 473).
Baudolino, uscito nel novembre del 2000, tra le altre
cose, attraverso le avventure picaresche del bugiardissimo protagonista, diventa unenciclopedia della cultura medievale: dalle
cronache sulle crociate al bestiario immaginario, dalle dispute
sulla forma della Terra alle credenze sui favolosi regni dOriente, come quello del Prete Gianni, ecc. Linteresse per il Medioevo una delle costanti di tutta la parabola intellettuale di
Eco e in quegli anni egli era particolarmente interessato, tra
laltro, a questioni concernenti la funzione della menzogna nella
letteratura e la forza euristica del falso nella storia delle idee,

!21

come testimonia la raccolta di saggi che costituisce Eco 2002.


Qui, infatti, in una delle pagine del saggio conclusivo Come
scrivo dedicate a Baudolino, e in particolare nella nota 3 (p.
342), Eco confessa che il penultimo saggio della raccolta, La
forza del falso, versione ampliata della prolusione letta per
linaugurazione dellanno accademico 1994-1995 dellUniversit di Bologna, costituisce il primo nucleo di Baudolino. E
Baudolino, il quale da stilita e santone imparer che in tutta la
sua vita stato lapidato lunica volta in cui ha detto la verit e
solo la verit (cfr. B 522), si diverte a giocare con lambiguit
logica scimmiottando persino il proverbiale Epimenide il cretese, laddove racconta a Niceta Coniate come vera la propria storia avventurosa di falsi e contraffazioni, aggiungendo per di
essere un mentitore (cfr. B 525, nonch Eco 2002: 344). Che
fare, dunque? Essendo uno storico, Niceta non potr raccontare
una storia riferita da un bugiardo, sicch essa dovr essere consegnata alloblio, a meno che il compito non se lo assuma un
autore di romanzi, bugiardo per mestiere.
stato giustamente notato, per esempio in Cotroneo
2001: 20, come Baudolino rappresenti per Eco una sorta di
ritorno a casa, con la fondazione e lassedio di Alessandria e
le osservazioni sul carattere della sua gente. Tuttavia si ha
limpressione che Eco abbia voluto fare molto di pi, come dimostra il mirabolante esercizio di scrittura (B 17) di Baudolino che costituisce il primo capitolo del romanzo. Baudolino,
credo, non solo ci che Eco avrebbe voluto essere, ma ci che
noi, in quanto italiani, siamo stati nel giro dei decenni che hanno

!22

visto nascere la nostra lingua e la nostra civilt letteraria, ovvero


la nostra identit culturale e nazionale, con le nostre virt (ironia, inventiva, tensione ideale, ma anche pragmatismo, buon
senso, ecc.) e i nostri vizi (creduloneria, cortigianeria, settarismo, ecc.). In un passaggio importante, infatti, Niceta Coniate
chiama Baudolino nomoteta (B 44), e pi avanti usa espressioni come Principe della Menzogna e Domeneddio, sempre
riferendosi a Baudolino (B 89), il quale, spesso suo malgrado,
qualunque cosa dica, essa vera semplicemente perch egli lha
detta (cfr. B 41). Ora, nel Cratilo di Platone, Nomoteta il dio
che crea la lingua originaria (nel senso indagato in Eco 19939) e
nel romanzo indica chiaramente quello spirito insieme comico9

Si veda in particolare Eco 1993: 17-18, dove, discutendo proprio il Cratilo,


Eco sottolinea che la posizione di Socrate, al di l del naturalismo di Cratilo e
del convenzionalismo di Ermogene, si basa sullidea che la conoscenza non
dipende dal nostro rapporto coi nomi ma dal nostro rapporto con le cose, o
meglio con le idee. E questa concezione di una semiosi naturale che rispecchia meglio la verit delle cose e che si contrappone alla propensione alla
menzogna propria della lingua, Eco la scorge anche nella teoria semiotica che
Manzoni sembra presupporre nei Promessi sposi e che cos riassunta nel
saggio Il linguaggio mendace in Manzoni: (i) C una semiosi naturale,
esercitata quasi istintivamente dagli umili dotati di esperienza, per cui i vari
aspetti della realt, se interpretati con prudenza e conoscenza dei casi della
vita, si presentano come sintomi, indici, signa o semeia nel senso classico del
termine. (ii) E c la semiosi artificiale del linguaggio verbale il quale, o si
rivela insufficiente a render conto della realt, o viene usato esplicitamente e
con malizia per mascherarla, quasi sempre a fini di potere. Ma questo possibile perch il linguaggio ingannevole per sua propria natura, mentre la
semiosi naturale induce a errore e abbaglio solo quando inquinata dal linguaggio che la ridice e interpreta, o linterpretazione ottenebrata dalle passioni (in Eco 1998: 26-27, nonch in Eco 2007b: 446).

!23

realistico e mistico-stilnovistico che in quel periodo ha dato vita


alla nostra lingua letteraria. Non a caso, altrove Niceta riflette
stupito sulla straordinaria capacit che ha Baudolino (un uomo
forse senzanima, cio senza patria) di piegare il proprio racconto a qualsiasi registro stilistico, ovvero di passare dantescamente
dal culo a trombetta di un diavolo (come nelle pagine sul Baudolino clericus vagans nelle taverne parigine) allinno alla Vergine Madre (come nelle bellissime pagine sulla storia damore
tra Baudolino e Ipazia10 ), proprio come fu subito in grado di fare
la nostra lingua letteraria delle origini.
N si pu tacere il chiarissimo omaggio reso da Eco in
questo romanzo al filosofo americano Quine, laddove attribuisce
al simpatico sciapode incontrato da Baudolino il nome Gavagai (cfr. B 370-371). Si tratta di un termine divenuto celeberrimo nella filosofia del linguaggio del XX secolo allorch venne
associato da Quine al coniglio nel suo esperimento immaginario concepito in relazione al problema della traduzione della lin10

Creatura silvana met donna e met capra che vive con le altre ipazie, discendenti delle discepole di quellIpazia di Alessandria dEgitto, filosofa
neoplatonica e matematica di gran vaglia, che nel 415 venne trucidata dai
cristiani. Lincontro di Baudolino con una di queste ipazie senza nome, che si
distinguono solo per il nome dellunicorno con cui si accompagnano (quello
di questa ipazia si chiama Acacio), costituisce un vertice di romanticismo e
filosofia del romanzo, perch lapatica ipazia (che perder la sua apatia ascetica con lamore carnale, al punto che sarebbe stata persino disposta ad abbandonare le sue compagne pur di non perdere Baudolino) lo inizia subito
alla metafisica e alla spiritualit del neoplatonismo, di gran lunga pi raffinate di quelle del cristianesimo (che le ipazie ovviamente detestano). Cfr. B
422-450

!24

gua di una civilt rimasta senza contatti con la nostra11 . E tutto


ci rimanda alle questioni filosofiche trattate in Eco 1997, il cui
4.6.4. una analisi filosofica del concetto di verit condotta
creativamente attraverso linvenzione di Vanville, una citt dalla
toponomastica totalmente quineana (mostrata con tanto di mappa: cfr. Eco 1997: 227) che peraltro sorge a nord di un fantomatico Gavagai River.
La misteriosa fiamma della Regina Loana, uscito nel
giugno del 2004, presenta la novit consistente nel fatto che esso
riccamente illustrato con immagini di ogni tipo (fumetti, manifesti, locandine, francobolli, copertine di libri, calendari illustrati, dischi, pacchi di sigarette, ecc.), risalenti in buona parte al
periodo fascista e usate dal protagonista per ritrovare la memoria perduta attraverso le icone della cultura di massa che hanno
popolato la sua fantasia durante linfanzia (la stessa Regina
Loana del titolo viene da un episodio delle avventure di Cino e
Franco, un fumetto degli anni Trenta). Linteresse per le immagini esibito da questo romanzo ha il suo pendant in un saggio
illustrato come Storia della bellezza, curato dallo stesso Eco,
uscito sempre nel 2004, qualche mese dopo Loana (e seguito
verso la fine del 2007 da una analoga Storia della bruttezza). Per
fare qualche esempio, una tavola del 1974 su Flash Gordon di
Alex Raymond la troviamo sia in Eco 2004: 426 che in L 424,
anche se qui rielaborata da Eco per scopi espressivi, mentre in

11

Cfr. il secondo capitolo di Quine 1960.

!25

Eco 2007a: 196, 197 e 267 ritroveremo le stesse immagini di L


188 e L 419.
Come tutti i precedenti romanzi di Eco, anche questo
intessuto di citazioni pi o meno esplicite. Nella prima pagina,
per esempio, in cui il lettore subito immerso in unatmosfera di
nebbiosa e sognante amnesia (quella del protagonista), si pu
trovare subito un riferimento a Bruges la morta (1892) di Georges Rodenbach, e poi, a fondo pagina, al Gordon Pym di Poe
(ma gi il titolo del primo capitolo, Il pi crudele dei mesi,
riprende la celebre definizione del mese di aprile contenuta nel
primo verso de La terra desolata di Eliot. E anche i titoli degli
altri 17 capitoli sono citazioni o riferimenti vari). Nella seconda
entrano in scena, tra gli altri, DAnnunzio, Pavese, Simenon,
Conan Doyle, Agatha Christie, ancora Poe, poi Kafka, Dumas,
ecc.
Lo stratagemma usato questa volta da Eco per riempire il
libro di citazioni pi o meno colte (si va, per intenderci, dal Paradiso di Dante alla canzonetta Pippo non lo sa, attraversando
cos tutto lo spettro enciclopedico della cultura) ben preciso. Il
protagonista, il libraio antiquario Giambattista Bodoni (nato alla
fine del 1931, quindi coetaneo dellautore, nonch omonimo del
celebre tipografo vissuto tra il 1740 e il 1813 che modernizz, semplificandoli, i caratteri di stampa), detto Yambo, dallo
pseudonimo dello scrittore di libri illustrati per linfanzia Enrico
Novelli (1876-1945), a causa di un ictus che lo ha colpito nellaprile del 1991, ha perso una parte della sua memoria a lungo
termine, e in particolare la cosiddetta memoria episodica (che

!26

comprende i ricordi della propria vita e quelli delle cose e delle


persone conosciute), mentre la sua cosiddetta memoria semantica, quella cio relativa alla conoscenza linguistica ed enciclopedica del mondo, rimasta intatta. In questo modo egli non sa
pi nulla di s, del proprio passato e dei propri familiari, ma ricorda perfettamente tutto ci che ha letto o solo sentito dire (e il
lettore scoprir quanto vaste e varie siano le sue letture). Ecco
perch gli affiorano continuamente alla mente brandelli di un
sapere scolastico e popolare, per cui, ad esempio, se il medico
gli chiede di sua madre, Yambo risponde col luogo comune Di
mamma ce n una sola, la mamma sempre la mamma, e se
gli chiede se gli piace il t, risponde dannunzianamente (ma gi
DAnnunzio citava il motto che ripetuto nel soffitto del Palazzo Ducale di Mantova) Forse che s forse che no (L 17). Ed
ecco perch in apertura, quando il protagonista si risveglia in
stato di parziale amnesia retrograda (L 11) e si sente sospeso
in un sognante grigio lattiginoso (L 7) che assomiglia alla
nebbia, abbiamo quella delirante carrellata di citazioni letterarie
sulla nebbia: non altro che la memoria culturale di Yambo che
vortica confusamente senza alcuna possibilit di agganciarsi ordinatamente allautocoscienza storica e presente dellIo in cui
tutto questo accade.
Come si vede, la stessa situazione del protagonista a
giustificare i numerosissimi riferimenti. Eco sa bene che molto,
se non tutto, stato gi detto e scritto, per cui lo scrittore deve
giocare a carte scoperte, se non vuole fare la figura di chi crede
di dire cose nuove e non si accorge di ripetere (possibilmente

!27

male) cose gi dette in passato (possibilmente meglio)12. E allora, se abbiamo un personaggio smemorato che vive tra Milano e
il Monferrato, obbligatorio come minimo fare un riferimento
al caso famoso dello Smemorato di Collegno, che tra laltro
ha ispirato un dramma di Pirandello (Come tu mi vuoi), un omonimo film con Tot e un libro di Sciascia (Il teatro della memoria). E se il personaggio riacquista la memoria ma precipita in
un coma cosciente, normale che la sua memoria culturale di
bibliofilo e di uomo colto ripeschi almeno il cogito ergo sum di
Cartesio, lesse est percipi di Berkeley e i cervelli nella vasca
di Putnam.
Il cimitero di Praga, il sesto romanzo di Eco (forse
lultimo, se si deve credere a qualche battuta dello stesso autore
fatta nel corso di interviste e presentazioni promozionali), uscito
il 29 ottobre del 2010, addirittura una sorta di eco ironica e
non del tutto volontaria dello Zeitgeist. Questa storia ottocentesca volutamente ad effetto, che addirittura simula i romanzi
dappendice ed un trionfo soprattutto di stereotipi anticlericali
e antisemiti e paranoie complottiste, apparsa infatti nellepoca
in cui, in Italia e nel mondo, sulla stampa si discuteva a non finire della costruzione ad hoc di dossier diffamanti nei confronti di
politici e di giornalisti da parte di altri giornalisti e di uomini dei
12

Questidea, portata alle estreme conseguenze, informa di s la personalit


stessa di Belbo, come pi volte ribadito nel Pendolo: dal momento che
aveva scoperto di non poter essere un protagonista aveva deciso di essere uno
spettatore intelligente inutile scrivere se non c una seria motivazione,
meglio riscrivere i libri degli altri (P 27. Cfr. anche P 33, 52 e 397).

!28

servizi segreti deviati e magari al soldo di altri politici, di preti


cattolici pedofili, di fantomatiche armi di distruzione di massa
possedute o in procinto di essere possedute da stati cosiddetti
canaglia (e quasi sempre islamici) in odore di attacco preventivo da parte delle potenze occidentali, nonch dei documenti
riservati e imbarazzanti resi pubblici dal sito internet WikiLeaks
del giornalista e programmatore australiano Julian Assange.
Anche Il cimitero di Praga, sebbene, come vedremo, riesumi temi cari a Eco da decenni, legato alla produzione saggistica coeva, come Eco 2007a e Eco 2008. Questultimo un
saggio presentato da Eco il 15 maggio 2008 nellambito del ciclo di conferenze Elogio della politica curato da Ivano Dionigi
presso lUniversit di Bologna ed dedicato alle procedure discorsive e semiotiche della costruzione del nemico dallantichit ad oggi (diciamo dal Catilina tratteggiato da Cicerone allimmagine dellebreo costruita dai totalitarismi novecenteschi).
Esso, peraltro, attinge per le sue fonti testuali da Eco 2007a, e in
particolare dai capitoli VI.1 (per la misoginia), VII.2 (per la demonizzazione del nemico), VIII.1 (per le streghe) e IX.2 (per la
fisiognomica dellaltro da demonizzare, e soprattutto
dellebreo). E il romanzo, da parte sua, attinge da entrambi, sicch unocchiata a questi ultimi consente di scoprire molte delle
fonti bibliografiche precise che in esso sono usate in maniera
libera e creativa. Per fare degli esempi, dalle parti citate di Eco
2007a e soprattutto da Eco 2008 derivano molti dei passi che
tratteggiano lo stereotipo razzista dellebreo, lesilarante capoverso di C 12 sulla peculiare sovrapproduzione di feci da parte

!29

dei tedeschi, nonch la tirata del capo dellOkhrana Rachkovskij


davanti a Simonini sulla necessit di avere un nemico per cementare lidentit di un popolo (cfr. C 399-400). In Eco 2008,
inoltre, troviamo un riferimento esplicito a quel Santo Simonino
di Trento che per volere del nonno Giovan Battista Simonini
allorigine del nome del protagonista Simone Simonini (cfr. C
73). Ma c un esempio particolarmente significativo che ricollega Il cimitero di Praga a Il nome della rosa attraverso Eco
2008, a conferma diciamo cos epifanica della tesi della centralit del primo romanzo che qui verr presupposta. In C 91-92,
turbato dalle illustrazioni erotiche dei cochons prestatigli da un
amico, il giovane Simonini ripensa a un passo cattivissimo sulle
donne13 (una sorta di anticipazione concettuale di Memento di
Iginio Ugo Tarchetti) che padre Pertuso gli aveva fatto imparare
a memoria, ma egli non ricorda quale scrittore di cose sacre ne
sia lautore. Ebbene, il passo (con qualche piccolo taglio) si trova riportato in Eco 2008 e qui se ne indica lautore: Oddone di
Cluny, vissuto nel X secolo. Ma lo stesso passo, in una versione
italiana leggermente diversa e naturalmente senza indicazione
della fonte, era gi stato messo in bocca a Ubertino da Casale, il
quale cercava cos di dimostrare ad Adso che la ragazza da lui
13

La bellezza del corpo tutta nella pelle. In effetti se gli uomini vedessero
ci che sta sotto la pelle, la sola vista delle donne gli riuscirebbe nauseabonda: questa grazia femminile non che suburra, sangue, umore, fiele. Considerate quello che si nasconde nelle narici, nella gola, nel ventre E noi che
non osiamo toccare anche solo con la punta delle dita il vomito o il letame,
come possiamo dunque desiderare di stringere nelle nostre braccia un sacco
di escrementi?.

!30

amata, appena arrestata per stregoneria da Bernardo Gui insieme


a Salvatore, bella e desiderabile proprio perch una strega
(cfr. R 334).
Dal punto di vista dei temi e della costruzione narrativa,
Il cimitero di Praga presenta inoltre delle importanti analogie
soprattutto con Il pendolo di Foucault, e per certi versi anche
con Lisola del giorno prima, con Baudolino e con La misteriosa fiamma della regina Loana.
Questultimo romanzo, in particolare, richiamato con
tutta evidenza sia per lutilizzo delle illustrazioni (entrambi
sono, ciascuno a suo modo, romanzi illustrati, in cui immagini
pescate altrove vengono citate e magistralmente ricontestualizzate, al punto da apparire come create ad hoc per la nuova collocazione) sia per la riproposizione del motivo della perdita della memoria da parte del protagonista, il cui cammino di recupero
dei ricordi attraverso lo scavo nel proprio passato diventa poi il
romanzo stesso. Salvo che, mentre Yambo perdeva solo la memoria autobiografica, ma non quella semantica, per cui i suoi
ricordi si riducevano a quelli dellenciclopedia collettiva, Simonini subisce anche uno sdoppiamento di personalit e lui e il suo
doppio perdono la memoria in modo diverso, perch il primo
ignora sia i propri ricordi che quelli dellaltro, mentre il secondo
ignora i propri ricordi ma ricorda ci che laltro ha dimenticato
(cfr. C102).
La chiusa metanarrativa del capitolo 18 (Certo che il
documento che il vostro Narratore sta sbirciando pieno di sorprese, e varrebbe forse la pena di trarne un giorno un romanzo,

!31

C 318; ma cfr. anche C 10) mi pare rimandi direttamente alle


ultime righe sia dellIsola (cfr. I 473) che di Baudolino (cfr. B
526). Sono tre riflessioni teoriche sul rapporto tra il disordine
sostanziale della realt e lordine formale della narrazione, nonch sul gioco verit/menzogna intrinseco alla costruzione del
romanzo, accomunate da una certa somiglianza di famiglia. Ancora una volta, da questo punto di vista i romanzi di Eco riflettono le tappe della ricerca filosofica dellEco semiologo del romanzesco. Naturalmente anche nel Nome della rosa, nel Pendolo e in Loana possibile rintracciare precise e ulteriori concezioni della costruzione narrativa, che tuttavia, almeno prima facie e a prescindere dallespediente del manoscritto ritrovato, mi
sembrano apparentate meno direttamente con quella un po pi
omogenea che emerge dai passi citati prima. Come Simonini,
mutatis mutandis, anche Roberto de la Grive scrive la propria
storia e introduce il doppio, mentre sopra entrambi sta un Narratore che raccoglie e ordina il tutto; e come Simonini, anche
Baudolino un bugiardone e falsario che scrive la lettera di Prete Gianni a Federico Barbarossa, finge di trovare il Gradale e
gioca al gioco menzognero della narrazione con Niceta Coniate,
finch interviene il Narratore, pi bugiardo di Baudolino, e
racconta la storia.
Ma col Pendolo che il Cimitero ha un rapporto davvero
stretto, e a pi livelli. Si potrebbe dire che lultimo romanzo di
Eco sia nato da una costola, o da diverse costole, di quello del
1988, per una serie di motivi.

!32

a) La fallace teoria sociale della cospirazione. Come si


vede dallepigrafe del capitolo 118 del Pendolo (e come si vedr
meglio nellAppendice 1 di questo volume), Eco ha desunto lo
strumento teorico per criticare in maniera devastante tutte le teorie del complotto da un passo del quarto capitolo di Congetture e
confutazioni di Karl Popper, che egli citer in seguito in modo
pi esteso molte altre volte in altri saggi e articoli.14 Ora, in quel
capitolo, Casaubon svolge alcune considerazioni teoriche sulle
ragioni che spingono le persone a credere nei Piani e nei Complotti (la credulit innata, la frustrazione, la mania di protagonismo, ecc.) che sono alla base anche del Cimitero.
b) Elogio del feuilleton. Si potrebbe dire che da un certo
punto di vista il Cimitero sia il romanzo dappendice che Belbo
14

Cfr. Popper 1963: 212-213, dove si osserva che la teoria sociale della cospirazione deriva da Omero e dal teismo antico (per esempio quello dellAntico Testamento), laddove questi spiegano gli accadimenti del mondo con i
complotti o i voleri di una o pi divinit. Morti gli di cospiratori, gli uomini,
la cui propensione ad attribuire intenzioni ad agenti esterni innata, li hanno
successivamente rimpiazzati con altri uomini, come i gruppi di potere o di
pressione, per continuare a spiegare in termini cospirativi soprattutto i fatti
sociali. La cosa interessante, osserva Popper, che soltanto quando i teorizzatori della cospirazione giungono al potere, essa assume il carattere di una
teoria descrivente eventi reali (). Per esempio, quando Hitler conquist il
potere, credendo nel mito della cospirazione dei Vecchi Saggi di Sion, egli
cerc di non essere da meno con la propria contro-cospirazione. Ma il fatto
interessante che una tale cospirazione, mai o quasi mai si realizza
nella maniera prestabilita. Si noti come proprio in questo contesto ricorra
lesempio dei Protocolli tanto caro a Eco, il quale tra il Pendolo e il Cimitero
vi tornato pi volte anche nella produzione saggistica: cfr. Eco 1994:
164-172, Eco 2002: 310-314, Eco 2005: V-VI.

!33

sognava di scrivere e che avrebbe scritto se non fosse morto appeso al Pendolo (molti suoi file sono abbozzi postmoderni e
combinatori di romanzi dappendice). Ma siccome Belbo un
doppio di Eco (condividono buona parte dellinfanzia15), questi,
da grande appassionato del romanzo ottocentesco, ha deciso di
fare questo regalo al suo Belbo, scrivendo al posto suo un romanzo in forma di summa metalinguistica del feuilleton. E infatti, il dispositivo narratologico che sta alla base del Cimitero
Praga, per cui lAutore immagina un visitatore invisibile che
entra nella stanza di un individuo anziano e sbircia sopra le sue
spalle mentre questi sta scrivendo la storia che stiamo per leggere e che il Narratore, ormai tuttuno col visitatore, metter via
via in forma di romanzo a beneficio del Lettore, anchegli visitatore curioso e intrusivo (cfr. C 10), prefigurato in uno dei file
pi deliranti di Belbo, Lo strano gabinetto del Dottor Dee. Qui
Belbo, tra le infinite altre cose, immagina di essere il medium e
alchimista del XVI secolo Edward Kelley, di scrivere insieme a
Bacone le opere di Shakespeare, di finire in carcere nella Torre
di Londra (dove noto ai carcerieri come Jim della Canapa) per
le trame del Verulamio e di avere come compagno di cella lex
templare portoghese Soapes (maschera anagrammatica di Pessoa, altro maestro di maschere onomastiche). Alla fine del lungo
file, Kelley-Jim sbircia sopra le spalle di Soapes e vede che questi sta scrivendo una cosa per lui incomprensibile (ma si tratta
nientemeno che dellincipit del Finnegans Wake di Joyce). Soa15

Come giustamente si sottolinea in Cotroneo 2001: 52-54.

!34

pes, maschera di una maschera (e maschera anche di Eco, oltre che di Pessoa), nasconde il foglio, guarda lintruso pallido
come uno spettro, legge nei suoi occhi la morte e gli dice: Riposa. Non temere. Scriver io per te (P. 330).
Per fare questa operazione, per, ci vuole una precisa
estetica filosofica sul rapporto tra arte e realt, e tale teoria abbozzata dallo stesso Belbo allinizio del capitolo 97 del Pendolo:
Avevo rivisto Belbo il mattino dopo. Ieri abbiamo scritto una bella pagina di
feuilleton, gli avevo detto. Ma forse, se vogliamo fare un Piano attendibile,
dovremmo rimanere pi aderenti alla realt.
Quale realt? mi aveva chiesto. Forse solo il feuilleton che ci d la vera
misura della realt. Ci hanno ingannato.
Chi?
Ci hanno fatto credere che da una parte c la grande arte, quella che rappresenta personaggi tipici in circostanze tipiche, e dallaltra il romanzo dappendice, che racconta di personaggi atipici in circostanze atipiche. Pensavo che
un vero dandy non avrebbe mai fatto allamore con Scarlett OHara e neppure con Costanza Bonacieux, o con la Perla di Labuan. Io col feuilleton giocavo, per passeggiare un poco fuori della vita. Mi rassicurava, perch proponeva lirraggiungibile. Invece no.
No?
No. Aveva ragione Proust: la vita rappresentata meglio dalla cattiva musica che non da una Missa Solemnis. Larte ci prende in giro e ci rassicura, ci
fa vedere il mondo come gli artisti vorrebbero che fosse. Il feuilleton finge di
scherzare, ma poi il mondo ce lo fa vedere cos com, o almeno cos come
sar. Le donne sono pi simili a Milady che a Lucia Mondella, Fu Manchu
pi vero di Nathan il Saggio, e la Storia pi simile a quella raccontata da
Sue che a quella progettata da Hegel. Shakespeare, Melville, Balzac e Dostoevskij hanno fatto del feuilleton. Quello che successo davvero quello
che avevano raccontato in anticipo i romanzi dappendice. (P 389)

!35

Questo luogo del Pendolo non a caso citato da Eco allinizio


della sua sesta passeggiata nei boschi narrativi (cfr. Eco 1994:
146) per dire che lamara osservazione di Belbo, fatta appunto
da un personaggio deluso e destinato a una fine tragica, sembra una critica a quanto sostenuto in passato da lui stesso, il quale in Opera aperta scriveva (in nota): naturale che la vita, di
fatto, sia pi simile allo Ulysses che a I tre moschettieri; ma
subito dopo aggiungeva: tuttavia chiunque tra noi pi disposto a pensare la vita in termini de I tre moschettieri che di Ulysses: o meglio, pu rimemorare la vita e giudicarla solo se la ripensa come romanzo ben fatto (Eco 1962: 204). Belbo, quindi,
radicalizza una tesi gi implicita nel giovane Eco teorico della
letteratura, il quale oscillava tra lidea che le opere aperte della
grande arte simulassero con la loro complessit e ambiguit il
caos di contraddizioni della vita reale e lidea complementare
che le opere popolari, essendo intrinsecamente consolatorie,
semplici e prive di ambiguit, assecondassero invece la propensione umana a leggere il mondo della vita proprio e altrui come
se fosse un romanzo dappendice. E infatti la sesta e ultima lezione-passeggiata (incentrata, bene sottolinearlo, sulla vicenda
della costruzione dei Protocolli) si conclude proprio con un ulteriore approfondimento del passo citato di Eco 1962 nella direzione della posizione estremista di Belbo: non rinunceremo a
leggere opere di finzione, perch nei casi migliori in esse che
cerchiamo una formula che dia senso alla nostra vita. In fondo
noi cerchiamo, nel corso della nostra esistenza, una storia originaria, che ci dica perch siamo nati e abbiamo vissuto (Eco

!36

1994: 173). Significativamente, poi, una delle epigrafi del citato


capitolo del Pendolo tratta dal Giuseppe Balsamo di Dumas,
cui dedicato un grande spazio nel Cimitero (cfr. in particolare
C 92-96). Da questo punto di vista, il Cimitero segna il culmine
riepilogativo di tutto il mondo narrativo di Eco e della sua concezione generale della funzione della letteratura16 .
c) La storia dei Protocolli dei Savi anziani di Sion. Tutto il Cimitero converge verso la vicenda della redazione dei Protocolli, cui gi nel Pendolo era dedicato un ampio spazio (capp.
92-96), anche se l essa era inserita nel pi ampio piano millenario dei Templari. In ogni caso, il modo stesso in cui i Protocolli
entrano nel Pendolo dimostra che questo romanzo lo sfondo
del Cimitero, che maliziosamente si presenta nelle false vesti di
una riedizione del primo per lettori meno esigenti e pi superficiali, del tipo di quelli che si lasciano affascinare e trascinare dai
facili polpettoni alla Dan Brown (ma si tratta di un inganno, perch il Cimitero un abile gioco di sprezzatura che nasconde
labisso dellEnciclopedia totale su cui si regge). Ed ancora
una volta lastuto, scettico e disperato Belbo, il personaggio autobiografico per eccellenza di Eco, lAutore occulto dei due romanzi, perch il Cimitero, nello stile dei frammenti romanzeschi
di Belbo (e in ultima analisi come i Protocolli medesimi, assemblati attraverso il riutilizzo e ladattamento di materiale precedente), un collage costruito con pezzi pescati dalla letteratura,
16

Mirabilmente sintetizzata in Eco 2002: 7-22, che si conclude cos: Credo


che questa educazione al Fato e alla morte sia una delle funzioni principali
della letteratura. Forse ce ne sono altre, ma non mi vengono in mente.

!37

dalla memorialistica e da documenti vari dellOttocento, da


Dumas a Sue, da Abba a Garibaldi, da Joly a Goedsche, da Taxil
a Huysmans, fino agli stessi Protocolli (per citare solo alcune
delle innumerevoli fonti di Eco).
Con il peculiare avvitamento temporale del suo intreccio,
poi, il Cimitero costruito quasi come il Pendolo (e in parte
come lIsola, Baudolino e Loana), salvo che in questultimo
levento narrativo cruciale segue di poche ore il momento da cui
parte la narrazione, perch Casaubon inizia dalle quattro del
pomeriggio del 23 giugno 1984 per arrivare alla notte del 26
(momento della rievocazione generale), mentre levento clou, il
tragicomico raduno iniziatico del sedicente Tres attorno a un
Pendolo nel Conservatoire di Parigi, accade intorno alla mezzanotte del 23 e per il resto il romanzo narra gli avvenimenti accaduti negli anni precedenti che costituiscono lantefatto generale.
Nel Cimitero, invece, Simonini inizia a rievocare il passato il 24
marzo 1897 e interrompe il diario degli eventi di cui stato artefice il 20 dicembre dellanno dopo, mentre levento clou, la
messa nera cui assiste come abate Dalla Piccola, era accaduto il
21 marzo 1897, anche se il suo recupero da parte della coscienza
del protagonista smemorato e dalla personalit scissa avviene la
notte tra il 17 e il 18 aprile 1897 (e quindi, anche narrativamente
per il lettore, e non solo psicologicamente per il protagonista,
come se accadesse allora, per cui ricadiamo nello schema del
Pendolo). Inoltre, sarebbe possibile istituire un parallelismo tra
le coppie Casaubon-Belbo da un lato e Simonini-Dalla Piccola
dallaltro, perch entrambe le coppie costituiscono un tandem

!38

narrativo in qualche modo dialettico e dialogico, e ciascuna storia prende corpo dallincrocio e dalla sovrapposizione dei loro
testi.
A proposito dei piani temporali del romanzo, c un punto che non mi torna e in cui, se non ci sono delle cose che mi
sfuggono e che quindi mi impediscono di sbrogliare il nodo, forse Eco stato impreciso. Nel secondo capitolo, a pagina 35, Simonini, gi smemorato, riporta la seguente lista di impegni stilata prima della perdita della memoria (avvenuta il 22 marzo per
Simonini-Dalla Piccola e il 23 marzo per Simonini-Simonini):
21 marzo, messa
22 marzo, Taxil
23 marzo, Guillot per testamento Bonnefoy
24 marzo, da Drumont?

In questa fase, il lettore (perch ignaro dei fatti), al pari


di Simonini (perch smemorato), non pu capire di cosa si tratti,
fatta eccezione per il terzo punto, perch dellincontro con Guillot si era parlato a pagina 23. Nel corso del romanzo, poi, si capir cosa vogliano dire il primo e il quarto punto. Ma il secondo che pone dei problemi, perch il Simonini ancora sano di
mente non poteva fissare un appuntamento con Taxil per il 22
marzo, dato che, come si dice chiaramente nel capitolo 24 (cfr.
C 450), egli, nei panni di Dalla Piccola, il 19 o 20 marzo aveva
detto a Taxil di non farsi pi vedere fino al 19 aprile. Non solo,
ma in quanto Simonini egli in quel periodo non aveva alcun
rapporto con Taxil e questultimo non sapeva nemmeno chi fos-

!39

se, perch ha sempre avuto a che fare con Dalla Piccola (cfr. C
472). Dunque, se non mi sfuggito qualcosa che potrebbe fare
chiarezza lasciando le cose come stanno, il secondo punto della
lista degli appuntamenti di Simonini incongruente e, se si tratta di un errore di Eco, credo di poter fare unipotesi per spiegarne la genesi. In effetti, nel romanzo il nesso tra la messa e
lincontro con Taxil subito dopo c, ma non riguarda laccadere
di questultimo il giorno dopo la messa. La messa avviene effettivamente la sera del 21 marzo, ma Simonini, nelle vesti di Dalla
Piccola, che il giorno dopo la messa aveva perso la memoria, la
ricorda allalba del 18 aprile (cfr. C 465). Ed la mattina del 18
aprile che Simonini, ormai guarito e sicuro di essere lui stesso
Dalla Piccola, veste di nuovo i panni dellabate e va a trovare
Taxil per giustificare con delle menzogne lassenza di circa un
mese e per mettersi daccordo con lui per la sceneggiata del
giorno dopo sul caso Diana Vaughan (cfr. C 471, dove tra laltro
si ribadisce che Taxil aveva cercato invano per quasi un mese
Dalla Piccola nella casa di Auteuil, dove soleva recarsi comunque per amoreggiare con Diana). Dunque, il nesso messa-Taxil
avviene nel romanzo nello spazio di poche pagine tra la fine del
capitolo 23 e linizio del capitolo 24, ma tra la messa e lincontro con Taxil passa quasi un mese, dal 21 marzo al 18 aprile, e
Simonini non pu aver fissato un appuntamento con Taxil per il
22 marzo, visto che, come detto, lo aveva congedato il 19 o il 20
marzo dandogli appuntamento per il 19 aprile.

!40

III
Una fetta consistente delle riflessioni di Eco sulle strategie testuali della narrazione dedicata alla distinzione tra Lettore Empirico e Lettore modello (cui fa da pendant quella tra Autore Empirico e Autore Modello). Al lettore dei romanzi Eco ha
infatti dedicato uno dei suoi saggi teorici pi noti e influenti:
Lector in fabula, uscito nel 1979, guarda caso un anno prima del
Nome della rosa. E proprio nelle importantissime Postille a Il
nome della rosa del 1983 Eco riprende le idee di Eco 1979 sul
Lettore Modello in un paragrafo che si intitola proprio Costruire il lettore. In sostanza, egli sostiene che ogni testo letterario
vuole, persegue, postula, incoraggia un Lettore Modello, la cui
attiva cooperazione interpretativa essenziale per cogliere ed
esplicitare le intenzioni implicite del testo. In tal senso il Lettore
Modello (Joyce, ad esempio, diceva di scrivere per un lettore
affetto da unideale insonnia) una sorta di ideale regolativo cui
i vari lettori empirici tendono per successive approssimazioni.
Naturalmente, la distanza tra Lettore Empirico e Lettore Modello proporzionale al grado di complessit e di valore estetico di
un testo, per cui, se i lettori empirici dei romanzi Harmony hanno da faticare poco per raggiungere il modello di lettura ad essi
richiesto, tuttaltra faccenda per il Finnegans Wake, lHorcynus Orca e Il Pendolo di Foucault. LAutore Empirico lavora al
testo creando contemporaneamente un modello di scrittura (Autore Modello) e un modello di lettura (Lettore Modello): una
volta che il testo l, pubblicato ed esposto alla fruizione, la let-

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tura diventa un gioco a tre (almeno) fra il Lettore Empirico,


lintentio operis e il Lettore Modello, in cui il Lettore Empirico
tanto pi si avvicina al Lettore Modello quanto pi adeguatamente compie le mosse interpretative richieste dal testo.
Ecco alcune parole di Eco, tratte dalle Postille: Si scrive
pensando a un lettore (). C un autore che scriva per pochi
lettori? S, se con questo si intende che il Lettore Modello che
egli si configura, nelle sue previsioni, ha poche possibilit di
essere impersonato dai pi. Ma anche in questo caso lo scrittore
scrive con la speranza, neppure troppo segreta, che proprio il
suo libro crei, e in gran numero, molti nuovi rappresentanti di
questo lettore voluto e perseguito con tanta acribia artigiana, postulato, incoraggiato dal suo testo (). Che lettore modello volevo, mentre scrivevo? Un complice, certo, che stesse al mio
gioco (). Ma al tempo stesso volevo, con tutte le mie forze,
che si disegnasse una figura di lettore il quale, superata liniziazione, diventasse mia preda, ovvero preda del testo e pensasse
di non voler altro che ci che il testo gli offriva. Un testo vuole
essere una esperienza di trasformazione per il proprio
lettore (in R 521, 522 e 523).
Cosa si pu ricavare da ci? Almeno questo, credo: leggere non obbligatorio, non c alcun autore che debba essere
letto per forza (nel famoso Decalogo di Pennac contenuto in
Come un romanzo, quello di non leggere il primo dei diritti
imprescrittibili del lettore); ma se si decide di leggere, bisogna
sapere che ci si sta imbarcando in una avventura non necessariamente agevole, n necessariamente piacevole (in un certo

!42

senso), perch il piacere della lettura si accompagna sempre al


rischio di un incontro/scontro che pu cambiare la vita, di una
prova, cio, che esige penitenze varie prima di schiudere gli
orizzonti di senso che un libro pu celare in s. Dice ancora Eco
(che si riferisce alle prime cento pagine del Nome della rosa):
Cosa vuol dire pensare a un lettore capace di superare lo scoglio penitenziale delle prime cento pagine? Significa esattamente scrivere cento pagine allo scopo di costruire un lettore adatto
per quelle che seguiranno (R 522).
Certo, un Lettore Empirico non troppo smaliziato avr
molte difficolt a godere la pura fabula (mai banale, anzi sempre
calcolatamente avvincente) dei romanzi di Eco, ma se lattraversamento della selva oscura dei riferimenti pi o meno colti gli
si rivela troppo faticosa, egli ha tutto il diritto di chiudere il libro
e andare a fare altro: nessun medico prescriver mai la lettura di
Eco per curare il male di vivere. Ma attenzione: molte delle citazioni di Eco non sono certo per Superuomini, ma per lettori dotati di una decente cultura media. Esigere da tutti gli scrittori
di essere alla portata di una parrucchiera o di un carrozziere (con
tutto il rispetto per queste preziose professioni) significa essere
vittima di una grottesca concezione demagogica della cultura.
Prendiamo per esempio linizio del primo file letto da
Casaubon nel terzo capitolo del Pendolo:
O che bella mattina di fine novembre, in principio era il verbo, cantami o
diva del pelide Achille le donne i cavalier larme gli amori. Punto e va a capo
da solo. Prova prova prova parakal parakal, con il programma giusto fai
anche gli anagrammi (). Oh gioia, oh vertigine della differanza, oh mio

!43

lettore/scrittore ideale affetto da unideale insomnia, oh veglia di finnegan, oh


animale grazioso e benigno. Non aiuta te a pensare, ma aiuta te a pensare per
lui. Una macchina totalmente spirituale (P 27 e 28)

Come evidente, qui Belbo, un personaggio colto preso da entusiasmo quasi infantile (P 27) per i primi programmi di videoscrittura al computer, si lancia in una serie folle di citazioni tratte da Eco stesso (che a sua volta, nei due incipit del Nome della
rosa, citava il vangelo di Giovanni e scimmiottava Snoopy e
lattacco del quarto capitolo del Frankenstein di Mary Shelley),
da Omero, da Ariosto, da Derrida, da Joyce e da Dante. Naturalmente, non necessario che tutti i lettori individuino tutte le
citazioni per capire il senso del passo, e molte di esse sono alla
portata di un liceale passabilmente sveglio.
Oppure prendiamo il seguente passo tratto da Loana:
Scriva quello che le viene in mente, ha detto Gratarolo. Mente? Ho scritto:
amor che nella mente mi ragiona, lamor che muove il sole e laltre stelle,
meglio sole che male accompagnate, spesso il male di vivere ho incontrato,
ahi vita ahi vita mia ahi core di questo core, al cuore non si comanda, De
Amicis, dagli amici mi guardi Iddio, o Dio del ciel se fossi una rondinella, si
fossi foco arderei l mondo, vivere ardendo e non sentire il male, male non
fare paura non avere, la paura fa novanta ottanta settanta milleottocentosessanta, la spedizione dei Mille, mille e non pi mille, le meraviglie del Duemila, del poeta il fin la meraviglia. (L 25)

In questo passo si possono individuare le seguenti citazioni:


Dante, primo verso di Convivio III, 1; Dante, ultimo verso del
Paradiso; Montale, primo verso della poesia omonima; il ritornello della canzone Il soldato innamorato; lattacco di una can-

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zone degli alpinisti (Gran Dio del cielo); Cecco Angiolieri; il


verso delle Rime di Gaspara Stampa reso famoso da DAnnunzio ne Il fuoco, dove esaltato dal protagonista Stelio Effrena; la
frase fatta che allude alle visioni apocalittiche relative allanno
Mille e che diventata titolo di alcuni libri, ad esempio di Gianni Brera e Gennaro Francione; il titolo di un romanzo di Emilio
Salgari; il celebre verso-manifesto di G. B. Marino.
Come si vede, anche qui molte delle citazioni fanno parte
del normale bagaglio di un lettore mediamente colto ed Eco le
inserisce attraverso libere associazioni innescate da termini che
si incatenano (mente, amor, sole, male, vita, cuore, De Amicis,
amici, Dio, ecc.) per illustrare lo stato impersonale della mente
dello smemorato Yambo. Ci dimostra che Eco non uno
snob che solletica una esclusiva e ristretta cerchia di affiliati del
Sommo Sapere. Insomma, si pu vivere benissimo senza leggere
Eco; ma se si decide di leggerlo, allora occorre sapere che si sta
per giocare una partita difficile, in cui spesso quello che si vince
la saggia contemplazione, dopo la traversata odissiaca dei marosi dellEnciclopedia, delle tragedie cui pu condurre la credula
stupidit umana.

IV
Data la natura non strettamente accademica del presente
saggio, si evitato di appesantire il testo con eccessivi riferimenti alla letteratura critica su Eco, peraltro ormai cos vasta da

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richiedere da sola anni di studi per poter essere percorsa e sintetizzata. Quello che segue vuole essere un attraversamento quanto pi possibile leggero e stimolante soprattutto del Nome della
rosa, inteso come esemplificazione e summa dello smarrimento
nei labirinti dellEnciclopedia totale, insieme ricettacolo ideale,
ideale regolativo e simbolo della conoscenza prodotta dalluomo. Il viaggio, privo di approdi consolatori, offrir anche una
particolare prospettiva sub specie rosae sul resto dellopera narrativa di Eco e di volta in volta metter in luce le diverse modalit attraverso cui luomo corre il rischio di rimanere vittima delle sue stesse creazioni simboliche e culturali nel tentativo di decifrare il disordine del mondo, riuscendo talvolta a pervenire a
forme sensate di conoscenza spinto dalla stessa forza della falsit e dellerrore, cui strutturalmente votato. In tal modo, Guglielmo da Baskerville diventer una sorta di modello per decifrare anche Belbo e Casaubon, Roberto de la Grive, Baudolino,
Yambo Bodoni e Simone Simonini, i quali, sotto lipotesi interpretativa di una articolata continuit poetico-filosofica, risulteranno legati da una rete di somiglianze di famiglia ed appariranno come emblemi della ricerca conoscitiva e dellautoinganno.
Tuttavia, alcune monografie su Eco sono state tenute
presenti, e si tratta di lavori esemplificativi, ciascuno a suo
modo, degli approcci possibili allopera vastissima e al pensiero
multiforme e complesso di Eco.
Lagile Cotroneo 2001 una ricognizione dei quattro
romanzi usciti fino a quella data effettuata sulla base dellassunto che essi costituiscano una maschera attraverso la quale il dif-

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fidente ed ironico autore ha celato le proprie ossessioni autobiografiche, legate allinfanzia, al paesaggio di Alessandria e allesperienza della Resistenza vista con gli occhi di un dodici-tredicenne; in tal senso, il testo occasionale e autobiografico Il miracolo di san Baudolino, risalente al 1981 e poi ristampato in coda
a Eco 1992, diventa la chiave interpretativa per accedere alla
dimensione intimamente autobiografica dei romanzi di Eco.
Lampio Forchetti 2005 ha il pregio di addentrarsi, con
ricchezza di riferimenti alla letteratura critica e con notevole
competenza nel campo dei simbolismi pi o meno esoterici, nei
meandri della complessa trama di simboli che percorre i primi
cinque romanzi di Eco, individuando tre territori dindagine,
tre mappe concettuali con le quali sfidare i labirinti narrativi di
Eco: i luoghi, le assenze e le memorie (p. 11); il rischio, per,
quello di cadere in uno schema interpretativo troppo rigido e
preconcetto, perch lautore ha elaborato la propria chiave interpretativa filosofico-teologico-simbolica nella tesi di laurea (che
risale al 1999), incentrata sulla poetica del simbolo e dellintertestualit nei primi tre romanzi di Eco (cfr. p. 8).
Lorusso 2008 invece un illuminante profilo biografico-intellettuale (p. 9) di Eco che tocca i diversi campi teorici di
interesse dellautore, dal problema del testo estetico a quello
dellinterpretazione e della semiosi, dalla delimitazione delle
unit culturali al rapporto tra semiosi e percezione, fino alla sua
elaborazione di una vera e propria teoria della cultura; da questo
studio, come si legge nella quarta di copertina, esce un profilo
intellettuale complesso e sfaccettato, levoluzione e linterna

!47

coesione di un pensiero che non si mai stancato di guardare al


mondo come rete di segni, opera aperta in continuo cantiere,
labirinto in cui i significati si traducono, condizionano e aggiustano tra loro, in un lavoro incessante di produzione di Senso,
che per luomo sfida e tesoro. La Lorusso una studiosa di
Eco competente e affidabilissima, cresciuta intellettualmente
sotto lala del Maestro, visto che sotto la sua supervisione ha
fatto sia la tesi di laurea che la tesi di dottorato, e recentemente
ha tradotto dal francese Eco e Carrire 2009; tuttavia trovo difficilmente condivisibile la seguente dichiarazione di metodo:
abbiamo scelto di non soffermarci sullesperienza letteraria di
Umberto Eco: non parleremo, insomma, dei suoi romanzi. Non
che non li riteniamo importanti; crediamo, per, che essi costituiscano unesperienza a s, che come tale andrebbe trattata,
guardando a problemi squisitamente narrativi, estetici, critici
ecc. Peraltro, riteniamo di rispettare, cos facendo, unindicazione che Eco stesso ha sempre dato e cui si per lo pi attenuto:
quello di tenere separato il suo percorso semiotico da quello letterario (p. 10). Nel presentarsi come esattamente complementare rispetto a quello della Lorusso, il presente lavoro si basa invece sulla convinzione che il percorso letterario di Eco sia inseparabile da quello semiotico. Questa tesi non verr difesa con argomentazioni esplicite, ma verr in gran parte mostrata quasi ad
ogni pagina.
Montalto (a cura di) 2009, infine, una raccolta di ventuno contributi (per un totale di ventitre autori diversi, tra cui
Gianni Vattimo, Paolo Fabbri, Giulio Andreotti e Maurizio Co-

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stanzo) di varia natura e di vario peso scientifico, tutti per mirati a rendere omaggio allintellettuale Eco e al suo genio versatile, la cui conoscenza, nota Montalto, troppo spesso divorata,
presso il grande pubblico ma anche e vada a loro disdoro
presso gran parte della classe intellettuale, dalla conoscenza (ma
di vera conoscenza si tratta?) del romanziere Eco, magari con la
sola aggiunta di una parziale conoscenza dellopinionista
Eco (p. 11). Il ricco volume suddiviso in quattro parti, i cui
titoli danno unidea della variet dei contributi e degli approcci,
che vanno dal saggio specialistico al puro divertissement erudito
(tanto caro allo stesso Eco): Saggi su Umberto Eco, Saggi in
omaggio a Umberto Eco, Testimonianze, Amenit. In risposta alla preoccupazione di Montalto, il quale teme il rischio
di riduttivismo che una eccessiva attenzione allEco romanziere
comporta, il presente lavoro intende anche mostrare che nei romanzi annidato e messo in azione e alla prova il nucleo pi
profondo ed originale di tutto il pensiero dellintellettuale Umberto Eco.

CAPITOLO 1

!49

BENVENUTI A BLITIRIA

I
Quando usc Il nome della rosa, nel 1980, il professore
di semiotica allUniversit di Bologna Umberto Eco era al suo
primo romanzo, aveva compiuto quarantotto anni ed era gi un
intellettuale e uno studioso molto conosciuto sia presso la cerchia ristretta dei filosofi, dei critici letterari e dei semiologi, con
opere teoriche e specialistiche come per citare le maggiori
Eco 1962, 1968, 1971, 1975 e 1979, sia presso il pubblico pi
vasto dei lettori, con opere di carattere pi divulgativo costituite
da brevi scritti di invenzione, saggi tra il serio e il faceto su personaggi popolari e articoli sullattualit, sul costume, sui massmedia e su fatti culturali vari apparsi su quotidiani e riviste,
come per citare le pi note Eco 1963, 1964, 1973, 1976 e
1977a. Inoltre, vero e proprio manualetto di culto presso lesercito dei laureandi era (e per molti versi ancora, malgrado si
sia passati nel frattempo dalla macchina da scrivere alla videoscrittura, allipertesto, a internet e alle-book) quellEco 1977b

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che, con brio irresistibile, guida il giovane aspirante al titolo accademico nella selva dei trucchi e delle tecniche indispensabili
per condurre con rigore la ricerca bibliografica, citare correttamente le fonti e curare la stesura e limpaginazione della tesi di
laurea.
Ma il romanzo arrec allautore una fama planetaria e il
suo nome raggiunse strati del pubblico generalmente impermeabili non solo alle speculazioni filosofiche e semiologiche, ma
anche alla saggistica pi divulgativa. Io stesso ho il ricordo indelebile di uno scambio di battute con un amico avvenuto nel
1984 in una strada polverosa e assolata della periferia abusiva di
una citt posta alla periferia della periferia dellImpero. Siamo
due quindicenni appena alfabetizzati che stanno bighellonando e
a un certo punto, non so perch, il mio amico mi comunica che
sua sorella, che ha qualche anno pi di noi, ha iniziato a leggere
un romanzo che tanti, si dice, hanno in quel momento tra le
mani.
Come si intitola?, chiedo.
Il nome della rosa, risponde.
E di che parla?, insisto.
Dice che parla di un cavallo che si perso, ribatte.
E da questo si capisce a cosa si possa ridurre un best seller di somma complessit e cultura tra le mani di gente meccaniche, e di piccol affare; ma si capisce anche che un testo prima
facie elitario pu avere una forza comunicativa tale da riuscire a
penetrare anche nei livelli socio-culturali pi improbabili e dare
pure l i suoi frutti diciamo cos pedagogici scatenando

!51

una curiosit intellettuale irresistibile, un po come fa il monolito di Kubrick con gli ominidi in una famosa sequenza iniziale di
2001: Odissea nello spazio.
Una delle cose che affascinavano di pi i lettori attenti e
attivi era quel titolo apparentemente semplicissimo che per
sfuggiva a qualsiasi tentativo di dargli un senso chiaro e che addirittura diventava ancora pi misterioso alla luce delle ultime,
famosissime parole in latino del romanzo: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Ancora la rosa, ancora il suo nome,
peraltro nudo come tutti gli altri. Che significa? Il mistero venne
in parte svelato dallo stesso Eco nelle Postille a Il nome della
rosa, uscite sul numero 49 di Alfabeta del giugno 1983 e da
allora ristampate in coda al romanzo, che ha avuto una infinit
di edizioni.
Le postille iniziano proprio con la questione del titolo e
dellesametro latino finale. A proposito di questultimo, spiega
Eco, esso compare nel De contemptu mundi di Bernardo Morliacense, un benedettino del XII secolo, il quale varia sul tema
dellubi sunt (da cui poi il mais o sont les neiges dantan di
Villon), salvo che Bernardo aggiunge al topos corrente (i grandi
di un tempo, le citt famose, le belle principesse, tutto svanisce
nel nulla) lidea che di tutte queste cose scomparse ci rimangono
puri nomi. Ricordo che Abelardo usava lesempio dellenunciato
nulla rosa est per mostrare come il linguaggio potesse parlare
sia delle cose scomparse che di quelle inesistenti. Dopodich
lascio che il lettore tragga le sue conseguenze (R 507).

!52

E qui vale la pena aprire una parentesi, per mostrare


come certe questioni siano ancora dibattute a trentanni dalla
prima uscita del romanzo. A proposito dellesametro finale, la
medievalista Chiara Frugoni intervenuta su Repubblica del
23 novembre 2009 con un articolo in cui si presentano come novit, ovvero come fatti poco noti, se non addirittura ingiustamente taciuti, sostanzialmente due cose: 1) Eco ha trovato
lesametro di Bernardo nel celebre Lautunno del Medioevo
(1919) di Johan Huizinga, e si fidato troppo; 2) in realt la
forma usata da Eco, mutuata da Huizinga, che a sua volta si basava su una vecchia e inattendibile edizione del 1872 del testo di
Bernardo, unerronea trascrizione delloriginale, che sarebbe
stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus. Questa lezione effettivamente pare pi coerente con il contesto dellubi sunt,
perch, come nota anche la Frugoni, i versi precedenti chiedono
dove siano finiti, tra gli altri, Cesare, Mario, Fabrizio incurante
delloro, Paolo con la sua morte onorevole e i suoi gesti memorabili, Cicerone con la sua oratoria, Catone con la sua pace per i
cittadini e la sua ira per i ribelli, Attilio Regolo, Romolo e infine Remo. abbastanza naturale, quindi, supporre che la chiusura spettasse a Roma, e non a unimprecisata rosa, che in
quella lista sarebbe un po unintrusa. Tuttavia la Frugoni riconosce che la sua scoperta gi stata anticipata molti anni fa in
Pepin 1986 da quello stesso studioso che nel 1991 ha pubblicato
una nuova edizione critica del testo di Bernardo recante come
pi pertinente la fino ad allora ignorata o sottovalutata variante
Roma in alcuni manoscritti. E dunque? Ecco la conclusione

!53

della Frugoni: Poich sono stati scritti tanti articoli sul significato di Il nome della rosa, romanzo meritatamente celebre, mi
pare sia giusto sottolineare che quel titolo, cos attraente ed
enigmatico, nasca da una cattiva edizione di un poema medievale, dalla poca perspicacia del primo editore del De Contemptu
mundi (). Larticolo di Ronald Pepin ha avuto una sorte ingrata, peggiore dei nomina nuda tenemus, giacch stato totalmente ignorato: per questo mi parso giusto ricordarlo con il
rilievo che gli dovuto17.
Ora, a tal proposito doveroso fare delle precisazioni,
perch qui la Frugoni sembra piuttosto fuori strada. Intanto,
vero che Eco con ogni probabilit ha citato lesametro di seconda mano, usando appunto lundicesimo capitolo di Huizinga
1919, dedicato allimmagine della morte nel Medioevo. Il fatto
per noto da tempo nella letteratura sul romanzo, e ormai viene dato per scontato18, al punto che lo si trova citato persino in
qualche forum di lettori on line. Se si vuole, una prova ulteriore
costituita dal fatto che allinizio delle Postille, quando rivela la
fonte dellesametro, Eco cita di nuovo (questa volta in originale)
anche il famoso verso sulle nevi dantan di Villon, esattamente come fa Huizinga subito dopo la citazione delle due strofe di
Bernardo. Ma risaputo che sin da giovane Eco frequentava
quellopera di Huizinga, e non solo in quanto medievalista: sua,
infatti, lintroduzione alledizione italiana Einaudi del 1973 di
17
18

Frugoni 2009: 38.


Si veda, ad esempio, Forchetti 2005: 181.

!54

Homo ludens, altra opera famosa di Huizinga, e in tale introduzione Lautunno del Medioevo ovviamente citato (il saggio
ora in Eco 1985 e si intitola Huizinga e il gioco), cos come
citato per ben tre volte nel capitolo 8 di Eco 2007b, in parte risalente addirittura a un saggio del 1961. Inoltre, non vero che il
saggio del 1986 di Pepin su rosa/Roma sia stato totalmente
ignorato, perch, pur senza citarlo esplicitamente, ne ha parlato
addirittura lo stesso Eco pochi anni dopo la sua uscita: si vedano
infatti Eco 1990: 118 e Eco 1995: 94 (i passi sono quasi
identici), dove Eco ironizza sul fatto che se avesse conosciuto la
variante quando scriveva il romanzo avrebbe potuto intitolarlo Il
nome di Roma, dando cos la stura a tutta una serie di interpretazioni fasciste! Per non dire del fatto che, come si pu verificare
con una rapida ricerca su Google, il saggio di Pepin citato non
solo in diversi studi a stampa sul Nome della rosa, ma persino
nella voce in inglese di Wikipedia sul romanzo, in relazione

!55

proprio alla questione rosa/Roma19 (ed curioso osservare che,


almeno fino alla data del 31 dicembre 2010, tale riferimento
manca nelle analoghe voci di Wikipedia in italiano, francese,
tedesco e spagnolo). Non c niente di particolarmente sorprendente nel fatto che Eco sia rimasto colpito dal verso di Bernardo
leggendo Huizinga 1919, e se avesse letto il passo direttamente
nelledizione del 1872 del De contemptu mundi o in quella del
1929 (che menziona la variante Roma), non sarebbe cambiato
granch, perch, come egli stesso ha ammesso, quello che lo
attirava era non solo il sapore nominalistico del verso, ma anche
il misteriosissimo riferimento alla rosa primigenia (che nessuno,
nemmeno Platone, sa cos, mentre tutti sanno grosso modo
cosa si intende con lespressione antica Roma). Ma c di pi.
Se si prende lultima pagina del romanzo, in particolare laddove
si legge: Est ubi gloria nunc Babylonia? Dove sono le nevi di
un tempo? La terra danza la danza di Macabr, si vede che qui,
19

Perhaps this is a deliberate mis-translation. This quote has also been


translated as Yesterday's Rome stands only in name, we hold only empty
names.This line is a verse by twelfth century monk Bernard of Cluny (also
known as Bernard of Morlaix). Medieval manuscripts of this line are not in
agreement; Eco quotes one Medieval variant verbatim, but Eco was not
aware at the time of the text more commonly printed in modern editions, in
which the reference is to Rome (Roma), not to a rose (rosa). The alternative
text, with its context, runs: Nunc ubi Regulus aut ubi Romulus aut ubi Remus? / Stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus. This translates as
Now where is Regulus, or Romulus, or Remus? / Yesterday's Rome stands
only in name, we hold empty names. E in una nota relativa a questo brano
si legge: See further Pepin, Ronald E. Adso's closing line in The Name of
the Rose, American notes and queries (May-June 1986): 151152.

!56

in tre frasi, ci sono ben tre citazioni diverse: la prima sempre


tratta da Bernardo (I, 933), ed il primo verso della prima delle
due strofe del De contemptu mundi citate da Huizinga (lultimo
verso della seconda strofa, I, 952, proprio quello sulla rosa);
la seconda ovviamente tratta da Villon e la terza tratta dal
verso Je fis de Macabr la dance del poeta francese del XIV
secolo Jean Le Fvre. Ebbene, anche la terza citazione si trova
nellundicesimo capitolo del libro di Huizinga (poco oltre la citazione dei passi di Bernardo e Villon20 ), che quindi Eco saccheggiava molto pi di quanto la Frugoni non sospetti21.
Per quanto riguarda invece il titolo, nelle Postille Eco
ricorda che esso non quello previsto inizialmente. Il titolo di
lavoro era Abbazia del delitto (o, come dir altrove22, Delitti
allabbazia), che per venne in seguito scartato perch troppo
centrato sulla trama poliziesca, il che avrebbe potuto trarre in
inganno qualche lettore in caccia di storie tutte azione. Il titolo
sognato dallautore era invece Adso da Melk, che tuttavia venne
scartato perch gli autori e gli editori italiani, contrariamente ai
colleghi stranieri, non amano i titoli costituiti da nomi propri (e
qui Eco ricorda ironicamente che persino Fermo e Lucia stato
riciclato in altra forma). Altrove, come vedremo, Eco dir che
20

Cfr. Huizinga 1919: 163, 164 e 168-169.


Basti pensare che anche il paolino videmus nunc per speculum et in aenigmate (1Cor. 13.12) dellinizio del Prologo (R 19) si trova in Huizinga 1919
(e in particolare nel quindicesimo capitolo, p. 233), in un passo che lEco
esperto di simbolismo medievale ha ben presente (cfr. ad es. Eco 2002: 157).
22 Cfr. Eco 2002: 140.
21

!57

Il nome della rosa era entrato nella lista dei titoli possibili proprio grazie allesametro latino di Bernardo Morliacense che
chiude il romanzo, ma nelle postille questo dettaglio taciuto
perch gli preme dire qualcosaltro: Lidea del Nome della rosa
mi venne quasi per caso e mi piacque perch la rosa una figura
simbolica cos densa di significati da non averne quasi pi nessuno: rosa mistica, e rosa ha vissuto quel che vivono le rose, la
guerra delle due rose, una rosa una rosa una rosa una rosa, i
rosacroce, grazie delle magnifiche rose, rosa fresca aulentissima.
Il lettore ne risultava giustamente depistato, non poteva scegliere una interpretazione; e anche se avesse colto le possibili letture
nominaliste del verso finale ci arrivava appunto alla fine, quando gi aveva fatto chiss quali altre scelte. Un titolo deve confondere le idee, non irreggimentarle (R 508).

II
Fin qui le Postille su titolo ed esametro finale. Esse,
per, se pure spiegano molto, non spiegano tutto ed Eco abile
nel seminare maliziosamente disordine laddove sembra intento a
mettere ordine. Vediamo innanzi tutto di trarre alcune conclusioni dalle prime spiegazioni di Eco. Lesametro latino che chiude il romanzo una meditazione malinconica sul fatto che delle
cose lontane nel tempo o in qualche modo perdute ci rimangono
al pi solo i nudi nomi; lo stesso, sulla scia di Abelardo, vale
per le cose inesistenti, e quindi anche possiamo aggiungere

!58

per le invenzioni narrative. Alcune scuole filosofiche, poi, sin


dallantichit, hanno riflettuto sul fatto che, escluso un legame
magico con la natura delle cose (che pure qualcuno ha sognato,
a cominciare da Eraclito, Cratilo e Platone), i nomi hanno una
relazione puramente convenzionale con le cose individuali e i
termini generali non hanno alcun riferimento nella realt ( questo, semplificando un po, il cosiddetto nominalismo in
filosofia); le cose del mondo, in tal modo, sfuggono a qualsiasi
tipo di rappresentazione realistica o di conoscenza linguistica
profonda, condannandoci a vagare di nome in nome, senza mai
raggiungere la cosa, o di nome della rosa in nome della rosa,
senza mai cogliere la rosa stessa dentro il linguaggio. Lalternativa a questa concezione del rapporto tra nome e cosa, cio il
realismo, ha delle conseguenze paradossali, soprattutto nella sua
versione forte, messe in luce ad esempio da Borges, uno dei
grandi numi del Nome della rosa, nella mirabile strofa iniziale
della poesia El Golem, dove, guarda caso, spunta il nome della
rosa:
Si (como el griego afirma en el Cratilo)
El nombre es arquetipo de la cosa,
En las letras de rosa est la rosa
Y todo el Nilo en la palabra Nilo.23

che si potrebbe rendere in italiano con: Se (come afferma Platone nel Cratilo) / il nome larchetipo della cosa, / Nel nome
23 In

Borges 1985: 64.

!59

della rosa contenuta la rosa / E il Nilo nella parola Nilo. Siamo esattamente agli antipodi, come si vede, dellesametro di
Bernardo morliacense.
Se si aggiunge che quello che vale per i nomi vale anche
per le proposizioni (ma non tutti fanno un tale passo), questo
tipo di nominalismo sfocia in un pessimismo conoscitivo assoluto, e il linguaggio destinato a rimanere entro se stesso, ovvero
a costruire attorno a noi una rete invalicabile che lascia la realt
nel suo complesso, ovvero nella sua natura essenziale, sempre
fuori. Come dir con mirabile sintesi Wittgenstein nel 1931 in
uno dei Pensieri diversi: Il limite del linguaggio si mostra nellimpossibilit di descrivere il fatto che corrisponde a una proposizione (che la sua traduzione) senza appunto ripetere la
proposizione24 (e qui adombrato quel processo della semiosi
illimitata, cio lo slittamento continuo dal segno da interpretare al suo segno interpretante, saltando loggetto designato, che
Eco, sulla base di Peirce, ha discusso a lungo, soprattutto nelle
sue versioni patologiche ermetiche e decostruzioniste). La rosa
primordiale, la rosa dantan, la rosa di uno stemma, la rosa inventata dai poeti e dai teologi (come quella mistica o quella di
Gertrude Stein) e addirittura questa stessa rosa sono dunque
solo rosa, il loro nome nudo: il nome della rosa, appunto, che
un flatus vocis, un nulla. A questo allude Eco quando dice che
la rosa cos carica di significati da non averne nessuno e che
dunque il lettore avrebbe dovuto smarrirsi in questa selva di ri24

Wittgenstein 1977: 32-33.

!60

mandi simbolici cos aggrovigliata e fitta da coincidere con il


vuoto, scorgendo lassenza di senso come se fosse laltra faccia
della troppa e confusa ricchezza di senso. Ecco che allora, per
sommo paradosso, rosa, cio il nome della rosa, ha cos tanti
significati che coincide con blitiri, che non ne ha nessuno25.
Ed di questa parola insensata, e della sua strana storia,
che ora dovremo occuparci, perch essa, che ricorre pure nel
romanzo, come un passaggio segreto che ci consente di accedere al cuore dellabbazia e a una buona parte del significato
profondo del Nome della rosa, al punto che diventa lecito variarla ulteriormente e coniare la parola Blitiria per indicare la
stessa abbazia del romanzo, cio quella terra del nonsenso che
lunico specchio possibile di un mondo impossibile da raffigurare perch senza forma e senza senso.

III
Nel capitolo di Sulla letteratura intitolato Borges e la
mia angoscia dellinfluenza, che una versione abbreviata del
suo intervento a un convegno sui rapporti letterari tra lui e Bor25

Non a caso lidea opposta difesa nel Pendolo di Foucault dal fanatico
Agli, sostenitore della tradizione ermetica: il simbolo tanto pi pieno,
rivelante, possente, quanto pi ambiguo, fugace, altrimenti dove finisce lo
spirito di Hermes, il dio dai mille volti? (P 342). Questa caratterizzazione di
Hermes la si ritrova in Eco 1990: 42-43 ed alla base di quello che Casaubon
chiama filosofema ermetico quando sente dire al commissario De Angelis:
a questo mondo tutto centra con tutto (P 250).

!61

ges tenutosi nel maggio 1997 allUniversit di Castilla-La Mancha, Eco torna per lennesima volta sul titolo del romanzo26, ma
questa volta ci sono alcuni particolari in pi rispetto alle Postille, uno dei quali risulta oltremodo interessante: Come ho pi
volte raccontato, il titolo Il nome della rosa stato scelto da alcuni amici guardando la lista di dieci titoli che avevo buttato gi
allultimo momento. In effetti il primo titolo era Delitti allabbazia (ovvia citazione del Murder in the Vicarage, tema ricorrente nel romanzo poliziesco inglese) e il sottotitolo era Storia
italiana del XIV secolo (citazione manzoniana). Poi il titolo mi
era parso un po pesante, ho fatto una lista di titoli tra cui quello
che preferivo era Blitiri (blitiri insieme a babazuf un termine che i tardi scolastici usavano per indicare una parola priva
di senso), e poi, siccome lultima riga del romanzo citava un
verso di Bernardus Morliacensis che avevo scelto per il suo sapore nominalistico (), avevo messo anche Il nome della rosa.
Come ho detto altrove mi pareva un buon titolo perch era generico, perch la rosa aveva assunto nel corso della storia della mistica e della letteratura tanti significati diversi, spesso contraddittori, e quindi speravo che non si sarebbe prestato a decifrazioni univoche. Inutile: tutti hanno cercato un significato preciso (Eco 2002: 140-141). Eco, dunque, sperava che anche il
titolo, come lopera, fosse aperto alle interpretazioni pi svariate e contrastanti, e che esse si annullassero a vicenda e collas26

Si veda ad esempio Eco 1990: 118 e ss., ripreso a sua volta in Eco 1995: 94
e ss.

!62

sassero nel vuoto di senso pi assoluto per eccesso di senso.


Ecco perch estremamente significativo il fatto che egli abbia
pensato di intitolare Blitiri il romanzo e che addirittura questo
fosse il titolo da lui preferito tra quelli ipotizzati nella lista. Ma
da dove viene questa parola? Nel passo citato Eco d una spiegazione sommaria in parentesi, ma essa contiene due inesattezze, come si vedr da quanto segue.
La parola insensata blitiri (altri scrivono blituri o
blityri), viene dal greco blturi e ricorre in alcune fonti dei primi secoli dopo Cristo relative alle dottrine logico-linguistiche
degli stoici antichi. molto probabile, quindi, che essa sia stata
coniata da questi ultimi, e in particolare da qualcuno tra i discepoli e successori di Crisippo di Soli (vissuto nel III secolo a. C.).
I primi a tramandarla, tra le fonti pervenuteci, sono il medico
Galeno, il dossografo Diogene Laerzio e il filosofo scettico Sesto Empirico, vissuti tutti e tre grosso modo a cavallo tra il II e il
III secolo d. C. (pi esattamente, si ritiene in genere che Galeno
sia vissuto tra il 129 e il 200, Sesto tra il 180 e il 220 e Diogene
verso la met del III secolo). Come vedremo, per quel che interessa qui la ricorrenza pi importante quella che si trova nel
paragrafo 57 del libro VII delle Vite dei filosofi di Diogene
Laerzio, dove si legge: Vi differenza tra voce ed espressione,
in quanto la voce un semplice suono, lespressione soltanto e
sempre articolata. Lespressione a sua volta diversa dal discorso, perch il discorso sempre semantico o significante, lespressione pu anche essere senza significato, cio inintelligibile,

!63

come p. es. blitiri, il discorso sempre significante27. Il curatore, nella nota relativa a blitiri, rimanda a Sesto Empirico,
Adversus mathematicos, VIII, 133 (perch anteriore a Diogene
Laerzio, che ne cita il nome in IX, 87) e a uno studio del 1964 di
Maria Luisa Altieri Biagi sulla fortuna del termine nel Settecento.28 Nel passo di Sesto, in cui si sta criticando dal punto di vista
scettico la nozione stoica di verit, si legge: pur ammettendo
che il vero risieda in un suono [in precedenza Sesto ha confutato
lidea che il vero e il falso possano risiedere in un detto incorporeo], esso dovr risiedere o in un suono significante o in
uno non-significante. Ma non pu risiedere nel suono che non
abbia un qualche significato, ad esempio nel suono blitiri o
skindapss: come, infatti, si pu recepire come vera una cosa
priva di significato?29 (laddove skindapss assomiglia a
kindapsos, che il nome di uno strumento musicale di scarso
valore).
Il brano citato di Diogene Laerzio, inoltre, si trova nel
capitolo dedicato al fondatore dello stoicismo, Zenone di Cizio,
ma in quel preciso contesto Diogene Laerzio sta riferendo il
contenuto di un trattato sulla voce attribuito a Diogene di Babilonia. Chi era costui? Si tratta di un discepolo di Crisippo vissuto tra il III e il II secolo avanti Cristo che, insieme allaccademico Carneade, un suo allievo in materia di dialettica30, e al peri27

Diogene Laerzio 2008: 263.


Cfr. Diogene Laerzio 2008: 536.
29 Sesto Empirico 1975: 175.
30 Stando a Cicerone, Academica priora, 30.98.
28

!64

patetico Critolao, partecip nel 156-155 alla famosa ambasceria


a Roma dei tre filosofi incaricati dallassemblea di Atene di ottenere la remissione di un debito. Per tale motivo il passo citato
entrato a far parte della raccolta dei frammenti degli stoici antichi (Stoicorum Veterum Fragmenta), uscita in tre volumi tra il
1903 e il 1905 a cura di Hans von Arnim, e in particolare costituisce il frammento 20 relativo a Diogene di Babilonia. Ebbene,
nella sua (peraltro dichiaratamente infedele) versione italiana
della raccolta di von Arnim, Margherita Isnardi Parente, chiosando la parola blityri che ricorre nel fr. 20 di Diogene di Babilonia, scrive: Voce convenzionale per indicare il linguaggio
degli uccelli31 , senza per specificare da dove provenga questa
informazione. Daltra parte, il frammento 149 relativo alla logica di Crisippo (non tradotto dalla Isnardi Parente) costituito da
un passo di Galeno, che recita cos: Ma anche espressioni come
blituri e skindapsos non hanno alcun significato Che cosa
vai cianciando, uomo, con tanta disinvoltura? Anche blituri
indica un certo movimento e skindapsos non solo un modo
di chiamare un servo, ma anche il nome di uno strumento32 .
Come si vede da questa rapida rassegna, lespressione
blitiri stata inventata in ambiente stoico da qualcuno che,
forse imitando un suono naturale o artificiale, ha voluto cos
esemplificare una parola priva di senso nellambito della trattazione di questioni che oggi diremmo di semantica e filosofia del
31
32

Isnardi Parente (a cura di) 1989: 605, nota 13.


Radice (a cura di) 2002: 367.

!65

linguaggio. In tal modo essa passata al Medioevo ed stata


ripresa varie volte. Anche se nel passo di Sulla letteratura sopra
riportato Eco tace sullorigine stoica della parola insensata, tuttavia altrove, in contesti pi specialistici, egli molto pi preciso. Il quarto capitolo di Dallalbero al labirinto, intitolato Sul
latrato del cane, rielabora nella seconda parte un saggio omonimo pubblicato in inglese nel 1989 a firma sua e di Roberto
Lambertini, Costantino Marmo e Andrea Tabarroni, insieme ai
quali lo aveva presentato gi nellaprile 1983 alle Settimane di
studio del Centro italiano di Studi sullAlto Medioevo. Qui Eco,
partendo dalle classificazioni delle voci e dei segni di Aristotele
(come quella che troviamo nelle prime pagine del De interpretatione) e degli stoici (come quella che troviamo nel passo di Diogene Laerzio su Diogene di Babilonia riportato sopra), va alla
ricerca degli ulteriori sviluppi nel Medioevo di tali classificazioni antiche, illustrando gli alberi diversi delle suddivisioni in
Agostino, Boezio, Abelardo, Tommaso DAquino e Ruggero
Bacone. Per i nostri scopi opportuno vedere da vicino la classificazione ad albero di Tommaso, desunta dalla quarta lezione
del primo libro del suo commento al De interpretatione di Aristotele, perch tra le sue foglie troveremo una nostra vecchia
conoscenza. In particolare, il passo che ci interessa il seguente,
dove Tommaso sta commentando la pagina 16a (che anche la
prima) del trattatello aristotelico: Anzitutto viene posta () la
voce a mo di genere, in modo da distinguere il nome da tutti i
suoni che non sono voci. () Poi viene aggiunta una prima differenza: dotata di significato, per differenziarla da qualsiasi

!66

voce non significante, sia riproducibile per iscritto [allitterata]


e pronunciata distintamente [articolata] come biltris, sia non
allitterata e non articolata, come un fischio fatto per nulla. E
poich della significazione delle voci si gi parlato sopra, dalle
premesse si conclude che il nome una voce dotata di significato33. Per Tommaso, dunque, il suono si distingue in vocale e
non vocale. Rimanendo al ramo sinistro dellalbero, il suono
vocale si divide in voce dotata di significato (per natura, come il
latrato del cane o il gemito degli infermi, o per convenzione,
come i nomi e i verbi) e voce non dotata di significato; questultima, a sua volta, si divide in voce insignificante non riproducibile per iscritto (non litterata) n articolata, come un sibilo casuale, e voce insignificante riproducibile per iscritto (litterata) e
articolata, come biltris34.
A proposito di biltris o blitris, che costituisce una foglia
precisa e solitaria nellalbero di Tommaso, Eco spiega in parentesi: tipico esempio stoico e poi medievale, insieme a buba e
bu-baf, di emissioni vocali che, pur essendo trascrivibili, non
significano nulla (Eco 2007b: 190). Confrontando questo passo
con quello precedente tratto da Eco 2002, si notano due importanti differenze: 1) il dovuto riferimento agli stoici e 2) una pi
esatta riproduzione degli altri esempi di espressioni vocali insignificanti. Il babazuf di quel passo, infatti, chiaramente una
33
34

Tommaso DAquino 1997: 90.


Cos Tommaso nelloriginale latino consultato e nella traduzione citata,
mentre Eco scrive blitris in tutte e quattro le citazioni del termine usato da
Tommaso: cfr. Eco 2007b: 190, 193 e 194.

!67

distorsione operata involontariamente dalla memoria di quel


bu-ba-baff che compare due volte insieme alla seconda ricorrenza di blitiri nel Nome della rosa, come vedremo, e che
sembra derivato pi direttamente dai buba e bu-baf citati in
Sul latrato del cane. Per fare solo un esempio significativo di
un testo della scolastica in cui compare una forma insensata
come buba, basti prendere le Summule logicales, il manuale di
logica in dodici trattati di quel Pietro Ispano che fu per otto mesi
papa col nome di Giovanni XXI dal 15 settembre 1276 al 20
maggio 1277, che Dante ritrae in un solo verso del Paradiso associandolo per leternit proprio a questa sua opera di logica
(lo qual gi luce in dodici libelli, XII, 135) e a cui lo stesso
Eco rende un grande omaggio nel romanzo, facendo mormorare
a Guglielmo nella fase della fraterna discussione sulla povert di Ges tra i legati pontifici e i legati francescani in cui i
maldestri interventi di frate Girolamo, limbecille (R 62) e
sciocco (R 69) vescovo di Caffa, basati su argomentazioni
confuse e sillogismi difettosi, stanno per fare scoppiare una rissa
furibonda con insulti irriferibili (descritta in pagine che sono tra
i vertici comici del romanzo) le seguenti parole di invocazione: Anima santa di Pietro Ispano () proteggici tu (R 347).
Ebbene, il terzo paragrafo del primo trattato lennesima e canonica classificazione delle voces, e cos suona nella traduzione
di Augusto Ponzio: Le voci si distinguono in significative e
non-significative. Voce significativa quella che alludito rappresenta qualcosa, come uomo, o il gemito degli infermi. Voce
non-significativa quella che alludito non rappresenta nulla,

!68

come buba. Le voci significative si distinguono in voci significative ad placitum e voci significative per natura. Voce significativa per natura quella che per tutti rappresenta la stessa cosa,
come il gemito degli infermi e il latrato dei cani. Voce significativa ad placitum quella che, a discrezione di chi la istituisce,
rappresenta qualcosa, come uomo35. Inoltre, come si ricorda
in Marmo 1990 nella nota ad locum (cio al passo di R 114 citato sotto) delledizione commentata per le scuole superiori del
Nome della rosa, unespressione come buf-baff compare nel
Compendium totius logicae di Giovanni Buridano. Il famoso
asino di questultimo, peraltro, ricordato nel corso della rissa
sopracitata, allorch Guglielmo confessa ad Adso di non sapere
cosa fare, perch se riferisce allassemblea lopinione dei teologi
imperiali (cio soprattutto dei suoi amici Marsilio da Padova e
Guglielmo di Occam, che negavano alla Chiesa il diritto di legiferare sulle cose terrene, R 349) la sua missione va in porto,
essendo anche questo quello che egli era venuto a fare l; ma se
lo riferisce, la sua missione fallisce, perch Giovanni XXII non
avrebbe mai accettato di ricevere ad Avignone una delegazione
imperiale incaricata di sostenere una simile opinione, e facilitare
un tale secondo incontro ad Avignone era il compito principale
di Guglielmo su mandato dellimperatore Ludovico il Bavaro:
E allora sono preso tra due forze contrastanti, come un asino
che non sappia da quale di due sacchi di fieno mangiare (R
350). Ma si veda anche R 353, dove Guglielmo di nuovo di35

Pietro Ispano 2004: 5.

!69

viso tra altri due sacchi di fieno, perch da un lato chiamato


da Severino allospedale, dove lerborista ha ritrovato lo strano
libro portatovi da Berengario, e dallaltro incitato da Michele
da Cesena a rientrare nella sala capitolare dopo la rissa, perch
dovr prendere la parola ed esporre le idee sulla separazione dei
poteri elaborate dai teologi imperiali. Ed in questo frangente
che Guglielmo commette uno dei suoi errori pi gravi, perch,
lasciandolo andare solo nel suo laboratorio, senza volerlo praticamente condanna a morte il povero Severino, che verr subito
ucciso dal bibliotecario Malachia a colpi di sfera armillare.
Si comprende, allora, perch il termine blitiri sia diventato nei secoli successivi sinonimo di cosa da nulla e sia
attestato sia in scritti di logica che in contesti pi colloquiali e
ordinari. Per esempio, ritroveremo il termine in un breve frammento logico di Lebniz in latino (di datazione incerta) dal titolo
lunghissimo e stranissimo (Pare che nel Seicento i titoli fossero
tutti cos. Li scriveva Lina Wertmller, dir Casaubon alla fidanzata Amparo in P 153), Introduzione allenciclopedia arcana
ossia principi ed esempi della scienza generale sullinstaurazione e gli sviluppi delle scienze e sul perfezionamento della mente
e la scoperta delle cose per la felicit generale, dove blitiri
ancora il nome senza la nozione, ossia ci che nominabile e
non pensabile, () secondo lesempio degli scolastici36. Ma
commovente lo stato di confusione in cui il termine gett il pur
sagace e dottissimo Leopardi, il quale dedic a blitiri il se36

In Leibniz 1992: 124.

!70

guente appunto di disperazione linguistica nella pagina 43 dello


Zibaldone: Non si trova in verun Dizionario italiano chio abbia potuto consultare ma comune fra noi la parola blitri o blittri o blitteri che significa, un niente, cosa da nulla ec. Questa
casa un blitri; questa citt un blitri a misurarla con Roma ec.
ec. Ora questa parola totalmente e interamente greca: ,
che anche si diceva e e (come anche
noi) e forse anche , e non significava nulla. Vedi LAERZIO, l. 7, segm. 57 e quivi le note del Casaubon e del Gilles Mnage e il DU FRESNE, Glossar. Graec. in e nellappendice 1 in parimente. Tutti gli altri libri immaginabili che
poteano fare al caso sono stati da me consultati scrupolosamente, senza trovarci ombra di questa voce, e nominatamente i dizionari greci tutti quanti nho, dove manca affatto, in tutte le sue
maniere. Anni dopo, nel 1828, Leopardi trover la parola in un
sonetto del Magalotti e prender nota nella pagina 4301 dello
Zibaldone: V di quelli ostinati, Che per un blittri (della qual
voce, derivata dal greco, dico altrove: vuol dire per un nulla)
categorematico Lascerian star la broda e l companatico. MAGALOTTI, Sonetto colla coda; che incomincia: Acci conosca
ognun quanto diverso. vers. 27-29. Parla de fanatici scolastici e
peripatetici del suo tempo. E si noti come in ogni caso tornino i
riferimenti essenziali, cio Diogene Laerzio e gli scolastici, anche se lautodidatta Leopardi, fuorviato dalluso comune, sembra aver perso la cognizione del significato tecnico del termine,
che invece era ancora presente a chi aveva frequentato le scuole
gesuitiche, poi svecchiate dallIlluminismo. Come nota la Altieri

!71

Biagi, il significato specialistico del termine era ancora ben presente ad esempio a Parini, Alfieri e Goldoni, che avevano frequentato le aride e ardue lezioni di logica scolastica, al punto
che Goldoni, rievocando gli anni trascorsi a Rimini e lepoca in
cui lo assalirono le pustole del vaiolo, confessa che la malattia
gli sembrava una delizia in confronto alle nozioni di logica a
base di blittri ed ente di ragione.37

IV
Alla luce di tutto ci, siamo in grado ora di dare uno
sguardo pi penetrante ai due luoghi del Nome della rosa in cui
compare lespressione blitiri, usata prima dallAdso da Melk
vecchio narratore e poi da Guglielmo da Baskerville in un dialogo con il giovane Adso come esempio di voce insensata. Mentre
Adso e Guglielmo, la mattina del loro arrivo, sono perduti nella
contemplazione delle terribili visioni istoriate nel portale della
chiesa dellabbazia, sentono alle loro spalle la presenza del mostruoso Salvatore, le cui prime, stranissime parole danno al narratore lo spunto per una importante riflessione sul linguaggio:
Penitenziagite! Vide quando draco venturus est a rodegarla lanima tua! La
mortz est super nos! Prega che vene lo papa santo a liberar nos a malo de
todas le peccata! Ah ah, ve piase ista negromanzia de Domini Nostri Iesu
Christi! Et anco jois mes dols e plazer mes dolors Cave el diabolo! Sem37

Cfr. Altieri Biagi 1964: 39.

!72

per maguaita in qualche canto per adentarme la carcagna. Ma Salvatore non


est insipiens! Bonum monasterium, et aqui se magna et se priega dominum
nostrum. Et el resto valet un figo seco. Et amen. No? (R 54).

Adso nota che Salvatore, per laspetto e il modo di parlare, non


molto diverso dagli infernali incroci pelosi e ungulati appena visti sotto il portale, e si chiede che genere di lingua parli.
Salvatore sembra parlare tutte le lingue e nessuna, avendone assorbito casualmente una tutta sua che proviene dai brandelli delle lingue locali con cui era venuto a contatto in passato nel corso
del suo peregrinare tra Francia e Italia aggregandosi per disperazione a ogni sorta di banda di vaganti, il cui elenco ipertrofico e
pirotecnico (cfr. R 192-193) costituisce un pezzo di bravura nello stile delleccesso coerente che lo stesso Eco antologizzer
nel 2009 nel suo catalogo illustrato sulla Vertigine della lista,
insieme alle pagina del capitolo 28 di Baudolino (B 363-367) in
cui vengono enumerati tutti i tipi di pietre da cui costituito il
leggendario fiume Sambatyon38. Inoltre, Salvatore non in grado di scegliere la lingua da usare, ovvero non mescola le lingue
in maniera inventiva e consapevole; piuttosto, Salvatore pu
usare per una stessa cosa ora il nome latino ora quello provenzale, a seconda del luogo e della circostanza in cui ha imparato il
costrutto frasale in cui esso ricorre. Per esempio, se Salvatore
deve nominare un cibo, usa la frase in cui il nome di quel cibo
ricorre udita nella lingua della gente con cui ha mangiato quel
cibo (e a tal proposito si veda la spassosa ricetta del casio in
38

Cfr. Eco 2009: 316-319.

!73

pastelletto che recita ad Adso in R 223), e se deve esprimere


gioia, lo fa con frasi gioiose udite da gente con cui ha condiviso
la gioia. In tal modo nota Adso riecheggiando la questione della lingua perfetta, alla cui millenaria ricerca dedicato Eco
1993 la lingua di Salvatore non pu essere quella adamitica,
cio quella del periodo che va dalla creazione alla Torre di Babele, quando lumanit viveva felice e unita, e non pu essere
nemmeno una di quelle sorte dopo la funesta divisione delle lingue: piuttosto essa proprio la lingua babelica del primo giorno dopo il castigo divino, la lingua della confusione
primeva (R 54). Questo significa che Salvatore incarna il problema addirittura metafisico relativo alla questione, sempre
aperta, se luomo sia in grado o meno di nominare lEssere, ovvero di costruire una lingua in grado di riprodurre e significare,
con il suo ordine logico-grammaticale, lordine delle cose. Di
primo acchito, Salvatore sembra fuori gioco, perch, se la lingua
deve incorporare lordine del mondo, la sua contiene un principio di disordine inammissibile, quale appunto la variabilit
imprevedibile della denominazione: N daltra parte potrei
chiamare lingua la favella di Salvatore, perch in ogni lingua
umana vi sono delle regole e ogni termine significa ad placitum
una cosa, secondo una legge che non muta, perch luomo non
pu chiamare il cane una volta cane e una volta gatto, n pronunciare suoni a cui il consenso delle genti non abbia assegnato
un senso definito, come accadrebbe a chi dicesse la parola blitiri (R 54-55). Questo per sarebbe vero se il mondo avesse un
ordine oggettivo e immutabile, lo stesso delle regole di una lin-

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gua nellasse della sincronia. E lo certamente per Adso, un benedettino per il quale i limiti del mondo coincidono con i limiti
della venerabile Regola del suo ordine monastico. Ma cosa accadrebbe se il mondo non avesse un ordine, se il mondo assomigliasse al caos? Perch vi sia specchio del mondo occorre che
il mondo abbia una forma, dice a un certo punto Guglielmo
riferendosi allabbazia come microcosmo39 , finch, avendo scoperto che lordine da lui immaginato per decifrare la logica dei
delitti era solo uno strumento da buttare, perch era errato e solo
per caso lo aveva condotto alla verit, dovr ammettere di essersi comportato da ostinato, inseguendo una parvenza di ordine,
quando dovevo sapere bene che non v un ordine nelluniverso (R 495). E un ordine nelluniverso non pu esservi non perch Dio non esista o sia morto (lateismo filosofico e Nietzsche
sono ancora di l da venire), ma perch lidea di un ordine vincolante per lo stesso Dio ne offenderebbe la volont libera e
lonnipotenza.
In queste pagine finali in cui Guglielmo, come visto nellIntroduzione, riecheggia un passo finale del Tractatus di Wittgenstein relativo alla scala che va buttata dopo averla usata per
salire da qualche parte, c anche una critica implicita a un vecchio argomento razionalista, contenuto nello stesso Tractatus, a
39

R 127; ma cfr. anche R 199, dove Guglielmo dice testualmente: Questa


abbazia proprio un microcosmo, nonch R 404, dove Jorge da Burgos, nel
corso del suo sermone sulla venuta dellAnticristo, a compieta del quinto
giorno, parla dellabbazia come immagine ridotta del grande anfiteatro del
mondo.

!75

favore dei vincoli logici cui anche Dio sarebbe sottoposto40, perch si tratta di una concezione che ripugna al volontarismo occamista del francescano Guglielmo, per il quale i limiti vanno
posti non a Dio ma alla superbia metafisica umana. Critica implicita, questa, che Guglielmo aveva gi anticipato verso la fine
dellimportante dialogo con Adso sul grande fiume ereticale e
sulla conoscibilit delle leggi generali che si svolge a nona del
terzo giorno nellofficina del vetraio Nicola da Morimondo: La
scienza di cui parlava Bacone verte indubbiamente intorno a
queste proposizioni [le leggi universali]. Bada, parlo di proposizioni sulle cose, non di cose. La scienza ha a che fare con le
proposizioni e i suoi termini, e i termini indicano cose singolari.
Capisci, Adso, io devo credere che la mia proposizione funzioni,
perch lho appresa in base allesperienza, ma per crederlo dovrei supporre che vi siano leggi universali, eppure non posso
parlarne, perch lo stesso concetto che esistano leggi universali,
e un ordine dato delle cose, implicherebbe che Dio ne fosse prigioniero, mentre Dio cosa cos assolutamente libera che, se
volesse, e di un solo atto della sua volont, il mondo sarebbe
altrimenti. () perci non c da meravigliarsi se non si pu
dimostrare che una cosa sia la causa di unaltra cosa (R
210-211). Idea, questa, tipica del giovane Wittgenstein, che lha
esposta quasi con le stesse parole: In nessun modo pu concludersi dal sussistere duna qualsiasi situazione al sussistere duna
40

Si diceva una volta: Dio pu creare tutto, ma nulla che sia contro le leggi
logiche. Infatti, dun mondo illogico noi non potremmo dire quale aspetto esso avrebbe (Wittgenstein 1922: prop. 3.031).

!76

situazione affatto differente da essa. Un nesso causale, che giustifichi una tale conclusione, non v. () La credenza nel nesso
causale la superstizione. () Tutto ci che vediamo potrebbe
anche essere altrimenti. Tutto ci che possiamo descrivere potrebbe anche essere altrimenti. Non v un ordine a priori delle
cose41. Con la non trascurabile differenza, per, che, mentre
Wittgenstein, come visto, poneva il limite della logica alle stesse infinite possibilit creative di Dio, il volontarista radicale Guglielmo considera inammissibile il pensiero di una tale limitazione della potenza divina.
Ma se cos stanno le cose, Salvatore rientra in gioco e la
sua lingua impossibile diventa unipotesi sullunico modo possibile di parlare di un mondo senza ordine. Le sue cacofonie linguistiche sono sintetizzate dal suono blitiri, che non ha alcuna
pretesa di possedere misteriose propriet espressive quali il contatto magico con le cose significate. Se il mondo un disordine
indecifrabile e Dio indistinguibile dal caos primigenio (R
496), allora Salvatore ne il profeta, seppure ancora impreciso,
con la sua pseudo-lingua caotica e tuttavia ancora decifrabile
(come ammette lo stesso Adso), mentre il suono stridulo di blitiri che non significa nulla e che serpeggia nelle pagine riempiendole di urlo e furore ne lunico racconto possibile, come
quello dellidiota di cui parla Macbeth (V, 5), se non addirittura
il titolo stesso o il nome.

41

Wittgenstein 1922: propp. 5.135, 5.136, 5.1361, 5.634.

!77

La seconda ricorrenza di blitiri si ha allorch Guglielmo comincia a riflettere sui segni che costellano il luogo del ritrovamento del cadavere di Venanzio e sul segno stesso rappresentato da questo delitto. Che ci faceva il corpo del traduttore
dal greco a testa in gi dentro lorcio pieno del sangue dei maiali, con i piedi che fuoriuscivano come due pali piantati a croce
per farne uno spaventapasseri? Evidentemente chi glielo aveva
messo in maniera cos plateale voleva tuttaltro che occultare il
cadavere. E che significano le tracce sulla neve lasciate da chi
ha trascinato il cadavere dal refettorio alla giara? Siamo di
fronte allopera di una mente contorta, dice Guglielmo allerborista Severino (R 113), e ad Adso che chiede di cosaltro possa mai essere segno un simile teatro, Guglielmo risponde: Questo ci che non so. Ma non dimentichiamo che ci sono anche
segni che sembrano tali e invece sono privi di senso, come blitiri o bu-ba-baff (R 114). Il commento di Adso sconsolato:
Sarebbe atroce, dissi, uccidere un uomo per dire bu-babaff (R 115), ma Guglielmo gli ricorda che sarebbe atroce uccidere un uomo anche per dire Credo in unum Deum
Ecco dunque che si delineano meglio il mondo del romanzo e il romanzo del mondo. Nella labirintica Blitiria lordine
un caso particolare di disordine, un accidente casuale che si
scorge a volte attraverso segni ingannevoli combinati con ostinazione quasi blasfema da chi non sa accettare la mancanza di
vincoli logici nel tutto e va alla ricerca di parvenze di forme, di
simulacri di ordine. I segni privi di senso di Blitiria non sono un

!78

incidente di percorso nella trama ordinata del linguaggio-mondo, ma la trama stessa.

!79

CAPITOLO 2

SFIDA AL LABIRINTO

I
Si molto discusso intorno al grado di influenza esercitato da Borges sullinvenzione della biblioteca-labirinto del
Nome della rosa, e lo stesso Eco, come vedremo, ha dovuto precisare alcune cose. Certo, un cieco di nome Jorge da Burgos che
controlla da tempo immemorabile una misteriosa biblioteca labirintica in rapporto di rispecchiamento geografico col mondo,
costituita da 56 stanze, di cui 4 eptagonali e 52 pi o meno quadrate (cfr. R 220), distribuite su una pianta ottagonale, con al
centro un pozzo pure ottagonale, che in 4 degli 8 lati, uno s e
uno no, genera altrettanti eptagoni minori che allesterno manifestano 5 lati (cfr. R 29), per cui i 4 eptagoni hanno ciascuno 5
stanze di 4 lati e una, al centro, di 7, unevidentissima allusione a Jorge Luis Borges, il cieco direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires dal 1955 al 1974, nonch autore del celebre racconto La Biblioteca di Babele. Qui si parla di una biblio-

!80

teca illimitata, periodica ed eterna, addirittura coincidente con


luniverso e costituita da un numero indefinito, e forse infinito,
di gallerie esagonali, con 25 scaffali ciascuna, 5 per ogni lato
meno uno, lasciato libero per dare accesso, attraverso uno stretto
corridoio, a unaltra galleria esagonale, identica alla prima e a
tutte le altre. Ma non soltanto di questo che si tratta. Come si
vedr, Eco ha riconosciuto e suggerito influenze molto pi profonde e significative, osservando che i labirinti di Borges hanno
al massimo contribuito a coagulare in ununica, potente immagine narrativa, gli innumerevoli richiami al labirinto incontrati
altrove.
importante, infatti, tenere presente che Eco ha avuto a
che fare con limmagine del labirinto sin da giovane, cio almeno sin dalla prima met degli anni Cinquanta, quando lavorava alla tesi di laurea sullestetica di Tommaso DAquino e studiava tutto ci che aveva a che fare con il Medioevo, compreso
James Joyce, gran maestro di labirinti narrativi e linguistici intriso di cultura medievale. Il suo incontro con Borges avviene un
po dopo, quando tra i pochi a leggere Finzioni, tradotto da
Franco Lucentini e pubblicato con poca fortuna da Einaudi nel
1955. Ecco come Eco rievoca lepisodio nel saggio Borges e la
mia angoscia dellinfluenza: Io credo che sia nel 56 o 57 che
Solmi, passeggiando in Piazza del Duomo, una sera mi ha detto:
Io ho consigliato Einaudi di pubblicare questo libro, non siamo
riusciti a vendere neanche cinquecento copie, lo legga perch
molto bello. E l stato il mio primo innamoramento con Borges e ricordo che, unico proprietario di una copia del libro, an-

!81

davo a casa di amici e leggevo brani del Menard (in Eco


2002: 132-133). Il tema del disordine labirintico del mondo
Eco lo trova altrove e indipendentemente dalla lettura di Borges:
io per esempio lo avevo trovato in Joyce, e addirittura in qualche testo medievale. Il labirinto del mondo viene scritto da Comenio nel 1623, e il concetto di labirinto faceva parte dellideologia del manierismo e del barocco. () Che ogni classificazione delluniverso porti a costituire un labirinto o un giardino dei
sentieri che si biforcano era idea presente sia in Leibniz che in
modo chiarissimo ed esplicito nel discorso introduttivo allEncyclopdie di Diderot e dAlembert. Queste sono probabilmente
anche le fonti di Borges. Ecco dunque un caso in cui non chiaro, neppure a me, se io (B) passando attraverso A ho trovato X,
oppure se io B ho prima scoperto alcuni aspetti di X e poi mi
sono accorto di come X avesse influenzato anche A. Eppure i
labirinti borgesiani hanno probabilmente fatto coagulare, per
me, i molti richiami al labirinto che avevo trovato altrove, tanto
che mi sono chiesto se avrei potuto scrivere Il nome della rosa
senza Borges (ivi: 139). Non un caso, in effetti, che Eco abbia
cos tante volte fatto riferimento in modo dettagliato, nelle opere
teoriche, al discorso introduttivo allEncyclopdie, laddove si
paragona lenciclopedia, cio il sistema generale delle scienze e

!82

delle arti, a un labirinto anzich a un albero, contrariamente a


come si era soliti fare in precedenza42 .
Per essere pi precisi43, si pu dire che ad agire dietro le
quinte del Nome della rosa siano almeno cinque racconti di
Borges, quattro dei quali esplicitamente menzionati da Eco nel
saggio sullinfluenza di Borges che stiamo seguendo. Di questi
cinque racconti tre appartengono a Finzioni, uscito nel 1944 (La
biblioteca di Babele; Pierre Menard, autore del Chisciotte; La
morte e la bussola), e due a LAleph, laltra famosa raccolta,
uscita nel 1949 (La ricerca di Averro; La casa di Asterione)44.
De La biblioteca di Babele si gi detto, basti solo aggiungere qualche parola di Eco: Quando () io scrivo Il nome
della rosa pi che evidente che nel costruire la libreria penso a
Borges. Se andate a leggere la mia voce Codice sullEnciclopedia Einaudi vedete che in uno dei paragrafi faccio un esperimento sulla Biblioteca di Babele. Ora, quella voce era stata
scritta nel 1976, due anni prima di iniziare Il nome della rosa,
segno che dalla biblioteca borgesiana ero ossessionato da tempo (in Eco 2002: 134-135).

42

Si vedano, ad esempio, lultimo paragrafo, intitolato Lenciclopedia come


Labirinto, dellAntiporfirio (in Eco 1985: 355-360), il 5.2 di Eco 1984 e il
1.3.7 di Eco 2007b, intitolato proprio LEncyclopdie (con gli ultimi due
luoghi che si presentano come ulteriori e successive rielaborazioni del
primo).
43 Ulteriori dettagli si possono trovare in Forchetti 2005: 29-50.
44 I cinque racconti sono ora in Borges 1984, rispettivamente 680-689,
649-658, 726-738, 838-846, 819-821.

!83

In Pierre Menard, autore del Chisciotte, Borges descrive in dettaglio lopera di un autore (naturalmente immaginario) attivo nei primi decenni del XX secolo che, come risulta
dalla bibliografia delle sue opere note, accuratamente ricostruita
dal narratore, si era occupato dellarte combinatoria di Raimondo Lullo, della ricerca della lingua perfetta da parte di Leibniz,
della logica simbolica di Boole (tutti temi ampiamente trattati in
Eco 1993) e del paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga
nella reinterpretazione in chiave matematica di Bertrand Russell.
Ma il progetto pi ambizioso di Pierre Menard, segreto, eroico e
apparentemente folle e insensato, era una forma estrema e ai limiti dellimpossibile di applicazione del calcolo combinatorio:
Menard voleva riscrivere, identico, il Don Chisciotte. Naturalmente non doveva trattarsi di una trascrizione, perch Menard
voleva ri-concepire nel XX secolo il Chisciotte con le medesime
parole rimanendo se stesso e non calandosi nella mente e nellepoca di Cervantes. Lopera che ne sarebbe risultata, bench
identica sul piano dei significanti, sarebbe stata profondamente
diversa su quello dei significati, perch un medesimo passo
avrebbe avuto un senso se concepito e interpretato nel XVII secolo e un senso completamente diverso se concepito e interpretato nel XX secolo, per via dei differenti contesti e delle differenti enciclopedie di riferimento. Per esempio, dire la verit, di
cui madre la storia, emula del tempo, deposito delle azioni,
testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso

!84

dellavvenire (Don Chisciotte, I, IX45) nel XVII secolo, significa fare un semplice elogio retorico della storia, ma dirlo nel XX
secolo, quando si contemporanei del pragmatista americano
William James, significa esprimere lidea meravigliosa, nota
Borges, che la storia non sia tanto lindagine su ci che avvenne,
ma linvenzione di ci che giudichiamo che avvenne, ovvero la
creazione stessa della verit storica da parte del pensiero storico
per scopi pratici, diversi da epoca ad epoca. Scrive Eco: In
questi giorni sono stato portato a riflettere piuttosto su quanto mi
abbia influenzato il modello Menard. una storia che non ho
mai smesso di citare da quando lho letta la prima volta. In che
senso ha determinato il mio modo di scrivere? Ecco, direi che la
vera influenza borgesiana nel Nome della rosa non sta tanto nellavere immaginato una biblioteca labirintica, perch di labirinti
pieno luniverso dai tempi di Cnosso, e i teorici del postmoderno considerano il labirinto come una immagine ricorrente in
quasi tutta la letteratura contemporanea. piuttosto che io sapevo di stare scrivendo una storia medievale e che questa mia riscrittura, per quanto fedele, agli occhi di un contemporaneo
avrebbe avuto significati diversi. Sapevo che se riscrivevo quello che era davvero successo nel XIV secolo con i fraticelli e fra
Dolcino, il lettore (anche se io non avessi voluto) avrebbe visto
45

Borges non lo dice, ma si pu osservare che il luogo del Chisciotte da lui


preso in esame riprende quasi alla lettera un celebre passo ciceroniano sulla
storia che si trova nel De Oratore (Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis, II, IX, 36), sicch il
gioco di specchi si complica ulteriormente.

!85

riferimenti quasi letterali alle Brigate Rosse e mi sono molto


divertito a scoprire che la moglie di fra Dolcino si chiamava
Margherita come la moglie di Renato Curcio. Il modello Menard
funzionava, e consciamente, perch sapevo che io stavo scrivendo il nome della moglie di Dolcino e il lettore avrebbe pensato
che pensavo alla moglie di Curcio (in Eco 2002: 137). A proposito del Pendolo di Foucault, addirittura, Eco dice nello stesso
contesto che con questo romanzo egli voleva essere il Pierre
Menard del Flaubert di Bouvard et Pcuchet (ivi: 136), perch
anchesso una summa dello stupidario culturale umano.
La morte e la bussola una detective story intrisa di motivi cabalistici che contiene uno schema di rapporto dialettico tra
detective e assassino straordinariamente ingegnoso e inquietante, praticamente lo stesso che si instaura tra Guglielmo e Jorge.
A questo gioiello borgesiano, dunque, si deve lo schema di fondo che muove il meccanismo poliziesco del Nome della rosa.
C una serie apparente di 3 delitti (per lesattezza, due omicidi
e un rapimento) avvenuti il 3 dicembre, il 3 gennaio e il 3 febbraio di un anno imprecisato in una citt imprecisata in 3 luoghi
diversi che sulla pianta della citt formano un triangolo equilatero inaugurata dallassassinio in un albergo del rabbino esperto
di Talmud Marcello Yarmolinsky. La polizia segue una sua linea
di indagine, finch una lettera firmata Baruch Spinoza, corredata da una pianta della citt con in rosso il tracciato del triangolo magico, arriva il primo marzo allindirizzo del commissario
Franz Treviranus per avvertirlo che il 3 di quel mese non ci sarebbe stato un quarto delitto. Il commissario manda questa

!86

scemenza allinvestigatore Erik Lnnrot, che, a causa dei libri


di Yarmolinski e di indizi basati sulla simbologia del quattro (il
tetragramma, cio il Nome di Dio JHVH, nonch dei rombi che
compaiono sulle scene del secondo e terzo delitto, tra cui le losanghe del vestito di arlecchino), sta seguendo una pista cabalistica per decifrare la morfologia della serie dei delitti. La lettera
non solo convince Lnnrot che ci sar il quarto delitto ma gli
suggerisce pure il luogo esatto, perch basta raddoppiare il
triangolo equilatero trasformandolo in un rombo, il cui vertice
inferiore cade sulla villa abbandonata di Triste-le-Roy, costruita
come un labirinto di simmetrie e situata nella periferia sud della
citt controllata dal boss barcellonese Red Scharlach. Giunto
alla villa, per, Lnnrot vi trova Scharlach che lo sta aspettando
per ucciderlo. Tre anni prima, infatti, Lnnrot aveva arrestato il
fratello di Scharlach, il quale era rimasto ferito nel corso della
sparatoria e durante i nove giorni di agonia aveva giurato vendetta.
Per il nostro discorso, a questo punto ci sono altri due
elementi importanti (oltre allassassino che aspetta linvestigatore sulla scena dellultimo delitto per ucciderlo). Scharlach dice
esplicitamente a) di aver giurato di tessere un labirinto intorno
alluomo che aveva arrestato suo fratello e b) di aver ricevuto la
materia per la sua tessitura dal caso, perch dopo la morte casuale di Yarmolinski era venuto a sapere che Lnnrot stava cercando nei suoi scritti la chiave della morte del rabbino. Ora, siccome aveva compreso che secondo Lnnrot il rabbino era stato
ucciso dai membri della setta degli Hasidim, cio da coloro che

!87

dal XVII secolo andavano alla ricerca del centesimo nome di


Dio, quello segreto e assoluto, decise di assecondare questa falsa
congettura di Lnnrot per attirarlo nel labirinto mortale della
villa, dove linvestigatore pensava di sventare il quarto delitto e
acciuffare lassassino, non sospettando di essere proprio lui la
quarta vittima.
Come si vede, il gioco identico a quello del Nome della
rosa. Quando Jorge capisce che Guglielmo, su suggerimento del
vecchio Alinardo, sta seguendo il falso schema dellApocalisse,
lo asseconda per affrettare la sua soluzione del mistero e aspettarlo nel Finis Africae, cio nel cuore segreto del labirinto, il
punto in cui il Minotauro aspetta la sua vittima prediletta,
linvestigatore stesso: A causa di una frase di Alinardo mi ero
convinto che la serie dei delitti seguisse il ritmo delle sette
trombe dellApocalisse. La grandine per Adelmo, ed era un suicidio. Il sangue per Venanzio, ed era stata unidea bizzarra di
Berengario; lacqua per Berengario stesso, ed era stato un fatto
casuale; la terza parte del cielo per Severino, e Malachia aveva
colpito con la sfera armillare perch era lunica cosa che si era
trovato sottomano. Infine gli scorpioni per Malachia Perch
gli hai detto che il libro aveva la forza di mille scorpioni? A
causa tua. Alinardo mi aveva comunicato la sua idea, poi avevo
udito da qualcuno che anche tu lavevi trovata persuasiva Allora mi sono convinto che un piano divino regolava queste
scomparse di cui io non ero responsabile. E annunciai a Malachia che se fosse stato curioso sarebbe perito secondo lo stesso
piano divino, come infatti avvenuto. cos allora Ho fab-

!88

bricato uno schema falso per interpretare le mosse del colpevole


e il colpevole vi si adeguato. Ed proprio questo schema falso
che mi ha messo sulle tue tracce (R 473). Come si vede, tra le
due situazioni c una sovrapponibilit logica quasi perfetta,
unica differenza essendo il fatto che nel Nome della rosa il Minotauro, consapevole della superiore astuzia dellinvestigatore,
si uccide trascinando nella rovina anche il suo stesso labirinto.
Loscura allusione a Spinoza contenuta nel racconto di
Borges esplicitata da Eco allinizio del quarto paragrafo del
saggio Labduzione in Uqbar, nato come introduzione alledizione tedesca 1983 dei Sei problemi per don Isidro Parodi di
Borges e Casares e ristampato due anni dopo in Eco 1985: Per
essere sicuri che la mente del detective abbia ricostruito la sequenza dei fatti e delle leggi cos come dovevano essere, bisogna nutrire una profonda persuasione spinoziana che ordo et
connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum. I movimenti della nostra mente che indaga seguono le stesse leggi del
reale. Se pensiamo bene, siamo obbligati a pensare secondo le
stesse regole che connettono le cose tra di loro. Se un detective
si immedesima nella mente dellassassino non potr che arrivare
al punto a cui lassassino arriva. In questo universo spinoziano il
detective non solo colui che capisce ci che lassassino ha fatto (perch non poteva non fare cos, se c una logica della mente e delle cose). In questo universo spinoziano il detective sapr
anche cosa lassassino far domani. E andr ad attenderlo sul
luogo del suo prossimo delitto. Ma se cos ragiona il detective,
cos potr anche ragionare lassassino: il quale potr operare in

!89

modo che il detective vada ad attenderlo sul luogo del suo prossimo delitto, salvo che la vittima del prossimo delitto dellassassino sar il detective stesso. E questo quanto avviene ne La
morte e la bussola. Non sorprende allora che Eco, a proposito
di questo racconto borgesiano, abbia potuto confessare: non
escludo che nel momento in cui sorto il fantasma di Borges io
sia stato influenzato dallo schema di La morte e la bussola,
che mi aveva certamente molto impressionato (in Eco 2002:
135). E non c dubbio che Eco sia stato impressionato da questo racconto, tant vero che la sua eco, questa volta relativa non
allo schema del giallo ma alla tematica della cabala, delloccultismo e delle fantomatiche sette provenienti dal passato per realizzare nel presente un presunto piano misterico e sapienziale,
risuoner anche nel Pendolo.
La ricerca di Averro coglie il grande medico e filosofo
arabo del XII secolo in un momento di impotenza culturale.
nella sua casa dellamata Cordova e sta stendendo lundicesimo
capitolo della Distruzione della distruzione, opera in cui la filosofia viene difesa dalle accuse contenute nella Distruzione dei
filosofi dellasceta persiano al-Ghazali, scritta verso la fine dellXI secolo. Averro vi sostiene anche che la divinit conosce
delluniverso solo le leggi generali e le specie, non gli individui.
Ma un pensiero lo assilla, relativo allopera che lo avrebbe reso
immortale, il gran commento ad Aristotele. Il giorno prima ha
incontrato nella Poetica due parole, tragedia e commedia, di cui
ignora il significato, sia perch non conosce il greco (lavora su
traduzioni arabe da traduzioni siriache delloriginale greco) sia

!90

perch da arabo gli estranea la nozione di teatro. Lignoranza culturale tale che guardando dal balcone non capisce di avere proprio sotto gli occhi quello che sta cercando: dei bambini,
gi nel patio, stanno giocando mettendo in scena la preghiera
musulmana, con uno che fa da minareto, un secondo che in piedi
sulle sue spalle fa il muezzin salmodiando Non c altro dio che
Allah, e un terzo che, inginocchiato nella polvere, fa la parte
dei fedeli. Alla fine, dopo una serata passata a casa dellamico
Farach, sulla base di suggestioni dovute alla discussione con gli
amici, pensa di aver risulto lenigma, stabilendo erroneamente
che Aristotele chiama tragedia i panegirici e commedia le satire
e gli anatemi. Il narratore, nella considerazione conclusiva, percepisce la condizione di Averro, che voleva immaginare cos
il dramma senza aver mai visto un teatro, come simbolo della
propria, perch egli ha preteso di immaginare Averro basandosi
su notizie di seconda e terza mano tratte da autori moderni.
Eco ha ammesso di essere stato sempre affascinato da
questa storia borgesiana e ha cos raccontato il modo in cui essa
ha agito sulla sua narrativa: Direi che nei miei romanzi io rovescio il modello Averro: il personaggio (culturalmente stupido) spesso descrive con occhi attoniti una cosa che vede e di cui
non capisce molto, mentre il lettore indotto a capire. Cio lavoro per produrre un Averro intelligente. Pu darsi che, come
qualcuno ha detto, questo sia uno dei motivi della popolarit
della mia narrativa: io () familiarizzo il lettore con ci che
non conosceva ancora. Introduco un lettore del Texas, che non
ha mai visto lEuropa, in una abbazia medievale () e lo faccio

!91

sentire a proprio agio. Faccio vedere un personaggio medievale


che tira fuori con naturalezza gli occhiali e metto in scena i suoi
contemporanei che si stupiscono, ma alla fine capisce che gli
occhiali sono stati inventati nel Medioevo. Questa non una
tecnica borgesiana, il mio un modello anti-Averro, ma senza il modello borgesiano non sarei riuscito a concepirlo (in Eco
2002: 138). Per inciso, il nome di Averro ricorre tre volte nel
Nome della rosa (cfr. R 219, 289 e 477), rispettivamente in merito a una sua caratterizzazione delle scienze matematiche, al
suo rapporto con Tommaso dAquino (e in questi casi citato da
Guglielmo) e infine al fatto, lamentato da Jorge, che, sulla base
delle opere fisiche di Aristotele, Averro ha inoculato nellOccidente medievale lidea per la fede cristiana pericolosissima
di un mondo puramente materiale, autonomo ed eterno. Ma vale
la pena ricordare che nel Trattato decisivo sullaccordo della
religione con la filosofia (un testo che per lOccidente medievale non conobbe) Averro aveva detto una cosa sulla censura
dei libri che ha molto a che vedere con la situazione del Nome
della rosa e che sembra una critica, elaborata circa un secolo e
mezzo prima e condivisa implicitamente da Guglielmo e da alcuni giovani monaci dellabbazia (come Adelmo, Venanzio e
Bencio: cfr. in particolare R 87-90, 119-120, 142-144), al costume paternalistico e censorio dellabbazia: noi diciamo che,
colui il quale proibisce a chi ne ha la facolt di studiare i libri
dei filosofi con la scusa che ci sar poi gente che lo accuser di
deviare dalla retta via, simile a colui che impedisce ad un assetato di bere dellacqua fresca, fino a farlo morire, con la scusa

!92

che avrebbe potuto rimanere soffocato. Infatti, morire per


unacqua malamente ingurgitata accidentale, mentre morire di
sete secondo sostanza e necessit46 .
E veniamo a La casa di Asterione, un brevissimo racconto che Eco non cita come sua fonte nel saggio Borges e la mia
angoscia dellinfluenza. Come indica la stessa fonte classica citata da Borges in epigrafe (Apollodoro, Biblioteca, III, 1, 4),
Asterione non altro che il Minotauro, figlio di Pasifae e del
toro mandato da Poseidone, e quasi tutto il racconto, ad eccezione del brevissimo finale, segnalato dallo spazio bianco, costituito da un monologo del mostro. La parola labirinto non vi
ricorre mai, anche se la casa descritta come il pi angoscioso
dei labirinti. Asterione comincia difendendosi da alcune dicerie
false sul suo conto: non vero che egli sia superbo, misantropo
o pazzo; non vero neanche che egli sia un prigioniero, perch
le infinite porte della sua casa priva di mobili sono sempre aperte, e se non esce mai di casa perch teme i volti della gente
terrorizzata dal suo aspetto. In realt egli unico, mira solo a ci
che grande, e disprezza le minuzie, comprese le lettere dellalfabeto, ragion per cui ha rinunciato a imparare a leggere, convinto che la scrittura non sia in grado di comunicare alcunch.
Ama passare il tempo girando per i corridoi e il suo gioco preferito immaginare il suo doppio che viene a fargli visita e al quale mostra le meraviglie della casa, che grande come luniverso,
perch ogni sua parte si ripete infinite volte ricorsivamente,
46 Averro

1994: 57 e 59.

!93

come la biblioteca di Babele (e qui lidea del labirinto infinito si


coniuga con quella delleterno ritorno, perch Asterione una
sorta di triste, solitario y final superuomo nietzscheano, se non
addirittura lo stesso Dio). Solo due cose sono uniche: il sole e
Asterione, che forse ne il creatore. Ogni nove anni nove uomini si offrono al sacrificio, ma uno di essi profetizz che un giorno sarebbe arrivato il redentore di Asterione, il quale da allora
aspetta e sente meno il peso della solitudine. Che aspetto avr?
Sar un sosia o un toro dal volto umano? A questo punto il racconto finisce e vengono registrate le parole di Teseo ad Arianna:
Lo crederesti, Arianna? () Il Minotauro non s quasi
difeso47.
Come si vede, nella reinterpretazione borgesiana del
mito Teseo non compie alcun atto eroico, perch il Minotauro si
arrende al destino e si suicida usando la mano armata di spada
del giovane ateniese. E una situazione analoga si viene a creare
tra Jorge e Guglielmo. Il vecchio cieco, cui sfuggito di mano il
gioco, anchegli ormai triste, solitario y final, spera di uccidere
il pericoloso Guglielmo aspettandolo nella stanza segreta e consentendogli di leggere alcune pagine del secondo libro della
Poetica di Aristotele, anche se non pu fare a meno di ammirarne larguzia e lintelligenza (Sin dal primo giorno ho capito che
tu avresti capito. Dalla tua voce, dal modo in cui mi hai condotto
a dibattere su ci di cui non volevo si parlasse. Eri meglio degli
altri (). Quale magnifico bibliotecario saresti stato, Gugliel47

In Borges 1984: 821.

!94

mo, R 469 e 470). Ma Guglielmo si rivela pi furbo di quanto


Jorge immagini, perch gli comunica che per leggere sta usando
dei guanti (cfr. R 472). A quel punto Jorge si arrende, comincia a
delirare considerandosi uno strumento di Dio destinato alla salvezza (cfr. R 474-475) e alla fine decide di suicidarsi mangiando
il libro avvelenato (cfr. R 483) e provocando lincendio della
biblioteca (cfr. R 486) che porter alla rovina lintera abbazia.
Guglielmo, quindi, diventa in qualche modo un redentore per
Jorge, come Teseo lo era stato per Asterione nel racconto borgesiano.

II
Fin qui, leco di Borges, cio il Borges di Eco. Ma per
capire il significato estetico, cio relativo a una vera e propria
poetica letteraria, del labirinto-cosmo del Nome della rosa, occorre tornare a un saggio del 1962, apparso originariamente nel
numero 5 del Menab (diretto da Italo Calvino ed Elio Vittorini) e poi ristampato come ultimo capitolo di Opera aperta a
partire dalla seconda edizione di questopera-manifesto (1967).
Dopo aver discusso, tra laltro, il romanzo Nel labirinto di Robbe-Grillet (1959), il trentenne Eco concludeva questo saggio,
intitolato Del modo di formare come impegno sulla realt, delineando un modello desiderabile di letteratura e di arte in generale: Su questa via la letteratura come la nuova musica, la pittura, il cinema pu esprimere il disagio di una certa situazione

!95

umana; ma non sempre possiamo chiederle questo, non sempre


dovr essere letteratura sulla societ. Potr essere talora una letteratura che realizza, attraverso le sue strutture, una immagine
del cosmo quale suggerito dalla scienza, lultima barriera di
una ansia metafisica che, non riuscendo pi a conferire una forma unitaria al mondo nellambito dei concetti, tenta di elaborarne un Ersatz [surrogato] nella forma estetica (Eco 1962:
288). Parole profetiche, come si pu vedere, che si prestano a
varie applicazioni e soluzioni artistiche e che non solo anticipano di molti anni la poetica che sta alla base del Nome della rosa
(Scrivere un romanzo una faccenda cosmologica, come quella raccontata dal Genesi, dir Eco nelle Postille, R 513), ma
costituiscono una sorta di premessa allesperimento calviniano
delle Cosmicomiche, la cui idea prese corpo nel novembre del
1963.
E non certamente un caso che Calvino, alla fine del suo
contributo allo stesso numero del Menab, costituito dal celebre saggio Sfida al labirinto (poi ristampato nel 1980 in Una
pietra sopra), abbia fatto riferimento, approvandolo, proprio al
passo di Eco citato sopra. Vale la pena leggere questa bella pagina di Calvino, anchessa preceduta da una discussione di Nel
labirinto di Robbe-Grillet, perch essa ci fornisce un ulteriore
strumento interpretativo e di orientamento per entrare nel labirinto del romanzo di Eco: Questa letteratura del labirinto gnoseologico-culturale () ha in s una doppia possibilit. Da una
parte c lattitudine oggi necessaria per affrontare la complessit del reale, rifiutandosi alle visioni semplicistiche che non fan-

!96

no che confermare le nostre abitudini di rappresentazione del


mondo; quello che oggi ci serve la mappa del labirinto la pi
particolareggiata possibile. Dallaltra parte c il fascino del labirinto in quanto tale, del perdersi nel labirinto, del rappresentare questa assenza di vie duscita come la vera condizione delluomo. () Quel che la letteratura pu fare definire latteggiamento migliore per trovare la via duscita, anche se questa via
duscita non sar altro che il passaggio da un labirinto allaltro.
la sfida al labirinto che vogliamo salvare, una letteratura
della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto. () Oggi cominciamo a
richiedere alla letteratura qualcosa di pi duna conoscenza dellepoca o duna mimesi degli aspetti esterni degli oggetti o di
quelli interni dellanimo umano. Vogliamo dalla letteratura
unimmagine cosmica (questo termine il punto di convergenza
del mio discorso con quello di Eco), cio al livello dei piani di
conoscenza che lo sviluppo storico ha messo in gioco48. sulla
base di questi veri e propri programmi di ricerca poetico-letteraria, elaborati in anticipo e scrupolosamente messi in pratica,
seppur in modi molto differenti, anche se non troppo (le Cosmicomiche e Il nome della rosa sono specie diverse di un genere
che si pu definire letteratura cosmologico-deduttiva), che non
si possono non condividere le parole di Cotroneo allorch definisce i romanzi di Eco labirinti da cui si esce solo se si percorrono con unossessione in testa: quella di volersi perdere, quella
48

Ora in Calvino 1995: 122 e 123.

!97

di percorrerli allinfinito, quella di non voler uscire mai


pi (Cotroneo 2001: 101).
Ma cosa sono i labirinti? O meglio: come si definiscono?
Almeno sin dal 1983, anno sia delle Postille che del saggio
Lantiporfirio49, Eco, richiamandosi esplicitamente a Rosenstiehl 1979: 3-30, ha parlato di tre tipi di labirinto, e quello del
Nome della rosa un esempio abbastanza preciso di uno di essi.
Addirittura, nel 1.5 di Dallalbero al labirinto, che come detto
costituisce una rielaborazione dellultimo paragrafo dellAntiporfirio, i tre tipi di labirinto sono per la prima volta illustrati
con figure che accompagnano il testo (cfr. Eco 2007b: 58 e 59).
Il primo tipo di labirinto quello classico di Cnosso, cio
quello del mito di Teseo e del Minotauro: si tratta del labirinto
unicursale che porta inesorabilmente al centro e che non permette di perdersi; srotolandolo, si ottiene un filo, il filo di Arianna,
che nel suo ingarbugliamento coincide con il percorso globale
del labirinto stesso. Come nota Eco, per risultare interessante
questo labirinto deve avere al centro un Minotauro che aspetta la
49

Questo un saggio teorico di notevole importanza, cui non a caso Eco


molto affezionato, visto che, uscito per la prima volta nel ben noto Vattimo e
Rovatti 1983, lanno dopo stato ripreso e distribuito in gran parte tra i 4
e 5 del secondo capitolo di Eco 1984, stato poi ristampato alla fine di Eco
1985 e infine stato rifuso e rielaborato nei 2 e 5 del primo capitolo di
Eco 2007b. La rigida gerarchizzazione porfiriana dei predicabili aristotelici
riletta da Eco come caso esemplare di modello semantico-ontologico forte
(cio da dizionario, in contrapposizione al carattere debole e aperto
dellenciclopedia) in cui il mondo e il linguaggio che lo esprime sono governati dalle stesse rigide regole di dipendenza strutturale

!98

sua vittima (o il suo redentore, nel senso di Borges), altrimenti


il suo percorso sarebbe una passeggiata innocua.
Il secondo tipo di labirinto quello manieristico, ovvero
quello tipico dei giochi enigmistici: ha molti percorsi possibili e
tutti, solitamente meno uno, conducono a un vicolo cieco; srotolato d vita a una struttura ad albero, con molti punti morti. Per
uscire da questo tipo di labirinto si ha davvero bisogno di un filo
di Arianna (come quello che escogita Adso dentro la biblioteca
nel film di Jean Jacques Annaud, scucendosi il saio, ma che
assente nella fabula romanzo, anche se evocato come possibilit da Guglielmo: forse per girare in un labirinto bisogna avere
una buona Arianna che ti attende alla porta tenendo il capo di un
filo, R 218), perch ci si pu perdere, e confrontarsi con esso
vuol dire risolvere un problema per tentativi ed errori, ovvero
fare delle congetture e metterle alla prova (nel senso di Popper,
ben presente ad Eco, come si vedr in particolare nellAppendice 1).
Il terzo tipo di labirinto quello di cui modello (non
metafora, precisa Eco) la rete, ovvero ci che i sempre citati Gilles Deleuze e Franois Guattari, in un saggio omonimo del
1976, hanno chiamato rizoma: il rizoma una rete senza centro
e senza periferia, non ha uscite, potenzialmente infinito, ogni
punto di intersezione tra le sue linee pu connettersi con qualsiasi altro imboccando qualsiasi linea, si pu spezzare e ricomporre in ogni punto, non ha gerarchie (contrariamente allalbero)
e in esso ci si muove alla cieca, cio facendo congetture locali
sulla struttura globale. Lo spazio a rizoma il modello migliore

!99

per raffigurare lo spazio geografico (per andare da Roma a Milano si pu passare teoricamente da dove si vuole, anche da Napoli), quello dellEnciclopedia (si pensi allEncyclopdie e soprattutto alla rete internet, che permette teoricamente di raggiungere qualsiasi informazione a partire da qualsiasi altra, giocando di clic e di link) e soprattutto quello delle congetture: Lo
spazio delle congetture uno spazio a rizoma. Il labirinto della
mia biblioteca ancora un labirinto manieristico, ma il mondo
in cui Guglielmo si accorge di vivere gi strutturato a rizoma:
ovvero, strutturabile, ma mai definitivamente strutturato (Postille, in R 525). Ed , questo, un altro modo di parlare del disordine caotico di Blitiria, che abbiamo delineato nel capitolo
precedente, ovvero del labirinto del mondo, come recita il
quinto capitolo de Lisola del giorno prima, dove tra laltro si
legge che Roberto de la Grive, pensando allassedio di Casale
(momento marginale della Guerra dei Trentanni), stava rendendosi conto che lo stesso assedio nullaltro era che un capitolo
di una storia senza senso (I 51). In tal modo Roberto si avvicina alla consapevolezza di Stephen Dedalus (che gi nel nome
rimanda al mitico costruttore del labirinto di Cnosso), il quale,
nel secondo capitolo dellUlisse di Joyce, dopo aver cercato invano di interrogare i ragazzi della scuola di Dalkey sulla vittoria
di Pirro venuto in aiuto dei Tarantini, al cattolico preside Mr
Deasy, provvidenzialisticamente convinto che la storia si muove verso ununica grande meta, la manifestazione di Dio, con-

!100

fessa di considerare invece la storia un incubo da cui cerco di


destarmi e Dio nientaltro che un urlo per la strada50.

III
Nella prima edizione il romanzo si presentava come una
storia di labirinti, e non di labirinti spaziali (Postille, R 525),
cio una storia di labirinti anche testuali e semantici, dietro a
quello fisico rappresentato dalla biblioteca (come vedremo), sin
dalla copertina, che recava una riproduzione del perduto labirinto della cattedrale di Reims, di cui la pianta della biblioteca
una riproduzione quasi identica, mentre una nota in quarta (poi
sparita nelle edizioni successive) informava: In copertina lo
schema del labirinto che appariva sul pavimento della cattedrale
di Reims. A pianta ottagonale, recava ai quattro ottagoni laterali
limmagine dei maestri muratori, coi loro simboli, e al centro si dice - la figura dellarcivescovo Aubri de Humbert che pose la
prima pietra della costruzione. Il labirinto fu distrutto nel XVIII
secolo dal canonico Jacquemart perch gli dava fastidio luso
giocoso che ne facevano i bambini i quali, durante le funzioni
sacre, cercavano di seguirne gli intrichi, per fini evidentemente
perversi. Si noti la simmetria tra il canonico Jacquemart e Jor50

Joyce 2000: 35.

!101

ge, che provoca prima la catena di morti per avvelenamento e


poi la distruzione della biblioteca-labirinto perch gli d fastidio
che i monaci siano presi, un po come i bambini, dalla gioia perversa del gioco della conoscenza, ovvero dalla curiosit intellettuale per la teoria del riso indotto dalla commedia elaborata da
Aristotele nel secondo libro della Poetica.
Daltra parte, in un passo molto importante per la definizione delle propriet della biblioteca, il vegliardo Alinardo usa
le parole seguenti per spiegare a Guglielmo la sua paura nei confronti della biblioteca, in cui non ha mai messo piede, malgrado
un tempo avesse avuto lambizione, frustrata dal pi abile rivale
Jorge (cfr. R 306), di diventare bibliotecario: Hunc mundum
tipice laberinthus denotat ille, recit assorto il vegliardo. Intranti largus, redeunti sed nimis artus. La biblioteca un gran
labirinto, segno del labirinto del mondo. Entri e non sai se uscirai. Non bisogna violare le colonne dErcole (R 163). Si
tratta di un passo di per s significativo, perch stabilisce che il
labirinto della biblioteca denota, significa lintero mondo, di cui
segno isomorfo addirittura anche per quanto riguarda la distribuzione delle terre. Le 56 stanze, infatti, sono indicate da una
lettera dellalfabeto, che coincide con quella iniziale del versetto
dellApocalisse inciso sul cartiglio che sovrasta ogni entrata. I
versetti utilizzati sono tanti quante sono le lettere dellalfabeto,
per cui molti versetti si ripetono (cfr. R 221), mentre la distribuzione delle lettere iniziali trasforma le 56 stanze in una sorta di
grande cruciverba in cui si intersecano i nomi delle regioni principali del mappamondo cos come poteva essere immaginato nel

!102

Medioevo. Dal torrione nord a quello ovest, andando in senso


orario, abbiamo: Anglia, Germani, Acaia (cio Grecia), Iudaea,
Fons Adae (cio il paradiso terrestre, nel torrione est), Aegyptus,
Leones (cio Africa, nel torrione sud), Roma, Yspania, Hibernia
(Irlanda, nel torrione ovest), Gallia (cfr. R 316-324).
Perch nel passo citato sopra si dice che il vecchio Alinardo recit assorto il passo in latino? La risposta sta nel fatto
che Alinardo in realt sta citando a memoria parte delliscrizione
che accompagnava un perduto mosaico del XII secolo, collocato
sul pavimento della chiesa di San Savino a Piacenza. Tale mosaico riproduceva un labirinto e liscrizione era un ammonimento a non farsi sviare dai vizi e dalle tentazioni del mondo, per
non smarrire la vera dottrina della vita. Come si vede, ancora
una volta il labirinto associato simbolicamente e moralmente
al mondo e ai suoi meandri che conducono allo smarrimento
della retta via e alla caduta nel peccato. Quando Guglielmo e
Adso entrano per la prima volta nel labirinto della biblioteca e vi
si perdono, ritrovano solo per caso (inopinatamente, R 181) la
via duscita, e una volta fuori nella bellissima notte stellata hanno uno scambio di battute sul rapporto labirinto/mondo che rispecchia ancora una volta la diversit di vedute dei due (un
francescano empirista attento alla selva irregolare del particolare
e un benedettino idealista che legge il mondo con gli occhiali
della Regola del suo ordine): Com bello il mondo e come
sono brutti i labirinti! dissi sollevato. Come sarebbe bello il
mondo se ci fosse una regola per girare nei labirinti, rispose il
mio maestro (R 182).

!103

Ma con quali strumenti raziocinativi intenzionali Guglielmo lancia la sua sfida al labirinto? A Guglielmo la biblioteca si annuncia come un labirinto minaccioso fin da subito, attraverso le parole dellabate Abbone. Questi, nel tentativo di mettergli paura, non fa altro che eccitare la sua curiosit investigativa da Sherlock Holmes (cui il personaggio allude a partire dal
nome della citt inglese di provenienza, visto che Baskerville
rimanda a Il mastino dei Baskerville, il terzo dei quattro romanzi
di Conan Doyle dedicati al suo famosissimo investigatore) e risvegliare il suo istinto della caccia di ex inquisitore, per usare
una ben nota espressione legata a Dashiell Hammett, al cui personaggio Sam Spade Eco tributer un grande omaggio nel Pendolo per bocca del narratore Casaubon, il quale verso la fine
dice addirittura: sono ancora una volta Sam Spade, che cerca
lultima traccia51 . Nel loro primo colloquio, alla richiesta di
Guglielmo di visitare la famosa e ricca biblioteca dellabbazia,
Abbone cos spiega la sua inaccessibilit: La biblioteca nata
secondo un disegno che rimasto oscuro a tutti nei secoli e che
nessuno dei monaci chiamato a conoscere. Solo il bibliotecario
ne ha ricevuto il segreto dal bibliotecario che lo precedette, e lo
comunica, ancora in vita, allaiuto bibliotecario, in modo che la
morte non lo sorprenda privando la comunit di quel sapere. E le
labbra di entrambi sono suggellate dal segreto. Solo il bibliotecario, oltre a sapere, ha il diritto di muoversi nel labirinto dei
libri (R 45). questa la prima delle ben quarantasette ricorren51

P 495; ma cfr. anche P 17, 30, 31, 182, 308, 317.

!104

ze della parola labirinto (al singolare e al plurale) nel corpo


del testo del romanzo, cui vanno aggiunte una ricorrenza nella
premessa, cinque ricorrenze nei sottotitoli dei capitoli e la gi
vista ricorrenza della forma latina a pagina 163. Poco pi avanti
Abbone aggiunge: La biblioteca si difende da sola, insondabile
come la verit che ospita, ingannevole come la menzogna che
custodisce. Labirinto spirituale, anche labirinto terreno. Potreste entrare e potreste non uscire (R 46).
Guglielmo non si lascia impressionare, soprattutto da
quando comincia ad intuire che la ferrea maglia posta a protezione della biblioteca sta cominciando a cedere a causa di torbide storie di favori omosessuali in cambio di libri proibiti (le dicerie sul suicida Adelmo e sullaiuto bibliotecario Berengario
arrivano presto alle orecchie di Guglielmo e, come dice Alinardo, da noi qualcuno ha violato linterdetto, ha rotto i sigilli del
labirinto, R 164); ma al suo primo tentativo di esplorazione del
labirinto si render conto di avere a che fare con un avversario
temibile, perch vi si perde e trova luscita solo per un colpo di
fortuna. Si tratta allora di ragionare, e dopo aver scartato alcune
ipotesi, come quella di mettere segni particolari col carbone in
ogni stanza attraversata (cfr. R 180 e 218), o quella di costruire
una bussola rudimentale con un vaso dacqua, del sughero, un
ago di ferro e un pezzo di magnete (cfr. R 217-218), o ancora
quella di ricorrere a un filo di Arianna (cfr. R 218), Guglielmo
decide che bisogna usare la matematica, perch senza la matematica non fai labirinti (R 219). In tal modo, basandosi sulle
osservazioni raccolte in occasione della prima visita e conside-

!105

rando la costruzione dallesterno, Guglielmo comprende la


struttura del labirinto perch entra nella mente e nella logica del
costruttore, adottando contemporaneamente ci che il filosofo
americano Daniel Dennett chiama atteggiamento progettuale e
atteggiamento intenzionale, che sono congetture sulle intenzioni del progettista le quali consentono di realizzare quella che
sempre Dennett chiama ermeneutica degli artefatti o ingegneria
inversa52: Ma come accade, dissi ammirato, che siete riuscito a risolvere il mistero della biblioteca guardandola da fuori
e non lavete risolto quando eravate dentro? Cos Dio conosce
il mondo, perch lo ha concepito nella sua mente, come dallesterno, prima che fosse creato, mentre noi non ne conosciamo la
regola, perch vi viviamo dentro trovandolo gi fatto. Cos si
possono conoscere le cose guardandole dal di fuori! Le cose
dellarte, perch ripercorriamo nella nostra mente le operazioni
dellartefice. Non le cose della natura, perch non sono opera
della nostra mente (R 222).

IV
Con ci entriamo nel cuore della logica della scoperta
investigativa di Guglielmo, che Eco costruisce sulla falsariga
52

Cfr. in particolare il primo capitolo di Dennett 1978 (il cui decimo capitolo,
sulla distinzione tra iconofili e iconofobi nellambito delle scienze cognitive, sar pi volte citato in Eco 1997: cfr. 97, 397 e 416), nonch il 8.6 di
Dennett 1995.

!106

della logica della scoperta scientifica del filosofo americano


Charles Sanders Peirce, del cui pensiero logico e semiotico egli
uno dei massimi esperti e cultori53. Per mostrare in che modo
Eco presti a Guglielmo la logica peirceana dellindagine, ci baster qui fare riferimento a due saggi: Corna, zoccoli, scarpe: tre
tipi di abduzione e Labduzione in Uqbar.
In questi due saggi, che gettano molta luce sulla filosofia
del racconto poliziesco che sta alla base del Nome della rosa,
Eco cerca di dimostrare che Conan Doyle e Borges, pur senza
saperlo (il primo intitol La scienza della deduzione il secondo capitolo di Uno studio in rosso, mentre il secondo non lesse
mai Peirce), nelle loro storie di detection applicavano in realt
quasi alla lettera la forma di inferenza che Peirce chiamava ab-

53

Praticamente tutte le grandi opere teoriche di Eco, da Eco 1968 a Eco


1975, da Eco 1990 a Eco 1997, da Eco 2003 a Eco 2007b, contengono sezioni pi o meno ampie dedicate a Peirce, che costituisce forse il punto di riferimento pi duraturo e importante di tutto il suo percorso filosofico.

!107

duzione54. Una illustrazione sintetica e chiarissima di questa


nozione fornita da Peirce in una conferenza del 1903 dal titolo
Pragmatismo inteso come logica dellabduzione: Il fatto sorprendente C viene osservato. Ma se A fosse vero, C ne sarebbe
una conseguenza. Quindi, c ragione di sospettare che A sia
vero55. Lesempio che preferisce Eco nei due saggi citati, per
distinguere labduzione dalla deduzione e dallinduzione, quello dei fagioli, escogitato dallo stesso Peirce (e Peirce e i fagioli il titolo del 1.2 di Corna, zoccoli, scarpe). La sintesi che
segue, inevitabilmente semplificata, basata sul 3 di Labduzione in Uqbar.56

54

Questa tesi epistemologica classica di Eco stata recentemente messa in


discussione da un allievo di Eco, Renato Giovannoli, il quale tornato a rimettere al centro la nozione di deduzione. Cfr. Giovannoli 2007, peraltro
corredato da una prefazione dello stesso Eco, che nella nota 3 scrive: Il lettore dovr poi decidere se Holmes faceva veramente delle deduzioni o non
piuttosto delle abduzioni, e su questo pare si disegni qualche discrepanza tra
alcuni miei vecchi studi e gli approfondimenti di Giovannoli, ma non per
questo gli potevo rifiutare una prefazione, anche perch i suoi approfondimenti mi hanno provocato alcuni dubbi, che coltiver nei pochi decenni che
gli inveramenti della fantascienza mi consentiranno ancora di vivere (in
Giovannoli 2007: 13). In R 265, addirittura, Giovannoli trova un esempio in
cui Guglielmo, ragionando abduttivamente, spinge Adso a una falsa conclusione, ma per correggerlo reimposta il ragionamento in forma perfettamente
sillogistica, cio deduttiva (cfr. Giovannoli 2007: 76).
55 In Peirce 2005: 572.
56 Per maggiori dettagli, per esempio per la distinzione tra abduzione ipercodificata, ipocodificata e creativa, si vedano i 2.14.2, 2.14.3 e 2.14.4 di Eco
1975 e i 2.2, 2.3 e 3.1 di Corna, zoccoli, scarpe. Una sintesi pi completa
fornita in Lorusso 2008: 47-49.

!108

Supponiamo che su un tavolo ci sia un sacchetto di fagioli e che io sappia che tutti i fagioli del sacchetto sono bianchi (legge); allora, se io prendo senza guardare un pugno di fagioli dal sacchetto (caso) posso predire senza dubbio che i fagioli che ho nel pugno saranno bianchi (risultato). Questo un
esempio di ragionamento deduttivo: da una legge, attraverso un
caso, posso predire con certezza un risultato particolare. Ma
ovvio che nella vita o nella scienza o in unindagine poliziesca
raramente possiamo fare ricorso a un esempio di deduzione pura
come questa, perch in genere non abbiamo leggi a disposizione
da cui partire.
Se invece non so cosa ci sia nel sacchetto, posso infilare
la mano e constatare che, come risultato, ho tirato fuori dei fagioli bianchi. Ripeto loperazione un certo numero di volte e
ottengo sempre lo stesso risultato. Allora posso inferire, con un
certo grado di sicurezza (ma mai con assoluta certezza), che
questi risultati siano casi di una legge, la legge secondo cui tutti
i fagioli del sacchetto sono bianchi. Questo un esempio di ragionamento induttivo, perch da una serie di risultati particolari
interpretati come casi di una stessa legge arrivo a formulare
lipotesi che tale legge generale sia vera (anche se da un momento allaltro pu spuntare il fagiolo non bianco che la falsifica
irrimediabilmente).
Immaginiamo ora una situazione ben diversa. Ho davanti
a me un sacchetto e, accanto ad esso, un mucchietto di fagioli
bianchi. Non so cosa ci sia nel sacchetto, n so chi abbia messo
l i fagioli. La loro presenza un fatto, cio un risultato, curioso

!109

e sorprendente. Posso per fare una congettura, cio ipotizzare


una legge di cui il risultato dato un caso. Se la legge fosse
vera, e se il mio risultato ne fosse un caso, allora esso sarebbe
non pi sorprendente ma spiegabilissimo come conseguenza
della legge attraverso il caso. Infatti, se la legge che tutti i fagioli del sacchetto sono bianchi e il caso che il mucchietto di
fagioli proviene dal sacchetto, allora ovvio che come risultato
avr un mucchietto di fagioli bianchi accanto al sacchetto.
Quindi c ragione di sospettare che la legge sia vera. questa
labduzione, che secondo Peirce la procedura normalmente
seguita dagli scienziati e secondo Eco la procedura normalmente seguita dagli investigatori delle detective stories e dagli
stessi lettori alle prese con linterpretazione di un testo. Ma si
noti che labduzione non garantisce scoperte impressionanti,
perch aperta alla falsificazione, anche se resta lunico strumento di scoperta a disposizione della nostra fallibilit. Le leggi
da cui ricavare uno stesso risultato, infatti, sono potenzialmente
infinite, e tutto Il nome della rosa, in fondo, un esempio di fallimento di una procedura abduttiva, perch Guglielmo spiega
dei risultati (i monaci morti) come casi di una legge (lo schema
delle sette trombe dellApocalisse) falsa, anche se la stessa lo
condurr al cospetto del responsabile principale della catena di
delitti. , questo, un indice di quella forza del falso di cui si
detto nella Premessa.
Alla luce di quanto precede e dei saggi citati, risulter
chiarissimo il passo del romanzo, altrimenti difficilmente decifrabile, in cui Guglielmo spiega ad Adso il suo metodo investi-

!110

gativo: Adso, disse Guglielmo, risolvere un mistero non la


stessa cosa che dedurre da principi primi. E non equivale neppure a raccogliere tanti dati particolari per poi inferire una legge
generale. Significa piuttosto trovarsi di fronte a uno, o due, o tre
dati particolari che apparentemente non hanno nulla in comune,
e cercare di immaginare se possono essere tanti casi di una legge
generale che non conosci ancora, e che forse non mai stata
enunciata (R 307). E prosegue facendo lesempio, di origine
aristotelica, del problema della definizione degli animali con le
corna, lo stesso che discusso dettagliatamente nel primo paragrafo di Corna, zoccoli, scarpe. Poi aggiunge: Di fronte ad alcuni fatti inspiegabili tu devi provare a immaginare molte leggi
generali, di cui non vedi ancora la connessione con i fatti di cui
ti occupi: e di colpo, nella connessione improvvisa di un risultato, un caso e una legge, ti si profila un ragionamento che ti pare
pi convincente degli altri. Provi ad applicarlo a tutti i casi simili, a usarlo per trarne previsioni, e scopri che avevi indovinato.
() E cos faccio ora io. Allineo tanti elementi sconnessi e fingo delle ipotesi. Ma ne devo fingere molte, e numerose sono
quelle cos assurde che mi vergognerei a dirtele (R 307-308). E
qui Guglielmo ritorna allepisodio iniziale di Brunello, spiegando che egli aveva elaborato molte ipotesi a partire dalle tracce
osservate nella neve, tra i cespugli e sugli alberi, e che fu solo
alla vista del cellario Remigio e dei servi che lo cercavano che
scelse come migliore delle altre lipotesi delle tracce lasciate
dagli zoccoli, dalla coda e dalle orecchie del cavallo dellabate,
il pi prezioso dellabbazia; mentre il lettore scopre che tutto

!111

lepisodio era un riadattamento quasi letterale di una pagina del


terzo capitolo di Zadig di Voltaire, come rivela il secondo paragrafo di Corna, zoccoli, scarpe.
interessante osservare come questo elogio della congettura turbi il benedettino Adso, che aderisce a una nozione
realista della verit e a una visione del mondo in cui c perfetta
corrispondenza, garantita da Dio, tra ordine delle idee e ordine
delle cose, e arriva persino a rimpiangere per un momento le
certezze incrollabili dellinquisitore Bernardo Gui: Ebbi
limpressione che Guglielmo non fosse affatto interessato alla
verit, che altro non che ladeguazione tra la cosa e lintelletto.
Egli invece si divertiva a immaginare quanti pi possibili fosse
possibile. In quel momento, lo confesso, disperai del mio maestro e mi sorpresi a pensare: Meno male che arrivato linquisitore. Parteggiai per la sete di verit che animava Bernardo
Gui (R 309). Pi avanti (cfr. R 396) Adso ribadir che con
lavanzare dellet ha imparato ad apprezzare sempre meno
lintelligenza curiosa e la volont pratica e sempre pi labbandono passivo alla volont di Dio e la fede paziente che non interroga ed garanzia unica di salvezza, dimostrando di non capire Guglielmo (si ricordi il modello Averro) quando questi
dice che come filosofo dubita che il mondo abbia un ordine (cfr.
R 397) e fa lelogio del libero esame come lecito esercizio di
una ragione che, per quanto fragile, pur sempre un dono di Dio
(cfr. R 139); elogio che invece solo il giovane e ambiguo Bencio
da Upsala mostra di apprezzare (cfr. R 142).

!112

questa, dunque, la logica fragile, congetturale, fallibile,


votata alla deriva della rete rizomatica, con la quale Guglielmo
vince e perde la sua sfida al labirinto, decifrandone la struttura e
smascherandone e inducendo al suicidio liberatorio il custodeMinotauro.

!113

CAPITOLO 3

LINIZIAZIONE DEL LETTORE

I
Ma Il nome della rosa non solo un romanzo in cui
messa in scena la sfida al labirinto ad opera di un personaggio e
del suo giovane accompagnatore. Il nome della rosa esso stesso un labirinto testuale che il lettore chiamato a sfidare, sottoponendosi nel contempo a un vero e proprio rito di iniziazione.
Naturalmente questo vale per ogni testo estetico, e nessuno
come Eco ha saputo spiegare il piacere dello smarrimento nei
boschi narrativi. Ma proprio perch egli aveva cos a lungo riflettuto sul coinvolgimento del lector nella fabula, analizzando
il modo in cui un testo esige dal lettore tutta una serie di atti di
cooperazione interpretativa, nel Nome della rosa ha portato alle
conseguenze estreme il gioco delle strategie di interazione tra
lettore e testo, costruendo una vera e propria macchina labirinti-

!114

ca fatta per inghiottire il lettore e risputarlo in altra forma, cio


per iniziarlo a dei veri e propri misteri narrativi e concettuali.
Di iniziazione nel romanzo si parla in due occasioni.
Nella prima si dice che Ubertino da Casale era stato iniziato da
Angela da Foligno, una donna con cui aveva rapporti intensissimi, ai tesori della vita mistica e alladorazione della
croce (R 61); nella seconda si dice che Bencio avrebbe dovuto
essere iniziato dal bibliotecario Malachia, comera consuetudine
(cfr. R 45), ai segreti della biblioteca per prendere il posto del
defunto Berengario, anche se poi labate gli nega questo privilegio (cfr. R 418). Ma di iniziazione del lettore, come visto nellIntroduzione, Eco parla esplicitamente nelle Postille, laddove
dice che le prime cento pagine del romanzo devono costituire
una sorta di penitenza per il lettore, il quale, superato lo scoglio
delliniziazione, comincer a prendere la forma del Lettore Modello richiesto dal testo: Dopo aver letto il manoscritto, gli
amici della casa editrice mi suggerirono di accorciare le prime
cento pagine, che trovavano molto impegnative e faticose. Non
ebbi dubbi, rifiutai, perch, sostenevo, se qualcuno voleva entrare nellabbazia e viverci sette giorni, doveva accettarne il ritmo.
Se non ci riusciva, non sarebbe mai riuscito a leggere tutto il
libro. Quindi, funzione penitenziale, iniziatoria, delle prime cento pagine, e a chi non piace peggio per lui, rimane alle falde della collina. () [S]crivere costruire, attraverso il testo, il proprio modello di lettore. () Che lettore modello volevo, mentre
scrivevo? Un complice, certo, che stesse al mio gioco. Io volevo
diventare completamente medievale e vivere nel Medio Evo

!115

come se fosse il mio tempo (e viceversa). Ma al tempo stesso


volevo, con tutte le mie forze, che si disegnasse una figura di
lettore il quale, superata liniziazione, diventasse mia preda, ovvero preda del testo e pensasse di non volere altro che ci che il
testo gli offriva. Un testo vuole essere una esperienza di trasformazione per il proprio lettore (in R 520, 522, 523).
di strane metamorfosi, dunque, che dovremo parlare in
questo capitolo, perch esse sono la premessa e la condizione
del rito di iniziazione.
In una sorta di inquietante e ingannevole gioco di specchi, infatti, in cui il falso dellimmagine via daccesso privilegiata alla comprensione di una verit pi profonda, il lettore trova il riflesso straniato di se stesso in alcune situazioni del romanzo, cos come negli specchi della biblioteca-labirinto (cfr. R
175-176) o in certi testi della stessa biblioteca (cfr. R 244 e 325)
Adso scorge con terrore e inquietudine limmagine deformata di
se stesso, ovvero del suo smarrimento nel labirinto della biblioteca, e dei propri patimenti damore per la ragazza sconosciuta
amata nelle cucine. Nei ricordati R 244 e 325 egli si trova nella
biblioteca ed ha quellesperienza tipica della proiezione della
propria situazione in un testo che gli evoca le proverbiali parole
di Orazio (Satire, I, 1, 69-70) che la esprimono cos efficacemente de te fabula narratur e che in seguito torneranno in
mente anche a Yambo Bodoni, mentre alle prese con la febbrile ricerca del proprio passato nella memoria di carta, di fronte
alle numerose immagini di Sherlock Holmes (nelle classiche
illustrazioni di Sidney Paget) seduto e intento a leggere lettere,

!116

decifrare messaggi criptati o interpretare segni apparentemente


sconnessi (cfr. L 153).
Nel primo caso, avventuratosi da solo nel labirinto, Adso
sfoglia un imprecisato volume riccamente miniato che per lo
stile gli sembra provenire dallultima Thule. A colpirlo, inizialmente, in una pagina in cui cominciava il vangelo di Marco,
limmagine dettagliata e inquietante di un leone, che per la sua
ambiguit simbolica gli evoca sia il diavolo che Cristo (cfr. R
243). Sfogliando ancora il volume, Adso scorge, allinizio del
vangelo di Matteo, limmagine di un uomo, che per lo inquieta
pi del leone perch luomo catafratto in una sorta di pianeta
rigida che lo copre sino ai piedi ed incrostata di pietre preziose. Qui linquietudine di Adso nasce dal fatto che luomo gli
evoca lassassino cui lui e Guglielmo stanno dando la caccia: e
capii perch collegavo cos strettamente la belva e il catafratto al
labirinto: perch entrambi, come tutte le figure di quel libro,
emergevano da un tessuto figurato di labirinti interallacciati,
dove linee donice e smeraldo, fili di crisopazio, nastri di berillo
sembravano tutti alludere al gomitolo di sale e corridoi in cui mi
trovavo () e il veder rappresentato su quelle pergamene il mio
errare mi riemp di inquietudine e mi convinse che ciascuno di
quei libri raccontava per misteriosi cachinni la mia storia in quel
momento. De te fabula narratur, mi dissi, e mi domandai se

!117

quelle pagine non contenessero gi la storia degli istanti futuri


che mi attendevano57.
Nel secondo caso, quando Adso e Guglielmo ricostruiscono finalmente la mappa del labirinto, pur senza riuscire ancora a risolvere lenigma per entrare nel Finis Africae, mentre si
trovano nelle sale del torrione meridionale che costituiscono il
fatidico Leones, il novizio approfitta di un momento in cui il
suo maestro si fa attrarre da alcuni trattati arabi di ottica per spostarsi nella sala accanto, in cui si trovano libri, in genere arabi,
dedicati alle malattie del corpo e dello spirito. Qui Adso si sofferma sullo Speculum amoris di fra Massimo da Bologna, un
libro costituito da citazioni di altri autori incentrate tutte sulla
malattia damore, e naturalmente ha una ricaduta, perch
come la lettura dei libri di medicina ci convince di avere tutti i
disturbi di cui essi trattano, la lettura di un libro sulle pene dellamore ci convince che si sta parlando di noi: bast la vista di
quel libro a farmi dire de te fabula narratur e a scoprirmi pi
malato damore di quanto non credessi.

II

57

Nel volume sfogliato da Adso si possono scorgere chiari riferimenti a due


famosi codici delle isole britanniche, i Vangeli di Echternach dellVIII secolo, per il leone che simboleggia levangelista Marco, e il Libro di Durrow del
VII secolo, per luomo catafratto che rappresenta levangelista Matteo.

!118

LAdso lettore, in questi casi, figura del lettore del


Nome della rosa, perch la rischiosa avventura conoscitiva e investigativa del novizio e del maestro, con i suoi vari incidenti di
percorso (come il franare di Adso nellabisso dellossessione
amorosa per la ragazza con cui si casualmente e convulsamente accoppiato nelle cucine), allude allavventura interpretativa e
conoscitiva del lettore del romanzo, che sin dalla premessa capisce di essere finito in qualcosa che sta tra un labirinto di specchi
e la biblioteca di Babele.
Sin dallapertura, infatti, il romanzo adesca il lettore con
false promesse consolatorie di agevole accessibilit, a cominciare dal topos del manoscritto ritrovato. Cosa c di pi familiare
di un romanzo in cui la voce narrante d a credere di aver trovato un manoscritto? Non si tratta della stessa strategia testuale dei
Promessi Sposi, il romanzo capostipite della narrativa italiana
contemporanea che qualunque cittadino italiano che abbia frequentato la scuola dellobbligo conosce almeno sommariamente? Eppure gi solo quel Naturalmente, un manoscritto che d
il titolo alla premessa un capolavoro di ironia perch nasconde
un gioco di incassamenti e biforcazioni tra il reale e limmaginario che sconcertano e disorientano il lettore.
La tecnica, consistente nel non far capire bene chi sta
parlando esattamente, simile a quella del Gordon Pym di Poe,
il cui gioco di successivi incassamenti narrativi sar analizzato
magistralmente dallo stesso Eco nella prima delle sue sei passeggiate nei boschi narrativi.

!119

Cosa fa Poe? Intanto premette al romanzo una Nota introduttiva firmata da A. G. Pym, cio lo stesso protagonista
che esordir nel racconto in prima persona dicendo Mi chiamo
Arthur Gordon Pym. Fin qui, niente di strano. Ma si d il caso
che nella nota Pym faccia riferimento a un certo mister Poe, il
quale lanno prima, cio nel 1837, aveva pubblicato sul Southern Literary Messenger a proprio nome due puntate delle
stesse avventure, narrate da Pym in prima persona. E allora?
Pym che inventa Poe o Poe che inventa Pym? Naturalmente a
questo livello lautore empirico Poe che inventa il personaggio-narratore Pym che parla dellautore empirico Poe come se
fosse una propria invenzione. Ma le cose sono ancora pi complicate, perch in appendice al romanzo il lettore trova una
Nota in cui un terzo personaggio-editore, chiamiamolo Mister
X perch anonimo, parla sia della morte di Pym e della perdita
degli ultimi due o tre capitoli della storia da lui stesso raccontata
sia di mister Poe, il primo curatore della storia, cui peraltro, a
detta di Mister X, sarebbe sfuggita la chiave per decifrare le
strane figure che compaiono verso la fine del racconto superstite
di Pym. Conclude Eco: Dovremmo allora giustificare il lettore
che iniziasse a sospettare che lautore empirico fosse il signor
Poe, che aveva inventato un personaggio romanzescamente dato
come reale, il signor X, che parla di una persona falsamente reale, il signor Pym, che a propria volta agisce come il narratore di
una storia romanzesca. Lunico elemento imbarazzante sarebbe
che questo personaggio romanzesco parla del signor Poe (quello
reale) come se fosse un abitante del proprio universo fittizio.

!120

Chi in tutto questo intrico testuale lautore modello? Chiunque


sia, la voce, o la strategia, che confonde i vari supposti autori
empirici affinch il lettore modello sia coinvolto in questo teatro
catottrico (Eco 1994: 26-27).
Il labirinto di voci narranti escogitato da Eco nel Nome
della rosa non meno ingegnoso. Nella premessa c un narratore fittizio che dice Io, il quale racconta che il 16 agosto
1968, trovandosi a Praga (come lautore empirico Umberto Eco,
del resto, che il primo settembre avrebbe raccontato la sua esperienza della fine della Primavera di Praga, fuga a Vienna compresa, dalle colonne de LEspresso con un articolo famoso dal
titolo Li ho visti danzare attorno ai carri armati58) in attesa di
una persona cara, venne in possesso di un libro stampato a Parigi nel 1842 in cui un tale abate Vallet (personaggio storico) forniva una versione in francese neogotico di un manoscritto in latino del XIV secolo di un certo Adso (o Adson) da Melk, cos
come era stato edito nel XVII secolo dallerudito benedettino J.
Mabillon (altro personaggio storico). Ma la notte tra il 20 e 21
agosto le truppe sovietiche invasero la citt e cos il narratore
dovette spostarsi a Vienna, dove raggiunse la persona attesa, con
la quale cominci a risalire il Danubio per poi raggiungere Sali58

E vale la pena sottolineare il fatto che, tra biografia e invenzione, Il nome


della rosa prendeva il suo avvio da Praga, la citt magica di Rodolfo II e
Khunrath trasformatasi tra la fine del XVI e linizio del XVII secolo in vero e
proprio laboratorio alchemico e ampiamente omaggiata in seguito da Eco nel
Pendolo di Foucault (cfr. in particolare P 157, 317-318 e 322-327) e naturalmente ne Il cimitero di Praga (sulla scorta di quanto era stato anticipato nel
Pendolo nelle gi citate sezioni in cui si racconta la storia dei Protocolli).

!121

sburgo. Nel frattempo il narratore legge e traduce febbrilmente


in italiano la versione francese del manoscritto latino, di cui non
trova traccia nel monastero di Melk visitato durante il viaggio.
Prima di arrivare a Salisburgo, per, il sodalizio con la persona
cara si rompe e questa scompare portando involontariamente
con s il libro dellabate Vallet. Rimasto con la sua versione italiana approntata frettolosamente, mesi dopo il narratore approfondisce le proprie ricerche a Parigi, ma non trova altre tracce n
del libro di Vallet n di quello di Mabillon, per cui comincia a
pensare di essere rimasto con la traduzione di un falso avuto accidentalmente tra le mani per qualche giorno.
Riassumendo: lautore empirico Umberto Eco inventa il
narratore di una premessa che vive in un mondo possibile in cui
gode di alcune propriet che sono identiche a quelle del suo
creatore reale, come lessere stato testimone a Praga dellinvasione dei russi, anche se ne possiede altre totalmente fittizie,
come quella di aver avuto in mano il libro dellabate Vallet; questo narratore, dunque, appronta la versione italiana di una traduzione francese, ad opera del Vallet, delledizione secentesca, dovuta al benedettino Mabillon, di un manoscritto latino della fine
del XIV secolo, steso da un anziano monaco benedettino, in cui
vengono raccontate vicende oscure e luttuose accadute nellultima settimana del mese di novembre del 1327 in una abbazia
situata in una imprecisata localit del nord-ovest dellItalia.
A questo punto della premessa c uno stacco temporale,
riempito da un oscuro riferimento del narratore a Grard de
Nerval, autore di quellonirico e nebbioso racconto intitolato

!122

Sylvie che costituisce da sempre una delle ossessioni esegetiche


di Umberto Eco59 , nonch di un altro racconto, intitolato Anglique, in cui, nel solito gioco di specchi, contenuta una storia
simile a quella che fa da preambolo al Nome della rosa: il narratore trova in una bancarella un libro sullabate di Bucquoy e decide di non comprarlo, ma poi pensa di realizzare uno studio sullo stesso personaggio e va alla disperata ricerca del libro che
aveva deciso di non comprare pur avendolo avuto tra le mani.
Dice il narratore di Eco: Vi sono momenti magici, di grande
stanchezza fisica e intensa eccitazione motoria, in cui si danno
visioni di persone conosciute in passato (en me retraant ces
details, jen suis me demander sils sont rels, ou bien si je les
ai rvs). Come appresi pi tardi dal bel libretto dellAbb de
Bucquoy, si danno altres visioni di libri non ancora scritti (R
13).
Questo passo, in cui citato in francese un luogo di Sylvie e in cui si allude ad Anglique, introduce la situazione chiarissimamente borgesiana (altro gioco di specchi) narrata subito
dopo. Nel 1970, trovandosi a curiosare tra i banchi di un libraio
antiquario di Buenos Aires (e dove se non nella patria di Borges?), il narratore dice che gli capit tra le mani la traduzione
castigliana delloriginale ormai introvabile in lingua georgiana
(uscito a Tiblisi nel 1934) di un libretto di Milo Temesvar, Delluso degli specchi nel gioco degli scacchi, di cui addirittura
59

Culminata con la pubblicazione, nel 1999, di unedizione italiana Einaudi


del racconto a cura dello stesso Eco.

!123

dice di aver gi parlato per sentito dire in un suo libro intitolato


Apocalittici e integrati, nel contesto di una recensione di unaltra e pi recente opera di Temesvar, I venditori di Apocalisse.
Come si vede, dunque, il narratore nel suo mondo fittizio condivide unaltra propriet con lautore empirico Umberto Eco, che
quella di avere scritto unopera con lo stesso titolo e sicuramente identica almeno laddove si parla di Temesvar, e se si va a
controllare il passo di Apocalittici e integrati cui si fa riferimento, si scopre che Temesvar pubblic anonimo il libretto sugli
specchi e gli scacchi per confutare una sua precedente opera dal
titolo (guarda caso) Le fonti bibliografiche di J. L. Borges e confondere cos le idee ai propri lettori (cfr. Eco 1964: 365).
Ora, per, si d il caso che il linguista, sociologo e cultore di intelligenza artificiale (applicata al programma di riduzione
della poesia a circuiti logici riproducibili da un cervello elettronico) Milo Temesvar, nato in Albania, che lasci il suo paese per
laccusa di deviazionismo di sinistra, che si rifugi in Unione
Sovietica, che in seguito emigr negli Stati Uniti per insegnare
lingue slave presso la Rutgers University, da cui si allontan per
pressioni dellF.B.I., per poi comparire per breve tempo in Argentina, stato borgesianamente inventato di sana pianta e in
questi termini da Umberto Eco proprio in Apocalittici e integrati! Ma cosa trova il narratore della prefazione del Nome della
rosa nellimmaginaria opera sugli specchi e gli scacchi dellimmaginario Milo Temesvar? Vi trova nientemeno che ampie citazioni dal manoscritto di Adso, compresa la descrizione del labirinto, salvo che la fonte non era n il Vallet n il Mabillon, ben-

!124

s il padre Athanasius Kircher (ma quale opera?) (R 13), un gesuita dagli interessi bizzarri ed enciclopedici del XVII secolo, di
cui il bibliofilo Eco possiede oggi tutte le numerose opere originali meno una (cfr. Eco e Carrire 2009: 117).
Il disegno del labirinto di specchi in cui il lettore viene
catapultato non appena apre il romanzo ora completo, anche se
tutto questo riguarda solo il problema di capire chi stia parlando.
Ebbene, appena il lettore comincia a leggere il Prologo, si imbatte nella caratteristica principale del romanzo, che consiste nel
fatto che esso risulta scritto quasi interamente con pezzi di altri
libri e testi vari, appartenenti non solo a una ideale biblioteca
medievale, ma anche alla biblioteca universale, che comprende
cio testi scritti prima del Medioevo e addirittura dopo. Nelle
prime parole del romanzo, infatti, Adso usa frasi tratte dallincipit del Vangelo di Giovanni (che gi costituivano lincipit del
Morgante di Pulci) e da Paolo (a sua volta gi citato da Huizinga, come visto), e questo solo un anticipo di riscaldamento
dellincubo intertestuale che aspetta il lettore, il quale capisce
subito di essere sotto penitenza e di aver bisogno di una qualche
iniziazione.

III
Per capire di che tipo di penitenza e di iniziazione si tratti occorre soffermarsi su un passo insieme curioso e interessante,
uno di quei passi che contengono per speculum et in aenigmate

!125

come una sorta di figura della situazione del lettore, tanto che
con Adso egli pu dire a se stesso: de te fabula narratur. Nelle
prime edizioni del romanzo, a pagina 135 (siamo poco oltre la
met di Secondo giorno terza), laddove Guglielmo ispeziona
nello scriptorium il tavolo del povero Venanzio, nella notte trovato morto dentro lorcio pieno del sangue dei maiali, si legge:
Un altro libro greco era aperto sul leggo, lopera su cui Venanzio stava compiendo nei giorni scorsi il suo lavoro di traduttore.
Io allora non conoscevo ancora il greco, ma il mio maestro lesse
il titolo e disse che erano le Metamorfosi di Apuleio, una favola
pagana di cui avevo sentito parlare come di opera sconsigliata ai
novizi. Ora, il passo innanzi tutto curioso perch contiene un
lapsus calami abbastanza divertente (che neanche il pi scarso
dei liceali potrebbe mai commettere, visto che se prende un
brutto voto su Apuleio sa benissimo in quale materia lo ha preso), dato che Venanzio non poteva tradurre dal greco al latino
unopera gi scritta in latino! Ebbene, nelle edizioni successive
compare la dovuta correzione, ed interessante vedere come ha
proceduto Eco. Il passo, ora, suona cos: Un altro libro greco
era aperto sul leggo, lopera su cui Venanzio stava compiendo
nei giorni scorsi il suo lavoro di traduttore. Io allora non conoscevo ancora il greco, ma il mio maestro disse che era di un tale
Luciano e narrava di un uomo trasformato in asino. Ricordai
allora una favola analoga di Apuleio, che ai novizi era di solito
severamente sconsigliata. Di conseguenza stato anche aggiustato un rigo di pagina 137, dove si riprende largomento e Guglielmo dice a Jorge: Certo, Apuleio e Luciano erano colpevoli

!126

di molti errori. () Ma questa favola contiene sotto il velame


delle proprie finzioni anche una buona morale, perch insegna
quanto si paghino i propri errori e inoltre credo che la storia delluomo trasformato in asino alluda alla metamorfosi dellanima
che cade nel peccato (mentre prima si aveva: Indubbiamente
Apuleio di Madaura ebbe fama di mago. () Ma questa favola
contiene).
Come si vede, Eco risolve il problema sostituendo le Metamorfosi o Lasino doro di Apuleio con Lucio ovvero lasino
attribuito a Luciano di Samosata (ma attribuzione
controversa), che unopera in greco pi o meno coeva ed
molto simile alla prima nella trama, anche se molto pi breve e
rapida. Ancora oggi non chiaro ai filologi chi abbia copiato chi
o se entrambi abbiano attinto da una fonte comune andata perduta, quelle misteriose Metamorfosi di Lucio di Patre di cui si ha
notizia grazie a Fozio, patriarca di Costantinopoli vissuto nel IX
secolo, che nella sua Biblioteca dice di averle lette e di conoscere pure il testo di Luciano, che gli sembra una riduzione dellopera di Lucio.
C da chiedersi perch Eco abbia lasciato questo riferimento alla vicenda di Lucio, considerato anche il fatto che del
testo su cui stava lavorando Venanzio prima di morire avvelenato dallopera di Aristotele non si far pi alcun cenno nel romanzo. Evidentemente Eco tiene molto a questa citazione, perch essa non contiene solo il senso morale e allegorico tanto
caro a Guglielmo, ma rispecchia deformandola sarcasticamente, forse anche attraverso la contaminazione ironica con Pinoc-

!127

chio (senzaltro la pi celebre riformulazione moderna della favola di Lucio) la situazione del lettore del Nome della rosa. Si
ripensi alla situazione di Lucio: pasticciando con dei filtri magici si ritrova trasformato in asino, anzich in uccello, come desiderava (cfr. Apuleio, III, 24-25 e Luciano, 13), e dopo mille peripezie potr finalmente mangiare le rose che lo faranno ritornare uomo. noto che in Apuleio il rito iniziatico che permetter a
Lucio di riacquistare la forma umana molto complesso e prevede pi fasi o livelli, anche perch dovr diventare sacerdote
della dea Iside, mentre in Luciano lasino si imbatte casualmente
nelle rose allorch si trova in un teatro dove costretto ad esibire le sue prodigiose doti sessuali (cfr. Luciano, 52-54). In ogni
caso, anche in Apuleio lelemento-chiave una corona di rose
(cfr. XI, 13), e questo fatto spinge irresistibilmente a istituire un
parallelismo, magari un po arbitrario e forzato, ma in ogni caso
rivelatore, con la situazione del lettore, chiamato a uscire dal
labirinto mangiando con gli occhi e con la mente un romanzo
intitolato Il nome della rosa e raggiungendo lilluminazione del
Senso attraverso la decifrazione, cio la digestione, di un esametro latino finale che parla della rosa primigenia e del suo nome.
Sarebbe troppo facile sostenere questo parallelismo tra il mangiar rose e il comprendere il romanzo e lesametro sulla rosa
ricordando che il verbo latino sapere significa sia sentire il sapore che venire a sapere e che sul legame etimologico tra
sapore e sapienza giocava gi Tommaso Campanella, ma
qui basta richiamare un passo del quinto capitolo del Pendolo di
Foucault, romanzo ironicamente sapienziale e iniziatorio come

!128

pochi altri, laddove Eco fa dire allesperto di cabala Diotallevi,


rivolto a Belbo: La parola va mangiata lentissimamente, puoi
dissolverla e ricombinarla solo se la lasci sciogliere sulla lingua,
e attento a non sbavarla sul caffetano, perch se una lettera evapora si spezza il filo che sta per unirti alle sefirot superiori (P
34). E, per rimanere al Pendolo, interessante notare per contrasto come lasino e la rosa (cos come le perle e i porci) vengano
associati, ma questa volta per tenerli ben lontani, nei testi ermetici ed iniziatici dei ciarlatani che promettono un segreto sempre
differito, perch vuoto, e sembrano morire dalla voglia di rivelare una cosa cos importante, ma cos importante che deve rimanere segreta (P 154)60. Il frontespizio del famigerato Le
nozze chimiche di Christian Rosencreutz (1616) di Johann Valentin Andreae, uno dei testi fondativi della balla rosacrociana,
da cui Eco ricava ben cinque epigrafi per altrettanti capitoli del
Pendolo (9, 56, 57, 104 e 119), recava tra laltro anche il seguente motto latino (che costituisce la seconda epigrafe del cap.
104 del Pendolo): Arcana publicata vilescunt: et gratiam prophanata amittunt. Ergo: ne Margaritas obijce porcis, seu Asino
substerne rosas. Ovvero: le cose segrete, se rese pubbliche, vengono svilite e, diffuse tra i profani, perdono la grazia; dunque,
non dare margherite (o perle) ai porci e non fare allasino un letto di rose. Viceversa, chi ha qualcosa da rivelare, per quanto dif60

Cfr. anche P 491-492, nonch Eco 1990: 45, 50 e 85. Si tratta di una tecnica di cui si ricorder anche il falsario e spia Simonini, il quale far sua una
regola come questa: Meglio non possedere nessun segreto e far credere di
possederne (C 335).

!129

ficile sia da comprendere e purch non sia un segreto vuoto, non


teme di offrirlo in pasto anche agli asini.

IV
Rimanendo in tema di costruzione narrativa volutamente
complessa che ha lo scopo di iniziare il lettore ai misteri del testo (cio del linguaggio e del suo rapporto con il mondo), vale la
pena dare uno sguardo pi attento al Pendolo, perch qui Eco
raggiunge vette cos alte che nei quattro romanzi successivi eviter di andare oltre e si accontenter di strategie testuali relativamente pi lineari. Quello che egli mette in atto in questo romanzo un dispositivo narrativo labirintico che coinvolge e
scompiglia non pi solo il chi e il come narra (come era accaduto nel Nome della rosa) ma anche il quando e persino il da dove
narra (altro che il Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi
duole di Adso: R 503).
In termini generalissimi, il romanzo narrato in prima
persona dal milanese di origini valdostane Casaubon, laureato in
filosofia con una tesi sui Templari, uno dei tre personaggi principali insieme a Jacobo Belbo, un intellettuale piemontese inquieto e apparentemente scettico, e Diotallevi, pure lui piemontese e cos appassionato di cabala da autoconvincersi di essere
ebreo. Sulla base delle indicazioni interne, per la verit non
sempre esplicite, si pu arguire che nel 1984 Casaubon abbia 33
anni (cfr. P 27 e 47), Belbo ne abbia 52 (cfr. P 54 e soprattutto

!130

93: quindi un coetaneo e un po un alter ego di Eco, tant


vero che ha gli stessi ricordi dinfanzia decisivi) e Diotallevi un
paio di meno (cfr. P 66 e 445). Il romanzo costituito da 120
capitoli raggruppati in 10 parti, ciascuna delle quali corrispondente a una delle 10 sefirot, che secondo il sistema cabalistico
codificato nellantico Sefer Jetzirah (Libro della formazione),
di attribuzione e datazione incerte, e soprattutto nello Zohar
(Libro dello splendore), composto verso la fine del XIII secolo, costituiscono insieme le emanazioni nella scala del creato e
le propriet, gli attributi verbali proferibili, ovvero le articolazioni creatrici, di Dio, che lEn-Sof, cio lIn-finito, lUno, di
per s Inesprimibile nel suo nome segreto:
1. Keter: la Corona, lOrigine; lo stesso En-Sof? (1-2);
2. Hokmah: la Sapienza (3-6);
3. Binah: lIntelligenza (7-22);
4. Hesed: lAmore (23-33);
5. Geburah: la Giustizia, il Terrore (34-63);
6. Tiferet: la Piet, lArmonia (64-106);
7. Nezah: lEternit, la Vittoria (107-111);
8. Hod: la Maest, la Gloria, lo Splendore (112-117);
9. Jesod: il Fondamento (118-119);
10. Malkut: il Regno (120).
Tuttavia le cose non sono cos semplici, perch Casaubon non costruisce il romanzo da solo, n narra in un tempo uniforme e dallo stesso punto di vista spaziale, emotivo e cognitivo.

!131

Innanzi tutto egli narra dallorlo spazio-temporale della vicenda,


dalla casa di campagna di Belbo tra Langhe e Monferrato nella
notte tra il 25 e il 26 giugno 1984, mentre attende di essere raggiunto dai sicari (che non sappiamo se arriveranno mai) dei
nuovi Templari che si sono identificati nel Piano da lui inventato
insieme a Belbo e a Diotallevi. Ma in gran parte ci che Casaubon ora ricorda con animo pacificato e con piena comprensione
della dinamica degli eventi ci che per passare il tempo ricordava la sera del 24 con animo inquieto e ignaro dellepilogo della vicenda del Piano, mentre si trovava dentro la garitta del Periscopio del Conservatoire des Arts et Mtiers di Parigi, cio nel
museo in cui custodito il Pendolo di Foucault, in attesa che a
mezzanotte accadesse ci che pensava sarebbe accaduto, senza
per averne la certezza (perch, in fondo, la storia che aveva letto fino alla mattina di quel giorno nei file di Belbo poteva essere
frutto della paranoia dellamico). Questi due stati emotivi e cognitivi in tempi e luoghi diversi determinano una certa fluttuazione nel tono e nel ritmo della narrazione: Come era pi avventurosa, incerta, demente, la ricostruzione che tentavo, per
ingannare il tempo, e per tenermi vivo, laltra sera, dalle cinque
alle dieci, ritto nel periscopio, mentre per far circolare il sangue
muovevo lentamente e mollemente le gambe, come se seguissi
un ritmo afro-brasiliano. () Laltra sera nel periscopio non
avevo alcuna prova che ci che mi aveva rivelato la stampante
fosse vero. Potevo ancora difendermi col dubbio. Entro mezzanotte mi sarei forse accorto che ero venuto a Parigi, che mi ero
nascosto come un ladro in un innocuo museo della tecnica, solo

!132

perch mi ero introdotto stolidamente in una macumba organizzata per turisti e mi ero lasciato prendere dallipnosi dei perfumadores, e dal ritmo dei pontos... E la mia memoria tentava volta per volta il disincanto, la piet e il sospetto, nel ricomporre il
mosaico, e quel clima mentale, quella stessa oscillazione tra illusione fabulatoria e presentimento di una trappola, vorrei conservare ora, mentre a mente ben pi lucida sto riflettendo su
quello che allora pensavo, ricomponendo i documenti letti freneticamente il giorno prima, e la mattina stessa allaeroporto e durante il viaggio verso Parigi. () Sono qui, ora, dopo aver raggiunto spero la serenit e lAmor Fati, a riprodurre la storia
che ricostruivo, pieno di inquietudine e di speranza che fosse
falsa nel periscopio, due sere fa, per averla letta due giorni
prima nellappartamento di Belbo e per averla vissuta, in parte
senza averne coscienza, negli ultimi dodici anni, tra il whisky di
Pilade e la polvere della Garamond Editori (P 42-43).
Inoltre, questo doppio gioco oscillatorio tra due dimensioni del tempo della memoria e tra passato e presente d a Casaubon loccasione per proiettare il proprio sdoppiamento sul
piano metafisico, sulla base dellinsegnamento cabalistico di
Diotallevi, il quale, come vedremo, d il suo contributo allarchitettura del romanzo: Ricordo (e ricordavo), per dare un senso al disordine della nostra creazione sbagliata. Ora, come laltra
sera nel periscopio, mi contraggo in un punto remoto della mente per emanarne una storia. Come il Pendolo. Diotallevi me lo
aveva detto, la prima sefirah Keter, la Corona, lorigine, il
vuoto primordiale. Egli cre dapprima un punto, che divenne il

!133

Pensiero, ove disegn tutte le figure... Era e non era, chiuso nel
nome e sfuggito al nome, non aveva ancora altro nome che
Chi?, puro desiderio di essere chiamato con un nome... In
principio egli tracci dei segni nellaura, una vampa scura scatur dal suo fondo pi segreto, come una nebbia senza colore che
dia forma allinforme, e non appena essa cominci a distendersi,
al suo centro si form una scaturigine di fiamme che si riversarono a illuminare le sefirot inferiori, gi sino al Regno (P 21).
Come si vede, qui comincia a insinuarsi maliziosamente anche
Eco attraverso dei doppi sensi: la frase mi contraggo in un punto remoto della mente per emanarne una storia. Come il Pendolo, infatti, se mettiamo in corsivo la parola Pendolo, possiamo attribuirla allautore del romanzo, che ne pur sempre il
vero Demiurgo. Dunque, il narratore Casaubon si contrae in un
punto, come il Pendolo, per rievocare oscillando nel tempo la
storia che lo ha condotto fin l (prima nel Periscopio e poi nella
pavesiana casa in collina) e che coincide con il romanzo; lautore Eco, analogamente, si contrae in un punto per emanare il
romanzo, cio una storia come il Pendolo. Entrambi, poi, scimmiottano il processo creativo di Keter, che si serve di figure e
di segni (le sefirot) come uno scrittore. Oppure, meglio: Keter che, come Dio creatore, stato inventato dagli uomini e dipinto come la scimmia di uno scrittore, lunico essere capace di
creare con la parola.
Ora, poich Casaubon riceve da Diotallevi la sapienza
cabalistica e alle sue istruzioni fa costante riferimento ogni volta
che trascrive la sua storia sul palinsesto delle emanazioni sefiro-

!134

tiche, a Diotallevi che va attribuita la strutturazione in chiave


sapienziale del racconto, con la suddetta divisione in parti che
ripercorrono il movimento delle sefirot. Non solo, ma con i suoi
file custoditi nella sua casa di Milano e i suoi manoscritti custoditi nellarmadio della casa in collina, Belbo a fornire la materia per gran parte del racconto e la chiave per interpretarlo come
un percorso personale di autopunizione e di espiazione, di senso
di colpa per un destino di vilt e di ricerca di un riscatto attraverso un gesto unico e salvifico. In tal senso, Belbo il vero
protagonista e creatore del romanzo, sia perch la sua vicenda
umana ed esistenziale a ricevere maggiore approfondimento storico e psicologico sia perch molti dei suoi file sono abbozzi
creativi e aborti del romanzo stesso, che pu venire alla luce
solo con la sua morte e con lintervento ordinatore di chi arriva
dopo il compimento del suo destino e la definizione del senso
della sua vita. Si aggiunga che tra i suoi file Casaubon ne trova
uno molto strano: trovai un intero file che raccoglieva solo citazioni. Tratte dalle letture pi recenti di Belbo, le riconoscevo a
prima vista, quanti testi analoghi avevamo letto in quei mesi...
Erano numerate: centoventi. Il numero non era casuale, oppure
la coincidenza era inquietante. Ma perch quelle e non altre? (P
42). Ebbene, nel corso del romanzo non si far mai pi cenno a
questo file di citazioni, ma il lettore non pu non inferire che
esse siano proprio quelle che compaiono in testa a ciascuno dei
120 capitoli e i cui lacerti, tratti in genere dalla prima frase (ma
non sempre, perch non di rado compare la seconda e talvolta
persino lultima), vanno a costituire gli enigmatici e quasi in-

!135

comprensibili titoli dei rispettivi capitoli nellindice in fondo al


volume. Se ora si pensa che queste citazioni introduttive tratte
da tutto lo scibile umano, dai ciarlatani delloccultismo ai classici del pensiero sapienziale (come il Corpus Hermeticum), dalle
lettere private ai grandi filosofi (Bacone, Popper, Cioran), dai
manifesti rosacrociani alla grande letteratura (Dante, Shakespeare, Goethe, Borges), fino a Woody Allen stanno in un rapporto
come di prefigurazione straniata e in nuce con il rispettivo capitolo, si trova ulteriore conferma del fatto che Belbo ha un ruolo
decisivo nella creazione del romanzo.
Come si vede, dunque, il narratore interno del romanzo
triforme, perch si incarna in varie modalit nei tre personaggi
coinvolti, ciascuno dei quali contribuisce a diversi livelli: Diotallevi traccia il superiore piano cabalistico su cui spalmare la
materia, Belbo fornisce gran parte della materia e le indicazioni
di maggior dettaglio per la sua distribuzione, mentre Casaubon
si incarica di dispiegare la storia come emanazione del suo logos. Ma tutti e tre, poi, sono solo manifestazioni dellAutore, il
vero creatore di tutto, che cos diventa un Demiurgo uno e trino,
un geroglifico concreto della Trinit, triuno e trinosofico come
il fantomatico ordine mistico e segretissimo del Tres (cfr. P
462).
Si diceva che Eco in seguito eviter di proseguire su questa strada, perch in effetti non pochi sono rimasti infastiditi dalla sua complessit a tratti proibitiva. C da sospettare, per, che
in alcuni casi questa sia stata una giustificazione di facciata per
stroncature che invece avevano ragioni legate al contenuto, per-

!136

ch in questo romanzo Eco non solo d un colpo mortale ad alcune influentissime mode filosofiche dellepoca (oggi un po
appannate, considerato anche che nel frattempo Gadamer, Derrida e Rorty sono morti) ma smaschera le procedure mentali ed
interpretative deliranti che sono alla base sia della teoria della
cospirazione che dello stesso atteggiamento religioso, come era
gi chiaro nel passo di Popper 1963 citato nellIntroduzione.
Dando unocchiata al dibattito sulla stampa apertosi subito dopo luscita del romanzo61 , si nota come la critica si divise
tra chi, come Maria Corti, apprezzava la borgesiana arguzia affabulatoria di Eco e chi o denunciava, come Pietro Citati, un
cialtronesco vuoto di idee e di valore letterario dietro liper-letterariet istrionica dello stile citazionista, oppure, come LOsservatore Romano, lanciava anatemi contro il presunto laicismo nichilista di un autore che riduceva in modo offensivo la
Storia a un caos di stupidit e complotti incrociati, senzalcuna
speranza di recupero di una visione saldamente cristiana e provvidenzialista (visione che tra laltro appare, alla luce del Pendo-

61

Un bilancio si trova in Erbani 1990. Erbani partiva dal dato che per Il
Pendolo di Foucault di Umberto Eco il bilancio comunque in rosso: di 36
recensioni comparse su quotidiani e periodici italiani 17 sono quelle negative,
12 quelle positive, 7 quelle problematiche e, dopo una esauriente carrellata
di opinioni pro e contro il romanzo (tra cui quelle citate qui), concludeva:
Lipotesi che la severit verso Eco nasconda tanta invidia fra le pi verosimili.

!137

lo, come una variante edulcorata e semplicistica della teoria


sempre pi sofisticata del complotto: cfr. ad es. P 491)62 .
Lattesa per il secondo romanzo di Eco, montata anche
da unabile campagna pubblicitaria sui media, port a unesplosione delle vendite e le cronache giornalistiche del tempo parlano di 600.000 copie vendute in pochi giorni, che poi si sarebbero dirette verso il milione a seguito dellassegnazione del Premio Bancarella del 1989 (ad oggi siamo intorno ai due milioni
di copie, contro gli oltre cinque del Nome della rosa, rivelatosi
anche un grande long seller). Tuttavia si cominci a diffondere
ben presto una boutade maliziosa secondo la quale il Pendolo di
Foucault era il romanzo pi venduto e meno letto dellanno. Ho
ancora nella memoria unapparizione televisiva di Giulio Andreotti di quel periodo nella quale, alla domanda su quale libro
stesse leggendo, il colto statista rispose che stava leggendo il
Pendolo di Foucault ma che sin dalla prima pagina non stava
capendo un tubo (parole sue) per via delle formule matematiche iniziali. Questa difficolt Andreotti tornato ad esprimerla
nel suo breve contributo (datato 12 marzo 2004) in Montalto (a
cura di) 2009: 215: Ho il privilegio di essere su uno strapuntino nellAssociazione Bibliofili ed in tale veste ho incontrato
Eco (). Gli dissi una volta che facevo fatica, anzi non riuscivo,
a sviluppare la complessa radice quadrata in una pagina del suo

62

Gli intellettuali clericali, del resto, non perdono mai occasione per attaccare il laico e loico Eco. Si vedano ad esempio Introvigne 1987 e Introvigne
2010, rispettivamente sul Nome della rosa e sul Cimitero di Praga.

!138

Pendolo di Foucault. Prontamente mi invit a saltare la pagina e


ad andare oltre.
Non importa che Andreotti qui ricordi male, perch nel
romanzo non c alcuna complessa radice quadrata da sviluppare, ma solo la formula del periodo del pendolo semplice (dato
dal doppio di moltiplicato per la radice quadrata del rapporto
tra la lunghezza del filo e laccelerazione di gravit g, e siccome
e g sono costanti, del valore rispettivamente di circa 3,14 e
9,8, un semplice calcolo mostra che in definitiva il periodo
equivale a poco pi del doppio della radice quadrata della lunghezza del filo), descritta nella prima pagina del romanzo (P 9) e
data nella consueta espressione matematica nellepigrafe al capitolo 114 (cfr. P 474). Quello che importa che egli esprime un
disagio che ha spinto e continua a spingere molti ad abbandonare quasi subito la lettura del romanzo. In effetti, per il lettore
medio (absit iniuria verbis, sia chiaro: visto che in Italia i lettori
abituali costituiscono una stretta minoranza della popolazione,
quasi dei giapponesi nel fortino, per lettore medio intendo qui
la maggioranza di una minoranza eroica) aprire il Pendolo di
Foucault come entrare in una specie di incubo cognitivo. Per
limitarci solo alla soglia del romanzo, il Lettore Modello previsto o da costruire una specie di mostro culturale piuttosto improbabile nellItalia di oggi, il cui sistema scolastico-educativo
riflette ancora la rigida separazione crociano-gentiliana di ispirazione idealistica tra sapere umanistico e sapere scientifico, per
cui in genere (ma per fortuna non sempre) chi si sente portato
per il primo trascura il secondo, e viceversa. Laletta della so-

!139

vraccoperta annuncia unopera complessa di cui difficile stabilire le classiche unit di tempo, luogo e azione, perch i piani
delle tre unit sono molteplici e intrecciati e non si capisce se il
romanzo duri sette o diciotto secoli, dodici anni tra il 1972 e il
1984 o due anni tra il 1943 e il 1945, o addirittura una sola sera,
n se tale sera sia quella parigina del 23 giugno 1984 o quella
langhigiana tra il 26 e il 27 giugno dello stesso anno (e qui il
lettore che taglier il traguardo della pagina 509 dovr rendersi
conto che c un refuso, perch la notte finale in realt quella
tra il 25 e il 26 giugno), essendo vere in un certo senso tutte
queste cose insieme. In ogni caso il lettore capisce che avr a
che fare con il museo parigino dove esposto il Pendolo di Foucault, con il Brasile, con il sapere ermetico e gnostico, con i
Templari e i Rosa-Croce, e con tre sconsiderati redattori di una
casa editrice che la combinano grossa inventando un Piano per
la conquista del mondo che qualcuno prender terribilmente sul
serio Gi a pagina 2, cio prima ancora del frontespizio, il
lettore si trova di fronte a una riproduzione cinquecentesca a
stampa dellalbero delle sefirot, una struttura esagonale di cerchi
con strane parole dentro collegati da linee, che per essere anche
solo compresa passabilmente richiede un corso accelerato di cabala ebraica di alcune ore. A pagina 5 si incontrano due citazioni
abbastanza scoraggianti a mo di epigrafi generali: una tratta dal
De occulta philosophia del medico, astrologo, alchimista, mago
e cabalista rinascimentale tedesco Agrippa di Nettesheim, in cui
si dice che questopera (quindi anche il Pendolo) scritta solo
per i figli della dottrina e della sapienza che sapranno deci-

!140

frarne i segni, e laltra tratta da 5000 B. C. del grande logico,


filosofo e prestigiatore contemporaneo americano Raymond
Smullyan, in cui si dice, con il tipico gusto dellautore per il paradosso e lenigma, che la superstizione porta sfortuna. Voltando ancora pagina, il lettore scorge a pagina 7, sospesa nel
vuoto, lindicazione: 1. Keter. Se abbastanza sveglio, dovrebbe ricordare che quella parola, sebbene nella forma Cheter, lha gi vista scritta nel cerchio in cima allalbero delle sefirot; a questo punto potrebbe andare allIndice in fondo al volume e scoprire che il romanzo suddiviso in dieci parti per un
totale di 120 capitoli, che i titoli delle dieci parti coincidono con
i nomi inscritti negli altrettanti cerchi dellalbero delle sefirot e
che da una rapida lettura dei titoli dei capitoli non si cava un ragno dal buco in termini di comprensione, perch si tratta quasi
sempre di spezzoni di frasi. Allora meglio tornare indietro e
aprire finalmente pagina 9, la prima del romanzo, che per sferra subito un micidiale pugno a entrambi gli occhi, perch porta
in epigrafe un bel passo di nove righe in ebraico, peraltro senza
alcuna indicazione della fonte (che il lettore paziente trover
come seconda voce dellindice delle illustrazioni, dopo lIndice
generale). Fu allora che vidi il Pendolo, lincipit, forse la
prima frase amica, confortevole e davvero comprensibile che il
lettore abbia incontrato fino a questo momento, ma il suo sollievo subito frustrato dalla descrizione prima matematica e poi
via via sempre pi misterica delle propriet fisico-pitagoricometafisiche del Pendolo di Foucault, che al centro della seconda
pagina culmina nel richiamo di quellillusione fabulatoria che

!141

spinge ad attribuire al piano di oscillazione una velocit angolare di rotazione proporzionale al seno della latitudine del punto
del pianeta in cui si trova sospeso il Pendolo. Ed precisamente
qui che il campo si riempie di cadaveri di lettori che non hanno
retto oltre.
Ricordo che a ventanni, nel 1989, riuscii a sopravvivere
a queste pagine per una pura combinazione di circostanze fortuite. Avevo letto due anni prima il Nome della rosa e quindi anchio ero curioso di leggere il Pendolo, che mi procurai attraverso il prestito bibliotecario. Ero un ex liceale appassionato di filosofia che aveva appena abbandonato gli studi di ingegneria al
Politecnico di Torino, e pertanto ero fresco di studi di matematica e fisica. Ebbene, la frustrazione sopra descritta fino allincipit
venne improvvisamente e inaspettatamente compensata dalla
sensazione di trionfo provata alla scoperta di quelle che mi sembrarono subito due gravi imprecisioni nella prima descrizione
della formula del periodo del pendolo semplice: Io sapevo ()
che il periodo era regolato dal rapporto tra la radice quadrata
della lunghezza del filo e quel numero , comincia a dire
Casaubon (P 9). Alt! Non solo nessun manuale di fisica chiamerebbe rapporto un prodotto (visto che per rapporto si intende comunemente la divisione), ma qui, per bocca di Casaubon,
Eco dimentica la costante di gravit g, che compare naturalmente nellespressione matematica della formula cos come si trova
nellepigrafe del capitolo 114, costituita dallestratto di una lettera del matematico e professore di ingegneria civile e architettura alla Columbia University Mario Salvadori indirizzata al-

!142

lamico Eco (ovvero, nella finzione narrativa, a Belbo: cfr. P 474


e 475). Questa dimenticanza mi sembr persino volontaria, perch la scomparsa di g (e del suo 9, pur importante nelle antiche
numerologie, ma qui di difficile utilizzazione) permette subito
dopo a Casaubon di fare le sue prime speculazioni aritmosofiche
sui primi quattro numeri (fondamentali per i pitagorici, perch
sommati danno il dieci, raffigurato nella sacra tetracts, un
triangolo equilatero formato da dieci punti) e sul cerchio (figura
perfetta per eccellenza per la sapienza greca): il tempo di quel
vagare di una sfera dalluno allaltro polo era effetto di una arcana cospirazione tra le pi intemporali delle misure, lunit del
punto di sospensione, la dualit di una astratta dimensione, la
natura ternaria di , il tetragono segreto della radice, la perfezione del cerchio.
Fu grazie al fatto di essermi trovato casualmente in grado
di svolgere simili considerazioni che proseguii, ingenuo e baldanzoso, la lettura, facendo finta di non accorgermi di non avere
la pi pallida idea di che diavolo fossero, per esempio, il Centro
del Mondo di Agarttha e Avalon liperborea, che appaiono gi
allinizio della seconda pagina.
Oggi tutto cambiato e i lettori pi esigenti possono togliersi quasi senza alcuno sforzo e gratuitamente lo sfizio di non
lasciar passare nulla e di controllare in tempo reale la nuova e
sempre identica biblioteca di Babele in cui, non appena varcano
la soglia, come un Demiurgo ghignante Eco li getta (e usando
questo verbo vorrei che se ne sentissero anche gli echi esistenzialistici). Leggendo il romanzo davanti a un computer connesso

!143

a internet, infatti, possibile accedere direttamente da casa a


quasi tutta lenciclopedia ermetica cui attinge Eco per intessere
il suo discorso iniziatico ancora una volta alla rovescia, perch il
segreto che lui sveler al termine delliniziazione del lettore a
tutto il ciarpame della letteratura iniziatica e dei suoi dispositivi
di discorso che non c alcun segreto, e quelli che dicono di
custodire un segreto custodiscono in realt solo un segreto vuoto
(con buona pace di Dan Brown e del finale del suo Il simbolo
perduto). Come indica il passo del misterioso filosofo e alchimista arabo Artefio, posto in epigrafe al capitolo 60, si tratta di
nuovo di percorrere labirinti, sia narrativi che dottrinari: Povero stolto! Sarai cos ingenuo da credere che ti insegniamo apertamente il pi grande e il pi importante dei segreti? Ti assicuro
che chi vorr spiegare secondo il senso ordinario e letterale delle
parole ci che scrivono i Filosofi Ermetici, si trover preso nei
meandri di un labirinto dal quale non potr fuggire, e non avr
filo di Arianna che lo guidi per uscirne63 . E cos il lettore che
per caso o necessit apre la voce di Wikipedia sui Rosa-Croce si
trova davanti limmagine della stessa stampa allegorica secente63

P 277. Per altre menzioni del labirinto nel corpo del testo, cfr. P 267, 287,
304, 320, 358, 368, 391, 415, 463, mentre in P 352 Casaubon, in pieno furore
creativo per la costruzione del labirinto del Piano, dice di s non casualmente
che entr nella clinica dove Lia aveva appena partorito barcollando come se
avesse la labirintite. E a proposito dellIsola del giorno prima, Eco dir:
nellIsola volevo che il lettore si confondesse, e non riuscisse pi a orientarsi nel piccolo labirinto di quella nave che riservava sempre nuove
sorprese (Eco 2002: 339. Cfr. anche 333-334).

!144

sca che Belbo tiene appesa al muro della sua stanza-studio, di


fronte alla consolle con il computer Abulafia, e che Casaubon
descrive dettagliatamente nel capitolo 4. Il lettore che invece
vuole farsi unidea di come fossero stampati i volumi ermetici e
sapienziali del Seicento, pu provare a cercare uno dei pi importanti di tutti, quellAmphitheatrum sapientia aeternae di
Heinrich Khunrath, pi volte citato nel romanzo. Allora si accorger che possibile scaricare liberamente in un comodo file
in pdf la scannerizzazione completa di unedizione secentesca,
nonch prendere visione di alcune delle preziose tavole che illustravano la prima, rarissima edizione del volume in riproduzioni
digitali ad alta risoluzione, e che nel suo file Lo strano gabinetto del Dottor Dee Belbo descrive, tra laltro, abbastanza dettagliatamente e con qualche contaminazione, quella che riproduce
lo studio dellalchimista (cfr. P 326). Lo stesso Eco, del resto,
ironizzava nel romanzo sulla reperibilit dei testi che andava
citando, e cos, nel corso del sabba tragicomico, circense e cialtronesco del capitolo 113, quando il fantasma evocato del conte
di San Germano si mette a recitare in francese passi della sua
(presunta) Trs Sainte Trinosophie, Agli, che crede di essere
una delle reincarnazioni del Conte, urla: lho ben scritta io,
chiunque pu leggerla per sessanta franchi! (P 468). Ebbene,
oggi il lettore non solo pu ordinare in rete comodamente da
casa per poco pi di 14 euro la versione italiana delle Edizioni
Mediterranee (1978 e successive edizioni), ma pu addirittura
scaricarsi la riproduzione digitale del manoscritto originale, con
le sue ricche e coloratissime illustrazioni. E ovviamente pu sca-

!145

ricare pure il Pendolo di Foucault in un comodo e utilissimo file


in pdf. Lo stesso vale per il Nome della rosa.

V
A proposito dei labirinti, della semiosi ermetica alla
Khunrath e pi in generale dellinterpretazione sospettosa e delleccesso di meraviglia, tutti temi comuni a Eco 1990 e al Pendolo di Foucault (ma che costituiscono una costante un po in
tutta lopera di Eco e si ritrovano anche, in qualche modo e variamente declinati, nel Nome della rosa), c un fatto curioso che
vale la pena mettere in luce. A un certo punto del sabba del capitolo 113 del Pendolo, il fantasma di Khunrath, evocato dai medium in forma di civetta (la stessa che appare in una tavola
khunrathiana, dove si vede una specie di gufo o civetta con occhiali e naso umano, con due candele nei rispettivi candelabri ai
lati e con due fiaccole incrociate davanti: cfr. anche le ultime
righe di P 467), pronuncia in sequenza le quattro seguenti stringhe verbali (P 468-469):
HalleluIah HalleluIah
Was helfen Fackeln Licht oder Briln so die Leut nicht sehen wollen
Symbolon ksmou t ntra ka tn enkosmin dunmen erthento
oi theolgoi

!146

Phy, Phy Diabolo

Ora, non difficile scoprire che si tratta di formule tratte dallAmphitheatrum (della cui prima edizione del 1595 Agli possiede una copia: cfr. P 226-227). La prima e la quarta ricorrono
insieme pi di una volta, per esempio nel paratesto introduttivo
e nella parte bassa della ciambella di testo che circonda la famosa tavola della stanza dellalchimista; mentre la seconda, in tedesco (A cosa servono le fiaccole, la luce o gli occhiali, quando
la gente non vuol vedere?), compare in un cartiglio ai piedi della
civetta o gufo della tavola summenzionata. Ma la terza che
rivela delle sorprese molto interessanti. In unopera alchemica in
cui trionfano, tra laltro, le caverne cabalistiche (come si dice
in P 158), e in cui una tavola importante dedicata proprio alla
caverna, il cui accesso con scalinata circondato da formule latine, ebraiche e greche, non sorprendente trovare un passo in
greco in cui si dice che i teologi consideravano gli antri simboli
del cosmo e delle potenze cosmiche. E il lettore di primo livello
del Pendolo potrebbe fermarsi qui. Tuttavia, tuttaltro che futile chiedersi come mai Eco abbia scelto proprio quel passo, visto
che si tratta di una citazione tratta da uno scritto minore di Porfirio, il discepolo di Plotino attivo tra la seconda met del III e i
primi anni del IV secolo cui si devono, tra laltro, la pubblicazione delle Enneadi del maestro e la prima formulazione, nella
sua breve introduzione alle Categorie di Aristotele nota come
Isagoge, di quel problema filosofico che ha scatenato nel Me-

!147

dioevo la celebre disputa sugli universali, peraltro ancora


aperta nel dibattito filosofico64.
Il passo declamato dal fantasma di Khunrath tratto dal
breve scritto di Porfirio noto col titolo latino De antro Nympharum, la cui prima edizione a stampa del 1518. Le cose interessanti, a questo punto, sono due: a) il contenuto di tale scritto e b)
il fatto che Eco non lo citi mai esplicitamente da nessunaltra
parte (se non mi sbaglio).
Cominciamo da questo secondo punto. Come abbiamo
visto, Eco ha frequentato a lungo Porfirio, e in particolare lIsagoge, citato molte altre volte al di fuori dellAntiporfirio. Inoltre,
in Eco 1993: 165 e in Eco 2007b: 162, 164, 167-9 e 172 troviamo riferimenti a unaltra opera di Porfirio, il De abstinentia,
64

Non sarebbe esagerato considerare Eco 1997 come unopera appartenente


al filone della disputa sugli universali, per non parlare del Nome della rosa,
in cui tutte le discussioni linguistico-semiotiche di Guglielmo basate su un
approccio nominalistico riassumono un semplice capitolo di tale disputa,
quello aperto dal flatus vocis di Roscellino e culminato, attraverso approfondimenti, precisazioni e correzioni, nelloccamismo. In Kant e lornitorinco,
infatti, Aristotele, i medievali, Kant, Peirce, i linguisti, i filosofi analitici,
ecc., sono ampiamente discussi alla luce della semiotica, della teoria dei tipi
cognitivi e delle nozioni semantiche di dizionario ed enciclopedia. Porfirio
aveva scritto il passo che avrebbe tormentato tutta la filosofia successiva nella dedica iniziale dellIsagoge, rivolta a un certo Crisaorio, un patrizio e senatore romano, peraltro per dire che avrebbe evitato il problema: Ti avverto
subito che non affronter il problema dei generi e delle specie: cio se siano
di per s sussistenti o se siano semplici concetti mentali; e, nel caso che siano
sussistenti, se siano corporei o incorporei; e, infine, se siano separati o se si
trovino nelle cose sensibili, ad esse inerenti; questo infatti un tema molto
complesso, che ha bisogno di un altro tipo di indagine, molto pi approfondita (Porfirio 1995: 57). La sfida, anche se involontariamente, era lanciata.

!148

dove tra laltro si difendono tesi vegetariane sulla base di argomenti a sostegno dellintelligenza e della sensibilit animale.
Daltra parte, in Eco 1985: 218 e in Eco 2007b: 124 (nota 9),
Eco menziona tra gli altri anche Porfirio allorch, basandosi su
studiosi come Auerbach e Ppin (a sua volta autore di un saggio
del 1966 proprio su Porfirio esegeta di Omero), osserva che,
cos come i medievali, anche gli autori classici consideravano
simbolo e allegoria come sinonimi. E sembra che qui si
possa scorgere unallusione a Lantro delle Ninfe, ancorch molto indiretta, perch in questo testo (cfr. ad es. 3, 4 e 7) si dice
indifferentemente che nei versi presi in esame Omero cela unallegoria e che lantro un simbolo del cosmo. Ma significativo
il fatto che in tali contesti Eco citi di Ppin non il saggio sullAntro delle Ninfe (Porphyre Exgte dHomre) ma quelli sullallegorismo (Mythe et allgorie, 1958 e Dante et la tradition
de lallgorie, 1970).
Ora la domanda : allepoca in cui ha scritto il Pendolo,
Eco aveva presente il contenuto dellopera di Porfirio da cui
tratto il passo messo in bocca al fantasma di Khunrath e prelevato dallAmphitheatrum? Il problema non di poco conto, perch, come vedremo, Lantro delle Ninfe riserva molte sorprese
in relazione alle tematiche che stanno a cuore ad Eco. Gi sulla
base di quanto illustrato sopra, si potrebbe congetturare ragionevolmente una risposta negativa alla domanda. Ma il 25 gennaio
2010 ho avuto una conferma dallo stesso Eco, al quale ho potuto
sottoporre la questione di persona a Venezia, al termine della sua
presentazione di Vertigine della lista a Palazzo Grassi. Con la

!149

sua consueta disponibilit, Eco ha chiarito il mio dubbio dicendomi che allepoca citava direttamente da Khunrath, senza avere
presente Lantro delle Ninfe.
Per ironia della storia, poi, la prima traduzione italiana di
questo testo di Porfirio uscita presso Adelphi nel 1986, cio
proprio mentre Eco lavorava al romanzo.65 Ma di cosa parla
Lantro delle Ninfe? Il breve scritto del filosofo neoplatonico si
inserisce in una tradizione esegetica che leggeva Omero in chiave ermetica (in senso lato, cio non strettamente limitato ai contenuti del Corpus Hermeticum), considerandolo portatore di una
sapienza antica e perenne che lo accomuna per esempio a Platone, agli Orfici, ai Pitagorici, a Eraclito, agli Egizi, ai Caldei e
persino a Mos, per cui nei suoi versi si nasconderebbe una Dottrina unitaria che questo accostamento sincretistico permette di
mettere in luce. La fortuna di Porfirio che tutte le sue fonti
(cio i lavori analoghi di filosofi precedenti di area soprattutto
mediopitagorica e medioplatonica che lui cita come punti di riferimento) sono andate perdute, sicch per noi il De antro Nympharum diventa un documento eccezionale anche per la ricostruzione della storia della tradizione ermetica e dellermeneutica neoplatonica.
Lantro delle Ninfe prende le mosse dai versi 102-112 del
tredicesimo libro dellOdissea, che si trovano nel contesto in cui
65

Ledizione ha il testo greco a fronte ed fornita, tra laltro, anche di un


ampio commento (per un testo di una ventina di pagine venuto fuori un
volume di 285 pagine) ad opera di Laura Simonini, che purtroppo scomparsa prematuramente prima che il suo pregevolissimo lavoro venisse alla luce.

!150

si racconta che Ulisse, raggiunta finalmente la sua Itaca, nasconde in un antro i ricchi doni che gli avevano fatto i Feaci al
momento della sua partenza dalla loro isola. Porfirio dichiara
subito che lantro, per come descritto in tali versi, un enigma:
In capo al porto vi un olivo dalle ampie foglie:
vicino un antro amabile, oscuro,
sacro alle Ninfe chiamate Naiadi;
in esso sono crateri e anfore
di pietra; l le api ripongono il miele.
E vi sono alti telai di pietra, dove le Ninfe
tessono manti purpurei, meraviglia a vedersi;
qui scorrono acque perenni; due porte vi sono,
una, volta a Borea, la discesa per gli uomini,
laltra, invece, che si volge a Noto, per gli di e non la
varcano gli uomini, ma il cammino degli immortali66.

Cosa c di particolarmente misterioso in questi versi? Ebbene,


Porfirio intanto nota che, come riferiscono i geografi, a Itaca
non c niente del genere (altrimenti si dovrebbe cercare di spiegare lintenzione segreta dei costruttori). Dunque, trattandosi di
uninvenzione poetica, bisogna stare attenti a non considerarla
una fantasia libera e accidentale, perch evidente a sapienti e
profani (cfr. 3) che il poeta ha qui voluto esprimere per enigmi
e allegorie delle profondissime e antichissime cognizioni cosmologiche, metafisiche ed escatologiche. Bisogna dunque esercitare il sospetto e la meraviglia e tenere presente che per gli an66

Si cita la traduzione proposta in Porfirio 1986: 37.

!151

tichi teologi gli antri rappresentavano il cosmo che si forma dalla materia (cfr. 5), che la loro oscurit era simbolo delle potenze invisibili allo sguardo dei sensi (cfr. 7) e che quindi negli
antri veniva posto il simbolo del cosmo e delle potenze cosmiche ( 9).67 Sulla base di tali assunti, Porfirio si lancia nei 36
brevi paragrafi dello scritto in una lettura funambolica che mette
insieme tutto e il contrario di tutto (il miele simbolo di purificazione, di conservazione e di piacere sessuale, quindi di vita,
ma anche di morte: cfr. 15-18). Per cui pu capitare che in
uno stesso giro di frasi del 1068 , un po come accade anche nel
confusissimo Mancuso 2007 (che su questo ha senza saperlo un
lontano precursore in Porfirio), per esprimere lidea di un nesso
tra lanima e lacqua, vengano messi insieme per
somiglianza (come direbbe Eco) il passo biblico sullo spirito
divino che aleggiava sulle acque (Genesi, 1, 2), la dottrina egizia
secondo cui tutte le divinit stanno su una barca e il frammento
77 di Eraclito (tramandatoci proprio grazie a questo luogo di
Porfirio), in cui espressa lidea che per le anime diventare
umide vuol dire provare un piacere grossolano, se non addirittura morire.

67

Porfirio 1986: p. 49 ( questo il luogo esatto citato da Eco nel Pendolo).


Cfr. anche il 21: Ne consegue pertanto che si deve cercare lintenzione di
coloro che consacrarono lantro, se vero che il poeta riferisce un dato reale,
o, se la narrazione una sua finzione poetica, quale ne sia il misterioso significato (Porfirio 1986: 65).
68 Cfr. Porfirio 1986: 51.

!152

In particolare, il passo omerico, che per Porfirio nasconde il dramma della caduta dellanima nel mondo e del suo ritorno nella dimensione del divino, decodificato nel modo seguente (ma si tenga presente che si tratta di una decodifica mobile,
non rigida): lantro simbolo del cosmo; le ninfe e le api sono le
anime; i mantelli tessuti dalle Ninfe rappresentano il rivestimento corporeo, mentre le due porte si riferiscono ai due percorsi
cosmici dellanima, quello della discesa nel mondo materiale e
quello della risalita in quello spirituale. Rappresentante emblematico di questo dramma metafisico dellanima poi Ulisse, di
cui il poema nella sua interezza illustra le tappe della discesa
nella generazione e della risalita verso il mondo di chi ignora il
mare, il cui moto fluttuante era gi per il Platone del Timeo segno di materialit (cfr. 34). A questo punto, in relazione alla
figura di Ulisse e al suo viaggio, Laura Simonini fa un riferimento per noi interessante al significato ermetico e iniziatico del
labirinto: Il lungo viaggio di Odisseo evoca, e in qualche modo
qui sostituisce, il percorso del labirinto, spesso associato al simbolo della caverna, che ha una duplice finalit: permettere
laccesso al centro grazie a un viaggio iniziatico, e proibire o
difendere lentrata ai non iniziati. Esso implica una serie di prove, preliminari al raggiungimento del centro, nasconde sempre
qualcosa di celato e sacro, consacra chi lo ha superato. In una
prospettiva ascetico-mistica, percorrere il labirinto significa
concentrarsi su se stessi, attraverso le mille vie delle sensazioni,
delle passioni, delle idee, superando ogni ostacolo alla pura intuizione per ritornare alla luce. Il percorso labirintico anche

!153

quello allinterno di s, verso una sorta di santuario interiore, in


cui risiede la parte pi misteriosa dellindividualit69 .
Da tutto ci risulta chiaro perch il testo di Porfirio si
illumini di un particolare significato alla luce soprattutto del
Pendolo e del secondo capitolo di Eco 1990 (Aspetti della semiosi ermetica), dove Eco, dopo un accenno allorigine della
tradizione ermetica e gnostica, passa direttamente alla riscoperta
del Corpus Hermeticum in et rinascimentale e agli sviluppi del
sapere gnostico, ermetico ed alchemico in piena rivoluzione
scientifica e fino allet contemporanea. difficile credere che
Eco avrebbe perso loccasione di fare un riferimento esplicito a
questo testo nella seconda met degli anni 80, quando lavorava
al romanzo sul delirio dellinterpretazione e ai problemi filosofici della semiosi ermetica. Porfirio, infatti, sembra rispettare abbastanza fedelmente le caratteristiche della mistica dellinterpretazione illimitata, elencate in nove punti (cfr. Eco 1990: 5253) che disegnano il quadro di una sindrome patologica dellallusione e del sospetto, e implicano una metafisica, tanto influente quanto sotterranea, della somiglianza: linterprete pu piegare il testo a infinite connessioni, mostrare la coincidenza degli
opposti, celebrare linadeguatezza del pensiero davanti al mistero, sviscerare la polivocit dei significati del testo, distinguendosi cos dai lettori dozzinali, i quali comunque possono diventare
eletti se capiscono che possono far dire al testo quello che vogliono, sospettando enigmi dietro la lettera, la quale un vuoto
69

In Porfirio 1986: 245-246.

!154

di senso da riempire, a dispetto di chi, come lo studioso di semiotica, crede che il linguaggio serva per comunicare un pensiero univoco.
Ed ecco allora che, leggendo il passo omerico come se
fosse la pergamena di Provins, Porfirio potrebbe benissimo figurare tra i personaggi del Pendolo. Un curioso aneddoto biografico riferito da lui stesso nel 15 della sua Vita di Plotino ci fornisce lassist perfetto: Io avevo letto, nella festa di Platone, un
poema, Il matrimonio sacro, e siccome avevo detto molte cose
da ispirato nel loro senso mistico e segreto, qualcuno osserv:
Porfirio matto70. Ebbene, questo fa pensare al Monsieur,
vous tes fou (P 485) che lo psicanalista lacaniano Wagner dice
a Casaubon quando questi, verso la fine del romanzo, va a raccontargli la folle storia del Piano da lui inventato per scherzo
insieme a Belbo e Diotallevi, fino al naufragio delle loro menti
nella loro stessa menzogna: Quando ci scambiavamo le risultanze del nostro fantasticare ci sembrava, e giustamente, di procedere per associazioni indebite, cortocircuiti straordinari, a cui
ci saremmo vergognati di prestar fede se ce lo avessero imputato. che ci confortava lintesa ormai tacita, come impone
letichetta dellironia che stavamo parodiando la logica degli
altri. Ma nelle lunghe pause in cui ciascuno accumulava prove
per le riunioni collettive, e con la tranquilla coscienza di accumulare pezzi per una parodia di mosaico, il nostro cervello si
abituava a collegare, collegare, collegare ogni cosa a qualsiasi
70

In Plotino 1992: 25.

!155

altra cosa, e per farlo automaticamente doveva assumere delle


abitudini. Credo non ci sia pi differenza, a un certo punto, tra
abituarsi a fingere di credere e abituarsi a credere (P 367).
Ed particolarmente significativo che Lia, nel decostruire dal punto di vista della sua saggezza tutta pratica, corporale e
femminile queste suppurazioni culturali paranoiche, cos tipiche
della fantasia maschile, torni proprio agli antri e ad Omero,
come se ce lavesse anche con Porfirio: Pim, non ci sono gli
archetipi, c il corpo. Dentro la pancia bello, perch ci cresce
il bambino, si infila il tuo uccellino tutto allegro e scende il cibo
buono saporito, e per questo sono belli e importanti la caverna,
lanfratto, il cunicolo, il sotterraneo, e persino il labirinto che
fatto come le nostre buone e sante trippe, e quando qualcuno
deve inventare qualcosa di importante lo fa venire di l, perch
sei venuto di l anche tu il giorno che sei nato, e la fertilit
sempre in un buco, dove qualcosa prima marcisce e poi ecco l,
un cinesino, un dattero, un baobab (P 287). Finch, quando
smaschera il Piano dando unaltra interpretazione della pergamena di Provins, sentenzia: In Omero non c nessun
segreto (P 425).

VI
Si diceva del filtraggio tramite Pinocchio, dove la metamorfosi in asino del protagonista legata al suo rifiuto della
scuola e dellistruzione. Ebbene, la prima sensazione di smarri-

!156

mento che prova il lettore che entra nel labirinto del Nome della
rosa (ma il discorso vale anche per gli altri cinque romanzi)
legata proprio al suo disagio culturale, perch come se gli crollasse addosso lintera Enciclopedia. Lautore, cio, si diverte a
umiliare il lettore facendolo sentire un asino che si aggira per i
corridoi della biblioteca di Babele e, come visto, gli richiede uno
sforzo notevole, una sorta di addestramento che lo avvicini al
modello di lettore cui il testo alla fine doner laccesso ai segreti
di unintuizione filosofica sul nonsenso del mondo e sui limiti
autoreferenziali del linguaggio, cui si fatto cenno nel primo
capitolo.
Ritorniamo ancora una volta allimportante passo di R
495 e confrontiamolo con il contesto, nel Tractatus logico-philosophicus, della citazione criptica di Wittgenstein che vi ricorre. Di chi sta parlando Wittgenstein quando dice che egli (Er)
deve gettare via la scala dopo essere salito su di essa e oltre
essa? Wittgenstein sta parlando nientemeno che del Lettore Modello (come lo chiamerebbe Eco71 ), ovvero di quel lettore che lo
comprende, che comprende cio lui in quanto Autore Modello
del Tractatus, e quindi del lettore che comprende davvero il
Tractatus. Ma qual il vero senso dellopera che il lettore
chiamato ad afferrare? Il vero senso dellopera che essa co71

E si noti che lo stesso Eco ha discusso un altro celebre passo di Wittgenstein (il 66 della prima parte delle Ricerche filosofiche, quello sui vari giochi e sulle loro somiglianze di famiglia) alla luce delle sue nozioni teoriche di
Lettore e Autore Modello intesi come mere strategie testuali: cfr. Eco 1979:
61 e Eco 1994: 30-31.

!157

stituita da proposizioni insensate72 , e questo Wittgenstein lo rivela nella penultima delle 526 proposizioni di cui lopera
composta e che sono numerate secondo un ordine gerarchico
attorno alle sette principali. Eccola per intero: Le mie proposizioni illuminano cos: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se asceso per esse su esse oltre esse. (Egli
deve, per cos dire, gettar via la scala dopo esser asceso su essa.)
Egli deve trascendere queste proposizioni; allora che egli vede
rettamente il mondo73 . Come si vede, anche il Tractatus prevede un percorso iniziatico per il lettore, il quale alla fine, cio
dopo lardua impresa dellattraversamento di 526 labirintiche
proposizioni spesso oscure, oracolari e dense di sapienza logicomatematica, avr il privilegio di conquistare una retta visione
del mondo. La retta visione del mondo che si illumina davanti
agli occhi del lettore costituita prevalentemente da questi principi fondamentali: 1) il mondo costituito da fatti isolati che
hanno una forma logica, la quale si rispecchia in quella delle
proposizioni del linguaggio che descrivono tali fatti; 2) solo tali
proposizioni hanno senso, e se il fatto possibile che descrivono
sussiste, esse sono vere, altrimenti sono false; 3) la totalit delle
possibili proposizioni vere coincide con la totalit delle scienze
72

Cio unsinnig, ovvero senza un senso (Sinn) perch a certi segni di esse
non stato dato alcun significato (Bedeutung). Questa la situazione tipica,
per Wittgenstein, degli enunciati metafisici, che non va confusa con quella
delle tautologie e delle contraddizioni, che invece sono sinnlos, cio senza
senso empirico. Cfr. ad es. le propp. 4.461, 4.4611, 5.473, 5.4733 e 6.53.
73 Wittgenstein 1922: prop. 6.54.

!158

naturali; 4) la meccanica, per esempio, un tentativo (arbitrario)


di costruire tutte le proposizioni vere che descrivono il mondo a
partire dai suoi assiomi propri, e tale costruzione una sorta di
rete che serve per catturare lordine del mondo (ma ci potrebbero essere altre reti, cui corrispondono altri sistemi differenti di
descrizione del mondo; 5) possono essere rettamente pronunciate solo proposizioni scientifiche, e ogni volta che qualcuno dice
altro (per esempio cose riguardanti la religione, letica e la metafisica) basta mostrargli che i segni che egli usa non hanno alcun
significato (questo anche lunico metodo corretto della filosofia). Di conseguenza, anche le proposizioni del Tractatus sono
insensate, perch non appartengono alla scienza naturale, e
Wittgenstein pu concludere la sua strana opera con la famosissima proposizione 7: Su ci, di cui non si pu parlare, si deve
tacere.
Se ora rileggiamo con attenzione le parole di Guglielmo,
ci accorgiamo che in esse ritorna non solo limmagine wittgensteiniana della scala, ma anche quella della rete: Lordine che
la nostra mente immagina come una rete, o una scala, che si
costruisce per raggiungere qualcosa. Ma dopo si deve gettare la
scala, perch si scopre che, se pure serviva, era priva di senso.
Guglielmo (Eco?) non dubita della verit dei segni, perch essi
sono lunica cosa di cui luomo dispone per orientarsi nel
mondo, ma consapevole che essi servono solo per costruire
reti o scale, cio teorie sempre provvisorie, ipotesi, congetture,
che fungano da mappe di orientamento in un mondo che, aggiunge Guglielmo rispetto a Wittgenstein, non ha un ordine, n

!159

potrebbe mai averlo se ammettiamo che Dio pu fare quello che


vuole, anche a discapito della logica, come abbiamo visto nel
primo capitolo. unidea, questa, che si affaccer anche alla
mente di Roberto de la Grive, mettendogli dei brividi astronomico-metafisici addosso mentre contempla lignoto cielo antipode (I 470) ed costretto ad istituire nuove costellazioni (cfr. I
471): Se il creatore accettava di mutar davviso, esisteva ancora un ordine che Egli avesse imposto alluniverso? Forse ne
aveva imposti molti, sin da principio, forse era disposto a cambiarli giorno per giorno, forse esisteva un ordine segreto che
presiedeva a quel mutare di ordini e di prospettive, ma noi eravamo destinati a non scoprirlo mai, e a seguire piuttosto il gioco
mutevole di quelle apparenze dordine che si riordinavano a
ogni nuova esperienza (I 472).
Ecco la retta visione del mondo che Eco promette alla
fine del labirintico percorso iniziatico di lettura, ed unimmagine del mondo che, radicalizzando la posizione di Wittgenstein,
torna un po indietro nel tempo e recupera il fallibilismo di Peirce e dei suoi principi semiotici: il linguaggio un tessuto di segni che cresce su se stesso, in cui ogni segno da un lato sta per
un Oggetto in s destinato a rimanere inafferrabile nelle sue infinite sfaccettature e dallaltro pu essere spiegato, nel suo significato che coglie solo un aspetto dellOggetto, da altri segni, ciascuno dei quali, interpretante del segno di partenza (detto representamen), pu diventare a sua volta segno di partenza (representamen) per altre catene di interpretazioni, allinfinito ( questa, semplificando, la nozione di semiosi illimitata, su cui Eco

!160

insiste cos tanto nelle opere di semiotica). Ecco perch Guglielmo, in occasione dellepisodio di Brunello, dice ad Adso:
le idee, che io usavo prima per figurarmi un cavallo che non
avevo ancora visto, erano puri segni, come erano segni dellidea
di cavallo le impronte sulla neve: e si usano segni e segni di segni solo quando ci fanno difetto le cose (R 36).
Le cose, vero, come queste rose o le pesche di Casaubon non ci fanno difetto nella semplice vita ordinaria. Con ci
Eco non varca mai i limiti di un sano realismo da senso comune
(e in tal senso il primo capitolo di Eco 1997 e lultimo capitolo
di Eco 2007b sono dei veri e propri manifesti filosofici in difesa
di unidea di Essere che sta l, fuori di noi, e oppone resistenza
ai nostri tentativi di piegarlo ai nostri desideri smodati, siano
essi biologici o metafisici74), perch sa bene che basta solo un
passo per cadere nel labirinto della simpatia e della somiglianza
universale del pensiero ermetico rinascimentale, la cui influenza
si fa sentire ancora in molte concezioni post-moderne della critica (Eco 1990: 47): Il pensiero ermetico trasforma lintero
teatro del mondo in fenomeno linguistico, e contemporaneamente sottrae al linguaggio ogni potere comunicativo (Eco 1990:
45).
74

Anche qui Eco non immune da influenze popperiane: Le teorie sono


nostre invenzioni, idee nostre; esse non ci vengono imposte, sono strumenti
di pensiero da noi stessi costruiti: ci stato visto chiaramente dagli idealisti.
Ma alcune di queste teorie possono risultare in conflitto con la realt, e quando ci accade constatiamo che vi una realt, che esiste qualcosa a ricordarci
che le nostre idee possono essere sbagliate. Ecco perch il realista ha ragione (Popper 1963: 202).

!161

Ma siccome le cose, come le rose in s, ci fanno difetto


sempre quando siamo impegnati nella ricerca scientifica o filosofica di regolarit generali, ecco che la conoscenza umana
destinata ad imbrigliarsi in reti di modelli di spiegazioni arbitrarie e irrimediabilmente false, in segni e segni di segni che intrecciano le loro intenzioni significanti e non afferrano mai la
rosa primigenia, lasciandoci con nomi nudi che tutti insieme
suonano come un vano blitiri, come il sussurro secolare che
Adso sente levarsi minaccioso e insensato dal labirinto della biblioteca: Sino ad allora avevo pensato che ogni libro parlasse
delle cose, umane o divine, che stanno fuori dai libri. Ora mi
avvedevo che non di rado i libri parlano di libri, ovvero come
se parlassero fra loro. Alla luce di questa riflessione, la biblioteca mi parve ancora pi inquietante. Era dunque il luogo di un
lungo e secolare sussurro, di un dialogo impercettibile tra pergamena e pergamena, una cosa viva, un ricettacolo di potenze
non dominabili da una mente umana (R 289).
questa la sapienza, nominalista e scettica, che attende
di rivelarsi al lettore alla fine del romanzo, la cui ragion dessere
Eco stesso (forse) illustrava nel risvolto di copertina delle prime
edizioni parafrasando ironicamente non a caso la gi citata ultima proposizione del Tractatus di Wittgenstein: di ci di cui
non si pu teorizzare, si deve narrare. E si tratta di una sapienza minimalista, di buon senso, che Eco non smetter mai di raccomandare, soprattutto se ci si imbarca in un viaggio odissiaco
intorno alle follie culturali delluomo, una creatura venuta su
come macchinetta per secernere illusioni metafisiche di mega-

!162

lomania autoconsolatoria per sfuggire allangoscia della morte.


Dopo aver percorso in lungo e in largo le follie umane, dopo lo
smarrimento nella biblioteca di Babele, lunico modo per uscirne, e per prepararsi saggiamente alla morte, dir Eco in una Bustina di Minerva del 1997, convincersi che tutti gli altri siano
dei coglioni (in Eco 2000: 343). Certo, messa cos sembra una
boutade, ma Eco la considera serissima, al punto da riproporla
tale e quale in Eco 2006: 345. Ed nel Pendolo che tale saggezza espressa con pi compiutezza, in particolare nelle tracce che
lascia in Casaubon la sua conversazione con Lia nel memorabile
capitolo 63. Verso la fine, nel primo pomeriggio del 25 giugno,
Casaubon ripensa agli avvenimenti tragicomici della notte di
sabba al Conservatoire e si rende conto che il Piano inventato
esiste perch altri lo hanno realizzato, essendo vissuti nella speranza ridicola e patetica di appartenervi; riflette sulla teoria del
complotto e sul suo reggersi su un segreto vuoto che d potere a
chi dichiara di possederlo, come era accaduto a Belbo prima della fine, quando anche Agli lo implorava di rivelarglielo allorecchio. Ma Belbo ha rifiutato la salvezza che avrebbe potuto
ottenere mentendo, perch sembrava aver raggiunto la saggezza,
ovvero la coscienza che non v alcun segreto e che semplicemente qualcosa ha pi senso di qualcosaltro. Ma cosa? La risposta di Lia il figlio Giulio, la vita nella sua semplice espressione naturale (cfr. P. 490-493). A tarda notte Casaubon finalmente capisce che la saggezza arriva allultimo momento e dice
che non c niente da capire. Non c Piano, non c arguzia interpretativa di fronte alla saggezza del Regno di Malkut (la Ter-

!163

ra) e di Lia che d la vita, se non dopo, allorch qualcuno cerca


di spiegare vanamente linspiegabile innocenza dei dinosauri
che un tempo pascolavano nel luogo in cui Casaubon si trova e
delle pesche vellutate che vi crescono adesso. Ma quelli che cercano Casaubon per eliminarlo sono ciechi a questa rivelazione e
non gli crederebbero, sospettando altri segreti. E allora tanto
vale attenderli contemplando dalla finestra la bellezza della collina (cfr. P 507-509).

VII
Sono storie diverse di naufragi quelle che racconta Eco.
Naufragio della ricerca, come quello di Guglielmo da Baskerville; o della tracotanza ludico-esegetica, come quello di Casaubon,
Diotallevi e Belbo; o letterale, come quello di Roberto de la
Grive; o dellautoinganno geografico, come quello di Baudolino; o della psiche, come quello di Yambo Bodoni; o dellesistenza paranoica, come quello di Simone Simonini. Ma tutti
sono accomunati dallansia della conoscenza e in vario modo
questi personaggi, e con loro i lettori, percorrono fino in fondo il
loro cammino nel labirinto della biblioteca di Babele, ovvero nel
labirinto del mondo.
Sfuggito allecpirosi della biblioteca, Guglielmo smetter
di parlare della storia in cui ha visto trionfare e naufragare la sua
logica e verr inghiottito anni dopo dalla peste della met del
XIV secolo (cfr. R 500-501). La sorte dei tre giocherelloni del

!164

Pendolo viene preconizzata da uno di loro, lesperto di cabala.


Quando Belbo, solo e disperato (Casaubon irreperibile), va in
ospedale a chiedere aiuto al morente Diotallevi, questi interpreta
tutto in chiave cabalistica e dice a Belbo che loro sono puniti per
aver peccato contro la Parola che crea e regge il mondo, varcando con la fantasia creativa ogni limite dellinterpretazione del
senso e pensando che ad ogni testo si possa far dire tutto quel
che si vuole. C corrispondenza tra le lettere del Libro, le parti
del corpo e quelle del mondo: sconvolgendo le prime hanno
sconvolto le seconde (e quindi le cellule del corpo di Diotallevi
sono impazzite nel tumore) e le terze (e quindi il mondo si ritorce contro Belbo dandogli la caccia) (cfr. P 445-447). E cos Diotallevi muore di tumore e Casaubon rievocher la folle invenzione del Piano aspettando i sicari dopo che Belbo era finito impiccato al filo del Pendolo, finalmente senza paura e avendo
riacquistato la percezione del ridicolo di tutta la vicenda. Fotografata da un fucile di Muybridge, pensava Casaubon osservando la scena, la macabra struttura ternaria oscillante costituita
dalla testa di Belbo, dal suo tronco e dalla sfera del Pendolo
avrebbe simulato lalbero delle sefirot, e quando il corpo di Belbo si ferma e il Pendolo comincia a oscillargli sotto, egli si trasforma nel Punto Fermo, nel Perno Fisso, riconciliandosi cos
con lAssoluto (cfr. P 472-473). E al Punto Fisso, o meglio a
quella che, sulla base delle sue cognizioni geografico-astronomiche, crede essere la linea fuori dal tempo del meridiano che
separa loggi dal giorno prima, si abbandona Roberto, lasciando
la sua Daphne e abbandonandosi al mare per raggiungere lIsola

!165

nel giorno prima e salvare cos lamata morente del suo romanzo; oppure, pensa pi realisticamente, per sospendere se stesso e
quindi Lilia ( lui il Demiurgo della storia e tutto dipende dalla
sua volont) fuori dal tempo, ritardando allinfinito la morte di
entrambi, finch, resi leggeri e volatili dal calore del sole, non si
fossero congiunti fondendosi nel vuoto cosmico sotto forma di
atomi (cfr. I 459-463): allora entrambi avrebbero continuato il
loro viaggio nel presente, dritti verso lastro che li attendeva,
pulviscolo datomi tra gli altri corpuscoli del cosmo, vortice tra i
vortici, ormai eterni come il mondo perch ricamati di vuoto (I
464). Baudolino e Simonini naufragano nel loro stesso castello
di menzogne. Il primo, ormai vecchio e deluso dallesperienza
di saggio stilita, mosso dalla convinzione che viaggiare ringiovanisce (B 524), parte cocciutamente alla volta del favoloso
regno del Prete Gianni (proprio lui, che con gli amici aveva redatto la falsa lettera del Prete Gianni a Federico Barbarossa: cfr.
B 139-151), per dare un senso alla propria vita mantenendo la
promessa fatta al buon padre Federico e per ritrovare la donna-capra Ipazia e la creatura avuta da lei (cfr. B 523). Il secondo,
frustrato per il fatto che il grande gioco dei Protocolli, la sua
creatura migliore di falsario dopo una vita da Demiurgo della
Storia, fosse passato nelle mani dei russi, pensa che il modo migliore di riempire il vuoto della sua vita al tramonto (Guardo la
vita degli altri per passare il tempo, C 505) sia quello di accettare la proposta di Rachkovskij di far esplodere una bomba negli
scavi per la metropolitana di Parigi, unazione dimostrativa che
suoni come una minaccia e una conferma (C 507) delle falsit

!166

contenute nei Protocolli (in cui tra laltro si legge che una parte
del piano di dominio degli ebrei prevede di far saltare le grandi
citt minando le metropolitane). Tutto lascia pensare che Simonini non torner da quella missione: il diario si interrompe con
un E che diamine, non sono ancora un rammollito (C 512)
che, scritto da un bugiardo di professione, per giunta imbottito
di cocaina e cognac, suona come involontariamente falso. E
inoltre c il sospetto che Gaviali, avendo validissimi motivi per
servirgli una bella vendetta su un piatto freddo, con le sue meticolose istruzioni su come preparare una bomba a orologeria sicura per lattentatore (cfr. C 511-512) gli abbia in realt fornito
la ricetta per la bomba del perfetto attentatore suicida.75
Ma sul peculiare naufragio di Yambo che vorrei attirare maggiormente lattenzione, perch esso riassume meglio
quello che abbiamo cercato di mostrare sin qui sulla base di una
suggestione fornitaci da Adso, in quanto, essendo un libraio antiquario condannato a sforzarsi di leggere nella propria memoria
(popolata di libri, compresi quelli seducenti della cattiva letteratura, L 443) per riconquistarne le parti perdute a causa di un

75

Si noti che lautore di Opera aperta sempre ambiguo con precisione nel
finale dei suoi romanzi. In una ipotetica caduta nella serialit, infatti, non
sarebbe impossibile ritrovare un Guglielmo scampato dalla peste, un Casaubon non trovato (o mai cercato) dai sicari, un Roberto recuperato da una
provvida nave di passaggio, un Baudolino che, resosi conto della inutilit del
suo ultimo viaggio, se ne torni a Costantinopoli e infine ad Alessandria, uno
Yambo che si risvegli improvvisamente dal coma e un Simonini che torni
vivo dal suo attentato nel sottosuolo di Parigi.

!167

ictus, ingloba in s lodissea del lettore che accetta la sfida di


entrare nel bosco labirintico dei romanzi di Eco.
Per76 una comprensione adeguata del naufragio mentale
di Yambo, di importanza decisiva tenere presente che egli si
laureato in lettere (cfr. L 41) con una tesi sulla Hypnerotomachia
Poliphili di Francesco Colonna (ma lattribuzione
controversa), pubblicata da Manuzio nel 1499 e corredata da
172 xilografie anonime. Unopera illustrata, dunque, come il
romanzo di Eco, il quale da bibliofilo tiene a precisare con orgoglio di essere tra i pochi a possedere lincunabolo della prima
edizione (cfr. Carrire e Eco 2009: 117). Ma le corrispondenze
tra le due opere, come vedremo, non finiscono certamente qui.
Questa chicca per bibliofili77 una raffinata allegoria in prosa
che, tra incursioni in ogni branca del sapere (botanica, mineralogia, architettura, archeologia, filologia, filosofia, scienze occulte, ecc., per non dire dellautentica perla rappresentata, nel
capitolo X, dalla prima descrizione di una partita di scacchi con
pezzi viventi, da cui deriveranno i capp. 23 e 24 del quinto libro del Gargantua e Pantagruele), allegorie, epitaffi, geroglifici
e icone, il tutto rifuso in un caleidoscopio combinatorio (anche
sul piano linguistico, perch la lingua un volgare toscano imbevuto di latinismi e grecismi), racconta la storia della ricerca
76
77

Quanto segue ripreso da Trainito 2004.


Riedita da Adelphi nel 1998 in 2 tomi, di cui il primo riproduce ledizione
aldina del 1499 e il secondo contiene, oltre a vari apparati introduttivi e a due
indici dei nomi, una traduzione italiana e un amplissimo e dottissimo commento ad opera di Marco Ariani e Mino Gabriele.

!168

onirica di un amore perduto (Polia) da parte del protagonista


(Polifilo), come dice anche il titolo, che pu esplicitarsi cos:
Battaglia damore in sogno di Polifilo (la ricerca dantescamente coronata dal successo, perch Polifilo, contrariamente a
Yambo, raggiunger lunione mistica con la sua Beatrice). E
in unatmosfera di sogno comatoso ma ormai memore (quasi

!169

come un cervello in una vasca alla Putnam: cfr. L 41478 ) si


trova Yambo quando osserva, verso la fine:

78

Per il celebre esperimento mentale dei cervelli nella vasca (riecheggiato


per esempio nel film Matrix dei fratelli Andy e Larry Wachowski, 1999), cfr.
Putnam 1981: 7-27. A beneficio del lettore curioso e volenteroso, se ne d qui
una breve sintesi. Largomento di Putnam porta alla conclusione che noi non
siamo cervelli in una vasca, ovvero che lipotesi che afferma il contrario
falsa. La struttura logica dellargomento quella nota come Consequentia
mirabilis, per cui, se da una ipotesi I segue che I falsa, allora I falsa.
Come procede Putnam? Supponiamo che lipotesi I = Noi siamo cervelli in
una vasca sia vera. Questo vorrebbe dire: 1) che un mondo fuori di noi esiste, e in esso ci sono almeno lo Stimolatore, le vasche con la soluzione, il
Computer, i fili e i cervelli che egli stimola; 2) per i cervelli, invece, c solo
il mondo cos come lo vediamo noi adesso (cielo, mele, gatti, automobili
ecc.), e questo mondo esiste solo come immagine nei cervelli stessi. Sicch,
quando un cervello immagina di dire, ad esempio, Vedo un albero, in realt
intende dire Vedo un albero nellimmagine, perch solo le sue immagini
costituiscono il bersaglio ultimo del riferimento dei suoi termini osservativi.
Viceversa, quando noi diciamo Vedo un albero intendiamo non limmagine
dellalbero che nella nostra corteccia visiva, ma un albero vero e proprio
che sta fuori di noi e che anche altri possono vedere. Questo significa che gli
ipotetici cervelli in una vasca hanno una semantica totalmente diversa dalla
nostra. Ma allora, nel momento in cui un cervello in una vasca dicesse Io
sono un cervello in una vasca, le parole io, cervello e vasca pescherebbero il loro riferimento solo sul piano delle sue immagini mentali, nelle
quali il cervello non in una vasca. Ma attenzione! Il cervello, dal punto di
vista esterno (per esempio quello dello Stimolatore), e in base allipotesi,
realmente in una vasca, ma questo livello di realt irraggiungibile dal suo
linguaggio. E dunque: se Noi siamo cervelli in una vasca fosse unipotesi
vera, allora lasserzione Noi siamo cervelli in una vasca, pronunciata da un
cervello in una vasca, sarebbe falsa (diciamo nella sua ontologia fenomenologica e nella sua semantica mentalistica). Quindi lipotesi falsa per Consequentia mirabilis.

!170

Lila bruscamente scomparsa, ho vissuto sino alle soglie delluniversit in un


limbo incerto e poi una volta che i simboli stessi di quellinfanzia, nonno e
genitori, erano scomparsi definitivamente ho rinunciato a ogni tentativo di
rilettura benevola. Ho rimosso, e ho ricominciato da zero. Da un lato la fuga
in un sapere confortevole e promettente (mi sono pure laureato sulla Hypnerotomachia Poliphili, non sulla storia della Resistenza), dallaltro lincontro
con Paola. () Avevo rimosso tutto, salvo il volto di Lila, e lo cercavo ancora tra la folla () in una ricerca che ora so vana (L 411-412).

fin troppo facile, allora, dare una lettura psicoanalitica


del fatto che il giovane Yambo abbia studiato la Hypnerotomachia: lavorare sul sogno di Polifilo (rivivendolo come un palinsesto, cio come un lettore che sperimenti loraziano de te fabula narratur) era per lui una sorta di compensazione, perch attraverso la felice e mistica storia damore di Polifilo egli realizzava il suo desiderio di rivedere Lila, seppure indirettamente.
Ma la vita, contrariamente a quanto sosteneva Caldern de la
Barca (anchegli citato di nascosto nel romanzo: cfr. L 414), non
un sogno, ed Eco lo sa: ecco perch Yambo non rivedr Lila n
nella realt n nellestrema visione onirica voluta dalla sua coscienza e dal suo amore.
Ma precisiamo meglio alcuni dettagli di questo parallelismo tra le due opere, a cominciare dalla loro veste esterna di
opere insieme dotte e illustrate che mettono a durissima prova il lettore. In apertura della Hypnerotomachia Poliphili (da ora
in avanti HP), ad esempio, si trova una lettera dedicatoria in cui
un certo Leonardo Crasso Veronese, il quale dice di essersi accollato le spese per la pubblicazione di questo libro parente orbatus, cio apparentemente anonimo (ma gli studiosi hanno or-

!171

mai appurato che anche il Colonna partecip alle spese editoriali), si rivolge a Guidobaldo da Montefeltro, Duca di Urbino,
pregandolo di farsi eleggere protettore del libro, in modo che
esso possa circolare in suo nome, e fungere cos presso i lettori
da vero e proprio marchio di garanzia. Ma interessante (e rivelatore) il modo in cui Leonardo Crasso delinea la natura del libro, ovvero la strategia testuale messa in atto dallautore, perch le stesse parole potrebbero essere applicate al romanzo di
Eco:
Questuomo sapientissimo (...) si regol in modo che non solo chi fosse dottissimo potesse penetrare nel sacrario della sua sapienza, ma anche lignorante, pur non potendovi entrare, comunque non cadesse in disperazione. Ne
consegue che se anche alcune cose, per loro natura, fossero difficili, sono
comunque esposte e svelate in una prosa piacevole e con una certa grazia e,
come un giardino disseminato di ogni genere di fiori, sono dischiuse e messe
dinanzi agli occhi con immagini e simboli (HP 1998: 6).

Anche il romanzo di Eco, infatti, unopera chiaramente


aperta a molteplici livelli di lettura, da quello popolare del normale fruitore di fumetti e di letteratura di massa a quello erudito
e sapienziale del lettore attento agli infiniti rimandi alla cultura
letteraria e filosofica alta disseminati nel testo.
Lo stesso nome Sibilla, cos presente nel romanzo (
sia il vero nome di Lila, lirrimediabilmente perduto amore giovanile di Yambo, sia il nome della segretaria polacca, la sacerdotessa del suo sacrario di libri rari), rimanda in maniera criptica
ad HP attraverso la Sibilla di Virgilio. Vediamo come.

!172

Innanzi tutto, il collegamento con la Sibilla Cumana


suggerito dallo stesso Eco, allorch in limine visionis fa recitare
a Yambo i versi 64-66 dellultimo canto del Paradiso: Cos la
neve al sol si dissigilla,/ e cos al vento ne le foglie levi/ riaffiora
la sentenza di Sibilla (L 417). Ma gi qui occorre stare attenti,
perch Yambo commette un classico lapsus freudiano: dominato
dal suo desiderio di veder apparire tra i fantasmi culturali del
passato il volto della sua Lila-Sibilla, dice riaffiora la sentenza
di Sibilla, e non si perdea la sentenza di Sibilla, come invece
aveva detto Dante, seguendo Virgilio (cfr. Eneide, III, 441-451).
In questo lapsus racchiuso, con ironia tragica, tutto il dramma
di Yambo, perch dallo sciame turbinoso di foglie-icone-volti
del passato che vorticano nella sua mente visionaria affiora non
il volto di Lila (ormai perduto per sempre, com sibillinamente
annunciato nel verso di Dante storpiato, in quanto non accettato,
dal suo inconscio), ma quello della Morte, sotto laspetto di un
sole nero.
Per arrivare da qui ad HP occorre imboccare un passo del
De divinatione di Cicerone sui Libri sibillini (II, 111-112) certamente presente al Colonna79 . Rifacendosi alla tecnica dellacrostico dei Libri sibillini, e ispirandosi allacrostico contenuto
in Boccaccio, Amorosa visione, 13, 61-16, 37 (Cara Fiamma,
per cui l core caldo, / que che vi manda questa Visione / Giovanni di Boccaccio da Certaldo), il Colonna fa iniziare i 38
79

Cfr. la nota 4 alla pag. 11 di HP del Commento di Ariani e Gabriele nel


secondo tomo di HP 1998: 503.

!173

capitoli di HP con lettere che, messe in sequenza, formano una


frase che conterrebbe il nome dellautore del misterioso libro:
Poliam frater Franciscus Columna peramavit. E non basta.
Mentre questo acrostico fu decrittato gi nei primi anni del Cinquecento, e quindi costituisce un punto fermo nellesegesi di HP,
soprattutto in relazione al problema dellattribuzione della paternit dellopera, ci sono voluti cinquecento anni perch venisse scoperto un incredibile anagramma celato nellultimo paratesto che precede lincipit di HP. Questa scoperta dovuta proprio ad Ariani e Gabriele, i quali la annunciano con comprensibile orgoglio nella nota 3 del loro Commento alla pagina 8 di
HP80. Nellepigramma di un certo Andrea Marone Bresciano, in
cui il poeta si rivolge alla Musa per sapere il nome dellautore di
HP, a un certo punto si legge (vv. 4-5): Sed rogo quis vero est
nomine Poliphilus?, e la Musa risponde: Nolumus agnosci.
Ora, questa risposta un capolavoro di spirito sibillino, perch
essa rivela oscuramente il nome dellautore nel momento stesso
in cui afferma di non volerlo rivelare: un anagramma di Nolumus agnosci, infatti, proprio Columna Gnosius, ovvero
Colonna di Cnosso! Ma cosa centra Cnosso? Ecco la risposta
di Ariani (la nota in questione firmata da lui): lunica possibile spiegazione quella di una chiave ermeneutica della religio
Veneris che () il cardine stesso del funzionamento allegorico
del romanzo (). La connessione tra Venere e Cnosso rarissima nei testi classici e tanto pi acquista, appunto per la sua ec80

Cfr. HP 1998: tomo II, 495-496.

!174

cezionalit, valore di emblema allusivo: sono infatti solo Diodoro 5, 77 ed Esichio () a tramandare che il pi antico luogo di
culto di Afrodite era nella citt cretese. E come se non bastasse,
in una lettera di un certo Matteo Visconti, prima stampata e poi
espunta dal paratesto ufficiale di HP (ma sopravvissuta in un
solo esemplare, quello ora conservato nella Staatsbibliothek di
Berlino), si affermava che il Colonna era stato in sinu Veneris
educatum.
Tutto questo modo sibillino di introdurre il lettore alliniziazione di Polifilo e Polia al culto di Venere, che poi la fabula misteriosofica di HP, indubbiamente evocato, seppure in
maniera ironica e quasi parodistica, nel romanzo di Eco, che
fondamentalmente la storia quasi-onirica della ricerca (fallita),
tra indizi evocativi e sibillini, di un amore perduto: Sibilla, appunto.
Nel tentativo di scoprire una relazione triangolare pi
sotterranea tra Polia (la donna amata da Polifilo), Paola e Lila
(rispettivamente la moglie e la Beatrice di Yambo: cfr. L 285),
evocando il demone combinatorio che possiede senza dubbio sia
il Colonna che Eco, ho anagrammato Lila + Paola e ho trovato
che una delle permutazioni Alla Polia, che sembra proprio
un omaggio occulto alla Beatrice di HP. Ed forse meno superfluo sottolineare che, cos come la Loana del fumetto in
grado di risuscitare i morti con la sua misteriosa fiamma, ragion per cui alla fine del romanzo Yambo la invoca per ottenere
di poter almeno trarre dalloblio ed evocare nel ricordo il volto
di Lila, allo stesso modo Polia, nel capitolo XXIX, in grado di

!175

ridare la vita al morto Polifilo coprendolo di lacrime e abbracciandolo: piangendo, et illachrymando, et amplexabunda, ello
suscita (p. 417 delledizione aldina del 1499). Ma chiaro che
qui bisogna andar cauti, altrimenti si cade in quellossessione
ermetica di cui si parla nel 3.1.3 di Eco 1990, allorch, confondendo luso allegro di un testo con la sua interpretazione seria, si va alla ricerca di improbabili messaggi nascosti, come
aveva fatto quel suo studente che si era messo ad esaminare tutte
le poesie di Leopardi cercandovi acrostici disseminati della parola malinconia81 .
Seguendo ancora il commento di Ariani e Gabriele ad HP
(in particolare la nota 13 alla p. 12, la nota 14 alla p. 19 e la nota
9 alla p. 396), possibile ravvisare inoltre una notevole simmetria strutturale tra le due opere.
HP ha una partizione esterna in due libri: il primo copre i
capp. I-XXIV (pp. 11-379) e il secondo i capp. XXV-XXXVIII
(pp. 381-465). Ma sul piano interno, ovvero strettamente simbolico-narrativo, la vera suddivisione in tre parti, nelle quali il
Colonna segue fedelmente lonirologia classica, e in particolare
i Commentarii in Somnium Scipionis di Macrobio e varie altre
suggestioni mistico-oniromantiche di matrice neoplatonica (ma
in una scansione onirica ascensiva senza precedenti, in cui un
lungo sogno incastonato in un altro sogno):
81

Ed curioso osservare che in questo contesto Eco inser una parentesi sullacrostico formato dai capitoli di HP, parentesi che assente dalla Tanner
Lecture del 1990 di cui il paragrafo citato una rielaborazione: cfr. Eco
1990: 113 ed Eco 1995: 86-87.

!176

1) Parte prima, pp. 11-19: Polifilo racconta in prima persona che, giacendo sopra el lectulo della sua conscia
camera familiare (p. 12), dopo una notte insonne a causa di tormenti amorosi, alle prime luci del giorno si addormenta di un sonno leggero e agitato e sogna di trovarsi prima in unampia pianura (Ad me parve de essere in
una spatiosa planitie, pp. 12-13) e poi in una dantesca e
paurosa selva oscura (Et cus dirrimpecto da una folta
silva ridrizai el mio ignorato viagio, p. 13).
2) Parte seconda, pp. 20-379: uscito dalla spaventevole
silva (p. 20), Polifilo trova riparo e ristoro sotto de una
ruvida & veterrima quercia (p. 19), e, giacendo sul
fianco sinistro, si addormenta profondamente e nel sogno
sogna di trovarsi in una valle amena, nella quale, attraverso visioni mirabolanti (una piramide sovrastata da un
obelisco, un cavallo, un colosso disteso, un elefante, una
magnifica porta, un drago, il regno di Euterillide, ninfe,
fontane, danze che animano partite a scacchi, templi,
ecc.), d il via al suo vero e proprio itinerarium mentis,
fino allunio mystica con Polia.
3) Parte terza, da pag. 381 alla fine (= secondo libro): Polia
e Polifilo, alternandosi, narrano, in maniera genealogicovisionaria, la storia del loro innamoramento tra morti e
resurrezioni. Come nota Gabriele, il secondo libro ()
se da un punto di vista compositivo letteralmente ancora compreso nel somnium, contiene di fatto lacme psico-

!177

mistico da cui emerge il terzo livello onirico-visionario


del romanzo, il pi alto e misterico, cio la catalessi o
visio in stato di morte apparente, di formulazione neoplatonica (HP 1998: tomo II, 519).
Parallelamente, ma a rovescio, il romanzo di Eco ha una
scansione esterna costituita da tre parti (capp. 1-4:
Lincidente; capp. 5-14: Una memoria di carta; capp. 15-18:
Oi nstoi), e una scansione interna costituita da due: la parte
in cui Yambo smemorato ma in salute fisica (che copre le prime due parti esterne) e quella in cui memore ma in coma
(che coincide con la terza parte). Da notare, inoltre, che alla sequenza sogno-sogno nel sogno di HP corrisponde nel romanzo
la sequenza primo colpo (che provoca lamnesia, con il conseguente tentativo di uscirne) secondo colpo (che provoca il
coma, il recupero della memoria e la visio finale). Inutile dire
che tanto per Polifilo quanto per Yambo lo schema triadico dellitinerarium mentis giocato chiaramente sulla falsariga dantesca, e questo fatto ci permette di approfondire le analogie.
1) Liniziale risveglio di Yambo dal primo colpo, con tutti
quei richiami alla nebbia, non fa che alludere anche alla
selva oscura dantesca, oltre che alla folta silva sognata da Polifilo: e se nel Colonna lallusione dantesca
onirica, in Eco ironica (ed qui il caso di ricordare che
onirica e ironica sono uno anagramma dellaltro).
Senza contare che Yambo crea ironicamente laggancio

!178

con la dimensione onirica di HP sin dallinizio: Mi ero


come risvegliato da un lungo sonno, e per ero ancora
sospeso in un grigio lattiginoso. Oppure, non ero sveglio,
ma stavo sognando (L 7).
2) Alle meravigliose visioni che si presentano a Polifilo non
appena entra nel sogno del sogno corrisponde nel romanzo lo sciame iconico ed ecoico delle scoperte di
Yambo nella magica soffitta e negli altri ambienti della
casa di Solara: cos come per Polifilo la piramide, lelefante, la porta, le iscrizioni lapidarie, le fontane, i templi
ecc. sono una summa della sapienza classica, per Yambo
i libri, le illustrazioni, i dischi ecc. della casa di Solara
sono una summa della cultura di massa di unepoca (la
prima met del Novecento).
3) La carnascialesca visio finale di Yambo sulla scala di
Wanda Osiris e dellAleph di Borges, in cui, rovesciando
Dante, legato con amore in un volume non ci che
per luniverso si squaderna (cfr. Paradiso, XXXIII, 8687), ma ci che popola la sua memoria culturale e ha nutrito la sua educazione sentimentale, corrisponde, bench
con esito opposto (la mente in delirio di Yambo non riesce a trovare limmagine del volto di Lila), alla visio oniromantica dellamorosa unio mystica di Polifilo con Polia. E, ulteriore ripresa rovesciata, al finale passaggio di
Polifilo dal sogno al risveglio, corrisponde il finale passaggio di Yambo dal coma sognante alla morte (emblematica la contrapposizione tra il sole invidioso di Polifilo

!179

che coi suoi illuminosi splendori [p. 465] viene a scacciare la notte e il bel sogno, e lavido sole nero che appare a Yambo al termine della visio).
Va ricordato, da ultimo, che quando riacquista la memoria e cerca di capire lo stato in cui si trova (coma? sogno? cervello in una vasca? ecc.), Yambo riprende il tema del sogno nel
sogno (proprio di HP, appunto), ma solo per usarlo filosoficamente come argomento contro la possibilit di essere in un sogno, in un passo che ironicamente, dallinterno di unopera letteraria, rivendica uno statuto di realt in opposizione alle controfattuali fantasie letterarie: Forse sono, s, in coma, ma nel coma
non ricordo, sogno. So di certi sogni in cui si ha limpressione di
ricordare, e si crede che quel che si ricorda sia vero, poi ci si
sveglia e si deve concludere, a malincuore, che quei ricordi non
erano nostri. Sogniamo falsi ricordi. () Per mi mai accaduto, in un sogno, di sognare un altro sogno, come starei facendo
ora? Ecco la prova che non sogno. E poi, nei sogni i ricordi sono
sfocati, imprecisi, mentre io ricordo ora pagina per pagina, immagine per immagine, tutto quello che ho sfogliato a Solara negli ultimi due mesi. Ricordo cose realmente accadute (L 413).
Finch, giunto ormai in limine visionis, Yambo si chiede se sia
possibile sognare di dormire, riagganciandosi cos ancora una
volta, seppure in maniera scettica, alla situazione di Polifilo (cfr.
HP, pp. 19-20): ho certamente veduto, ma la prima parte della
mia visione stata cos accecante che come se dopo fossi ripiombato in un sonno nebbioso. Non so se in un sogno si possa

!180

sognare di dormire, ma certo che, se sogno, sogno anche di


essermi ora risvegliato e di ricordare quello che ho veduto (L
417).
Il naufragio visionario che porter limmobile Yambo
Bodoni davanti al sole nero della morte iniziato, e con esso
iniziata anche lodissea nella biblioteca di Babele per il lettore
della mirabolante visio finale del libraio antiquario, la stessa che
attende ogni lettore delle visioni narrative del bibliofilo Umberto
Eco.

!181

CONCLUSIONE

CHECK-UP PER UN COMPLEANNO

Mosso da unidea seminale, quella di avvelenare un monaco mentre legge un libro in una biblioteca, come egli stesso ha
raccontato gi nelle Postille82, Eco cominci a scrivere il Nome
della rosa nel marzo del 1978. La premessa al romanzo porta in
calce la data del 5 gennaio 1980, che il giorno del suo quarantottesimo compleanno. Vista la fortuna planetaria che arrise alla
sua prima opera narrativa, Eco svilupp una sorta di rito superstizioso che lo portava a imporsi di terminare la stesura definitiva di quasi tutti i suoi romanzi successivi il giorno del suo compleanno (si veda Eco 2002: 353). Il nome della rosa, dunque, nel
2010 ha compiuto trentanni e vale la pena fargli un piccolo
check-up per appurare il suo stato di salute dal punto di vista di
quello che ha ancora da dirci sugli anni che stiamo vivendo.
Per fare ci, si pu partire dalla definizione di effetto
poetico che Eco stesso fornisce nelle Postille: esso la capa82

Cfr. R 510-511, ma si veda anche Eco 2002: 330-331.

!182

cit, che un testo esibisce, di generare letture sempre diverse,


senza consumarsi mai del tutto (in R 510). Ebbene, se ci basiamo su questo criterio, non c dubbio che leffetto poetico del
romanzo sia fortissimo, ovvero che il suo stato di salute sia ancora ottimo. Riletto oggi, esso impressiona non solo per la sua
freschezza, ma anche per la sua capacit di aprirsi a interpretazioni nuove e impensabili sia per i lettori dei primi anni Ottanta
sia per lo stesso autore. Dal punto di vista della costruzione, il
Nome della rosa non ha perso il suo smalto e continua a far impallidire per ingegnosit, compattezza, disegno e bellezza qualsiasi altro best seller successivo e ad esso in qualche modo assimilabile per genere. Ma il suo valore simbolico di architettura segnica che sta per qualcosaltro, qualcosa di esterno al testo
e aderente alla realt dellazione umana storica83, che lascia sbigottiti: il romanzo riesce a parlare in modo penetrante del mondo di oggi malgrado questo sia abissalmente distante dal mondo
come si presentava allautore alla fine degli anni Settanta.
Nel penultimo capoverso della premessa, Eco ironizzava
sul fatto che, tramontata la prescrizione per gli scrittori dellimpegno a tutti i costi, tipica della fine degli anni Sessanta, egli
poteva finalmente raccontare una storia gloriosamente priva di
83

Questo pur rimanendo vero che, in prima istanza, per il semiologo Eco i
testi letterari sono unorganizzazione di significanti che, anzich servire a
designare un oggetto, designano istruzioni per la produzione di un significato (Eco 1990: 21). E poich il mondo e lEnciclopedia mutano, ecco che nel
corso del tempo linterpretazione di un testo si arricchisce di effetti di senso
sempre nuovi e diversi, purch non cada in un suo uso sconsiderato e aberrante (cfr. Eco 1990: 32-33).

!183

rapporto coi tempi nostri, ora che il risveglio della ragione


aveva scacciato i mostri generati dal suo sonno. In realt era
esattamente il contrario, perch il lettore soprattutto italiano che
aveva vissuto gli anni di piombo era autorizzato a leggere in
molte parti del romanzo, e in special modo in quelle in cui si
parla del gran fiume ereticale, precisissimi riferimenti allesperienza dolorosa del terrorismo e delle sue babeliche guise e
sigle. Come abbiamo gi avuto modo di vedere, il lettore informato che leggeva allora delle imprese a suon di stragi e saccheggi di fra Dolcino e dei suoi apostoli, nel momento in cui
veniva a sapere che la donna delleretico assassino si chiamava
Margherita, era autorizzatissimo a riflettere sullomonimia con
Margherita Cagol, la moglie di Renato Curcio morta il 5 giugno
del 1975 in uno scontro a fuoco con i carabinieri nella provincia
di Alessandria, che anche la terra dorigine di Eco. E questo
malgrado laletta di copertina della prima edizione (con ogni
probabilit scritta dallo stesso Eco) avvertisse che lautore si
rifiuta di autorizzare connessioni con la nostra attualit, che
era un modo ironico e ammiccante di autorizzare, soprattutto
alla luce del sopracitato penultimo capoverso della premessa.
Ma cosa accade al lettore di oggi, che o non pi in grado di cogliere simili riferimenti allattualit di allora o non pu
pi viverli con lo stesso coinvolgimento emotivo e grado di interesse? Ecco, a tale lettore accade che pu benissimo effettuare
una lettura pi sprovincializzata del romanzo e cogliervi per
speculum et in aenigmate segni che rimandano al ben pi complesso contesto storico di oggi. In unopera in cui unabbazia

!184

ruota attorno a una Biblioteca che un labirinto e che denota


questo mondo rispecchiandone addirittura la geografia, non c
dubbio che la globalizzazione, lImperialismo americano, il terrorismo internazionale, lo scontro di civilt con il mondo islamico, le guerre di aggressione per loccupazione delle fonti energetiche spacciate per crociate a favore della democrazia e non ultima la sempre crescente ingerenza temporalista della Chiesa in
tutti i paesi cattolici, per non parlare della madre di tutti i labirinti, cio la rete web, costituiscono modelli per lordine segnico del testo, ovvero domini per interpretazioni come minimo
plausibili, ancorch sempre provvisorie. Si pensi alle pagine in
cui Adso si smarrisce nella selva dei movimenti ereticali e chiede delucidazioni che gli permettano di distinguere le varie eresie
tra loro (catari, valdesi, bogomili, fraticelli, apostoli, dolciniani,
ecc.) e tutte le eresie dai movimenti e dalle posizioni che eresie
non sono (o non sono ancora, fino a decisione contraria da parte
del simoniaco ed epicureo papa avignonese Giovanni XXII); e si
confronti tutto ci con le interminabili discussioni degli anni
scorsi sulle varie componenti del terrorismo internazionale, nonch sulla definizione di Stato canaglia o di mercenario o di
terrorista islamico o di combattente o di resistente o di
ribelle o di patriota (come si definisce un kamikaze iracheno o afghano che si fa esplodere a Baghdad o a Kabul davanti a
un convoglio di militari stranieri?). E abbiamo visto quanto peso
abbia tutto ci nellultimo romanzo di Eco e nelle sue riflessioni
dellultimo decennio sul problema insieme semiotico, retorico,
ideologico e politico della costruzione del nemico.

!185

Negli interventi raccolti in A passo di gambero relativi al


dibattito sulle guerre annunciate e scoppiate dopo l11 settembre
2001, infatti, Eco ha molto insistito su questi problemi di definizione, che non sono oziose questioni nominalistiche, perch da
esse dipendono guerre e crociate, e quindi vite umane, soprattutto civili (nel Medioevo come oggi). Si vedano, ad esempio, gli
articoli della III sezione, Ritorno al grande Gioco (Eco 2006:
185-212), e della IV sezione, Il ritorno alle crociate (ivi:
213-242), dove si constata quanto di gi visto e di ottocentesco
ci sia nel nuovo grande gioco che si sta svolgendo tra Iraq e
Afghanistan, si sottolinea che le parole sono pietre e che bisogna stare attenti a definire e saper distinguere termini come
fondamentalismo, integrismo, razzismo, guerra civile,
resistenza, terrorismo, kamikaze e assassini, e si invita
a riflettere sulla nozione di guerra santa alla luce dei contributi
dellantropologia culturale. E si confrontino queste illuminanti
chiarificazioni concettuali e prese di posizione dellintellettuale
Eco con R 157-159, dove Guglielmo e Abbone discutono di eretici da opposti punti di vista. A Guglielmo che cerca di fare le
opportune distinzioni, riconosce la complessit della questione e
ricorda che in fondo a rimetterci sono sempre i semplici non
illuminati dalla sapienza, che spesso abbracciano uneresia solo
per disperazione e finiscono per fare la parte della carne da macello nei giochi di potere, labate obietta: Quindi () fra Dolcino e i suoi forsennati, e Gherardo Segalelli e quei turpi assassini furono catari malvagi o fraticelli virtuosi, bogomili sodomiti
o patarini riformatori? Mi volete allora dire, Guglielmo, voi che

!186

sapete tutto degli eretici, tanto da sembrare uno di loro, dove sta
la verit?. E quando Guglielmo riconosce tristemente che talora la verit non sta da nessuna parte, Abbone spiega la sua regola semplicistica, tipica di chi sta sempre dalla parte del pi
forte e ignora le sfumature della realt. Chiunque turbi lordine
su cui si regge il popolo di Dio un eretico e chiunque garantisca questordine (sia esso il papa o limperatore) va difeso e sostenuto; e siccome tutta lerba ereticale costituisce un fascio, va
falciata alla cieca, perch tanto, poi, Dio riconoscer i suoi,
come disse Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux, prima della
strage, ad opera dei crociati da lui guidati, dei cittadini di Bziers, sospettati di essere tutti dei catari (luglio 1209): Guglielmo abbass gli occhi e stette alquanto in silenzio. Poi disse:
La citt di Bziers fu presa e i nostri non guardarono n a dignit n a sesso n a et e quasi ventimila uomini morirono di
spada. Fatta cos la strage, la citt fu saccheggiata e arsa. Anche una guerra santa una guerra. Anche una guerra santa
una guerra. Per questo forse non dovrebbero esserci guerre sante. Ma cosa dico, sono qui a sostenere i diritti di Ludovico, che
pure sta mettendo a fuoco lItalia. Mi trovo anchio preso in un
gioco di strane alleanze. Strana lalleanza degli spirituali con
limpero, strana quella dellimpero con Marsilio, che chiede la
sovranit per il popolo. E strana quella tra noi due, cos diversi
per propositi e tradizione. E non un caso che la frase di Arnaldo Amalrico torni in mente a Simonini quando questi capisce
che, grazie ai suoi falsi Protocolli, i russi, cui li aveva consegnati, sarebbero stati finalmente in grado di pervenire alla soluzio-

!187

ne finale del problema ebraico, al contrario dei francesi che


continuano a sbrodolarsi di egalit e fraternit o di quegli zotici dei tedeschi, incapaci di grandi gesti (C 500).
Di fronte allo spettacolo desolante dei capi di tutti i tipi
(dai capi di Stato fanaticamente convinti di avere un dio dalla
loro parte ai capi spirituali che addestrano terroristi e kamikaze),
vale ancora e sempre il meraviglioso monito di Guglielmo rivolto alla fine del romanzo ad Adso: Temi, Adso, i profeti e coloro
disposti a morire per la verit, ch di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro (R
494). In quel contesto ci si riferiva letteralmente al vecchio cieco Jorge da Burgos, che non aveva esitato ad avvelenare lunica
copia superstite del secondo libro della Poetica di Aristotele pur
di impedire ai curiosi di leggerla ed evitare che si diffondesse
lidea devastante che possibile ridere del creato, e quindi anche di Dio; ma il lettore del tempo era autorizzato a pensare anche a certi teorici della rivoluzione dai cui puri principi malati di
fretta gli sconsiderati ricavavano inesorabilmente il sillogismo
della pratica della lotta armata. Oggi, invece, il labirinto del
mondo diventato villaggio globale immediatamente accessibile
in tutti i suoi punti grazie alla rivoluzione informatica e alle
nuove tecnologie della comunicazione, ci consente di rileggere
quelle parole pensando allo scenario internazionale, che dopo
l11 settembre si trasformato in uno sconfinato campo di forze
costellato di guerre locali ora sante, ora preventive, ora imperialiste alla periferia dellimpero.

!188

Venendo allItalia in particolare, certe pagine del romanzo risultano pi attuali oggi che quando furono scritte. Alla fine
degli anni Settanta lItalia usciva da una stagione di grandi conquiste laiche in materia di diritti civili (si pensi allaborto e al
divorzio) e quindi certi passi anticlericali del romanzo potevano
benissimo essere letti come esclusivamente circoscritti allo stesso dibattito medievale. Si consideri, per esempio, il seguente
passo, in cui Guglielmo, un francescano inglese amico di Marsilio da Padova e Guglielmo di Occam, cio due acerrimi nemici
delle pretese temporaliste della Chiesa, critica quella che Gramsci chiamava la religiosit lazzaronesca del cattolicesimo allitaliana84: Io non vorrei essere ingiusto con la gente di questo
paese in cui vivo da alcuni anni, ma mi sembra che sia tipico
della poca virt delle popolazioni italiane non peccare per paura
di qualche idolo, per quanto lo chiamino col nome di un santo.
Hanno pi paura di san Sebastiano o santAntonio che di Cristo.
Se uno vuol conservare pulito un posto, qui, perch non ci si pisci, come fanno gli italiani alla maniera dei cani, ci dipingi sopra
unimmagine di santAntonio con la punta di legno, e questa
scaccer quelli che stan per pisciare. Cos gli italiani, e per opera
dei loro predicatori, rischiano di tornare alle antiche superstizioni e non credono pi alla resurrezione della carne, hanno solo
una gran paura delle ferite corporali e delle disgrazie, e perci
han pi paura di santAntonio che di Cristo (R 127). Ebbene,
oggi un passo del genere produce tutto un altro effetto di senso
84

Cfr. Gramsci 1975: II, 1086.

!189

in un Paese regredito a forme di culto idolatriche e miracolistiche e tenuto sotto libert vigilata da una classe politica che
prende ordini dal Capo di una teocrazia estera e dalla Cei e di
conseguenza si guarda bene dal varare leggi sgradite alle fobie
paranoiche degli anziani custodi del Vaticano, che scimmiottano
quelli immaginati dal Platone delle Leggi. Si pensi al successo
di Padre Pio o alle storie di madonne piangenti, per non parlare
della suscettibilit politicamente trasversale nei confronti della
statuetta del crocifisso, anche quando la sua ingiustificata onnipresenza nei luoghi pubblici censurata persino dalla Corte europea di Strasburgo per i diritti delluomo, come si visto ai
primi di novembre del 2009 (e su questa polemica intervenuto
il 13 novembre lo stesso Eco su LEspresso con una Bustina
di Minerva dal titolo Il crocefisso: un simbolo quasi laico, sostenendo ironicamente una tesi un po salomonica e proponendo,
pro bono pacis, lesposizione nelle scuole di una croce nuda e
cruda, cio senza il crocifisso).
Pensiamo infine alla rete, che allepoca delluscita del
romanzo era immaginabile con lo stesso grado di plausibilit
con cui lo era limpero galattico sognato da Asimov. Ebbene, la
biblioteca inizialmente definita dallabate Abbone con queste
parole: La biblioteca si difende da sola, insondabile come la
verit che ospita, ingannevole come la menzogna che custodisce. Labirinto spirituale, anche labirinto terreno (R 46); pi
avanti Jorge aggiunge: La biblioteca testimonianza della verit e dellerrore (R 136), finch Guglielmo, di fronte alla sua
ecpirosi, lamenta: Era la pi grande biblioteca della cristianit

!190

(R 494). La biblioteca-labirinto, dunque, il mondo, ovvero la


lista infinita e ricorsiva di tutte sue trame, il modello di tutto il
suo sapere, il ricettacolo di tutte le informazioni che lo descrivono, vere o false che siano. E di cosa oggi segno, simbolo,
metafora perfetta, con la sua insostenibile fragilit e vulnerabilit? Leggiamo come Eco ha recentemente descritto la rete alla
fine del diciottesimo capitolo del suo Vertigine della lista: ecco
finalmente la Gran Madre di tutte le Liste, infinita per definizione perch in continuo sviluppo, il World Wide Web, che appunto ragnatela e labirinto, non albero ordinato, e che di tutte le
vertigini ci promette la pi mistica, quella totalmente virtuale, e
davvero ci offre un catalogo dinformazioni che ci fa sentire facoltosi e onnipotenti, a prezzo di non sapere quale dei suoi elementi si riferisca a dati del mondo reale e quale no, senza pi
distinzioni tra verit ed errore (Eco 2009: 360). E non sar superfluo ricordare che Adso definisce il suo manoscritto elenco
di fatti (R 26), centone, carme a figura, immenso acrostico (R 503), e a un certo punto osserva: nulla vi di pi meraviglioso dellelenco, strumento di mirabili ipotiposi (R 81), a
riprova che lo stesso Eco pi recente impegnato a sviluppare
intuizioni semiotico-cosmologiche presenti in nuce nel suo insuperato capolavoro di trentanni fa85.

85

Non sar superfluo sottolineare che molte delle reliquie storiche elencate in
Eco 2009: 173-177 sono esattamente quelle gi collocate nella finzione dentro la cripta del tesoro dellabbazia (cfr. R 425-427).

!191

Tant vero che Eco 2009 si conclude con una rivisitadella vertiginosa lista creata dallautore della Biblioteca
di Babele nel saggio Lidioma analitico di John Wilkins di Altre inquisizioni87. Borges immagina unenciclopedia cinese intitolata Emporio celeste di conoscimenti benevoli in cui gli animali vengono classificati nel modo seguente: (a) appartenenti
allimperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli,
(e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa
classificazione, (i) che sagitano come pazzi, (j) innumerevoli,
(k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l)
eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche88 . Eco commenta (cfr. pp. 395-396) che se qui il
lettore ingenuo perde la testa a causa di una classificazione palesemente assurda, il lettore esperto di logica nota lanalogia con
lantinomia, scoperta da Russell, dellinsieme degli insiemi
normali (cio che non contengono s stessi tra i propri
elementi): se infatti ci si chiede se tale insieme di insiemi normali sia normale o non normale, si cade in un paradosso senza
uscita, e lascio al lettore il compito di rendersene conto da solo,
tenendo presente che per insieme non normale si intende un insieme che contiene se stesso tra i propri elementi, come linsizione86

86

Se ne era parlato gi a p. 327, nonch, ad esempio, in Eco 1993: 222-223


ed Eco 2007b: 396-397.
87 Si tratta dello stesso Wilkins cui dedicato tanto spazio in Eco 1993 e in
Eco 2007b e che aveva dato lavvio e la stessa immagine di copertina a Eco
1990.
88 In Borges 1984: 1004-1005.

!192

eme dei concetti, che anchesso un concetto (in alternativa, il


lettore provi a stabilire se un barbiere che fa la barba a tutti quelli che non se la fanno da soli se la fa da s oppure no). Ecco
dunque che anche la cavalcata da Omero a Borges attraverso le
mirabili ipotiposi offerte dalle liste, e gi presagite da Adso, finisce in un naufragio per la mente del lettore, lo stesso, si potrebbe aggiungere, che sperimenta il suo occhio davanti alla scala di Penrose, al nastro di Moebius e ad altre architetture impossibili nelle rappresentazioni di Escher89, o davanti alle visioni
psichedeliche finali del viaggio di David Bowman verso Giove e
oltre linfinito90 .

89

Ci sono molti altri esempi di cosiddetti oggetti impossibili noti ai matematici e agli psicologi. Lo stesso Eco ne discuteva uno molto conosciuto,
nella sua lezione-passeggiata dedicata ai mondi possibili della narrativa, in
Eco 1994: 100-101.
90 E pazienza se nel 1983 ad Eco sembrassero Kitsch e tali che ciascuno, per
via della loro vaghezza pseudo-filosofica, pu vedervi le allegorie che vuole
(cfr. Eco 1983: 212).

!193

APPENDICE 1

DIALOGO CON UMBERTO ECO91


Milano, 19 gennaio 2007

Nel tardo pomeriggio del 19 gennaio 2007 a Milano


sembrava di essere in primavera in una citt di mare. Mentre in
Piazza Duomo e in via Dante la gente affollava i tavolini allaperto dei locali godendosi il miracolo dei 20 gradi centigradi, la
Biblioteca Trivulziana, al Castello Sforzesco, ospitava la presentazione dellultimo Almanacco del Bibliofilo, curato da Mario
Scognamiglio e dedicato alle utopie. LAlmanacco prodotto
dallAldus Club, unassociazione internazionale di bibliofili di
cui presidente Umberto Eco. Mattatore della serata, cui ha preso parte anche Vittorio Sgarbi in qualit di Assessore alla Cultura del Comune di Milano, era proprio Eco, che ha letto il suo
esilarante racconto (incluso nel volume ma gi anticipato su La
91

Una prima versione di questo testo apparsa sul Corriere di Gela del 26
gennaio 2007; una versione pi ampia, quasi identica alla presente, era stata
postata su Sitosophia, il sito degli studenti di filosofia dellUniversit di Catania (http://www.sitosophia.org/forum/viewtopic.php?p=588)

!194

Repubblica del 20 dicembre 2006) su un infelicissimo regno


dUtopia regolato dalla cosiddetta saggezza popolare contenuta
nei proverbi, la cui notizia, nella finzione narrativa, si troverebbe in un borgesiano libello anonimo e privo di data. Naturalmente, com tipico di Eco, il testo contiene innumerevoli allusioni
allattualit politica italiana caratterizzata dal conformismo e
da una forma di populismo mediatico imposto da Berlusconi e
seguito per amore o per necessit anche dai suoi avversari soprattutto nei suoi aspetti pi grotteschi e ignobili. Si veda, ad
esempio, la situazione della giustizia in questa molto familiare
isola di Utopia: I giudici erano screditatissimi in base al cosiddetto Primo Principio della Bandana, chi ha torto fa clamore
contro laccusatore (il Secondo Principio asseriva che chi ruba
poco va in galera, chi ruba tanto fa carriera).
Avendo avuto la possibilit di assistere allevento, non
mi sono lasciato sfuggire loccasione di scambiare alla fine due
chiacchiere con Eco nel corso dellintervista rilasciata a una mia
amica giornalista di Radio Capodistria, Marialaura Bidorini. Lo
spunto della discussione, che si svolta in una suggestiva saletta
di lettura stracolma di vecchi e preziosi volumi, lho tratto dai
doni votivi che ho umilmente portato al Maestro: il mio volumetto su Karl Popper e la televisione92 , che contiene anche una
decina di pagine sullEco massmediologo dei primi anni Sessan-

92

Trainito 2002.

!195

ta, e il mio saggio su La misteriosa fiamma della regina


Loana93 .
Innanzi tutto ho chiesto ad Eco di chiarirmi il suo rapporto teoretico con Popper, perch gli ho detto ho notato che,
sebbene egli nelle sue opere citi relativamente poco il grande
filosofo, in almeno un caso fa un riferimento preciso e decisivo
al suo falsificazionismo. In particolare ho richiamato quel passo
della prima delle tre Tanner Lectures del 1990 contenute in Interpretazione e sovrainterpretazione, intitolata Interpretazione
e storia, in cui egli fa un esplicito riferimento allepistemologia
popperiana e osserva che, sebbene sia lecito dubitare della possibilit di stabilire una volta per tutte la vera interpretazione di
un testo, tuttavia possibile stabilire se una certa interpretazione
falsa (il che smentisce la teoria dellinterpretazione radicalmente reader-oriented, che privilegia lassoluta libert interpretativa del lettore a discapito dei vincoli del testo. Cfr. Eco 1995:
35). Ma questo, osservavo, non altro che un modo di applicare
alla lettera la logica della scoperta scientifica di Popper alla logica dellinterpretazione dei testi, e per giunta in un punto nevralgico della teoria di Eco sui limiti dellinterpretazione. A
tal proposito interessante che il passo coevo e in gran parte
parallelo di Eco 1990 (cfr. p. 54) non contiene il riferimento
esplicito a Popper, perch Eco aveva espresso lo stesso principio
e citato Popper in precedenza in un paragrafo intitolato La falsificazione delle misinterpretazioni, che comincia cos: A que93

Trainito 2004.

!196

sto punto vorrei stabilire una sorta di principio popperiano non


per legittimare le buone interpretazioni ma per delegittimare le
cattive (Eco 1990: 35)94. N da trascurare il fatto che pi
avanti, nella stessa opera, rispondendo alle critiche di Luciano
Nanni al Trattato di semiotica generale, Eco non solo mostri
una certa dimestichezza con Popper 1934 e Popper 1972, ma
dichiari addirittura: le mie proposte non hanno lo statuto di una
teoria scientifica: al massimo hanno lo statuto di una teoria epistemologica come quella di Popper (Eco 1990: 133; ma cfr.
anche 136 e 138), fino ad arrivare ad assimilare la propria nozione di Enciclopedia a quella popperiana di Mondo 3 (ivi: 138).
Eco ha convenuto che questo riferimento esibisce una
chiara influenza popperiana sulla sua teoria della intentio operis
come terza via tra la spesso inaccessibile (nonch poco pertinente ai fini dellinterpretazione di un testo) intentio auctoris da un
lato e lintentio lectoris dallaltro, che, facendo dire a un testo
quel che si vuole, rischia di deragliare verso il soggettivismo e
lermeneutica selvaggia.

94

Cfr. anche Eco 2007b: 522-523, in cui si ribadisce la fonte popperiana dellidea centrale di Eco 1990.

!197

Nella sua lunga risposta, Eco ha fatto altre due interessanti considerazioni su Popper, pur ammettendo francamente di
non essere un frequentatore assiduo delle sue opere95.
1) A suo parere, Popper ha dimenticato di riconoscere il
debito con Peirce per la sua concezione del carattere ipoteticodeduttivo delle teorie scientifiche, visto che essa non altro che
una versione della teoria peirceana dellabduzione, cio della
congettura, contrapposta alla semplice induzione e alla semplice
deduzione (com noto, per Eco anche il metodo investigativo di
Sherlock Holmes e di altri suoi emuli, nonch le pseudo storie di
detection di Borges, sono inconsapevoli esemplificazioni dellabduzione di Peirce). Inoltre, secondo Eco, Popper si limitato
a menzionare Peirce solo in relazione al suo fallibilismo. E in
effetti, Popper stesso riconobbe di aver preso da Perirce il termine fallibilismo, ma aggiunse anche che lidea molto pi antica, non essendo altro che una riedizione del socratico So di
non sapere.96 Analogamente, per quanto riguarda labduzione,
Popper avrebbe senza dubbio obiettato che se Peirce ha il merito
di aver introdotto il nome, la cosa molto pi antica ed riconducibile alle speculazioni ipotetico-deduttive dei Presocratici
95

Altri due riferimenti non banali a Popper, uno allultimo capitolo di Popper
1945 e uno al 29 di Popper 1944-1945, entrambi relativi a punti ben precisi
della teoria popperiana della logica delle scienze sociali, si trovano nel saggio
Segni, pesci e bottoni. Appunti su semiotica, filosofia e scienze umane, incluso in Eco 1985, ma si ha la fondata impressione che in questo caso si tratti di
citazioni di seconda mano tratte da un testo di Marco Santambrogio (cfr Eco
1985: 319, 322, 323 e 333).
96 Cfr. Popper 1979: XXI.

!198

(Parmenide, Democrito e Senofane in particolare), al cui spirito


speculativo e critico egli raccomand di tornare in un suo celeberrimo saggio del 1958 (Ritorno ai Presocratici, ora cap. 5 di
Popper 1963). Per parte mia ho osservato che Popper, soprattutto nel sesto capitolo di Popper 1972 (ma anche altrove), unopera che Eco ha presente in pi di un luogo de I limiti dellinterpretazione97, rende un grande omaggio a Peirce soprattutto in
relazione allindeterminismo fisico. A dire il vero, contrariamente a quanto sostenuto da Eco, i riferimenti di Popper a Peirce
sono numerosi e testimoniano un confronto continuo col suo
pensiero. Non a caso, oltre ai numerosi omaggi al grande filosofo americano, si trova una consistente critica contenuta soprattutto nellAppendice *IX di Popper 1934 e nel primo volume di
Popper 1983 (parte II, 10) alla sua teoria soggettivista del
calcolo delle probabilit, cui Popper ha contrapposto un approccio oggettivista basato sulla realt delle propensioni. E in un
passo dellimportante capitolo 10 di Congetture e confutazioni,
Popper usa addirittura le parole di Peirce per esprimere la sua
famosa nozione del controllo empirico di una teoria, che consiste non nella sua verificazione ma nel tentativo di trovare una
confutazione delle sue previsioni pi audaci, ovvero delle sue
conseguenze pi improbabili98.
2) Eco ha anche confessato di apprezzare molto la critica
di Popper a quella che Popper stesso ha chiamato teoria sociale
97
98

Cfr. in particolare Eco 1990: 136 e 138.


Popper 1963: 411, in cui si rimanda a Peirce, Collected Papers, 1931-1958,
7.182 e 7.206.

!199

della cospirazione, cio lidea secondo cui dietro certi fenomeni sociali c un regista occulto, unico e intenzionale. Gi Omero spiegava quello che accadeva a Troia per mezzo di complotti
orditi nellOlimpo dagli di, e un esempio classico nel XX secolo sono i cosiddetti Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un falso
documento che illustrava un complotto sionista per la conquista
dellOccidente e che godette di ampio credito presso gli ambienti antisemiti europei, e soprattutto presso Hitler e Mussolini99 .
Per inciso, la critica di Popper alla teoria sociale della cospirazione, contenuta gi ne La societ aperta e i suoi nemici (in
particolare nel capitolo XIV), al centro della sua metodologia
delle scienze sociali, basata sullanalisi delle conseguenze sociali non intenzionali delle azioni umane intenzionali, e della sua
filosofia della politica, basata sulla difesa della democrazia dalle
tentazioni autoritarie dei nemici della societ aperta, non a caso
ossessionati dalle cospirazioni altrui e quindi pronti a complottare contro la libert. Come ha mostrato Eco nello scritto citato di
A passo di gambero e in altri contenuti nella stessa raccolta, in
Italia Mussolini stato un tipico seguace della teoria della cospirazione, e in altre forme essa oggi allopera nellossessione
berlusconiana del complotto delle toghe rosse o pi in genera99

In effetti, uno stesso ampio passo su questo tema, tratto dal quarto capitolo
di Popper 1963, citato da Eco con leggere differenze in Eco 1990: 50, verso
la fine del saggio La forza del falso (in Eco 2002: 320) e nella conferenza del
2004 intitolata Il lupo e lagnello. Retorica della prevaricazione, ora in Eco
2006 (cfr. p. 49); e alcune righe del medesimo passo di Popper sono riportate
in testa al cap. 118 del Pendolo.

!200

le dei comunisti contro la sua persona e il suo partito, per non


parlare del complotto degli infedeli occidentali contro lIslam
sbandierato dai fondamentalisti e, ad esso speculare, di quello
dellEurabia contro i valori cristiani dellOccidente denunciato
da Oriana Fallaci e dai suoi simpatizzanti.
Incoraggiato da tanta disponibilit al dialogo, ho poi
chiesto a Eco un chiarimento su unipotesi interpretativa da me
avanzata nel mio saggio su Loana. Questa parte della conversazione stata registrata in audio ed per me motivo di grande
emozione intellettuale, perch mi sono reso conto di aver contribuito inavvertitamente a riprodurre la situazione, paradossale e
misteriosa, di un colloquio tra libri allinsaputa dei loro autori,
che lo stesso Eco ha descritto molti anni fa in merito al rapporto
tra Borges e Peirce. Volendo applicare alle storie di detection di
Borges la logica peirceana, allinizio del terzo paragrafo del
saggio Labduzione in Uqbar (che nel titolo evidentemente allude a Peirce e al famoso racconto Tln, Uqbar, Orbis Tertius, che
apre le Finzioni di Borges) Eco scriveva: Borges sembra aver
letto tutto (e anche di pi, visto che ha recensito libri
inesistenti). Tuttavia suppongo che non abbia mai letto i Collected Papers di Charles Sanders Peirce, uno dei padri della semiotica moderna. Potrei sbagliarmi, ma mi fido di Rodriguez Monegal, e non trovo il nome di Peirce nellindice dei nomi della
sua biografia borgesiana. Se sbaglio, sono in buona compagnia.
In ogni caso, se Borges abbia letto o meno Peirce, non mi importa. Mi pare un buon procedimento borgesiano assumere che i
libri si parlino tra loro e non necessario che gli autori (che i

!201

libri usano per parlare una gallina lartificio che un uovo usa
per produrre un altro uovo) si conoscano lun laltro. Il fatto
che molti dei racconti di Borges sembrano esemplificazioni perfette di quellarte dellinferenza che Peirce chiamava abduzione
o ipotesi, e che altro non che la congettura (in Eco 1985:165166).
Ora, quando lavoravo al mio saggio su Loana e mi interrogavo sul mistero di Lila, la ragazza amata dal protagonista
Yambo, mi sono imbattuto in un problema analogo. C infatti
un romanzo di Robert Pirsig, uscito nel 1991 (cio nello stesso
anno in cui si svolge il romanzo di Eco), che si intitola proprio
Lila e che per giunta contiene sorprendenti analogie con il romanzo di Eco. Allora mi sono chiesto se Eco conoscesse questopera dellautore del celebre Lo Zen e larte della manutenzione della motocicletta, e sono giunto a una conclusione ipotetica, cio basata su unabduzione peirceana: Il minimo che si
possa dire che saremmo di fronte a una coincidenza singolare
se Eco avesse costruito la sua Lila ignorando Lila di Pirsig. Nelle opere di Eco successive al 1991 non si trova (mi pare) alcun
accenno a questo romanzo. Ma in un articolo apparso su LEspresso del 22 maggio 1983, La moltiplicazione dei media,
poi incluso in Sette anni di desiderio, si trova un cenno esplicito
a Lo Zen e larte della manutenzione della motocicletta: non
molto, certo (il primo romanzo di Pirsig stato un cult negli
anni Settanta e oltre, e non poteva sfuggire allattenzione di uno
studioso della cultura di massa come lui), ma basta per dire che
Eco conosce abbastanza bene almeno il primo Pirsig. Io sono

!202

portato a congetturare che egli conosca bene anche Lila e in


qualche modo abbia voluto dare una risposta pessimistica,
scettica, amara, ironica e quasi solipsistica da pensiero debole occidentale alla presuntuosa, ottimistica e totalizzante Metafisica della Qualit di Pirsig, basata sulla sapienza degli Indiani
dAmerica e degli indiani dellIndia e ancorata, occorre ricordarlo, alla dolorosa e illuminante esperienza personale della follia e del manicomio.
Si pu comprendere, allora, quanto fossi ansioso di interrogare Eco proprio su questo punto. Ecco la trascrizione del dialogo (con leggere modifiche):
- Professore, mi tolga una curiosit. Nel mio saggio su Loana, un romanzo
che secondo me vergognosamente sottovalutato, io ho svolto alcune considerazioni sul nome Lila, che lei declina altre volte: Lia nel Pendolo,
Lilia nellIsola del giorno prima Per c un romanzo di Pirsig che si
intitola Lila e ho trovato delle analogie incredibili
- La fanciulla di cui si parla in Loana, Lila Saba, aveva un nome abbastanza
simile [a Lia e Lilia], evidentemente senza rendermene conto. La Lilia dellIsola del giorno prima lho trovata in Giambattista Marino, e ogni volta che
dovevo metter in scena una creatura femminile mi veniva questo nome. ()
- Lanalogia strana che il romanzo di Pirsig stato pubblicato nel 91,
proprio lanno in cui ambientato Loana!
- Ho presente La motocicletta, ma non mi viene in mente quel romanzo, non
lho letto. Ma non un nome incredibile. Si chiama Lila Saba perch il primo
nome simile e il cognome quello di un poeta. Poteva essere Ungaretti. Ho
pensato solo dopo che con quel cognome si poteva pensare a una ragazza
ebrea, invece no, non era voluto, ho preso un poeta al posto di un altro.

Come si vede, per sua stessa ammissione Eco non aveva


letto Lila di Pirsig allepoca di Loana, e quindi la mia abduzione

!203

era falsa. Ma questo fatto rende le coincidenze ancora pi sorprendenti, perch come se si fosse realizzato davvero quello
che nel passo di Eco su Borges e Peirce, citato sopra, era presentato sotto forma di ironico paradosso: cos come le galline possono essere considerate artifici creati dalle uova per produrre
altre uova, allo stesso modo gli scrittori (e anche i lettori) possono essere considerati come degli artifici che i libri creano per
parlare tra di loro100 .

100

Su questo si vedano anche Eco 1990: 114-122 e Eco 1995: 87-100, dove
vengono discussi casi analoghi di citazioni involontarie ravvisate dai lettori
del Nome della rosa e del Pendolo di Foucault.

!204

APPENDICE 2

SOMMARIO ANALITICO DEL


PENDOLO DI FOUCAULT

Poich Il pendolo di Foucault resta il romanzo pi ampio, articolato e impervio di Umberto Eco, e poich neppure
lindice consente di farsi unidea dei contenuti, si ritenuto opportuno approntare il seguente sommario analitico, che pu tornare utile come strumento di consultazione (viceversa, R contiene un indice dei sottotitoli che riassumono il contenuto dei singoli capitoli, C contiene unappendice con una tabella dei rapporti, capitolo per capitolo, tra livello dellintreccio e livello della fabula, mentre gli indici di I, L e soprattutto B danno, almeno
per sommi capi, indicazioni sui contenuti). I numeri a sinistra
indicano le parti (10) e i capitoli (120).
1. Keter
[1-2]

Notte tra il 25 e il 26 giugno 1984. Da una casa in collina Casaubon racconta che alle quattro del pomeriggio del 23 giugno
si trovava di fronte al Pendolo di Foucault, al Conservatoire

!205

des Arts et Mtiers di Parigi. Casaubon vede il Pendolo come


un oggetto pitagorico-sapienziale, oltre che scientifico. Poich
a mezzanotte sarebbero venuti i misteriosi Signori del Mondo,
individua nella garitta del Periscopio il nascondiglio dove passare il tempo dallora di chiusura a quella dellimprecisato appuntamento. Prima di rifugiarsi nel Periscopio, visita il museo
e interpreta sospettosamente in chiave ermetica e simbolica gli
oggetti della storia della tecnica ivi esposti. Alle cinque entra
nella garitta e comincia a rievocare con inquietudine la catena
di eventi degli ultimi tre giorni, degli ultimi due anni, degli
ultimi dodici anni e di quarantanni prima che lo hanno condotto fin l. Adesso riproduce con animo pi sereno e consapevole
la storia ricostruita nella garitta due giorni prima.
2. Hokmah
[3]

[4-6]

21-23 giugno 1984. Tornato il giorno prima da una vacanza di


circa un mese, Casaubon riceve la mattina del 21 una concitata
telefonata da Parigi dellamico Jacopo Belbo, interrotta presumibilmente da un rapimento. Lamico fa in tempo a dirgli di
recarsi a casa sua e di leggere il suo resoconto degli eventi che
lo hanno incastrato e condotto a Parigi, affidato a dei file salvati in dischetti. A casa di Belbo, Casaubon trova lo stampato di
un file che testimonia lentusiasmo da neofita dellamico di
fronte alla videoscrittura.
FILENAME: Abu. Esperimenti di videoscrittura combinatoria
di Belbo, che mescola lacerti di pezzi celebri della letteratura
per creare nuovi testi. La memoria digitale, riflette Belbo, permette non solo di archiviare ma anche di dimenticare, cancellando definitivamente. Abulafia maestra nellars oblivionalis,
irraggiungibile per la memoria umana, che al massimo pu
apprendere mnemotecniche. Non solo, ma Abulafia prevede
processi reversibili: puoi recuperare ci che avevi deciso di
cancellare. Un suicida che si lanci dalla finestra, invece, non
pu tornare indietro.
Dopo vari tentativi cervellotici e cabalistici (dai quali impara
ancora una volta che spesso le ipotesi eleganti e ingegnose
sono false, come il Piano, che faceva scambiare i propri deside-

!206

3. Binah
[7]

[8]

[9]

ri con la realt), rispondendo esasperato No alla domanda del


computer Hai la parola dordine?, riesce finalmente a trovare
la password per accedere ad Abulafia, che Belbo ha portato l
dal suo ufficio della casa editrice Garamond, e trova numerosi
file che raccontano in modo creativo e a tratti delirante alcune
fasi della storia del Piano che lo stesso Casaubon ha contribuito
a mettere in piedi. Casaubon passa la notte a casa di Belbo leggendo e decifrando i documenti e aspettando una telefonata da
Belbo che non arriver. Dalla collina, Casaubon ricorda con
serenit la rievocazione inquieta nel Periscopio, che a sua volta
era una ricostruzione ordinata della storia letta nei file di Belbo
dalla sera del 21 fino alla mattina del 23.
1970. Casaubon comincia luniversit del dopo 68.
1961 (?): Allet di 10 anni Casaubon diventa incredulo e guarisce dalla credulit, una passione della mente, perch il padre gli spiega che anche le riviste con scopi educativi mirano al
guadagno.
Fine 1972. Casaubon entra in contatto con Belbo al bar Pilade
di Milano mentre lavora alla sua tesi di laurea sui Templari.
Il bar Pilade ai tempi dellincontro e il ritratto di Belbo al bar.
Lo pseudodiario di Belbo trovato da Casaubon, una specie di
raccolta di centoni narrativi autobiografici, sembra tradire la
sua decisione di voler essere solo uno spettatore intelligente,
non potendo essere un protagonista.
FILENAME: Tre donne intorno al cor. Belbo rievoca le donne
della sua infanzia, tutte irraggiungibili senza rimedio: la Madonna che sta in paradiso, Marilena che cammina sul bordo
della spalliera di una panchina e rimane in purgatorio a invidiare il pene, e una bimba troppo presto chiamata allinferno
perch morta. Ma cera Cecilia, raggiungibile, la quale per
gi amoreggiava con un tale Papi che per giunta suonava il
sassofono, mentre lui non aveva ancora nemmeno la tromba.
Circa 1938. Belbo ha cinque o sei anni e sogna di avere una
tromba. Al risveglio desidera di averla ma gli zii finiscono col
comprargli un clarino (anche perch pi economico).

!207

[10]

[11]

[12]

[13-14]
[15]

Fine 1972. Ritorno al primo incontro con Belbo, il quale espone a Casaubon la sua personale teoria della differenza tra cretini, imbecilli, stupidi e matti. Questi ultimi, in particolare, sono
degli stupidi ignari dei paralogismi (in cui gli stupidi puri eccellono), procedono per cortocircuiti mentali, per loro tutto
dimostra la loro idea fissa e prima o poi tirano fuori i Templari.
Questo riferimento spinge Belbo a chiedere a Casaubon se vuole dare unocchiata a un dattiloscritto sui Templari lasciato due
giorni prima da un tizio alla casa editrice Garamond, per la
quale egli lavora come redattore.
Casaubon capisce che Belbo soffre la sua condizione lavorativa
di redattore e scrittore per interposta persona e si cimenta in
prove narrative nelle quali punisce il suo desiderio della creazione letteraria, perch pensa di non averne diritto.
FILENAME: Jim della Canapa. Belbo si vede come un redattore editoriale demiurgo che dirige il lavoro altrui come un
autore incognito e d suggerimenti persino a Shakespeare sullambientazione e la struttura dellAmleto. Poi immagina di
essere un autore tradito da una donna che per il dolore si imbarca sul Titanic e fa naufragio nei mari del sud, finch mette
radici su unisola abitata da papuasi, coltiva la canapa e diventa Jim della Canapa per i nativi, mentre per i commercianti
occidentali Kurtz. Tornato dopo 18 anni, scopre di essere il
Grande Poeta Scomparso letto da tutti, rivede la sua donna ma
non le parla e osserva come un Dio le sue creature, per esempio Shakespeare, diventate famose.
Il giorno dopo. Casaubon va alla Garamond rispondendo allinvito di Belbo, vi incontra anche Diotallevi e viene agganciato dai due per le sue conoscenze sui Templari e per il suo
acume logico.
Dopo cena, da Pilade, Casaubon racconta a Belbo e Diotallevi
lorigine dei Templari e le varie fasi della loro storia, fino al
processo (1118-1314).
Inizio del 1973. Tempo dopo Casaubon incontra Belbo e una
donna, Sandra, a un corteo antifascista a Milano e insieme fuggono davanti alla carica della polizia. Belbo rievoca altre fughe: nel 43 la sua famiglia viene sfollata e si trasferiscono a

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[16]

[16-20]

[21-22]

4. Hesed
[22-25]

*** ( Nizza Monferrato, sempre indicata con asterischi nel


romanzo) e lundicenne Belbo assiste a scontri a fuoco tra nazifascisti e partigiani.
FILENAME: Canaletto. Il racconto di unaltra specie di diserzione da parte di Belbo, tra il 43 e il 44, questa volta prima di uno scontro poi non avvenuto tra bande di ragazzini,
quella del Canaletto (cui Belbo si era aggregato) e quella del
Viottolo. Un mese dopo, nel corso di una sassaiola, il dodicenne Belbo si espone e prende una zolla in bocca, che gli spacca
il labbro.
Inizio del 1974 (?). Per circa un anno, dopo il corteo, Casaubon non vede Belbo e nel frattempo inizia la relazione con la
brasiliana Amparo, marxista e di sangue misto. Un giorno lo
incontra per caso lungo i Navigli e viene da lui invitato a bere
qualcosa nel suo ufficio alla Garamond, dove si imbattono nel
colonnello Ardenti. Costui ha con s un faldone che documenterebbe un Piano dei Templari, ovviamente segreto, e il misterioso ritrovamento di una pergamena a Provins (dove i Templari erano di casa) nel 1894 da parte di un certo Ingolf.
Lindomani, Ardenti scompare. Interrogati dal commissario
De Angelis, Belbo e Casaubon mentono sulla pergamena. Da
quel giorno, Casaubon perde i contatti con Belbo, mentre in
Italia, nei mesi seguenti, gli studenti sostituiscono le manifestazioni con le armi da fuoco. Con laiuto di Amparo, Casaubon ottiene un lavoro allUniversit di Rio de Janeiro con un
contratto biennale rinnovabile.
Fine 1974-1976. Di fronte al peculiare sincretismo della cultura popolare brasiliana, Casaubon comincia a cedere alla seduzione delle somiglianze, per cui tutto pu avere misteriose
analogie con tutto. Due anni dopo il loro ultimo incontro, verso
la fine del 75, riceve una lettera inquietante di Belbo in cui si
parla di un rito della setta Picatrix in cui veniva evocato lo spirito di Cagliostro, dellincontro con De Angelis, presente alla
cerimonia e di strani sviluppi nel caso Ardenti, che pare fosse
stato visto prima della scomparsa nella sede di Picatrix con la
medium, la quale durante il rito aveva nominato in trance i 6

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[26-28]

[29-30]
[31]
[32]

[33]

4. Geburah

sigilli, i 120 anni di attesa e i 36 Invisibili, cio le stesse cose


che facevano parte della teoria del complotto di Ardenti. Una
lettera di Belbo di due giorni dopo rassicura Casaubon, perch
pare che De Angelis abbia chiarito tutto: la sensitiva, leggendo
lomonima rivista di Picatrix, si cibava della stessa letteratura
occultistica di cui si cibava Ardenti, che poi vomitava quando
era in trance. Ma dal Periscopio Casaubon pensa che alla luce
del Piano la spiegazione sia unaltra. Nel corso del 76 Casaubon apprende che in Italia scoppiata la lotta armata.
1977. Viaggio di Casaubon e Amparo a Salvador da Bahia,
dove conoscono il signor Agli, il quale fa credere di essere il
conte di San Germano, li istruisce sui segreti del sincretismo e
li fa assistere a un candombl, un rito afro-brasiliano autoctono.
1977-1978. Ultimi giorni a Bahia. Casaubon legge e commenta
con Amparo un libro sui Rosa-Croce e la loro leggenda.
A Rio Casaubon e Amparo assistono a una riunione dellOrdine
della Rosa-Croce Antico e Accettato e ascoltano il professor
Bramanti.
Agli illustra a Casaubon la logica della Tradizione, che contrasta con la logica del tempo storico e della successione causale, prevedendo cos che leffetto possa produrre la causa. Per
esempio: visto che il Corpus Hermeticum contiene idee simili a
quelle di Ges, a quelle di Platone, a quelle di Mos e a quelle
degli Egizi, errato credere, come fanno i filologi moderni, che
esso venga dopo e ne sia leffetto; invece corretto pensare,
con Pico della Mirandola e Marsilio Ficino, che esso venga
prima e ne sia la causa, riflettendo una sapienza antichissima.
Agli accompagna Casaubon e Amparo a una gira di umbanda,
un rito che innesta culti indigeni con la cultura esoterica europea. Amparo va in trance posseduta dagli spiriti dei morti e
Casaubon apprende da Agli la differenza tra la conoscenza
delliniziato (attiva) e la possessione del mistico (passiva).
Amparo scompare dalla vita di Casaubon, umiliata dalla vittoria della sua cultura profonda sulla sua formazione razionalistica. Casaubon passa da solo il suo ultimo anno in Brasile.

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[34]

[35]

[36]

[37-39]

1979-1981. Casaubon ritorna nellItalia confusa del dopo delitto-Moro, quando si mitizza il Desiderio, la sinistra si ispira a
Nietzsche e Cline e la destra celebra le rivoluzioni del Terzo
Mondo. Al bar Pilade Belbo contempla Lorenza Pellegrini
mentre gioca al vecchio flipper e se ne innamora, sentendo la
macchina come metafora del corpo cosmico e avvertendo oscuramente nella ragazza come una promessa del Pendolo.
FILENAME: Flipper. Larte di giocare a flipper richiede un
pube femminile per esprimersi al meglio perch si tratta di una
sorta di interazione erotica tra lessere umano e la macchina.
Casaubon si inventa un lavoro aprendo unagenzia di informazioni culturali, come una sorta di investigatore privato del sapere enciclopedico.
16 luglio 1981. Casaubon incontra in biblioteca Lia, che lavora
rivedendo voci di enciclopedia. Dopo una cena che dura oltre
la mezzanotte, lei lo chiama Pim dal suo gesto e verso di
spararle simulando la pistola col pollice e lindice.
Fine 1981. Casaubon, che andato a vivere da Lia, incontra di
nuovo Belbo, il quale un giorno gli offre un lavoro: la raccolta
in giro per archivi e biblioteche del materiale illustrativo per un
libro sulla storia dei metalli che unazienda siderurgica ha
commissionato alla Garamond.
Lo strano rapporto di Belbo con Lorenza Pellegrini, una donna
disinvolta. Entra in scena il dottor Wagner, psicoanalista lacaniano, decostruzionista, non cartesiano, sostanzialmente epicureo: la Garamond ha tradotto una sua raccolta di saggi minori e
con loccasione Belbo entra in contatto con lui.
FILENAME: Doktor Wagner. Un giorno Wagner psicoanalizza Belbo gratis e senza volerlo, facendo emergere il suo difficile rapporto con Lorenza, condivisa con un altro.
Casaubon accetta il lavoro propostogli dalla Garamond; Belbo
gli parla del Conservatoire e del Pendolo e lo presenta al padrone, che possiede anche la Manuzio, casa editrice APS
(Autori a Proprie Spese), che spenna polli vanitosi come il doganiere in pensione commendator De Gubernatis, poeta dilettante affamato di gloria.

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[45-48]

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FILENAME: Vendetta tremenda vendetta. Deluso da Lorenza


e dalla vita, Belbo collabora con i raggiri della Manuzio per
vendicarsi di coloro i quali non hanno saputo accettare il ruolo
di spettatori, come invece ha fatto lui.
Garamond vuole da Casaubon cabala e computer per le illustrazioni del libro sui metalli, ma quando il professor Bramanti
viene a proporre una delirante collana di scienze occulte, lancia
la proposta del Progetto Hermes per entrare nel ramo delloccultismo, dato che ormai una moda: la Manuzio pubblicher
il ciarpame occultistico nella collana Iside Svelata, mentre la
Garamond pubblicher testi di valore scientifico nella collana
Hermetica.
Due mesi dopo, 1982. Parte il Progetto Hermes con linvio di
dpliant alle societ segrete e con Lorenza che fa da propagandista civetta nelle librerie di occultismo. In pochi mesi la Garamond-Manuzio invasa da diabolici APS dellocculto, a
cominciare dal professor Camestres, adoratore della Bestia e
seguace eretico di Aleister Crowley.
1982. Lo sciame dei libri deliranti. Casaubon contatta Agli per
fare da consulente, e, a casa sua, lui, Belbo e Diotallevi assistono a una discussione accesa tra Bramanti e il francese Pierre, due esaltati occultisti. Il teatro della memoria nello studio
di Agli e la sua biblioteca di testi rari. Agli d prova di competenza e offre quasi gratuitamente la propria collaborazione in
quanto cultore, a suo dire, non di un genere ma della Sapienza,
mentre si scopre che Lorenza di casa a casa sua.
Da Pilade, Belbo spiega il riferimento di Agli alla cavalleria
spirituale rievocando la vicenda dello zio Carlo, di Adelino
Canepa e del capo locale dei partigiani, svoltasi a *** durante
il periodo della Resistenza.
Arriva Lorenza e li porta alla galleria dei quadri di Riccardo,
luomo con la cicatrice con cui Belbo la divide. Qui la donna
racconta a Belbo che con Agli giocano a fare Simon Mago e
la sua Sophia-Elena, la prostituta e la santa di cui parla un
frammento dei testi di Nag Hammadi. Belbo la porta via ubriaca.

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[51]

[52]

[53]

[54-56]

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In una miniera del museo della tecnica di Monaco, Casaubon


incontra il suo vicino dufficio, Salon limpagliatore, il quale si
mostra molto informato sulla sua vita e gli parla dei sotterranei
e dei Signori del Mondo che vi abitano, secondo le teorie di
Saint-Yves dAlveydre.
Al suo ritorno a Milano Casaubon, con Belbo e Diotallevi, apprende da Agli quello che lui ricorda, come se lo avesse
incontrato di persona, su dAlveydre e la sua Mission de lInde
en Europe (1886), sulla sua teoria della Sinarchia, su Agarttha
e sulla sua idea di una direzione occulta della Storia da parte
di una Intenzione Stabile, di un disegno, di una Mente.
Casaubon va in biblioteca per cercare il libro di dAlveydre e
vi trova il commissario De Angelis, che lo ha appena consegnato, con cui si intrattiene sulla Sinarchia e sulla teoria del complotto cosmico. Alla fine del dialogo De Angelis gli chiede se
sa cos il Tres, una sorta di associazione, di cui ha sentito parlare. Casaubon non sa cosa sia. Lia a casa interpreta la teoria
del complotto come surrogato minore della ricerca di Dio.
Autunno 1982. I tre e Lorenza vanno nella casa in collina di
Belbo sia per trascorrere un fine settimana e fare il punto della
situazione sul libro dedicato ai metalli sia perch Agli li ha
invitati al castello di un rosacrociano nel torinese per assistere
a un rito druidico. Belbo rievoca lo scontro a fuoco nel 45 tra
fascisti e partigiani davanti alla casa; sono gli unici ricordi veri
che ha, pur essendo stato anche allora solo uno spettatore. Rievoca don Tico, il genis, la tromba, loratorio e lamore non
corrisposto per Cecilia. Casaubon teme le incursioni erotiche
notturne di Lorenza e decide di fare un figlio con Lia.
Lindomani, i tre guidano attraverso le colline langhigiane,
visitano un curioso castello dove appaiono vari simboli alchemici [e] ivi incontrano alcuni occultisti che gi
conoscevano [sunto del cap. 57 proposto in Eco 2003: 156]. Il
giardino-libro scritto in ideogrammi di cui non si conosce pi il
senso. Strane visioni nella stanza bianca del castello riguardanti
la rappresentazione della produzione di homunculi con metodi
ermetici (nella serra ne sono custoditi degli esemplari in 6 ampolle). Casaubon sente la presenza di Lorenza e si vede come

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6. Tiferet
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Amparo a Rio. In una stanza sotto il livello del suolo Casaubon


trova una sorta di orecchio di Dionisio a muro, da cui gli giungono frammenti di conversazioni sulla Pietra filosofale, su Cagliostro e sui sotterranei di Parigi; Agli conduce i tre e Garamond al piano superiore, da dove assistono non visti a un caricaturale rito di iniziazione templare-rosacrociano-massonico
officiato dal solito Bramanti. Verso la mezzanotte Agli li conduce presso la radura di un bosco a tre quarti dora dauto,
dove scorgono non visti le prime fasi di un rito druidico tutto al
femminile, fino allapparizione di una torma di maiali. Quella
sera il Piano prende forma nella mente dei tre amici.
Una settimana dopo. Preda del demone delle somiglianze,
Casaubon non ci crede ma ci casca come Amparo, e rilegge la
Storia in chiave ermetica, malgrado la saggezza di Lia, che gli
spiega come tutti gli archetipi e i misteri numerologici siano
riconducibili alla struttura del corpo umano e rispondano a
principi di economia; alla fine della conversazione Lia gli comunica di essere incinta.
1983. Mandata alle stampe la storia dei metalli, Garamond
propone una storia illustrata delle scienze magiche ed ermetiche in 400 pagine. A seguito delle ricerche per questopera,
contagiato ormai dal delirio interpretativo, Casaubon concepisce il Piano, assecondato da Belbo e Diotallevi. Per Diotallevi
il gioco del Piano una preghiera, mentre per Belbo un modo
di esplorare il regno del falso dopo aver rinunciato a quello del
vero per aver perduto lOccasione, il Momento decisivo.
FILENAME: Sogno. Quadri onirici della ricerca di una donna, o di molte donne, a Parigi, rimorsi per gli appuntamenti
mancati, lui ignora lindirizzo, trova un Teatro equivoco, poi
c una casa di campagna, lagognato buen retiro di Belbo
(secondo Cardano nel passo che funge da epigrafe al capitolo,
sognare una citt sconosciuta significa morire entro breve
tempo).
Sviluppando unidea di Casaubon, Belbo d ad Abulafia listruzione di disporre in maniera randomizzata alcune frasi tratte
dai manoscritti dei diabolici APS e ne viene fuori un capitolo

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[69]
[70-72]

[73]

quasi inedito della storia ermetica. Casaubon suggerisce di


inserire anche molti dati esterni ed estranei per aumentare le
connessioni e Belbo si produce nella lettura mistico-ermetica
dellautomobile, a partire dalla somiglianza tra lalbero motore
e quello delle sefirot.
Visitato il castello di Tomar in Portogallo, noto rifugio dei
Templari, Casaubon intuisce un nuovo modo di interpretare la
pergamena di Provins trovata anni prima e illustrata loro da
Ardenti. Con Belbo comincia a ricostruire da capo il segreto
dei Templari e il loro Piano, la cui mappa degli appuntamenti
ogni 120 anni non comprende pi nellordine lisola di Avalon,
Gerusalemme, Agarttha, Chartres, il rifugio cataro tra Italia
settentrionale e Francia meridionale, e Stonehenge, come pensava Ardenti [cfr. cap. 20], ma Portogallo (1344), Inghilterra
(1464), Francia (1584), Germania (1704), Bulgaria (1824) e
Gerusalemme (1944). Nel 1824 c stata uninterruzione nel
passaggio di consegne tra Germania e Bulgaria perch i Templari di Provins non potevano prevedere che la Bulgaria sarebbe caduta per secoli nelle mani dei turchi. Belbo comincia a
dimenticare che stanno costruendo un falso.
FILENAME: Ennoia. Belbo rievoca una serata di ballo con
Mahler e di sballo con erba insieme a Lorenza.
Rileggendo con diffidenza occultistica i manifesti rosacrociani tedeschi, Casaubon vi scorge allusioni evidenti al Piano
templare di Provins. Si scopre cos che lappuntamento mancato quello tra francesi e inglesi del 1584, per un errore del
mago e cabalista John Dee, astrologo della Regina, in quanto
gli inglesi adottano in ritardo la riforma gregoriana del calendario, e che Bacone il tramite tra inglesi e tedeschi per la ripresa
del Piano attraverso il segnale costituito dai manifesti; ma
forse la verit che con John Dee e Bacone gli inglesi, presi da
sindrome di impazienza tutta borghese, vogliono impadronirsi
del Piano ricorrendo alla scienza nuova e abbandonando i tedeschi al culto idealistico e romantico della Tradizione.
FILENAME: Lo strano gabinetto del Dottor Dee. Mescolando
lacerti di romanzi dappendice, citazioni varie (Eliot, Borges,
Il nome della rosa, ecc.), leggende ermetiche e dicerie sul vero

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[76]

[77-79]

autore delle opere di Shakespeare, Belbo abbozza un centone


in cui, nei panni di Kelley, incontra Dee, Bacone e Shakespeare, scrive le opere di questultimo insieme a Bacone e va con
Dee a trovare a Praga Khunrath nel suo famoso laboratorio
dellalchimista, finch si ritrova in carcere nella Torre di Londra per le trame di Bacone e come compagno di cella ha il
misterioso e onnisciente Soapes, maschera di una maschera,
un ex templare portoghese che alla fine prende il posto del
morente Kelley come scrittore e in cella comincia a scrivere il
Finnegans Wake.
Grazie alle fantasie combinatorie di Belbo, messe per iscritto
nel file sul dottor Dee, i tre trovano le connessioni tra i Templari, il priore di SantAlbano, nonch abate di Saint-Martin-desChamps (futura sede del Conservatoire), Bacone, visconte di
santAlbano, Postel, ritiratosi a Saint-Martin-des-Champs, che
quindi il Rifugio, la Casa di Salomone vagheggiata da Bacone, i rivoluzionari francesi che fondano il Conservatoire e la
massoneria.
La ricostruzione cronologica degli avvenimenti relativi al Piano fatta da Casaubon in una settimana, dal 1645, anno della
fondazione a Londra del rosacrociano Invisible College, da cui
nascer la Royal Society e da questa la massoneria, al 1936,
anno in cui nasce in Francia il Grand Prieur des Gaules.
La cronologia viene sottoposta ad Agli, che fornisce ulteriori
dettagli. Agli si accorge della presenza di un nome che ignora,
il Tres, aggiunto per scherzo da Casaubon (che si ricorda allimprovviso della strana sigla menzionata tempo prima da De
Angelis) per metterlo alla prova e per loccasione battezzato
Templi Resurgentes Equites Synarchici, e lascia in fretta il
gruppo.
Avvicinandosi il momento del parto di Lia, Casaubon capisce
che non c alcun mistero, che la Pietra filosofale e il Graal
sono nel ventre della donna, ma per caso visita il laboratorio
del vicino Salon e ripiomba nel delirio del Piano e dei sotterranei del mondo, compresa la metropolitana di Milano. Salon
allude oscuramente ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion e gli

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[81-86]

confida che suo padre era russo e lavorava per lOchrana, la


polizia segreta zarista, agli ordini del Capo Rakovskij.
Nasce Giulio, cio la Cosa, il vero Rebis, la vera Pietra Bianca
degli alchimisti, mentre Casaubon indugia nellantro di Salon,
pieno di mostri impagliati e di tanfo di sotterranei.
Estate 1983. Casaubon allatta Giulio, perch Lia caduta in
depressione dopo il parto, e nel frattempo studia le fonti sulle
correnti telluriche, di cui gli aveva parlato Salon. finalmente
in grado di abbozzare il Piano completo dei Templari, basato
sul segreto che custodiscono e che risale alla conoscenza antichissima della mappa delle correnti, trasmessa di popolo in
popolo, dagli antenati dellepoca della Pangea agli Atlantidi, ai
Celti, agli Egizi, a Mos, agli Esseni, a Cristo, a Giuseppe di
Arimatea, ai rabbini, ai mistici musulmani e infine ai Templari.
Questi ultimi scoprono lOmbelico del mondo, lOrigine, il
Centro delle correnti telluriche, ed questa conoscenza che
aggiungono a quella della mappa delle stesse, perch la vera
Pietra la Madre Terra e chi ne controlla il centro da cui si
dipartono le correnti interne ne controlla il respiro magnetico e
geologico, acquisendo un potere immenso, lo stesso cui ambiva
Filippo il Bello muovendo guerra ai Templari. Il Piano richiede
unattesa di circa 600 anni, perch occorre che si conquisti il
sapere tecnologico necessario allo sfruttamento della conoscenza del Centro del magnete terrestre. Il Pendolo di Foucault
al Conservatoire serve a indicare lOmbelico sulla mappa suggerita dal messaggio di Provins, che sar decifrato solo al compimento del Piano, cio al sesto incontro a Gerusalemme. Il
messaggio stesso unistruzione su dove cercare la mappa
giusta, sulla quale il Pendolo, allalba del 24, indica lOmbelico nellistante in cui colpito dal primo raggio di sole entrante
da una vetrata ben precisa. Ecco che cos acquistano un senso
ben preciso le varie ricerche sul pendolo dallet di Galileo a
Foucault, nonch lossessione ottocentesca per i sotterranei,
come dimostrano la letteratura (Verne in particolare) e gli stessi
paesi industrializzati che, ispirandosi al Bacone della Nuova
Atlantide, scavano le reti delle metropolitane nel sottosuolo, il
tutto essendo disseminato di simbologia rosacrociana.

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[87-88]

[89-91]

[92-96]

La ricostruzione del Piano procede per giorni, durante i quali


Casaubon trascura Lia e Giulio ed ossessionato da connessioni di tutto con tutto e dallacrostico rosacrociano RC, che compare ovunque, da Renato Cartesio a Rick di Casablanca. Ma
c dellaltro e Belbo lo capisce guardando lantenna Rai di
Milano: ai cunicoli del sottosuolo fa da specchio la rete di comunicazione aerea e celeste, che ha la sua antenna centrale
nella Tour Eiffel, la quale unifica gli scopi di Stonehenge con
quelli dei satelliti artificiali e d un senso preciso a tutti i monumenti aerei edificati dalluomo.
Labitudine del gruppo a fingere di credere, parodiando la logica dei diabolici, che collega tutto con tutto, comincia a confondersi con labitudine a credere, e i tre finiscono per smarrire il
lume della ragione e la capacit di distinguere il simbolo dalla
cosa. Verso la fine dellestate Diotallevi comincia a dimagrire
in modo strano e intanto nel Piano entrano Marx, Fermi, Freud
ed Einstein, come elementi che battono vie errate e di disturbo,
nonch i gesuiti, i quali, venuti a sapere del piano da Postel
tramite Ignazio di Loyola, ne diventano i veri registi occulti,
come dimostra anche lopera di Kircher. Costui costruisce orologi planetari e vuole suggerire che i veri Rosa-Croce sono i
gesuiti, finch si mette a progettare macchine di calcolo fattoriale, anticipando con spirito cabalistico i computer come Abulafia.
A un certo punto, per, nella seconda met del XVIII secolo,
dopo essersi infiltrati tra i neotemplari, i gesuiti li abbandonano
lasciandoli ai rivoluzionari francesi e a Federico di Prussia, e si
mettono in contatto con i pauliciani di Russia attraverso de
Maistre, mentre lo stesso Napoleone si fa sedurre da Piano di
dominio del mondo e tratta con il Gran Sinedrio degli ebrei;
mossa, questultima, che fa concludere ai gesuiti e ai pauliciani
russi che il complotto non solo massonico ma anche giudaico.
Sono le premesse di inizio XIX secolo per la redazione in Russia, a fine secolo, dei falsi Protocolli, poi pubblicati allinizio
del Novecento.
Storia dei Protocolli a partire dalla letteratura e dalla pubblicistica anticlericale francese dellOttocento: Sue, Dumas, ecc.

!218

[97]

[98-101]

Belbo vede nei Protocolli lo stesso schema del messaggio di


Provins, che diventa cos il testo ideale del Piano realizzato
nella storia degli ultimi 6 secoli da 6 gruppi diversi (Rosa-Croce, gesuiti, neotemplari, massoni, baconiani ed ebrei), per cui il
Piano dei Protocolli coincide con quello dei Templari e uno dei
suoi artefici, il Capo dellOchrana Rakovskij, la nuova reincarnazione del conte di san Germano, come dimostra uno dei
suoi tanti nomi, a sua volta quasi identico a quello del possibile
assassino di Ardenti.
Siccome Casaubon definisce feuilleton il loro Piano ricostruito, Belbo fa lelogio di questo genere considerato minore,
in quanto pi vicino della grande arte alla realt.
FILENAME: Il ritorno di san Germano. Immaginandosi come
san Germano che prende il posto di Cagliostro, Belbo costruisce un abbozzo di feuilleton in forma di pastiche, tra delitti nei
sotterranei di Parigi, tradimenti e colpi di scena, ma la colpa
di aver mescolato le carte del romanzo del mondo gli costa la
sconfitta ad opera del vero Cagliostro (Giuseppe Balsamo), il
quale, dopo averlo fatto sfigurare e marchiare a fuoco sulla
spalla con limmagine del Bafometto dai Templari di Provins
travestiti da monaci, lo fa rinchiudere al suo posto nella segreta di san Leo, pi o meno come accade ne Il visconte di Bragelonne di Dumas con la faccenda della Maschera di Ferro.
Fine novembre 1983-Epifania 1984. Presi dal Piano, i tre
trascurano Agli, che intanto si installa alla Manuzio esercitando una forte influenza su Garamond. Diotallevi continua a dimagrire e ha male allo stomaco, mentre Belbo recupera il mito
della terra cava e lesoterismo nazista, legato al neotemplarismo teutonico, collocando anche Hitler nel Piano: per trascinare la folla come faceva lui si doveva per forza essere in contatto con le correnti sotterranee e non a caso Hitler aderiva alla
teoria della terra cava e abitata allinterno, di cui si considerava
il Re. La ricostruzione di Belbo della storia del nazismo interrotta dal primo malore di Diotallevi, che va in cura. Non si
parla del Piano per oltre un mese e Casaubon torna ai suoi studi
sulla magia.

!219

[102-104]

[105]

[106]

Fine gennaio-maggio 1984. Casaubon incontra per caso Salon


che esce dalla Manuzio. Da Pilade limpagliatore gli parla del
nesso tra Hitler e le SS da un lato e il Veglio della Montagna e
gli Assassini dallaltro e Casaubon ha unintuizione che in seguito comunica a Belbo (Diotallevi ha il cancro ed ricoverato
in ospedale): gli ebrei non centrano, loro sono stati tratti in
inganno dal cabalismo di Diotallevi e il sesto appuntamento
devessere non a Gerusalemme ma nella fortezza di Alamut in
Iran (del legame dei Templari con il Veglio, Casaubon si era
occupato nella tesi di laurea), dove lo sciita ismailita Hasan
Sabbh aveva collocato il suo regno difeso dagli Assassini e i
cui successori erano noti come Veglio della Montagna. dagli
Assassini (cos chiamati perch venivano storditi con lhashish)
che i Templari apprendono i loro riti occulti e il segreto per il
Piano, e il credito di cui godono i cabalisti ebrei dovuto a una
confusione risalente al Rinascimento tra Ismael e Israel, che
avr effetti fino allOlocausto, perch Hitler penser in un primo tempo che il segreto sia in mano agli ebrei. Questo ruolo
degli Assassini spiega anche le ragioni occulte della recente
instabilit del Medioriente dovuta allirredentismo islamico. A
questo punto il Piano delineato compiutamente e la Storia
riscritta per intero fino ad oggi.
FILENAME: E se fosse?. Per Belbo il Piano necessario perch giustifica ed elimina i fallimenti umani assumendosi tutte
le colpe. La vera Pietra filosofale vivere come se il Piano ci
fosse. La Storia va stravolta in una sarabanda di anagrammi:
questa lars magna (anagramma di anagrams).
Casaubon commenta il file osservando che per Belbo il gioco
del Piano era una rivincita sulla vita e sul senso di disagio per
gli appuntamenti mancati: la menzogna creativa come via
daccesso a una realt finalmente piena e vissuta eroicamente.
25 maggio ca.-20 giugno. Lia propone a Casaubon un mese di
vacanza in montagna e, quando lui le parla del Piano, la donna
avverte una minaccia che grava sul loro gioco irresponsabile
perch nel mondo ci sono migliaia di insicuri disposti a riconoscervisi. Lia trova una spiegazione semplice e di buon senso della pergamena di Ingolf: lordine in realt la classica

!220

7. Nezah
[107-110]

lista della lavandaia, cio lelenco delle ordinazioni e delle


consegne di un mercante di Provins, il quale deve rifornire
qualcuno di fieno, stoffe e rose, mentre il messaggio cifrato
una burla di Ingolf, che cita i Rosa-Croce e il messaggio decrittato da Arsne Lupin nella famosa avventura della guglia cava
e infine esclama che ne ha abbastanza di crittografie. Ma Casaubon non pu rinunciare al gioco e la mattina del 20 giugno
prende il treno e torna da solo a Milano, lasciando Lia a letto.
22 giugno. Dai file pi recenti di Belbo, Casaubon ricostruisce
gli ultimi giorni dellamico prima della partenza per Parigi.
Primi di giugno. Diotallevi in fase terminale e Belbo decide di mettere il Piano per iscritto, come per esorcizzare il
male.
Domenica 10 giugno. Con Lorenza e a causa sua Belbo ha
esperienze frustranti nel corso di un viaggio in macchina in
Riviera (un tavolo del ristorante dove vanno a pranzare
stranamente prenotato da Agli), nellAppennino Ligure
(investono un cane e perdono tempo con la gente del paesino) e a Piacenza (Lorenza lo abbandona nellalbergo prendendo un treno per Milano), e cos decide di buttarsi nuovamente nel Piano per delusione, mettendoci pure Agli in
un impeto di hybris faustiana tipica degli sconfitti (Bin ich
ein Gott?).
Luned 11. Belbo incontra Agli in ufficio e mette in atto la
burla immaginata raccontandogli del Piano e di aver appreso, dalle carte di Ingolf portate circa dieci anni prima alla
Garamond da Ardenti, il segreto della mappa e dei 36 Invisibili, che custodisce in testa perch per paura ha distrutto i
documenti.
Marted 12. Agli telefona a Belbo per chiedergli un favore.
Visto che lindomani Belbo si sarebbe dovuto recare a Bologna, avrebbe dovuto gentilmente scortare sul treno una
valigetta di libri che poi un amico di Agli avrebbe prelevato a Firenze.
Mercoled 13. il giorno dei funerali di Berlinguer. Belbo
incontra nel suo scompartimento uno strano individuo con

!221

la barba molto loquace e petulante, il quale dopo Bologna


denuncia la valigetta sospetta; si scopre cos che la valigetta
contiene una bomba e la sera, quando ascolta la notizia al
telegiornale, Belbo capisce di essere stato incastrato da
Agli.
Gioved 14. Belbo riceve la telefonata minatoria: se non
vuole essere denunciato come luomo della valigetta dovr
rivelare la mappa dei Templari, recandosi il 20 a Parigi,
dove a mezzogiorno avrebbe incontrato luomo con la barba nella libreria Sloane. Va a casa di Agli e scopre che ha
traslocato il giorno prima e che laffitto era pagato per via
bancaria da una ditta francese rappresentata da un certo
Ragotgky. Da un dattiloscritto trovato in ufficio apprende
che Agli uno dei nomi veri del conte di san Germano,
per cui il Piano sembra vero e Agli vi recita la sua parte da
prima che loro lo inventassero. Telefona a Lorenza e anche
lei, forse da sempre creatura di Agli, irreperibile. Telefona a De Angelis ma questi stato minacciato e sta partendo
per la Sardegna perch ha dovuto chiedere trasferimento,
sicch non vuol saperne nulla. Va da Garamond, il quale
minimizza, gli consiglia una vacanza e lo invita a recarsi a
Parigi per chiarire la faccenda con Agli e dargli la mappa,
ma intercettandone una telefonata scopre che anche Garamond fa parte del Piano. La sera va ad ubriacarsi da Pilade.
Venerd 15. Belbo, solo e disperato (Casaubon irreperibile) va a chiedere aiuto al morente Diotallevi. Questi interpreta tutto in chiave cabalistica e dice a Belbo che loro sono
puniti in maniera diversa per aver peccato contro la Parola
che crea e regge il mondo, varcando con la fantasia creativa
ogni limite dellinterpretazione del giusto senso e pensando
che ad ogni testo si possa far dire tutto quel che si vuole.
C corrispondenza tra le lettere del Libro, le parti del corpo e quelle del mondo: sconvolgendo le prime hanno sconvolto le seconde (e quindi le cellule del corpo di Diotallevi
sono impazzite nel tumore) e le terze (e quindi il mondo si
ritorce contro Belbo dandogli la caccia).

!222

[111]

8. Hod
[112]

[113]

Fino al 18 giugno Belbo si chiude in casa e mette ordine


nei file di Abulafia, stendendo anche il resoconto degli
eventi.
Marted 19. Belbo va a Parigi, forse con lintento di confessare vigliaccamente che non c alcun segreto e che era
tutto un gioco, ma non viene creduto e scappa.
Gioved 21. Belbo viene catturato dal Tres mentre parla al
telefono con Casaubon.
Sabato 23 giugno. La mattina Casaubon termina la lettura dei
file e decide di andare a Parigi per curiosit, dovere e amicizia.
Nella libreria Sloane commette lerrore di chiedere di Agli,
insospettendo il libraio; va in albergo con la sensazione di essere seguito da un arabo. Dopo le tre del pomeriggio va al Conservatoire e, alla chiusura, si nasconde nel Periscopio aspettando la mezzanotte.
Terminato lesame di coscienza con la rievocazione dellerrore
del Piano, Casaubon abbandona il Periscopio tra le 22 e le
22,30 per raggiungere la navata e un miglior punto di osservazione, ma incontrando gli oggetti della tecnica nel buio delle
sale comincia a pensare come Belbo e li legge come geroglifici
di qualcosa daltro, cio dellAltro, il Piano: strumenti per captare e controllare le correnti telluriche ed eseguire esperimenti
alchemici. Verso le 23 raggiunge la garitta della statua della
Libert, dopo aver visto uscire un uomo con una lanterna in
mano dal basamento della statua di Gramme.
Verso la mezzanotte e oltre. Risvegliatosi da un leggero sonno, Casaubon assiste al ridicolo raduno iniziatico del sedicente
Tres attorno a un Pendolo, messo al centro del coro e in versione ingrandita rispetto a quello di Foucault. una sorta di notte
delle streghe da circo, con un HCE joyceano in cui tornano
tutti i personaggi del romanzo ora adepti dellOrdine Unico:
Bramanti, il pittore Riccardo, De Gubernatis, il libraio di Sloane, il professor Camestres, Garamond, Salon, Pierre, Agli,
Lorenza (drogata) e persino Ardenti. Belbo viene condotto legato al cospetto di quellaccolta di ierofanti per essere costretto
a svelare il segreto ad Agli seduto a un tavolo ed ha alle spalle

!223

[114-116]

il Pendolo che oscilla. Ma Madame Olcott, una delle druidesse della radura piemontese, ora a capo di un circo, a prendere
in mano la situazione facendo eseguire unevocazione di spiriti
(quello di Kelley, quello di Khunrath e quello del conte di san
Germano) ai suoi tre medium, i fratelli Fox. A quel punto Casaubon esce dal suo nascondiglio e si mescola tra la folla. I
fratelli Fox finiscono soffocati dai loro stessi demoni rigurgitati
come bava dalla bocca e la Olcott esce dal gioco, che passa
nelle mani del sanguinario Pierre, il quale esige il sacrificio
umano. I suoi uomini mettono Belbo sul tavolo e gli avvolgono
al collo il filo del Pendolo, mentre Agli fa un ultimo tentativo
di estorcergli il segreto con un discorso solenne e melodrammatico, interrotto dal Ma gavte la nata! (Ma togliti il tappo
dal culo!) sferzante e offensivo di Belbo. Succede il parapiglia: Agli batte la testa spinto dalla Olcott, Lorenza si risveglia
ma mentre si lancia su Belbo per liberarlo pugnalata a morte
da Pierre, qualcuno spinge Ardenti contro il tavolo e Belbo
finisce impiccato al filo del Pendolo, finalmente senza paura e
avendo riacquistato la percezione del ridicolo di tutta la situazione. Ripresa da una macchina fotografica di Maybridge la
macabra struttura oscillante ternaria costituita dalla testa di
Belbo, dal tronco di Belbo e dalla sfera del Pendolo simulerebbe lalbero delle sefirot, e quando il corpo di Belbo si ferma e il
Pendolo comincia a oscillargli sotto, egli si trasforma nel Punto
Fermo, nel Perno Fisso, riconciliandosi cos con lAssoluto
(nella sua casa di campagna, dir Casaubon nel capitolo successivo, cera la lettera di qualcuno, cui Belbo aveva chiesto
chiarimenti, in cui era spiegata la dinamica del Pendolo doppio).
Passando per il basamento della statua di Gramme, Casaubon
fugge attraverso le fogne di Parigi e riemerge negli scantinati
coi cessi di un bar malfamato orientale. Erra per le strade nella
notte parigina e si imbatte nei simboli da cui sta scappando:
una libreria rosacrociana, il Beaubourg, unaltra libreria occultistica, una di cose arcane, una alchemica, la Tour Saint-Jacques degli esperimenti di Pascal sul peso dellaria, il Bafometto
sul portale di Saint-Merri. Casaubon cerca confusamente qual-

!224

[117]

9. Jesod
[118]

cosa, vede la citt come una catacomba di percorsi preferenziali per iniziati, scorge un cane che gli ricorda Faust e Wagner (in
base al passo del Faust posto in epigrafe al capitolo 107), e
quindi capisce che sta cercando lo studio del dottor Wagner;
prende un taxi e d un indirizzo che sembra rivelarsi sbagliato
(avenue Elise Reclus), si incammina verso lalbergo e si ritrova quasi sotto la Tour Eiffel, lo strumento immondo del potere
dei Signori, che con la sua gelida minaccia e realt gli ricorda
la morte di Belbo e la verit del Piano. Casaubon fugge su un
taxi e va a dormire in albergo.
Due del pomeriggio del 24. Casaubon si risveglia in una domenica di disordini a Parigi causati dalle manifestazioni degli
studenti. Attraversando i cortei, torna al Conservatoire e trova
tutto in ordine, come se la notte prima non fosse successo nulla. La sera va a mangiare pesce in un ristorante e guardando
lacquario si ritrova circondato da segnature alchemiche e geroglifici ittici che rinviano ai Templari. Capisce di aver bisogno
della terapia della parola perch pensa che tutto possa essere
stato solo un incubo.
Lindomani mattina alle 9,30 riesce a fissare lappuntamento
con il dottor Wagner, il quale, dopo averlo ascoltato in silenzio,
lo congeda dandogli del pazzo, e uscendo si accorge che lo
studio proprio in avenue Elise Reclus. Alle undici si reca in
aeroporto, nellattesa telefona alla Garamond e da Gudrun apprende che Diotallevi morto alla mezzanotte di sabato e che
nessuno dei suoi amici, tranne un misterioso ebreo, era al suo
funerale svoltosi quella mattina.
Primo pomeriggio del 25. Sullaereo Casaubon ripensa agli
avvenimenti della notte al Conservatoire e si rende conto che il
Piano inventato esiste perch altri lo hanno realizzato, essendo
vissuti nella speranza di appartenervi; riflette sulla teoria del
complotto e sul suo reggersi su un segreto vuoto che d potere
a chi dichiara di possederlo, come era accaduto a Belbo prima
della fine, quando anche Agli lo implorava di rivelarglielo
allorecchio. Col loro gioco hanno scatenato la fame di piani
dei frustrati. Belbo ha rifiutato la salvezza che avrebbe potuto

!225

[119]

10. Malkut
[120]

ottenere mentendo perch sembrava aver raggiunto la saggezza, ovvero la coscienza che non v alcun segreto e che semplicemente qualcosa ha pi senso di qualcosaltro. Ma cosa? La
risposta di Lia Giulio, la vita nella sua semplice espressione
naturale. Allarrivo a Milano Casaubon si ritrova in tasca le
chiavi della casa in collina di Belbo e si ricorda (cfr. cap. 55)
dellarmadio segreto contenente gli scritti giovanili dellamico.
Vi giunge verso le sei del pomeriggio e comincia subito a
spulciare i vecchi testi di Belbo, finch non trova quello chiave, pi volte rimaneggiato negli anni. Cena alle dieci di sera
con salame e acqua e alle tre di notte del 26 medita ancora
sullultimo segreto di Belbo, come Sam Spade alla ricerca dellultima traccia.
Fine aprile del 1945, accade levento decisivo della vita di
Belbo. Ha tredici anni, si trova a San Davide, a pochi chilometri da *** , perch con la banda musicale comunale ha accompagnato il corteo funebre dei due partigiani caduti nellultimo
scontro con i fascisti. Poich il trombettista titolare si rifiuta,
Belbo si offre volontario ed ha cos loccasione di accompagnare da solo con la tromba lattenti e il riposo nel cimitero per
la sepoltura. Ma nel sole meridiano cui tiene puntata la tromba,
il piccolo Belbo prolunga allinfinito il do dellattenti ed
come se col filo del suono tenesse il sole fermo come un palloncino, legando cos la terra al Polo Mistico, allunico Punto
Fermo delluniverso, quello creato da lui in quellistante infinito col suo soffio. Di questo brevissimo momento di verit e
trionfo, la successiva ricerca del Pendolo sarebbe stata per Belbo solo limmagine ossessiva, il simulacro di un momento reale, rimosso e sempre cercato inconsciamente.
Notte alta del 26 giugno 1984. Casaubon combattuto tra la
pace e linquietudine di aver capito. La saggezza arriva allultimo momento e dice che non c niente da capire. Non c
Piano, non c arguzia interpretativa di fronte alla saggezza del
Regno di Malkut (la Terra) e di Lia che d la vita, se non dopo,
per spiegare linnocenza dei dinosauri che un tempo pascolavano in quel luogo e le pesche che vi crescono adesso. Ma chi

!226

cerca Casaubon per eliminarlo cieco a questa rivelazione e


non gli crederebbe, sospettando altri segreti. E allora tanto vale
attenderli contemplando dalla finestra la bellezza della collina.

!227

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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cura di Umberto Eco e Thomas Sebeok, Bompiani, Milano.
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Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano.
Eco 1990:
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Eco 1992:
Il secondo diario minimo, Bompiani, Milano.
Eco 1993:
La ricerca della lingua perfetta, Laterza, Roma-Bari.
Eco 1994:
Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano.
Eco 1995:

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Kant e lornitorinco, Bompiani, Milano.
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Tra menzogna e ironia, Bompiani, Milano.
Eco 2000:
La bustina di Minerva, Bompiani, Milano.
Eco 2002:
Sulla letteratura, Bompiani, Milano.
Eco 2003:
Dire quasi la stessa cosa, Bompiani, Milano.
Eco 2004:
Storia della bellezza, a cura di Umberto Eco, Bompiani, Milano.
Eco 2005:
Introduzione a Will Eisner, Il complotto. La storia segreta dei protocolli dei
Savi di Sion, Einaudi, Torino.
Eco 2006:
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Storia della bruttezza, a cura di Umberto Eco, Bompiani, Milano.
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Dallalbero al labirinto, Bompiani, Milano.
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conferenze Elogio della politica curato da Ivano Dionigi presso lUniversi-

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Eco e Carrire 2009:
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Eco 2009:
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logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, a cura di A. G. Conte, Einaudi,
Torino 1964 e successive edizioni.
Wittgenstein 1977:
Ludwig Wittgenstein, Pensieri diversi, tr. it. Adelphi, Milano 1980 & 1988.

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