Sei sulla pagina 1di 72

a Melissa

INDICE

INTRODUZIONE 4 I IL CONCETTO DI RAPPRESENTAZIONE Ovvero sull'importanza del giudizio intuitivo pag. 6 II GENEALOGIA DEL CONCETTO DI RAPPRESENTAZIONE Ovvero del contributo di Cartesio e Spinoza alla filosofia di Schopenhauer pag. 11 III ULTERIORI CONTRIBUTI DEL PENSIERO DI SPINOZA ALLA FILOSOFIA DI SCHOPENHAUER

pag.

pag. 22

IV

FILOSOFIA E MORALE IN SCHOPENHAUER La via dell'ascesi V VISIONE ASCETICA DELLO YOGA VI CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA pag. 63 pag. 69 pag. 49 pag. 36

INTRODUZIONE

Lo scopo del presente lavoro consiste nel tentativo di realizzare un'indagine intorno gli aspetti orientali del pensiero di Arthur Schopenhauer, ponendo attenzione alle eventuali concordanze e discordanze emerse dall'analisi di alcune fonti del pensiero indiano contenuto nelle Upanishad. In particolare considereremo quel corpus di discipline che prende il nome di filosofia dello yoga e che possiede almeno due aspetti di notevole rilevanza in comune con le premesse e le conclusioni teoretiche del nostro autore. Innanzi tutto la valutazione del mondo come puro fenomeno o Maya, ascrivibile a quelle correnti di pensiero che si raccolgono sotto il nome generale di idealismo; e poi, l'indicazione della pratica ascetica quale mezzo per il raggiungimento della realizzazione spirituale. Nello sviluppare le nostre considerazioni partiremo dall'analisi del concetto di rappresentazione in quanto elemento fondante di una corretta visione idealistica del mondo; esso costituisce il dato preliminare di ogni tipo di costruzione teorica e conoscitiva, ma soprattutto dell'etica, ovvero quella forma di conoscenza che ha come scopo l'azione pratica: in via generale infatti un'idea adeguata della realt implica sempre un'azione che allontana il rischio di commettere errori di tipo comportamentale derivanti dagli effetti non previsti, risultando quindi efficace rispetto allo

scopo cui era diretta. Passeremo poi a tracciare le linee di una possibile genealogia di tale concetto, cos come si mostrato attraverso vari stadi del suo sviluppo nel pensiero moderno, seguendo la critica rivolta da Schopenhauer ad alcuni dei suoi predecessori pi eminenti, senza evitare tuttavia di far luce sul suo debito teoretico nei loro confronti. Richiameremo dunque alcuni elementi della filosofia di Cartesio e di Spinoza che permetteranno inoltre di discutere rispettivamente alcuni aspetti relativi alla libert dell'uomo e al suo rapporto con la natura. In particolare, porteremo la nostra attenzione alla spinoziana conoscenza di terzo genere, mostrando come essa rappresenti la sintesi di un adeguamento armonico con il mondo al quale l'uomo deve tendere se vuole raggiungere uno stato di serenit. D'altra parte, la discrepanza che sorge tra noi e la totalit dell'ambiente che ci circonda deriva dalla nostra natura fondamentalmente libera che tuttavia dobbiamo imparare ad educare. Lo yoga, inteso come disciplina secolarizzata, cio epurata degli aspetti religiosi dai quali essa sorge, non istituendosi come corpus definitivo di dottrine intorno all'uomo e alla sua interazione con l'ambiente, si propone appunto di educare questa natura. Esso l'espressione della volont di ricerca che si afferma nel tentativo di espandere la consapevolezza dell'uomo nella presenza a se stesso e al proprio mondo.

I.

IL CONCETTO DI RAPPRESENTAZIONE Ovvero sull'importanza del giudizio intuitivo

Per

rendere

chiaro

che

cosa

si

intenda

per

rappresentazione, potremmo dire che essa quell'immagine prodotta nel cervello in seguito al complicato processo di riorganizzazione dei dati grezzi provenienti dai nostri sensi; o, a un livello molto generale, che essa pu essere definita come unione inscindibile di soggetto e oggetto. Considerata in quest'ultimo senso, essa fa riferimento al soggetto come a colui che conosce, ovvero all'osservatore, il quale assume il ruolo attivo di organizzatore delle informazioni che, dal mondo esterno, acquisisce attraverso i sensi ordinandole in maniera attiva in determinate forme. Queste forme sono quelle del tempo e dello spazio individuate da Kant dalle quali deriva inoltre quella della causalit. Esse hanno come caratteristica il fatto di essere a priori, cio antecedenti ad ogni possibile conoscenza. In altre parole, compreso il corpo stesso del soggetto, qualunque cosa pervenga a rappresentazione dovr necessariamente possedere quelle forme a priori, che di fatto non appartengono all'oggetto considerato in se stesso, ma sono apposte dal soggetto conoscente. In tal modo, gli oggetti conosciuti rapporto al soggetto che li conosce, sono non si cio possono considerare come cose in s, ma soltanto oggetti in rappresentazioni. L'oggetto ci che nel modo appena esposto viene a essere conosciuto, anche se, quando lo pensiamo come

assolutamente indipendente dal soggetto, le informazioni che possiamo raccogliere sul suo conto si arrestano per la verit solo alla superficie. Ci che noi conosciamo dell'oggetto infatti non altro che la sua apparenza, cio il fenomeno, mentre la sua realt per cos dire interna ci sfugge. Esposto in questi termini il concetto di rappresentazione appare del tutto assimilabile a quello di matrice idealistica derivante dalle categorie kantiane di spazio e tempo, mentre Schopenhauer compie su di esso un'ulteriore aggiunta. Egli ritiene infatti che l'oggetto non abbia realt fuori della sua relazione con il soggetto, e si esaurisca inoltre nella sua azione. In altri termini, l'azione causale dell'oggetto su altri oggetti costituirebbe la realt dell'oggetto stesso. Esso, inteso in questo senso, si definisce cio a partire dalla sua relazione con altro e, in definitiva, pu essere considerato nella sua essenza come caleidoscopicamente apparente. Il filosofo non intende con ci affermare che l'oggetto si annulli senza il soggetto questo infatti non l'elemento che fornisce la sussistenza all'altro ma che esso una sua rappresentazione, la quale esaurisce la propria realt relativa nel fenomeno. Inoltre secondo il filosofo di Danzica, guardando in senso lato al soggetto, cio come fosse il punto di vista unilaterale in una qualsiasi relazione e dunque spogliato, in taluni casi, delle facolt intellettuali, possibile distinguere tre modalit di azione che regolano i rapporti di successione necessari, ovvero quelli di causa ed effetto, tra gli oggetti naturali. Tali oggetti naturali possono essere distinti in inorganici, piante

e animali, ciascuno con una forma di causalit propria: il corpo inorganico determinato nei suoi mutamenti da cause (nel senso stretto della parola), la pianta da stimoli, e l'animale da motivi. Per inciso, l'animale e l'uomo si distinguono poich in quest'ultimo l'intelletto non si ferma a una rappresentazione immediata dell'oggetto, ma la elabora ulteriormente. rappresentazione chiamata razionale e La di e rappresentazione rappresentazione, definisce dell'intelletto. l'ambito mediata, della o comunemente facolt parlando

concetto

astratta

Questo,

propriamente, si limita invece a esperire elaborando le informazioni grezze dei sensi, che trasforma in percezioni; mentre la ragione, pur dipendendo da quello, organizza i dati per astrazioni, e la sua caratteristica peculiare rinvenibile nella discorsivit. La distinzione per cos dire materiale tra intelletto e ragione appena esposta, torner utile nel capitolo successivo, quando richiameremo le critiche rivolte da Schopenhauer ad alcuni degli autori pi importanti della modernit. In quel contesto essa verr riproposta con riferimento particolare a quanto deriva rispettivamente dai modi di conoscere dell'intelletto e della ragione, ovvero come distinzione tra ragione della causa e ragione della conoscenza1. Nella separazione di questi due principi di conoscenza andr rintracciata la discrepanza tra quanto intuito e quanto affermato, ma soprattutto la qualit della
1 Da notare che l'intelletto non l'indagatore della ragione della causa, ma lo strumento attraverso la quale essa viene rintracciata; invece la ragione che cerca l'origine degli effetti, i quali possono essere di quattro tipi diversi come descritto in Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente: il principio di ragione del divenire (legato alla conoscenza intuitiva), del conoscere, dell'essere, dell'agire.

loro distanza. La ragione della causa segna infatti l'inizio e il limite di tutto ci che l'Intelletto percepisce, dando origine a quella rappresentazione semplice che chiamiamo intuizione. Questa rimanda sempre a qualcosa di reale ed esterno alla nostra coscienza, che afferisce al corpo modificandolo nel suo stato di quiete2 producendo in esso una conoscenza di origine esperienziale, ovvero una percezione. La ragione della conoscenza delimita invece il dominio della Ragione dal quale, come gi ricordato, emergono i concetti. Essendo il prodotto di astrazioni, e per quanto funzionali alla speculazione, essi perdono tuttavia la concretezza che caratterizza l'intuizione, tanto che Schopenhauer ascrive ai primi un ruolo determinante nell'evoluzione della conoscenza. Tuttavia il loro valore, che peraltro possiamo rinvenire nella loro capacit di costruire le varie branche della scienza, non va interamente perduto proprio in quanto alle intuizioni si ricollegano. Tale collegamento avviene per opera dei giudizi, i quali rivestono la funzione di mediatori tra la conoscenza astratta e quella intuitiva. Essi si dividono in due tipi: sono riflettenti quando il ragionamento cerca il concetto o la regola per il caso intuitivo dato; sussumenti quando per il concetto o la regola cercano il caso che li convalida. Cos si esprime Schopenhauer a proposito del giudizio:
Il pensare che opera con l'aiuto delle rappresentazioni intuitive il vero e proprio nucleo di ogni conoscenza, in quanto risale alla fonte prima, alla base di tutti i concetti. quindi il generatore di tutti i pensieri
2 Lo stato di quiete qui da intendere in senso lato e non solo figurato. Pertanto il nostro corpo sar turbato anche da un suono o dal gusto di un cibo.

originali, di tutte le concezioni primarie3 e di tutte le invenzioni, semprech il caso non vi abbia svolto il ruolo principale. In esso vi predomina l'intelletto, come in quel primo [pensiero logico], puramente astratto, la ragione. [] Tutto quello che si pu affermare che ogni conoscenza vera e originale, come pure ogni autentico filosofema, deve avere come suo nucleo intimo o sua radice qualche idea intuitiva. Questa, pur essendo qualcosa di istantaneo e unitario, comunica poi a tutta la trattazione, per quanto particolareggiata spirito e vita [], ogni altra, scaturita da mera combinazione di concetti, invece come il biglietto di una banca che ha lasciato per garanzia solo altri titoli di obbligazione.4

Appare pertanto, a chiusura di questo primo capitolo, quale sia il valore dell'esperienza nella costruzione della conoscenza, all'opinione in e particolare vuol farsi di quella che si oppone Essa chiamare scienza.

necessariamente non pu fondarsi su dogmi e definizioni, ma su sintesi elaborate a partire dalle intuizioni 5 che hanno origine dal mondo reale e includono come fondamentale elemento il reciproco rapporto tra uomo e ambiente.

3 4

Il corsivo mio. A. Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, Bur, Milano 2000, a pag. 157 - 158. 5 Naturalmente esistono intuizioni che sono false parvenze, le quali tuttavia possono essere rettificate dalla ragione attraverso il confronto di esse con altre intuizioni, registrate intorno il medesimo oggetto. Per esempio il modo d'apparire d'un bastone dentro e fuori dell'acqua: bench esso appaia, non appena immerso, piegato, posso giudicare con ragione che mantenga la forma che aveva prima d'essere immerso nel liquido. A questo modo, nonostante la parvenza falsamente intuita (che resta tale), la ragione giudica con verit.

10

II. GENEALOGIA

DEL

CONCETTO

DI

RAPPRESENTAZIONE Ovvero del contributo di Cartesio e Spinoza alla filosofia di Schopenhauer A partire da quanto affermato nel precedente capitolo, appare comprensibile come Schopenhauer, sulla base delle proprie scoperte e di quelle presentate nella Critica della ragion pura di Kant alle quali si ispirava, fosse intenzionato a rivisitare gli elementi del pensiero di quei filosofi che avevano inaugurato l'et moderna. Il riferimento va naturalmente rivolto in primo luogo a Cartesio quale ispiratore della stessa, ma anche a Spinoza che elabor ulteriormente alcuni aspetti della dottrina cartesiana donandole una forma del tutto nuova e originale. Tale movimento era infatti ancora affetto da alcune modalit del pensare legate al passato, proprio in quanto non era riuscito a fare piena chiarezza e distinzione tra il principio di ragione della causa e quello della conoscenza. Schopenhauer realizz il proprio progetto dando alla luce il trattato scritto in occasione del suo dottorato in filosofia, intitolato Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente. In esso senza dubbio rinvenibile un entusiasmo giovanile, con il quale l'autore applica i propri schemi concettuali all'analisi del pensiero dei suoi predecessori, senza tuttavia curarsi, pur condannandone gli errori, di mostrare quanto a loro doveva. Pertanto scopo del presente capitolo sar di illustrare entrambi gli aspetti del problema. Il trattato in questione ruota attorno lo sviluppo del

11

concetto di ragione sufficiente, che risulta alla fine suddiviso in quattro specie. Per l'economia del presente testo prenderemo in considerazione solo due di esse: il principio di ragione del divenire (o della causa) e il principio di ragione della conoscenza. Schopenhauer sviluppa il proprio argomento contro quegli autori ricordati poco pi sopra, cominciando col ricordare gli insegnamenti di Platone e Aristotele, i quali raccomandano di seguire la regola comune al filosofare e a ogni altro sapere che voglia effigiarsi del nome di Scienza. doveroso ottemperare, ammonisce il filosofo, a due leggi: quella dell'omogeneit e quella della specificazione. L'una consiste nel raggruppare le variet, secondo le somiglianze, in generi; l'altra nel non trascurare per ci stesso le differenze di specie. L'importanza del principio di ragione sufficiente oltremodo grande, dice Schopenhauer, giacch lo si pu chiamare la base di ogni scienza6; esso ci che lega insieme le varie cognizioni differenziandole da quelle semplicemente aggregate, e, per questa ragione, il suo concetto deve essere enunciato nella maniera pi chiara e definitiva possibile. Il principio di ragione sufficiente un'espressione comune di pi conoscenze date a priori, ovvero date ancor prima che sia possibile alcun tipo di esperienza. Esse indicano cio i modi secondo i quali si realizzano le diverse forme del nostro sapere. Nel passato questi modi di conoscere non erano distinti, ma confusi sotto l'etichetta comune di "principio di ragione sufficiente". Esso veniva enunciato per via generale secondo la formula
6 Arthur Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, pag. 38.

12

che "niente senza una ragione per cui sia". Cos era considerato gi da Platone nel Timeo, ma anche da Aristotele negli Analitici posteriori, bench solo al secondo spetti la formulazione dell'importante distinzione tra ragione della conoscenza e ragione della causa. Dice Schopenhauer: [...] il sapere e provare che una cosa si distingue molto dal sapere e provare il perch essa sia7. Il primo riferimento inerisce infatti ai concetti, mentre il secondo alle modificazioni materiali, tanto che confondere i due significati fondamentali del principio di ragione obbliga ad attribuire ai primi la concretezza e la realt dei secondi, con risultati disastrosi8. Si pu essere dunque concordi con

Schopenhauer nell'affermare che la definizione di una cosa e la prova della sua esistenza sono due cose diverse ed eternamente separate"9, e accettare la sua nuova

definizione del principio di ragione sufficiente:


Nel conoscere, la nostra coscienza, che si presenta come sensibilit esterna ed interna (ricettivit), intelletto e ragione, si scompone in soggetto ed oggetto, e al di fuori di ci non contiene altro. Essere oggetto per il soggetto ed essere nostra rappresentazione la stessa cosa. [] Ora per si trova che tutte le nostre rappresentazioni stanno in una connessione regolare e, quanto alla forma, determinabile a priori, in virt della quale niente di sussistente in s e di indipendente, e niente anche di singolo e di isolato pu diventare oggetto per noi. questo
7 Arthur Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, pag. 42. 8 Si veda a tal proposito la critica di Schopenhauer all'idealismo, in particolare a quello di Hegel che giungeva nel suo filosofare alla pi vuota, insignificante chiacchierata di cui si sia mai contentata una testa di legno [citato a pag. 149 in 'Storia della filosofia volume III di Nicola Abbagnano], fino ad affermare la totale coincidenza di razionalit e realt. 9 Arthur Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, pag. 47.

13

collegamento che il principio di ragione sufficiente esprime nella sua universalit. Sebbene, a seconda delle diverse specie di oggetti, il collegamento assuma [] diverse forme, per designare le quali allora anche il principio di ragione modifica a sua volta la sua espressione; gli resta sempre un elemento comune a tutte queste forme, che indicato dal nostro principio concepito in modo universale ed astratto 10.

Egli individua quattro classi nelle quali il principio si scompone. In esse entra tutto quello che pu diventare oggetto per noi, ovvero nostra rappresentazione, ma, come gi sottolineato, ci occuperemo soltanto degli oggetti appartenenti alle prime due. Le rappresentazioni della prima classe sono dette intuitive, complete, empiriche: intuitive, perch in contrapposizione a quelle solo pensate e astratte hanno a che fare con la sensibilit esterna relativa al dominio dell'intelletto; complete, perch non contengono soltanto l'elemento formale ma anche quello materiale dei fenomeni; empiriche, perch hanno origine dall'eccitamento di una sensazione nel nostro corpo sensibile, al quale esse rimandano sempre a comprova della loro realt11 collegate come sono a quel complesso indefinito che costituisce la nostra realt empirica. Questo tipo di rappresentazione si produce dalla fusione di ci che possiamo chiamare materia o sostanza con le forme della nostra sensibilit interna ed esterna, il tempo e lo spazio, quando essa eccita in qualche modo il
10
Arthur Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, pag. 66. 11 Arthur Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, pag. 68.

14

nostro corpo12. A eseguire tale operazione l'intelletto che compone poi questo complesso sullo sfondo della sola sensibilit interna; questa, legata alla forma del tempo, conosce i suoi oggetti soltanto sul piano del divenire, tanto che essi sono a ogni istante sostituiti con insiemi di oggetti diversi dai precedenti. A ciascuna rappresentazione della realt empirica ne segue cio un'altra ogni qual volta fa la sua comparsa un mutamento, il quale legato dalla forma temporale allo stato precedente. La relazione cos instaurata prende il nome di nesso causale. Il fatto che l'idealit del nostro percepire sia cos strettamente legata alle sollecitazioni di origine materiale che ci colpiscono a ogni istante per mezzo dei sensi ha indotto alcuni filosofi a ritenere, in maniera erronea, che le rappresentazioni corrispondessero alle cose reali ovvero alle cose come sono in loro stesse. Tale corrente di pensiero nota col nome di realismo; a esso si oppone l'idealismo trascendentale di origine kantiana che considera tutti i fenomeni come mere rappresentazioni e non come cose in s. Il principio di ragione sufficiente di questa prima classe si presenta dunque come legge di causalit ed definito da Schopenhauer come principio di ragione sufficiente del divenire. Tale principio della realt sperimentale inerisce allo stato di uno o pi oggetti e mai agli oggetti stessi, ovvero non riguarda la materia ma la sua forma: noi abbiamo a che fare solo con le forme della materia, bench ci sia possibile dedurne gli aspetti reali sulla base delle esperienze. Infatti,
12 Da notare che anche il nostro corpo appartiene al complesso della realt empirica.

15

possiamo supporre che esistano dei rapporti concreti tra il mutare delle forme e l'essere della sostanza. Questi rapporti Schopenhauer li chiama forze, tra le quali la pi potente la Volont. Causa ed effetto appartengono alle modificazioni fenomenico-formali, non alla materia in se stessa; essa senza causa. Pertanto il nesso causale si stabilisce soltanto tra i suoi stati nel momento in cui si produce una modificazione. Riportiamo le parole di Schopenhauer per chiarire quanto appena descritto:
Se per esempio un corpo si accende, bisogna che questo stato del bruciare sia stato preceduto da uno stato 1) di affinit con l'ossigeno, 2) di contatto con l'ossigeno, 3) di una determinata temperatura. Poich non appena si verifica questo stato, deve conseguire immediatamente l'accensione, e per questa conseguita soltanto adesso, quello stato non pu esserci sempre stato, ma deve essersi verificato soltanto adesso. Questo verificarsi si chiama una modificazione.13

Secondo il filosofo il susseguirsi delle modificazioni, ovvero la catena delle cause, necessariamente non ha un inizio poich riguarda gli aspetti formali della materia. Inoltre, il tipo di conoscenza cos prodotta non pu mai essere dedotta a priori, ma necessita di essere esperita; non pu fondarsi cio su definizioni o sui soli aspetti formali del nostro conoscere, ma sopra i giudizi, cos come sono stati definiti in precedenza. Per chiarire quanto appena riferito, passiamo ora all'analisi delle rappresentazioni della seconda classe, dette astratte, in contrasto con quelle intuitive dalle quali sono
13 Arthur Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, pag. 75.

16

per dedotte. Come gi ricordato, tali rappresentazioni sono i concetti prodotti dalla nostra facolt di astrarre che scompone le rappresentazioni della prima classe in elementi pi semplici. Da questo processo emergono le propriet e le relazioni degli oggetti percepiti dall'intelletto, che possono in tal modo esser pensate separatamente dal loro contenuto. Il rapporto tra le rappresentazioni astratte e quelle intuitive corrisponde cio a quello tra il genere e la specie: quanto pi si sale nella generalit tanto pi si perde ci che proprio dell'individualit; si producono concetti sempre pi poveri di concretezza e vuoti, tanto che per esser fissati nella mente essi necessitano di un ancoraggio, ovvero dei segni cui diamo il nome di parole. Queste si compongono in giudizi che possono avere come oggetto le percezioni derivanti dalle intuizioni empiriche oppure l'aspetto puramente formale del pensare. Nel primo caso la loro verit fondata sull'esperienza. Schopenhauer li chiama giudizi in senso stretto e vengono considerati, come gi detto, mediatori tra concetti e intuizioni. Nel secondo caso non invece necessario ricorrere a materiale di origine esterna, poich tutto quello di cui necessita il giudizio logico dato dalle forme a priori dell'intelletto. Questo l'ambito della ragione pura, sulla quale cos si esprime Schopenhauer:
La ragione non ha affatto un contenuto materiale ma soltanto un contenuto formale, e questo la materia della logica, la quale contiene dunque mere forme e regole per operazioni di pensiero. Il contenuto materiale, la ragione, nel suo pensare, deve per forza prenderlo da fuori, dalle rappresentazioni intuitive che sono state create dall'intelletto. [] Le conoscenze di ragione pura, infine, sono quelle la cui origine si trova

17

nella parte formale della nostra facolt di conoscere, sia della parte che pensa che della parte che intuisce, e che in noi possiamo portare alla nostra coscienza a priori [] Invece una ragione che ci fornisca originariamente e coi propri mezzi cognizioni materiali, che ci istruisca positivamente al di l di ogni possibilit di esperienza, una ragione che a tal fine dovrebbe contenere idee innate, una pura finzione dei professori di filosofia.14

Tenendo ora ben presente la distinzione tra gli oggetti della prima e della seconda classe e gli ambiti rispettivi di Intelletto, Giudizio e Ragione possiamo passare all'esposizione della critica schopenhaueriana rivolta ai suoi maestri. Questa si concentra intorno al problema ontologico della causa prima, a partire dalla figura di Cartesio, e ci non a caso, poich egli fu il primo tra gli autori della modernit a porre la causa dell'origine di Dio nella sua stessa definizione. Egli introduce cio una ragione di conoscenza laddove richiesta l'indicazione di una causa effettiva del manifestarsi iniziale della Sostanza, proprio per il fatto che appare impossibile risalire all'origine del suo prodursi. Ma una ragione che giustifichi il principio del divino (cos come della materia in genere), ovvero della Cosa-in-s, non pensabile in quanto tale indagine pu riguardare necessariamente soltanto l'ambito dell'esperienza e della fattualit, cio del fenomenico. Un importante corollario dell'idealismo di Schopenhauer riconosce infatti alla materia l'attributo della persistenza, il quale determinato a priori; l'elemento sostanziale non pu in altre parole essere pensato come prodotto da una causa, ma necessario
14 A. Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, pag. 172 173.

18

affermarne l'eterna sussistenza. Non se ne pu conoscere l'origine per via sperimentale, bench costituisca l'unico contenuto delle nostre forme intellettuali. Al problema tuttavia possibile ovviare modificando la definizione della sostanza in modo tale che un dato concetto, per esempio l'idea di Dio, implichi come attributo l'esistenza e ottenga cos la sua realt, bench gi Aristotele avesse affermato negli Analitici posteriori che l'esistenza non appartiene all'essenza di una cosa, giacch l'essere non una qualit, ma appunto ci-che-. Nell'idea di Dio questo inganno ancor meglio celato proprio per il fatto che essa si presta a essere identificata con l'idea stessa di sostanza. Ci consente formalmente l'individuazione della causa prima attraverso una ragione di conoscenza, quando non possibile individuare una causa efficiente. Questa soluzione applicata per primo da Cartesio testimonia della confusione di due piani distinti: quello della manifestazione con quello della sostanzialit (di per s non conoscibile dal punto di vista causale), che egli pretende di indagare con strumenti concettuali identici precisamente ricercando una causa efficiente per entrambi, ma risultando ci impossibile li fonde in uno attraverso la definizione. Come gi accennato in precedenza infatti possibile conoscere le propriet della materia, le sue leggi, i suoi comportamenti sulla base delle connessioni causali fenomeniche, nonch il concatenarsi delle modificazioni stesse, ma non esplicare per vie causali il sorgere di tali elementi. In sintesi, l'introduzione di una ragione di conoscenza a questo livello del problema consente di troncare in un concetto come perfezione o

19

immensit il rincorrersi delle cause, mettendo tuttavia in evidenza come il nucleo della questione fosse in verit poco definito. Il procedimento in questione fu adottato anche da Spinoza il quale congiunse in una le sostanze individuate da Cartesio. Quest'ultimo aveva chiamato i due elementi ontologici che costituiscono il mondo cosa pensante e cosa estesa, la prima prodotta dalla limitazione della sostanza infinita di Dio, mentre la seconda dalla sua potenza, bench entrambi appartenessero di fatto alla sua essenza. L'operazione compiuta da Spinoza non fa che ricondurre le due sostanze a un'unica essenza, cos da poter utilizzare il termine Dio come interscambiabile con quello di Natura. Ci consente al filosofo olandese di attribuire la causa sui alla Natura stessa, con importanti conseguenze teologiche che d'altra parte gli valsero la scomunica della sua comunit di appartenenza oltre che il sospetto di quella cattolica. Inoltre, la fusione di concetti tanto astratti e, come abbiamo mostrato, in parte ancora confusi, gli consent di ancorare la propria etica a una base che apparve solida per molti decenni. Alle due sostanze ne sopravviveva cos una sola, nella quale tuttavia si potevano riconoscere le precedenti, non pi intese come tali ma come suoi attributi o qualit. La critica di Schopenhauer si rivolge dunque al cuore dei sistemi filosofici di questi pensatori, colpendoli mortalmente. Tuttavia, non tutte le loro scoperte sono per ci stesso perdute, anzi sotto certi aspetti esse possono essere rivalutate, poich resistono all'usura del tempo come

20

il diamante a quella dell'acido. Merito di Cartesio fu di inaugurare l'indagine della soggettivit attraverso l'esercizio del dubbio metodico. Nel lavoro di decostruzione delle sue certezze culturali, sociali e individuali egli giunse a scoprire l'evidenza del pensiero a se stesso. Ci quanto divenne la base della sua analisi razionale in oggetto ammesso a essere conosciuto, unico

producendo inoltre come risultato l'individuazione delle forme a priori dell'intelletto. Tuttavia, a causa della novit di tale scoperta, egli fu tratto in inganno, comportandosi come Colombo che approdando in America credette di essere giunto nelle Indie, e scambi le categorie di spazio e tempo per il loro contenuto, chiamandole infine cosa estesa e cosa pensante. Inoltre fu di fondamentale importanza ci che Cartesio isol nell'esercizio del suo metodo, ovvero l'ambito della soggettivit inteso in senso stretto come luogo caratteristico giudizio. Spinoza d'altra parte, riconducendo le due sostanze a una sola e nell'impossibilit di misconoscere la sussistenza delle categorie di spazio e tempo, pur non essendo queste ancora state del tutto comprese, inser nella sua metafisica gli aspetti formali presenti nella cosa pensante e nella cosa estesa di Cartesio. Essi vennero cio identificati come attributi della Sostanza, in quanto conosciuti dal punto di vista del soggetto. dell'essere umano, rinvenibile in quel momento particolare che corrisponde alla sospensione del

21

III.ULTERIORI CONTRIBUTI DEL PENSIERO DI SPINOZA ALLA FILOSOFIA DI SCHOPENHAUER Appare a questo punto necessario compiere una digressione affrontando in maniera pi dettagliata il pensiero di Spinoza, in particolare facendo riferimento a quello contenuto nell'Etica. Tale indugio sulla filosofia del pensatore olandese consentir di analizzare quegli elementi del suo sistema che entrano in sordina nell'opera di Schopenhauer; inoltre, esso servir a introdurre alcuni concetti come per esempio quello dei generi di conoscenza che torneranno utili quando affronteremo l'argomento della filosofia yoga. Merito dello spinozismo fu di ristabilire ci che Cartesio aveva infranto, ovvero l'unit dell'Essere, riconoscendo all'esistenza una matrice unitaria contro la sua apparente molteplicit. Nel sistema di Spinoza Dio, cio La Sostanza, viene a coincidere con la Natura stessa, realizzando in questa fusione tra Creatore e creatura la Totalit dell'Essere tanto avversata dalla comunit ebraico-cristiana. Questa nuova visione delle cose infatti non poteva incontrare il favore della classe sacerdotale poich ridefiniva in maniera del tutto sconveniente15 per il clero il posto dell'uomo nel mondo. Tuttavia, proprio tale intuizione a conferire importanza alla riflessione di Spinoza, poich mette in luce un aspetto fondamentale del modo di essere dell'uomo nel mondo fino a quel momento quasi totalmente trascurato dal
15 Secondo la visione dualistica Dio e il mondo sarebbero separati. Spinoza rinviene la ragione dello stato di servit dell'uomo nella presenza di una classe di mediatori, i sacerdoti appunto, il cui ruolo consisterebbe nel riallacciare il legame tra Dio e mondo.

22

pensiero occidentale, ovvero il suo rapporto di appartenenza a una realt pi estesa ma da lui non dissimile se considerata dal punto di vista della sostanzialit. In altre parole, Spinoza aveva individuato per primo nell'Occidente moderno la radice di quell'atteggiamento che pi tardi prender il nome di pensiero ecologico bench in India esso esistesse da secoli e si fosse sviluppato in diverse discipline volte tutte ad analizzare i rapporti del sistema Uomo-Natura in senso olistico (organicit del tutto). Per altro verso quell'operazione di ricongiunzione indicava una direzione sicura da seguire per l'ulteriore sviluppo del pensiero filosofico, e l'eredit di Spinoza fu di l a poco raccolta da Kant che la esplicit cristallizzandola nel concetto di cosa in s, e poi da Schopenhauer che la pose a fondamento del proprio sistema teoretico. Quest'ultimo ebbe il merito di liberare il concetto kantiano il quale rinviava a un'idea della materia intesa come elemento inerte e oscuro di fronte al quale la speculazione incappava nella necessit di arrestarsi dalla rigidit in cui era imprigionato e intese chiamarlo Volont da un lato per sottolinearne la dinamicit e la potenzialit che la semplice individuazione astratta realizzata da Kant non era stata in grado di conferirle, dall'altro per richiamare alla mente in maniera immediata la sua connessione indissolubile con le volont particolari e la loro consustanzialit. attraverso la coincidenza di Dio e Natura che Spinoza pone le basi di tutto il suo pensiero sviluppandolo compiutamente nell'Etica. Tale opera ha come scopo principale la definizione dei rapporti intercorrenti tra uomo e

23

mondo, nonch l'individuazione per mezzo della ragione di conoscenze certe che accrescano, seguendo le regole di composizione dei corpi e delle menti dettate dalla Natura stessa, la sua capacit realizzativa e di conseguenza la sua consapevolezza; ma per ottenere tali risultati egli necessita di un appoggio saldo che permetta di condurre il discorso con sicurezza, ovvero di una intuizione intorno al mondo che abbia un fondamento reale. Per tale ragione Spinoza costruisce tutta la sua esposizione sul concetto di Dio nel quale include, come abbiamo visto, la causa di se stesso e pone un termine alla catena delle cause; inoltre ci gli permette di dichiarare che la sostanza divina infinita proprio per il fatto che non ne esiste un'altra che la produca e quindi la limiti. Ogni cosa esistente diventa allora in quanto finita, cio causata, una manifestazione del divino che si compone a diversi livelli secondo i modi propri della sostanza stessa. Tali modi di essere delle cose bench determinati dalla Natura, danno origine poi soltanto a enti relativi perch invischiati a quegli aspetti gnoseologici della coscienza che Spinoza non era stato in grado di sciogliere. solo in virt di questo fatto che egli non li pu concepire fuori degli attributi (che altro non sono se non le categorie di spazio e tempo attraverso le quali percepiamo la materia), poich i modi sono stati di composizione attuali della sostanza e riguardano pertanto il suo aspetto fenomenico, bench traggano la loro forma dalle propriet o forze della sostanza stessa. Come sottolinea Gilles Deleuze infatti:

24

Uno dei punti essenziali dello spinozismo consiste nell'identificazione del rapporto ontologico sostanza-modi con il rapporto epistemologico essenza-propriet e il rapporto fisico di causa-effetto. [] i modi differiscono dalla sostanza in esistenza e in essenza, e tuttavia sono prodotti in quegli stessi attributi che costituiscono l'essenza stessa della sostanza. Dio produce una infinit di cose in una infinit di modi (Etica, I, 16): ci significa che gli effetti [o modi] sono s delle cose, vale a dire degli esseri reali dotati di una essenza e di una esistenza proprie, ma che non esistono e non sono fuori degli attributi in cui vengono prodotti.16

Solo mantenendo l'uguaglianza d'ordine dei modi nonostante la differenza degli attributi nei quali vengono concepiti poi possibile rendere ragione dell'ipotesi di parallelismo tra mente e corpo avanzata da Spinoza, la quale risponde alla questione di come sia possibile la loro interazione, posto che ci che appartiene a un determinato attributo condivide il rapporto di causalit con modi della sostanza relativi a quel particolare attributo. Altrimenti detto, i corpi, modi dell'attributo estensione avranno relazione causale solo su altri corpi e non sui modi dell'attributo pensiero, cos come questi si produrranno tra loro senza influenza alcuna sui corpi. Il corpo infatti , come appena accennato, un modo dell'estensione, cos come la mente un modo del pensiero, dove pensiero ed estensione sono secondo Spinoza una coppia di attributi tra gli infiniti possibili appartenenti all'essenza di Dio17; e la mente non
16 Gilles Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, Guerini e Associati, Milano 1991, pag. 109. 17 La ragione per la quale si faccia riferimento a questi soli attributi rintracciabile nel fatto che il nostro modo di conoscere indissolubilmente legato a essi. Anche se Spinoza li credeva aspetti della sostanza ai quali l'uomo aveva libero accesso in quanto costitutivi della sua essenza, e bench essi appartengano come abbiamo visto al modo di percepire della nostra

25

altro che l'idea del corpo, ovvero la sensazione del corpo inteso nell'attributo del pensiero. Ma ci non da intendere come se fosse il corpo a modificare o produrre le idee: infatti, poich appartenenti ad attributi differenti, tra essi non pu sussistere un rapporto di causalit. Questo esiste e si pu realizzare soltanto tra gli elementi di un medesimo attributo, tanto che l'idea di un corpo diverso dal proprio pu modificare l'idea di se stessi come l'interazione tra corpi ne modifica la composizione o forma. Cos si esprime Deleuze al riguardo:
La mente dunque l'idea del corpo corrispondente. Non che l'idea si definisca per il suo potere rappresentativo; ma l'idea che noi siamo sta al pensiero, e alle altre idee, cos come il corpo che noi siamo sta all'estensione e agli altri corpi. [] Ogni cosa mente e corpo insieme, cosa e idea; in questo senso che tutti gli individui sono animata.18

Allora ogni cosa prende vita, anche la materia bruta che si modifica secondo un'idea, e pare quasi che Spinoza voglia evocare antiche memorie platoniche intorno agli archetipi delle cose. L'idea diventa l'insieme delle affezioni del nostro corpo per mezzo del quale otteniamo anche l'idea degli altri corpi, ovvero la composizione della loro essenza secondo i nostri modi di sentirli. Ciononostante la questione di come corpi e mente possano agire in parallelo ovvero di come alla modificazione di un corpo corrisponda la modificazione dell'idea resta ancora in sospeso. Essa trova soluzione tornando ancora una volta alla definizione di Dio,
mente per mezzo delle categorie di spazio e tempo, l'errore di valutazione non inficia tuttavia gli esiti della sua speculazione. 18 Gilles Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, pag. 100.

26

la quale realizza in virt della sua unicit sostanziale una modificazione immediata comune a tutti gli attributi; esiste cio tra questi una medesima identit d'ordine e di composizione che rinvia ogni volta all'elemento necessario, ovvero alla necessit della sostanza divina. Nonostante l'errore di Spinoza rinvenibile nell'utilizzo degli schemi di causalit per un'idea che deve esserne priva in quanto sostanziale, ovvero l'idea di Dio, riscontrabile tuttavia un'intuizione del suo pensiero che continua a mantenerlo vivo, cio quella dell'esistenza di un'unica natura delle cose e nulla al di fuori di essa. Questa l'idea di fondo di tutta l'Etica. Dopo aver sviluppato le conseguenze di una tale premessa per quel che riguarda la mente e il corpo, Spinoza prosegue nel suo discorso fino a raggiungere ci che per i religiosi del tempo (ma non solo) doveva esprimere il massimo della blasfemia, ovvero la negazione del libero arbitrio, che da baluardo dell'essenza umana si tramutava sotto la messa a fuoco delle sue lenti d'indagine una mera illusione della mente. Spinoza esprime infatti col suo filosofare il tentativo di svalorizzare la coscienza nei confronti del pensiero proponendo come nuovo modello d'analisi il corpo. Non che il corpo abbia una preminenza sulla mente, ma la sostituzione costituisce indubbiamente una provocazione. Tale provocazione si riallaccia all'affermazione contenuta nel secondo capitolo dell'Etica, scolio 2, secondo la quale non sappiamo affatto ci che un corpo pu intendendo con ci l'esistenza di una potenzialit dei corpi non sperimentata cos come, parallelamente, esiste

27

un inconscio della coscienza che il pensiero deve indagare e che altrimenti produce in essa l'illusione di essere l'unica artefice del proprio volere, nonch di essere libera dalla necessit che invece domina ogni aspetto dell'Essere. Con la sua opera Spinoza intende inaugurare una scienza dell'uomo che si rivolga allo studio degli elementi che aggiungendosi alla sua essenza ne accrescano la potenzialit realizzativa; una scienza che si occupi di ci che buono o cattivo in relazione alle leggi di composizione e durata della manifestazione individuale, di l dai concetti assolutizzati e illusori di Bene e Male, poich nella sua visione del mondo Bene e Male non possono che essere relativi a chi patisce e chi patisce non pu che essere una forma finita19. Esposto in questi termini il problema della Natura in Spinoza si rivela in tutta la sua complessit. Nonostante le critiche mosse da Schopenhauer contro il nucleo portante del pensiero del filosofo olandese esso pare infatti reggere al colpo. Ci reso possibile dal fatto che al suo interno il pensiero di Spinoza deve sostenersi a una qualche verit, ovvero a una intuizione intorno le cose che abbia in esse il proprio fondamento: e cos, come Spinoza non aveva potuto fare a meno di considerare lo spazio e il tempo, anche Schopenhauer non pu contestare l'ipotesi di unicit della sostanza, tanto che egli stesso la inserisce nel proprio
19 Senza dubbio si pu rintracciare in ci la presenza del sentire classico riguardo la sofferenza e la dissoluzione della forma. Vedi L'esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale di Salvatore Natoli, oppure a tutte quelle forme di pensiero che non attribuiscono a Dio qualit umane. Da questo punto di vista, la teodicea ovvero la giustificazione della presenza del male nel mondo nonostante la definizione di bont assoluta inerente a Dio, riguarderebbe solo la cultura ebraico cristiana: questa anche l'opinione di J. Hick, teologo e pensatore anglosassone contemporaneo, riportata da Elena Porzio nel primo numero della rivista Humanitas che ha per tema la teodicea.

28

sistema,

sotto forma

di

corollario20

alla

teoria

della

percezione sensibile. Al pari del filosofo olandese inoltre egli deriva la conseguenza diretta di questa idea che consiste nella negazione almeno nel mondo fenomenico del libero arbitrio, poich appare evidente che se nulla pu esistere fuori della sostanzialit e delle sue leggi di composizione o forze a-causali la manifestazione della volont dell'uomo risulta a essa subordinata e pertanto non libera. Cos si esprime anche Kant al riguardo:
Qualunque concetto ci si faccia, in senso metafisico, del libero arbitrio, le manifestazioni di questo, le azioni umane, sono determinate allo stesso modo che ogni altro avvenimento naturale, secondo leggi di natura universale. [] se noi potessimo indagare fino in fondo tutte le manifestazioni dell'arbitrio dell'uomo, non ci sarebbe neanche un'azione umana che non potessimo predire con sicurezza e riconoscere come necessaria in base alle sue condizioni antecedenti. [] Si pu quindi ammettere che, se fosse per noi possibile avere, del modo di pensare di un uomo, quale si mostra nelle azioni sia interne che esterne, una cognizione cos profonda che anche il minimo impulso in tal senso ci venisse noto [una volta conosciuta la risoluzione interna intesa come stimolo libero iniziale che anche Kant salvaguarda introducendo il concetto della cosa-in-s], si potrebbe calcolare con certezza il futuro modo di comportarsi di una persona cos come si prevede un'eclissi di sole o di luna.21

Schopenhauer ritiene che la differenza tra causa stimolo e motivo risieda solamente nel grado di ricettivit
20 21 Vedi riferimento a pag. 18. Estratti da Idee per una storia universale, dalla Critica della ragion pura e dalla Critica della ragion pratica, citati in nota a pag. 92 della Quadruplice radice del principio di ragione sufficiente.

29

degli esseri tanto da poter affermare che quanto pi questa grande, tanto pi l'influsso pu essere lieve; cos che mentre la pietra deve essere spinta, l'uomo obbedisce a uno sguardo e trovarsi pertanto in pieno accordo con la negazione di Kant e Spinoza, anche se per i primi due non si pu parlare in verit di una negazione del libero arbitrio in senso assoluto poich essa riguarda solamente gli aspetti comportamentali legati alla sua manifestazione, lasciando inalterato e libero lo spazio dell'in-s. Per Spinoza invece tutto deriva da Dio, il quale si manifesta in Natura non secondo un atto di libert arbitraria, ma dalla necessit che segue dall'essenza stessa della sostanza poich in Dio potenza e volont sono una medesima cosa, mentre per l'uomo non rimarrebbe spazio alcuno per poter agire liberamente. In ogni caso il pensiero di Spinoza pare resistere alla critica schopenhaueriana in virt del suo ancoraggio a qualcosa che sta nelle cose stesse e non soltanto nella semplice speculazione astratta, rivelandosi in definitiva come una intuizione reale delle stesse, realizzata attraverso la conoscenza sperimentale-scientifica che Spinoza chiama conoscenza di secondo genere. Per comprendere dove la critica di Schopenhauer sembra fallace necessario specificare che il termine generalizzazione non ha in Spinoza il significato astratto e disancorato dalle cose che gli attribuisce l'altro. Per Spinoza vale infatti che una generalizzazione diversa da un ente di ragione; mentre per Schopenhauer una astrazione a esso del tutto coincidente: solo che poi il secondo considera

30

generalizzazione come equivalente ad astrazione. Il concetto di Dio in Spinoza secondo la mia opinione non un concetto costruito ad hoc ma il risultato di rappresentazioni intuitive successive. Il loro movimento orizzontale e non verticale... la conoscenza di secondo genere qualcosa di diverso da un'astrazione e deriva da quelle che Spinoza chiama nozioni comuni. Cos esse vengono definite da Deleuze:
Le nozioni comuni (Etica, II, 37 40) non sono definite cos in quanto esse sono comuni a tutte le menti, ma innanzi tutto perch esse rappresentano qualche cosa di comune ai corpi: sia a tutti i corpi (estensione, quiete e moto) sia a certi corpi (due almeno, il mio e un altro). In questo senso le nozioni comuni non sono per nulla della idee astratte ma delle idee generali []; e, secondo la loro estensione, secondo che si applichino a tutti i corpi o solo ad alcuni, esse sono pi o meno generali (Trattato teologico politico, cap. 7).22

La nozione comune deriva cio dall'esperienza diretta del mondo e ogni suo filosofema poggia su quell'intuizione sensibile o rappresentazione intuitiva che Schopenhauer generatrice di tutti i descrive come fonte primaria e

pensieri originali. Ostacolando la conoscenza di primo genere che consta di opinioni e illusioni, essa ci conduce fino all'Intuizione per eccellenza, a quella di terzo genere che giunta a riconoscere l'unicit della Sostanza quale elemento strutturante comune a tutte le cose ci insegna a riconoscere in ogni forma individuale l'elemento divino. Pertanto, il concetto di Dio elaborato da Spinoza pu non soltanto essere considerato intuizione generale non astratta
22 Gilles Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, pag. 115-116.

31

della realt ma anche estrema ipotesi morale che indichi una direzione da seguire per quel che riguarda il campo dell'azione. Da questo punto di vista essa pu essere scambiata per un ente di ragione solo se si inverte il processo di produzione di tale idea la quale solo cos pu apparire costruita per un fine, cio in ragione della finalit del progetto etico di Spinoza. Ma tale sovvertimento deve essere totalmente escluso dal pensiero del filosofo proprio in virt dell'accanimento che egli espresse contro le forme concettuali che si servono delle cause finali. Il concetto di Dio, o Natura, rappresenta l'intuizione dell'Essere e pertanto l'intuizione della totalit. Ci permette di considerare Dio, o la Natura, come un macro cosmo, idea alla quale si giunge per mezzo di intuizioni successive, dove la mente non resta assorta in una contemplazione estatica astratta ma viene ricondotta alla considerazione degli oggetti che hanno segnato lo sviluppo della speculazione intuitiva rischiarandoli di una nuova luce, questa volta per cos dire divina. Quegli oggetti cio si arricchiscono dell'apporto dell'intuizione generale rivelandosi, per usare un'immagine rubata alla matematica, simili ai frattali; si trasformano ciascuno in un microcosmo, primo fra tutti il nostro corpo che mostra il suo aspetto relativo in virt dell'Idea che ora lo definisce. Allo stesso modo avviene un mutamento intorno al problema del Male che si riduce a una qualit di composizione della forma individuale, traducendosi in un problema relativo all'ente individuale e alla persistenza della sua forma, nonch alla sua capacit di agire e alla sua durata. Ogni corpo infatti definito dalla sua essenza la

32

quale consta di diverse parti. Per esempio il corpo di un uomo si suddivide in apparati, questi in organi, in cellule e cos via. Il rapporto di queste parti definisce la forma uomo, ovvero l'essenza umana. D'altra parte tale modo particolare della sostanza entra in rapporto con altri modi o forme particolari che tendono ad accrescerne la sussistenza e la durata oppure a dissolverne l'essenza fino alla morte. In senso lato questi oggetti possono essere definiti rispettivamente come medicine o come veleni, come cose buone oppure cattive, ma solo dal punto di vista della forma individuale e non in senso assoluto. Cos si esprime Salvatore Natoli riguardo al senso del tragico presso i greci utilizzando parole che appaiono illuminanti anche nei confronti del nostro tema:
[] la morte non la si percepisce soltanto come limite estremo, e perci come vita limitata, ma come effettiva limitazione di vita nella forma del dolore. Si tratta propriamente di quella infelicit che prende il vivente in modo acuito e conturbante quando la morte anticipatamente lo tocca nella forma della sofferenza. A quest'assedio l'individuo, finch pu, reagisce. Questa controversia tragica in quanto caratterizzata da una doppia necessit: vita contro vita immediatamente in opposizione. [] Il dispiegarsi della natura, come universo di differenze, e l'insistere delle differenze in se stesse, come puntuazioni di forza che unilateralmente pretendono di esistere, danno luogo ad un dissidio diffuso ed insieme locale. Ma quel che pi di tutto conta il fatto che tale dissidio non pu essere mai interpretato come opposizione polare tra una dualit originaria: questo un dissidio che fiorisce dall'unit.23

In questo brano risultano evidenti le somiglianze con il


23 Salvatore Natoli, L'esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, pag. 59.

33

pensiero di Spinoza. Vedremo nel prossimo capitolo come tale discorso sembri essere ripreso di pari passo da Schopenhauer per quel che riguarda il rapporto tra la Volont della Natura e le volont particolari. Per concludere vorremmo sottolineare come per il filosofo olandese appaia della necessario Natura sviluppare si una possa conoscenza adeguata affinch

giungere alla conoscenza di terzo genere. Essa permette di elaborare un'idea chiara e distinta della correlazione tra macro e micro cosmo, e conduce a una visione del mondo che non considera pi la totalit o le cose singole come altro ma come appartenenti al s, e tutto ci sulla base di una conoscenza di tipo scientifico. Infine vorremmo esprimere in estrema sintesi alcune annotazioni. In primo luogo da rilevare che esistono almeno due idee comuni e di non poca rilevanza tra il pensiero di Schopenhauer e quello di Spinoza, ovvero l'idea dell'unicit della sostanza e dell'esistenza relativa del dolore e quindi del bene e del male24. Inoltre vedremo come il concetto platonico di Idea far la sua comparsa anche nel sistema di Schopenhauer. In secondo luogo Spinoza produce due modelli di conoscenza (il secondo e terzo genere) che consentono di spiegare con argomenti filosofici appartenenti alla nostra tradizione culturale il fascino della disciplina yoga quale scienza tramandata dello
24 Per la verit esistono anche ulteriori somiglianze che tuttavia per l'economia del presente lavoro non intendiamo approfondire: per citare due esempi, il fatto che per Spinoza gli oggetti si definiscano riguardo l'essenza secondo le loro modalit di essere affetti o di produrre modificazioni negli altri oggetti, il che del tutto assimilabile a ci che Schopenhauer chiama oggetto il quale tale in virt del fatto di essere in relazione ad altro secondo la legge di causalit; e poi, il fatto che per entrambi i filosofi volont e conoscenza sono indissolubilmente legati.

34

sviluppo delle potenzialit umane sulla base delle leggi di composizione dei corpi, nonch d'introdurre da un lato il parallelismo esistente tra mente e corpo ammesso nella cultura orientale, e dall'altro l'idea di appartenenza panica dell'uomo al tutto che ha come conseguenza diretta l'espansione della consapevolezza e della responsabilit individuale.

35

IV.

FILOSOFIA E MORALE IN SCHOPENHAUER


La

via dell'ascesi

Secondo Schopenhauer all'essenza delle cose non si pu pervenire dal di fuori: per quanto si indaghi se rimaniamo alla superficie troveremo in luogo dell'in-s solo immagini e nomi. Eppure questa, a suo dire, la linea tenuta da tutti i filosofi precedenti sul tema fondamentale della conoscenza la quale ruota attorno la delimitazione dei confini reali del sapere umano, confini che ancora nessuno era stato in grado di demarcare. La tensione costante del suo pensiero consiste d'altra parte nel tentativo di rompere e superare quel dualismo della tradizione filosofica che attribuiva al sapere due ambiti separati del conoscere (cosa pensante e cosa estesa) i quali a loro volta rinviavano come abbiamo mostrato a due differenti tipi di sostanzialit e che sottintendeva all'idea di ragione la capacit di raggiungere procedere l'essenza astratto delle cose nonostante il suo attraverso operazioni puramente

concettuali. Egli giunge a risolvere il problema del dualismo proponendo di svolgere l'analisi filosofica intorno a un principio unitario che conduce in maniera diretta al fondamento ontologico dell'esistenza. Nella sua filosofia tale principio prende il nome di Volont e consiste nella forza (o istinto) che spinge tutti gli essenti alla propria conservazione, ed pensabile come un conatus per usare un'espressione spinoziana o come volont di vivere; esso non pu essere indagato dalla conoscenza comune poich questa rimanda essenzialmente a elementi derivati dalla

36

natura apparente delle cose, cos che per coglierle nella loro vera essenza necessario liberarsi della maniera usuale di considerare il sapere. Nel Mondo come Volont e rappresentazione Schopenhauer parla di un castello, quello della conoscenza, dentro il quale egli dichiara essere stato il primo a entrare. Anche Kant si era avvicinato al castello, ne aveva riconosciuto le facciate (i fenomeni, l'apparenza delle cose) e intuito l'interno (l'esistenza del noumeno), senza tuttavia riuscire a penetrarvi. Cos ci che per Kant era stata identificato rispettivamente come cosa in s e fenomeno per Schopenhauer diventa Volont e rappresentazione. Per quest'ultimo la rappresentazione dell'oggetto fornisce la mera conoscenza della superficie mentre ci che interessa veramente la conoscenza dell'interno, ovvero del noumeno. Ma come possibile raggiungerla? Egli ritiene che sia necessario comprendere a fondo le modalit del nostro ai esperire. processi ovvero di Queste corrispondono della dell'oggetto essenzialmente rappresentazione, composizione

dell'immagine

prodotta nel soggetto secondo le forme di spazio tempo e causalit. Indicata in questi termini per la via seguita fino a questo punto non poteva condurre la conoscenza molto al di l di quanto non avessero fatto le filosofie precedenti, poich l'ambito della metafisica di fronte al quale persino Kant si era arrestato non poteva essere intaccato dai normali strumenti concettuali elaborati dalla fenomenologia di matrice idealistica. Il valore dell'opera di Schopenhauer va ricercato dunque altrove, in un altro momento della sua

37

speculazione filosofica ovvero quando attraverso l'analisi dell'esperienza del modo di essere del nostro corpo intuisce un aspetto della questione che fino ad allora era sfuggito all'attenzione degli altri filosofi. Tale aspetto riguarda il fatto che l'uomo risulta costituzionalmente posto al di fuori delle cose in quanto osservatore; ma d'altra parte in quanto oggetto cio in quanto corpo egli appartiene a quello stesso mondo che gli appare come oggetto25. dunque guardando attraverso l'esistenza fisica del corpo che egli guadagna l'accesso immediato all'essenza interna delle cose, poich quello stesso strumento di azione il corpo diviene pensabile come ponte gettato tra i due regni gnoseologici della rappresentazione e della cosa-in-s: infatti, se da una parte ci appare come frutto dell'intuizione sensibile, come rappresentazione tra le altre rappresentazioni od oggetti, dall'altra esso ci dato in una forma pi immediata e diretta, ovvero come mezzo di espressione e realizzazione della volont individuale la quale deve essere considerata a sua volta come causa intrinseca delle azioni. In altre parole, Schopenhauer afferma che il corpo e i suoi movimenti non sono altro che gli effetti della volont, la sua manifestazione oggettiva, la sua oggettivit. La volont si rivela in questo modo come la cosa-in-s del corpo alla quale l'uomo ha un accesso immediato per esperienza diretta. Essa e qui risiede la grande intuizione del filosofo pu essere considerata per analogia del tutto
25 chiaro a questo punto come la prospettiva dell'idealismo schopenhaueriano manifesti il suo debito nei confronti della filosofia di Spinoza. Ci pare addirittura che le idee di fondo dei due filosofi in questione si possano sovrapporre quasi del tutto una volta tenute in considerazione le differenze intorno all'epistemologia.

38

identica a ci che governa la Natura e dunque del tutto corrispondente a quelle forze naturali che si soliti ritenere decreti divini in in virt Negandosi quanto del alle processo forme di della e antropomorfizzazione. rappresentazione

esclusivamente

immediatamente intuita dalla coscienza essa non cade sotto i domini di spazio tempo e causalit non risponde al principium individuationis dimostrandosi dunque libera da ogni condizionamento tanto da dover essere considerata in se stessa la medesima in tutti gli esseri: la volont non natura individuale ma generale26. Cos chiarisce

l'Abbagnano:

Come cosa in s, la volont si sottrae alle forme proprie del fenomeno, cio allo spazio, al tempo e alla causalit. [] Inoltre, poich si sottrae alla causalit, la volont agisce in modo assolutamente libero, senza motivazione, ed quindi irrazionale e cieca. Schopenhauer la identifica con le forze che agiscono nella natura; forze che assumono aspetti e nomi diversi (gravit, magnetismo, elettricit, stimolo, motivo) nelle loro manifestazioni fenomeniche, ma che in s sono un'unica e identica forza, la volont di vivere.27

L'inspiegabile compreso e

metafisico

di

Kant

viene concreto

allora della

identificato

nell'universale

Volont, l'Essere a-temporale, a-spaziale, a-causale, per


26 Anche in questo luogo da notare l'analogia con il pensiero di Spinoza. 27 Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, volume III, pag. 154. Occorre specificare che se la Volont totalmente libera da condizionamenti quella individuale risulta legata alla necessit di quella, il che rende coerente la citazione precedente di Kant a proposito della impossibilit della manifestazione del libero arbitrio che altrimenti risulterebbe contraddittoria con quanto affermato dall'Abbagnano.

39

molti versi simile al Dio di Spinoza e all'oggetto intuito dalla coscienza nella conoscenza di terzo genere. Possiamo coglierne l'essenza in quell'impulso che si pone alla radice di in ogni nostro atto, il quale si manifesta sempre come atto di volizione vitale: esso consiste ogni volta in una individualizzazione della Volont universale. A un livello generale la Volont pu essere considerata infatti un'unit, mentre il mondo delle volont singolari si frammenta nella molteplicit e si divide per la lotta alla sopravvivenza. Il noumeno Volont che si spezza nell'atto per noi inconoscibile delle oggettit o realt empiriche, che Schopenhauer chiama anche idee. L'oggettivazione della Volont costituita secondo il filosofo da gradi diversi che rispecchiano e riprendono il concetto platonico di Idea inteso questo come forma o modello archetipo delle cose e che il mondo della rappresentazione riflette e moltiplica28. Potremmo affermare che le Idee corrispondono a linee evolutive o generazionali, a ramificazioni di una sola e unica radice la volont di vivere che poi il mondo della rappresentazione individua e moltiplica in esseri singolari definiti nella loro collocazione spazio-temporale, tanto che in questo contesto gli enti reali non sarebbero altro che i regni naturali e le specie. Questi rami corrispondono nei livelli pi bassi ai gradi inferiori dell'oggettivazione, ovvero
28 Sembra che Schopenhauer ripercorra a questo proposito la direzione seguita da Spinoza nelle sue generalizzazioni ma stavolta con una spiegazione effettuata in senso inverso. Egli non procede dalle intuizioni derivanti dalle conoscenze comuni ma dall'Intuizione derivata per analogia da una nostra esperienza fondamentale, quella della volont. Tuttavia qui vorremmo soffermarci a segnalare ci che Schopenhauer intende per Idea e con lui Platone. L'Idea per Platone in primo luogo la forma unica di un molteplice che portata al massimo della sua generalit non pu che rinviare all'essere considerato nella sua totalit, il che richiama in maniera evidente il riferimento all'idea di Dio e Natura in Spinoza.

40

alle forze brute della natura che, ponendosi l'una contro l'altra, innescano uno scontro volto a produrre forze per cos dire pi sottili e raffinate fino a giungere all'intuizione rappresentativa degli animali o alla capacit di agire per motivi attribuita agli uomini, bench sempre obbligate queste ultime a seguire il canone di fondo dettato dalla suprema necessit delle cose: la lotta per continuare a esistere. Questo in senso generale l'ambito della Volont che si offre allo sguardo singolarizzato delle volont individuali le quali pertanto rappresentano a loro stesse il conflitto anzich l'unit. In questo scenario di conflitti generanti opposizione e dolore Schopenhauer ritiene che l'unica via etica valida consista nella risoluzione volta alla rinuncia della propria condizione di singolarit ove questa sia possibile, ovvero in un ambito puramente umano dove il grado di sviluppo della consapevolezza ha raggiunto la coscienza del s individualizzato. Solo all'uomo (e agli dei) consentito negarsi all'istinto vitale ritirandosi in un'esistenza che permetta di sottrarsi all'illusione e alla sofferenza, e di condurre una vita ascetica che estingua il conatus vivendi nel tentativo di riguadagnare il senso della totalit. Il traguardo dell'estasi ascetica ci che il filosofo ha mutuato dalla sapienza indiana contenuta nelle Upanishad la quale indica come meta del percorso di ampliamento della propria consapevolezza la fusione con la Super Coscienza divina e trascendente chiamata Ishwara. Tale posizione ontologica fa da sfondo a quella parte del pensiero schopenhaueriano che ritaglia l'ambito dell'azione la quale per essere detta morale deve

41

contenere

in

un

elemento

progettuale

di

natura

universale. questa caratteristica infatti ci che secondo il filosofo distingue un'azione morale da ci che non lo . Universalit orientare consapevolezza, umano verso una particolarit prospettiva che inconsapevolezza (ci che non morale). Bisogna dunque l'agire comprenda nelle proprie finalit l'altro almeno se l'intento quello di agire moralmente. Questa regola permette di costruire una definizione per la distinzione di quelle azioni che possono essere pertanto le dette due morali tipologie che hanno di oppure azione: no, e d'individuare rientrano quella

egoistica e quella altruistica. La prima ha come fine il s e vi tutte azioni una dimensione progettuale legata alla particolarit e non appartengono per definizione all'ambito della morale; quelle altruistiche hanno invece come fine dell'azione l'altro secondo vari livelli di abnegazione della propria volont vitale che spinge a soddisfare un istinto particolare. Solo quando l'intenzione individuale investe l'Altro generalizzato, ovvero la sua promozione e conservazione, giungiamo al compimento della morale che si produce attraverso l'esempio di una condotta ascetica, quella che consiste nella non-azione-cherisponde-a-un-istinto-vitale la quale naturalmente pu prodursi anche come azione che favorisca l'altro e non solo come limitazione dei propri istinti individuali. Tale capacit pu essere raggiunta soltanto attraverso la rinuncia al nucleo che costituisce la personalit, ovvero al s. Ma in cosa consiste in definitiva l'ascesi per Schopenhauer? Essa corrisponde all'acquisizione attraverso

42

la disciplina, l'astinenza sessuale, la rassegnazione, il sacrificio, di quella consapevolezza universale che deve guidare l'azione e che consta di due momenti, l'uno libero e l'altro ancora legato alla necessit. Quello libero pu essere ricondotto di fatto al momento intuitivo della dimensione universale che Schopenhauer ritiene essere di natura puramente negativa poich si produce passando per la lenta negazione di tutti quegli aspetti che legano l'uomo alla propria esistenza fisica; esso libero perch non manifesto e slegato da ogni necessit, anche da quella di tipo interno o mentale. Tale dimensione che potremmo definire allora proto-progettuale corrisponde non a un pensiero ma a un'esperienza, all'intuizione della totalit che sconfina nel terreno della mistica. Questa la posizione della coscienza che assume la prospettiva pi generale possibile sull'essere delle cose prima di risolversi all'azione, quando si colloca nella dimensione appena precedente la scelta ontologica (egli l'aveva chiamata nei suoi appnti giovanili "coscienza migliore"); tuttavia non in virt della scoperta di tale dimensione essa pu ritenersi gi libera ma comincia a muoversi verso il suo obiettivo che consiste nel completo abbandono di tutte le istanze portate avanti dalla volont di vivere: si passa dall'intuizione per il progetto fino all'esperienza diretta dell'universalit. A questo proposito bench Schopenhauer insista sul motivo del suicidio quale falsa negazione della volont di vivere e in verit sua pi forte affermazione da notare come una resa totale della volont corrisponda di fatto alla morte fisica del corpo, il che mette in evidenza una possibile contraddizione al vertice del

43

suo pensiero29. Schopenhauer non fornisce chiarificazioni dettagliate in merito a tale questione ma si limita ad additare le vite dei santi e dei mistici quali esempio di volont volta a mortificare se stessa. Schopenhauer arresta la speculazione filosofica a questo punto poich non pu spingersi oltre nella giustificazione dell'ascetismo: da qui necessario proseguire con l'etica, con l'esempio e la guida dei santi e dei mistici... Considerato tutto ci appare allora come il momento non libero del percorso ascetico si riveli consistere in tutti quei passaggi necessari che conducono all'illuminazione la quale non mai totale fino a quando l'ultima radice del s non viene consumata. Nel contesto delle Upanishad gli Yoga Sutra di Patanjali rappresentano la guida teorica per il superamento degli ostacoli che l'asceta incontrer necessariamente nel suo percorso di conoscenza interiore fino al conseguimento della liberazione da ogni necessit, di fatto dissolvendosi nel Nulla della Super Coscienza. interessante notare che Schopenhauer nei paragrafi finali del Mondo come Volont e Rappresentazione dedica alcune riflessioni intorno al luogo interiore dove si realizza la libert dell'uomo: egli tratta cio del nulla quale
29 In realt egli evidenzia la differenza che intercorre fra un normale suicidio e un suicidio ascetico: essa consiste nella diversa volont che anima il suicida che nel secondo caso sarebbe la massima espressione della rinuncia alla volont. Tuttavia non esistono mezzi per giudicare della disposizione interna che spinge gli individui a tale risoluzione, tanto che non potremmo esimerci dal condannare, stando al metro di giudizio schopenhaueriano, il tale che ricevesse un'illuminazione improvvisa e decidesse di togliersi la vita. D'altra parte dovremmo santificare chiunque decidesse di morire d'inedia. Di fatto il vero discrimine va ricercato nelle opere, negli aspetti legati al karma anche se Schopenhauer li ritiene in qualche modo una forma di attaccamento alla vita quando considera la compassione a un livello pi basso della liberazione. Vera e propria A mio parere Schopenhauer non ebbe chiara la distinzione fra agire non agire e agire rinunciando ai frutti dell'azione, in particolare confondendo primo e ultimo.

44

nucleo fondamentale della coscienza. Per comprendere meglio il riferimento riportiamo alcuni pensieri di J. P. Sartre intorno all'idea del libero arbitrio e del dubbio metodico i quali, considerati in questo contesto, assumono un aspetto del tutto diverso rivelando la grandiosit delle intuizioni cartesiane che stringono inaspettatamente un legame tra la giovane filosofia e scienza psicologica dell'Occidente con l'antica sapienza orientale:
Poich l'ordine delle verit esiste al di fuori di me, ci che mi definir come autonomia non l'invenzione creatrice, il rifiuto. [] Il dubbio investe tutte le proposizioni che affermano qualcosa al di fuori del nostro pensiero: ci significa che io posso mettere tra parentesi tutti gli esistenti []. C' un ordine del vero perch l'uomo libero: ma anche se quest'ordine non esistesse basterebbe che l'uomo fosse libero perch non si desse mai un regno dell'errore. che l'uomo, essendo questa pura negazione [degli enti], questa pura sospensione del giudizio, pu a condizione di restare immobile, come qualcuno che trattiene il suo respiro30 ritirarsi in ogni momento da una natura falsa e adulterata [il mondo della rappresentazione e dell'illusione]: egli pu ritirarsi persino da tutto ci che in lui natura: dalla sua memoria, dalla sua immaginazione, dal suo corpo [stato del samdhi nello yoga]. Pu ritirarsi persino dal tempo e rifugiarsi nell'eternit dell'istante: nulla dimostra meglio di questo che l'uomo non affatto un essere di natura. Ma nel momento in cui raggiunge questa ineguagliabile indipendenza [] egli si scopre come puro nulla: di fronte all'essere che interamente posto tra parentesi non resta altro che un semplice no.31

Questa l'intuizione che illumina il percorso ma che infine va esperita: la sola intuizione non sufficiente alla
30 Il corsivo mio. Il riferimento di Sartre pare direttamente rivolto allo stato yoga di meditazione. 31 J. P. Sartre, La libert cartsienne, pag. 103 104.

45

liberazione. Il luogo del dubbio e dell'introspezione va ricercato nella negativit dell'uomo che costituisce la sua vera essenza. Essa corrisponde per analogia (come nel rapporto tra volont particolare e volont universale) alla Negativit che si cela dietro l'essere apparente delle cose. Sartre la deriva dall'analisi del dubbio metodico cartesiano il quale, come ricordato di passaggio in precedenza, inaugura la scoperta di quella che in Occidente viene chiamata soggettivit in virt del fatto che quell'atteggiamento induce l'uomo in primo luogo a diffidare delle proprie conoscenze esteriori portandolo a indagare la propria interiorit32 rispondendo infine al monito profetico (?) 33 di Socrate del nosce te ipsum. Posto in questi termini, il problema morale nel pensiero di Schopenhauer appare poter essere ricondotto verso una nuova interpretazione che
32 In Oriente una tale conquista doveva essere stata raggiunta gi da molto tempo se vero come vedremo che lo yoga costituisce la pi antica scuola psicologica conosciuta la quale considera l'esperienza del mondo esterno come il frutto di Maya (illusione). 33 Forse il celebre motto di Socrate il quale secondo Nietzsche aveva ucciso lo spirito del dionisiaco [cfr. La nascita della tragedia] inaugurando l'era dell'apollineo non fu altro che un tentennamento prodotto in seguito al compimento di una scelta epocale, tanto pi che con essa si laceravano i ponti con la tradizione orfica di nota origine orientale. Lo stesso nome di Dioniso, secondo Alain Danielou, avrebbe connessioni con l'antica religione fallica dell'Indo legata al culto del dio Shiva, Signore dei monti e delle bestie, il cui simbolo sacro era il linga (fallo) e al quale erano destinate come dimora le vette del monte Nisa o Niso, il che farebbe del dio greco niente altro che il dio-di-Nisa. Il motto esprimeva dunque l'incertezza dell'abbandono di una dimensione legata alla connessione interiore e totale col mondo, che forse sarebbe andata perduta con la scelta della civilt tecnologico-scientifica la quale non in grado di vivere in simbiosi col mondo ma in qualche modo lo asserve alle esigenze dell'uomo da qui anche l'importanza del mito prometeico presso i greci: egli il simbolo di una scelta o svolta culturale che afferma l'esigenza egoica dell'uomo, esigenza di dominio e consumo fondato sull'immagine del ratto del fuoco (ci che consuma) agli dei. Ma bench questo potesse apparire come gesto di affermazione della libert umana che afferrava le redini del proprio destino di fatto non era che l'impulso dettato dall'hybris ormai fuori controllo che ribadiva niente altro che la rinnovata condizione di schiavit alle forme della necessit ora in forma sublimata sempre incombente.

46

conferisca a esso un senso del tutto diverso e nuovo (e provocatorio) anche in considerazione di quanto asserito dal filosofo stesso, ma soprattutto ricordando quanto affermato da Sartre su Cartesio e l'intero motivo contenuto dell'Etica di Spinoza che consiste nel riconoscimento dell'unicit della sostanza: l'idea fondamentale raccolta in questa proposta vorrebbe condurre all'affermazione dell'inesistenza di azioni non-morali, o egoistiche, e al riconoscimento di una differenza rinvenibile tra esse al livello del grado di consapevolezza del soggetto agente, con l'intento di giungere a una ridefinizione del problema del tutto analoga a quella che aveva mutato il tema intorno al Male e al Bene trattato da Spinoza in una questione relativa a delle qualit percettive (buono e cattivo) dei modi della sostanza, cio a degli elementi formali anzich sostanziali. Secondo tale ipotesi il mondo umano non sarebbe allora che un mondo morale o karmico nel quale ogni individualit si estingue quanto pi si lega con azioni rivolte a soddisfare il s effimero piuttosto che l'immota coscienza universale sempre uguale a se stessa alla propria coscienza particolare34.
34 Soprassedendo alle implicazioni e alle credenze di natura religiosa, quanto appena affermato appare valido anche se riferito ad un contesto di tipo ecologico - naturalistico. In particolare la corsa all'accaparramento e allo sfruttamento delle risorse della biosfera posto in essere in una maniera miope e priva del rispetto all'auto sostentamento del sistema stesso, non pu che condurre a un danno nei confronti dell'artefice di tale operato. L'uomo considera se stesso del tutto libero di disporre dell'ambiente che lo circonda dimenticando che a esso legato da un vincolo generativo e germinativo nonch dalla necessit delle sue leggi che tendono al riequilibrio delle forze che gli si oppongono. L'idea della libert di disporre dell'ambiente viene negata con il prodursi di malattie derivanti dall'inquinamento che di fatto chiedono all'uomo un ritorno nei ranghi e una maggiore consapevolezza nelle proprie azioni (sono una nemesi). Anche questo karma, un esempio di come la morale non sia soltanto materia destinata a discorsi astratti ma coinvolga direttamente gli aspetti materiali della nostra esistenza, la quale legata alle leggi e ai decreti biologici sanciti dalla Natura. Tali leggi corrispondono in parte a quello che i testi indiani chiamano dharma ovvero legge della necessit o giusta via, anche se in quel contesto assumono un senso pi

47

Il tema conclusivo della speculazione di Schopenhauer sull'ascetismo ci ha condotto fino al suo estremo limite additando la direzione nella quale poter proseguire. Essa non tratta ormai pi di filosofia e morale ma si rivolge alla dimensione pratica ovvero all'etica.

ampio relativo a credenze di tipo religioso. Scopo dello yoga di rendere consapevoli della totalit dell'uomo che implica prima di ogni cosa il rispetto dell'ambiente (dell'Altro in senso generale) per guadagnare il rispetto di s (e viceversa di fatto si compie un processo di annullamento della distinzione tra s e altro da s).

48

V. VISIONE ASCETICA DELLO YOGA La ragione per la quale si deciso di prendere in considerazione il sistema di pensiero dello yoga anzich una diversa modalit di espressione della posizione ascetica verso il mondo, va ricercata in primo luogo nel fatto che solo in esso viene chiarito in maniera dettagliata quali siano i vari stati di coscienza da attraversare e quali i metodi che consentano di passare ai successivi per raggiungere il sentimento della trascendenza. Se per esempio analizziamo l'insieme delle regole benedettine o di qualsiasi altro complesso di norme che ordina la vita monastica in Occidente, troviamo che esse corrispondono da una parte alla richiesta di rispetto di alcune austerit come la pratica della castit, della povert e del silenzio con l'aggiunta di uno spazio dedicato alla preghiera e alla penitenza, e dall'altra al bilanciamento dei rapporti interpersonali tra i confratelli che vivono nell'area ristretta dei monasteri o delle comunit religiose. Di fatto per il raggiungimento dello stato di perfezione che in casi eccezionali pu condurre alla santit, non sono indicate vie certe e pragmatiche ma solo vaghe e approssimative; inoltre non vi descrizione alcuna della fenomenologia degli stati di coscienza attraversati durante il percorso di maturazione spirituale. Per contro, nello yoga la parte essenziale degli insegnamenti e delle restrizioni fa leva sul comportamento individuale, sull'analisi soggettiva, con l'intento di volgere l'attenzione del praticante verso lo sviluppo della propria interiorit (anche attraverso l'utilizzo delle potenzialit del corpo) che passa

49

solo apparentemente per la via della mortificazione della carne. A tale scopo il corpo diventa uno strumento che non deve essere oggetto di vessazioni bens allenato a diventare pi resistente e duttile fino alla sua completa quiescenza e governabilit, aumentandone le spinoziane potenzialit parallelamente a quelle mentali: l'assunto dell'ascetismo yogico che solo un corpo sano e robusto infatti pu tollerare l'astinenza e l'immobilit prolungata necessarie alla concentrazione introspettiva, vero scopo delle pratiche; un corpo malato o debole, non allenato, sollever continuamente istanze nei confronti della volont la quale a lungo andare sar costretta a cedere sotto le pressioni materiali. Inoltre, le pratiche meditative e di concentrazione sulle sensazioni del corpo consentono di sviluppare la consapevolezza dei vari luoghi che costituiscono l'io, creando una sorta di mappatura a sfere concentriche dove quella pi interna costituisce il nucleo dell'esperienza soggettiva nonch il pi alto grado di realizzazione della coscienza. In secondo luogo la ragione di tale scelta va rintracciata nel fatto diffusamente noto che Schopenhauer stesso si serv della sapienza upanishadica per approfondire e ampliare il proprio sistema di pensiero. Gli elementi del suo impianto teorico generale si riflettono a tal punto nei testi sacri indiani da indurre il frequentatore della sua filosofia al dubbio intorno la questione dell'originalit delle sue scoperte, nonostante risulti certo dalle analisi della storiografia critica che il nucleo del suo pensiero, esposto per la prima volta nella Quadruplice radice del principio di

50

ragione sufficiente, fosse gi stato elaborato prima che egli entrasse in contatto con i testi fondamentali della cultura indiana. Cos in uno dei suoi tardi manoscritti egli stesso pot affermare di essersi sentito come il Buddha quando, all'et di diciassette anni durante il viaggio che lo aveva portato ad attraversare l'Europa con la famiglia, fu turbato dallo strazio della vita che gli presentava di fronte il macabro carosello della vecchiaia, della malattia, del dolore, e della morte; e la sua immedesimazione con il Bodhisattva fu tanto grande da condurlo ad attribuire a se stesso se non il ruolo del santo almeno quello del redentore teoretico35. Missione che cerc di assolvere tutta la vita nonostante le avversit editoriali che segnarono la pubblicazione della sua opera principale e parte di quelle successive, cos contrarie al clima euforico provocato dall'idealismo romantico allora in voga. Giovanni di Gurisatti stupore descrive ed in questo modo il da sentimento entusiasmo nutrito

Schopenhauer per l'Oriente, sentimento provocato in parte dal riconoscimento di un pensiero affine che gli forniva conforto in un clima culturale che d'altra parte sembrava disconoscere la grandezza del suo operato:
Quella della superiorit qualitativa e quantitativa dell'India in campo sia metafisico che religioso [] per Schopenhauer una certezza. In comune con molti grandi spiriti del suo tempo, egli coltiva l'idea romantica che l'India fosse il suolo sacro e la culla del genere umano, ossia che i creatori dei Veda e delle Upanishad fossero pi vicini nel tempo all'origine dell'uomo e cogliessero perci l'essenza delle cose in modo pi chiaro e pi profondo di quanto non possa farlo
35 Arthur Schopenhauer, Il mio Oriente a cura di Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano 2007. Sic a pag. 160.

51

l'attuale generazione, ormai infiacchita. [] egli vede nel Buddhismo e nel Brahmanesimo non solo il frutto della pi alta e antica dottrina e della pi profonda e nobile saggezza umana, ma anche il bacino originario cui attinsero l'Egitto, Pitagora, Platone, il Neoplatonismo e tutta la mitologia greco-romana, sia il vero Cristianesimo neotestamentario, il quale non sarebbe che il riflesso di una luce originaria dell'Asia, che dalle rovine dell'Egitto cadde disgraziatamente sul suolo giudaico.36

Schopenhauer appare tanto entusiasta della saggezza indiana poich riconosce nella vita dei suoi mistici e asceti l'intenzione volta a sopprimere la volont di vivere che lui stesso aveva individuato quale soluzione al problema del dolore e della sofferenza, rinvenendo nei testi vedici un supporto teorico che riproponeva in chiave religiosa poetica e pratica gli insegnamenti raccolti al vertice della sua produzione filosofica. Il complesso di scritti a carattere pratico-religioso denominato Veda considera il mondo quale appare ai sensi una mera illusione proprio come aveva affermato l'idealismo kantiano, e proponeva come soluzione
36 Arthur Schopenhauer, Il mio Oriente, a cura e con un saggio di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 2007, pag. 190 191. Questa posizione dei Romantici senza ombra di dubbio sostenuta anche dallo studioso contemporaneo, recentemente scomparso, Alain Danielou che ha dedicato all'India e alla cultura orientale pi di vent'anni di studi. E se da una parte non si pu negare che la conoscenza della cultura indiana e buddhista di Schopenhauer fosse alquanto sommaria a causa dell'allora nascente interesse europeo per i tesori del sapere provenienti da quelle terre, interesse che non aveva ancora saputo produrre studi accurati e approfonditi dall'altra ci pare di dover rigettare l'attribuzione in questo caso utilizzata in maniera quasi canzonatoria di romanticismo che Giurisatti lega a questa idea di Schopenhauer e degli altri filosofi e letterati intorno l'Oriente, poich se vero che la sua collocazione biografica pu aver favorito le influenze di quella diffusa corrente culturale su di lui, non ci sembra per questo giustificato liquidare la questione sollevata dal nostro filosofo con una semplice etichetta, la quale non rende ragione di un'intuizione a nostro giudizio pi che fondata almeno per quel che riguarda, se non i toni, il nucleo centrale dell'idea espressa. Basti ricordare a fondamento di tale ipotesi gli studi di etnografia e glottologia che fanno risalire le origini culturali dei ceppi europei alle migrazioni indo-ariane.

52

al problema del male e della sofferenza il ritiro dell'individuo nella soggettivit, regno del negativo, dell'in-s e della negazione della volont di vivere, dove la questione della teodicea si risolve con la cesura operata dalla rinuncia al mondo e all'individualit, veri responsabili del prodursi del dolore. L'identificazione della volont di vivere con il mondo, con ci che esterno al nucleo negativo costituente l'essenzialit dell'uomo in quanto libero dalla necessit, conduce la coscienza verso la dissipazione della sua unit moltiplicandola negli infiniti oggetti del desiderio prodotti dal principium individuationis. E questa divisione produce dolore (lo smembramento dionisiaco), il cui valore salvifico consiste tutt'al pi nel reindirizzarci verso la nostra unit interiore (io) dove possiamo scoprire l'intima comunione con tutte le cose37. Certo rinunciare al mondo significa morire ai suoi occhi. Schopenhauer cos come i Veda e in particolare lo Yoga considerano la morte come il principale scopo morale della vita del saggio:
La sua [del malvagio] antitesi il santo. Questi apparenza del nonvoler-vivere, di una volont che non diretta alla vita. Certo il suo corpo, in quanto tale, apparenza del voler vivere; ma con la morte ha fine: per il suo carattere, ossia ci che comune all'intera serie delle sue azioni, apparenza della volont che non diretta alla vita, che ha fatto una conversione, sicch non la volont, di cui apparenza il corpo in quanto tale. [] Certo qui noi possiamo esprimerci in modo solo negativo, proprio perch il materiale con cui lavora la filosofia, ossia i concetti, sono rappresentazioni e quindi condizionati dalla vita e le
37 Dalla scoperta dell'unit dell'io si pu agevolmente passare a quella della Personalit Divina: io sono un io, tu sei un io, tutti sono un io, tutto un Io. Tale Io corrisponde all'Idea platonica, al Dio di Spinoza come matrice dell'io individuale. Non astrazione induttiva ma comprensione attraverso l'intuizione di una realt pi estesa di quella individuale.

53

appartengono. Perci per il nostro punto di vista il convertirsi della volont, la santit, la salvezza, la beatitudine sono senza dubbio un passare al nulla. [] In questo punto capitale quindi la filosofia pu dare soltanto sentenze negative, pu parlare soltanto di negazione, di ripudio della volont: se si pretendesse una presentazione positiva di ci che esprimiamo in tal modo negativamente, non ci resterebbe nient'altro che rinviare alla condizione vissuta da tutti i santi asceti tra gli Indiani e i Cristiani, e che si chiama estasi [] di cui possibile una conoscenza solo in base alla propria esperienza. 38

A questo punto siamo giunti a toccare il limite della filosofia di Schopenhauer, dove esso cede il passo all'etica racchiusa nelle Upanishad indiane, ma, strano a dirsi, egli non fa menzione del loro aspetto pratico se non una volta nei Parerga parlando del metodo di disposizione del corpo praticato dallo yogi e non, come ci si aspetterebbe, nella sua eudemonologia (L'arte di essere felici) il cui impianto ellenistico-romano esclude tassativamente ogni presenza orientale riferita alla conquista del benessere e della salute sulla terra"39. Questa incongruenza che trova la sua radice nell'identificazione schopenhaueriana tra vita felice e vita teoretica che egli realizza nella sua missione di redentore teoretico prodotta da due fattori: la limitata conoscenza della cultura orientale40 di Schopenhauer e l'influenza inevitabile della sua cultura d'appartenenza. Da una parte egli sembra non aver saputo sviluppare un'adeguata distinzione tra Brahmanesimo e Buddhismo e, al loro interno, non aver voluto ascoltare la risonanza dei toni
38 39 40 Arthur Schopenhauer, Il mio Oriente, pag.162 -163. G. Gurisatti, Schopenhauer e l'India in Il mio Oriente, pag. 219. Limitata per quanto riguarda la competenza: pare infatti che la biblioteca di Schopenhauer contenesse pi di duecento volumi che facevano riferimento al tema orientale.

54

ottimistici, volti alla realizzazione della felicit nella e non fuori della vita; dall'altra pare misconoscere il rapporto stretto che lega insieme i precetti teoretici contenuti nelle Upanishad e negli insegnamenti del Buddha con l'azione a essi conseguente, tanto da rendere eclatante e manifesto il suo quasi totale non-riferimento alla disciplina dello yoga41. Annota a tal proposito Giovanni Gurisatti:
[] proprio questo iato, tutto moderno-occidentale, tra percorso di vita e percorso di pensiero, questo primato della teoria e della metafisica trascendentale sulla prassi esistenziale e meditativa, l'accesso speculativo, astratto, disincarnato alla spiritualit e alla salute, impensabile tout court per un buddhista.42

Il che sembra riavvicinare in maniera del tutto sorprendente il pensiero di Schopenhauer a quello del tanto criticato Spinoza: infatti il razionalismo di quest'ultimo si ripresenterebbe in maniera sublimata nell'atteggiamento del suo censore che pur avendone individuate le radici dal punto di vista teoretico non fu in grado di emanciparsi del tutto dall'errore apollineo. Lo yoga quale noi lo conosciamo oggi sembra avere avuto origine nella seconda met del XIX secolo quando Swami Vivekananda lo introdusse per la prima volta in Occidente direttamente dall'India:
A
41

quell'epoca

(1849),

in

Occidente,

Henry

David

Thoreau,

Nel termine yoga va compresa anche la meditazione, praticata anche nel buddhismo e non solo nel brahmanesimo. Per il buddhismo esso ha un senso ristretto in quanto si riferisce esclusivamente alla pratica della meditazione. G. Gurisatti, Schopenhauer e l'India in Il mio Oriente, pag. 220.

42

55

trascendentalista americano, espresse il desiderio di praticare yoga e confess di pensare ogni tanto a se stesso come uno yogin. Secondo De Michelis la lettera che contiene tali confessioni costituisce la testimonianza pi antica del desiderio di un occidentale di praticare yoga. Qualche tempo dopo, nel 1893, lo yogin indiano Swami Vivekananda parl al Chicago Parliament of Religions e ricevette una calorosa accoglienza. [] Fu durante il suo soggiorno negli Stati Uniti che furono pubblicati due dei suoi lavori pi importanti: Karma Yoga (1896) e Raja Yoga (1896). Le altre opere che andarono a costituire, con le prime due, una quadrilogia sul tema, Jna Yoga e Bhakti Yoga, videro la stampa soltanto dopo la sua morte, nel 1902.43

in questi testi che troviamo delineati i contorni dello yoga nelle sue forme principali di raja yoga, karma yoga, jna yoga e bhakti yoga, bench esistessero gi in Oriente, sistematizzate in fonti differenti da quelle di natura divulgativa introdotte in Occidente da Vivekananda. Il raja yoga o yoga regale
si occupa della mente con le sue diverse qualificazioni, soprattutto dell'aspetto volitivo e, realizzando un centro di coscienza stabile come leva, inizia un processo di coordinazione, integrazione, dominio, trasmutazione e trascendenza delle energie psichiche imprigionanati s da bruciare tutti gli ostacoli che impediscono kaivalya, la liberazione del S. Il Raja yoga che Patanjali ha codificato nei suoi Yoga Sutra, comprende otto passi o mezzi.44

Il karma yoga o yoga dell'azione


lo yoga dell'azione senza azione, sentiero spirituale che consiste
43 44 Peter Connolly, Il pensiero Yoga, Red! Edizioni, Milano 2008, pag. 179. Glossario sanscrito, a cura del Gruppo Kevala, Edizioni Ashram Vidya, Roma 2008, pag. 235.

56

nell'agire in questo mondo senza ricercarne i frutti. [] Con il retto e giusto agire, e con l'abbandono dei frutti dell'azione, l'individuo si trascende.45

Il jna yoga o yoga della conoscenza (metafisica)


[] lo yoga della Conoscenza. I suoi postulati sono: il discernimento intuitivo (viveka) tra ci che reale (S-tman) e ci che non lo (io empirico, non-S), e il distacco (vairgya) e il distacco da ci che non reale-costante. [] la reintegrazione (yoga) nell'Assoluto operata attraverso la Conoscenza-consapevolezza. [ la] via metafisica pura.46

La bhakti yoga o yoga della devozione


[] lo yoga della devozione; la via spirituale che conduce alla realizzazione del Divino attraverso la pratica metodica di uno dei cinque atteggiamenti o predisposizioni (bhva); la via dell'assorbimento dell'individualit nel Principio universale. La sdhan [disciplina ascetica] del bhakta si incentra sul corpo emozionale rendendolo sempre pi plastico e pieno d'amore per l'Amato fino a determinare quella rottura di livello necessaria per l'unione.47

Schopenhauer sistematizzazione

non poich

aveva al

potuto momento

godere

di

tale di

dell'arrivo

Vivekananda in Occidente egli giaceva freddo gi da circa quarant'anni nel cimitero di Francoforte. Tuttavia tale grossolana distinzione delle forme nelle quali possibile suddividere lo yoga permette a noi di comprendere meglio a quale tipo di ascesi facesse riferimento il nostro filosofo e
45 46 47 Glossario sanscrito, pag. 152. Glossario sanscrito, pag. 143. Glossario sanscrito, pag. 73.

57

quali fossero i suoi limiti interpretativi quando giudica del fenomeno. E a questo punto della discussione appare evidente come egli considerasse la pratica dell'ascesi indiana solo nelle forme del karma yoga e, forse in maniera del tutto inconsapevole, del jna yoga. Ci mette in mostra il carattere parziale della sua interpretazione dell'ascesi indiana, tanto pi se si considera che le varie forme della disciplina non possono essere seguite in maniera separata, nonostante al praticante vengano proposti percorsi di evoluzione spirituale diversi sulla base delle proprie attitudini caratteriali. Come gi accennato lo yoga costituisce un insieme di norme comportamentali per il raggiungimento dello stato di grazia o illuminazione48 e pu dunque essere considerato un mezzo. La parola yoga viene fatta derivare tradizionalmente dalla radice yuj- che significa unire o legare; a doversi congiungere insieme sono il purusha e la prakrti ovvero rispettivamente spirito e materia, anche se in verit esse da sempre sono fuse in un'unica entit. Lo scopo della disciplina yogica consiste nello slegare purusha da prakrti che allo stato normale sono confuse l'una nell'altra a causa dell'illusione che inganna la pura coscienza facendole credere di essere ci che vede ed esperisce per poi attribuire loro il giusto ordine di convivenza attraverso la consapevolezza dell'unione nella differenza. Dunque lo yoga pu essere pensato anche come un fine.
48 Da notare che il termine illuminazione non va inteso in senso puramente mistico e religioso ma anche fisico: con il completo controllo delle energie vitali attraverso l'uso sapiente delle tecniche yoga sembra sia possibile accendere tutti i neuroni della regione celebrale con un notevole accrescimento delle facolt mentali.

58

Lo yoga un sistema di pensiero pratico di natura dualistica anche se di fatto non viene considerato in questa maniera almeno nello specifico della disciplina che fa riferimento alla dottrina teistica contenuta negli Yoga sutra di Patanjali. La logica delle Upanishad procede per via intuitiva e potremmo compararla alla modalit di evoluzione del pensiero cos come lo abbiamo visto crescere fino alla conoscenza di terzo genere in Spinoza, che riconduceva gli aspetti razionalizzati della sostanza (gli attributi) alla loro natura unitaria. Nella trattazione del tema yoga vanno distinti, almeno nel contesto delle Upanishad, due elementi testuali di riferimento: l'uno puramente razionalisticofilosofico di matrice dualistica, fonte del jna yoga, il Smkhya; l'altro, per il raja yoga, di natura prevalentemente pratica fenomenologico-casistica degli stati di coscienza che consta inoltre in vari precetti, gli Yoga Sutra di Patanjali. Questi ultimi condividono appieno la dottrina metafisica esposta nel testo filosofico divergendone solo al vertice, dove viene introdotta una sorta di monismo che afferma l'esistenza di un ente assoluto e spirituale chiamato Ishwara (Signore), corrispondente trascendente:
[Ishwara la] Personalit divina; rappresenta quello che potremmo definire il Dio-Persona. Comprende l'intero campo della manifestazione e anche l'immanifesto principale, cio i tre aspetti: grossolano [materia: corpo e mente], sottile [energia vitale: respiro come manifestazione dell'elemento causale] e causale [il S: l'atman], dal punto di vista individuale e da quello universale. Ishwara un riflesso coscienziale di Turiya (il Quarto o l'Assoluto), la pi alta personificazione dell'Assoluto

allo stato di super-coscienza

59

compresa dalla mente umana, dato che l'Assoluto in s non pu essere concepito. Ishwara il Signore di maya. Esprime tutte le indefinite possibilit dell'Essere qualificato. Essere universale, principio di ogni manifestazione, corrisponde al Brahman con attributi (saguna); la manifestazione espressione formale e informale di tali attributi. l'Essere qualificato []. Ishwara rappresenta il piano causale dell'Essere, il Punto principale o l'Uno ontologico. Ishwara dunque che compendia e sintetizza la Triplice Forma manifestante (Trimrti) nelle sue modalit di creazione (Brahm), conservazione (Visnu) e dissoluzione (Shiva) dell'universo come anche di ogni singolo ente o evento. [] Corrisponde al corpo causale universale [] e costituisce il Jva cosmico, nel quale deve ricondursi il jva microcosmico al fine di risolversi nell'tmanBrahman. La manifestazione nella sua attualit rappresenta il sogno di Ishwara. Cos, la manifestazione la proiezione onirica di Ishwara dormiente, di cui il singolo jva rappresenta un momento coscienziale determinato e condizionato dall'ignoranza (avidy), quindi costretto in una data dimensionalit spazio-tempo-causa.49

Ishwara

sostanzialmente

lo

stesso

concetto

presentato in contesti differenti: il Brahman del Vedanta, il Purusha del Smkhya, lo Shiva del Tantra. Ma credere o meno in queste forme di divinit risulta del tutto indifferente alla possibilit di conseguire la liberazione attraverso il metodo dello yoga. Tali distinzioni sono per gli indiani solamente il frutto delle diverse prospettive (darshana) speculative entro le quali viene calato il problema della realizzazione, che pu seguire anche metodi diversi per il raggiungimento dello scopo, che corrisponde all'In-S delle cose. Scopo dello yoga la percezione sovrasensoriale della Personalit divina, della macro struttura; il ricongiungimento con essa di l degli inganni prodotti dal
49 Glossario sanscrito, pag.135.

60

principium individuationis. Tale scopo pu essere raggiunto in virt della concordanza e del totale parallelismo tra il macro e il micro cosmo, che si produce squarciando il velo dell'illusione prodotto dall'individualit e dall'istinto di autoaffermazione. La tesi di fondo a sostegno di questo asserto non corrisponde ad altro che all'idea di una nondifferenza tra l'architettura dell'universo e quella di una sua parte, il che ha come corollario tra le altre cose l'uguale dignit di tutte le creature. Lo yoga insegna il rispetto dell'altro attraverso il rispetto di s: possiede cio una dimensione progettuale dell'azione di natura universale. Secondo la filosofia yoga possibile per l'uomo indagare il cosmo e le sue leggi a partire dall'analisi della propria interiorit. Questa possibilit appare cos reale, l'insieme delle tecniche elaborate sulla base delle esperienze dirette dei saggi nel corso dei secoli cos efficace, che le differenti religioni indiane dallo Shivaismo primitivo, al Jainismo fino al Brahmanesimo e al Buddhismo non avrebbero fatto altro che attingere a questa risorsa quale mezzo indispensabile per il conseguimento dell'unione mistica con il divino. Da questo punto di vista lo yoga pu essere considerato come il veicolo delle religioni indiane; esso ci che resta alla fine della loro secolarizzazione ed proprio il suo aspetto intrinsecamente laico a permettergli di poter essere tollerato nei credi pi diversi, giustificando la sua presenza anche nella societ occidentale contemporanea.

61

VI.

CONCLUSIONI Secondo Alain Danielou lo Shivaismo e il suo metodo,

lo yoga, hanno un'origine molto antica (3 - 4000 a. C.). Essi furono introdotti dalla quasi sconosciuta popolazione dei dravida, che aveva sviluppato una fiorente civilt lungo il corso dell'Indo, sopravvissuta fino al periodo dell'invasione ariana. Quando gli esponenti della nuova cultura (i bramini) cominciarono a elaborare un sistema sociale e religioso in sostituzione di quello gi presente, che garantisse oltre l'instaurazione di nuovi valori anche uno strumento di controllo (caste) delle popolazioni sottomesse, i tesori dei vinti passarono nelle mani degli invasori. Per lo studioso della cultura indiana Danielou lo scontro tra la civilt dei dravida e degli ariani corrisponde alla lotta messa in atto tra societ legate al mondo naturale e quelle che guardano a una migliore organizzazione della vita sociale. Queste ultime pongono l'uomo al centro del loro interesse separandolo di fatto dal contesto naturale per calarlo in uno artificiale: sono per cos dire il prodotto, la diretta conseguenza del principium individuationis, illusione soggettiva riproposta su dimensione collettiva. D'altra parte
Lo Shivaismo essenzialmente una religione di natura. Shiva, come Dioniso, rappresenta un solo aspetto della gerarchia divina, quello che riguarda l'insieme della vita terrestre. Lo Shivaismo, stabilendo un coordinamento realistico tra gli esseri sottili e gli esseri viventi, si sempre opposto all'antropocentrismo delle societ urbane. [] Il suo culto, che scatena le potenze dell'anima e del corpo, ha incontrato viva resistenza da parte delle religioni urbane che lo hanno considerato

62

antisociale.50

La soltanto

scienza una

dello

yoga pi

consente

all'uomo di

di

riappropriarsi della propria dimensione perduta (che non posizione naturalistica un'altra), riconducendolo al suo luogo di appartenenza ontologica dove pu ristabilire il giusto rapporto tra mondo esterno e quello dell'interiorit. Schopenhauer ha fotografato suo malgrado questo scontro descrivendolo come espressione di due istanze della volont: la volont di affermazione della vita e la volont della rinuncia. Esse rimandano al nucleo ontologico della scelta fondamentale dell'essere per s o dell'essere in s, dove la prima opzione costituisce in qualche modo un'alienazione, un essere altro da s. In questo luogo di scelta originario si cela il santuario eretto da Cartesio intorno al libero arbitrio. Esso non pu che custodire le disposizioni essenziali dell'uomo le quali si tramutano in modalit di vita opposte, creando da una parte civilt e individui prometeici e dall'altra comunit di santi asceti e rinunciatari bench la rinuncia in questo caso non appaia tale se non a chi abbia fatto della propria individualit e finitezza la ragione ultima delle azioni, che non possono essere altro che effimere in quanto il loro progettarsi non abbraccia una dimensione universale. diviene il Tale dimensione universale corrisponde per la all'intuizione di un'unica Natura come in Spinoza, la quale presupposto fondamentale anche discussione del problema morale di Schopenhauer che non
50 Alain Danielou, Shiva e Dioniso, Ubaldini Editore, Roma 1980.

63

prevede azioni morali se non in funzione dell'Alterit. La consapevolezza dell'Essere si sviluppa a partire dalla comprensione delle leggi di composizione dell'essenza individuale (Spinoza) che possono venire agevolmente ricondotte alle modalit di manifestazione di tutte le cose e possono essere conosciute per via sperimantale. Tali leggi di composizione (creazione, conservazione, distruzione) altro non sono che le forme simboliche adorate dagli Indiani nelle rappresentazioni degli dei della Trimurti. Cos infatti si manifesta ogni causalit (non legge causale!) e dunque anche il mondo stesso che ripete ciclicamente il suo percorso come avviene nel respiro il mondo non essendo altro che l'espirazione del Brahman. Da ci deriva la grande importanza accordata dallo yoga al corpo dove per corpo si deve intendere anche la struttura della mente. Governare questi aspetti del corpo, pilotarne per certi versi le dinamiche di composizione significa entrare gradatamente in possesso della propria libert di coscienza che in ultima analisi si risolve nella pura capacit di essere soggetto, di essere osservatore, dove tale qualit-essenza non consta di attributi ma libera dal principium individuationis e pertanto di natura infinita e assoluta. Questa dimensione ci che guida l'azione del santo o diventa l'obiettivo ultimo sulla strada della rinuncia indipendentemente dalla forma di yoga o ascesi praticata. Durante la pratica dell'ascesi il mondo fenomenico del quale fanno parte anche il male e la sofferenza sono posti tra parentesi; essi sono considerati come il frutto dell'illusione del desiderio e del senso dell'individualit. Secondo i testi sacri indiani possibile

64

raggiungere la felicit in vita attraverso il sacrificio del s individuale, realizzando quello che nello yoga definito come lo stato di ananda (beatitudine); in questo stato non esisterebbero pi sofferenza n dolore bench resterebbe ancora un passo da compiere: la rinuncia alla beatitudine... il samdhi, la realizzazione priva del seme dell'individualit (nirbija samdhi). La filosofia di Schopenhauer ha indicato la via ascetica quale ultima conseguenza del suo sistema di pensiero. Essa si dirige direttamente al cuore del problema della libert dell'uomo che deve interrogarsi sul valore effettivo delle sue azioni in rapporto alle necessit di natura: come rendersi veramente liberi? La risposta conduce inizialmente a due alternative: essere uomo di natura (il che non ha a che fare con un concetto di incivilt) o uomo tecnologico (dove per tecnologia si deve intendere l'insieme di quegli strumenti volti al consumo non rinnovabile delle risorse anche di quelle interne all'uomo). A mio parere la libert positiva consiste nello scegliere consapevolmente il sistema uomoambiente. Esso vincolato a leggi di natura alle quali ci possiamo sottrarre in maniera artificiale, ma che tuttavia continuano a sussistere e alla fine chiedono che la pena per la loro infrazione venga pagata. Ci segna il limite della libert negativa che in quanto tale non pu essere considerata libert vera ma solo apparente. La nostra libert consiste nel dire s al mondo. Esiste una certa datit naturale che non pu essere elusa, che esige di essere soddisfatta pena la nostra schiavit, che dobbiamo tener in conto ogni volta che progettiamo un'azione, poich questa

65

datit sempre presente nonostante la nostra illusione la quale ci spinge a scambiare i fenomeni per le cose fino a quando le cose stesse non manifestano fenomeni opposti alle nostre aspettative dando prova della loro indipendenza e autonomia. Solo dal profondo della propria interiorit si pu emergere alla comprensione della pienezza del mondo, ricco di regole e cose che non possiamo ignorare in virt di una superficialit colpevole. Ma necessario rinunciare alla volont di vivere che costringe a ragionare secondo la logica del profitto individuale, la logica dell'hybris. Solo attraverso un approccio scientifico al mondo si produce la sensazione di gioia come controprova delle azioni e delle scelte corrette, la quale si manifesta nelle forme di serenit socievolezza salute longevit saggezza ed equilibrio. L'altra modalit di scelta invece di natura istintuale e non riesce a spezzare il suo rapporto di schiavit con la volont di vivere. Se la filosofia epicurea era giunta a limitare le azioni secondo uno spirito di continenza quella dello yoga propone invece una via di partecipazione attiva al mondo previa rinuncia alle istanze di natura individuale. Per far ci prima di tutto necessario considerare il mondo come rappresentazione, come apparenza, al fine di salire al regno della Causalit. Ma se del mondo non possiamo avere che nozioni illusorie l'unica via per conoscerlo propriamente rimane l'indagine della soggettivit, l'indagine della negativit, unico elemento al quale abbiamo accesso diretto. Lo yoga parte dallo studio del corpo inteso come studio del mondo esterno del quale tuttavia abbiamo sensazioni dirette. Conoscere il corpo significa conoscere il mondo e rispettare le istanze del corpo

66

significa educarci alla convivenza col mondo. Il rispetto di s corrisponde al rispetto del sistema uomo-ambiente. L'esigenza strutturale dell'uomo dunque quella dell'autocontrollo e della consapevolezza nelle azioni contro il rischio di non riuscire a sfuggire alla hybris, continuando a compierne di pseudo-libere. Comunemente si ritene che la maggiore et corrisponda alla ormai giunta o imminente maturit di un individuo, ma in verit ritengo che in pochi riescano a ottenere questo traguardo... dal momento in cui nasciamo siamo educati verso il contenimento dei nostri istinti pi elementari fino a quando raggiungiamo un autocontrollo accettabile socialmente; in realt ci conformiamo al livello di maturazione della nostra societ di appartenenza. Lo yoga, con il suo metodo di educazione, permette all'individuo di trascendere il tempo e la civilt di appartenenza poich insegna una pedagogia tout court che consente una continua crescita nella responsabilit di se stessi gli altri e delle cose.

67

BIBLIOGRAFIA

Letteratura di riferimento per la storia del pensiero filosofico in Occidente adottata per la realizzazione di questo lavoro: Descartes, Discorso sul metodo, traduzione di Maria Garin, Editori Laterza, Bari 2007. Epicuro, Opere Frammenti Testimonianze, a cura di Ettore Bignone, Editori Laterza, Bari 2007. Natoli Salvatore, patire nella 2008. Pareyson Luigi, Ontologia della libert. Il male e la sofferenza, Einaudi, Torino 2000. Sartre Jean Paul, La libert cartsienne, Dialogo sul libero arbitrio. A cura di Nestore Pirillo, Marinotti Edizioni, Milano 2007. Schopenhauer Arthur, Il fondamento della morale, Laterza, Roma 2007. Schopenhauer Arthur, Il mondo come Volont e Rappresentazione, a Bur, Milano 2002. Schopenhauer Arthur, L'arte di essere felici, Adelphi, Milano 2008. cura di Sossio Giametta, Classici Bari 1981. Schopenhauer Arthur, Il mio Oriente, Adelphi, Milano L'esperienza del dolore. Le forme del cultura occidentale, Feltrinelli, Milano

68

Schopenhauer Arthur, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, Bur, Milano 2000. Spinoza, Etica, Editori Laterza, Bari 2009.

Letteratura secondaria di riferimento per la storia del pensiero filosofico Occidentale adottata per la realizzazione di questo lavoro: Abbagnano Nicola, Storia della filosofia, Volume II III, Utet, Torino 2007. Cellada Ballanti R., Ghia G., Tonelli I., Ghia F., Nuti A., Porzio E. Humanitas. 1946 N. 1. Deleuze Associati, Prato, M., Teodicea. Momenti e figure, dalla rivista Rivista bimestrale di cultura, fondata nel Morcelliana, Brescia 2009. Filosofia pratica, Guerini e

Gilles, Spinoza. Milano 1991.

Giametta Sossio, Schopenhauer e Nietzsche, Edizioni Il Padova 2008. Nietzsche, Edizioni Palomar, Bari 2005. Riconda Giuseppe, Invito al pensiero di Kant, Mursia, Milano filosofia, il 2007. Zucal Silvano, La filosofia del dolore cos come viene 1987. Tea, Milano 2008. Safranski Rdiger, Schopenhauer e gli anni selvaggi della Stewart Matthew, Il cortigiano e l'eretico. Leibniz, Spinoza e destino di Dio nel mondo moderno, Feltrinelli, Milano Giametta Sossio, Tre conferenze. Il Mondo, Schopenhauer e

69

proposta da

Epicuro e Schopenhauer, appunti del

corso di filosofia teoretica, Trento 2007 2008. Letteratura di riferimento sullo yoga adottata per la realizzazione di questo lavoro: Ferraguti Lorenza, Risveglio e guarigione (I parte),

Magnanelli,

Torino 2004.

Fossati Stefano a cura di, Insegnamenti sullo yoga, (Gheranda- Samhita), Magnanelli Edizioni, Torino 2006. Repetto Maria Paola a cura di, Lo yoga rivelato da Shiva, (ShivaSamhita), Magnanelli Edizioni, Torino 2006. Pradipika), Magnanelli Edizioni, Torino Spera Giuseppe a cura di, La lucerna dello hatha-yoga, (Hathayoga2009. Letteratura di riferimento sulla cultura Orientale adottata per la realizzazione di questo lavoro: Connolly Peter, Il pensiero Yoga. Le origini e i testi, gli sviluppi e le Milano 2008. Danielou Alain, Miti e dei dell'India, Bur, Milano 2002. Danielou Alain, iva e Dioniso. La religione della natura e dell'eros, Rivelazione Centro Studi Tradizionali Ubaldini Editore, Roma 1980. Vedica e le Moderne Teorie Scientifiche, Bhaktivedanta, Accademia di Scienze dell'India, Pisa 2005. Ferrini Marco, Coscienza e Origine dell'Universo. La correnti, lo Yoga moderno, Edizioni Red!,

70

Ferrini Marco, Divinit Umanit e Natura nella tradizione Indiana, Scienze Centro Studi Bhaktivedanta, Accademia di Tradizionali dell'India, Pisa 2005. conferenza del 5 Aprile 2008 tenuta presso l'Universit degli Studi di Bologna, Mp3, Centro Accademia Salute Olistica, di Scienze Studi Studi Bhaktivedanta Ferrini Marco, Yoga Pisa e

Ferrini Marco, L'io, l'inconscio e le MASCHERE del S,

Tradizionali dell'India, Pisa. Centro Bhaktivedanta, dell'India, Accademia di Scienze Tradizionali 2004. Gruppo Kevala, Glossario 2008.

Sanscrito, Edizioni ram Vidy, Roma Morcelliana, 2007.

Pelissero Alberto, Letterature classiche dell'India, Editrice Swami Satyananda Saraswati, La visione dello Yoga, Yoga Pubblications Trust, Ganga Darshan, Munger, Bihar, India. Pubblicato e distribuito da: Scuola di Yoga Satyananda Edizioni Ashram Italia, 2008. Swami Satyananda Saraswati, Quattro capitoli sulla libert. Commentario sugli Yoga Sutra di Patanjali, Yoga PubblicationsTrust, Ganga Darshan, Munger, Bihar, India.Pubblicato e distribuito da: Scuola di Yoga Satyananda Edizioni Ashram Italia, 2008. Swami Satyananda Saraswati, Tantra. Un'introduzione al Tantrismo, Yoga Pubblications Trust, Ganga Darshan, Munger, Bihar, India. Pubblicato e distribuito da: Scuola di Yoga Satyananda Edizioni Ashram Italia, 2009. Von Stietencron Heinrich, Hinduismo, a cura di Alberto

71

Pelissero, Morcelliana 2002.

72

Potrebbero piacerti anche