Scheda del libro"La Rosa Bianca" di Paolo Ghezzi CAPITOLO I «Diciotto
febbraio 1943» La Rosa Bianca, un gruppo di resistenza formatosi durante la
dittatura di Hitler, è composta da un gruppo di universitari di Monaco, uniti dal disgusto verso una guerra insensata, e pronti a rischiare la vita per la "Libertà". Il diciotto febbraio 1943 vengono scoperti ed arrestati due dei membri del gruppo: i fratelli Hans e Sophie Scholl; lui ventiquattrenne studente di medicina, lei ventunenne matricola di filosofia e biologia. Usciti di casa sulle dieci e mezzo, si dirigono con una valigia piena di volantini all'università, approfittando del clima reazionario palesatosi con il recente "sensazionale scontro fra gli studenti e il regime", scatenato dalle parole pesanti e maschiliste di Gauleiter Giesler, massima autorità nazionalsocialista bavarese. Vengono colti sul fatto dal bidello Jakob Schmid, trascinati dal rettore, il comandante maggiore delle SS, il dottor Walter Wüst, ed infine arrestati dalla Gestapo e condotti, per gli interrogatori, agli uffici della polizia segreta, nel palazzo Wittelsbach. Sospettati di attività illegali ed etichettati come pericolosi sovversivi, sono obbligati, sotto i colpi dell'evidenza, a confessare, cercando però di tenere nascosta l'identità degli'altri complici. A Sophie viene offerta la possibilità di salvarsi dalla condanna, ammettendo di essere stata trascinata dalla forte personalità del fratello; ma la ragazza, di grande statura morale, non accetta di mentire, fedele alle sue convinzioni ed ideali. La mezzanotte dello stesso giorno dell'arresto viene condotto in prigione anche Willi Graf, insieme alla sorella Anneliese, che verrà presto rilasciata. Il giorno successivo è il turno di Christoph Probst, autore di una bozza di volantino trovata nella giacca di Hans. Il ventiquattro febbraio tocca ad Alex Schmorell: a lui appartiene una divisa militare, trovata dalla Gestapo, in casa Scholl, durante una perquisizione; a seguirlo, e per ultimo, è l'arresto del Professor Kurt Huber. Giudicati colpevoli di preparazione all'alto tradimento, vengono tutti giustiziati per mezzo della ghigliottina. CAPITOLO II «Hans Scholl» Nasce il ventidue settembre 1918 ad Ingersheim nella Franconia, l'attuale Baden-Wüttemberg. Il padre è un giovane borgomastro, Robert Scholl: liberale irriducibile; la madre, Magdalene Müller, è luterana. Questo ambiente familiare affettuoso e insieme improntato ai precetti di un luteranesimo incline alla solidarietà sociale, in fusione armoniosa, fanno sì che la casa Scholl sia aperta all'amicizia, alle suggestioni dell'arte, della musica e della creatività. Nell'autunno del 1933, Hans, sano ed intelligente ragazzo, dai capelli e gli occhi scuri, contro il volere del padre pacifista e sempre controcorrente, entra a far parte della Gioventù Hitleriana, a causa dell'appassionato richiamo del Führere, che si trascinava dietro migliaia di ragazzi infatuati dalla buona novella nazista, e desiderosi di marce, cameratismo, ed avventura. Hans, di carattere forte ed intelligenza penetrante, dotato, sempre al centro dell'attenzione, ed un leader naturale, a tal punto da essere definito come "il modello ideale di capo della Gioventù Hitleriana", diventa ben presto portabandiera e capodrappello. Iniziano però a nascere in questo periodo i primi dubbi: sono vietate le canzoni popolari russe e nordiche, proibiti i libri di scrittori ebrei, pacifisti e democratici; questo ragazzo pieno di ideali e sogni non sopporta più, essendo diventato il responsabile della sua squadra, di essere "complice" del nazionalsocialismo, la cinghia di trasmissione degli ordini impartiti dai gerarchi e della macchina propagandistica del regime, già lanciata verso la guerra. Hans perde i suoi gradi e la fiducia nel Führer quando dà uno schiaffo al suo superiore, durante una colluttazione, dovuta ad un vessillo, raffigurante un animale fantastico, confezionato dal gruppo del ragazzo , e criticato da un comandante che, passando in rassegna, vuole che la bandiera gli venga consegnata e sostituita con l'unico simbolo unificante, ed uguale per tutte le squadre: la croce uncinata. In seguito, Hans forma un gruppo aderente al movimento giovanile D.J. 1.11, la Gioventù tedesca, aggregata, a sua volta, con la Gioventù Federale, proibita e perseguitata dalla dittatura. La D.J. 1.11 mirava al perseguimento di sette principi: 1. "Gioventù contro il mondo degli adulti": i giovani devono cercare da soli la propria strada; 2. "Cameratismo": bisogna combattere lo spirito del solitario, reprimere l'egoista che c'è in ognuno di noi; 3. "Obbedienza e sottomissione": imparare a comandare ed ad obbedire, senza rinunciare a pensare; 4. "Qualcosa di assolutamente nuovo": guardare al futuro; 5. "Dedizione, sacrificio e fedeltà": stare all'erta, pronti alla lotta e non farsi distogliere dalla propria strada. La D.J. 1.11 combatte, quindi, contro le guerre e i generali, per la libertà degli oppressi. Hans in questo periodo incomincia anche la sua amicizia con lo scrittore Ernst Wiechert, che lo stimola a coltivare la spiritualità e l'introspezione, come difesa dallo squallore e dal clamore della cultura nazionalsocialista, e che viene poi internato in un lager, per due mesi, a causa di un appello, per convincere i suoi giovani ascoltatori, a non tacere se sentono il bisogno di parlare. Hans, il quattro maggio 1937, va a lavorare, per i sei mesi di servizio lavorativo obbligatorio, al cantiere autostradale di Göppingen dove, oltre all'intenso lavoro manuale, si dedica ai concerti e alle letture serali. Ad ottobre, si arruola nel reparto di cavalleria di stanza a Bad Cannstatt. Durante delle azioni contro appartenenti e simpatizzanti al movimento giovanile proibito, vengono arrestati anche i due fratelli Scholl: Sophie, minorenne, viene rilasciata immediatamente, mentre Hans viene imprigionato e imputato di intrighi federali e reati valutari, per un suo tentativo di portare oltre il confine svedese una scatola di greme Nivea, piena di marchi tedeschi, per una gita all'estero con il suo gruppo di Ulm, non autorizzata dal comando della Gioventù del Reich. Questo episodio, però, scuote l'animo del ragazzo che, sentendosi ansioso, triste, vuoto e preoccupato, decide di lottare per diventare qualcosa di grande per l'umanità, e continua le sue gite e le sue escursioni. Decide infine di iscriversi alla facoltà di medicina, per potersi dedicare, così, alle sofferenze altrui e anche per soddisfare le sue attitudini umanistiche e filosofiche, col l'intenzione di penetrare i segreti del mondo; viene, in seguito, destinato all'ospedale di Tübingen, per il tirocinio propedeutico. Hans, alla ricerca di sé stesso, e della verità, cerca la libertà dal giogo che affligge la Germania; si sente sospeso tra passato e presente, rimpianti ed angosce per il futuro, voglia di restare ragazzo e necessità di diventare uomo:inquieto, cerca di lasciarsi il mondo alle spalle , di estraniarsi, in continua lotta per la vita. Nel marzo del 1940 viene arruolato in una compagnia militare studentesca, dove incontrerà i suoi "futuri compagni di resistenza". CAPITOLO III «Willi Graf» Wilhelm nasce il due gennaio 1918, a Kuchenheim, in Renania. E' il terzo figlio di Gerhard Graf, amministratore di un'azienda vinicola, severo ma con una forte credenza nel culto della correttezza e dell'onestà personale, e di Anna Gölden, donna che si dedica alle famiglie povere ed alla pratica della solidarietà, e di grande esempio per il figlio, in quanto modello di "attivismo cattolico". A quattro anni,si trasferisce a Saarbrüken, con la sua famiglia, di religione cattolica, moderatamente benestante. A dieci anni, mentre frequenta l'Humanistisches Ludwigsgymnasium, inizia a coltivare i suoi interessi per il tedesco, la religione, il greco e la musica. L'anno successivo,si è già inscritto ad un gruppo giovanile della lega studentesca cattolica: la Nuova Germania. I genitori di Willi, seppur fiduciosi nell'autorità politica e apolitici, rifiutano la sua adesione al nazismo, in quanto "ideologia anticristiana"; il ragazzo interiorizza, quindi, il suo senso "politico", non dalla famiglia, ma frequentando i gruppi cattolici, fondati sulla "religione dell'amicizia". Nel 1933, Willi, quindicenne, diventa caposquadra della Nuova Germania; inizia, tuttavia, anche lui, a sentirsi inquieto: le vessazioni contro le organizzazioni giovanili cattoliche, da parte del regime, aumentano, fino a culminare con la cosiddetta "Purga di sangue" del 1934. Willi, in quest'anni, si dedica alla lettura degli scritti di Johannes Maassen, caporedattore del settimanale "Nuovo Fronte", soppresso, poi, nel 1936, a causa delle forti parole sulla negata libertà tedesca, e sul grande pericolo in cui si trovano la verità e il diritto. Negli anni successivi, il rapporto tra la Chiesa e il regime si inasprisce a tal punto da portare al ritiro del clero dallo scenario politico, lasciando, così, campo libero al partito nazista. Tuttavia, alcuni gruppi giovanili, godendo ancora della speciale condizione sospesa del loro paese, la Saar, continuano coraggiosamente le loro attività: tenendo degl'incontri con filosofi e teologi, in particolare l'italiano Romano Guardini, e trattando indirettamente dei problemi del loro tempo: il tirannicidio, l'identità cristiana, il ruolo dei laici nella Chiesa, la morale, la tradizione e la liturgia. Anche Willi viene scosso, come Hans, da uno spiacevole episodio: un ragazzo della Gioventú Hitleriana, gli strappa il distintivo con la XP, che in greco sta per Cristo; in segno di protesta, il ragazzo, insieme al resto del suo gruppo, si presenta ad una sfilata, in occasione dei festeggiamenti per la riunificazione della Saar con il Reich, con l'insegna di Cristo. In seguito, Willi si unirà all'Ordine Grigio, un'altra organizzazione già proibita, composta da giovani che cercano uno stile di vita in autonomia rispetto alla precettistica ecclesiastica: una sorta di conversione personale e rinascita spirituale;questo gruppo resta un'esperienza esclusiva, totalizzante in quanto ad impegno e dedizione, elitaria ed insieme antiborghese. E' un tipo sereno ma taciturno, dai capelli biondi, gli occhi azzurri e la mascella volitiva. Passa buona parte del suo tempo a pensare, leggere, fumare la pipa o masticando un nocciolo di ciliegia per concentrarsi meglio. Willi è il prototipo del giovane rivoluzionario cattolici: pronto a combattere contro il male senza tirarsi indietro. Per sentirsi libero, Nurmi, così era anche soprannominato Willi, ama viaggiare: nel 1935, passa le vacanze in Italia, dove prende la malaria; nel 1936, dopo i campi associativi di Pasqua nella Selva Nera e di Pentecoste nella Kinzigtal, compie un viaggio nei Balcani. In seguito si iscrive alla facoltà di medicina di Bonn, ma viene presto arrestato insieme ad altri compagni dell'Ordine Grigio, accusati di aver organizzato molte gite con la tenda lappone, tipica delle federazioni giovanili, e cantato canzoni del canzoniere federale. I reati vengono, tuttavia, cancellati dall'amnistia del 1938, per celebrare l'annessione dell'Austria al terzo Reich. Nel frattempo, Graf frequenta un corso infermieristico nell'ospedale del Santo Spirito a Saarbrüken, e contravvenendo a tutti i divieti, organizza un campo invernale. Nel 1939, estendendo stata chiusa l'università di Bonn, si trasferisce alla facoltà di medicina di Monaco, ma deve attendere ancora tre anni per poter condividere con i suoi compagni la vita universitaria, perché è stato arruolato. Nonostante tutto Willi, non prende il suo idealismo, alla continua ricerca di persone con cui poter stare:"come isole nel mare della solitudine". CAPITOLO IV «Alexander Schmorell» Nasce il 16 settembre 1917 a Orenburg, negli Urali, e viene battezzato secondo il rito della Chiesa ortodossa. Cresce con una doppia identità: suo nonno era un pellicciaio emigrato in Russia, ma senza rinunciare alla sua nazionalità tedesca; suo padre Hugo Schmorell, seppur nato in Russia,dove torna dopo essersi laureato alla facoltà di medicina di Monaco di Baviera, per dirigere gli ospedali per i tedeschi internati, si era sempre sentito tedesco. Alla madre, morta di tifo, si sostituisce Nanja, un'anziana bambinaia russa, che permetterà ad Alexander di crescere bilingue, e con una costante nostalgia della Russia, immersa in un passato mitico. Il padre si risposa con una donna tedesca ed apre uno studio privato, che gli porta fama professionale e ricchezza. Alexander cresce con la passione per i poeti russi, le canzoni russe, e la balalajka, a causa della sua "anima slava", che lo rende un personaggio molto affascinante ed allo stesso tempo avvolto nel mistero, con una grande dichiarata passione per l'arte: in particolare per la pittura e la scultura. E' un ragazzo bisognoso d'indipendenza ed autonomia; si iscrive a medicina solo perché riesce a giungere ad un accordo col padre, che guarda con silenziosa polemica i suoi hobby: gli vengono finanziati un laboratorio casalingo, ma anche gli sport come l'equitazione, lo sci e le escursioni in montagna. E' un ragazzo che ama il contatto e il dialogo con la gente, ed è attirato dalla diversità, e dal profumo di terre lontane e stranieri;e questo, nell'omologazione grigia e violenta dei suoi tempi, e nell'esaltazione monolitica della germanicità era già un sintomo di libertà interiorre ed intelligenza umanistica. Dopo un breve periodo, Alexander, abbandona il gruppo giovanile della Giovane Baviera, spaventato e disgustato dall'idea che un'individualista come lui, con una personalità così anticonformista, debba marciare in schiere compatte, in un totale annichilimento dell'io nel noi. Questo ragazzo è di aspetto "nobile": alto, magro, lineamenti fini ed un po' eccentrici, sempre impeccabile, e dallo sguardo luminosamente ironico: l'ideale compagno di avventure, un complice di passioni e miti, e allo stesso tempo con una vena di geniale sregolatezza e d'inquietudine profonda, con la natura di un vagabondo, pieno di entusiasmo, a volte anche incurante ed irriflessivo. La sua vita si modella sulle sue esperienze: da qui, nasce la sua nostalgia per la vita errabonda, per i cambiamenti e per gli arricchimenti d'esperienza. Nel 1937 deve svolgere il servizio lavorativo obbligatorio in un cantiere, per la costruzione della strada per lo Jochberg in Algovia. Il peso dell'uniforme, per lui, è angosciante: entra in una crisi profonda, un tracollo psichico e fisico quando deve prestare giuramento d'armi e d'obbedienza a Hitler; una vera e propria crisi di coscienza, con un conseguente rifiuto del proprio ruolo militare. Inizia, nel 1939, a studiare medicina ad Amburgo, per poi dover partire per la campagna di Francia come sottoufficiale sanitario, nel 1940. Nello stesso anno, viene assegnato alla compagnia studentesca, dove conosce Hans Scholl, con il quale frequenta una cerchia di giovani sottufficiali che cercano di neutralizzare le eresie naziste attraverso una chiarificazione personale. Schmorell è colui che fa sì che Graf e Probst facciano conoscenza, e con loro organizza degli incontri, mettendo a disposizione la sua casa, tra alcuni giovani di Monaco ed i loro maestri intellettuali. CAPITOLO V «Christoph Probst» Nasce il sei novembre 1919, a Murnau in Alta Baviera. L'itinerario esistenziale di Christoph è originale, anche per la particolarità dell'ambiente familiare in cui cresce, improntato ad un sincretismo religioso singolare. Suo padre, Herman Probst, proveniente da un'agiata famiglia di commercianti, è un uomo di cultura ed interessi singolari: ha la passione per le scienze religiose, la storia dell'arte, ed in particolare per la spiritualità orientale; trae da quest'ultima l'insegnamento della tolleranza religiosa e il rispetto profondo della libertà altrui. Per questo motivo, pur essendo stato educato ad una rigorosa fede cattolica, per non condizionare i figli, non fa battezzare né Christoph, né la sorella Angelica, per lasciar loro la totale libertà di compiere una propria scelta in età matura. Herman si interessa anche di arte contemporanea, e nella pittura di diversi artisti, trova un momento di sintesi tra arte e religiosità: offrendo la pittura stessa, una strada di liberazione spirituale dal materialismo tecnicista dell'epoca, e dalla propaganda di massa del regime. L'infanzia di Christoph è ricca di affetti ed interessi; per la sua crescita è fondamentale il suo rapporto di rara intensità col padre. Christl si rivela un genio del gioco, con un fantasia senza confini, una spiccata predilezione per la contemplazione,l'osservazione e gli esperimenti; coltiva l'inclinazione per le scienze, con la sua travolgente voglia di scoperte; è alto e magro, spesso con l'aria distratta; vivace e con un'audacia fuori dal comune, che spesso lo portano a rischiare l'osso del collo nelle imprese piú avventurose e pericolose. Christoph è anche una persona dalla grande sensibilità, avendo conosciuto un'educazione sentimentale ed una pedagogia artistica: l'antinazismo del padre si esprime implicitamente sul piano culturale, attraverso la predilezione per i pittori considerati "degenerati" dal regime, ma non in diretta presa di posizione politica. Christoph è, quindi, un ragazzo costituzionalmente apolitico, che giunge al progressivo rifiuto dell'armamentario nazionalsocialista attraverso il raffinamento dei propri gusti interiori e la percezione della volgarità, estetica ed umana, della messinscena hitleriana. Il padre, che soffre di disturbi nervosi, si suicida, e per Christl, che vi era visceralmente legato, è un colpo durissimo. Iniziano così le sue riflessioni sul fatalismo della morte: "una soglia verso la gioia, l'arrivederci, il reciproco penetrarsi, il diventare una cosa sola". Christoph è insofferente alla sua nuova vita in collegio: uno spazio delimitato, dove la comunitarietà è obbligata, e la vita regolamentata; il desiderio di libertà, si fa sempre piú forte in lui. La capacità di emergere, d'intuizione e analisi sono le caratteristiche principali di questo ragazzo modello, cresciuto forse troppo in fretta, abituato all'indipendenza e insofferente agli schemi. E' un cultore del dialogo interpersonale, con il gusto per le lunghe e profonde conversazioni. Ama i classici tedeschi e quelli russi. Non si occupa di letteratura e saggistica filosofica: la sua vocazione alla resistenza è naturale e primigenia, senza mediazione culturale; cerca la vita nella vita, attraverso le domande esistenziali che si pone. Pur nutrendo un rassegnato pessimismo sulla condizione umana, espresso attraverso delle dichiarazioni sfiduciate sull'impossibilità di migliorare la condizione umana, è una persona solare, "con gli occhi sempre intenti a scrutare e seguire la luce". CAPITOLO VI «Sophie Scholl» Nasce il nove maggio 1921 a Forchtenberg, Ha un'infanzia immersa nella natura, serena e magica; sotto la figura autorevole, ma anche protettiva, del padre borgomastro: barba folta e sigaro perennemente acceso, un liberale progressista. Ad undici anni Sophie palesa già, in certi suoi atteggiamenti, il suo modo di pensare anticonvenzionale, ed i suoi interessi, per la musica, la poesia e il disegno: è appassionata nel disegnare, dipingere, e fare lo studio dei nudi. E' una ragazza socievole, ma non dispersiva nei suoi rapporti umani, di indole riflessiva, con un rapporto istintivo e sensuale con la natura: la "Patria", per Sophie, è la Heimat, una parola che profuma di casa. Quando la Gestapo la arresta, cambia il suo modo di vedere le cose: la consapevolezza crescente del conformismo obbligato, la spinge a cercare una strada tutta sua, un percorso esistenziale autonomo e fecondo; ad indirizzarla verso il progressivo distacco dalle menzogne di stato, è Otl Aicher, un compagno di scuola del fratello Werner. Nasce poi, una tenera amicizia con Fritz Hartnagel, un ufficiale della Wehrmacht: l'interlocutore di gran parte delle lettere di Sophie, e lo specchio in cui legge le contraddizioni della guerra e della politica nazionalsocialista. La ragazza arriva, durante la sua adolescenza, ad una totale adesione alle cose della vita: la scelta, anche fonte di sofferenza, per il "qui e ora" delle emozioni e dei sentimenti. Sophie intraprende un lavoro interiore, un itinerario di formazione personale, anche nell'intreccio vitale e vibrante con le esperienze quotidiane e con gli altri. Tuttavia, col passare del tempo, viene travolta dall'inquietudine, dall'amarezza, e dall'orrore per la guerra, forse come presagio della sua fine, Cerca di evitare il servizio lavorativo obbligatorio iscrivendosi ad una scuola per maestre d'asilo, Sophie è descritta da tutti come una ragazza che coltiva i sentimenti, che cerca l'amicizia e l'amore, che non rinuncia ai progetti di una vita normalmente serena; tuttavia afferma, dimostrando una grande maturità interiore, che "le piccole sensibilità individuali finiscono per intralciare la comprensione dei problemi grandi e generali", ed arriva anche a formulare una critica implicita, ma bruciante e sistematica, ai fondamenti del nazionalsocialismo, ed a sostenere che la Germania deve perdere la guerra, perché dalla parte del torto. Nel 1941, inizia a lavorare presso un asilo nido per lattanti, ad Ulm; finchè non giunge la spiacevole notizia, che la sua speranza di evitare il servizio lavorativo obbligatorio, è infondata: si ritrova nel campo di Krauchenwies, sentendosi prigioniera, sotto l'insopportabile disciplina militaresca e arroganza delle superiori, che la rendono triste ed immusonita, come assente, con lo sguardo perso nel vuoto; la sua consolazione sono, esclusivamente, le letture. CAPITOLO VII «L'università e i maestri» Monaco, la capitale della Baviera, è la sede di studio comune, dei membri della Rosa Bianca; tuttavia, ognuno di loro, ha avuto esperienza diverse dagli altri. Hans è stato mandato sul fronte occidentale, in Francia; Graf in un'unità sanitaria di complemento ed in un reparto di trasporto infermi, e solo nel 1942 verrà aggregato alla seconda compagnia studentesca di Monaco. Monaco, in questo periodo, è il centro del potere nazista: vengono bruciati i libri proibiti, e la discriminazione, anche fra gli studenti ed i professori, si fa sempre più pesante, e la struttura accademica degli studi viene stravolta dalle teorie nazionalsocialiste. Nascono così corsi di "igiene razziale" e sulla "teoria della razza e la concezione del mondo nazionalsocialista"; l'autonomia dei senati accademici viene svuotata, e si attiva un processo di politicizzazione della cultura, che molti docenti non approvano. La maggioranza degli studenti è favorevole alla dittatura: cedendo per debolezza e per comodità. Inizia così un grande letargo: la pressione esterna è troppo forte per poter esprimere una libera opinione e per dialogare assieme; aumenta la paura, in questo clima di denunce. E' nel 1940, nella seconda compagnia sanitaria di Monaco di Baviera, che nasce il germe della futura Rosa Bianca: Alex e Hans vengono presentati. All'inizio non pensano ad alcuna agitazione: sono solo interessati a conversare di politica, arte e letteratura. In seguito, insieme scriveranno i primi quattro volantini, spinti da un disagio comune e da una sensazione di inutilità e frustrazione, dall'annichilente quotidianità della guerra, dall'insofferenza nel vedersi "chiuse tutte le porte, quando il mondo dovrebbe essere aperto". Hans organizza delle serate di lettura: "spazi di discussione, rifugi preziosi, sottratti ai doveri della cultura nazisticamente orientata e volutamente incentrati su quelle forme artistiche che il regime considerava una colpevole distrazione dall'impegno sociale e politico". Hans si trova di fronte ad una crisi spirituale: il processo di progressiva illuminazione è reso possibili dall'incontro con persone concrete. Una conoscenza decisiva per la crescita della Rosa Bianca, è il pubblicista e critico letterario Carl Muth, incuriosito da quel ragazzo idealista ed intraprendente. Persona di fede tenace, uno dei pochi liberali del cattolicesimo tedesco, che ha sempre difeso l'autonomia della riflessione filosofica e sociale, criticando, sempre in modo indiretto, l'autoritarismo ed il regime della forza. Hans ne diventa il "figlio spirituale"e, cos' facendo, gli si spalanca davanti un orizzonte nuovo, sia culturale che esistenziale. Sarà il settimanale Hochland, a riunire i membri del futuro gruppo di resistenza, durante gli incontri con Muth. La prima forma di resistenza è la capacità di astrarsi dal contenuto sociale ed ideologico generale, dagl'obblighi collettivi del conformismo, per calarsi in una comunione spirituale con i pochi che ti capiscono: una lotta senza armi. CAPITOLO VIII «La Rosa Bianca non vi darà pace» Nell'anno 1942, quando ormai il partito nazionalsocialista ha raggiunto il culmine della sua attività di propaganda, si intensificano i bombardamenti alleati sulle città tedesche e Hans, tornato dal fronte francese, dopo aver letto una copia di una predica effettuata dalla Chiesa Cattolica sulla preoccupazione riguardo alla politica del partito, inizia a pensare di fare qualcosa per fomentare nella popolazione, le prime rivolte. Già nel 1941, i fratelli Scholl, insieme ad un gruppo di amici di Ulm, avevano iniziato a preparare il Windlicht (Lanterna), una sorta di raccolte di poesie, saggi, osservazioni e disegni da distribuire, in modo da mantenere i contatti con gli amici lontani. Ciò nonostante, Hans e gli amici Alex e Christl, dopo il terzo anno di guerra, sentono crescere in loro un forte senso di disagio, un'inquietudine, «un bisogno quasi nervoso di fare qualcosa». Non ci sono date precise sull'inizio dell'attività della Rosa Bianca: sicuramente, però, tutto fu possibile solo grazie all'incontro con l'architetto Manfred Eickemeyer, che mise a disposizione dei ragazzi, il suo atelier e alla benestante famiglia Schmorell, che concesse loro il denaro per la carta, i francobolli, ecc.. Il primo volantino fu distribuito solo a Monaco, ad indirizzi presi a caso dall'elenco, tra le personalità di rilievo, come dottori e professori o ad alberghi e locali pubblici, per un totale non superiore alle 100 copie. Il contenuto cercava di ridestare gli animi dei tedeschi dall'oppressione del nazionalsocialismo e di spingerli a ribellarsi facendo ricorso alle proprie forze e alla propria dignità; inoltre, in fondo, c'era l'invito a ciclostilarne e diffonderne quante più copie possibile. Anche nel secondo volantino, spedito in seguito, viene sottolineata la necessità di combattere il regime, che si era imposto, cancellando la dignità personale del popolo tedesco e sterminando tantissimi uomini e donne ebrei innocenti. Inoltre, viene sottolineata la corresponsabilità di ognuno alle colpe di cui si è macchiato il regime, dal momento che, rimanendo impassibile, ha contribuito all'affermazione della politica del partito. Il terzo volantino, comparso subito dopo il primo, riporta il tema della resistenza passiva attraverso il sabotaggio dell'industria bellica e di tutte le manifestazioni del partito, oltre che a quello delle pubblicazioni dei giornali che diffondono l'ideologia nazionalsocialista, che porta solo al degrado della nazione. L'incipit di questo volantino ricorda che ogni individuo ha diritto di pretendere un governo efficiente che agisca per il bene dello Stato, e quindi, per quello dei suoi cittadini, mentre la conclusione, invita a convincere se stessi e gli altri dell'inutilità di continuare la guerra, che conduce solo alla distruzione della popolazione. Il quarto e il quinto volantino non sono più firmati dal movimento della Rosa Bianca, ma prendono il nome di "Volantini del movimento di resistenza in Germania"; nel primo dei due è predominante la denuncia del dittatore Hitler, che viene accusato di dire solo menzogne e viene paragonato al Maligno. Ognuno dei volantini stampati dai giovani della Rosa Bianca è accompagnato da citazioni filosofiche e letterarie, a dimostrazione della loro elevata cultura. Nel capitolo, inoltre, lo scrittore indaga sull'origine dell'epiteto "Rosa Bianca" valutando le ipotesi apportate dai vari studiosi e letterati nel corso dei decenni. CAPITOLO IX «Sul fronte russo» All'inizio del capitolo, viene descritto l'ingresso nel gruppo da parte di Sophie Scholl, che segue l'impronta del fratello Hans, sentendo l'esigenza di «realizzare, attraverso un agire concreto, ciò che finora è in lei come pensiero». Del movimento entra a far parte anche Willi Graf, che nel 1941 si trova a combattere sul fronte russo e ad affrontare la desolazione che la guerra lascia nel proprio cammino. Il ragazzo si trova inerme di fronte alla brutalità della morte e dentro di lui nascono « interrogativi che vanno ben al di là delle circostanze storiche in cui si trova a vivere». Tornato in Germania, Will è dominato dal senso di inquietudine che lo stimola a trovare «il senso religioso del disagio esistenziale»; questo non può che farlo incontrare con gli altri giovani della Rosa Bianca, che nel frattempo, sono impegnati nella redazione dei primi volantini e nelle riunioni segrete, organizzate per discutere su temi filosofici, sportivi e letterari, che erano proibiti. I ragazzi sono condizionati anche dal professor Huber, che spinge verso un impegno sempre più attivo e deciso, basato sulla resistenza passiva e valuta la possibilità di organizzare attentati al regime. Il 23 luglio i tre amici Hans, Willi e Hubert Furtwangler partono per il fronte russo: l'esperienza sarà durissima, anche se i tre avranno modo di rafforzare la loro amicizia. La Russia segna in Hans un forte cambiamento spirituale e un avvicinamento alla religione, dovuto allo stretto contatto con il dolore, che lo porta a rivolgersi numerosi interrogativi sulla natura del male. CAPITOLO X «L'ultimo volantino: la sfida» Dopo l'esperienza russa i ragazzi si rendono ancor più conto che quella guerra era ingiusta e che in Russia non c'erano nemici da eliminare, ma solo altri giovani come loro e che ciò che, in realtà, si doveva combattere era la Germania, corrotta dal militarismo nazionalsocialista. Al ritorno, gli "amici di Monaco" decidono subito di riallacciare i loro contatti e di diffondere un ulteriore volantino, coinvolgendo anche il professor Huber, cattolico conservatore, che aveva una forte ostilità nei confronti del regime e che si mette a disposizione dei ragazzi nonostante la sua posizione molto critica, dal momento che rischiava di perdere il lavoro, unica fonte di sostentamento della propria famiglia. L'attività della Rosa Bianca si intensifica, grazie anche all'aiuto del commercialista Grimminger, amico del padre di Scholl, che offre forti somme di denaro; Hans, Schmorell e Graf presentano due nuove bozze di volantino, delle quali solo quella di Hans viene approvata dal professor Huber. Rispetto ai precedenti volantini il quinto è più di carattere politico, affermando che la guerra volge al termine e che Hitler sta portando il popolo tedesco alla rovina; viene rinnovato l'invito a staccarsi dal partito nazionalsocialista e vengono proposti il federalismo e un ragionevole socialismo, come le due uniche alternative al militarismo hitleriano. A differenza delle volte precedenti, il volantino viene ciclostilato in larga scala e diffuso non solo a Monaco, ma anche nelle città vicine grazie ai ragazzi che fungono da corrieri, evitando i controlli ormai serrati della Gestapo. I volantini creano inquietudine e scalpore tra le più alte posizioni dello Stato e del partito: vengono ingaggiati dal governo numerosi esperti per definire le personalità dei loro autori e facilitare le indagini. Il professor Huber si lascia convincere da Hans a scrivere lui stesso il nuovo volantino che viene intitolato "Colleghe! Colleghi" e invita ancora una volta il popolo tedesco ad aspirare alla Libertà e a ribellarsi dall'oppressione del regime che tende a rendere uniformi i cittadini, per meglio controllarli ed educarli a diventare assidui seguaci del Führer. Hans propone di distribuire i volantini nei corridoi dell'università durante le ore di lezione, ma mentre i fratelli Scholl stavano consegnando gli ultimi, vengono scoperti dal bidello. CAPITOLO XI «Condannati alla ghigliottina» La mattina del 22 febbraio 1943 Hans Scholl, la sorella Sophie e l'amico Christoph Probst sono davanti al banco degli imputati del tribunale speciale; il processo è presieduto da Roland Freisler, assiduo e fedele seguace del Führer. I giovani sono accusati di antipatriottico favoreggiamento del nemico, preparazione di alto tradimento, demoralizzazione delle forze armate. Christoph era stato incastrato dalla bozza di quello che avrebbe dovuto essere il settimo volantino, che conteneva, tra l'atro, argomenti di politica estera. I ragazzi vengono interrogati, ma non rivelano nulla degli altri componenti della Rosa Bianca; viene loro data la possibilità di avere un avvocato d'ufficio, che però, non li favorisce. Sia i fratelli Scholl che Christoph tengono un comportamento esemplare, andando incontro al loro destino con sguardo fiero e sostenendo fino all'ultimo le loro convinzioni e la loro opposizione al regime. Il verdetto è inequivocabile: i tre sono condannati alla pena di morte; nella motivazione della sentenza vengono riprese le origini della Rosa Bianca e viene sottolineata la necessità di una pena così esemplare, per evitare successive insurrezioni. I tre vengono trasferiti nel carcere di Stadelheim, dove i fratelli riescono a vedere, almeno per qualche minuto, i genitori; l'esecuzione è fissata per il pomeriggio. La compagna di stanza assegnata a Sophie Scholl sottolineerà come la ragazza non abbia mai avuto segni di cedimento, tranne una leggera commozione motivata dall'incontro con i genitori, e abbia evidenziato che la sua morte era nulla in confronto alle migliaia di uccisioni che ogni giorno avvenivano sul campo di battaglia. Di Hans, invece, viene ricordata la sua fermezza e il suo grido prima di entrare nella stanza della ghigliottina:"Viva la Libertà". CAPITOLO XII «La giustizia dei nazisti» L'unico gesto di solidarietà compiuto dagli studenti universitari di Monaco dopo la morte dei fratelli Scholl, è una scritta anonima su un muro "Lo spirito vive"; poi più nulla. Le aspettative dei giovani della Rosa Bianca che credevano di aver destituito i compagni dal regime di terrore nazionalsocialista, erano state deluse. Nel frattempo, mentre la Gestapo, che aveva individuato i responsabili dei volantini, aveva intensificato le ricerche, dopo 8 giorni dalle prime catture il professor Huber viene arrestato. Alex Schmorell cerca la fuga con l'aiuto di alcuni amici, ma verrà riconosciuto e anch'egli arrestato. Il mattino del 19 aprile tutti i rimanenti rappresentanti e collaboratori della Rosa Bianca, si trovano in tribunale di fronte allo stesso Freisler che aveva condannato i fratelli Scholl; Huber ottiene la possibilità di leggere la difesa che si era preparato durante la permanenza in carcere: con parole di grande nobiltà morale esprime le motivazioni che lo hanno portato a partecipare al movimento della Rosa Bianca spiegando che «la resistenza non voleva sovvertire un ordinamento politico e giuridico, quanto restituire alla parola "diritto" e alla parola "politica" i loro significati autentici» e che il diritto fondamentale di una vera comunità nazionale è basato sulla fiducia reciproca; inoltre evidenzia il concetto cruciale che il nazismo aveva cercato di sopprimere nel più profondo delle coscienze: il concetto della responsabilità individuale. La sentenza è identica a quella di alcuni mesi prima: gli imputati vengono condannati a morte. CAPITOLO XIII «Nella cella della morte» Nell'attesa dell'esecuzione, il professor Huber scrive un proprio libro e chiede, a pochi giorni dalla condanna, di avere la possibilità di finirlo, ma la sua richiesta viene negata. Il 13 luglio viene giustiziato, lasciando sola la moglie e i figli ancora piccoli. Nelle lettere che Alex Schmorell scrive alla famiglia durante la permanenza in carcere, emerge un ragazzo molto pacato e più vicino a Dio di quanto lo fosse stato durante il resto della sua vita. Tra i componenti della Rosa Bianca nel carcere di Stadelheim, c'era anche Annaliese, sorella di Willi Graf, che riesce a tenere una corrispondenza col fratello, tramite alcuni bigliettini, scambiati con la collaborazione di una guardia. Da questa corrispondenza e da quella tra Graf e le famiglia, emerge la preoccupazione di Willi per la sorte dei famigliari e del nipotino appena nato Joachim, che lui vede come una sorta di sua incarnazione. Willi è l'ultimo dei ragazzi della Rosa Bianca ad essere giustiziato: un mese e mezzo dopo l'uccisione di Huber e Schmorell(28 agosto1943), infatti, è ancora in carcere, dove si avvicina moltissimo alla religione e continua a sostenere con fermezza l'importanza, ma non l'eroicità del gesto compiuto dai ragazzi del movimento. CAPITOLO XIV «I continuatori» In questo capitolo viene descritto il cosiddetto "ramo nordico" della Rosa Bianca, anche se questo movimento, diretto da Hans Leipelt, è antecedente a quello dei ragazzi di Monaco. Il primo gruppo, nato già nel 1936, è di carattere più umanistico: infatti, i giovani si riuniscono in serate letterarie per affrontare discussioni filosofiche, ma senza un piano politico definito. Uno dei ragazzi, Traute Lafrenz, porta agli amici, nell'autunno del 1942, una copia del terzo volantino, ma questo non li spinge ad intraprendere azioni simili a quelle dei ragazzi di Monaco. Hans Leipelt, di madre ebrea, vive una vita difficile, dilaniata da numerose disgrazie familiari, culminate con la morte del padre, ma questo non gli impedisce di incontrarsi con gli amici in riunioni segrete e bandite dal regime, e quando viene a conoscenza della Rosa Bianca, segue l'azione dei giovani dell'università di Monaco. Dopo la morte del professor Huber, Hans propone una colletta per la moglie rimasta vedova e con a carico due figli, ma viene arrestato dalla Gestapo l'8 ottobre 1943, deportato nello stesso carcere dove ancora si trova Willi Graf e condannato a morte il 13 ottobre 1944, con l'accusa di ascolto di emittenti straniere, favoreggiamento del nemico, demoralizzazione delle forze armate e alto tradimento. Il compagno di cella di Hans, Heinrich Hamm, ricorda che il giovane era sempre pieno di speranza e non perdeva mai il coraggio e dalle lettere alla sorella Maria, emerge lo stretto legame di Hans con Dio e la sua fiducia in Lui. Un altro componente di rilievo è Harald Dohrn, cresciuto in un ambiente ricco di stimoli culturali e avvicinatosi progressivamente al cristianesimo, dopo aver stretto importanti amicizie con famosi uomini di cultura dell'epoca, stava organizzando una collaborazione alle azioni di liberazione, nell'attesa dell'imminente arrivo degli alleati, quando viene ucciso, non lontano dal cimitero dove era sepolto Christoph. Una delle prime testimonianze del lavoro compiuto dai ragazzi della Rosa Bianca, è riportata da Inge Scholl, sorella di Hans e Sophie, nel suo libro "La Rosa Bianca"; la stessa Inge contribuirà nel 1955 alla costruzione di una sorta di università popolare per la formazione dei giovani in campi teorico-pratici e sarà impegnata nel movimento antimilitarista. Un forte contributo alla Rosa Bianca, lo dà anche Helmut James von Moltke, uno dei membri del circolo di Kreisau, che era riuscito a far arrivare una copia del sesto volantino in Inghilterra, dove viene riprodotto in larga scala e distribuito in gran parte delle città tedesche grazie alla Royal Air Force; l'unica nota negativa è che nel volantino non viene nominata la Rosa Bianca. Infine l'autore Ghezzi sottolinea il fatto che i giovani della Rosa Bianca non erano riusciti a scuotere l'opinione pubblica, ma avevano avuto l'immenso coraggio di uscire dal coro e di esprimere il loro pensiero. CAPITOLO XV «Le interpretazioni» In questo capitolo, Ghezzi affronta la questioni delle varie interpretazioni che gli studiosi hanno dato della Rosa Bianca nel corso dei decenni, valutando i pro e i contro di ognuna di esse: 1. Idealismo borghese Molti studiosi ritengono che il movimento della Rosa Bianca sia stato fallimentare, sia perché ha coinvolto un numero ristretto di persone, per giovanile inesperienza e disorganizzazione. A favore di questa tesi, c'è ad esempio, il giovane scrittore Christian Petry, che dopo aver analizzato attentamente i documenti, sostiene che i giovani siano stati fortemente influenzati dalle condizioni sociali in cui hanno vissuto e «hanno intrapreso un'attività clandestina senza porsi i problemi politici e organizzativi conseguenti, e sono andati incontro al fallimento in quanto, avendo perso il senso della realtà, hanno preferito un gesto simbolico di ribellione». Inoltre, Petry aggiunge che anche di fronte alla morte i fratelli Scholl avrebbero scelto «un gesto non politico, tipico borghese, anziché compiere lo sforzo dell'analisi». L'autore Ghezzi confuta la tesi del giovane scrittore, sostenendo che l'obiettivo dei giovani della Rosa Bianca di abbattere il regime nazionalsocialista, non era certamente apolitico, anzi, la loro resistenza, «cercava di riconciliare la morale e la politica». 2. Antifascismo studentesco A differenza della visione borghese dei federalisti, i democratici, tra cui troviamo lo scrittore Drobisch, sostengono che i giovani della Rosa Bianca siano stati gli "antesignani della nuova generazione di giovani antifascisti"; inoltre, sempre secondo Drobisch, il messaggio della Rosa Bianca nella Germania Federale era "soffocato e falsificato". Ghezzi invece, sostiene che il gruppo non ha mai cercato di marcare in senso studentesco la rivolta; inoltre i giovani hanno sempre cercato di diffondere i loro messaggi anche agli adulti, come a professori o a personalità di rilievo. Per quanto riguarda la questione antifascista, l'autore sostiene che la loro era un'opposizione al fascismo molto più materiale che ideologica: infatti essi erano interessati soprattutto a far sì che tutti i tedeschi cambiassero idea sul regime e si ribellassero ad esso. 3. Pacifismo democratico Dalla testimonianza di Inge Scholl, dall'invito ai sabotaggi del terzo volantino e dal rifiuto di Sophie di contribuire alle collette per i soldati al fronte, molti, tra cui Inge Scholl e il regista Michael Verhoeven, hanno pensato che i ragazzi fossero dei pacifisti ante litteram. Ghezzi fa notare, invece, come sia difficile dedurre la posizione dei ragazzi in questo senso, dai documenti della Rosa Bianca; si può affermare, però, che i volantini non sono manifesti pacifisti, in quanto auspicano che la Germania perda la guerra solo perché é l'unico modo per far cadere la dittatura: essi infatti, non ripudiano la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Possiamo meglio dire, invece, che questi sono giovani "non violenti", dal momento che i loro mezzi di sovversione sono la persuasione, il sabotaggio, l'appello alle coscienze. I ragazzi non possono nemmeno essere definiti democratici, in quanto non propongono un'unica forma di governo alternativa al regime nazionalsocialista: nel terzo volantino, infatti, essi sostengono solo che non vogliono esprimere giudizi sulle varie forme di governo, mentre nel quinto condannano l'imperialismo prussiano, schierandosi dalla parte del federalismo. 4. Testimonianza cristiana Della questione cristiana si occupa il professor Romano Guardini, docente di visione cristiana del mondo: egli sostiene che la grandezza di un'impresa, non si conta in numeri ma consiste in una nobiltà interiore, nel coraggio, nella grandezza d'animo, nella forza di cominciare e nella prontezza di mettersi a disposizione di ciò che ancora non esiste. Sulla base di questo, Guardini riconosce l'influenza del mondo dell'università, "obbligato solo alla verità", sui giovani della Rosa Bianca e che l'azione di questi ragazzi, sotto questo punto di vista, è «assurta a simbolo della nobiltà umana». I ragazzi, aggiunge Guardini, sono stati certamente influenzati anche dalla religione, molto presente nella vita di ognuno di essi: infatti, hanno rivissuto, col sacrificio, la vita di Cristo; hanno realizzato, sostiene Michael Probst, una sintesi tra il concetto stoico e quello cristiano di libertà, volendo convertire i tedeschi all'idea di un'Europa cristiana. Bisogna però sottolineare, sostiene Ghezzi, che i ragazzi non erano impazienti di morire per imitare il sacrificio di Cristo: erano pronti a sacrificarsi per il loro ideale, contrario a quello del regime; quindi nemmeno la religione ha influito totalmente l'azione dei giovani della Rosa Bianca. 5. L'etica della responsabilità Quello che contraddistingue i giovani della Rosa Bianca dal resto dei tedeschi è certamente il loro spiccato senso etico, che per gli altri era offuscato dalla politica martellante del regime: questo emerge molto chiaramente dai volantini, dal momento che i ragazzi sostengono la corresponsabilità di ognuno all'affermazione e allo sviluppo del partito. Ed è proprio questo senso di colpa, insieme al rifiuto di rimanere oppressi da un sistema iniquo, che li spinge all'azione. Per questo, la tesi dell'etica della responsabilità è, tra le altre, la più accettabile, anche se non del tutto completa. CAPITOLO XVI «Un cimitero nella foresta di Perlach» Il libro si conclude con la descrizione del cimitero dove quasi tutti i rappresentanti della Rosa Bianca(Willi Graf riposa nel cimitero del suo paese vicino ai genitori) sono sepolti: una lapide all'ingresso segnala il luogo della sepoltura e i loro nomi; vicino a loro, si trovano i cadaveri di altre 90 persone ghigliottinate nello stesso carcere e i 4029 corpi senza nome di vittime dei campi di concentramento o dell'eutanasia di Stato. Ghezzi infine riporta la citazione di Guardini che sottolinea che il coraggio e la generosità di quei ragazzi non è bastato a vincere il potere senza scrupoli del regime nazionalsocialista e ricorda che gli spiriti di quei ragazzi vivono ancora, così come era stato scritto sui muri dell'università di Monaco, subito dopo la loro morte.