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La cenere cadde a 1300 km di distanza facendo piombare nell’oscurità la regione del Tambora
per due giorni. Un’onda di maremoto provocata dal vulcano, probabilmente per effetto dei
flussi piroclastici raggiunsero il mare, viaggiò per oltre 1200 km. Il mare di Giava fu ricoperto
tutt’intorno da uno strato di pomice alto 60 centimetri, tanto da interferire con la navigazione.
Il vulcano espulse così tanto materiale da collassare, formando una classica caldera dal
diametro di oltre 6 km e profondità di quasi 800 metri.
L’eruzione del Tambora fu la più grave della storia per quanto riguarda il numero delle
vittime, valutate fra le 92.000 e le 117.000.
Inoltre il Tambora espulse nell’atmosfera circa 200 milioni di tonnellate di aerosol
vulcanico, che fu in parte responsabile di alcune annate particolarmente rigide in molte
zone del globo. Nei primi anni, l’enorme infusione di gas e cenere nell’atmosfera e nella
stratosfera creò dei tramonti straordinari, dal momento che i raggi solari venivano filtrati
attraverso la nebbia vulcanica.
Ma gli effetti del Tambora si avvertirono ancor più l’anno successivo, che negli Stati Uniti
è diventato proverbiale col nome di “anno senza estate”.