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I colori nella storia

dell’Uomo
• la preistoria
• gli Egizi
• il mondo greco-romano
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• il Sudamerica
• il Medioevo
• il Rinascimento
• l’era moderna
• l’era contemporanea
L’arte pittorica in Oriente

Le culture millenarie dell’Asia hanno una lunga


tradizione nel campo dell’arte pittorica, ed è
impossibile cercare di riassumere in poche righe un
percorso che si sviluppa in alcune migliaia di anni
In gran parte i materiali pittorici usati presso le
culture orientali riflettono quelli impiegati in
Occidente. Ci limiteremo a segnalare le novità rispetto
alla tavolozza in uso nell’area mediterranea, con
particolare riferimento all’arte cinese, indiana, islamica
e persiana
Arte cinese
La Cina rappresenta una delle civiltà più antiche tra quelle presenti in maniera
continuativa. La civiltà cinese risale infatti ad almeno 7000 anni fa. Si può parlare
di Cina antica per il periodo 5000 a.C. - 220 d.C., negli ultimi secoli del quale essa si
sviluppa da una serie di insediamenti neolitici al formidabile impero governato dalla
dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.)
La pittura cinese ha una lunga storia, insieme all’arte della calligrafia. I primi
dipinti erano spesso eseguiti su materiali non convenzionali come seta, oggetti
bronzei e ceramica, per la cui produzione l’arte cinese è peraltro più nota.
L’invenzione della carta durante la dinastia Han provoca poi un grande sviluppo
dell’arte pittorica propriamente detta

La calligrafia in particolare è sempre stata


una vera passione per i Cinesi, testimoniata
da numerosi trattati sull’argomento e sulla
produzione di inchiostri. Il cosiddetto
inchiostro Cinese, costituito da colla e
nerofumo, è stato per secoli la principale
materia prima per la scrittura in molte parti
del mondo, fino all’avvento dell’inchiostro
metallo-gallato nell’Alto Medioevo
L’esercito di terracotta
Al periodo imperiale risale una delle più opere più notevoli della storia
dell’archeologia: l’Esercito di terracotta di Xi’an, probabilmente il più grande
ritrovamento archeologico degli ultimi 50 anni
Nel 1974 fu scoperta un'area archeologica di vaste dimensioni nella provincia di
Xi'an, all'interno della quale era conservato il mausoleo del primo imperatore
cinese Qin Shihuangdi, risalente al III secolo a.C. e costituito, tra le altre cose, da
un insieme di figure in terracotta che rappresentano guerrieri dell'epoca, cavalli e
carri da guerra: un esercito, appunto. Attualmente, sono stati recuperati circa
1500 guerrieri e da 7000 a 8000 statue di animali
La policromia delle statue
Al di là dell’interesse puramente storico, i guerrieri di terracotta sono interessanti
dal punto di vista dell’arte pittorica, in quanto risultano decorati con una policromia
a più strati, la cui base è una lacca orientale nota come Qi-lacquer, ottenuta dalla
pianta Toxicodendron vernicifluum o albero della lacca. Il principio attivo di questa
lacca è il composto urushiolo (sotto), attraverso la cui polimerizzazione la lacca
indurisce all'aria e forma uno strato liscio, che si mantiene intatto in condizioni di
umidità elevata (75-85%)

HO OH

Sfortunatamente, subito dopo lo scavo la policromia


ha subito un degrado notevole sia sullo strato di
lacca, sia sugli strati pigmentati, a causa del brusco
calo di umidità nell’ambiente circostante
Per arrestare il processo di degradazione è stato
necessario consolidare la lacca infiltrando sostanze
polimeriche nella sua struttura porosa
Sulla lacca sono stati Colore Pigmento Formula
individuate tracce più o
bianco bianco d'ossa Ca5(PO4)3OH
meno estese dei pigmenti
riportati in tabella bianco piombo 2PbCO3·Pb(OH)2
Degna di nota è senza
caolinite Al2O3·SiO2·2H2O
dubbio la presenza dei
pigmenti blu Cinese e cerussite PbCO3
porpora Cinese, di
struttura chimica non blu azzurrite 2CuCO3·Cu(OH)2
dissimile da quella del blu Cinese BaCuSi4O10
celebre blu Egiziano
rosso cinabro HgS
ematite Fe2O3
massicot PbO
ocra rossa Fe2O3·xH2O
rosso piombo Pb3O4
giallo ocra gialla Fe2O3·xH2O
orpimento As2S3
porpora porpora Cinese BaCuSi2O6
verde malachite CuCO3·Cu(OH)2
nero inchiostro Cinese carbone
Blu Cinese e porpora Cinese
Nella policromia dei guerrieri di terracotta sono stati identificati due pigmenti
decisamente interessanti per la similarità con il ben noto blu Egiziano. Si tratta
infatti di due pigmenti sintetici: il blu Cinese o Han blue, avente formula
BaCuSi4O10, e il porpora Cinese o Han purple, avente formula BaCuSi2O6. Questi
pigmenti sono stati rinvenuti anche in altri scavi sotto forma di stick ottagonali,
probabilmente pronti per l’uso, e in alcuni vetri colorati

L’origine dei due pigmenti è datata al più tardi all’VIII secolo a.C. e si ritiene che
l’impiego più diffuso sia stato sotto le dinastie Q’in e Han (221 a.C. - 220 d.C.); l’uso
in periodi successivi non è accertato
La formula dei due
pigmenti si differenzia da
quella del blu Egiziano
(CaCuSi4O10) soltanto per
la presenza del bario al
posto del calcio. In
particolare il blu Cinese,
oltre ad essere molto simile macroscopicamente al blu Egiziano, ha
anche la stessa stechiometria Cu-Si e la stessa struttura a livello
microscopico. Nella struttura cristallina dei due pigmenti, gli ioni
Cu2+ (sfere blu nella figura sopra) si trovano in ambienti
elettronici virtualmente identici e quindi, essendo questi ioni i
cromofori responsabili del colore blu, i due pigmenti hanno
proprietà cromatiche molto simili. La differenza di tono può
essere dovuta alla
granulometria, solitamente
inferiore per il blu Cinese
(al centro), maggiore per il
blu Egiziano (sx)
Per quanto riguarda il porpora Cinese, si tratta di un
pigmento chimicamente meno stabile del blu Cinese e
ciò si riflette nella genesi del suo colore, che sarebbe
blu scuro se prodotto ad elevata purezza (cosa
difficile impiegando metodi antichi); tuttavia, a
temperatura superiore a 1050°C probabilmente si
genera Cu2O rosso, che impartisce la nota porpora.
Questa ipotesi è supportata dal fatto che
addizionando quantità crescenti di Cu 2O al pigmento
puro (dx) si può cogliere il viraggio dal blu iniziale al
porpora. La reazione coinvolta può essere la seguente:

3BaCuSi2O6  BaCuSi4O10 + 2BaSiO3 + 2Cu2O + ½O2

La temperatura necessaria alla reazione era


ampiamente raggiungibile in antichità dai Cinesi.
L’ipotesi è quindi plausibile. Da notare che, essendo
Cu2O stabile, il fenomeno di viraggio al porpora
progredisce lentamente nel tempo, ovvero il colore
attuale dei reperti è più porpora dell’originale
Il porpora Cinese è inoltre sensibile all'azione di acidi
inorganici e di acido ossalico, sostanza secreta da
alcuni microorganismi
Struttura tridimensionale
del porpora Cinese
BaCuSi2O6

Nella figura a sx è mostrata una


sezione verticale di un campione
prelevato dai Guerrieri di
terracotta di Xian: sono evidenti
i cristalli di porpora cinese
dispersi in mezzo al cinabro; al di
sotto si notano lo strato di lacca
e la terracotta
Origine dei pigmenti cinesi
Sulla natura sintetica del blu e del porpora cinese non ci sono dubbi. Ma c'è di più:
considerazioni tecniche sulla sintesi dei pigmenti cinesi e sul confronto tra questa
e quella del blu egiziano fanno ritenere più che probabile, piuttosto che uno
sviluppo tecnologico indipendente, un trasferimento di conoscenza dall’Egitto che
potrebbe essere stato indirizzato lungo la Strada della Seta, già trafficata,
secondo gli storici, almeno 500 anni prima dell'introduzione del blu Cinese e lungo
la quale ha viaggiato, in direzione opposta, la tecnologia della carta e della seta
Il grosso problema storico dei due pigmenti cinesi, attualmente ancora irrisolto, è
la scelta del bario come materia prima e la sua origine. Il carbonato di bario o
witherite (BaCO3) ha fornito risultati plausibili nella ricostruzione odierna della
sintesi, ma si tratta di un pigmento raro in Cina. Risultati inferiori si otterrebbero
con la barite (BaSO4) che ha punto di fusione molto alto, 1560°C. Si può ipotizzare
che i chimici Cinesi avessero usato uno stratagemma, addizionando sali di piombo
che catalizzano la decomposizione in situ del solfato di bario:

PbO + BaSO4 BaO + PbSO 4

Questa ipotesi è supportata dalla presenza sistematica di piombo nei campioni di


blu e porpora cinesi
Oro mosaico
Il pigmento aurum musivum o oro mosaico o porporina, era molto popolare presso gli
alchimisti in quanto i suoi cristalli gialli ricordavano l’oro. Il pigmento è citato nel
De Arte Illuminandi, un manoscritto del XIV secolo sulla miniatura, ma testi
alchimisti cinesi ne parlano già mille anni prima, rendendone probabile l’invenzione
in Asia. Benchè popolare in epoca medievale e rinascimentale, l’oro mosaico, a
differenza di altri pigmenti gialli, è raramente citato in testi più recenti rivolti alla
descrizione di materiali pittorici antichi, quasi si trattasse di un pigmento
dimenticato
Si tratta di un pigmento sintetico a base di solfuro di stagno (SnS 2) preparato da
amalgama di stagno, zolfo e cloruro di ammonio a formare lamelle gialle con
splendore metallico quasi aureo. Il suo impiego è dovuto alla necessità di imitare
l’oro per gli sfondi o per le scritture, con un prodotto di minor costo; è però un
prodotto di scarsa stabilità, tanto che il Cennini dice "guar'ti come dal fuoco
d'adoperarlo"
Il sinonimo porporina o purpurina con cui è anche noto (anche il Cennini lo cita in
questo modo) è abbastanza inspiegabile, in quanto il pigmento non ha nulla a che
fare con il colore porpora
In analogia all’oro mosaico esiste anche un argento mosaico, meno noto, formato da
un’amalgama stagno/bismuto/mercurio, citato soprattutto da testi di area tedesca
a partire dal XVI secolo
Lapislazzuli e blu oltremare
Il colore blu intenso del lapislazzuli è utilizzato e apprezzato da
almeno 6000 anni. Per cominciare è necessario chiarire bene la
terminologia: il pigmento andrebbe chiamato oltremare o blu
oltremare, mentre lapislazzuli è la roccia da cui si ottiene il
pigmento, a sua volta composta prevalentemente dal minerale
lazurite
Il nome deriva dal latino medievale
lapis lazuli, ovvero pietra azzurra.
Il termine lazulum discende dal
persiano lazward, cioè azzurro,
passando per l'arabo lazaward e
per il basso greco lazourion
La composizione della roccia è complessa, in
quanto miscela isomorfa di due minerali del
gruppo della sodalite:
• la lazurite (Na3Ca(Al3Si3O12)S) per il 25-40
%
• la hauynite (Na4Ca2Al6Si6O22S2(SO4)Cl0.5)

Struttura a
gabbia della
sodalite (dx)

Inoltre sono spesso presenti calcite


e pirite che dà le tipiche venature
dorate
Nell’immagine 10x al
microscopio si possono notare
le particelle delle varie fasi
minerali nel lapislazzuli,
alcune delle quali di colore
ben diverso dal blu. Le
particelle di lazurite hanno
forma irregolare
Per questi motivi il pigmento
che si ottiene dal lapislazzuli
può avere aspetto e colore più
o meno vivo a seconda del
grado di raffinazione della
roccia, passando dal blu
profondo al verde oltremare
al violetto
1.40

1.35

1.30

1.25

1.20

1.15
Log Inverse Reflectance

1.10

1.05

1.00

0.95

0.90

0.85

0.80

0.75

0.70

300 350 400 450 500 550 600 650 700 750
Wavelength (nm)

Il colore blu deriva dall’assorbimento per trasferimento di carica tra i


gruppi cromofori S2- ed S3- inseriti nella gabbia di sodalite: S3-, il
cromoforo principale, assorbe nella regione dal verde all’arancione e
riflette il blu mentre S2- assorbe nel violetto ed ultravioletto e riflette il
giallo. Nella figura: spettro di assorbimento in unità Log(1/R)
Le sorgenti
Il nome di azzurrum ultramarinum o blu oltremare deriva dal fatto che il materiale
proveniva principalmente dalle miniere del Firgamu, nella provincia di Badakshan
(odierno Afghanistan settentrionale), sfruttate almeno dall’epoca dei faraoni
Egiziani. Le miniere, pur collocate in una regione quasi inaccessibile in prossimità
delle fonti del fiume Oxus, l'attuale Amu Darya, rifornivano di lapislazzuli le civiltà
della Mesopotamia e poi tutta l’area mediterranea. Ancora nel 1271 le miniere
furono visitate da Marco
Polo, il quale dichiarò che
la roccia era usata per
l’estrazione di un
pigmento blu
Al giorno d’oggi le
miniere del Firgamu sono
quasi esaurite; peraltro
la richiesta del mercato
è minima, soddisfatta da
altre fonti (es. Cile,
Siberia) e limitata all’uso
come pietra ornamentale
semipreziosa
Usi del lapislazzuli
Ben prima di essere
sfruttato come
pigmento, il lapislazzuli
era usato a scopo
decorativo come pietra
semipreziosa per piccoli
gioielli

I Romani credevano che il lapislazzuli avesse


poteri afrodisiaci, e nel Medioevo gli si
attribuiva proprietà medicinali: era macinato,
miscelato con latte e applicato come
medicazione per foruncoli e ulcere
Nelle tombe reali dei Sumeri a Ur sono stato trovati più di 6000 oggetti
in lapislazzuli rappresentanti animali, oltre che piatti, coppe e sigilli

Tracce di lapislazzuli sono state identificate sul manufatto ligneo


conservato presso il British Museum e noto come Standard di Ur,
rinvenuto nel cimitero reale dell’omonimo sito nell’Iraq meridionale e
risalente al 2600-2400 a.C.; si tratta di una cassa in legno decorata su
due lati, uno con scene di pace e uno con scene di guerra. Il significato del
manufatto è tuttora incerto
Il blu oltremare
Il blu oltremare ha attraversato tutta la storia dell’arte fino al
XIX secolo, per essere poi sostituito a partire dal 1828 dalla sua
versione sintetica, il blu oltremare artificiale. Si tratta di un
pigmento molto pregiato, dal momento che il minerale da cui si
produce è sempre stato considerato pietra semipreziosa
Il suo impiego in opere
pittoriche è indice di alto
tenore di vita da parte
dell’utilizzatore o del
committente, e il suo
utilizzo era contabilizzato
a parte nel contratto
firmato dal pittore
Nell’immagine a dx: pittura
murale dall’abbazia di
Novalesa (XII secolo)
Quando Michelangelo ricevette da Papa Giulio II l’incarico di decorare la
volta della Cappella Sistina con le scene della Genesi, stipulò un contratto
non particolarmente vantaggioso: un tanto a metro quadro e i colori
doveva metterli lui

Michelangelo completò
la complessa opera in 3
anni, impiegando il blu
oltremare solo per il
colletto di Ezechiele,
mentre per tutto il
resto usò azzurrite, a
quel tempo 400 volte più
a buon mercato del
lapislazzuli
In seguito il Papa Paolo III
commissionò a Michelangelo
un'ulteriore aggiunta alla
decorazione della Cappella.
Michelangelo stipulò perciò
un secondo contratto per
decorare la parete dietro
all'altare con il Giudizio
universale. Il contratto
prevedeva 1200 ducati
all’anno e in più i colori li
metteva il Papa: questo
forse spiega come mai
l'artista impiegò 6 anni per
il Giudizio (dal 1536 al
1541), che è più piccolo e
comodo da dipingere
rispetto alla volta, e
soprattutto perchè tutto il
cielo del Giudizio sia stato
realizzato con blu
oltremare (e non con
azzurrite)
Nel tardo Medioevo il prezioso
pigmento era riservato al manto
della Vergine e di Cristo

Nella miniatura a dx,


l’aureola di Cristo è in blu
oltremare (degradato)
mentre le aureole degli
Apostoli sono in indaco
Il suo impiego da parte delle civiltà mediterranee sembra raro in
epoca antica, cosa giustificata dal fatto che esse disponevano del
blu egiziano. Ci sono comunque alcune evidenze diagnostiche su
pitture murali rinvenute a Pompei. Le prime evidenze sistematiche
dell’uso di lapislazzuli come pigmento si hanno però nell’Asia
Centrale: in pitture murali nel Turkestan Cinese (V-VIII secolo
d.C.) e in templi dell’Afghanistan (VI-VII secolo d.C.); lo si ritrova
poi in dipinti cinesi del X-XI secolo e in dipinti parietali indiani
dell’XI, XII e XVII
secolo. Secondo alcuni
autori, i Cinesi erano
già in grado di
produrre blu oltremare
sintetico in antichità

Nell’immagine a dx:
pittura murale da
Bamiyan, Afghanistan
L’uso del blu oltremare in Europa va probabilmente datato a
partire dal IX secolo, in concomitanza con la perdita della
tecnologia del blu egiziano. Tra le prime evidenze si hanno gli
affreschi della chiesa di San Saba a Roma (prima metà dell’VIII
secolo, figura in basso) e gli affreschi del monastero di Torba, in
Lombardia (prima decade del IX secolo)
Miniature da codici italiani del IX secolo con campiture
in blu oltremare

Codice 202 (Archivio Capitolare di Codice 104 – Archivio


Vercelli), Isidoro di Siviglia Capitolare di Vercelli
Il suo impiego estensivo si ha soprattutto dal XIV secolo. Nel XVI secolo il suo
valore era così alto da superare talvolta quello dell’oro; va considerato che dal
lapislazzuli si ricava soltanto il 2-3% di materia utile come pigmento. Per questo il
suo uso era limitato alla pittura di particolari importanti, es. il manto della Vergine
nella Madonna Aldobrandini di Tiziano (1532, sx)

Nel Nordeuropa il suo impiego era raro: ad esso era preferita l’azzurite
Il blu oltremare perde in parte il suo significato simbolico con l ’avvento della
pittura a olio e poi con l’introduzione della versione sintetica nel XIX secolo
Preparazione del blu oltremare
La preparazione del pigmento in antichità prevedeva semplicemente macinazione,
lavaggio e setacciamento della roccia, procedimento che produceva una polvere blu-
grigiastra con un’elevata proporzione di materiale incolore (calcite e pirite), a meno
che la roccia non fosse di elevata qualità. Questo è il pigmento impiegato nei
manoscritti bizantini dal VI al XII secolo
Poco dopo il 1200, come è testimoniato da alcuni
riferimenti del XIII secolo e dallo stesso Cennino
Cennini nel XV secolo, entrò in uso un nuovo metodo di
estrazione. Il principio del metodo consiste
nell’incorporare la roccia in una mistura di cera fusa,
resine e oli; la massa fusa era impaccata in un telo e
impastata sotto una soluzione
alcalina diluita (potassio carbonato
estratto con acqua da ceneri
vegetali). Le particelle blu di
lazurite erano lavate via e raccolte
per decantazione al fondo del
contenitore, mentre la maggior
parte del materiale cristallino
incolore rimaneva nella massa
pastosa
Proprietà del pigmento
Le proprietà tecniche del pigmento sono buone: il lapislazzuli ha
buona intensità di colore e potere coprente, nonostante il basso
indice di rifrazione. Inoltre è estremamente stabile alla luce e,
nonostante contenga atomi di zolfo, può essere miscelato con
pigmenti a base di piombo come il bianco piombo, senza pericolo di
formazione di solfuro di piombo. Ciò rende semplice la sua
applicazione nelle tecniche a tempera. La resistenza a sostanze
alcaline è compatibile con l’applicazione
nella tecnica ad affresco. In presenza di
acidi tende però a decomporsi e quindi a
decolorarsi
Il blu oltremare è molto sensibile all’aggressione di sostanze
acide, a contatto con le quali i gruppo cromofori si degradano
secondo meccanismi non chiari. Il fenomeno è noto come
ultramarine sickness o ultramarine disease

In questa miniatura dell’XI


secolo, le vesti della
Madonna e di San Giuseppe
erano originariamente in blu
oltremare ma il colore è
svanito, probabilmente per
aggressione chimica da parte
di un acido
Nell’ingrandimento 80x si
notano alcune particelle in
cui è rimasta la
pigmentazione originale
Usi del blu oltremare
L’applicazione principale del blu oltremare
è nella pittura a tempera. Nei manoscritti
illuminati la sua brillantezza era
complementare a quella di cinabro e oro,
con cui formava un trio di pigmenti nobili

Nella tecnica ad olio risulta meno coprente


e brillante ed è quasi sempre usato in
miscela con il bianco piombo
A causa della scarsa resistenza agli agenti
atmosferici acidi, negli affreschi (sx) si
tende talvolta ad applicarlo a secco (es.
Cappella degli Scrovegni a Padova - N.B. il
manto della Madonna, non il cielo!)
In alcuni casi il blu oltremare era impiegato come strato superficiale su
una sottopittura o underpainting, sia per limitare il consumo di pigmento
pregiato (allo scopo erano impiegati come underpainting azzurrite, indaco
o smaltino), sia per ottenere una colorazione particolare, es. porpora su
un underpainting rosso

Nell’esempio riportato
è mostrata una
sezione trasversale
ottenuta da una
campitura blu in un
dipinto del pittore
fiammingo Van der
Weyden (XV secolo):
sotto lo strato 7
costituito da vernice,
gli strati 5 e 6 sono in
blu oltremare, mentre
il sottostante strato
4 è in azzurrite
Pigmento ceramico
In questo esempio è illustrato l’uso di blu oltremare come
pigmento per la decorazione di un oggetto ceramico iraniano (XIII
secolo d.C.). Il pigmento è applicato sotto forma di sottile patina
tra il corpo ceramico e l’invetriatura a base di cobalto, per
impartire un colore blu più brillante
La lacca indiana
Lacca indiana: si tratta di un colorante rosso intenso affine al
kermes, ricavato anch’esso da insetti di varie specie dei Coccidi,
tra cui la Kerria lacca e la Kerria chinensis, specie indigene
dell’India e del Sudest asiatico. Gli insetti sono parassiti di
alcune piante delle specie Croton e Ficus
Il colorante si ricava da una resina secreta dagli individui
femmine degli insetti, nota come gommalacca (shellac in inglese)

Il colorante è un sottoprodotto della purificazione della resina, la quale trova


applicazione come vernice; la lacca ne rappresenta la parte idrosolubile,
componente minoritaria. I principi coloranti della lacca indiana sono gli acidi
laccaici, identificati con lettere da A ad
F (dx: acido laccaico A) a seconda dei O
sostituenti su una comune struttura N C CH3
antrachinonica; la struttura è simile a HO O
quella degli acidi kermesico e carminico, C O OH

principi rispettivamente del kermes e HOOC

della cocciniglia che sono affini dal OH


punto di vista cromatico alla lacca HO OH
indiana O OH
La lacca indiana era usata in India per tingere la seta fin da tempi
antichi, forse dal 1500 a.C.; in Europa è stata introdotta in Spagna
e Provenza dal XIII secolo, risultando un colorante abbastanza
stabile per la tintura di seta e lana. Il colorante, precipitato con
allume, diventa una lacca del cui uso nella pittura su tavola in
Italia ci sono alcune testimonianze

La lacca è stata effettivamente


identificata in dipinti di
Michelangelo, Tintoretto e
Ghirlandaio
Attualmente non è più usata,
anche perchè la gommalacca è
stata sostituita da sostanze
sintetiche
Il ciclo di Ajanta

Ajanta è un villaggio indiano di poche migliaia di abitanti nel nord dello


Stato federato di Maharashtra a circa 75 km dalla città di Jalna famoso il
complesso monumentale omonimo. Notevoli sono le pitture buddhiste
scoperte nel 1817 nei santuari e monasteri scavati nella roccia risalenti al
periodo che va dal II secolo a.C. al VII d.C. Tra queste pitture,
rappresentanti incarnazioni del Buddha dette Jataka e episodi della sua
vita, le più famose ed importanti sono senza dubbio quelle appartenenti al
cosiddetto Ciclo di Ajanta che va dal periodo dell'arte gupta a quella post-
gupta.
Sono 29, nel mezzo di una valle solitaria,
. una magnifica più dell’altra, a
ridosso di una scogliera dove il fiume Waghora si snoda in una forma a
ferro di cavallo, a 105 km. da Aurangabad, nello Stato indiano del
Maharashtra. E’ stata una fortuna che gli inglesi casualmente ne
scoprissero l’esistenza nel 1819. Sono stati 200 monaci buddisti a scavare
queste grotte per farne monasteri (viharas) e sale di preghiera (chaitya
grihas) nel secolo II e, durante i periodi Gupta (uno dei maggiori imperi
dell’India antica) e post Gupta, nei secoli V e VI a.C. Intorno a quelle
grotte, per circa nove secoli, girò, insieme al culto buddista e all’arte
didattica, perché i monaci, nei loro viaggi itineranti e diffusori del
messaggio religioso, trovavano conforto in esse durante il periodo delle
piogge in giornate brutte. La bellezza naturale della zona spiega il motivo
per cui i monaci scelsero proprio questo luogo per le loro attività spirituali.
Ed eccole, numerate da 1 a 29, un seriale splendore che rappresenta l’inizio
dell’arte classica indiana.
Questi capolavori, in alcuni dei quali è evidente l’eredità ellenica portata
in India da Alessandro Magno, si sono mantenuti nel tempo. I dipinti si
sono conservati grazie alla complessa preparazione della superficie della
roccia che li accoglie e che è stata incisa proprio perché ad essa
aderisse efficacemente lo strato di terra ferrugginosa mischiata a
graniglia, sabbia, fibre vegetali, sterco di vacca e peli di animali. Su di
essa, una volta asciutti tutti gli strati, gli artisti dell’epoca (anche
induisti) avrebbero eseguito le loro splendide pitture ottenute con
pigmenti naturali ocra, rosso, verde, azzurro, legati tra loro da una
specie di colla. Questi colori sono stati posati sulla roccia, per
decorarla, non “a -fresco”, non quindi su calce bagnata (che nell’affresco
ha lo scopo di legare i colori), ma come vere e proprie tempere. La calce
veniva infatti utilizzata solo a decorazione ultimata per lisciare e lavare
la superficie allo scopo di risaltarne i colori. Questi capolavori vennero
realizzati in luoghi carenti di luce, tali erano e sono oggi queste grotte,
con l’aiuto di piccole lampade ad olio, oppure della luce riflessa del sole
su lastre di metallo o sulle pozze d’acqua appositamente raccolte
davanti ad esse.
I manoscritti e gli affreschi di Dunhuang
A Dunhuang, Cina Centrale, all’inizio del ‘900 fu realizzata una delle
scoperte archeologiche più incredibili di ogni epoca. In alcune grotte
presso la città furono trovate testimonianze dell’arte buddista risalenti
ad un arco temporale Le caverne contengono 45.000 m2 di pitture
murali, 2.415 statue dipinte e un numero elevatissimo di documenti,
chiamati manoscritti di Dunhuang
Dunhuang si trova a est del deserto del Taklamakan, in
posizione strategica lungo la Strada dela Seta essendo alla
convergenza di due rami da cui la strada prosegue verso le
grandi città della Cina
Affresco del VII secolo
I manoscritti

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