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Il Mezzogiorno tra sottosviluppo e istituzioni

Carlo Lottieri (Università di Siena)

NOISE FROM AMERIKA – Firenze, 1 luglio 2009

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I problemi del Sud: cause prossime e remote

L’esistenze di “due Italie” è una realtà consolidata nel tempo ed è il 
frutto  di  molti avvenimenti  diversi.  Entro  una  lettura liberale, le 
difficoltà  del  Mezzogiorno  sono  primariamente  da  attribuirsi  ad 
un eccesso di Stato.   

❑ Per  Jean  Baechler  (Le  origini  del  capitalismo),  alla  base  del  trionfo 
della civiltà europea c’è l’anarchia feudale, ossia la debolezza del 
potere  medievale.  Ma  è  proprio  nel  Sud  –  dall’invasione 
normanna  fino  a  Federico  di  Svevia  –  che  lo  Stato  moderno 
muove  i  suoi  primi  passi,  a  scapito  dei  liberi  comuni  e 
dell’economia mercantile.

❑ Dopo  l’Unità,  il  Meridione  subisce  dapprima  la  conquista 


sabauda,  poi  le  conseguenze  del  protezionismo  (concepito  per 
“aiutare” la nascente industria del Nord) e, soprattutto, gli effetti 
nefasti dell’assistenzialismo del dopoguerra.

2
L’ordine economico­sociale del welfare State

Ogni  sistema  welfarista  implica  una  qualche  forma  di 


redistribuzione:  con  risorse  tolte  a  tax  payers  e  destinate  a  tax 
consumers. Ma le direttrici possono essere diverse.

❑ Welfare  di  tipo  “etnico”.  In  un  Paese  caratterizzato  dalla 


presenza  di  molte  comunità  etniche  e  di  forti  disparità  legate 
all’origine  (gli  Statoi  Uniti,  ad  esempio),  la  redistribuzione  può 
seguire una direttrice che penalizza il grosso della popolazione e 
favorisce le minoranze (neri, ispanici e altre realtà).

❑ Welfare  di  tipo  “territoriale”.  In  Italia,  ovviamente,  una  parte 


rilevante  delle  risorse  si  sposta  da  Nord  a  Sud,  inseguendo  un 
progetto redistributivo a vocazione egualitaria. 

3
Una peculiare “trappola della povertà”

❑ La  riflessione  sullo  sviluppo  da  tempo  insiste  sulla  nozione  di 
“trappola della povertà” (poverty trap). Il caso del Sud può essere 
utile    a  capire  come  questa  situazione  di  “blocco”  non  sia 
primariamente  da  addebitarsi  a  limiti  economici  (carenza  di 
capitali, ad esempio), ma a difficoltà politiche e/o istituzionali.

❑ Definire  la  povertà  non  è  certo  facile,  ma  se  in  prima 
approssimazione  la  definiamo  come  “incapacità  a  risolvere  i 
problemi”,  sembra  difficile  che  l’istituzionalizzazione  di 
meccanismi redistributivi possa aiutare il Mezzogiorno ad uscire 
da tale situazione.

❑ Il  primo  problema  del  Sud  è  alla  da  riconoscere  nel  fatto  che  il 
sistema istituzionale definisce un sistema di incentivi che rafforza 
e cronicizza le difficoltà presenti.

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Un mercato perturbato

❑ Il flusso del denaro pubblico segue molti percorsi, ma certamente 
uno degli utilizzi più comuni consiste nella creazione di posti di 
lavoro statali. Se la scelta tra una carriera lavorativa nello Stato e 
una  nel  mercato  nelle  regioni  del  Nord  si  presenta  con  ben 
precise  caratteristiche,  la  situazione  è  diversa  al  Sud,  dove 
esistono potenti incentivi ad entrare nel settore pubblico. 

❑ Il più potente di questi meccanismi è da riconoscere nel fatto che 
la volontà di mantenere stipendi nominali identici a Treviso e ad 
Catanzaro,  fa  sì  che  un  dipendente  statale  che  vive  e  lavora  in 
Calabria disponga di un reddito reale molto superiore a quello di 
chi vive e lavora in Veneto.

❑ La conseguenza è che il settore privato resta asfittico.

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Un ambiente legale ostile alle imprese
❑ Il sistema degli aiuti pubblici prende anche la strada del sostegno 
all’imprenditoria. Ma è significativo che a dispetto di tutto questo 
il  Mezzogiorno  fatichi  a  veder  crescere  un  sistema  produttivo 
vasto  e  articolato.  Questo  dipende  dal  carattere  burocratico  e 
farraginoso  del  sistema  di  assegnazione  dei  fondi,  ma  sono 
decisivi pure altri fattori.

❑ Le  aziende  meridionali  –  a  causa  del  sistema  legale  unitario  e 


della  contrattazione  nazionale  –  si  trovano  ad  operare  con  una 
tassazione,  un  costo  del  lavoro  e  un  sistema  regolamentare  (in 
materia  di  sicurezza,  ad  esempio)  che  sono  stati  pensati  per  il 
Centro­Nord.

❑ In  queste  condizioni,  il  Mezzogiorno  ha  tutte  le  difficoltà  delle 
realtà  povere,  senza  però  poter  sfruttare  i  vantaggi  (relativi)  di 
una tale situazione.

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Il primato della politica

❑ Il  sistema  degli  aiuti,  per  giunta,  non  è  affatto  gestito  (né 
sarebbe  facile)  secondo  logiche  impersonali  e  astratte,  ma 
anzi  è  quasi  interamente  sotto  il  controllo  di  un  ceto 
politico­burocratico che trae da qui il proprio potere.

❑ La  costante  “mediazione”  politica  che  caratterizza  le 


politiche  welfariste  –  nelle  sue  più  diverse  forme  –  fa  sì  la 
politica continua ad esercitare un minuzioso controllo sulla 
società civile, sul mercato, sulla cultura.

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Una struttura  sociale “squilibrata”
❑ Le  considerazioni  elementari  sopra  sviluppate  aiutano  a  capire 
come nel Mezzogiorno si sia costituito un “blocco conservatore”, 
che dispone anche di potenti sostegni esterni.

❑ Questo blocco si articola attorno a politici e burocrazia, ma più in 
generale coinvolge tutti i recettori di trasferimenti. Esso però non 
sarebbe  tanto  solido  ed  efficace  se  non  potesse  contare  anche  su 
un sostegno “romano” (i voti del Sud come voti tradizionalmente 
governativi)  e  su  un  sostegno  “settentrionale”  (i  grandi  gruppi 
industriali  usano  il  Mezzogiorno  per  accedere  a  varie  forme  di 
finanziamento).

❑ In questo quadro, il conflitto tra chi vince e chi perde nel gioco dei 
trasferimenti appare totalmente squilibrato a favore dei primi.

8
Conseguenze della criminalità organizzata

❑ Ogni volta che si discute di Mezzogiorno e sviluppo, ovviamente 
si  deve  fare  i  conti  con  i  problemi  causati  dalla  criminalità 
organizzata,  la  quale  rappresenta  una  forma  di  tassazione 
aggiuntiva (1), una rete di competitori sleali (2) e più in generale 
un costante fattore di insicurezza (3).

❑ Oltre a tutto ciò, la mafia sta diventando un problema sempre più 
grave  perché  essa  è  ormai  un  ostacolo  culturale  sempre  più 
significativo  di  fronte  all’ipotesi    che  si  affermino  logiche  e 
pratiche anti­stataliste (4).

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Mafia: “Stato” o “anti­Stato”? (1)
❑ La questione della mafia è di notevole complessità.

❑ La  criminalità  viene  comunemente  presentata  come  una  totale 


sovversione  delle  regole  più  elementari,  e  quindi  (ma  su  questo 
bisognerebbe  discutere)  come  un  “anti­Stato”  che  aumenta  a 
dismisura  l’incertezza,  rende  difficile  ogni  progetto,  disturba  i 
meccanismi selettivi (si pensi al fenomeno del nepotismo).

❑ In assenza di legalità:
* niente investimenti;
* nessuna fiducia, e quindi niente contratti.
La conclusione è il dissolversi di ogni parvenza di civiltà.

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Mafia: “Stato” o “anti­Stato”? (2)

❑ Se  si  accetta  l’equazione  “mafia  =  anti­Stato”  e  si  enfatizza 


unicamente  il  dato  che  vede  nella  criminalità  un  ordinamento 
giuridico  alternativo  (Santi  Romano)  e  una  realtà  in  lotta  con 
l’ordine  legale  dello  Stato,  si  rischia  però  di  occultare  alcuni 
elementi importanti.

❑ Secondo  Poggi,  i  criminali  alla  testa  delle  mafie  utilizzano  in 


continuazione  lo  Stato  “perché  riescono  a  infiltrare  le  cerchie 
decisionali,  a  cooptarne  certi  elementi,  a  sabotare  il  processo  di 
attuazione  delle  politiche  (per  esempio,  quelle  relative  al 
controllo  del  traffico  della  droga,  del  mercato  finanziario,  o 
dell’attività  bancaria,  o  dell’amministrazione  della  giustizia 
penale)” (Gianfranco Poggi, Lo Stato, Bologna, il Mulino, 1992, p. 
204).

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Neostatalismo e “cultura della legalità”

❑ Quando  si  schiaccia  il  fenomeno  mafioso  sulla  sua  dimensione 


eversiva  e  si  tende  a  minimizzare  come  esso  cresca  e  si  sviluppi 
all’ombra dei poteri pubblici (protezioni, finanziamenti, appalti, e 
via  dicendo),  risulta  evidente  come  una  precomprensione 
ideologica  possa  produrre  analisi  sbagliate  e  ricette  peggiori.  La 
radice  di  tutto  questo  si  trova  in  un  certo  “illuminismo”  elitario 
meridionale,  che  ha  sempre  immaginato  uno  sviluppo  guidato 
dall’alto  e  ha  sempre  sostanzialmente  disprezzato  la  società  del 
Mezzogiorno.

❑ Sul  piano  del  dibattito  giuridico  e  istituzionale,  questo 


neostatalismo emergenziale produce due conseguenze maggiori:
*  l’identificazione  tra  legalità  e  legittimità  (la  nuova  retorica 
dell’“educare alla legalità”);
* la riduzione della legalità allo Stato.
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La “diarchia” di legalità e legittimità

❑ Uno  dei  tratti  più  nobili  della  tradizione  europea  è  nella 


tensione  tra  ciò  che  è  legale  e  ciò  che  è  legittimo:  è 
Antigone  che  rivendica  l’esistenza  di  un  diritto  superiore 
alla pura volontà di Creonte.

❑ La  legalità  è  cruciale,  ma  non  a  qualunque  costo.  Da 


Thomas Hobbes in poi, la riduzione del diritto a semplice 
diritto  positivo  prelude  all’assolutismo.  Nessuno  di  noi 
apprezzerebbe di per sé la legalità nord­coreana o saudita. 
È il vecchio argomento della reductio ad Hitlerum.

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Legalità: troppo, e troppo poco

❑ Difendere la legalità qua legalità è quindi troppo: non è su queste 
basi che si costruisce una società libera. In effetti, il diritto vigente 
deve sempre essere posto al vaglio della coscienza e deve essere 
considerato  quale  artefatto  imperfetto.  Se  oggi  la  legalità  è 
essenzialmente  una  proiezione  della  decisione  del  sovrano,  un 
atteggiamento critico di fronte al potere è doveroso.

❑ Ma  è  anche  troppo  poco,  perché  una  società  di  diritto  implica 
soprattutto  pratiche  sociali  che  siano  in  armonia  con  la  società 
stessa.  Poiché  l’ordine  giuridico  è  sempre  il  frutto  di  interazioni 
umane e scambi sociali (cfr. Bruno Leoni e la sua teoria del law as 
individual claim), non si può calare dall’alto un diritto quale che 
sia e poi pretendere che i comportamenti vi si conformino.

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Il diritto e gli ordini sociali

❑ Diverse  società  esigono  differenti  ordinamenti  giuridici. 


Nella  tradizione  liberale  più  avvertita,  il  diritto  naturale 
(anche  nella  versione  dei  diritti  naturali  inviolabili)  è 
sempre  stato  avvertito  in  rapporto  con  l’esigenza  di  una 
sua “contestualizzazione”.

❑ Ad esempio, si possono/devono riconoscere diritti naturali 
ai  minori  e  quindi  delineare  in  capo  ai  tutori  l’obbligo  di 
non  aggredirli,  ma  il  concreto  contenuto  del  “dover 
prendersi  cura”  dei  propri  figli  è  sempre  contestuale. 
Dipende dall’epoca, dal tipo di società, dalla cultura.

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Una federazione di società diversamente regolate

❑ Raramente si evidenzia come la necessità di incamminarsi 
verso  una  società  federale  venga  non  solo  dall’urgenza  di 
ridurre  la  redistribuzione  su  base  territoriale,  dalla 
necessità  di  innescare  una  concorrenza  tra  giurisdizioni  e 
sistemi  fiscali,  dal  bisogno  di  avvicinare  il  prelievo  e  la 
spesa. C’è anche bisogno di un diritto plurale.

❑ Per  giunta,  una  legalità  non  percepita  come  tale  produce 


illegalità  e  quindi  devianza.  In  molti casi,  è  un’uniformità 
giuridica  innaturale  ed  imposta che  si  rivela criminogena. 
Nei secoli scorsi ciò accadeva, ad esempio, quando le leggi 
sul contrabbando proibivano determinati commerci, ma lo 
stesso succede in molte altre situazioni.

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Un esempio: l’evasione fiscale/normativa

❑ Quando  si  rileva  che  nel  Mezzogiorno  una  parte 


significativa  dell’economia  opera  nell’illegalità  (evasione 
fiscale, mancato rispetto norme sulla sicurezza, ecc.) si può 
reagire  immaginando  più  controlli  e  una  maggiore 
repressione.

❑ Oppure  si  può  decidere  che  c’è  qualcosa  di  errato  e 


spropositato  nelle  pretese  dello  Stato  italiano.  (Esiste  tra 
l’altro  una  solida  correlazione  empirica  tra  pressione 
fiscale/normativa  ed  evasione  dagli  obblighi  imposti  per 
legge).

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Pensare un diritto più “caldo”

❑ Con l’avvento del Rechtsstaat (Stato di diritto), nell’Europa 
continentale  si  è  imposto  un  modello  istituzionale  unico: 
freddo,  astratto,  impersonale.  Si  tratta  di  una 
rielaborazione  dell’antica  idea  che  una  società  giusta  è 
governata dalle leggi, e non dagli uomini.

❑ Non  è  detto  che  quel  modello  sia  l’unico  e  il  migliore.  La 
riflessione  sulla  “banalità  del  male”  (Hannah  Arendt) 
rinvia alla deriva totalitaria che è iscritta nell’avvento della 
mega­macchina  statuale.  Lo  Stato  di  diritto  è  anche  e 
soprattutto un diritto di Stato: controllato ed egemonizzato 
dallo Stato.

❑ E  se  invece  pensassimo  ad  un  diritto  più  “caldo”  e  che 


segue la logica bottom­up?
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Un’Europa meridionale e relazionale

❑ Il Mezzogiorno è il Sud dell’Italia: e quindi è il Sud di un 
Sud.  Questa  ovvietà  è  utile  a  evidenziare  che  quanto  la 
Penisola ha realizzato di grande, specie nel passato, è stato 
fatto  entro  i  quadri  di  una  cultura  più  basata  su  rapporti 
personali (caldi) che su relazioni di tipo astratto.

❑ L’Europa  figlia  del  Medioevo  ha  avuto  i  suoi  maggiori 


trionfi tra Firenze e Venezia, tra Genova e Milano, entro un 
contesto  culturale  in  cui  il  rapporto  di  “omaggio­
protezione”  ha  giocato  un  ruolo  decisivo.  Insomma:  non 
sempre  il  modello  “nordico”  è  migliore  di  quello 
“meridionale”.

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Hayek: vivere da anfibi, tra comunità e società

❑ Non  c’è  dubbio  che  talune  relazioni  esigono  la  capacità  di 
superare  gli  stretti  schemi  della  “tribù”:  senza  una  qualche 
impersonalità  non  c’è  mercato.  Friedrich  von  Hayek  amava 
ricordare  che  gli  uomini  sono  anfibi:  vivono  sia  in  comunità 
(famiglia) che in società (mercato).

❑ Al  tempo  stesso  è  vero  che  la  dimensione  comunitaria  dei 


rapporti  personali  (insieme  a  regole  giuridiche  che  non  ignorino 
la  concretezza  della  vita  sociale)  gioca  spesso  quale  fattore  di 
riduzione dei costi di transazione, favorendo relazioni di fiducia 
e agevolando quindi ogni scambio: anche d’affari.

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Il Mezzogiorno: ma non solo il Mezzogiorno

❑ In  fondo,  una  parte  dei  problemi  della  società  meridionale 


proviene  dall’adozione  (sempre  più  acritica,  in  virtù 
dell’esaltazione  dello  Stato  moderno  realizzata  in  funzione  anti­
mafia) di un modello giuridico estraneo e inadeguato.

❑ Il disastro meridionale ci aiuta a comprendere il disastro italiano 
nel  suo  insieme.  Ad  esempio,  è  ridicolo  che  entro  una  cultura 
come  quella  italiana  il  reclutamento  universitario  continui  ad 
avvenire  secondo  logiche  concorsuali  tali  solo  di  nome  e  che,  in 
realtà,  celano  un  meccanismo  di  cooptazione.  Sono  i  rapporti 
“caldi”  a  gestire  l’Università,  e  non  i  rapporti  “freddi”.  Non 
sarebbe  l’ora  di  prenderne  atto,  avviando  sulla  strada  di  una 
privatizzazione  dell’intero  sistema  accademico  e  rigettando  la 
perversa commistione tra Stato e familismo?

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Che fare?

❑ Distinguere legalità e civismo, Stato e moralità.

❑ Cogliere  il  nesso  tra  libertà  e  responsabilità,  oltre  che  tra 


relazioni sociali e diritto effettivo.

❑ Recuperare  i  legami  con  un  diritto  più  contrattuale, 


giudiziale,  consuetudinario...  quel  living  law  che  nel 
contesto  americano  affonda  nella  tradizione  del  common 
law.  Oltre  al  Rechtsstaat,  c’è  una  modernità  giuridica  più 
sintonia con ciò che siamo.

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Problemi economici, soluzioni giuridiche

❑ Il Mezzogiorno – come l’Italia nel suo insieme, ma perfino 
di  più  –  è  vittima  di  un’ipertrofia  dello  Stato  che  è 
strettamente  connessa  all’imporsi  di  un  modello 
istituzionale  estraneo  alla  sua  storia,  troppo  “straniero”  e 
alieno, troppo impersonale. L’incrocio tra relazioni calde e 
regole fredde ha prodotto effetti devastanti.

❑ Il ridimensionamento del potere statale è la strada maestra 
per  dare  speranza  al  Mezzogiorno  e  capacità  di 
elaborazione (economica, sociale, culturale) autonoma, ma 
questo è difficile se non si inizia e reimpostare il rapporto 
tra il diritto e la società, tra la legalità e la legittimità, tra le 
regole e i costumi consolidati.

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Vi ringrazio per l’attenzione prestata

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