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MILENA ROMANO (Catania)

Frammenti di parlato nella scrittura giornalistica: il rotocalco


italiano dagli anni Cinquanta a oggi tra editoria cartacea ed editoria
multimediale.

1. Premessa

In pieno Duemila il sistema integrato dei mass media si presenta come un campo di per sé
diversificato, ma nei fatti omogeneo poiché sottoposto a comuni modelli e fasi di trasformazione e
ibridazione di generi e di tipi testuali. Nella società dell’informazione lo studio del rotocalco,
inserito nel processo di costruzione di un’identità socio-culturale e linguistica nazionale, si rivela
un’ utile prospettiva da cui osservare le reciproche interferenze tra tipologie testuali differenti. Il
presente contributo si prefigge di delineare l’evoluzione linguistica dei rotocalchi cartacei «Oggi» e
«Gente» a partire dagli anni Cinquanta fino ai nostri giorni, rilevando le eventuali contaminazioni
tra lo scritto giornalistico e il parlato trasmesso dei coevi rotocalchi televisivi. Ovviamente si è
tenuto conto dei condizionamenti diafasici determinati dalla diversa impostazione tecnologica del
medium a stampa e di quello elettronico. La prospettiva analitica qui adottata concerne gli aspetti
pragmatico-testuali, e in particolare il «discorso diretto riportato» 1 presente negli articoli del
rotocalco cartaceo. La mescidanza delle diverse tecniche compositive - già attuata da tempo nel
campo della letteratura con il superamento del confine tra narrazione e dialogo – si realizza nella
scrittura giornalistica attraverso la citazione di discorsi poi commentati, dando luogo, mediante
adattamenti testuali, a fenomeni d’innesto di tratti del parlato. Dall’osservazione di tale
fenomenologia dovrebbe scaturire non solo una più approfondita conoscenza dei «testi misti»2
presenti nel rotocalco, ma anche una più attenta determinazione della funzione pragmatica di tali
testi. Quest’ultima va intesa ora come registrazione dell’idiomaticità del parlato reale, ora come
ingrediente espressivo di una scrittura giornalistica volutamente «brillante»3 e «stilizzata»4 e come
tale consentirà di registrare le tendenze più specifiche dei settimanali.

1
Su questo argomento cfr. Dardano (1973 e 1994b); Bonomi (2002).
2
Dardano / Pelo / Trifone in AA.VV. (1992).
3
Dardano (1986).
4
Bonomi (2002).

1
1.2 Corpus

Il corpus cartaceo è costituito da articoli di cronaca, di politica e di costume tratti dai rotocalchi
«Gente» e «Oggi», scelti sia per la longeva solidità nel panorama editoriale italiano, sia per il target
generalista5. Il corpus di riscontro è costituito da rotocalchi televisivi quali RT, Rotocalco Televisivo
(1962-1964; 2007), TV7 (1963-1971; 1996 - 2010) e Mixer (1980 -1998)6.
La griglia di analisi è basata sulla definizione teorica e descrittiva dell’italiano dell’uso
medio di Sabatini (1985 e 2012) - integrato da Berruto (1987), Berretta (1994), Dardano (1994) - e
sulla caratterizzazione descrittiva dell’italiano giornalistico elaborata da Dardano (1986) e da
Bonomi (1994 e 2002).

2. Rotocalchi cartacei e televisivi degli anni Cinquanta e Sessanta

2.1 Rotocalchi cartacei

Nei rotocalchi degli anni Cinquanta e Sessanta la ricerca di una lingua sorvegliata è ancora
molto diffuso e tale tendenza è rintracciabile, a livello morfosintattico, sia nella preferenza
accordata a stilemi della prosa letteraria - come il ricorso al passato remoto per le narrazioni negli
articoli di cronaca - sia nella buona tenuta dei tratti dello standard in ambito pronominale7.
L’uso del passato remoto8, residuo forse della norma grammaticale risalente alla seconda metà
dell’Ottocento, è privilegiato allorchè il testo giornalistico assume l’andamento della prosa
narrativa, con tendenze letterarie spesso non celate. Si osservi il seguente frammento in cui il lettore
si trova dinnanzi a un ‘pezzo di bravura giornalistica’ nel racconto del naufragio del veliero tedesco
Pamir:
TITOLO: Ora per ora l’odissea dei naufraghi del “Pamir”
SOTTOTITOLO: Il fornaio di bordo del veliero tedesco racconta la terribile avventura e il
miracoloso salvataggio di un gruppo di giovani superstiti
ARTICOLO: [...]. La sarabanda cominciò, - racconta Dummer – alle 11.05 di sabato. Un’ora prima
la radio ci aveva avvertito che un uragano stava per rovinarci addosso ed il capitano aveva ordinato
ai gabbieri di tenersi pronti ad ammainare le vele. Ma il vento ci investì di colpo con impeto

5
I dati sono estratti da un progetto più ampio - la tesi di dottorato dal titolo La “popolarizzazione” di lingua e cultura
in Italia dagli anni Cinquanta a oggi. Il rotocalco tra editoria cartacea ed editoria multimediale (elaborata presso il
Dipartimento di Filologia moderna della Facoltà di Lettere dell’Università di Catania) - in cui lo studio dei rotocalchi si
estende dagli anni Cinquanta ad oggi con un intervallo di 3-4 anni per garantire l’oggettività statistica del campione.
6
Le puntate dei rotocalchi televisivi sono state già analizzate nell’ambito di un progetto PRIN 2009 sull’italiano
televisivo. Le trasmissioni considerate in quanto esemplari del genere sono: RT, Rotocalco televisivo in onda dal 1962
sul Secondo Programma (oggi Rai 2) e la sua riedizione, trasmessa nel 2007 su Rai 3; TV7 in onda 1963 fino al 1971 e
la sua riedizione a partire dal 1996 fino a oggi; il programma Mixer in onda dal 1980 al 1996, Rai 2 e poi dal 1996 al
1998 su Rai 3.
7
Sebbene lo spoglio del corpus sia stato condotto sull’intero paradigma dei pronomi soggetto di terza persona, sui
clitici dativali, sull’alternanza che cosa/cosa/che del pronome interrogativo neutro, in questa sede si renderà conto
unicamente delle forme del pronome singolare maschile di terza persona.
8
Per l’uso del passato remoto nei giornali cfr. Dardano (1973); Masini (1994); Bonomi (2002).

2
eccezionale, ed i gabbieri, pur provetti e rotti al mestiere, non riuscivano più ad eseguire il loro
compito. II capitano, impavido accanto al timone urlò allora nel megafono di metter mano ai coltelli
e di tagliare le funi. Le vele volarono via come se le avesse risucchiate un gigantesco aspirapolvere:
apparvero per un attimo sull’oceano improvvisamente sconvolto, poi scomparvero nell’oscurità della
tempesta (GN, 09-10-1957, II, p. 19 cr.es.)9.

Sebbene l’articolo sembra riportare fedelmente il racconto del fornaio di bordo del veliero tedesco
(come si legge nel sottotitolo) si possono facilmente cogliere echi letterari (da Dante a Melville) e
andamenti retorici: si notino fra tutti l’allitterazione in le vele volarono via... e la similitudine, per i
tempi sicuramente suggestiva, in come se le avesse risucchiate un gigantesco aspirapolvere. La
concitazione della scena descritta è raggiunta attraverso l’aspetto puntuale e perfettivo del passato
remoto (cominciò…ci investì… urlò...volarono via…apparvero…scomparvero) che contrasta
volutamente con i luoghi in cui occorre il trapassato prossimo nella descrizione di scene di quiete
prima della tempesta (aveva avvertito…aveva ordinato...) o l’imperfetto per i momenti di stasi negli
eventi narrati (non riuscivano più).
La scarsa presenza dei tratti ritenuti più colloquiali e “oralizzanti” si rileva anche dalla salda
tenuta delle forme standard nel sistema pronominale per entrambe le testate10 negli anni Cinquanta
e Sessanta. Numerose occorrenze della forma standard maschile egli si rintracciano non solo nelle
parti cronachistico-narrative degli articoli, ma anche nelle didascalie che introducono il discorso
riportato11. Come vedremo, nelle decadi successive in questi contesti si tenderà a sostituire la forma
egli con la forma lui:

TITOLO: Non sarò mai un mister Loren


ARTICOLO: «La pellicola attualmente in lavorazione a Hollywood», — ha continuato Ponti —
«sarà finita verso la metà di ottobre». Subito dopo egli e Sofia si recheranno a Londra, dove l’arrivo
di Sofia è atteso per il primo giro di manovella del film Stella [...]. «Sono spiacente di dover
riconoscere, — egli ha detto — che il nostro matrimonio di Juarez è riconosciuto valido in tutto il
mondo, ma non in Italia» [...]. «[La madre] Ha telefonato a Sofia questa mattina, - egli ha concluso -
per parlare proprio di questo» (GN, 09-10-1957, II, p. 16-17 cr.es.).

9
Per quanto concerne i criteri di citazione adottati si rende noto che, vicino ad ogni forma rilevata, viene indicato la
data (giorno-mese-anno), il numero della testata in cifre romane, il numero di pagina, e il tipo di articolo (politica,
cronaca italiana, cronaca estera, servizi speciali). Riportiamo qui di seguito l’elenco delle abbreviazioni utilizzate per i
rotocalchi cartacei: OG= «Oggi»; GN= «Gente»; cr.it.= Cronaca italiana; cr.es.= Cronaca estera; serv.= Servizi
Speciali e Inchieste; Pol.= Politica. Nel paratesto si rispetterà la veste originaria omettendo, ove mancante, la
punteggiatura.
10
Per quanto concerne il nostro corpus i dati sembrano confermare quanto osservato da Bonomi (2002) sul sistema
pronominale nelle pagine dei giornali del Novecento. Nello specifico il corpus cartaceo scrutinato ci consente di
registrare negli anni Cinquanta 61 occorrenze di egli nel settimanale «Oggi», distribuite rispettivamente in 14
occorrenze nel 1951, 24 occorrenze nel 1954 e 23 occorrenze nel 1957; dall’altro di rilevano 16 occorrenze in «Gente»
per il 1957. Negli anni Sessanta si registrano 67 occorrenze di egli in «Gente»; 54 in «Oggi»; per la forma pronominale
lui si rilevano 18 occorrenze in «Oggi» e 24 occorrenze in «Gente».
11
Sullo schema discorso diretto+ didascalia cfr. Dardano (1973) e Dardano (1994b: 229).

3
La disposizione discorsiva di verba dicendi semanticamente neutri quali ha detto…ha concluso è
ottenuta attraverso una tecnica di inserimento ordinata, atta a mediare l’introduzione del discorso
diretto all’interno dell’articolo. Come si può osservare viene preferita la forma pronominale
standard egli anche nella scrittura referenziale del giornalista (egli e Sofia si recheranno…) e viene
mantenuto altresì un tono formale anche nelle citazioni del discorso diretto (sono spiacente di dover
riconoscere che…).
La sintassi marcata rappresenta notoriamente uno dei segni di apertura della scrittura
giornalistica verso l’oralità12, anche se già nella fenomenologia pertinente (dislocazione a sinistra,
frase scissa, c’è presentativo) è sottesa la valenza testuale-informativa peculiare dei testi
giornalistici. Nella casistica della sintassi marcata rilevata nel corpus domina, soprattutto a partire
dagli anni Sessanta, la dislocazione a sinistra con funzione mimetico-espressiva. Che non si tratti di
un automatico slittamento verso la lingua parlata è provato dalla più diffusa occorrenza del
fenomeno negli articoli di cronaca e, in particolare, nei frammenti di discorso riportato. La citazione
del discorso diretto ha un valore diafasico reduplicato: alla semplice motivazione di riprodurre
“veristicamente” il parlato nel testo cronachistico, si aggiunge infatti quella di accentuarne
l’espressività fino a creare dei cliché. Basti osservare la battuta che segna il momento culminate dei
vari eventi come, nel frammento riportato, la confessione di un assassino13:

TITOLO: I centotrenta colpi dell’assassino senza odio


ARTICOLO:[…] Su queste tracce, dopo le contraddizioni del ragazzo, dopo due ore di
interrogatorio il dottor Sgarra ottenne la confessione. «Si, l’ho uccisa io. Ho nascosto nella soffitta i
gioielli e il denaro. II coltello l’ho gettato nella Pellegrina» (GN, 04-01-1967, I, p. 59, cr.it.).

I tratti di parlato presenti nel rotocalco sono spesso subordinati a finalità identitarie, quali la
realizzazione di un rapporto più stretto con il pubblico di lettori14. L’espressività può essere
demandata a una lieve patinatura diatopica che convive con forme letterarie e tratti retorici:

OCCHIELLO: Mio nonno Giosuè Carducci


ARTICOLO: [...] Semplice e alieno dal darsi arie di grand’uomo, Giosuè Carducci trovava in casa
nostra l’ambiente ideale con due figlioli semplici ed affettuosi (mio padre e mia madre) e cinque
nipoti indiavolati ma non perversi per i quali egli era semplicemente il nonno [...]. «O babbo», gli
disse allora la mia mamma, «voglio un tuo ritratto da senatore. Ed egli, per accontentarla, si fece fare
a Firenze, dal Brogi, un ritratto in pelliccia e mezzo staio [...]. Rammento che il primo libro che ci
regalò fu Vita di Garibaldi, perché egli venerava Mazzini, credo dopo Dante, ma Garibaldi amava
su tutti, e quanto era garibaldino era per lui sacro come la patria (OG, 14-02-1957, VII, p. 22, serv.).

L’articolo è costruito come se si trattasse della registrazione in presa diretta del racconto del nipote
di Giosuè Carducci. L’origine toscana dello scrittore e del suo entourage familiare, rilevabile a

12
Cfr. Dardano (1994) e Bonomi (2002).
13
Sull’uso del discorso diretto in funzione di epilogo di una narrazione cfr. Dardano (1973:127).
14
Cfr. Dardano (1973: 255).

4
livello lessicale (babbo, figlioli) si innesta su un saldo impianto standard e letterario, evidente nel
sistema pronominale (le numerose occorrenze del pronome egli), nelle scelte lessicali (rammento)
nonché nelle figure retoriche, quali l’anastrofe (Garibaldi amava su tutti) e la similitudine (sacro
come la patria).
In altri casi gli elementi diatopicamente marcati sono più frequenti pur limitandosi a
varianti fonetiche (nun per non), ai troncamenti del tipo fa’ per fare, annà per andare, all’uso di ci
ho, ci hai per ho, hai, ai fonosimboli aò, macchè, mbè, vabbè15. Questi ultimi in particolare
permettono una caratterizzazione concentrata su un unico livello, senza implicazioni di ordine
morfologico o sintattico16:
Giorni fa, passando da un mercatino popolare romano, udimmo una cicoriara gridare a un’altra
cicoriara: «Mbè, te lo mandano via il tuo padre Mariano!« «Cianno ‘a provaà» replicò aggressiva la
seconda. Forse ci hanno provato. Lo dimostrano le restrizioni che con progressivi giri di vite hanno
colpito, in questi ultimi anni, la popolare trasmissione del «cappuccino della TV». Consideriamo
questo strano fenomeno: più il pubblico di padre Mariano aumentava richiedendo a furor di popolo il
suo cordiale colloquio evangelico, più avaramente la durata della trasmissione gli veniva lesinata,
conteggiando il minuto, incasellandola (come avviene tuttora) nel momento meno propizio della
giornata, le sette di sera, quando chi lavora non è ancora tornato a casa e non può aprire il televisore
(OG, 01-06-1967, XXII, p. 40, cr.it.).

Il frammento risulta caratterizzato da un marcato ibridismo: espressioni colloquiali (te lo mandano


via), scelte lessicali (cicoriara) ed espressioni stereotipate (Cianno ‘a provaà) afferenti alla varietà
romana accanto a stereotipi della scrittura giornalistica (furor di popolo), costrutti di stampo
letterario, come l’incastonamento del sostatntivo tra due aggettivi (cordiale colloquio evangelico), o
termini aulici inseriti in costrutti sintattici impliciti (la durata della trasmissione gli veniva lesinata,
conteggiando il minuto, incasellandola…) oltre a frange di retorica tradizionale (progressivi giri di
vite).
Le pagine del rotocalco degli anni Cinquanta e Sessanta tuttavia accolgono frammenti di parlato che
possiamo considerare solo apparentemente reale, in quanto si deve presuppore un intervento
migliorativo da parte del giornalista. In ogni modo vi si registrano inequivocabilmente le dinamiche
lingua-dialetto ancora ampiamente dominanti nel periodo. In generale emerge una tendenza ancora
“purista” della lingua dei giornali che guarda con sospetto alla penetrazione del dialetto o
dell’italiano regionale. Spesso una valutazione negativa del dialetto è palesata dal giornalista-
narratore che ne prende le distanze sia con chiari riferimenti sia accentuando ulteriormente i tratti
dello standard:

TITOLO: Alla scuola di zietta Liù i bimbi diventano attori


ARTICOLO: [...] Il ragazzino si impazientì e gridò: «Me vulite o nun me vulite?». “Zietta Liu” gli disse che
sì, lo voleva, ma avrebbe dovuto pensarci un po’ su, per colpa del dialetto troppo autenticamente napoletano

15
Sull’esclamazione romana ahò! cfr. D’Achille / Giovanardi (2001: 38).
16
Sugli elementi diatopicamente marcati nei quotidiani cfr. Dardano (1973: 256-257).

5
che egli parlava. Ma Luigi non si perse d’animo, e risolse tutto con un: «Nun ve preoccupate, nce mettimme
d’accordo». Come resistere a un simile attacco? La Bartorelli capitolò, benché temesse di poter ricavare ben
poco da quella materia grezza che aveva davanti. Ma si sbagliava. Per “risciacquare” il vernacolo di Luigi
ci volle, è vero, un anno buono, ma il gioco valeva la candela: Luigi Uzzo, diventò poi, in breve tempo, uno
dei migliori della compagnia (OG, 27- 09- 1951, XXXIX, p. 19, cr.it.).

Il dialetto è valutato come fattore discriminate e come varietà da superare sul fronte comunicativo:
ciò è ulteriormente accentuato dal giornalista attraverso il riecheggiamento manzoniano
nell’espressione risciacquare il vernacolo. Il superamento del dialetto troppo autenticamente
napoletano porterà, in questo caso, a una promozione sociale all’interno del contesto considerato.

2.2 Rotocalchi televisivi anni Cinquanta e Sessanta

Il reciproco influsso tra media cartacei e media audiovisivi si può rintracciare anche
all’interno delle pagine dei rotocalchi degli anni Sessanta:

TITOLO: Un irriducibile spirito giornalistico ravviva e turba l’ambiente della televisione


ARTICOLO: La stampa italiana non ha nulla da temere dalla televisione, come non ha nulla da
temere dal cinema o da qualsiasi altro mezzo di svago o di informazione: anzi trae sempre maggiore
incremento proprio dal continuo progredire del cinema e della televisione. Soprattutto i settimanali
[…] rappresentano ormai, nella vita e nel costume del nostro Paese, qualcosa di profondamente
radicato e insostituibile: in questo dopoguerra (perché non dirlo?), hanno contribuito in misura
enormemente superiore a quanto generalmente si creda alla elevazione del livello intellettuale e
civile degli italiani: merito sottovalutato o misconosciuto (OG, 05-11-1961, XVII, p. 7)17.

Nei rotocalchi televisivi di questi anni18, dal punto di vista più strettamente linguistico,
possiamo osservare come l’ascendenza e l’effetto di modellamento dell’archetipo cartaceo rispetto
all’epigono televisivo si rintraccia da un lato nella conservazione dei tratti dello standard nella
produzione locutiva del giornalista, dall’altro nella penetrazione di alcuni tratti dell’oralità al fine di
garantire un’obiettività referenziale. Il parlato ‘apparentemente reale’, colto in presa diretta, nelle
interviste a persone comuni, non solo consente di animare il contesto, ma rappresenta l’equivalente,
sul piano tattico, della ricerca di un rapporto più stretto con il pubblico. Se questa è una tendenza
che accomuna i due media, nel rotocalco televisivo il testo riportato non tollera interventi
manipolativi del giornalista, che non siano veri e propri tagli censori. La sintonia col telespettatore
può essere ottenuta anche suggerendo percorsi metatestuali che svelano la preparazione del servizio
17
Per quanto riguarda i criteri di trascrizione del parlato televisivo sono state utlizzate le seguenti convenzioni
tipografiche: //= fine di enunciato dichiarativo (anche fine turno); /=pausa, cambio intonazione; ?= fine di enunciato
interrogativo; != fine di enunciato esclamativo; … = intonazione sospensiva; [ ]= commenti paralinguistici e
situazionali; < > = sovrapposizione di turno; [xxx]= parola o parte di parola di difficile trascrizione; := allungamento di
finale dovuta ad esitazione; MAIUSCOLO= fenomeni di enfasi. Cfr. Atzori (2002: 55-56; 59-60).
18
Il primo rotocalco televisivo nasce nel 1962 con la trasmissione RT di Enzo Biagi. Il programma si basava su tante
piccole inchieste della durata di quindici minuti che trattavano argomenti di politica nazionale e internazionale, di
cronaca e di costume, ma soprattutto portavano alla luce delle telecamere gli aspetti più umani, psicologici e familiari
delle vicende. RT ebbe nove puntate, andò in onda dal 31 marzo al 21 luglio1962, il sabato sul Secondo canale, la
domenica in replica sul Nazionale. Cfr. Grasso (2002:628).

6
giornalistico stesso:

GIORNALISTA: Non è un mistero che le interviste vengano girate diverse volte per scegliere poi la migliore.
Anche noi abbiamo ripetuto l’intervista, ma nel frattempo si sono avvicinati due sconosciuti. Sentite come
cambia il tono delle risposte (Rapporto Corleone, RT 1962).

Il «parlato-scritto letto ad alta voce» dei conduttori si alterna dunque al «parlato-parlato»19 delle
interviste a parlanti meno colti - o comunque non abituati a prendere la parola in pubblico - al fine
di ottenere la «strumentazione della credibilità dell’evento»20. Ciò tuttavia determina l’affioramento
della diatopia (nella forma del dialetto o dell’italiano regionale) che, pur essendo utilizzata a fini
espressivi o mimetico-identitari21, non viene accolta in maniera neutra, ma viene spesso valutata
negativamente, come si è già visto nei rotocalchi cartacei. Ciò è evidente nell’intervista a Carmelo
Rizzotto, padre di Placido Rizzotto, ucciso a Corleone, in Sicilia, dalla mafia. Il servizio si divide in
parti commentate dal giornalista, in cui si rintracciano espedienti di matrice letteraria, e parti
lasciate invece alla voce degli intervistati. Evidenti sono i commenti valutativi, da parte del
giornalista, riguardo al parlato dell’intervistato anziano, diastraticamente e diatopicamente
connotato: nel suo dialetto chiuso e accorato/ Carmelo Rizzotto/ racconta come suo figlio fu
sequestrato:

GIORNALISTA: nel suo dialetto chiuso e accorato/ Carmelo Rizzotto/ racconta come suo figlio fu sequestrato
[…]Ma lei in quei giorni come lo seppe che era veramente morto suo figlio? Chi gliel’ha detto?
CARMELO RIZZOTTO: dopo fu/ dopo tempo si sappi chi furono l’assassini…dopo vintun misi//
GIORNALISTA: ma lei quel giorno ha soltanto immaginato che era morto […] perché non tornava?
CARMELO RIZZOTTO: non tonnava più!
GIORNALISTA: ma chi è stato che…che ha buttato giù suo figlio?
CARMELO RIZZOTTO: ammeno/ u prucessu dichiara…
[Interviene la voce del giornalista che si sovrappone alle parole dell’intervistato per spiegare al telespettatore
la dichiarazione di Carmelo Rizzotto]
GIORNALISTA: il padre del sindacalista ucciso dice che i carabinieri trovarono suo figlio su indicazione di
due abitanti di Corleone/ Pasquale Criscione e Vincenzo Collura…
CARMELO RIZZOTTO: Riggiu e Criscione/ anzi ch’ù dissiru! Com’è che u denunzianu a Pasquale Criscione
e m’ha fattu ‘a cunfessione?
GIORNALISTA: questi due avrebbero anche confessato ai carabinieri di essere stati i complici del delitto//
(RT, 1962).

Non rinunciando al mito dell’obiettività, di fronte a un parlato fortemente marcato in diatopia22 il


servizio viene costruiDto lasciando in sottofondo le parole dell’intervistato in maniera udibile, ma

19
Sulle varietà intermedie fra scrittura e oralità dell’italiano televisivo cfr. Diadori (1994).
20
Dardano (1981: 465).
21
Cfr. Romano (2011).
22
Nell’esempio riportato, per quanto concerne i tratti fonetici, si può osservare accanto ai diffusi tratti peculiari del
sistema vocalico siciliano per cui ī, ĭ ed ē > i (vintun misi, dissiru) e ō, ŭ e ū > u (prucessu, fattu, cunfessione, dissiru)
fenomeni fonetici consonantici quali l’assimilazione della laterale alla nasale (in tonnava>tornava e ammeno>almeno);
sul piano morfosintattico si può osservare la collocazione del verbo in fondo alla frase (dopo fu); l’uso dell’oggetto
preposizionale (denunzianu a Pasquale Criscione); la preferenza accordata al passato remoto piuttosto che al passato
prossimo (Riggiu e Criscione anzi ch’ù dissiru!). Per un quadro sintetico delle varietà regionali cfr. Telmon (1993: 93-
150).

7
non comprensibile, mentre il giornalista interviene, attraverso didascalie narrative, per proporre al
telespettatore ‘traduzioni’ o ‘parafrasi riassuntive’ di quanto riferito dall’intervistato.
In alcuni casi invece il ricorso al dialetto rivela la sua finalità univocamente espressiva. Si osservi il
fine parodistico del seguente inserto in cui il napoletano rappresenta solo una nota di colore:

[Intervista al principe De Curtis]


GIORNALISTA: Dunque, siamo andati al…via Santa Maria Antesecula, dove è nato Totò//
TOTÒ: La via della mia prima giovinezza…l’ho passata lì [...] fino a vent’anni…
GIORNALISTA: Era un giovanottello! […] Sa chi abbiamo trovato? La figlia di un fornaio che sta accanto al
numero centosette che ha detto: «Dicinticelloo…!»
TOTÒ: Eheheheh …dicinticelloo…!
GIORNALISTA: Adesso vedrà// [viene proposta l’intervista alla fornaia]
FIGLIA DEL FORNAIO: Dicinticello ch’a iu songho a figghia do’ furnaru do vicu i San Felice…a figghia do
farinariello… Tanello o farinariello… si ricorderà. E come! (Dieci minuti con Totò, TV7 del 1963).

L’intento caratterizzante è confermato dal ricorso alla varietà diatopica ben nota al pubblico
nazionale, grazie alla lunga tradizione teatrale. Non a caso il fulcro del frammento proposto è
l’elemento lessicale Dicinticello!, divulgato dalla canzonettistica partenopea e qui riprodotto in
maniera cataforica ed evocativa dal giornalista, per poi essere ripreso scherzosamente
dall’intervistato, fino a costituire l’incipit della battuta, fortemente marcata in senso regionale, della
figlia del fornaio. In generale il frammento riportato è indicativo di un’altra tendenza. La
costruzione del servizio giornalistico nei rotocalchi televisivi punta ad acquisire, in nome di
un’obiettività referenziale, una certa capacità mimetica, grazie all’inserimento di espressioni della
lingua parlata, caricate di valori connotativi. Si tratta di una fenomenologia varia che comprende,
oltre a parole espressive di origine popolare, forme scherzose, iperboli, rifacimenti di proverbi e
detti popolari, luoghi comuni variamente adattati23.

3. I rotocalchi cartacei negli anni Settanta e Ottanta

Negli anni Settanta e Ottanta il «parlato scritto-letto ad alta voce»24 dell’informazione e


dell’intrattenimento acculturante della TV penetra nei rotocalchi cartacei e intacca il livello
morfosintattico determinando una varietà di “scritto oralizzato”. La struttura sintattica dell’articolo
si allenta demandando la costruzione del testo a sempre più ampi e frequenti innesti di discorso
riportato, ancora utilizzati sia come registrazione del parlato reale, sia come strumento per uno stile
brillante. In alcuni casi è immediato il fine impressivo del discorso riportato, soprattutto nell’incipit
dell’articolo:
Il bubbone era scoppiato nel febbraio scorso, all’inizio del mese. Gli uomini dell’ufficio stampa e dei
servizi di sicurezza di Buckingam Palace vennero informati, un brutto pomeriggio, che Stephen
Barry, 37 anni, ex cameriere personale di Sua Altezza il principe Carlo, era affetto da aids e si

23
Dardano (1973: 257) rileva tali tendenze anche nella lingua dei quotidiani italiani.
24
Cfr. Diadori (1994).

8
trovava ricoverato al St. Stephens Hospital di Chelsea. Agli austeri funzionari in abito scuro mancò il
fiato. «I giornali sono già al corrente della faccenda?», chiesero. «No», fu la risposta, «ma non è
storia che possa essere tenuta segreta a lungo. Datevi da fare». E i funzionari si diedero da fare
(OG, 22-10-1986, XLIII, p. 16, cr.es.).

Si nota in questo caso non tanto un tentativo di mimesi, ma un’autentica messa in scena
teatralizzante del parlato. Dopo l’apertura affidata a una metafora impressiva (il bubbone era
scoppiato…) si procede con una narrazione di stampo letterario, evidente nel ricorso al passato
remoto come tempo narrativo. Questo stilema, tuttavia, è in contrasto con le scelte lessicali
(faccenda) e i sintagmi frasali (datevi da fare) di stampo colloquiale nonché con il tratto
morfosintattico neostandard della frase scissa (non è storia che possa essere tenuta segreta…).
Tra gli anni Settanta e Ottanta i rotocalchi attraversano una fase che potremo definire
“imitativa” e “modellizzante” insieme. Il momento di svolta del passaggio dalla paleo- alla
neotelevisione incide significativamente: il modello predominante non è più la letteratura, come lo
era stato in passato, ma è la televisione, e soprattutto la televisione commerciale, di cui i rotocalchi
subiscono il fascino e la concorrenza, in particolare nel senso di una maggiore scioltezza nel
porgere le notizie, e soprattutto di un incrementato coinvolgimento del lettore nella vicenda narrata.
I settimanali sembrano assorbire la dinamica dello «specchio a due raggi» teorizzato per la
televisione da Masini (2003), riproiettandola a loro volta sui quotidiani e sullo stesso medium
televisivo. Il gioco di interrelazione tra quotidiani, stampa periodica e altri media si infittisce: da un
lato si assiste al processo di «settimanalizzazione del quotidiano»25, dall’altro il rotocalco, si
indirizza verso il piccolo schermo aumentando progressivamente lo spazio riservato alle iniziative
del video26. I rotocalchi vengono coadiuvati nella concorrenza con la TV proprio dalla mimesi
dell’immagine che li rende più vicini, rispetto al giornale quotidiano, ai telespettatori- lettori.
Ciò spiega in questi anni una penetrazione più compatta delle forme dell’italiano neostandard che
tendono a eliminare i tratti residui dello standand, attivando un processo di rinnovamento
linguistico che sarà tuttavia portato a compimento solo alla fine degli anni Ottanta. Spie
linguistiche di tale influenza sono ancora una volta il sistema pronominale e i tratti di sintassi
marcata. Nello specifico si assiste a un decisivo decremento della forma egli a cui corrisponde
simmetricamente un progressivo aumento della forma lui durante gli anni Settanta e un decisivo
assestamento durante gli anni Ottanta27. Il pronome lui occorre con enorme frequenza nel discorso
diretto riportato, senza essere censurato dal giornalista che a questa altezza cronologica mira a
riprodurre in maniera credibile i discorsi degli intervistati, non a caso virgolettati:
25
Dardano (2008).
26
Ajello (1976: 223).
27
Nel corpus scrutinato sono state attestate 116 occorrenze (di cui 53 nel settimanale «Oggi» e 63 nel settimanale
«Gente»). Per entrambi i rotocalchi la distribuzione delle occorrenze appare equilibrata negli anni presi in
considerazione. Si conferma quanto rilevato da Bonomi (2002: 195).per i quotidiani, per cui egli appare in minoranza
rispetto alla forma lui con una percentuale di poche unità di egli contro alcune decine di lui.

9
TITOLO: “Mamma mi devi promettere di non farmi più vedere papà”
ARTICOLO: […] «Voleva venire con noi» dice la donna […].«Le bambine si sono spaventate e non
hanno voluto neanche fare il bagno. Volevano andar via a tutti i costi. Così le ho fatto rivestire e
siamo uscite. Lui ci seguiva sempre come un poliziotto. E allora sa cosa ho pensato? Gli ho fatto
credere che si tornasse a casa: lui c’è cascato e si è avviato davanti a noi col camion [...]. Pareva
davvero matto ma a me non faceva paura. Lui urlava e io pure» (GN, 13-07-1973, XXVIII, p. 102,
cr.it.).

Ancora più evidente il rispetto per il parlato reale nel mancato ritocco della sintassi. La
fenomenologia della sintassi marcata nel suo complesso si addensa negli articoli in cui viene
preferita la struttura a intervista e la testualità viene costruita attraverso un «mosaico di citazioni»28.
È il caso di un articolo riguardante le conseguenze di una nube tossica che aveva colpito Seveso
negli anni Settanta. Nelle interviste alle donne in gravidanza si registra un’alta frequenza di
dislocazioni a sinistra (3 occ.) e di frasi scisse (2 occ.), che si estendono anche alla scrittura del
giornalista (È qui che i medici prendono in esame...la situazione; sono loro che hanno voglia di
parlare):

Per vivere da vicino il dramma, le angosce e le paure delle donne di Seveso e degli altri comuni
inquinati dalla nube, ho trascorso una giornata nell’ambulatorio ginecologico. Ho parlato con i
medici, ma soprattutto con le donne che sono venute a farsi visitare [...]. È qui che i medici prendono
in esame, insieme alle pazienti, la situazione di ognuna di loro e forniscono spiegazioni e consigli sul
da farsi […]. Da principio il colloquio è difficile perché le mie due interlocutrici sono un po’
imbarazzate e rosse in viso [...]. Ma pian piano il discorso continua e dopo un po’ mi accorgo che
adesso sono loro che hanno voglia di parlare, di confidare a qualcuno i difficili momenti che stanno
vivendo [...]. Dice Graziella Antoniazzi: «[...]Perché io questo quarto bambino l’ho desiderato
nonostante la mia età, e desidero anche quello che metterà al mondo mia figlia [...]. Forse lei dirà
che sono un po’ incosciente, ma io tutti questi pericoli non li vedo, non riesco a sentirli» [...]. «I
medici mi hanno detto di stare tranquilla», inizia a raccontarmi Liliana [...]. «Sono anni che io e mio
marito sogniamo di avere questo bambino [...]. «Ho una bambina di 4 anni e ho avuto anche un
bambino che è morto poco dopo la nascita», mi dice Carmela. «Questo figlio io e mio marito
l’abbiamo cercato, lo vogliamo» (OG, 16-8- 1976, XXXIII, p. 65, serv.).

Come nei decenni precedenti, il discorso riportato è il luogo in cui affiorano le varietà
regionali o dialettali. L’influsso televisivo si percepisce anche in questo ambito: la componente
diatopica viene utilizzata per caratterizzare un tipo umano o per rendere un personaggio famoso più
vicino alla realtà quotidiana dei lettori. Esemplificativi risultano alcuni frammenti testuali:

E Nada, toscana dalla risposta svelata: «Io, il “moroso” non ce l’ho» […] «Non c’è mica niente tra
me e lui. Oh che vi frulla per la testa? [...]. Io, al domani, ‘un ci penso, capito? [...]. C’è stata anche,
‘un lo nascondo, la pecora nera, in famiglia. La mi’ nonna. Mica che ‘un pò succedere. Se n’è
scappata di casa a quattordici anni, per sposarsi col mi’ nonno (OG, 28-12-1970, LII, p. 43).

Il discorso riportato della cantante Nada è caratterizzato - come rilevato dallo stesso giornalista
(Nada, toscana dalla risposta svelata) - da tratti afferenti alla varietà toscana colloquiale sia a

28
Cfr. Dardano (1973: 469).

10
livello lessicale (mica, moroso, frulla) sia a livello fonosintattico, come l’aferesi (‘un lo nascondo) e
le apocopi postvocaliche (in questo caso degli aggettivi possessivi la mi’ nonna… col mi’ nonno),
fenomeni questi connotati sia sul piano diafasico (essendo preferiti nei registri meno accurati) che
su quello diatopico29.
In un altro articolo la connotazione diatopica settentrionale caratterizza il parlato di un personaggio
storico importane, ossia il primo ministro donna in Italia, Tina Anselmi:

TITOLO: C’era una volta a Castelfranco una bella bambina, figlia di contadini.
E finalmente il Chicco gridò: «Arriva la zia...Mamma, metti in tavola la pasta e fagioli [...]. Mi
chiami signorina, mi chiami Tina, faccia come le vien [...]. «Tina, finalmente ti vedo», gridò una
donna dal cascinale […]. Era una contadina. Il ministro le disse: «Vien giù a darmi un bacin» [...].
Restammo in giardino un po’. Arrivò il postino, portava i telegrammi. «Mamma mia, ancora quanti!»,
commentò. «Ieri ne sono arrivati millecinquecento. Mi han detto che a Roma ne ho la scrivania
coperta». Squillò il telefono. Rispose il Chicco [...]. Il Chicco gridò: «Zia è il Piero». Il ministro mi
lasciò: «Il Piero devo salutarlo, mi scusi [...]» (OG, 16-08-76, XXXIII, p. 9, pol.).

Il tentativo di una rappresentazione più ‘domestica e familiare’ è già evidente nel titolo (C’era una
volta a Castelfranco una bella bambina…), ma tutto l’articolo è intessuto da tratti marcati in
diatopia. A livello fonosintattico possiamo osservare il troncamento indotto dal condizionamento
diatopico della varietà settentrionale: faccia come le vien…vien giù a darmi un bacin…mi han detto
che a Roma…). A livello morfosintattico si può notare l’uso dell’articolo determinativo davanti al
nome proprio: il Chicco… il Piero. Anche in questo caso la connotazione diatopica dell’intervistata
è palesata nelle annotazioni metatestuali del giornalista, allorché si legge all’interno dello stesso
articolo:

Qua e là parlava in dialetto veneto. Anche durante l’intervista, ogni tanto, parlò in dialetto. La scrutai
ancora, cercando la donna della storia. Trovavo soltanto la zia Tina (GN, 16-8-1976, XXXIII, p. 43,
cr.it.).

Il rotocalco cartaceo degli anni Settanta e Ottanta non si apre solo a tratti diatopicamente
marcati, ma si presenta come un caleidoscopio linguistico, accogliendo numerosi prestiti, sia
francesismi che anglicismi, non ancora acclimatati e pertanto marcati graficamente. Si rilevano così,
in corsivo o con le virgolette, francesismi provenienti dal mondo del cinema quali troupe (GN 13-
07- 1973, XXVII, p. 8, cr.it.) o della gastronomia come buffet (GN, 13- 07- 1973, XXVIII p. 44,
serv.) menu (GN, 13-07- 1973, XXVIII p. 24, cr.it.), dessert (GN, 13-07- 1973, XXVIII p. 24, cr.it.)
o anglicismi quali leader (GN, 16-8- 1976, XXXIII, p. 8, corr. es.), love-story (GN, 13-07- 1973,
XXVIII p. 16, cr.it.), scoop (GN, 13-07- 1973, XXVIII pp. 18, cr.it.) playboy (GN, 13-07- 1973,
XXVIII p. 10, cr.it.) e persino, marcato in corsivo negli anni Settanta, il termine ormai d’uso

29
Cfr. Marotta (1995).

11
comune computer30. Ancora nella metà degli anni Ottanta non vengono percepiti come acclimatati,
e quindi sono evidenziati in corsivo nel corpo nel testo giornalistico, anglicismi quali killer (GN,
24- 10- 1986, XLIII, p. 10, 12, cr.it.), metal- detector (GN, 24- 10- 1986, XLIII, p. 11), racket (GN,
24- 10- 1986, XLIII, p. 11) reporter (GN, 24- 10- 1986, XLIII, p. 32, serv.), fino a giungere
all’ibrido ortografico aula-bunker (GN, 24- 10- 1986, XLIII, p. 10, p. 12) in cui la parola italiana
aula è in tondo, mentre la parola inglese bunker è in corsivo.
In alcuni casi l’elevata occorrenza di prestiti all’interno dell’articolo è probabilmente determinata
da una registrazione ‘diretta’ del parlato. Risulta interessante come in GN, 12-09- 1980 (XXXVII,
p.15, 18 cr.es.), essendo intervistata un’attrice francese originaria di Algeri (come si specifica
nell’articolo) i prestiti siano prevalentemente francesismi quali arrondissement, coiffeur, foulards,
anche se non mancano anglicismi quali nurse (2 occ.), nursery (2 occ.)31:

[Intervista a Marléne Jobert] Splendente di felicità, Marléne Jobert...ci ha ricevuti nella casa di
campagna di Corbeil, ad una trentina di chilometri da Parigi, dove trascorre la estate con le sue
gemelline [...] nate il 6 luglio scorso in un ospedale del quattordicesimo “arrondissement” di Parigi
[...]. «Avevo, curiosamente, un solo timore, anche se stupido: che mi rapissero le bambine alla
“nursery” [...]. Ci sono riuscita con l’aiuto della mia “nurse”. Quando sono in piedi le prendo una
dopo l’altra e le tengo come fanno le madri algerine (io, lo sa, sono nata ad Algeri): sorrette con
l’aiuto di due “foulards” al mio seno [...]. Sì, ho chiesto a Jacques Cousty, il mio “coiffeur”, di
studiare un taglio che sia pratico, poco sofisticato e che mi ringiovanisca» (GN, 12-09- 1980,
XXXVII, p.15, 18 cr.es.).

In alcuni casi il discorso riportato presenta una produzione mistilingue dell’intervistato:

TITOLO: Pensione a Capri: per Villaggio e famiglia 600 mila lire al giorno
ARTICOLO: I vip, come al solito, vanno e vengono. «Gli Onassis e i Niarchos la punta caprese la fanno ogni
anno», mi dice il cantante Scarola, la “voce” di Capri […]. «Niarchos quando arriva nun vuò sentì a nisciuno.
Manda a chiamare solo me. Io gli dico: “Me so’ fatto vecchierello, commendatò, yold man”. E lui: “You never
old, Scarola, tu mai vecchio”. Troppo buono, commendatò”, rispondo. E mi metto a cantare (GN, 06-09, 1976,
p. 28 cr.it.).

Allocuzioni (commendatò) e interi sintagmi frasali (nun vuò sentì a nisciuno…me so’ fatto
vecchierello), peculiari della varietà napoletana, si intrecciano a termini inglesi (vip, old) di cui il
giornalista cerca di rendere graficamente, in certi casi, l’errata pronuncia (il termine inglese old
trascritto in yold).
Nel gioco di interrelazione tra quotidiani, stampa periodica e televisione, che caratterizza la società
dell’informazione negli anni Settanta e Ottanta, è anche possibile rintracciare nelle pagine del

30
Riportiamo qui di seguito il contesto in cui occorre la parola “computer” marcata in corsivo: Il professor Benedetto
Nicoletti, della facoltà di medicina e dell’Istituto di biologia dell’università di Roma, si è messo in contatto telefonico
con un laboratorio specializzato americano […]. Gli manderanno via aerea tutti i dati memorizzati da un computer sulle
caratteristiche dei defolianti come la diossina (GN, 16-8-1976, XXXIII, p. 18, serv.).
31
Nel caso di nurse (e del suo derivato nurcery) ci troviamo di fronte ad un anglicismo (la cui prima attestazione risale
al 1905) derivato dal francese antico nurice (a sua volta dal latino tardo nutricia derivato da nutrix,-icis). Cfr. GRADIT,
s.v.

12
rotocalco osservazioni di tipo linguistico sul rapporto tra scritto e parlato32:

OCCHIELLO: Un vocabolario per parlare in perfetto italiano


TITOLO: Ma chi se ne importa
Sottotitolo: Mentre a «Canzonissima» vince un titolo sgrammaticato, la RAI pubblica un «Dizionario
d’ortografia e pronuncia» (redatto da un gruppo di linguisti, contiene centomila vocaboli) che si
propone di aiutarci nel corretto uso degli articoli e dei plurali
ARTICOLO: Non illudiamoci che basti per insegnarci una buona pronuncia. Gli italiani
continueranno a dividersi in due categorie: quelli che parlano il dialetto e quelli che parlano l’italiano
con evidenti inflessioni, cadenze e storture dialettali. Forse alla lunga, anche per merito del nuovo
dizionario, le voci del microfono aiuteranno gli italiani a trovare un certo accordo nell’uso della
lingua nazionale. Ma per ora, proprio attraverso i microfoni, se ne sentono delle belle e, fra
intervistati e intervistatori, salta fuori tutta la ricchezza del nostro folclore regionale. Contentiamoci
intanto di avere imparato dalla Rai il nome del più celebre interprete di «007» si scrive Sean e si
pronuncia Sciòn; che il nome della seconda città degli Stati Uniti, Chicago, suona Scicàgo; che la
regione dove si trovano capo Kennedy, Miamai e Palm Beach (Maièmi, e Pàam Bìic: «c» come in
«cena») è detta Flòrida, anche se l’originale vocabolo spagnolo che significa «fiorìta» si pronuncia
Florìda; infine che il piccolo Stato dell’America Centrale dove qualche giorno fa il generale TorriJos
è tornato nella sua poltrona di dittatore dopo il fallito colpo di Stato dei suoi colonelli si chiama
Panamà (ma noi potremo continuare a dire panama per indicare lo speciale cappello estivo caro agli
elegantoni di un tempo) (OG, 20-01-1970, III, cr.it, p. 70).

Per quanto concerne il livello sintattico si può osservare una generale tendenza alla brevità nel
tentativo di alleggerire la sequenze periodale. In particolare il periodo monoproposizionale33 risulta
abbastanza vitale nella scrittura del settimanale popolare di questi decenni. Il tipo costituito da una
successione di frasi semplici, complete, separate da punto fermo (in alternanza con periodi
paratattici e ipotattici) occorre prevalentemente nella cronaca, soprattutto nel discorso diretto ed è
caratterizzato sovente da una fitta punteggiatura e da un dettato breviloquente e rapido34:

Il pellegrinaggio dura da una settimana, da quando si è sparsa la notizia del miracolo che è avvenuta
un mese fa, la notte del 28 gennaio. Racconta Enza La Tona in una parte del suo diario: «Era la notte
del 28 gennaio. Stavo per addormentarmi. Avevo appena letto alcune pagine di un libretto intitolato
La vera grandezza di padre Pio. Dieci minuti dopo sentii battere alla porta tre colpi. Mi sembrava
che stessi sognando. Aprii gli occhi e vidi davanti a me padre Pio. Fui presa dalla paura. Riuscii a
riprendermi dallo choc e dissi: “Siete proprio voi, padre Pio?”. Ed egli mi rispose: “ Sì, sono proprio
io, figlia mia, padre Pio da Pietralcina”. Subito dopo accanto a padre Pio comparvero due figure
incappucciate vestite da monaci» (OG, 10-03-1970, X, p. 79, serv.).

3.2 I rotocalchi televisivi degli anni Settanta- Ottanta

Il corpus di riscontro, costuito dai rotocalchi televisivi tra gli anni Settanta e Ottanta
mostrano una tendenza verso la stilizzazione della colloquialità: «l’animazione degli stereotipi»35,

32
Sull’incidenza delle varietà diamesiche nella penetrazione dei prestiti nella lingua italiana cfr. Dardano (1978).
33
Per un’ ampia descrizione del periodo monoproposizionale cfr. Bonomi (1994 e 2002).
34
Cfr. Dardano (1973: 288).
35
Cfr. Dardano (1973: 243).

13
fattore fondamentale del «discorso brillante» 36 , viene perseguita attraverso lo scambio dei
sottocodici e l’uso espressivo di tratti del parlato. Le espressioni tratte dalla lingua parlata
consentono di presentare la notizia in modo vivace, coinvolgendo il telespettatore attraverso
l’imitazione della lingua di tutti i giorni.
Un’ evoluzione diacronica è segnata dall’organizzazione testuale del servizio giornalistico: si passa
dal «mosaico di citazioni» degli anni Sessanta-Settanta, in cui trovano spazio i frammenti frasali
dell’ «uomo comune colto in situazione»37, a un ampliamento della ‘struttura ad intervista’ rivolta a
personaggi famosi negli anni Ottanta. L’azione modellizzante, in tal senso, è determinata dalla
trasmissione Mixer (in onda dal 1980 al 1998) che prevede al suo interno “cento minuti di TV”
suddivisi in sei segmenti, uno dei quali dedicato al Faccia a faccia con un personaggio famoso del
mondo della politica o dello spettacolo38. La dimensione strutturata dell’intervista riconduce il
programma a un «parlato controllato»39 e determina pertanto una stilizzazione della produzione
linguistica sia del conduttore che dell’intervistato:

MINOLI: [introduzione]: Indro Montanelli, settantasei anni toscano/ giornalista/scrittore /due lauree
[…]famiglia di tradizione liberale/studi parigini ed esordi giornalistici in Francia come cronista di
nera […]// Di lui/il Voltaire della Toscana/ hanno detto tutto il male e il bene possibile//non ci sono
vie di mezzo/ o lo si ama o lo si detesta […]// Hanno detto che ha scritto tutto e il contrario di
tutto/quando parla divide/quando insulta viene fuori il fegatoso toscano […]Lui si dichiara coerente e
dice di se che è stufo di avere ragione//Ecco…ma stufo di avere ragione su cosa per esempio oggi?
MONTANELLI: Ma…eh… su un certo andazzo…beh…noi nascemmo proprio come giornale per
fare stecca sul coro/ e il coro/ lo ricorderai anche tu/ ecco a quel coro non mi sono mai associato//
MINOLI: Ecco…ma allora/ la coerenza che lei rivendica/ qual è?
MONTANELLI: La coerenza che rivendico è questa/ di essere sempre stato contro il coro//Lo fui
anche al tempo del fascismo perché noi eravamo un gruppo di frondisti che credevamo di essere
fascisti//invece non eravamo fascisti/ ce ne accorgemmo e a un certo momento finì//
MINOLI: Ecco / ma qual è il conformismo di oggi cui lei si sente contro / allora?
MONTANELLI: Mah […] il conformismo di oggi è il pentimento […]// Il pentimento però venne
prima che il fascismo puzzasse di morto// (Intervista di Minoli a Montanelli, Mixer, 1985).

In questo “parlato stilizzato” rientrano sia gli andamenti tipici dello stile giornalistico, quale il
ricorso allo stile nominale (ottenuto attraverso l’affastellamento di sintagmi nominali: Indro
Montanelli, settantasei anni toscano/ giornalista/scrittore /due lauree…), sia i cliché linguistici
(tutto e il contrario di tutto) anche quando occorrono con lievi modifiche dall’originale (o lo si ama
o lo si detesta). Non sono assenti espressioni colloquiali come stufo di avere ragione la cui

36
Cfr. Dardano (1973: 129).
37
Cfr. Dardano (1981: 465).
38
Si ricordi a tal proposito lo spazio dedicato al “faccia a faccia” all’interno della trasmissione Mixer condotta da
Giovanni Minoli. La formula originaria della trasmissione prevedeva "cento minuti di TV" suddivisi in sei segmenti: la
prima parte prevedeva un confronto, spesso acceso, tra due personaggi di grande rilievo; la seconda parte riguardava un
servizio sul cinema curato da Leo Benvenuti; la terza parte era dedicata allo spettacolo ed alla cultura, curata da Isabella
Rossellini; il quarto segmento aveva per oggetto la musica e lo sport ed era curato dal giornalista Gianni Minà; la quinta
parte era il cosiddetto "faccia a faccia" condotto da Giovanni Minoli; la conclusione del programma era affidata ad un
cabarettista.
39
Cfr. Diadori (1999: 15).

14
stilizzazione si fa evidente nel procedimento retorico dell’anadiplosi utilizzata per porgere la
domanda all’ospite. Anche nel parlato dell’intervistato si possono osservare alcuni colloquialismi a
livello lessicale (un certo andazzo) e fraseologico (stecca sul coro) ripresi con chiari fini
espressionistici e incastonati in una produzione di parlato standard. Lo conferma, sul piano
morfosintattico, l’uso del passato remoto e il ricorso al congiuntivo per l’espressione colloquiale
puzzare di morto (prima che il fascismo puzzasse di morto). Risponde a una strumentazione
tipicamente giornalistica a fini espressivi «il prolungamento del traslato»40 fare stecca sul coro…
essere sempre stato contro il coro che occorre nel parlato dell’intervistato e che procede in
dimensione sintagmatica: nello stesso testo il traslato è ripreso mediante la ripetizione e lo sviluppo
della stessa immagine.

4.1 I rotocalchi cartacei degli anni Novanta e degli anni Duemila

Negli anni Novanta e negli anni Duemila è ancora più evidente il reciproco influsso tra i
media: il rotocalco cartaceo tiene conto dei media elettronici, a cui già a partire dagli anni Novanta
comincia a guardare, in un primo momento con diffidenza, perseguendo la logica del
distanziamento, ma in un secondo momento nel tentativo di imitarli mirando a catturare un pubblico
più ampio di lettori. In questi ultimi decenni i rotocalchi attraversano una “fase di
drammatizzazione”, testualmente rappresentata da uno “scritto spettacolarizzato”, in cui
spesseggiano fenomeni già diffusi nella lingua comune che - ed è quello che maggiormente ci
interessa - sono penetrati nella scrittura giornalistica anche attraverso l’uso massiccio del discorso
riportato41.
A livello morfosintattico, si può osservare l’acclimatamento e poi la sedimentazione di fenomeni e
costrutti che si erano già rilevati nelle decadi precedenti e che adesso depongono a favore di una
compatta presenza delle forme neostandard. Nell’ambito della sintassi marcata si registrano alcune
tendenze innovative, legate all’inserimento di nuovi frammenti frasali che dilatano il costrutto e
riarticolano l’intera sequenza. È il caso di un’incidentale tra parentesi, in cui trovano spazio
valutazioni personali dell’intervistato sul contenuto del proprio enunciato:

«Mi piacerebbe, però, che una somma analoga (collettiva, non voglio impoverire nessuno) la sottoscrivessero
anche Santoro, Fazio, Dandini, Bignardi, Annunziata, Floris in modo da raggiungere le venti borse di studio».
(GN, 10-11-2009, p. 52, cr.it.).

Più in generale si può osservare sul registro lessicale un’elevata occorrenza di elementi enfatici
come, sul piano nominale, retroscena, scandalo, sfogo (OG, 10- 01-1996), confessioni bomba (OG,

40
Sugli aspetti del traslato nei giornali cfr. Dardano (1973) e Dardano (1994b)
41
L’espansione del parlato va posta in relazione con il grande progresso dei mezzi di registrazione della parola. La
possibilità di riascoltare un discorso o un dialogo fa sì che certi caratteri formali possano essere più facilmente immessi
nella lingua scritta. Cfr. Dardano (1973: 253).

15
10-01- 1996), o, sul piano dei determinanti, aggettivi e avverbi quali clamoroso, esclusivo
agghiacciante, atroce/atrocemente, sgomento, sbigottito, spietato. Nelle didascalie che introducono
il discorso riportato si può osservare come ai tradizionali verba dicendi (dice, risponde, afferma,
dichiara) si alternano, in varie occasioni, verbi o perifrasi verbali di carattere espressivo che creano
una maggiore resa icastica: sfogarsi, sbuffare, disperarsi, sbottare, scattare, incalzare, ringhiare
(OG, 10-01- 1996).
Accanto agli accrescitivi, diminutivi e vezzeggiativi che orientano la lingua dei settimanali verso
uno stile colloquiale, si rileva, a livello morfosintattico, il decisivo incremento delle forme elative di
ogni tipo, il cui impiego rispecchia l’esigenza di esprimere partecipazione empatica, condivisa da
giornalista e lettore. E mentre negli anni Novanta gli ultrasessantenni si sottopongono a
straordinari esperimenti scientifici (GN, 26-7-1990), cominciano ad essere preferiti i superlativi in
iper-42. E se, non a caso, l’espressione «lingua ipermedia» - utilizzata da Antonelli (2006) -
definisce il filone più significativo della letteratura degli anni Novanta, così anche la ragazzina in
questi anni è iperprotetta dai suoi genitori (GN, 26-4-1993) e il signor Eugenio è iperindaffarato
(GN, 6-6-1966).
La scrittura referenziale del giornalista propone sostanzialmente un italiano “unitario” dal
punto di vista geografico, talché sul piano morfosintattico non accoglie fenomeni indicativi di
varietà regionali circolanti nello scritto. La riscoperta del localismo e della massiccia
italianizzazione dei dialetti non sembra produrre, come invece accertato per l’intrattenimento
televisivo43, un recupero della componente diatopica come risorsa espressiva. Al contrario la lingua
del rotocalco sembra tendere alla globalizzazione, sacrificando l’elemento locale a favore di quello
globale. Anche laddove ci troviamo di fronte ad un’intervista ad un cantante neo melodico
napoletano quale Nino d’Angelo, che sulle canzoni in lingua ha fondato il suo successo, si può
notare una bassissima presenza dell’elemento diatopico, presente a livello lessicale (il
meridionalismo core e il settentrionalismo terrone) rigorosamente marcato dal punto di vista
grafico:

TITOLO: Nino: vi apro il mio “core” pazzo e innamorato


SOMMARIO: L’ostilità per il «terrone», la depressione da successo, la passione per moglie e
nipotina.
D’ANGELO: «Quando, nel’86, partecipai al mio primo Festival di Sanremo […] mi ero fatto
apprezzare dal pubblico per le mie canzoni del genere neo melodico [sic]. Da artista “terrone”
percepii un forte astio nei miei confronti, perché in quel momento rappresentavo una parte del Sud
che nessuno voleva […]
GIORNALISTA: Questa ostilità continuò anche dopo il Festival?
D’ANGELO: «eccome, al punto che un giornalista al quale rimproverai di non aver dato il giusto
rilievo al mio concerto all’Olympia a Parigi, mi disse: “Caro D’Angelo, fenomeni come lei

42
Cfr. Migliorini (1990: 151).
43
Cfr. Romano (2008) e Romano (2010).

16
bisognerebbe reprimerli”. Ma non fui perseguitato solo al Nord. Ci sono razzisti anche tra i
napoletani che mi consideravano con sufficienza per quel maligno snobismo culturale che umilia chi,
come me, ha bisogno di essere rassicurato
GIORNALISTA: E’ per questo che ha conosciuto la depressione?
D’ANGELO: «In realtà la depressione mi colse all’apice del successo, per un senso di
inadeguatezza al mio nuovo ruolo» (OG, 09-06-2010, XXIII, p.122-126, serv.).

Il discorso riportato del cantante, al contrario, abbonda a livello lessicale di termini e perifrasi
auliche (percepii un forte astio… maligno snobismo culturale… la depressione mi colse all’apice
del successo) nonché di una sintassi complessa che giunge fino al secondo grado di subordinazione
(al punto che un giornalista al quale rimproverai di non aver dato il giusto rilievo al mio
concerto…mi disse).
Nella decade in corso i testi lasciano intravedere in generale un appiattimento stilistico del
linguaggio verbale che si sottomette al linguaggio iconico. L’icasticità e la vividezza nella
narrazione si affidano più alle immagini che alle parole e il linguaggio tende a un livellamento
omogeneizzante:

TITOLO: L’ultimo abbraccio


SOTTOTITOLO: Dopo lo scandalo doping che ha travolto Alex Schwazer, Carolina Kostner è di
nuovo al suo fianco. Per un giorno. «Mi auguro che ritorni la persona serena che ho conosciuto
quattro anni fa», dice lei. E queste foto dicono il resto (OG, 30-08-2012, p. 18, cr. it.).

Si coglie un chiaro rimando, attraverso il linguaggio, all’elemento iconico che diventa parte
integrante del «pacchetto di informazione» con cui si costruisce l’articolo44.

4.2 I rotocalchi televisivi degli anni Novanta e Duemila

I rotocalchi televisivi di questi anni si caratterizzano un parlato che potremmo etichettare,


oltre che «serio semplice»45, come “brioso e figurato”, in quanto accusa da una parte la volontà di
recupero dello standard tradizionale (riportando in auge conduttori storici come Enzo Biagi), ma
dall’altra si propone come garanzia del nuovo standard linguistico già consolidato all’interno dei
rotocalchi cartacei. È un classico esempio di lingua variabile in cui affiora una marcata differenza
stilistica tra i testi dei vari decenni esaminati: il rotocalco degli anni Sessanta (RT, Tv7) aveva come
referente principale l’inchiesta cinematografica e ciò si percepisce nella grande cura del racconto
per immagini, nella viva attenzione al montaggio e nell’accuratezza del linguaggio con cui
venivano confezionati i servizi; il rotocalco del Duemila è linguisticamente più lassista, meno
preoccupato delle inquadrature, assoggettato alle leggi del talk show.

44
Cfr. Dardano (1994b: 215).
45
Cfr. Sabatini (1997).

17
I risultati complessivi dell’indagine morfosintattica ci mostrano inoltre come il parlato trasmesso
giornalistico dei rotocalchi si distanzi complessivamente poco dallo scritto giornalistico: si profila
insomma un sostanziale allineamento della lingua dell’informazione nei diversi media46.
Riportiamo un frammento della trasmissione RT del 30 Aprile 2007 condotta da Enzo Biagi,
frammento testuale che risulta emblematico poichè sul piano diamesico presenta le varietà di
parlato peculiari del trasmesso dei rotocalchi: il parlato – scritto (Enzo Biagi introduce il servizio
giornalistico leggendo un testo scritto) e il parlato controllato (l’intervista con un ospite in studio)47:

[Enzo Biagi intervista Daniela Luttazzi]


ENZO BIAGI: [Biagi introduce il servizio ‘biografico’ sull’ospite] Cambiamo argomento// Vi
presento adesso un personaggio/molto amato e molto discusso// Credo che non lo vediate da un po’
[Viene mandato in onda il servizio. Al termine del servizio inizia l’intervista a Luttazzi]
BIAGI: Caro Luttazzi/ siamo stati/diciamo così/colleghi in questi cinque anni come /epurati/ in tv e
penso che anche lei sarebbe contento di riprendere il lavoro in televisione//E così?
LUTTAZZI: Oh! Io non vedo l’ora! Innanziutto la ringrazio / dottor Biagi / di avermi invitato perchè
è la prima volta che mi capita di poter rispondere a domande/in RAI/…eh.. senza tema di essere…
tagliato/devo dire/quindi mi fa molto piacere questa cosa// […]
BIAGI: Lei non ha manifestato pubblicamente la sua delusione//Perchè?
LUTTAZZI [risatina d’imbarazzo]: eheheh…è carattere /direi /inoltre […] mi sono tolto di mezzo per
evitare che si accanissero anche se poi lo hanno fatto comunque…vabbè…il tempo è galantuomo! […]
BIAGI: Se avesse fatto televisione in questi anni / c’è qualche storia che avrebbe voluto raccontare?
(RT 30-04-2007)

Come si era anticipato il rotocalco televisivo è caratterizzato dal «parlato serio semplice» del
giornalista, tendente proprio a un «neostandard poco oralizzante»48. Ci troviamo di fronte a un
parlato mediamente formale, come si evince dalla salda tenuta del congiuntivo nella completiva
retta dal verbum putandi (credo non lo vediate da un po’) o nella protasi del periodo ipotetico (se
avesse fatto televisione in questi anni…) in cui tuttavia si può rintracciare un’ apodosi costruita
attraverso un ordine marcato dei costituenti. Il c’è presentativo permette al giornalista di spezzare la
frase in due blocchi monorematici più semplici e consente di mettere in rilievo un elemento che, in
questo caso, diviene poi oggetto della domanda posta all’ospite (c’è qualche storia che avrebbe
voluto raccontare?).
La conversazione dell’intervistato è ricca di componenti rituali quali omaggi e ringraziamenti49
(innanziutto la ringrazio / dottor Biagi / di avermi invitato…) - costruiti anche grazie al ricorso a
termini generici (mi fa molto piacere questa cosa) o espressioni colloquiali (mi sono tolto di mezzo)
- e non è priva di sintagmi lessicali letterari riformulati attraverso usi colloquiali (senza tema di

46
Atzori (2002); Bonomi (2002 e 2008).
47
Come notato da Bonomi (2008: 81).per il trasmesso telegiornalistico il parlato controllato e soprattutto il parlato
scritto occupano uno spazio e un ruolo assolutamente dominanti di contro al parlato-parlato e al parlato-spontaneo che
rivestono invece un ruolo minoritario. I rotocalchi televisivi in questo senso tendono a una maggiore distanziazione
dall’italiano standard rispetto a quelli cartacei, allineandosi in maniera decisiva verso l’innovazione, ma è
“un’innovazione moderata” una conferma ne è la salda tenuta del congiuntivo nel parlato-controllato del giornalista.
48
Cfr. Bonomi (2008: 80).
49
Sulle componenti rituali nel parlato televisivo cfr. Menduni (2002:137).

18
essere...tagliato). Dal punto di vista lessicale il parlato dell’ospite è punteggiato da stereotipi
linguistici (Io non vedo l’ora…il tempo è galantuomo!) presenti anche nel parlato del conduttore
(diciamo così) caratterizzato altresì da clichè ‘giornalistici’, utilizzati per condurre l’intervista
(cambiamo argomento…vi presento…).

5. Conclusioni

Dai dati esperiti sembra profilarsi una precisa dinamica sociolinguistica relativa agli stili di
parlato attraverso i settimanali. Volendo istituire un percorso in parallelo con i media con cui il
rotocalco è oggi in concorrenza - da quelli tradizionali audiovisivi (radio, tv e cinema) ai cosiddetti
nuovi media (tra cui internet e la telefonia mobile) - e volendo qui proporre una sintesi tassonomica
della lingua rilevata nei rotocalchi in sei decenni, potremmo dire che si passa dallo “scritto - parlato
simulato” dei rotocalchi degli anni Cinquanta e Sessanta a uno “scritto oralizzato”50 degli anni a
cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta per giungere a uno “scritto spettacolarizzato” negli anni
Novanta e Duemila:

Tabella I

ROTOCALCHI CARTACEI ROTOCALCHI TELEVISIVI


1960- 1970 scritto > parlato parlato > scritto
it. standard aulico > it. standard it. standard > it. neostandard
1970- 1990 scritto oralizzato parlato stilizzato
it.standard > it. neostandard it. neostandard aulicizzato
1990- 2010 scritto spettacolarizzato parlato serio figurato
it. ristandardizzato it. neostandard e ristandardizzato

Negli anni Cinquanta e Sessanta il rotocalco tende ancora ad una lingua sorvegliata, in cui si
possono rintracciare stilemi della prosa letteraria oltre a una buna tenuta dei tratti dello standard nei
vari livelli di lingua. È possibile istituire a questo punto un’analogia con l’italiano variabile della
fiction televisiva e l’italiano dei rotocalchi cartacei di questi anni. Lo sceneggiato paleotelevisivo
che tentava di imitare il parlato reale, pur mantenendosi fedele all’italiano letterario, è poi sfociato
nell’italiano neostandard della miniserie e in quello credibilmente oralizzato delle serie all’italiana,
passando attraverso l’italiano più o meno stilizzato della soap all’italiana51. Un analogo decorso
sembra ipotizzabile per l’italiano dei rotocalchi, sulla base di questi dati pur tendenziali e parziali, e

50
Parafrasando la definizione di Alfieri (1997 e 2008) sul parlato della fiction radiofonica e televisiva, potremmo dire
che lo scritto dei rotocalchi cartacei e il parlato trasmesso dei rotocalchi televisivi siano confluiti in una varietà di scritto
e trasmesso in cui si instaura un circuito uso-riuso di tratti che dà luogo appunto a uno scritto e, rispettivamente, a un
trasmesso oralizzati.
51
Cfr. Alfieri (2008, 2010 e 2012); Aprile (2010).

19
in attesa di adeguati approfondimenti. I giornali delle prime decadi del nostro corpus presentano
infatti una lingua ancora ampollosa e intrisa di letterarietà, benché tendano alla mimesi dell’oralità,
e in parte vi riescano, come si vede dai tratti più sciolti e colloquiali, che tuttavia in certi casi
generano costrutti ibridi. D’altra parte lo “scritto tendente al parlato” dei rotocalchi cartacei trova il
proprio controcanto nel “parlato tendente allo scritto” dei rotocalchi televisivi di quegli stessi anni.
L’affioramento di eventuali tratti diatopicamente marcati, soprattutto a livello fonetico e lessicale,
presenti nel discorso riportato degli intervistati, viene puntualmente distanziato dalle chiose
valutative del giornalista che conduce il programma. Dunque lo scritto aulicizzante del giornalismo
cartaceo interferisce sul parlato trasmesso del giornalismo televisivo.
Negli anni Settanta e Ottanta, al contrario, il “parlato stilizzato” dei rotocalchi televisivi
penetra nello scritto dei giornali intaccando soprattutto il livello morfosintattico e dando luogo a
una varietà di “scritto oralizzato”. Se da un lato la neotv celebra la “liturgia della parola” nei talk
show e nei programmi di infotainment, dall’altro i rotocalchi, attraverso gli innesti di discorso
riportato, sono raggiunti da un’oralità pervasiva, che scardina le strutture sintattiche e arricchisce di
tratti morfosintattici del neostandard la scrittura giornalistica.
Negli anni Novanta e negli anni Duemila è ancora più evidente e incisivo il reciproco
influsso tra i media: il linguaggio dei rotocalchi cartacei si caratterizza come “scritto
spettacolarizzato”. Nel momento di transizione da una fase di protoindustrializzazione a una fase di
piena industrializzazione culturale52 i rotocalchi, in competizione con l’informazione multimediale,
attivano e incrementano processi linguistici che, parafrasando la definizione di neo-neo televisione
applicata da Paolo Taggi (2003) ai genereri televisivi, potremmo etichettare come ri-neo-
standardizzazione. Per certi versi, si registrano nello scritto spettacolarizzato tendenze non ancora
del tutto codificate. Al contrario i rotocalchi televisivi sembrano guardare indietro e caratterizzarsi
per un parlato serio semplice, e allo stesso tempo “brioso e figurato”: riportando in auge e
riproponendo negli anni Duemila i gloriosi rotocalchi paleotelevisi Rt e Tv7 e il loro stesso
fondatore Enzo Biagi, si propongono sia come recupero dello standard tradizionale sia come
garanzia del nuovo standard linguistico, già per altro consolidato all’interno dei rotocalchi cartacei.
Si è praticamente azzerato, nell’italiano variabile dei rotocalchi cartacei e televisivi, nel corso di
appena poco più di mezzo secolo, il confine diamesico tra scritto e parlato, e questo grazie
all’italiano trasmesso.

52
Cfr. Forgacs (2000)

20
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