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Ismail Considerazioniteorichee 2020
Ismail Considerazioniteorichee 2020
mamelucca
Author(s): Nasser Ismail
Source: Quaderni di Studi Arabi , 2020, Vol. 15, No. 1/2, Arab(ic) Linguistics and Beyond
(2020), pp. 313-337
Published by: Istituto per l'Oriente C. A. Nallino
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Abstract
Classical and modern studies of Arabic literature have paid only modest attention to
the parodic imitations of poems (al-muʿāraḍa al-hazliyya). These were often ascribed
to the rhetorical technique of taḍmīn without taking into due consideration, as was the
case for “serious” reproductions, the semantic, historical and dialectical interaction
between the two texts, their authors and readers. The present article will attempt to
trace the theoretical and critical notions of this literary practice in the Arab tradition,
particularly focusing our interest on the Mamlūk one which tended to acknowledge
and confer upon it the dignity of a literary genre.
Keywords
1 Dalle prime traduzioni in lingua araba della Poetica di Aristotele in epoca abbaside si può
desumere l’assenza di un’eventuale influenza o un legame tra i due termini succitati. Mattà
b. Yūnus (m. 328/940), autore della più antica traduzione sopravvissuta, tradusse erronea-
mente il termine “parodia”, citato da Aristotele, con “madīḥ” (encomio), mentre i successivi
commentatori ed epitomatori lo ignorarono. Cfr. Badawī, Fann al-šiʿr, p. 89.
2 Cfr. Ibn Manẓūr, Lisān al-ʿarab, vol. VII, p. 167-168; Hutcheon, “Ironie, satire, parodie”,
p. 143; Hutcheon, A Theory of Parody, p. 32.
3 Sangsue, La parodia, p. 14.
4 Per una più ampia defijinizione lessicale del termine muʿāraḍāt cfr. Sallūm, al-Muʿāraḍāt fī
l-šiʿr al-andalusī, p. 41-48; Van Gelder, “Muʿāraḍa”, EAL, vol. II, p. 534; Schippers, “Muʿāraḍa”,
EI2, vol. VII, p. 261.
5 Cfr. Von Grunebaumm, “The Concept of Plagiarism”, p. 242; al-Šāyib, Tārīḫ al-naqāʾiḍ, p. 7;
ʿAwaḍayn, al-Muʿāraḍa fī l-adab al-ʿarabī, p. 24; Haxen, “The Muʿāraḍa concept”, p. 113-115;
Van Gelder, “Muʿāraḍa”, EAL, vol. II, p. 534.
6 È interessante sottolineare che nell’antica Grecia il termine parodia si riferiva tra l’altro
anche alla tecnica di citazione di un brano epico o tragico all’interno di un poema satirico
o eroicomico. Cfr. Householder, “Π APΩ IΔ IA”, p. 3; Sangsue, La parodia, p. 21-22.
7 al-Ǧammāl, al-Adab al-ʿāmmī fī Miṣr, p. 194-195.
8 Antoon, The Poetics of the Obscene, p. 45.
9 Larkin, “Popular Poetry”, p. 224.
10 In questo studio ci limiteremo alla trattazione del concetto e della modalità di muʿāraḍa
hazliyya così come è conosciuta nella letteratura araba nella sua accezione tradizionale,
ossia il travestimento burlesco di una data poesia. Non afffronteremo invece contrafffazioni
nel senso più lato che comprenderebbero parodie di generi, convenzioni e stili letterari o
di modi di parlare e di agire di una persona o di un certo gruppo sociale. Sulla parodia nel
periodo abbaside nel suo senso più estensivo cfr. Szombathy, Mujūn, p. 150-154.
Col volgere al termine del IV/X sec., tra i critici arabi si era ormai consoli-
data la vecchia convinzione che la poesia avesse raggiunto il suo apice e che i
margini di un eventuale rinnovamento contenutistico ed espressivo si fossero
talmente assottigliati da rendere sempre più arduo, o perfijino vano, l’impegno
dei poeti coevi e posteriori. Tale rassegnazione dinanzi all’insuperabile perfe-
zione del retaggio letterario è testimoniata a più riprese nei testi dei teorici più
signifijicativi, in modo particolare quando si doveva trattare l’annosa disputa del
plagio (al-sariqa).11 In un’ottica sempre più permissiva e tollerante verso que-
sta pratica difffusa, al-Qāḍī al-Ǧurǧānī (m. 392/1001), in un passaggio emblema-
tico del suo studio critico su al-Mutanabbī (m. 354/965), giustifijicò la presenza
di frequenti influenze, ispirazioni e prestiti nei testi poetici:
poetic territory”,18 l’eccessivo culto della poesia del passato nonché il ripetuto
richiamo a quel senso di impossibilità di rigenerazione contenutistica anda-
vano di pari passo con il riconoscimento e il consolidamento di vecchie pra-
tiche letterarie imitative. Nella faticosa ricerca dell’autoafffermazione, ogni
poeta poteva mostrare la propria piena assimilazione del patrimonio poetico,
prendendo in prestito spunti intertestuali impliciti ed espliciti.19 Qualunque
poesia precedente o coeva di un certo valore e fama si trasformava in un ipote-
sto a cui altri autori potevano ispirarsi legittimamente, citando, a piene mani
e senza tecniche dissimulative, emistichi o interi versi nell’ipertesto (taḍmīn,
īdāʿ, tašṭīr),20 oppure potevano esporre lo stesso argomento adoperando una
struttura identica di metro e rima (muʿāraḍa).
In questo contesto si potrebbero comprendere le raccomandazioni del can-
celliere e teorico di tarda epoca abbaside, Ḍiyāʾ al-Dīn b. al-Aṯīr (m. 637/1239),
che citò esplicitamente il procedimento muʿāraḍa con la sua accezione più
ristretta, ovvero come esercizio imitativo fijinalizzato all’acquisizione di compe-
tenze poetiche e prosastiche. Rivolgendosi agli aspiranti scrittori (mutadarrib,
mubtadiʾ, mutraššiḥ)21 che muovevano i primi passi nel mondo delle lettere,
Ibn al-Aṯīr li esortava a cimentarsi nelle muʿāraḍāt poiché costituivano un
modo efffijiciente e profijicuo per imparare e allenarsi a scrivere:
18 Ibid.
19 Cfr. al-Taṭāwī, al-Muʿāraḍāt al-šiʿriyya, p. 21.
20 Cfr. Van Gelder, “Taḍmīn”, EI2, vol. X, p.78-79; Bosworth, “Tak̲h̲mīs”, EI2, vol. X, p. 123-125.
21 Ibn al-Aṯīr, al-Ǧāmiʿ al-kabīr, p. 26.
22 Ivi, p. 26-27.
può confondere con l’altro o gli diventa somigliante).36 I versi apocrifiji, secondo
al-ʿAlawī, erano certamente di qualità inferiore (nuzūl al-qadr) e caratterizzati
da “ḫalāʿa” (indecenza) e “ḥamāqa” (stupidaggine) e pertanto non si pote-
vano in alcun modo ascrivere al genere muʿāraḍa del testo sacro “fa-iḏā kāna
l-kalāmān fī ġāyat al-buʿd wa-l-inqiṭāʿ fa-lā yuʿaddu aḥadu-humā muʿāriḍan
li-l-āḫar”.37 Partendo dalla convinzione condivisa in ambito ortodosso dell’ini-
mitabilità stilistica e contenutistica del Corano (iʿǧāz)38 e dal presupposto che
nessun autore avrebbe osato imitarlo in maniera seria per sfijida o per emula-
zione, ogni altra riproduzione con un registro “non serio” non sarebbe stata in
alcun modo giudicata né accostabile né rafffrontabile.
Le imitazioni poetiche che miravano al capovolgimento del messaggio,
facendo leva sull’ironia e sul sarcasmo, come quelle dei famosi parodisti abba-
sidi, Abū Ḥukayma (m. 239-240/854), Ibn Sukkara al-Hāšimī (m. 385/995),
Ibn al-Ḥaǧǧāǧ (m. 391/1001) e Abū al-Ḥasan ʿAlī b. ʿAbd al-Wāḥid Ṣarīʿ al-Dilāʾ
(m. 412/1021), seppur note e accattivanti per il loro contenuto umoristico e
befffardo, non conobbero tanta fortuna nelle antologie e nei manuali di reto-
rica classici, forse per il loro contenuto eccessivamente insolente e osceno
o perché considerate superfijiciali e poco autentiche. Anche i componimenti
segnalati in alcune raccolte di epoca abbaside, a causa del rovesciamento del
tema e del registro usato, non venivano comunque etichettati come muʿāraḍa
e quindi non rientravano in detta categoria, né potevano essere riportati in
sede di comparazione critica o artistica.39 Per esempio la parodia scritta da
Abū Bakr al-Ṣūlī (m. 335/946) della Muʿallaqa di Imruʾ al-Qays (m. c. 550), rite-
nuta probabilmente la poesia più imitata nella letteratura araba,40 fu classifiji-
cata da Ibn Rašīq e da altri critici successivi sotto la categoria intertestuale di
taḍmīn,41 perché il letterato abbaside aveva citato ad verbum l’emistichio inau-
gurale qifā nabki nell’ipertesto.42 Ibn Rašīq mostrò il proprio apprezzamento
per la deviazione del tema (wa-aǧwad min-hu an yaṣrif al-šāʿir al-muḍammin
waǧh al-bayt al-muḍamman ʿan maʿnà qāʾili-hi ilà maʿnā-h) dall’ubi sunt al
lamento scherzoso per la lunga attesa davanti alla porta dell’emiro, ma non
riconobbe la nuova poesia, identica all’originale per rima e metro, come una
muʿāraḍa.43 Parimenti, Ibn al-Muʿtazz (m. 296/908) preferì defijinire la parodia
del poeta abbaside al-Faḍl al-Raqāšī (m. c. 200/815) scritta in risposta a una
poesia autoelogiativa dell’emiro Abū Dulaf al-ʿIǧlī (m. c. 226/841) come una
“controproposta” (iǧāba) molto simile alle naqā’iḍ.44 Data l’anomalia tipolo-
gica di queste riproduzioni, una loro attribuzione alternativa al genere hazlī
(comico-scherzoso) o a quello di muǧūn/suḫf (sciocchezze),45 oltre che alla
sezione destinata al taḍmīn e ad altri procedimenti citazionali analoghi, diven-
terebbe naturalmente comprensibile.
Nei XIII-XVI secoli si può percepire una visione critica relativamente
diversa delle imitazioni serie o parodiche. Come si è già visto, Ibn al-Aṯīr fu fra
i primi teorici a promuovere in modo articolato la muʿāraḍa come strumento
necessario per “innestare” la predisposizione poetica ed esercizio fondamen-
tale sulle regole compositive per gli aspiranti poeti e scrittori. L’emulazione dei
capolavori del patrimonio poetico costituiva invero uno stimolo rilevante per i
poeti del periodo mamelucco, più di quanto lo fosse stato per quelli omayyadi
o abbasidi. Il ricordo dell’epoca d’oro e dei suoi personaggi religiosi, dei poeti
leggendari, degli eroi politici e militari condusse gli autori successivi a richia-
marli in composizioni letterarie contrafffatte, destinate a diventare un campo
di tensione e di confronto tra passato e presente.46 La mimesi seria doveva
servire a questo punto “as a means to determine one’s relation with the past,
to enter into a dialogue with its central texts, to introduce their message into
contemporary discourse and to adapt it to the then prevailing tastes”.47 Questo
fu il caso di al-Burda, “probably the most celebrated poem ever composed in
Arabic”,48 oltre che tra le più imitate, del poeta e mistico egiziano al-Būṣīrī
(m. 694-6/1294-7).49 Essa fu a sua volta una muʿāraḍa tradizionale di un noto
componimento di Ibn al-Fāriḍ (m. 632/1235) e un’evocazione dell’episodio in
cui il Profeta, sei secoli prima, aveva dato in dono il proprio manto a Kaʿb b.
Zuhayr (m. 24/644?). Un’ulteriore dimostrazione dell’importanza speciale
rivestita dalle muʿāraḍāt in epoca mamelucca è data dal grande successo di
pubblico e critica delle diverse imitazioni di maqāmāt50 e di badīʿiyyāt (il
Oh tu, che sei il profeta di Dio per l’arte poetica! Oh tu, che sei [simile a]
Gesù, fijiglio di Maria!
Se non parlassi, saresti sicuramente fra gli esseri umani più valenti in
poesia.
Oh mia bella gazzella, simile a un’antilope che pasce giacinti tra alberi e
dune!
Non vedi la mia chioma? È come il chiarore del mattino tra le ultime scie
dell’oscurità! [incanutita per il mal d’amore].69
Ṣarīʿ al-Dilāʾ:
68 al-Kutubī, Fawāt al-wafayāt, vol. III, p. 423-424; al-Ṣafadī, al-Wāfī, vol. IV, p. 46; Ibn Kaṯīr,
al-Bidāya, vol. XIII, p. 41-42.
69 Cfr. Muḥammad, Šarḥ maqṣūrat Ibn Durayd, p. 43.
70 al-Ṯaʿālibī, Yatīmat al-dahr, vol. V, p. 23.
I tre biografiji si rifecero a una fonte comune, quella di Ibn al-Naǧǧār al-Baġdādī
(m. 643/1245), che a sua volta avrebbe attinto da al-Ṯaʿālibī (m. 429/1038).72 Pare
comunque che quest’ultimo, nell’impiego del verbo “ʿāraḍa”, si riferisse solo al
preludio amoroso nella poesia di Ṣarīʿ al-Dilāʾ apparentemente serio e ingan-
nevole, incalzato però da versi contenenti dichiarazioni assiomatiche ridicole.
Il bufffo paradosso (mufāraqa) insito nelle afffermazioni di Ṣarīʿ al-Dilāʾ è accen-
tuato grazie alla commistione tra la serietà del registro e l’assurda saggezza del
contenuto messa a confronto con l’aulica solennità dell’ipotesto di Ibn Durayd.
Rimane molto indicativo, tuttavia, l’utilizzo del verbo “ʿāraḍa” da parte di Ṣalāḥ
al-Dīn al-Ṣafadī, uno dei letterati e critici più rilevanti di quel tempo, poiché
la sua citazione della poesia prende inizio dalla parte veramente parodica del
componimento.73
L’ammirazione per la parodia di Ṣarīʿ al-Dilāʾ, nonostante il suo contenuto
derisorio e dissacrante del poema originale, fu pressoché unanime tra i let-
terati e gli intellettuali mamelucchi se paragonata all’indiffferenza snobistica
mostratale da molti antologisti del passato con la sola eccezione, probabil-
mente, di al-Ṯaʿālibī. Ibn Ḫallikān (m. 681/1282) sottolineò che l’ultimo verso del
poema (Man fāta-hu l-ʿilmu wa-aḫṭā-hu l-ġinà – fa-ḏāka wa-l-kalbu ʿalà ḥaddin
sawā) era tanto pregno di grottesca saggezza (muǧūn-ǧidd) da non lasciare
alcun dubbio sull’ineguagliabile maestria e creatività poetica dell’autore.74
Numerosi versi di questa parodia furono riportati da Šams al-Dīn al-Ḏahabī
(m. 748/1348), molto conosciuto per la sua serietà e compostezza, nelle sue
opere biografijiche.75 L’esegeta e giurista tradizionalista Ibn Kaṯīr fece notare
che il poeta fu assai invidiato per l’ingegnosità dell’ultimo verso del compo-
nimento.76 Kamāl al-Dīn al-Damīrī (m. 808/1405) non poté nascondere il suo
profondo gradimento dello stesso bayt sul cane e di tutta la poesia in generale:
71 al-Kutubī, Fawāt al-wafayāt, vol. III, p. 424; al-Ṣafadī, al-Wāfī, vol. IV, p. 46.
72 al-Ṯaʿālibī, Yatīmat al-dahr, vol. V, p. 22. A diffferenza degli altri, al-Ṯaʿālibī riportò che
questa poesia intendeva invece parodiare un’altra del poeta abbaside Abū al-ʿAnbas
al-Ṣaymarī (m. 275/888).
73 al-Ṣafadī, al-Wāfī, vol. IV, p. 46.
74 Ibn Ḫallikān, Wafayāt al-aʿyān, vol. III, p. 384.
75 al-Ḏahabī, Tārīḫ al-Islām, vol. XXVIII, p. 324-325; al-Ḏahabī, Siyar aʿlām al-nubalāʾ,
vol. XVII, p. 308-309.
76 Ibn Kaṯīr, al-Bidāya, vol. XIII, p. 42.
“wa-hāḏā l-bayt āḫir qaṣīda la-hu fī l-muǧūn, ḏakara fī-hā min ṣanʿat al-ġazal
funūnan, wa-law lam yakun la-hu siwā-hu la-kafā-h. Wa-hiya ṭawīla ṭannāna
ʿaǧaza fuḥūl al-šuʿrā’ an yazīdū fī-hā baytan wāḥidan” (Questo è l’ultimo verso
di una sua poesia sul muǧūn nella quale il poeta esibì alcune arti relative al
tema ġazal. Se egli non avesse scritto altro che questo verso, esso sarebbe stato
sufffijiciente [a provare la sua maestria]. La poesia è lunga e solenne e i poeti
più afffermati “fuḥūl” non sono riusciti ad aggiungerci neanche un solo verso).77
La Maqṣūra di Ṣarīʿ al-Dilā’ seppe suscitare altrettanto l’interesse di al-Maqrīzī
(m. 845/1442) che nel Muqafffà ne riportò ben trenta versi.78 La consolidata
fama di questa parodia nel periodo mamelucco fu il motivo per cui l’insigne
giurista Ibn Ḥaǧar al-ʿAsqalānī (m. 852/1449) tenne a precisare di averla impa-
rata a memoria e di aver perfijino ottenuto una iǧāza per poterla trasmettere
e insegnare.79
Fra i poeti passati che in epoca mamelucca ebbero una popolarità prover-
biale vi fu Ibn Ḥaǧǧāǧ,80 vissuto in pieno secolo X e defijinito da alcuni studiosi
come “a master parodist”.81 La straordinaria stima da egli goduta può essere
confermata dalle varie raccolte dedicate alla sua fijigura e alla sua poetica e
composte da protagonisti di spicco del panorama letterario di allora, quali
al-Asʿad b. Mammātī (m. 606/1209) (Qarqarat al-daǧāǧ fī alfāẓ b. Ḥaǧǧāǧ),82
Ǧamāl al-Dīn b. Nubāta (m. 768/1366) (Talṭīf al-mazāǧ min šiʿr b. Ḥaǧǧāǧ) e
Ibn Ḥiǧǧa al-Ḥamawī (Laṭā’if al-talṭīf).83 Per questo motivo, la parodia di Ibn
Ḥaǧǧāǧ della Muʿallaqa di Imru’ al-Qays84 costituì molto probabilmente un
modello ispiratore per altre contrafffazioni grottesche scritte da alcuni fra i più
celebri poeti mamelucchi: Abū al-Ḥusayn al-Ǧazzār (m. 679/1281), Ṣalāḥ al-Dīn
al-Ṣafadī, Ǧamāl al-Dīn b. Nubāta e Faḫr al-Dīn b. Makānis (m. 794/1392).
Tuttavia, a diffferenza del testo precursore pervaso di una virulenza quasi inau-
dita e basato su allusioni sessuali e scatologiche, le riproduzioni mamelucche
erano di impronta sociale e caricaturale. I due componimenti di Ibn Nubāta
e Ṣalāḥ al-Dīn al-Ṣafadī appartengono, come quello di Abū Bakr al-Ṣūlī, al
genere iḫwāniyyāt e si servono della struttura e di alcuni versi della Muʿallaqa
in un gioco epistolare di botta e risposta a fijini ludici, deviandone l’argomento
Ibn Makānis:
La mia poesia s’è disinteressata della descrizione delle gazzelle per elogiare
invece un ciufffo folto come una barba, pendente da un naso.
È gremito di cimici che brillano come perle in una collana.
Che brutto ciufffo, così fijitto e ingarbugliato, che spunta da quel naso come un
grappolo di datteri ricadente da una palma!
Dicono che è il naso a essere immerso nei peli e a sporgere così prominente
come un uomo nobile avvolto in un manto bianco e nero di lana.
85 Cfr. queste due parodie e il loro contesto epistolare in al-Ṣafadī, Alḥān al-sawāǧiʿ, vol. II,
p. 245-249.
86 Cfr. la poesia in al-Ǧazzār, Šiʿr Abī l-Ḥusayn al-Ǧazzār, p. 241-242; al-Yūnīnī, Ḏayl mirʾāt
al-zamān, vol. IV, p. 70-71; al-Kutubī, ʿUyūn al-tawārīḫ, vol. XXI, p. 259-260; al-ʿAbbāsī,
Maʿāhid al-tanṣīṣ, vol. IV, p. 160-161; al-Ǧammāl, al-Adab al-ʿāmmī, p. 195.
Negli spiazzi e nei sentieri presenti all’interno si vedono ora pidocchi e len-
dini simili a grani di pepe.87
87 Cfr. questa poesia in al-Ḥamawī, Ḫizānat al-adab, vol. II, p. 326; al-ʿAbbāsī, Maʿāhid
al-tanṣīṣ, vol. IV, p. 159-160.
88 al-Musawi, Arabic Poetry, p. 45.
89 Van Gelder, Of Dishes and Discourse, p. 95.
90 Cfr. Larkin, “Popular Poetry”, p. 223-224.
deserto. Un invito simile fu lanciato tre secoli prima dal pioniere Abū Nuwās
(m. 199/813), che alluse alla stessa poesia in un suo componimento per deri-
dere i valori e i canoni letterari antichi. Parimenti, il poeta abbaside suggerì
di non osservare l’invocazione di Imruʾ al-Qays a piangere sui ruderi del pas-
sato e invitò invece dispettosamente i suoi ascoltatori ad andare a bersi un bel
bicchiere di vino di buon mattino.91 La realtà mamelucca di al-Ǧazzār appare
comunque assai lontana da quella preislamica e abbaside e la posta in gioco
allora era la lotta per la sopravvivenza contro le precarie condizioni di vita dei
letterati. Era fondamentale a quel punto per il poeta del XIII secolo mettere in
discussione gli anacronistici cliché etici e socio-letterari ereditati dalle epoche
precedenti92 che condannavano gli intellettuali coevi, messi continuamente a
confronto con i fuḥūl della tradizione, a un’auto-rappresentazione spesso sof-
ferente e tormentata. Fu presumibilmente questa contemporaneità della paro-
dia di al-Ǧazzār e il suo solido legame con la realtà del suo tempo a convincere
alcuni critici del periodo a proporla come un tentativo arguto e ben riuscito
di rovesciamento parodico (hazlī) della Muʿallaqa. ʿAbd al-Raḥīm b. Aḥmad
al-ʿAbbāsī (m. 963/1556) la collocò tra i miglior esempi di citazione (min ẓarīf
al-taḍmīn)93 poiché il poeta seppe trasporre la vecchia struttura e alcune idee
della poesia originale in un contesto e con un argomento totalmente diversi
(ṣarafa-hu ʿan maʿnā-hu al-awwal).94 Seppur implicitamente, al-ʿAbbāsī rico-
nobbe la poesia nella sua totalità come un testo contenente un messaggio
deviato in veste vecchia.
Il carattere prettamente caricaturale della parodia di Ibn Makānis ricorda
invece un fijilone specifijico della cultura letteraria araba classica e medievale
che per motivi storiografijici, letterari, linguistici e pratici si interessò dei difetti
fijisici.95 La derisione di alcune imperfezioni fijisiche (al-hiǧā’ al-ḫalqī) costituì
spesso un motivo di satira e un’arma denigratoria praticata da numerosi poeti
arabi.96 Ne sono prova evidente la rinomata poesia di al-Mutanabbī contro il
governatore d’Egitto Kāfūr (m. 357/968) e, ancora prima, le virulente invet-
tive scambiate tra al-Farazdaq (m. 110/728) e Ǧarīr (m. 111/729) e tra Ḥammād
ʿAǧrad (m. 161/778) e Baššār b. Burd (m. 167-168/783-784).97 Quest’ultimo,
secondo alcuni, gemette dopo aver ascoltato un’invettiva detta sul suo conto
da parte di Ḥammād, perché, essendo cieco, non avrebbe potuto vedere il
Conclusioni
Il genere muʿāraḍa trovò senza dubbio una grande difffusione nella tradizione
letteraria araba poiché spesso costituiva una dichiarazione di proprietà del
105 Anche se esula dal nostro argomento, è interessante accennare che tale funzione è facil-
mente riscontrabile nel caso dell’Andalusia dove la nostalgia e la distanza geografijica della
Penisola Iberica dall’epicentro spaziale della civiltà araba classica conferirono alla pratica
delle muʿāraḍāt un ruolo rilevante nel ravvivare i legami con la cultura madre. Cfr. Sallūm,
al-Muʿāraḍāt fī l-šiʿr al-andalusī, p. 55; Haxen, “The Muʿāraḍa concept”, cit., p. 115.
106 Cfr. al-Taṭāwī, al-Muʿāraḍāt al-šiʿriyya, p. 87.
107 al-Ḥātimī, Ḥilyat al-muḥāḍara, vol. II, p. 28-98; al-Qayrawānī, al-ʿUmda, p. 1072-1095.
108 A tal proposito, merita un ricordo anche la parodia di Ibn Dāniyāl al-Kaḥḥāl (m. 710/1311),
composta sul modello della Muʿallaqa di Ṭarafa b. al-ʿAbd (m. 569?) e che similmente
a quella di al-Ǧazzār riporta l’attenzione sullo stesso tema della povertà e dell’inquie-
tudine dei letterati in contrasto con la spensieratezza del passato. Cfr. al-Kutubī, Fawāt
al-wafayāt, vol. III, p. 332-333; al-Ṣafadī, al-Muḫtār min šiʿr b. Dāniyāl, p. 154; al-Ǧammāl,
al-Adab al-ʿāmmī, p. 208-209.
109 Cfr. Van Gelder, “Frivolous Iqtibās (Quotation from the Qurʾān)”, p. 3-16; Szombathy,
Mujūn, p. 60-75.
110 Bauer, “ʿAyna Hādhā min al-Mutanabbī!”, p. 10.
Bibliografijia
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