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PROGETTO WELFAREST

Coesione sociale nei nuovi paesi UE,


attraverso lo sviluppo di politiche,
iniziative e servizi sociali

Il sistema sociale in
Croazia

Ricerca a cura di
FUORI MARGINE CONSORZIO
DI COOPERATIVE SOCIALI DI PESARO E URBINO

1
IL SISTEMA DI PROTEZIONE SOCIALE IN CROAZIA

Situazione demografica, economica e finanziaria

La Croazia ha una popolazione di circa 4 milioni di abitanti (4.439.000 nel 2004) e, come tutti gli altri
paesi europei è composta principalmente da anziani (20% della popolazione ha più di 65 anni).
In merito alla struttura di genere, il 52% è composto da donne e il 48% da uomini, mentre in termini di
composizione etnica la maggioranza è costituita dai Croati (89.63%), seguita dai Serbi (4.54%),
Bosniaci (0.47%), Italiani (0.44%), Ungheresi (0.37%), Albanesi (0.34%) e Sloveni (0.3%).
Per quello che riguarda l’età, la tendenza all’invecchiamento della popolazione è simile a quella di tutti
gli altri paesi europei.
Sempre nel 2004, la percentuale di giovani (da 0 a 14 anni) e di anziani (con + di 65 anni) era
praticamente identica, finché poi la prima non ha cominciato a scendere progressivamente.
Il tasso di fertilità è del 1.35% e la popolazione in età lavorativa (15 - 64 anni) è in continuo declino.
Si prevede infatti un ulteriore calo del 30% da qui al 2050.

Indicatori Demografici
1998 2003 2004
Popolazione 4.501 4.442 4.439
Età (%)
- 0/14 19.7 16.41 16.1
-15/64 68.5 67.18 67.2
- 65+ 11.8 16.39 16.6

COMPOSIZIONE ETNICA

Croati Serbi Bos niac i Ungheres i Italiani A lbanes i Slov eni

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Negli ultimi 15 anni la Croazia ha attraversato un periodo di grossi cambiamenti, i quali hanno investito
le principali sfere della vita economica, sociale e politica del paese.
Per questo motivo si parla di “triplice transizione”: sì è passati da una situazione di conflitto e
instabilità politica alla pace, da un’economia statale al libero mercato, da un singolo partito al
pluralismo democratico.
I primi anni di transizione sono stati caratterizzati da una iperinflazione, alto tasso di disoccupazione e
una crescita economica negativa che ha registrato il suo apice nel 1993 quando il PIL pro-capite era di
soli 1.950 €.
La fase di ripresa è iniziata a partire dal 2000 con una crescita annuale media del 4% come mostrato
dalla tabella sottostante.

2001 2002 2003 2004 2005 2006-2008


Crescita PIL (%) 4.4 5.6 5.3 3.8 4.3 4.6
PIL pro capite 4.998 5.507 5.906 6.397 6.972 7.650
Sources: Croatian Bureau of Statistics (CBS), Croatian National Bank, Ministry of Finance.
For the period 2006-2008, estimation by the Government of RC, Central Office for Development Strategy and Coordination
of EU Funds:

Attualmente il PIL pro capite si attesta intorno ai 10.000 €, anche se vi sono ancora molte disparità
regionali.
L'economia croata è inoltre caratterizzata da un forte debito estero.
La media degli stipendi alla fine del 2005 era di 6.409 HRK, l'equivalente di 870 € incluse tasse e
contributi.
Nel 2004 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 13.6%, il più alto sia tra i paesi membri dell'UE che
tra i candidati, ad eccezione della Polonia e della Slovacchia.
La struttura occupazionale suddivisa per settori macroeconomici evidenzia come l’economia croata si
basi essenzialmente sull’agricoltura e sull’industria a differenza degli altri paesi europei che hanno
sviluppato maggiormente il settore dei servizi.

Settori di occupazione
2001 (%) 2002 (%) 2003 (%) 2004 (%) 2005 (%)
Agricoltura
UE 25 5.3 5.2 5.1 5.0 4.8
Croazia 15.6 15.3 16.9 16.5 -
Industria
UE 26.2 25.7 25.3 24.9 24.7
Croazia 30.1 29.7 29.8 29.9 -
Servizi
UE 68.4 69.1 69.6 70.1 70.5
Croazia 54.3 55.0 53.4 53.7 -
Source: Eurostat

I livelli più alti di disoccupazione si riscontrano tra i giovanissimi (15 - 24), gli anziani (55 - 64) e le
donne, tra cui si riscontra anche un basso tasso di partecipazione.
Anche se il trend degli ultimi anni mostra che gli indici sono in continuo calo, il processo è ancora
molto lento.

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Il rischio di povertà, misurato sulla base di coloro che vivono con meno del 60% del reddito medio,
nel 2004 è sceso dal 18% al 16.7%, grazie ai contributi in denaro erogati dalla Stato, anche se resta
sempre il 15% in più rispetto alla media europea.
La prima ricerca in merito fu condotta nel 1999, ma solo dal 2001 è stato possibile monitorare gli
indicatori di povertà sulla base di una metodologia unificata.
Riguardo al genere, nel 2005 quest’ultimo era lievemente maggiore nelle donne (18.9%) rispetto agli
uomini (15.9%). Ovviamente i più colpiti restano i disoccupati (33%).
In questo caso però abbiamo un’inversione di tendenza in quanto sono gli uomini a risentirne
maggiormente rispetto alle donne (36.9% contro il 30%).Altri gruppi maggiormente vulnerabili sono
quelli composti da un solo genitore e più figli minori, da disabili ed anziani.
Si stima che più del 14% delle persone con più di 64 anni non riceva alcun tipo di pensione.
Il reddito minimo è stato introdotto solo dal 1996 e quest’anno ammontava a 280€.
La distribuzione regionale evidenzia che le sacche di povertà sono concentrate nelle zone rurali delle
aree centrali e orientali (la % è tre volte superiore rispetto alle zone urbane) soprattutto nelle contee di
Karlovac and Sisak-Moslavina.

2001 2002 2003 2004 2005 UE 25 UE 15


Rischio di 17.2 18.2 16.9 16.7 17.5 16 16
povertà in %
Rischio di 34.7 33.7 33.3 33.7 34.9 25 25
povertà
prima dei
trasferimenti
sociali
(incluse le
pensioni)
Rischio di 42.9 40.0 42.3 41.4 43.2 40. 39
povertà
prima dei
trasferimenti
sociali
(escluse le
pensioni)
Sources: for Croatia: CBS
for EU-25, EU-15 and NMS: Eurostat.

Secondo l’ultimo censimento del 2001, in Croazia, le persone con disabilità ammontavano a 429.421
(9.7% della popolazione totale). Più di un terzo ha più di 64 anni e quasi il 70% più di 50 anni.
Tra i giovani al di sotto dei 25 anni solo il 4% risulta affetto da una qualche forma di disabilità, di cui il
14% ha meno di 14 anni. Le principali cause di inabilità temporanea o permanente sono dovute alle
conseguenze della guerra (10.7%) e la regione più colpita è Krapina-Zagorje.
Tali persone incontrano grosse difficoltà nel trovare un lavoro stabile sebbene vi siano diverse leggi
che garantiscono il diritto al lavoro degno e adatto alle proprie condizioni psico-fisiche.
Nel 2003 i disoccupati registrati ufficialmente erano 7.537, di cui il 30.46% era costituito da disabili
fisici, seguiti da quelli mentali e da una combinazione di ambo i disagi.
Alla fine del 2004 siamo scesi a 7.322.
A parte il libero mercato, le aziende protette rappresentano il luogo più comune di impiego.
A partire dal 2003 il governo ha adottato “National Strategy for an Integral Policy for People with
Disabilities 2003-2006”, con lo scopo di combattere tali disparità e di migliorare la qualità della vita di
queste persone agevolando il loro ingresso nel mondo del lavoro.
In questo modo si intendono realizzare misure per l’abbattimento delle barriere architettoniche; la
deistituzionalizzazione e la presa in carico del soggetto da parte della famiglia la quale sarà affiancata

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da personale specializzato mediante servizi di sollievo; miglioramento del sistema educativo e della
formazione professionale con l’ accompagnamento nella ricerca di un lavoro idoneo alle proprie
capacità ed un maggiore coinvolgimento nei processi di decision-making.
Nel 2002 è stato istituito il Registro delle persone Disabili, tenuto dal Ministero della Sanità, il quale
raccoglie tutte le informazioni al riguardo e ne tutela la diffusione.
Al 30 settembre 2005 il registro conteneva 635.348 record di persone con disabilità.

Persone con disabilità occupate durante l’anno 2003

Disabili (ex-uomini di leva) 32


Giovani 402
Disabili a causa di un incidente sul lavoro 21
Disabili a seguito della guerra in Yougoslavia 114
Altre disabilità 385
Totale 954

A fronte di una grave crisi economica post-bellica il Governo ha concentrato le sue risorse in misure
volte al sostegno delle imprese, incentivando processi di privatizzazione e liberalizzazione a scapito
della spesa sociale, la quale è in costante diminuzione (nel 2005 era del 18%, due punti percentuali in
meno rispetto al 2002) come quella per le pensioni (12.7% nel 2004 rispetto al 14.1% del 2001) e per
la sanità (6.8% del PIL nel 2004).

STRUTTURA DELLA SPESA SOCIALE NEL 2003

Sanità

3%
6% Welfare
2%

3% 29% Pensioni

Infanzia

Misure contro la
disoccupazione

Misure a favore dei veterani


5% di guerra

Misure volte a sostegno dei


diritti di particolare interesse
52% sociale

5
Gli aiuti in tal senso sono arrivati dalla partecipazione a programmi comunitari.

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Strumenti al sostegno dell’inclusione sociale

La Croazia ha beneficiato di numerosi programmi finanziati dall’UE, all’interno dello strumento di pre-
adesione (IPA) al fine di realizzare interventi di inclusione sociale rivolti in via principale ai soggetti
appartenenti ai cosiddetti “disadvantages group” per un totale di € 454.3 milioni. (vedi tabella)

Progetti di inclusione sociale finanziati dall’UE dal 1991 al 2006


Programma di Progetto Contributo Co- Totale
finanziamento UE Finanziamento Budget
nazionale
ECHO (1991-1999) Direct humanitarian aid to the victims 293 800 000 293 800
of the war 000
OBNOVA (1996- Reconstruction of housing, economic 57 950 000 57 950
2000) and social infrastructure in the areas of 000
return of refugees and displaced
persons

EIDHR (1991-2001) European Initiative for Democracy 1 900 000 1 900 000
and Human Rights
CARDS (2001) Sustainable return of refugees and 23 200 000 23 200
displaced persons 000
CARDS (2001) Vocational education and training 600 000 600 000
CARDS (2001) Labour market restructuring 3 000 000 3 000 000
CARDS (2001) Reform of asylum policy 2 100 000 2 100 000
CARDS (2001) Small-scale operations (social 1 000 000 1 000 000
services)
CARDS (2002) Sustainable development in return 14 000 000 14 000
areas 000
CARDS (2002) Promotion of democracy and human 500 000 500 000
rights
CARDS (2002) Social service delivery by the nonprofit 1 500 000 1 500 000
sector
CARDS (2002) Modernisation of VET 1 120 000 1 120 000
CARDS (2002) Local partnerships for employment 900 000 900 000
CARDS Regional Democratic stabilisation and civil 7 000 000 7 000 000
(2002) society development
CARDS (2003) Return of refugees and internally 15 000 000 15 000
displaced persons 000
CARDS (2003) Promotion of democracy and human 500 000 500 000
rights
CARDS (2003) Social service delivery by the nonprofit 500 000 500 000
sector
CARDS (2003) Upgrading of vocational education 4 000 000 4 000 000
and training schools
CARDS (2003) Training of employment counsellors 90 000 90 000
for the disabled and persons difficult
to place

CARDS Regional Social Institutions Support Project 2 000 000 2 000 000
(2003)
CARDS (2004) Sustainable development in the Areas 14 000,000 14
of Special State Concern 000,000
CARDS (2004) Promotion of democracy and human 700 000 700 000
rights
CARDS (2004) Social service delivery by the nonprofit 2 200 000 2 200 000
sector
CARDS (2004) Adult learning 1 500 000 1 500 000
CARDS (2004) Local partnerships for employment 1 500 000 1 500 000
(II)

7
CARDS (2004) Addressing social exclusion in VET 55 000 55 000
schools
PHARE (2005) Roma support project 1 300 000 167,000 1 467 000
PHARE (2005) Active employment measures for 2 000 000 250,000 2 250 000
groups threatened by social exclusion
TOTAL 453 915 000 417,000 454 332
000

I progetti sopra elencati sono rivolti a diversi target group e comprendono differenti tipologie di attività.
Su 28 interventi realizzati, 17 sono rivolti alle categorie dei “gruppi svantaggiati” (disadvantaged
people), a cui va il 90% dei finanziamenti. Ciò evidenzia come la ripartizione dei fondi comunitari in
Croazia sia in netto contrasto se comparata all’andamento degli altri paesi dell’Europa Centrale ed
Orientale,dove le risorse comunitarie sono destinate principalmente a progetti di sviluppo e riduzione
delle disparità regionali.

Target Numero di Progetti Budget Totale %


Disadvantaged groups 17 408 612 000 90.0

Social institutions and 2 4 100 000 0.9


asylum
Employment 3 5 400 000 1.1
Education 4 7 220 000 1.6
Regional development 2 29 000 000 6.4
TOTAL 28 454 332 000 100

Disadvantage
Group
Social institution
and asylum
Employment

Education

Regional
Development

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Situazione Occupazionale

La disoccupazione in Croazia è il risultato della mancanza di cambiamenti strutturali a livello


economico. Il passaggio da un sistema economico statale a uno liberale, ha portato al fallimento di
numerose imprese, e alla trasformazione del concetto classico di lavoro “sicuro”.
Ad una rapida industrializzazione e modernizzazione non è seguita una sufficiente crescita
occupazionale nel settore privato, che non ha saputo colmare le lacune lasciate dalla caduta di un
sistema protezionistico.
Le rigidità istituzionali e la cattiva gestione delle competenze professionali costituiscono i maggiori
impedimenti per una crescita dinamica del mercato del lavoro.
Sebbene, i livelli di disoccupazione totale sono in costante diminuzione, le donne continuano a
dominare le statistiche e a crescere in maniera esponenziale soprattutto in quella di lungo periodo.
Nel 2005, per esempio, il 43.5% delle donne risultava disoccupato per più di due anni, contro il 39.4%
degli uomini

Durata della disoccupazione (% 2005)


Uomini Donne
Fino a 1 anno 45.0 40.1
Da 1 a 2 anni 15.6 16.4
Da 2 a 3 anni 8.7 10.3
Più di 3 anni 30.7 33.2
Source: Croatian Employment Service Yearbook

Suddivisione della popolazione in base all’età e alle caratteristiche lavorative


Popolazione Able-bodied Popolazione Persone Persone
Totale (15-64) economicamente occupate disoccupate
attiva
0-14 17.1 - - - -
15-39 34.2 50.8 53.3 49.4 68.5
40-49 15.1 22.6 28.2 30.0 21.1
50-64 17.9 26.6 16.5 18.1 10.4
65+ 15.7 - 2.0 2.5 -

Occupati e Disoccupati suddivisi per categoria


(Numeri assoluti – ‘000)
2001 2002 2003 2004 2005
Able-bodied population (15+) 3.680 3.700 3.571 3.590 3.636
Popolazione economicamente attiva 1.729 1.749 1.722 1.720 1.729
Totale occupati 1.348 1.359 1.393 1.410 1.421
- Dipendenti 1.056 1.060 1.088 1.103 1.113
- Artigiani e liberi professionisti 216 229 242 252 258
- Agricoltori 76 70 63 54 49
Disoccupati 380 390 330 310 309
Tasso di disoccupazione 22.0 22.3 19.2 18.0 17.9

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Disoccupazione per età e genere (Dicembre 2004 – 2005)
Giovani Disoccupati di Disoccupati Totale
disoccupati mezza età anziani
(15-24) (25-54) (55-64)
2004
Disoccupazione totale 21.4 70.5 8.1 100.0
% Uomini 44.0 37.5 72.0 41.7
% Donne 56.0 62.5 28.0 58.3
2005
Disoccupazione totale 20.3 70.2 9.5 100.0
% Uomini 42.1 36.3 70.9 40.7
% Donne 57.9 63.7 29.1 59.3
Source: Croatian Employment Service Yearbook.

I gruppi più colpiti sono i disabili, i giovani senza precedenti esperienze lavorative e gli anziani.
Dalle tabelle sotto riportate si evidenzia come il livello di istruzione sia fondamentale nella ricerca di
un’occupazione.
Le maggiori difficoltà infatti sono incontrate da coloro che hanno solo un’istruzione di base, senza
specializzazioni, e non possiedono alcuna “competenza” professionale.
In tale direzione si muove il “National Employment Action Plan 2005-2008”, il quale pone la sua
attenzione sul circolo vizioso che la povertà e la disoccupazione innescano.
“Se sei povero non puoi permetterti una formazione adeguata e di conseguenza un lavoro”.
Obiettivo è quindi quello di ridurre gli alti tassi di povertà agendo su contemporaneamente su due
livelli d’intervento:

• creare opportunità lavorative a favore di soggetti marginalizzati dalla società;


• creare manodopera qualificata attraverso corsi di formazione ad hoc.

Le misure adottate annualmente dal Piano puntano a:


• sviluppare attività imprenditoriali tramite co-finanziamenti e riduzione dei costi per la
costituzione di nuove cooperative;
• ampliare le reti commerciali;
• promuovere le attività dei liberi professionisti;
• potenziare il settore turistico;
• migliorare il livello di istruzione dei disoccupati di lungo periodo, aumentandone la
competitività;
• combattere qualsiasi forma di discriminazione attraverso il co-finanziameto dei costi e
l’inclusione nei programmi di pubblico impiego realizzati dagli enti locali.

La riforma del sistema educativo è una delle pre-condizioni essenziali per poter ridurre la povertà e
l’esclusione sociale attraverso:
• una copertura nazionale dei servizi pre-scolastici (asili nido e scuole materne);
• prevenzione dell’abbandono scolastico;
• miglioramento dei collegamenti tra mondo scolastico e lavorativo;
• diritto d’accesso all’istruzione superiore e universitaria.
Questi sono i principali obiettivi della riforma a cui si aggiungono quelli relativi alla formazione
professionale in cui si prevedono maggiori investimenti in grado di favorire l’incontro tra domanda ed
offerta lavorativa.

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Persone occupate e disoccupate in base al livello d’istruzione (%)
Secondary Schools of
vocational Secondary higher
education vocational Postsecondary education,
No
of up 4- education, universities,
schooling
to 3 years year first academies
and Primary
and education academic of
primary school
qualified and degree, art,
school
and general associate master’s
leavers
highly secondary degree and
skilled education doctoral
workers studies

Employed

2005 4.8 15.8 33.7 26.3 6.7 12.7


Unemployed

2005 6.4 23.1 39.2 24.6 2.9 3.9

Il “National Action Plan” punta inoltre alla modernizzazione degli Uffici di Collocamento (Croatian
Employment Service) attraverso l’introduzione di nuove tecnologie amministrative e corsi di
formazione avanzata per il personale ed i consulenti.
Il CES dovrà diventare un sistema integrato e trasparente col compito di accompagnarle e sostenerle
durante tutta la durate della disoccupazione tramite:

• La Stesura di un piano di “ritorno al lavoro”, in accordo con la persona disoccupata entro due
mesi dall’acquisizione dello status di disoccupazione;
• Il Monitoraggio costante;
• Interviste periodiche;
• L’Implementazione di politiche attive per l’occupazione che includono programmi di
educazione e formazione mirati.

E’ in fase di sperimentazione un progetto pilota denominato Workfare (lavoro al posto di assistenza)


condotto in un ristretto numero di contee e indirizzato ai disoccupati di lungo periodo che al contempo
beneficiano degli assegni sociali.

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La Croazia è altresì caratterizzata da una forte disparità regionale, soprattutto tra le aree urbane e
rurali in cui si concentrano grosse sacche di disoccupazione.
I più alti tassi si riscontrano nelle contee di Vukovar-Sirmium and Sisak-Moslavina, mentre alti livelli di
crescita occupazionale convogliano nella capitale, Zagabria, e nella città di Istria, soprattutto nel
settore del turismo, dell’agricoltura mediterranea e della pesca.

Differenze regionali
Tasso % Persone Tasso di % Persone % Beneficiari
Disoccupazione con più di 65 crescita con disabilità permanenti
(% 2005) anni (2004) (2001) dell’assegno
(2001) sociale
(2004)
Zagreb 14.8 13.9 -1.3 9.7 1.2
Krapina- 14.3 16.5 -5.4 13.0 1.0
Zagorje
Sisak- 29.3 18.1 -5.6 11.1 4.9
Moslavina
Karlovac 26.5 19.9 -7.7 9.5 4.6
Varaždin 14.4 15.2 -2.8 10.9 2.0
Koprivnica- 17.7 16.5 -5.2 10.2 2.5
Križevci
Bjelovar- 25.4 17.3 -5.5 9.7 3.5
Bilogora
Primorje- 13.6 16.2 -2.9 7.9 1.0
Gorski kotar
Lika-Senj 21.1 22.7 -7.3 10.2 2.2
Virovitica- 29.5 16.1 -4.1 9.2 5.4
Podravina
Požega- 20.1 15.8 -2.7 11.5 3.5
Slavonia
Brod- 30.0 15.1 -2.2 9.0 4.9
Posavina
Zadar 20.5 15.7 -0.3 8.8 2.9
Osijek- 26.7 14.9 -2.8 9.2 4.5
Baranja
Šibenik-Knin 26.6 19.5 -4.6 10.8 10.3
Vukovar- 32.0 14.4 -1.0 8.8 3.8
Sirmium
Split-Dalmatia 22.6 14.3 1.6 10.2 1.7
Istria 7.3 15.6 -2.0 7.3 0.6
Dubrovnik- 17.5 15.9 0.4 7.9 1.3
Neretva
Međimurje 16.6 13.6 -0.3 8.3 4.9
Zagreb City 9.8 14.9 -0.9 10.3 1.6
Source: for employed, CBS (Statistical Information, 2006, p. 81);
for unemployed, Croatian Employment Service’s Monthly Statistics Bulletin 4, p. 24.

12
Le aree maggiormente deprivate si possono suddividere in tre categorie:

1. Aree distrutte dalla guerra;


2. Regioni montane e alcune regioni di frontiera;
3. Isole.

Al fine diminuire il più possibile il divario regionale il governo ha proposto una “Strategia per lo
Sviluppo Regionale”, finanziata dal Ministero della Pesca, del Turismo, dei trasporti e dello Sviluppo,
in cui si delinea un programma con specifiche misure d’intervento.
Nella prima area gli sforzi si sono concentrati nella ricostruzione di case, strade e infrastrutture
distrutte durante il periodo bellico e nel favorire il ritorno dei Serbi alle loro abitazioni.
La situazione è però ancora molto tesa ed alcuni villaggi a maggioranza serba restano quasi disabitati,
perfino senza elettricità.
Nel 2004 sono stati stanziati 100 milioni di € per il progetto di ricostruzione delle infrastrutture
pubbliche, terminato nel 2007.
Le Regioni montane sono invece caratterizzate dalla mancanza sia di servizi sociali sia dei servizi
sanitari di base, da un basso livello di disoccupazione, da una forte presenza di anziani e da
un’economia agricola non sostenibile e non in grado di competere in un mercato globale.
Di conseguenza sono stati attivati degli incentivi tesi a favorire la crescita economica, la ripresa
demografica, lo sviluppo sostenibile e il raggiungimento degli standard minimi per condurre
un’esistenza dignitosa.
Infine, le isole, nonostante siano contraddistinte da specifiche condizioni naturali e geografiche,
diverse da isola a isola, sono accomunate dalla mancanza di servizi e di opportunità economiche,
invecchiamento della popolazione e spopolamento.
Le misure che saranno adottate riguarderanno quindi il miglioramento dei trasporti (costruzione di
ponti e linee ferroviarie) soprattutto nei confronti delle persone disabili al fine di migliorare la mobilità
lavorativa e l’integrazione sociale.

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Sistema Educativo

Il sistema educativo croato è composto da tre livelli di istruzione:

• Scuole elementari (istruzione obbligatoria di 8 anni)


• Scuola secondaria (ginnasio o scuole professionali)
• Università.

Ciò che preoccupa maggiormente, come già indicato nelle pagine precedenti è il basso livello di
scolarizzazione tra la popolazione in generale, un ancora più basso impegno nella formazione
continua (lifelong learning), la non corrispondenza tra il bisogni del marcato del lavoro e il mondo
scolastico e la mancanza di meccanismi di base per il miglioramento dell’efficienza del sistema.
A seguito di tale situazione il governo croato ha adottato, il 9 giugno 2005, un ambizioso piano di
riforma del sistema educativo “Developmente Plan for Education System 2005 – 2010”, il quale si
basa su 4 priorità:

1) Miglioramento della qualità e dell’efficienza dell’istruzione;


2) Incoraggiamento della formazione e aggiornamento continuo degli insegnati e degli educatori;
3) Sviluppo di strategie adeguate alla gestione dell’intero sistema;
4) Promozione di una educazione che tende alla coesione sociale, alla crescita economica e allo
sviluppo globale.

Al fine di combattere la povertà e l’esclusione sociale si è deciso di porre in essere le seguenti azioni:

• Potenziare i servizi per l’infanzia, soprattutto nelle zone rurali, mediante un co-finanziameto da
parte degli enti locali;
• Prevenire la dispersione scolastica ampliando il servizio scolastico;
• Migliorare l’istruzione delle persone disabili tramite l’introduzione di docenti di sostegno
specializzati e piani educativi di sviluppo personalizzati in basi ai propri bisogni specifici;
• Sviluppare della formazione professionale in sintonia con le esigenze del mercato del lavoro;
• Realizzare programmi di lifelong learning rivolti agli adulti;
• Porre maggiore attenzione alle tematiche riguardanti i diritti umani, la prevenzione di qualsiasi
forma di violenza e discriminazione, la promozione della tolleranza e della solidarietà.

La globalizzazione, le nuove tecnologie e lo sviluppo di una società informatica, hanno apportato


numerosi cambiamenti nel mondo del lavoro rendendolo molto più flessibile e dinamico.
Allo stesso modo il sistemo educativo e soprattutto quello formativo devono essere messi nelle
condizioni di saper rispondere ai bisogni emergenti ed in continua evoluzione sia delle aziende che
dei lavoratori.
Mentre nel settore educativo si stanno facendo notevoli passi avanti, quello della formazione adulta è
la parte più trascurata e meno sviluppata del sistema.
Recentemente sono nati numerosi istituti privati con lo scopo di sopperire alla mancanza dello stato in
tale settore, attraverso la fornitura di corsi professionali specifici e di “business training”.
Il settore è in continua espansione e si prevede un maggiore sviluppo per il futuro.

14
SVILUPPO DELLA SOCIETA' CIVILE E RIFORMA DEI SERVIZI SOCIALI DOPO LA CADUTA DEL
COMUNISMO

Il sistema sociale croato ha attraversato un periodo di profonda crisi e trasformazioni strutturali in


seguito alla caduta del regime comunista di Tito che ha portato alla sgretolazione della Ex
Yougoslavia e alla formazione di numerosi stati indipendenti.
Durante il comunismo il sistema sociale era accentrato nelle mani dello Stato, il quale era l'unico
erogatore di servizi, con un programma di assistenza sociale nazionale realizzato da professioinisti di
settore all'interno del quale si lasciava però spazio ad "attività caritatevoli" delle organizzazioni non
governative.
Una serie di gravi crisi economiche, ed in seguito politiche, che attraversarono gli anni '80 e che
sfociarono poi nella guerra del '91, hanno portato ad un progressivo deterioramento di tale sistema in
quanto lo Stato, da solo, non era più in grado di soddisfare i bisogni emergenti della popolazione,
neppure quelli "essenziali".
L'emergenza dei profughi e dei rifugiati politici mise ancora a più dura prova il servizio pubblico.
Nel '93 venne introdotta la "social card" con cui venivano identificati i beneficiari dell'assistenza sociale
e degli aiuti umanitari, destinata al 5.4% della popolazione.
Ma ancora non era abbastanza, bisognava cambiare il sistema dall'interno.
Iniziò così la riforma del welfare a partire dal 1997. I suoi principi cardine furono:

• decentramento;
• democrazia;
• coinvolgimento di attori non statali nella fornitura di servizi ;
• rafforzamento della società civile.

Il processo è tuttora in atto, sostenuto anche dai fondi e programmi comunitari (CARDS per esempio),
ma ancora lontano dagli standard europei.
Nel 2003 le risorse pubbliche destinate alla spesa sociale delle regioni ed enti locali ammontava solo
al 4.6%.
La risposta a tali mancanze è stata una progressiva organizzazione della società civile in associazioni
di vario tipo, iniziata durante il periodo bellico (1991-1995) e sostenuta da organizzazioni internazionali
e donatori esteri.
L'ostacolo più grande contro cui ogni giorno il lavoro di queste ultime si scontra è la mancanza di un
quadro legislativo chiaro e definito che le riconosca a tutti gli effetti come portavoce degli interessi
della comunità e legittimi il proprio ruolo.
Nel Social Care Law del 1998 le organizzazioni della società civile (CSO) sono solo menzionate, non
gli è riconosciuto nessun ruolo strategico, di programmazione o gestione di attività.
Recenti studi realizzati dalla World Bank hanno evidenziato che i problemi maggiori incontrati dalle
CSO e di maggiore ostacolo al proprio sviluppo si riferiscono principalmente alla:
• sostenibilità,
• trasparenza,
• mancanza di efficienza,
• approccio non professionale,
• leadership,
• identità,
• inesperienza nelle attività di advocacy e lobbying,
• visibilità, a causa di una debole collaborazione coi mass-media.

L'ascesa al potere di una nuova coalizione di governo con la maggioranza del Partito Sociale
Democratico, a seguito delle elezioni del 2000 ha indirizzato la propria politica al superamento di tali
difficoltà cercando di rafforzare le CSO.
La nuova politica si evince dal "Programma di Co-operazione tra il Governo della Repubblica Croata e

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il settore Non-Profit ” adottato nel dicembre dello stesso anno.
Al contempo il Governo ha posto in essere anche misure fiscali tese a favorire le donazioni e ad
incrementare gli investimenti esteri: da una parte ha previsto la destinazione del 2% di reddito da
parte dei cittadini e delle imprese alle CSO e dall’altra l’abolizione dell’IVA al 22% per l’acquisto di
beni e servizi.

IL SISTEMA DI PROTEZIONE SOCIALE

A partire dall’autunno 2001 è in corso in Croazia una riforma del sistema della sicurezza sociale molto
profonda e allo stesso tempo caratterizzata da parecchi dubbi e controversie.
Durante il periodo governato dall'HDZ, il vecchio sistema socialista jugoslavo della sicurezza sociale
aveva subito molti danni, tanto da venire quasi totalmente distrutto.
E così il nuovo governo socialista dopo le elezioni del 3 gennaio ha ereditato una situazione piuttosto
sconvolgente.
Nel decennio che ha visto guerra, privatizzazioni selvagge e recessione economica, il numero dei
pensionati è più che raddoppiato ed è triplicato il numero dei disoccupati.
Anche il sistema dell'assistenza medica è andato in rovina. In questo contesto non c'è nessun spazio
per la sopravvivenza del vecchio sistema sociale, che da un lato è stato devastato e dall'altroè
insostenibile senza un'economia nazionale fortissima.
Pertanto il governo sociale è costretto a seguire una politica di contrazione dei diritti sociali ereditati
dal vecchio regime socialista.
Le riforme più profonde e più dolorose riguardano il sistema dell'assistenza sanitaria.
Ad eccezione dei minori fino a 14 anni di età, ben pochi servizi sono rimasti gratuiti.
La partecipazione alle spese mediche, che non è calcolata in base alla condizione sociale del cittadino
ma al tipo di assistenza medica utilizzata, varia tra il 15 e l'80% del costo del servizio.
L'assistenza dentistica è stata praticamente abolita.
Ogni assicurato è chiamato a partecipare ai diversi sistemi (privati o semiprivati) di assicurazione
medica e sociali integrativa, per cui solo chi paga di più si può aspettare di ottenere un'assistenza
migliore.
In contemporanea, procede anche la riforma del sistema pensionistico.
Con la riforma da poco votata in Parlamento, una parte della percentuale che lo Stato detraeva sul
lordo dello stipendio per versarlo nel fondo statale pensionistico (19,5%) potrà ora essere "gestita"
diversamente. Infatti, dall'inizio del 2002 ai lavoratori con meno di quarant'anni di età verrà detratta
una percentuale minore (14,5% - detto primo livello di partecipazione) per il fondo statale, mentre il
restante 5% (detto secondo livello di partecipazione) verrà gestito da compagnie di assicurazione
private.
Mentre per i lavoratori con più di cinquant'anni di età rimarrà in vigore il precedente sistema, per la
fascia di età tra i 40 e i 50 anni viene data la possibilità di decidere (entro fine giugno 2002) se
rientrare nella riforma o meno.
Al "terzo livello" di cui si parla nella legge, viene ripreso il concetto della partecipazione volontaria -
addizionale e quindi totalmente a carico del lavoratore.
E’ evidente che il sistema sociale ereditato - un tempo efficiente - è definitivamente condannato a
morte, e tuttora diviso tra pubblico e privato.
Molte cose dipenderanno senz'altro dalla situazione economica: una rinascita dell'economia non
rappresenta certo la garanzia per eccellenza, ma è una precondizione sicuramente necessaria per la
ricostruzione dello stato sociale

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Struttura

A livello statale le competenze in materia di protezione sociale sono suddivise fra tre ministeri
sebbene la responsabilità primaria ricada su quello della Salute e Welfare.
Vi sono poi 80 centri di Servizio Sociale istituiti in seguito alla riforma del 2003 e dislocati in tutto il
territorio nazionale in cui sono impiegate circa 1.892 persone.
Da questo momento in poi molte città dispongono di un proprio programma di protezione sociale.
Nonostante il trend continui nella direzione del decentramento dei servizi e nell’introduzione di nuovi
soggetti erogatori quali le organizzazioni del terzo settore (CSO) uno dei problemi cruciali è la
mancanza di chiarezza e trasparenza nell’attribuzione di ruoli definiti e responsabilità specifiche sia a
livello orizzontale che verticale.
Le CSO ricevono finanziamenti esigui e gli appalti sono sempre di breve durata, di modo che risulta
impossibile fornire servizi complessi e di lungo periodo.
Di conseguenza gli interventi realizzati non riescono né a sostenere il “sistema”, offrendosi come
valida alternativa, né ad integrarlo con servizi aggiuntivi.
Restano confinane sempre ai margini.
Soprattutto però non vi è integrazione tra le differenti tipologie di prestazione erogate, “cash” o “care”,
ossia tra prestazioni in denaro o di cura alla persona.
A fronte di una progressiva riduzione delle spesa sociale pubblica (dal 4.1% al 3.5%) proposta
dall’attuale governo mediante l’applicazione del World Bank Programme Adjustment Loan (PAL), è in
corso un progetto pilota in alcune contee con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo del Social Welfare
attraverso una migliore e innovativa offerta di servizi e la deistituzionalizzazione.
Nel 2003 e nel 2004 la spesa sociale si è stabilizzata intorno al 23.5% del PIL (4.5 punti in meno della
media europea) a causa della diminuzione nella spesa pensionistica.
Nonostante tutto la Croazia continua ad essere il paese con la più alta spesa sociale tra quelli dell’
NMS (eccetto la Slovenia) e il Sud-Est Europa (Romania, 17.6% - Bulgaria, 16.1%).
I seguenti grafici mostrano come l’80% di questa sia assorbita dalle pensioni e dalla sanità.
Nel 2004 la spesa pubblica sanitaria era circa il 7.5% del PIL con una evidente diminuzione rispetto al
2000 (10%). A differenza degli paesi segnati dalla guerra, la Croazia una parte consistente del PIL
(6%) alle vittime di guerra e ai veterani.

1999 2000 2001 2002 2003 2004


Spesa Totale 26,2 26,7 26,5 25 23,7 23,4
Salute 7,2 7,5 7,2 6,7 6,4 6,6
Pretezione sociale 16,3 16,5 16,9 16 13,9 13,6
Welfare 2,1 2,1 2 1,8 2,7 2,6
Altre spese 0,5 0,5 0,4 0,5 0,6 0,6

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SPESA SOCIALE (%PIL)

2004

2003 Altre spese


Welfare
2002
Pretezione sociale
2001
Salute
2000 Spesa Totale

1999

0 10 20 30

Il sistema di assistenza sociale e dei corrispettivi servizi sociali

Il sistema di assistenza sociale è disciplinato dal Social Welfare Act entrato in vigore nel gennaio del
1998.
La finalità dell’assistenza sociale è quella di far fronte ai bisogni primari di quei soggetti che, a causa
di sfavorevoli circostanze personali, economiche o sociali, non riescono a soddisfare da soli o con il
solo aiuto delle proprie famiglie.
Esistono due tipologie di beneficiari dell’assistenza sociale:
- le persone senza reddito, oppure quelle il cui reddito è sotto la soglia stabilita dal governo per
la soddisfazione dei “basic needs”;
- persone con bisogni specifici legati alla disabilità fisica o psichica, vecchiaia, vittime di violenza
domestica, bambini e adolescenti con problemi comportamentali o che non ricevono le cure
adeguate dai genitori…).

In base a tale legge l’assistenza sociale è finanziata sia dal governo centrale (standard generali) che
dalle municipalità locali (edilizia popolare).
Al fine di armonizzare tale sistema con gli standard degli altri paesi europei è stata lanciata una
riforma denominata “Development of Social Welfare Project”, quale risultato della collaborazione tra il
Ministro della Salute, del Welfare e della Banca Mondiale.
L’obiettivo è quello di realizzare un sistema sociale più efficiente, flessibile e rivolto soprattutto ai
cittadini più a rischio di emarginazione.
La maggior parte dei servizi sociali è fornita dal sistema pubblico di assistenza, dal governo centrale e
dagli enti locali. La costituzione pone forte enfasi sulla titolarità dell’erogazione dei servizi agli enti ma
a seguito della guerra il sistema si è eccessivamente centralizzato.
Così il primo step di una riforma che si avvia verso la decentralizzazione dei servizi è stato quello di
trasferire alle contee la costituzione ed il finanziamento delle case di cura per anziani e per infermi
(Amendament of Social Welfare Act del 2001) e non solo.
La nuova legge abilita anche le organizzazioni private (profit e no-profit) all’apertura di istituti sociali.
Anche in questo caso i destinatari sono di due tipi:
- le persone che non riescono ad affrontare le difficoltà quotidiane della vita;
- le persone affette da specifici disturbi fisici o psichici .

Tra le forme alternative di servizi vi è la “foster care” (intrapresa prima nel nord del paese), ossia
l’affidamento a piccoli centri o club specializzati nella cura di particolari disagi molto gravi.
Un forte impeto contro l’istituzionalizzazione è pervenuto dalle organizzazioni non governative e dal

18
sistema associativo in generale anche se ancora non è abbastanza.
Il sistema legislativo è inadeguato, mancano le strutture adatte e personale specializzato, ma
soprattutto deve essere sviluppato un nuovo concetto di “servizio” a livello culturale, con al centro la
persona come soggetto attivo de proprio cambiamento.

La spinta verso le decentralizzazione a fronte dell’inadeguatezza della risposta pubblica ai bisogni


emergenti ed in costante evoluzione dei cittadini è sostenuta da politiche di welfare mirate e dalle
conseguenti misure che puntano a :
• Modificare le strutture delle unità locali, dotandole di strumenti tecnici e di personale adeguato,
e sviluppare collaborazioni tra enti;
• Introduzione di servizi individuali e della “possibilità di scelta” da parte del beneficiario, il quale
per la prima volta viene coinvolto nell’organizzazione del servizio;
• Sviluppo e integrazione del settore privato, del privato sociale e del volontariato con il supporto
finanziario dell’ente locale;
• Promozione di servizi di cura alternativi alla de-istituzionalizzazione (foste home, non-
istitutional forms of residence) con programmi giornalieri o settimanali realizzati da esperti di
settore.

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Beneficiari permanenti dell’assegno sociale (% 2004)

Genere
M 49.4
F 50.6

Età
Fino a 7 anni 13.5
7- 15 15.9
15 – 18 6.1
18 – 30 9.7
30 - 40 12.5
40 - 50 14.0
50 - 60 10.0
60 - 75 14.7
+ di 75 4.6

Stato occupazionale
Lavoratore dipendente 0.7
Libero professionista 1.2
Pensionato 2.0
Disoccupato 45.3
Adulti con disabilità 14.7
Adolescenti senza regolare istruzione 30.3
Altri 5.8

Livello d’istruzione
Istruzione di base incompleta o assente 43.2
Istruzione di base 30.2
Istruzione secondaria 24.8
Università 1.8

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Società Civile

Il contesto politico, legislativo e socio-culturale in cui le CSO nascono è di importanza fondamentale


per il loro sviluppo. I problemi legati alla legittimità d’azione civile e gli ostacoli per lo sviluppo di una
società civile sono infatti una delle primissime cause che hanno impedito la costruzione di uno spazio
sociale condiviso e di un capitale sociale.
Mentre le procedure di registrazione delle associazioni sono abbastanza snelle e veloci, in 4 o 5
settimane al massimo è possibile registrarsi, il sistema fiscale rappresenta un grosso ostacolo.
Se, da una parte, negli ultimissimi anni, sono stati apportati numerosi cambiamenti al fine di
aumentarne la competitività a livello internazionale e attrarre investimenti esteri, le difficoltà
permangono nella comprensione del funzionamento del sistema nella sua totalità (mancanza di
chiarezza e trasparenza) e l’insoddisfazione in merito ad una tassazione ancora troppo elevata.
Per quello che riguarda invece il coinvolgimento delle CSO nella programmazione e formulazione
degli interventi gli obiettivi di una piena e reale partecipazione sono ancora molto lontani.
Neppure a livello locale le CSO riescono ad influenzare le decisioni politiche.
Le istituzioni statali sono ancora le uniche a detenere il potere decisionale.
Lo spazio riservato alle organizzazioni della società civile risulta essere molto marginale nonostante il
“Government Strategy for Croatia Development” riconosca i principi di sussidiarietà e partenariato
come punti cardine di un corretto processo di modernizzazione e sviluppo.
L’importanza del ruolo delle CSO nell’offerta di una maggiore gamma di servizi che vada ad integrare
l’offerta governativa non viene nemmeno riconosciuta dal resto della popolazione.
L’impegno civile volto alla risoluzione dei problemi comunitari e l’attività di volontariato non sono
affatto riconosciuti come un valore, una risorsa, anzi sono visto con sospetto, come se ci fosse
nascosto un tornaconto personale a causa di una corruzione dilagante.
Il problema di fondo è che in Croazia non sono radicarti i principi base del mutuo-aiuto, della
solidarietà civile….poichè è sempre stato lo Stato che si è occupato delle materie sociali, di offrire
sostegno sia intermini economici che di servizi così che i cittadini devono sviluppare una coscienza
sociale comune e costruire un tessuto sociale da cui attingere le risorse per il cambiamento.
Di conseguenza l’impatto politico è ad un livello molto basso.
Le organizzazioni non riescono a portare le loro istanze all’attenzione dei dirigenti politici in modo tale
da farle inserire nelle agende di lavoro e non hanno alcun ruolo nelle programmazione,
implementazione e monitoraggio dei servizi.
Non vi è alcuna forma di cooperazione con lo Stato in quanto non ritenuta necessaria e
indispensabile, se non in alcuni settori (protezione ambientale, alcune questioni sociali e di genere,
vittime di guerra).
Nella maggioranza dei casi le CSO si limitano a fornire servizi di pubblica utilità propri o a gestire
quelli che lo stato gli affida senza preoccuparsi di trasformare i destinatari degli interventi in “soggetti
attivi” del proprio cambiamento.
L’utente non è ancora percepito come attore protagonista, il quale se sostenuto e adeguatamente
formato è in grado di fare pressione politica e lottare per i suoi diritti.
Attualmente le CSO sono molto attive nel campo dell’integrazione etnica tra i diversi gruppi che hanno
da sempre composto la regione ma che dopo il conflitto si sono hanno smesso di comunicare; della
promozione della pace e dell’uguaglianza di genere.
Allo stesso tempo dovrebbero essere rafforzati i rapporti con i mass media al fine di rendere
maggiormente visibile il proprio operato a tutta la popolazione attraverso campagne pubblicitarie
mirate, e rendere pubblici i propri bilanci per conferire più trasparenza e infondere fiducia nei cittadini.
La democrazia interna non è ugualmente rispettata.
La partecipazione dei soci è una tra le più basse d’Europa ed il ruolo del consiglio non è affatto
rilevante.
Le decisione sono concentrate nella mani dei pochi dirigenti.

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Struttura delle CSO

L’organizzazione interna non è sufficientemente trasparente.


Pochissimi studi e ricerche sono state realizzate al fine di indagare le tipologie di soggetti coinvolti, le
attività ed i risultati raggiunti.
Altrettanta poca attenzione è stata posta alla divulgazione di tali dati.
La maggior parte di queste si sono costituite a seguito dei cambiamenti politici degli anni '90.
In Croazia esistono circa 20.000 associazioni registrate, di cui 18.000 operano a livello locale, anche
se si presume che solo poche siano realmente attive.
I settori di maggiore attività riguardano principalmente lo sport, il tempo libero e la cultura.
Nelle grandi città a volte si fatica a trovare un'associazione che nel campo delle politiche sociali.
La struttura di base poggia su un numero elevato di membri attivi.
Il 38% dei croati è infatti membro di almeno una associazione.
La distribuzione geografica delle CSO è molto disomogenea, in quanto concentrata nelle 4 grandi
città, con grosse lacune nelle aree con meno di 20.000 abitanti.
Ciò sottolinea la mancanza di organizzazioni comunitarie di base.
Un altro problema di importanza fondamentale per la sostenibilità e lo sviluppo delle CSO è la scarsa
collaborazione tra associazioni, la quasi totale assenza di reti e partnership.
La consapevolezza dei vantaggi del lavoro di rete non è ancora radicata, vi è la paura che la
partecipazione alle cosiddette "umbrella organization" a cui si affidano una serie di attività va da a
minare l'indipendenza della propria associazione e conduca ad una perdita di potere.
Non si è ancora preso coscienza dall'importanza delle alleanze per difendere l'"interesse comune",
fare lobbyng e difendere con più forza le proprie posizioni.
Le organizzazioni più grandi raramente lavorano assieme a quelle "in erba" che rimangono spesso
marginalizzate.
Si sottolinea inoltre l'inadeguata formazione del personale dirigenti, i frequenti casi di burn out, la mala
gestione e l’inefficace risposta ai bisogni della popolazione.
Al contrario, i sindacati si appoggiano spesso alle CSO per difendere diritti di interesse generale e
portare avanti le loro battaglie tramite azioni di boicottaggio e manifestazioni non-violente.
I gruppi sociali più attivi politicamente appartengono ad organizzazioni che si occupano di protezione
ambientale, difesa dei gruppi sociali vulnerabili, donne e diritti umani.
Il sistema di finanziamento pubblico non è affatto trasparente, come dimostrato da numerosi sudi in
materia.
Solo il 7% delle organizzazioni riceve sovvenzioni statali mentre la maggior parte si affida a donazioni
estere o a programmi internazionali, i quali però si concentrano prevalentemente nelle grandi città o
nelle aree colpite dalla guerra.

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Il ruolo delle associazioni a livello locale

Quando nel 2000 il Governo centrale ha iniziato il processo di decentramento dei poteri in materia
sociale in favore sia degli enti locali che delle organizzazioni del terzo settore l’esperienza di alcune
grandi città che già da anni avevano sviluppato propri programmi sociali in collaborazione con le CSO
è divenuta fondamentale.
Ora la maggior parte degli enti locali finanzia le associazioni no-profit per la realizzazioni di alcuni
servizi sociali.
Il problema centrale è dato dal fatto che queste ultime sono concentrate nelle grandi città aumentando
ancora di più la discrepanza con le aree rurali.
Le associazioni che finora sono state sovvenzionate sono:

1. Caritas, Croce Rossa e altre associazioni per persone disabili;


2. Associazioni connesse con le vittime di guerra;
3. Associazioni di pensionati;
4. Associazioni che si occupano di Programmi di integrazione sociale (sostegno psico-sociale,
prevenzione della violenza e delle dipendenze patologiche).

La lista sopra menzionata evidenzia il legame tra alcuni gruppi sociali e le corrispettive associazioni
che sono espressione dei loro bisogni.
Esistono però anche altri gruppi meno forti politicamente e socialmente con altrettante esigenze
specifiche le quali mancano di buoni programmi e di fondi.
Per questo motivo occorrono degli esperti competenti in materia che siano in grado di portare alla luce
tali problematiche e trovare una soluzione adeguata.
Dopo un’attenta valutazione relativa alla qualità dell’attività svolta dalleassociazioni e dal rapporto di
collaborazione tra queste e le amministrazioni locali si è potuti arrivare ai seguenti risultati riassunti in
una precisa Swot analysis elaborata da un centro di ricerca universitario:

Punti di forza

- Stanziamento di maggiori risorse economiche per agevolare in maniera efficiente il processo di


decentramento, attraverso una maggiore cooperazione con le CSO;

- Rafforzamento delle comunità locali e trasferimento delle responsabilità;

- Sviluppo della società civile tramite la stimolazione di iniziative innovative;

- Trasferimento di buone prassi in altre zone;

- Pianificazione territoriale dei servizi a livello locale mediante una programmazione partecipata
e concertata di più soggetti.

Punti di debolezza

- Mancanza di risorse umane adeguatamente formate soprattutto a livello amministrativo;

- Insufficienza di incentivi per gli impiegati;

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- Mancanza di coordinamento e di trasmissione di informazioni;

- Ruolo marginale riservato al settore sociale.

Opportunità

- Favorevole quadro legislativo e fiscale;

- Collaborazione con istituzioni religiose, come la Caritas, e altre organizzazioni di professionisti;

- Positive esperienze realizzate in alcune città;

- Possibilità di usufruire di fondi internazionali e di assistenza tecnica estera.

Minacce

- Una sfavorevole situazione economica potrebbe aumentare i problemi sociali e limitare le


risorse destinate alla loro risoluzione;

- Alcuni enti locali non hanno abbastanza risorse per finanziare adeguatamente i programmi
sociali e ciò porterebbe ad una “regionalizzazione” della povertà, andando ad acuire le
disparità regionali già forti;

- Il processo di democratizzazione è ancora debole e in corso di realizzazione;

- Il settore sociale non rientra tra le priorità di spesa.

Il mancato approfondimento delle questioni sociali, l’emergere continuo di nuovi rischi, le riforme
basate su una strategia tesa esclusivamente alla privatizzazione/liberalizzazione dei servizi e la
presenza di un stato centrale ancora troppo forte ha reso il governo croato incapace di soddisfare i
bisogni di base della popolazione.
Il cambio di rotta è avvenuto a partire dal 2000, quando il nuovo governo ha deciso di puntare
finalmente alla realizzazione di una vera democrazia decentralizzata, dando più potere agli enti locali
e coinvolgendo la società civile in generale nella programmazione degli interventi.
L’impegno governativo si è tradotto nella istituzione di numerosi organi a carattere nazionale per
l’unione e la rappresentazione delle CSO quali il Government Office for NGOs, the National
Foundation for Civil Society Development, the Council for Civil Society Development e nelle modifica
di varie leggi che disciplinano il ruolo di queste ultime.
Nel 2001 il programma di cooperazione tra Stato e NGO ha previsto l’elaborazione di un codice che
sancisca i criteri e gli standard per l’allocazione dei finanziamenti a supporto delle associazioni ed
individui le “buone pratiche di comportamento”.
Il Governo ha così adottato nel giugno del 2006 una Strategia Nazionale per la creazione di un
contesto adatto allo sviluppo della società civile in cui sono formulate una serie di misure in differenti
aree della vita sociale.
La CSO giocano un ruolo fondamentale nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

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La loro attività si concentra soprattutto nel supporto dei gruppi più vulnerabili, sull’empowerment dei
beneficiari del sistema sociale e nello sviluppo di nuovi servizi sociali in partenariato con le istituzioni
pubbliche e gli enti locali.
Nonostante tutti questi sforzi una ricerca condotta nel 2004 da NGO CERANEO (Centre for
Development of the Non-profit Sector) e co-finanziata dall’UE ha evidenziato che ancora permangono
molti problemi in relazione al coinvolgimento “reale”, c’è bisogno di un impegno maggiore.
Le priorità e le misure indicate nel JIM (Join Memorandum on Social Inclusion) includono il:
• Sostegno alla costruzione di partenariati e la promozione del dialogo sociale (fare leva sugli
imprenditori affinché si facciano carico della risoluzione dei problemi della comunità);
• Rafforzamento della cooperazione e del partenariato tra le NGO e tra queste e il Governo
(attraverso l’inclusione delle NGO in tutte le fasi progettuali);
• Coinvolgimento maggiore degli enti locali;
• Monitoraggio e la valutazione di queste misure da parte di organi specializzati e indipendenti.

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